Protoregia Nellopera Cinque Argomenti Pe
Protoregia Nellopera Cinque Argomenti Pe
Protoregia Nellopera Cinque Argomenti Pe
ISBN 978-88-7470-457-6
ISSN 2283-9089
Indice
Premessa 7
Nicola Pasqualicchio
Il cantante è un attore? Note su un paradosso 13
Marzia Pieri
Fra commedia e melodramma: la lingua “energica” delle attrici dell’Arte 41
Simona Brunetti
Lazzi di Commedia dell’Arte per La Calisto di Jacobs e Wernicke 53
Arianna Frattali
La necessità del canto. La voce della Didone metastasiana
nel Settecento europeo 67
Sandra Pietrini
Le forme del canto: gesti e pose nel trattato di Enrico Delle Sedie 79
Valentina Dorigotti
Le forme del canto: la gestualità del virtuoso nelle riviste italiane
dell’Ottocento 99
Elena Randi
François Delsarte: il lavoro dell’actor 111
6 Indice
Giada Viviani
Il cantante-attore nel Musikdrama. Il problema della recitazione
nella riforma teatrale di Richard Wagner 121
Paolo Puppa
Da Adelaide a Carmelo: la voce dell’attore tra prosa e canto 135
Paolo Noto
Voci esemplari. Gli artisti lirici nel cinema italiano degli anni Cinquanta 147
Alberto Scandola
Violetta sullo schermo. Dialettica tra canto e performance
in tre adattamenti audiovisivi di Traviata 159
Licia Mari
Oltre il melodramma. L’opera-video di Adriano Guarnieri 175
Giancarlo Cauteruccio
Che il corpo canti 187
Anna Laura Bellina*
Protoregia nell’opera italiana.
Cinque argomenti per cominciare
1. Le origini
Fin dagli albori della monodia accompagnata, e quindi del dramma per musica,
gli operatori teatrali sembrano occuparsi minuziosamente delle istruzioni desti-
nate al cantante attore e di quegli elementi che, insieme ad altri, costituiranno
la cosiddetta protoregia1. Per esempio a Reggio il 2 novembre del 1568, quando
una tragedia parlata di Gabriele Bombasi viene arricchita dai sontuosi inter-
medi per la visita di Barbara d’Austria, moglie di Alfonso II d’Este, stando alla
descrizione dell’evento l’interprete deve sottolineare le parole del recitativo con
movimenti appropriati, mediante l’espressione del viso e dello sguardo2. Angelo
Ingegneri, animatore e promotore di quel celebre Edipo tiranno che nel 1585
inaugura l’Olimpico di Vicenza, in uno scritto del 1589 raccomanda di curare
ugualmente «la voce e il gesto, nelle quai due parti è riposta la totale espressione
ed efficacia della favola». Il linguaggio fisico si esprime attraverso «i movimenti
opportuni del corpo e delle parti sue e spezialmente delle mani e molto più del
volto e sopra tutto degli occhi»3.
Per la Rappresentazione di Anima e di Corpo, allestita nel febbraio del 1600
all’oratorio romano di Santa Maria in Vallicella, il prefatore Alessandro Guidot-
ti, probabilmente un coreografo4, apprezza il fatto «che il cantante abbia bella
* Università di Padova.
1
Per i termini “regia” e “regista”, cfr. B. Migliorini, Varo di due vocaboli, in “Scenario”, I, 1,
1932, p. 36; B. Migliorini, Saggi sulla lingua del Novecento, Sansoni, Firenze 1941, p. 206; G. Guc-
cini, Direzione scenica e regia, in L. Bianconi, G. Pestelli (a cura di), Storia dell’opera italiana, EDT,
Torino 1988, vol. V, p. 125.
2
Cfr. [G. Bombasi o Bombace iunior], Il successo dell’«Alidoro», tragedia rappresentata in Reg-
gio, Ercoliano Bartoli, Reggio [1568?].
3
A. Ingegneri, Della poesia rappresentativa e del modo di rappresentare le favole sceniche, Vitto-
rio Baldini, Ferrara 1589, pp. 76-77.
4
Cfr. C. Nocilli, Il mito d’Orfeo e l’arte coreica nel primo Seicento in Italia: prima o seconda
pratica?, in “Philomusica online”, VIII, 2, 2009, pp. 91-104.
