Riccardo Fanciullacci
Riccardo Fanciullacci (1978): PhD in Philosophy at the Ca’ Foscari University (Venice). Fellowship (2009-2016) in the same University. Contract as temporary lecturer in Philosophy and Gender Difference (2010-2016) at the Master II “Philosophical Consouling of transformation” (University of Verona). He is author of many papers and some books: Donne, uomini. Il significare della differenza (Women, men. The meaning of the difference), Milano 2010 (editor with S. Zanardo); La misura del vero. Un confronto con l'epistemologia contemporanea sulla ntura del sapere e la pretesa di verità (The measure of truth. Nature of Knowledge and Claim to truth: contemporary epistemology in discussion), Naples 2012; Volontà e assenso. L'impossibilità di decidere che cosa credere (Will and Assent. On the Impossibility of Deciding what to Believe), Napoli 2012; L'esperienza etica. Per una filosofia delle cose umane (Ethical experience. A philosophy of human affairs), Napoli 2012;
On Iris Murdoch, he wrote: La sovranità dell'idea del Bene: Iris Murdoch con Platone (The Sovereignty idea of the Good: Iris Murdoch with Plato), «Etica & Politica / Ethics & Politics» (on-line review), 13 (2011), 393-438; La realtà della finzione. Confliggere per il realismo nella società dello spettacolo (The reality of fiction. The battle for realism in the society of the spectacle), in his (with other), L’etica pubblica in questione. Cittadinanza, Religione e Vita Spettacolare, Naples-Salerno 2013, 87-142. With M.S. Vaccarezza, he edite a monographic issue on "Iris Murdoch: the Reality of Moral
Life" for «Etica & Politica / Ethics & Politics» (June 2014).
Address: Web Page: https://sites.google.com/site/riccardofanciullacci/
On Iris Murdoch, he wrote: La sovranità dell'idea del Bene: Iris Murdoch con Platone (The Sovereignty idea of the Good: Iris Murdoch with Plato), «Etica & Politica / Ethics & Politics» (on-line review), 13 (2011), 393-438; La realtà della finzione. Confliggere per il realismo nella società dello spettacolo (The reality of fiction. The battle for realism in the society of the spectacle), in his (with other), L’etica pubblica in questione. Cittadinanza, Religione e Vita Spettacolare, Naples-Salerno 2013, 87-142. With M.S. Vaccarezza, he edite a monographic issue on "Iris Murdoch: the Reality of Moral
Life" for «Etica & Politica / Ethics & Politics» (June 2014).
Address: Web Page: https://sites.google.com/site/riccardofanciullacci/
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Papers by Riccardo Fanciullacci
Il dibattito sull’autoinganno è ben lungi dall’essere una sterile disquisizione su un astruso puzzle teorico. Poiché l’autoinganno è, insieme alla debolezza del volere (o akrasia), il principale fenomeno di irrazionalità cui è soggetta la mente umana, allora il suo studio ha una vasta portata, non solo da un punto di vista pratico, visti gli effetti che un autoinganno può avere sul comportamento di chi ne è vittima, ma anche da un punto di vista squisitamente teoretico: il fatto è che l’esame dell’autoinganno modifica la nostra immagine di quello che è e di quello che può fare la mente umana, nonché del significato della locuzione “condotta razionale”. Ora, dal discorso di Sartre non è impossibile ricavare gli elementi per elaborare un resoconto dell’autoinganno e Fanciullacci di fatto delinea questo resoconto di ispirazione sartriana, tuttavia, ha anche cura di mostrare come la scommessa di Sartre abbia una portata ancora più vasta: non solo smuovere la nostra immagine della mente, ma anche quella della libertà. Attraverso lo sguardo sartriano, non è solo la ragione che smette di apparire un processore di informazioni teso a massimizzare le credenze vere e a coordinare i mezzi più efficaci per raggiungere obiettivi dati, ma anche la libertà rivela dimensioni ontologiche inaspettate.
