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squilibrio, onirismo, oppilazione, guerriglia e ascensione: l’ordonnance che larraín sceglie di somministrare per l’ultimo capitolo di quella che, con tono confidenziale, chiamò la propria “trilogia al femminile”, non asseconda fantasie enciclopediche né agogna margini di esclusiva, restando devota a lenti eclettiche, a una narrazione enfatica, inevitabilmente inverosimile, volutamente intemperante, quantunque mai canzonatoria o irriguardosa. nel suo tragico sciabordare e aggrovigliarsi a una cinematografia seducente, sorretta da un impegno fotografico audace ma dalla resa armonica, jolie assesta agli spettatori in sala una performance drammaticamente irrefutabile. ecce maria, ecce “la callas”.
non posso credere questo film sia stato candidato agli oscar. della performance di fraser, per quanto poderosa, oltre il trucco, rimane poco. la sceneggiatura è insulsa, superficiale, moralista e offensiva, sulla regia e fotografia meglio tacere. ho paura per le prossime cerimonie, per il futuro del cinema: il rischio di giungere a idolatrare qualsiasi robaccia sia partorita da A24 è più che mai concreto.
edit: shoutout to hong chau, she did the thing.
a volte ci convinciamo, per scontentezza o mancanza di buon senso, d’aver catalogato e chiuso per bene ogni cassetto della nostra vita, ci illudiamo di conoscere a fondo, e meglio di chiunque altro, i trascorsi di chi ci è stato affianco, al punto da poterne criticare scelte e comportamenti. in “aftersun” la protagonista, sophie, travalicando parole e gesti e appellandosi alle sole immagini, mette ordine fra le migliaia di fotogrammi caotici che affollano le riprese video di una vacanza fatta…