30 Anna Laura Bellina
voce, bene intonata, e che la porti salda, che canti con affetto, piano e forte e
senza passaggi, ed in particolare che esprima bene le parole che siano intese»5.
Ma non basta eseguire le note e scandire il testo. L’interprete accompagnerà
l’esibizione «con gesti e motivi non solamente di mani ma di passi ancora, e che
sono aiuti molto efficaci a muovere l’affetto». Quanto al coro a quattro voci, che
si possono raddoppiare se il palcoscenico è abbastanza capiente, «dovrà stare
[...] parte a sedere e parte in piedi, procurando sentir quello che si rappresenta,
e tra di loro alle volte cambiar luoghi e far motivi; e quando avranno da cantare,
si levino in piedi per puoter fare i loro gesti e poi ritornare a’ luoghi loro». Fra
i due ruoli del titolo, il Corpo dice «quelle parole Sì che ormai alma mia e quel
che segue» ovvero «con teco in compagnia / cercarò con amore / il ciel, la vita
eterna e ’l mio signore»6. In quel momento, per far meglio comprendere l’azione
e la rinuncia alle lusinghe terrene, il cantante «puotrà levarsi qualche ornamento
vano, come collana d’oro, penna del cappello o altre cose»7.
Nel 1609 la partitura a stampa dell’Orfeo monteverdiano, che descrive la
messinscena avvenuta a Mantova nel 1607, indica il punto preciso in cui il pro-
tagonista «si volta» e perde nuovamente Euridice8. Sempre a Mantova, nella
premessa alla sua Dafne, Marco da Gagliano chiarisce che ci vogliono alcuni
accorgimenti: l’incedere maestoso di Ovidio che recita il prologo, il coro che in
piedi o in ginocchio deve esprimere col viso il timore suscitato dal serpente, i
passi «leggiadri e fieri» di Apollo che affronta il mostro scoccando le sue frecce
micidiali. E qui si rendono necessarie un’abile comparsa, che procede carponi
impersonando il rettile, e soprattutto una controfigura:
Ma perché bene spesso il cantore [Apollo] non è atto a far quell’assalto, ricercan-
dosi per tale effetto destrezza, salti e maneggiar l’arco con bella attitudine, cosa più
appartenente a uomo schermitore e danzatore insieme che buon cantore, e quando
pur si ritrovasse in qualcuno attitudine e all’uno e all’altro, mal potrebbe dopo il
combattimento cantare per l’affanno del moto, vestirannosi due [...] simili e quello
che canta esca invece dell’altro dopo la morte del Fitone, pur con lo stesso arco in
mano o altro simile e canti come s’è detto di sopra. Questo cambio riesce così bene
che niuno, per assai volte ch’ella si sia recitata, s’è mai accorto dell’inganno [...].
Chi fa la parte del Fitone concertisi con Apollo, perché la battaglia vada a tempo
del canto. Il serpente vuole esser grande; e se il pittore [costumista o scenografo]
che lo fa saprà, come ho veduto io, far ch’egli muova l’ale, getti fuoco, farà più bella
5
A’ lettori, in E. de Cavalieri, Rappresentazione di Anima e di Corpo [...] per recitar cantando,
data in luce da Alessandro Guidotti bolognese, Nicolò Mutij, Roma 1600, p. 5.
6
Cavalieri, Rappresentazione, cit., I, 4.
7
Avvertimenti per la presente «Rappresentazione» a chi volesse farla recitar cantando, in Cava-
lieri, Rappresentazione, cit., p. 1.
8
C. Monteverdi, L’Orfeo, favola in musica, Ricciardo Amadino, Venezia 1609, IV, scena unica.
Protoregia nell’opera italiana. Cinque argomenti per cominciare 31
vista; sopra tutto serpeggi, posando il portatore di esso le mani in terra, acciò vada
su quattro piedi9.