Il capitolo sulla malafede de L’essere e il nulla è notoriamente molto difficile, Fanciullacci lo affronta in due modi. Da una parte, introduce distinzioni e ricorre a strumenti analitici che non sono esplicitamente presenti nel testo, al fine di rendere perspicue le tesi e le loro giustificazioni, dall’altra parte, si sofferma sulla lettera di alcuni passaggi sia per ricavarne indicazioni inaspettate, sia per mostrare concretamente come tali passaggi divengano chiari alla fine del lungo giro analitico. Innanzitutto, viene esaminata quella sorta di trattazione preliminare della malafede che si trova nel capitolo precedente a quello ad essa dedicato: questa trattazione, così spesso dimenticata da chi riconduce la malafede all’autoinganno, porta subito l’attenzione sul significato esistenziale della mauvaise foi. Non si tratta di un episodio di self-deception tra altri, ma dell’atteggiamento attraverso cui gli esseri umani si nascondono o cercano di nascondersi la loro libertà radicale, cioè il fatto che quegli stessi valori che chiamano in causa per giustificare le proprie scelte dipendono da loro e valgono perché gli viene riconosciuta un’autorità. Proprio per questo, esiste un nesso tra la malafede e la celebre opposizione tra l’esistenza autentica e l’esistenza inautentica, un nesso su cui Fanciullacci torna nel finale, quando riprende il problema del significato etico-esistenziale della mauvaise foi e mostra come questa non sia solo un comportamento possibile, ma quello spontaneo da cui tutti cominciano e che può anche restare l’unico se non si verifica la conversione a un’assunzione autentica della propria responsabilità.
Prima di questo ritorno sulle dimensioni etiche della mauvaise foi, comunque, viene elaborata una ricostruzione originale del modo in cui Sartre definiva la struttura formale della condotta di malafede. L’idea di fondo è che il soggetto in malafede è qualcuno che, per mantenere una rappresentazione rassicurante di sé, delle esigenze che ha di fronte nonché dei suoi comportamenti passati, squalifica con varie manovre dei fatti di cui pure ha coscienza e che, se fossero tenuti nel debito conto, obbligherebbero a ristrutturare profondamente quella rappresentazione. Queste manovre diversive attraverso cui l’attenzione è continuamente tenuta alla larga da quei fatti e dal modo in cui questi interpellano la libertà sono chiarite da Fanciullacci sia rispetto alla loro condizione ontologica di possibilità (condizione che è rinvenuta da Sartre nel particolare intreccio tra fatticità e trascendenza, che caratterizza il modo d’essere del soggetto umano), sia rispetto alle loro caratteristiche epistemologiche (caratteristiche al cui cuore c’è una manipolazione arbitraria delle norme e dei criteri del tener-per-vero).
Il saggio di Fanciullacci raggiunge così una pluralità di obiettivi: chiarisce nella sua struttura una figura che è ben nota nell’esperienza di chiunque; mostra come il modo in cui Sartre ha lavorato su tale figura abbia effetti significativi sul nostro modo di concettualizzare alcune delle questioni più profonde dell’etica oltre che della filosofia della mente e dell’antropologia filosofica; infine fa toccare con mano sia la potenza speculativa della ricerca sartriana, sia l’utilità di una sua ricostruzione che non disdegni l’uso di strumenti analitici.
Innanzitutto, viene illustrata la celebre tesi secondo cui la teoria marxiana e poi, soprattutto, la scienza della storia delle formazioni sociali, di cui, per Althusser, Marx avrebbe fornito i fondamenti, esigono il rigetto della nozione tanto idealistica, quanto feuerbachiana di Soggetto della storia. Il posto di questo Soggetto a cui tanta attenzione è stata dedicata da parte della filosofia è un posto che va lasciato vuoto. Non esiste un’istanza di sintesi capace di ricomporre e superare le contraddizioni e i conflitti che attraversano la formazione sociale. E proprio perché non esiste, allora tali contraddizioni non sono leggibili come contraddizioni dialettiche, né la prassi come un ritorno a sé di questo Soggetto dallo stato di alienazione e dispersione nell’Altro.