L’«uomo schermitore» altro non è che un maestro d’armi, esperto nei com-
battimenti simulati e antenato di una precisa categoria fra i moderni stuntmen
del cinema. Le incombenze degli interpreti durante la metamorfosi di Dafne
sono molto complesse, fra gli sguardi reciproci dei coristi e i gesti di Apollo che
deve mettersi in testa l’alloro al momento giusto. E poi, nelle terzine finali, le
necessità del verosimile e del canto richiedono una trovata fuori scena, mentre il
dio finge di accompagnarsi suonando la lira:
Non voglio anche tacere che dovendo Apollo, nel canto dei terzetti Non curi la mia
pianta o fiamma o gelo, recarsi la lira al petto, il che debbe fare con bell’attitudine,
è necessario far apparire al teatro che dalla lira d’Apollo esca melodia più che or-
dinaria; però pongansi quattro sonatori di viola (a braccio o gamba poco rilieva) in
una delle strade più vicina, in luogo dove non veduti dal popolo veggano Apollo e
secondo ch’egli pone l’arco su la lira suonino le tre note scritte [...]. Questo inganno
non può essere conosciuto, se non per immaginazione da qualche intendente, e reca
non poco diletto10.
9
Ai lettori, in M. da Gagliano, La Dafne rappresentata in Mantova, Cristofano Marescotti,
Firenze 1608, p. 7 non numerata.
10
Ibid.
11
Cfr. I. Cicognini, L’amor pudico, festino diviso in cinque ore, Girolamo Discepoli, Roma 1614;
F. Vitali, L’Aretusa, favola pastorale, Luca Antonio Soldi, Roma 1620.
12
Cfr. Il corago o vero Alcune osservazioni per metter bene in scena le composizioni drammatiche,
Modena, Biblioteca Estense, ms. Campori 284, γ.F.6.11; P. Fabbri, A. Pompilio (a cura di), Il cora-
go, Olschki, Firenze 1983.
13
N. Tommaseo, B. Bellini, Dizionario della lingua italiana, Unione Tipografico-editrice, Roma-
Torino-Napoli 1865, voce Corago.
32 Anna Laura Bellina
2. I buoni propositi
Per tutta la storia dell’opera, i teorici invocano la presenza di una figura che
comandi, un dictator che spesso e volentieri s’identifica col poeta. Lasciando
perdere le numerose didascalie d’azione e le minuziose indicazioni relative alla
scenografia, nelle carte interfoliate degli autografi marciani14 Apostolo Zeno pre-
scrive di suo pugno il modo per dirigere i movimenti delle numerose comparse
che intasavano il palcoscenico nei drammi dai titoli impossibili, fra cui Orno-
spade, Venceslao, Sirita e Gianguir15. Grazie al recente spoglio dell’ipertrofico
epistolario in sei volumi16, effettuato da Giovanni Polin, oltre al bollettino medi-
co esilarante in cui lamenta emorroidi, raffreddori, affezioni bronchiali, diarrea
e flussioni varie, dall’epistassi alla congiuntivite, si evince quanta fosse la cura
che il librettista veneziano riservava alle prove e all’azione. In particolare nel
Mitridate colpiscono alcune precise didascalie del manoscritto lagunare, relative
ai movimenti degli attori e delle masse che si spostano a destra o a sinistra del
palco, poi tagliate impietosamente nella stampa viennese per la recita del 1728,
perché tanto lo spettatore poteva vederle coi propri occhi:
Pressante l’attenzione di Zeno agli sguardi, accolta nelle stampe di scena che
concordano col manoscritto marciano:
14
Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Cod. It., cl. IX 478 (= 6237) e 479 (= 6238).
15
Cfr. G. Polin, Nell’officina del librettista: autografi zeniani alla Biblioteca Marciana di Venezia,
in G. Pitarresi (a cura di), Atti del convegno internazionale di studi «Apologhi morali: i drammi per
musica di Apostolo Zeno» (Reggio Calabria, 4-5 ottobre 2013), in corso di stampa.
16
Lettere di Apostolo Zeno, cittadino veneziano, istorico e poeta cesareo, nelle quali si contengono
molte notizie attenenti all’istoria letteraria de’ suoi tempi e si ragiona di libri, d’iscrizioni, di medaglie
e d’ogni genere d’erudita antichità, Sansoni, Venezia 1785, lettere dell’11 marzo 1724, n. 616; del 30
aprile 1734, n. 837; del 30 dicembre 1740, n. 1119; del 13 gennaio 1741, n. 1123.
17
A. Zeno, Mitridate, autografo, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Cod. It., cl. IX 479
(= 6238) cc. 127-129, I, 1.
18
Ivi, I, 3.
19
Ivi, I, 6.
Protoregia nell’opera italiana. Cinque argomenti per cominciare 33
Appoggiandosi al tavolino si cuopre gli occhi con la mano. In questo entra Casimiro
tenendo in mano uno stile nudo insanguinato20.
Si ritira col fazzoletto agli occhi21.
Il poeta dirige gli stessi pittori e coloro che hanno la cura del vestiario; egli compren-
de in mente il tutto insieme del dramma e quelle parti che non sono eseguite da lui
sono però dettate da lui medesimo24.
20
A. Zeno, Venceslao, Girolamo Albrizzi, Venezia 1703, e Giovanni Pietro van Ghelen, Vienna
1725, III, 8.
21
A. Zeno, Lucio Papirio dittatore, Giovanni van Ghelen, Vienna 1719, I, 13.
22
Cfr. per esempio le lettere del 10 febbraio 1748, 16 febbraio 1748, 20 ottobre 1749, 26 no-
vembre 1751, rispettivamente in P. Metastasio, Tutte le opere, a cura di B. Brunelli, Mondadori,
Milano 1951-1954, vol. III (Lettere, 1951), pp. 337-340, pp. 342-343, pp. 427-436 e pp. 690-691;
M. Viale Ferrero, Le didascalie sceniche del Metastasio, in M. T. Muraro (a cura di), Metastasio e il
mondo musicale, Olschki, Firenze 1986, pp. 135-149.
23
R. Mellace, Metateatro come autorappresentazione. «Le cinesi» tra Metastasio e Gluck, in F.
Cotticelli, P. Maione (a cura di), Teatro allo specchio. Il metateatro tra melodramma e prosa, Turchi-
ni, Napoli 2012, p. 213.
24
F. Algarotti, Saggio sopra l’opera in musica, [Venezia 1755], p. 8.
34 Anna Laura Bellina
gli fossero dati»25. Nel 1772, il celebre trattato di Antonio Planelli teorizza fra
l’altro il «gesto muto» per il cantante attore che deve «badare» all’azione altrui
e sottolineare con la mimica il pezzo solistico eseguito da un collega, invece di
salutare allegramente gli amici nei palchi26. Ma soprattutto Planelli invoca la
presenza di un funzionario letterato e onnipotente, simile al corago secentesco,
addetto a sorvegliare ogni aspetto della messinscena. L’ingerenza dell’autore del
testo verbale sembrerebbe aumentare nel corso del secolo, basti pensare all’i-
naugurazione della Scala nel 1778 con quell’Europa riconosciuta in cui Mattia
Verazi abbonda nelle indicazioni di regia27.
3. La prassi sgangherata
Ma in realtà, poco tempo dopo la stesura del Corago, l’apertura del primo teatro
pubblico a Venezia, nell’anno fatidico 1637, favorisce timidamente la divisione del
lavoro all’opera. Invece del poeta, si occupano della produzione ballerini come
Giovanni Battista Balbi, coreografo nell’Andromeda del 1637 e capocomico nel
164528. Non mancano gli scenografi e i macchinisti, fra i quali i membri della nu-
merosa famiglia Mauro, che collaborano con Francesco Santurini nel 1657, o Ga-
spare Beccari, attivo nel 1658. Malgrado i buoni propositi di Apostolo Zeno, dalle
recensioni che descrivono le recite della sua Griselda a Pavia nel 1710, si evince
che, se si lascia libero di fare a modo suo, il cantante passeggia per il palco mentre
un altro sta eseguendo l’aria29, benché dai conti della ripresa bolognese nel 1711 si
sappia che il teatro ha pagato 15 lire a un certo Domenico Buratti per «aver inse-
gnato l’azione alla signora Margherita Zani», protagonista del dramma30.
25
G. Polin, «Per la dovuta esecuzione della scrittura li patti tutti stabiliti alla buona direzione e
vantaggio dell’impresa». Due storie esemplari su tempi e modi della creatività nel dramma per musica
(Venezia, 1759 e 1762), in E. Randi (a cura di), Attraversamenti. Studi sul teatro e i generi para-
teatrali fra Sette e Novecento, Cleup, Padova 2012, p. 23.