Ciò nonostante, secondo Fanciullacci, la ricerca di Althusser costituisce un’ottima occasione per verificare l’impossibilità di fare a meno di qualunque nozione di soggetto. Già verso la fine degli anni ’60, Althusser riconosce la necessità di introdurre una seconda nozione di soggetto, oltre a quella di cui è stato riconosciuto il carattere puramente immaginario. Quest’altra nozione serve a pensare ciascun essere umano in quanto è membro di una formazione sociale e dunque è passato per quel processo di socializzazione che ha inscritto in lui, non solo dei savoir-faire e delle abilità, ma anche un sistema di credenze e di disposizioni ad agire, nonché di adesioni a ideali e principi di orientamento. Si tratta della nozione di soggetto pratico o di agente sociale, quella che serve a spiegare com’è che un individuo, ossia un esemplare della specie umana, elabori la sua esperienza e definisca il suo agire e le sue condotte sullo sfondo delle distinzioni valoriali e cognitive che caratterizzano la cultura della società in cui vive. Come spiega Fanciullacci, Althusser pensa tale cultura attraverso un originale concetto di ideologia che gli consente di evidenziare anche il momento di illusione che appartiene al divenire soggetti da parte degli individui. In nuce, il fatto è che gli individui, che diventano soggetti grazie alle pratiche sociali e nelle pratiche sociali, nel momento in cui sono soggetti misconoscono tale processo e si rappresentano tale soggettività come una condizione originaria e indipendente dal passaggio per l’Altro. Questo misconoscimento non è il frutto di un errore cognitivo, né tantomeno della cattiva volontà di questo o quel singolo: è invece intrecciato al dispositivo attraverso cui si realizza la soggettivazione, cioè il dispositivo dell’interpellazione, con i rituali del riconoscimento in cui si articola. Fanciullacci districa questo intreccio in maniera originale e nel farlo si oppone all’influente lettura che di questa parte della teoria althusseriana ha offerto Judith Butler. Il problema di fondo consiste nel definire il rapporto tra il concetto di soggettivazione e il concetto di assoggettamento nel definire il processo di socializzazione degli individui.
Fanciullacci, comunque, mostra anche come la nozione di soggetto pratico a cui Althusser fa esplicitamente posto con la teoria dell’interpellazione, pur essendo necessaria, non sia ancora sufficiente per rendere intellegibile la conflittualità sociale, e la trasformazione che ne dipende. Occorre introdurre una terza nozione, quella del soggetto del conflitto. Qui Althusser è molto meno esplicito, per cui occorre lavorare sui suoi testi prendendo a modello il modo in cui egli stesso lavorava quelli marxiani e autorizzarsi ad alcune integrazioni. In particolare, per Fanciullacci, occorre non definire i soggetti del conflitto in modo da riabilitare il Soggetto della storia, ma neppure in modo da attribuire, sic et simpliciter, la pratica del conflitto ai singoli agenti sociali. D’altra parte, la locuzione “soggetto del conflitto” o “soggetto confliggente” non è un equivoco e serve a porre il problema delle organizzazioni politiche e a capire in che senso Althusser si muova in tutt’altra direzione rispetto a chi, ad esempio Judith Butler, affida la possibilità della trasformazione sociale a una “agency senza soggetto”, che si suppone capace di interrompere per un momento la ripetizione connaturata ai rapporti di potere.
Il dibattito sull’autoinganno è ben lungi dall’essere una sterile disquisizione su un astruso puzzle teorico. Poiché l’autoinganno è, insieme alla debolezza del volere (o akrasia), il principale fenomeno di irrazionalità cui è soggetta la mente umana, allora il suo studio ha una vasta portata, non solo da un punto di vista pratico, visti gli effetti che un autoinganno può avere sul comportamento di chi ne è vittima, ma anche da un punto di vista squisitamente teoretico: il fatto è che l’esame dell’autoinganno modifica la nostra immagine di quello che è e di quello che può fare la mente umana, nonché del significato della locuzione “condotta razionale”. Ora, dal discorso di Sartre non è impossibile ricavare gli elementi per elaborare un resoconto dell’autoinganno e Fanciullacci di fatto delinea questo resoconto di ispirazione sartriana, tuttavia, ha anche cura di mostrare come la scommessa di Sartre abbia una portata ancora più vasta: non solo smuovere la nostra immagine della mente, ma anche quella della libertà. Attraverso lo sguardo sartriano, non è solo la ragione che smette di apparire un processore di informazioni teso a massimizzare le credenze vere e a coordinare i mezzi più efficaci per raggiungere obiettivi dati, ma anche la libertà rivela dimensioni ontologiche inaspettate.