26
A. Planelli, Dell’opera in musica, a cura di F. Degrada, Discanto, Fiesole 1981, p. 87.
27
Cfr. M. Verazi, Europa riconosciuta, Giovanni Batista Bianchi, Milano 1778; A. L. Bellina,
Mattia Verazi, un librettista-regista, in L’Europa riconosciuta, programma di sala, Teatro alla Scala,
Milano 2004, pp. 189-203.
28
L. Bianconi, T. Walker, Dalla «Finta pazza» alla «Veremonda». Storie di Febiarmonici, in “Ri-
vista italiana di musicologia”, X, 1975, p. 402.
29
Cfr. Cronaca delle rappresentazioni dell’opera «Griselda» al teatro di Pavia nel maggio 1710,
Bologna, Biblioteca Universitaria, ms. miscell. n. 76, fasc. n. 13; Seconda cronaca delle rappresenta-
zioni dell’opera «Griselda» al teatro di Pavia nel maggio 1710, Bologna, Biblioteca Universitaria, ms.
miscell. n. 76, fasc. segnato come «Informazione n. 7».
30
Libro di spese ed utili dell’opera intitolata «Virtù in trionfo o sia La Griselda» rappresentata nel
teatro Marsigli Rossi nell’autunno dell’anno 1711, Bologna, Archivio di Stato, Marsigli, strumenti e
scritture, b. 284, fasc. dell’anno 1711, trascritto in M. Bizzarini, Griselda e Atalia: «exempla» femmi-
nili di vizi e virtù nel teatro musicale di Apostolo Zeno, Università degli Studi di Padova, Dottorato
Protoregia nell’opera italiana. Cinque argomenti per cominciare 35
4. L’opera al quadrato
di ricerca in Storia e critica dei beni artistici e musicali, XX ciclo, relatore prof. Bruno Brizi, Padova
2008, Appendice A, pp. 163-181; cfr. anche l’Appendice B, pp. 182-196, con la trascrizione delle
Lettere inedite del signor Apostolo Zeno, istorico e poeta cesareo, raccolte [...] da Giulio Bernardino
Tomitano opitergino, membro del collegio elettorale dei dotti, Oderzo 1808, conservate a Firenze,
Biblioteca Medicea Laurenziana, ms. Ashburnham 1788.
31
P. Tosi, Opinioni de’ cantori antichi e moderni o sieno Osservazioni sopra il canto figurato,
Lelio dalla Volpe, Bologna 1723, pp. 41 e 43; edizione anastatica Broude Brothers, New York 1968.
32
Ivi, pp. 56-57.
33
Ivi, p. 97.
34
Cfr. G. Polin, From Venice to Copenhagen: Sarti’s rewrite of «Amore artigiano» by Goldoni and
Latilla in 1762, in Giuseppe Sarti. Individual style, aesthetical position, reception and dissemination
of his works, Internationale Konferenz (Berlin, 18-20 July 2014), in corso di stampa.
36 Anna Laura Bellina
Nella Bella verità del 1762, Loran Glodoci, anagramma trasparente di Carlo
Goldoni, riveste semplicemente il ruolo di mediatore fra la compagnia, l’impre-
sario e la committenza di Francesco Albergati Capacelli. Qualche anno dopo,
nell’Opera seria di Calzabigi del 1769, il cast prova L’Oranzebe, un title role che
sembra esilarante ma è ispirato a un personaggio realmente esistito: Aurangzeb
(1618-1707), il terzogenito del quinto Gran Mogol che costruisce ad Agra il
celebre e sontuoso Taj Mahal. Anche qui il poeta, che per l’occasione si chiama
Delirio, descrive l’azione alla primadonna Stonatrilla:
Però non si trova la tazza, fatale ma vuota, di cui parla già Benedetto Marcello.
Dunque l’impresario, che si chiama Fallito pour cause, fornisce provvisoriamente
un calamaio pieno d’inchiostro con cui la signora, trasportata dall’entusiasmo
suicida, rischia di sbrodolarsi. Nella versione scaligera della Prova di un’opera
35
B. Marcello, Il teatro alla moda, [Venezia 1720], p. 32.
36
L’impresario delle Smirne, in C. Goldoni, Tutte le opere, a cura di G. Ortolani, Mondadori,
Milano 1935-1969, vol. VII (1946), pp. 1362-1363; per la riduzione della commedia a dramma
giocoso, con musica di Giuseppe Rossi, cfr. G. Foppa, L’impresario delle Smirne, Modesto Fenzo,
Venezia 1793.
37
R. Calzabigi, L’opera seria, Giovanni van Ghelen, Vienna 1769, II, 6.
Protoregia nell’opera italiana. Cinque argomenti per cominciare 37
seria del 1805, Fischietto, suggeritore, copista e capo del coro, distribuisce le
parti38 dell’improbabile dramma intitolato Ettore in Trebisonda, una città situata
sul Mar Nero, in tutt’altra regione della Turchia rispetto a Troia. Ma dirigere l’a-
zione che non si avvale di costumi greci bensì romani, ripescati nel magazzino, è
compito del poeta, don Grilletto Pasticci, che dispone qua e là i personaggi sulla
scena di un teatro portoghese in costruzione:
L’azione rappresenta
quando Ettore condanna la regina.
All’annunzio fatale
ella quasi si sviene.
Semira la sostiene e le comparse
tutte le stanno intorno. (A Corilla [Tortorini, primadonna] situandola nel mezzo)
Voi mettetevi qua. (A Violante [Pescarelli, seconda donna] mettendola in atto di so-
stener Corilla)
Voi qui. (A Federico [Mordente, primo tenore] situandolo d’una
parte)
Voi là. (Ai coristi mettendoli tutti intorno a Corilla)
Voi altri qua d’intorno. (A Fastidio [Frivella, impresario] mettendolo vicino a
Corilla)39.
Numerose notizie si evincono dai nomi e dalle qualifiche degli operatori, stam-
pati all’epoca nei programmi di sala. Le informazioni che seguono si ricavano
38
F. Gnecco, La prova di un’opera seria, Giacomo Pirola, Milano 1805, II, 3.
39
Ivi, II, 5.
40
Le convenienze teatrali, Pietro Solli, Palermo 1801; A. S. Sografi, Le convenienze teatrali, Mo-
desto Fenzo, Venezia 1794; A. S. Sografi, Le inconvenienze teatrali, tipogafia Bettoni, Padova 1800.
38 Anna Laura Bellina
consultando una banca dati stocastica41, da cui si capisce facilmente che il «di-
rettore dell’opera» è un musicista come Tommaso Marchesi, attivo stabilmente
a Bologna almeno dal 1799 al 1819, in qualità di tastierista e responsabile dei
cori. Fra gli altri spicca Pietro Generali a Barcellona nel 1817, come «direttore
dell’opere italiane, maestro al cembalo e compositore delle opere nuove». Stesse
incombenze per Pietro Romani a Firenze, «maestro al cimbalo» nel 1814, «di-
rettore de’ cori» nel 1815, «maestro di musica e direttore dell’opere» nel 1823.
Giuseppe Mosca è «maestro, direttore della musica e compositore assoluto delle
opere nuove» nel 1827 a Palermo, mentre Nicola Uccelli, cembalista a Genova
nel 1828, diventa «maestro e direttore delle opere» nel 1830.
Invece il compito del direttore di scena, svolto da figure diverse, assomiglia
piuttosto a quello di un vigile urbano che orchestra il viavai del palcoscenico.
Per esempio Giuseppe Borgini compare con questo ruolo in una piazza impor-
tante come Firenze già nel 1777, dove mette in ordine il serio e il giocoso, dal
momento che si occupa dei Tre amanti e di Creso re di Lidia in primavera e in au-
tunno. Nominato custode del teatro nel 179942, copre l’incarico di macchinista
alla Pergola fino al 1814, quando probabilmente gli succede il figlio Candido che
lo affiancava dal 1806. Mansioni analoghe per Gaetano Bottari nella medesima
sala e a Genova per un certo Devoto, attestato al Falcone dal 1823, o per Giro-
lamo Novaro al Carlo Felice nel 1838. Soltanto in alcuni casi il compito spetta a
un poeta di secondo piano, per esempio a Giuseppe Cencetti, attivo all’Apollo e
all’Argentina di Roma, come librettista e come adattatore per la censura pontifi-
cia intorno alla metà dell’Ottocento.