Il capitolo sulla malafede de L’essere e il nulla è notoriamente molto difficile, Fanciullacci lo affronta in due modi. Da una parte, introduce distinzioni e ricorre a strumenti analitici che non sono esplicitamente presenti nel testo, al fine di rendere perspicue le tesi e le loro giustificazioni, dall’altra parte, si sofferma sulla lettera di alcuni passaggi sia per ricavarne indicazioni inaspettate, sia per mostrare concretamente come tali passaggi divengano chiari alla fine del lungo giro analitico. Innanzitutto, viene esaminata quella sorta di trattazione preliminare della malafede che si trova nel capitolo precedente a quello ad essa dedicato: questa trattazione, così spesso dimenticata da chi riconduce la malafede all’autoinganno, porta subito l’attenzione sul significato esistenziale della mauvaise foi. Non si tratta di un episodio di self-deception tra altri, ma dell’atteggiamento attraverso cui gli esseri umani si nascondono o cercano di nascondersi la loro libertà radicale, cioè il fatto che quegli stessi valori che chiamano in causa per giustificare le proprie scelte dipendono da loro e valgono perché gli viene riconosciuta un’autorità. Proprio per questo, esiste un nesso tra la malafede e la celebre opposizione tra l’esistenza autentica e l’esistenza inautentica, un nesso su cui Fanciullacci torna nel finale, quando riprende il problema del significato etico-esistenziale della mauvaise foi e mostra come questa non sia solo un comportamento possibile, ma quello spontaneo da cui tutti cominciano e che può anche restare l’unico se non si verifica la conversione a un’assunzione autentica della propria responsabilità.
Prima di questo ritorno sulle dimensioni etiche della mauvaise foi, comunque, viene elaborata una ricostruzione originale del modo in cui Sartre definiva la struttura formale della condotta di malafede. L’idea di fondo è che il soggetto in malafede è qualcuno che, per mantenere una rappresentazione rassicurante di sé, delle esigenze che ha di fronte nonché dei suoi comportamenti passati, squalifica con varie manovre dei fatti di cui pure ha coscienza e che, se fossero tenuti nel debito conto, obbligherebbero a ristrutturare profondamente quella rappresentazione. Queste manovre diversive attraverso cui l’attenzione è continuamente tenuta alla larga da quei fatti e dal modo in cui questi interpellano la libertà sono chiarite da Fanciullacci sia rispetto alla loro condizione ontologica di possibilità (condizione che è rinvenuta da Sartre nel particolare intreccio tra fatticità e trascendenza, che caratterizza il modo d’essere del soggetto umano), sia rispetto alle loro caratteristiche epistemologiche (caratteristiche al cui cuore c’è una manipolazione arbitraria delle norme e dei criteri del tener-per-vero).
Il saggio di Fanciullacci raggiunge così una pluralità di obiettivi: chiarisce nella sua struttura una figura che è ben nota nell’esperienza di chiunque; mostra come il modo in cui Sartre ha lavorato su tale figura abbia effetti significativi sul nostro modo di concettualizzare alcune delle questioni più profonde dell’etica oltre che della filosofia della mente e dell’antropologia filosofica; infine fa toccare con mano sia la potenza speculativa della ricerca sartriana, sia l’utilità di una sua ricostruzione che non disdegni l’uso di strumenti analitici.
Innanzitutto, viene illustrata la celebre tesi secondo cui la teoria marxiana e poi, soprattutto, la scienza della storia delle formazioni sociali, di cui, per Althusser, Marx avrebbe fornito i fondamenti, esigono il rigetto della nozione tanto idealistica, quanto feuerbachiana di Soggetto della storia. Il posto di questo Soggetto a cui tanta attenzione è stata dedicata da parte della filosofia è un posto che va lasciato vuoto. Non esiste un’istanza di sintesi capace di ricomporre e superare le contraddizioni e i conflitti che attraversano la formazione sociale. E proprio perché non esiste, allora tali contraddizioni non sono leggibili come contraddizioni dialettiche, né la prassi come un ritorno a sé di questo Soggetto dallo stato di alienazione e dispersione nell’Altro.
Ciò nonostante, secondo Fanciullacci, la ricerca di Althusser costituisce un’ottima occasione per verificare l’impossibilità di fare a meno di qualunque nozione di soggetto. Già verso la fine degli anni ’60, Althusser riconosce la necessità di introdurre una seconda nozione di soggetto, oltre a quella di cui è stato riconosciuto il carattere puramente immaginario. Quest’altra nozione serve a pensare ciascun essere umano in quanto è membro di una formazione sociale e dunque è passato per quel processo di socializzazione che ha inscritto in lui, non solo dei savoir-faire e delle abilità, ma anche un sistema di credenze e di disposizioni ad agire, nonché di adesioni a ideali e principi di orientamento. Si tratta della nozione di soggetto pratico o di agente sociale, quella che serve a spiegare com’è che un individuo, ossia un esemplare della specie umana, elabori la sua esperienza e definisca il suo agire e le sue condotte sullo sfondo delle distinzioni valoriali e cognitive che caratterizzano la cultura della società in cui vive. Come spiega Fanciullacci, Althusser pensa tale cultura attraverso un originale concetto di ideologia che gli consente di evidenziare anche il momento di illusione che appartiene al divenire soggetti da parte degli individui. In nuce, il fatto è che gli individui, che diventano soggetti grazie alle pratiche sociali e nelle pratiche sociali, nel momento in cui sono soggetti misconoscono tale processo e si rappresentano tale soggettività come una condizione originaria e indipendente dal passaggio per l’Altro. Questo misconoscimento non è il frutto di un errore cognitivo, né tantomeno della cattiva volontà di questo o quel singolo: è invece intrecciato al dispositivo attraverso cui si realizza la soggettivazione, cioè il dispositivo dell’interpellazione, con i rituali del riconoscimento in cui si articola. Fanciullacci districa questo intreccio in maniera originale e nel farlo si oppone all’influente lettura che di questa parte della teoria althusseriana ha offerto Judith Butler. Il problema di fondo consiste nel definire il rapporto tra il concetto di soggettivazione e il concetto di assoggettamento nel definire il processo di socializzazione degli individui.
Fanciullacci, comunque, mostra anche come la nozione di soggetto pratico a cui Althusser fa esplicitamente posto con la teoria dell’interpellazione, pur essendo necessaria, non sia ancora sufficiente per rendere intellegibile la conflittualità sociale, e la trasformazione che ne dipende. Occorre introdurre una terza nozione, quella del soggetto del conflitto. Qui Althusser è molto meno esplicito, per cui occorre lavorare sui suoi testi prendendo a modello il modo in cui egli stesso lavorava quelli marxiani e autorizzarsi ad alcune integrazioni. In particolare, per Fanciullacci, occorre non definire i soggetti del conflitto in modo da riabilitare il Soggetto della storia, ma neppure in modo da attribuire, sic et simpliciter, la pratica del conflitto ai singoli agenti sociali. D’altra parte, la locuzione “soggetto del conflitto” o “soggetto confliggente” non è un equivoco e serve a porre il problema delle organizzazioni politiche e a capire in che senso Althusser si muova in tutt’altra direzione rispetto a chi, ad esempio Judith Butler, affida la possibilità della trasformazione sociale a una “agency senza soggetto”, che si suppone capace di interrompere per un momento la ripetizione connaturata ai rapporti di potere.
situations in which people sometimes find themselves. These “no-leeway situations” cause a particular form of suffering called "spiritual suffering": it makes itself visible in the lack of words and concepts to articulate one's own experience and find a place for different forms of value. Moral philosophy should offer conceptual distinctions allowing people to understand (and respond
to) these situations. A comparison with the work of Stanley Cavell is carried out to deepen this understanding of practical philosophy. The lack of concepts characterizing “no-leeway situations” should not be understood against the background of an individualistic conception of the agent: the poverty of symbolic tools available to a person depends on the symbolic misery of the society to which she belongs. The relationship between society and the cultural
dimension is investigated through the examination of the theories of Émile Durkheim, Clifford Geertz and Yuri Lotman: particular attention is paid to the link between practical resources (the so-called "customs") and symbolic resources.
that is as an object of commitment: the commitment to truth is called “the claim to truth” (ch. III - particular attention is paid to the Aquinas theory of truth). Such a notion is then explored in depth, first in relation to the difference between “the state of belief” and “the act of judgment” or “act of assent”: their nature is clarified through the notion of “holding-truth” (ch. IV - particular attention is paid to the Moore’s Paradox). The problem of justification is then explored on the basis of the relation between assent and commitment to holding evidential considerations (ch. V - particular attention is paid to the relation between justification, being justified, having a reason to believe and context relativity). At the end, the difference between the claim to truth and the claim to knowledge is elucidated and both the Gettier Problem and the relations between knowledge and human fallibility are discussed
(ch. VI).
truth (and between believing, assuming or presuming) are elucidated. Attention is also given to self-deception and wishful thinking. Concerning religious faith, the will has a role because faith is not simply a propositional belief, but first of all an act of trust. In the second part of the work, Bernard Williams’ criticism of the very idea of deciding to believe is analyzed and reformulated so that it is not affected by the many objections it received.