Stando alla banca dati citata, per trovare un direttore di scena nei luoghi
meno prestigiosi bisogna aspettare il primo Ottocento, per esempio in occasione
della Rosa bianca e la rosa rossa data a Ferrara nella primavera del 1819 insieme
a Clotilde, grazie agli sforzi di Francesco Maffei, e ripresa a Lucca in autun-
no. Sempre nelle piazze minori, un doppio incarico riguarda Giovanni Batti-
sta Aschieri, Pietro Gierughi e Antonio Manetti, che rispettivamente coprono
anche i ruoli di attrezzista a Parma nel 1799, di buttafuori a Livorno nel 1833
e di architetto del teatro a Siena nel 1837. Dal 1814 a Palermo sono presenti
due figure con la stessa funzione, Onofrio Trapani e Giambattista Giambruno,
entrambi direttori «sul palcoscenico». Un caso particolare è rappresentato dalla
Muta di Portici a Roma nel 1835, dove il responsabile dell’andirivieni di coristi e
comparse, Gregorio Ceci, è affiancato da Francesca Pezzoli, impegnata a istruire
nella «parte mimica» la ballerina che interpreta il silenzioso title role, ovviamen-
te senza cantare.
In alcuni casi il direttore di scena sembra un impiego stabile, visto che per
41
Cfr. www.librettodopera.it (ultimo accesso 3 marzo 2015).
42
“Gazzetta universale”, XXVI, 1 gennaio 1799, p. 641.
Protoregia nell’opera italiana. Cinque argomenti per cominciare 39
Coro di emiri, imani, popolo, schiave, egiziani; cavalieri di Rodi, schiavi europei di
varie nazioni; statisti [ossia comparse]: guardie del soldano, soldati egiziani, schiavi,
cavalieri di Rodi, araldi, scudieri, paggi, soldati e marinai; banda egiziana, banda dei
cavalieri; danzatori, danzatrici44.
Allo stato attuale della ricerca, Salomoni e Villata non si possono identificare
col poeta fisso del teatro né con l’impresario itinerante. Quindi il lavoro tende
a dividersi e a specializzarsi come avviene per altre funzioni della produzione
operistica: per esempio il maestro al cembalo o il primo violino si distinguono
progressivamente dal concertatore o dal direttore d’orchestra.
A Parigi i responsabili della mise en scène nel mélodrame, nell’opéra o nel
vaudeville sono citati fin dal primo Ottocento45. Nel 1849 al teatro dell’Ambigu
Comique, per il debutto di Louis XVI et Marie Antoinette, una pièce mêlée d’a-
riettes, Louis Nicolas Brette e Jean Louis Labriche, i due attori a cui è affidata
la messinscena noti con gli pseudonimi di Saint Ernest e Montdidier, si distin-
guono chiaramente dal régisseur vero e proprio ossia da un certo Monet. Ma
queste considerazioni, limitate alla produzione italiana e prive di ogni ambizione
sistematica, si arrestano al 1839, l’anno in cui esce il Saggio di Giuseppe Rossi
Gallieno che descrive brevemente la situazione francese46.
43
G. Rossi, Tancredi, Onorato Derossi, Torino 1815.
44
G. Rossi, Il crociato in Egitto, Onorato Derossi, Torino 1827.
45
Per esempio Vigneaux, in Le pied de boeuf et la queue de chat, Hénée et Dumas, Paris 1807;
Solomé, citato come direttore di scena in Le comte Ory, Aimé André, Bezou et Roullet, Paris 1828,
e come responsabile della mise en scène in La muette de Portici, Ode et Wodon, Bruxelles 1829;
nell’edizione del Roi d’Yvetot, [Marchant], Paris [1842], p. 29 si legge: «La mise en scène exacte de
cet ouvrage, transcrite par M. Paliani, fait partie de la collection des mises en scène publiées par le
journal “Revue et gazette des théâtres”».
46
G. Rossi Gallieno, Saggio di economia teatrale, dedicato alle melodrammatiche scene italiane,
Rusconi, Milano 1839, p. 31.