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Diogene di Sinope, Filosofia del Cane

Irriverente, sfacciato, beffardo, Diogene il Cane è l’icona della critica del potere, delle istituzioni, delle vanità umane. La sua filosofia è azione: Diogene parla come se mordesse. La sua filosofia è performance, dal masturbarsi in pubblico al prendersi gioco di Alessandro Magno intimandogli di spostarsi perché gli fa ombra. I suoi oggetti di scena – la botte in cui viveva, la lanterna che teneva accesa in pieno giorno per andare in cerca dell’uomo ecc. – appartengono da sempre al nostro immaginario condiviso. Per la prima volta in assoluto, questa raccolta delle principali testimonianze antiche su Diogene, ordinate secondo la cronologia degli autori, presenta una traduzione che non ha rinunciato a rendere comprensibili al lettore moderno i giochi di parole e le battute sferzanti tipiche dello stile del Cane.

23. Filosofia del cane :duepunti edizioni via Siracusa 35 90141 Palermo info@duepuntiedizioni.it www.duepuntiedizioni.it Progetto grafico e impaginazione .:terzopunto.it Traduzione dal greco antico e dal latino di Andrea L. Carbone © 2010 :duepunti edizioni – Palermo Tutti i diritti riservati ISBN-13: 978-88-89987-34-6 DIOGENE DI SINOPE Filosofia del cane a cura di Andrea L. Carbone :duepunti edizioni Palermo PREMESSA ALLA TRADUZIONE Diogene non abbaia più per le strade, l’unico modo di incontrarlo è attraverso la stratigrafia delle testimonianze. Di primo acchito, queste rivelano soprattutto le cose innumerevoli che facevano parte del corredo scenico del filosofo, che pure voleva smettere ogni attaccamento materiale: il doppio mantello (prototipo del moderno sacco a pelo), la bisaccia, il bastone, la botte, la lanterna. Ma dalla trama degli aneddoti traspare via via un aspetto della pratica filosofica di Diogene assai meno noto al lettore moderno, perché poco o punto tradotto. Si è detto a ragione che l’approccio antiteorico del nostro si esprimeva attraverso il gesto (e a volte il gestaccio), capace di svelare in modo dirompente la natura di tutto ciò che rende gli uomini schiavi. La performance di Diogene includeva però anche un ricorso sistematico a giochi di parole spesso nel contempo sferzanti e complessi, ma talvolta del tutto estemporanei, che erano a loro volta come un vero e proprio gesto della parola, o una riduzione della parola a gesto (e anche della logica, per via dei sofismi). 8 Premessa Mancava finora, mi pare, una traduzione che si sforzasse di rendere per il lettore moderno compiutamente percepibile questo aspetto della perizia dialettica del Cane, che tentasse cioè di trasmetterlo attraverso le figure e la grana stessa della lingua. Per questo mi sono prefisso, e perfino a volte intestardito, di non abdicare – se non in casi estremi – alla proverbiale intraducibilità dei giochi di parole. Il lettore giudicherà se e fino a che punto l’obiettivo sia stato raggiunto. Più che un Socrate impazzito, come pare lo avesse definito Platone, Diogene era un anti-Socrate, dotato di una perizia dialettica del tutto inedita e rivoluzionaria, antitetica rispetto all’ironia socratica: consisteva nella capacità di avere la meglio durante la discussione nel ruolo non di chi pone un problema, ma di chi risponde. Fatto più unico che raro nella storia del pensiero occidentale, Diogene era il filosofo non delle domande ma delle risposte. Eppure di nessuna teoria. ALC N O T A A L L’ E D I Z I O N E La traduzione si basa sui testi raccolti nelle due monumentali edizioni di L. Paquet, Les Cyniques grecs : fragments et témoignages, Editions de l’Université d’Ottawa, Ottawa 1975 e G. Giannantoni, Socaticorum reliquiæ, 4 voll., Edizioni dell’Ateneo e Bizzarri, Roma 1983-1985. Le testimonianze sono riportate secondo un ordine che rispetta per quanto possibile la cronologia degli autori. Testimonianze ARISTOTELE 384 - 322 a.C. Il Cane diceva che le taverne sono le mense dell’Attica1. Rhetorica 1411a 25 F I L O D E M O D I G A DA R A 110 ca. - 35 a.C. C’è tra noi chi, rifiutando lo stoicismo, ha voluto mettere in dubbio, a quanto pare, anche l’autenticità della Repubblica di Diogene2. Ben al contrario, occorre senza dubbio affermare che quest’opera, qualunque sia il suo contenuto, è stata scritta proprio da Diogene, come peraltro testimoniano i cataloghi e le biblioteche. Cleante stesso nel suo scritto Sul modo di vestirsi la cita come opera di Diogene, facendone l’elogio e un sommario generale che comprende anche qualche dettaglio del contenuto. Anche Crisippo vi allude nel suo scritto Sullo stato e la legge. <…> Nella sua Repubblica lo stesso Crisippo parla dell’inutilità delle armi sostenendo che anche Diogene si era espresso in questo senso, ed è evidente che può averlo fatto soltanto in uno scritto sulla repubblica. Nel suo 14 Diogene di Sinope scritto Su ciò che in sé non è preferibile Crisippo allude inoltre al fatto che nella Repubblica Diogene stabiliva di dare corso legale agli astragali3. […] C’è chi dirà magari: «La Repubblica non è di Diogene ma di qualcun altro, una di quelle anime perse». Riporteremo ora le belle teorie di questa gente, facendo però in modo di perdere meno tempo possibile nell’esposizione delle loro vedute. Questi individui esecrabili ritengono di adeguarsi al modo di vivere dei cani, di fare ricorso apertamente a tutte le parole senza ritegno, di masturbarsi in pubblico, di indossare la doppia tunica, di abusare degli uomini di cui si sono invaghiti costringendo con la forza quelli che non sono disposti a cedere <…> Presso di loro i figli appartengono a tutti <…> si accoppiano con le sorelle o la madre, con i familiari, i fratelli e i figli. Nessuno si astiene dall’accoppiarsi anche a costo di farlo con la forza. Le donne attirano gli uomini e li inducono con ogni sorta di espedienti ad accoppiarsi con loro: se non hanno nessuno a portata di mano, vanno a procurarsi un compagno nell’agorà. Secondo il caso può capitare di accoppiarsi con chiunque, maschi o femmine: i mariti si accoppiano con le serve, le mogli trascurano i mariti e vanno con chi vogliono. Le donne si vestono allo stesso modo degli uomini e svolgono le stesse attività senza distinguersi da nessun punto di vista. [Frequentano] stadi e palestre, e nude, sotto gli occhi di tutti, compiono gli stessi esercizi Filosofia del cane 15 degli uomini, anch’essi nudi <…> Inoltre condividono il cibo <…> gli uomini devono uccidere il padre e non accettano nessuna cittadinanza e nessuna legge tra quelle che noi riconosciamo. Gli altri, secondo loro, sono soltanto dei ragazzetti sciocchi, o folli a tal punto da essere malati <…> considerano i loro stessi amici uomini maligni e infidi, nemici loro e degli dèi, e non li considerano affatto degni di fiducia. Sono a tal punto avvezzi al male che tutto ciò che ritengono buono e giusto non è affatto conforme a natura: fuori di testa come giovani folli, ritengono giuste le nefandezze e le ingiustizie <…> di uomini e donne. De Stoicis = Papiri di Ercolano 155 e 339, X V- X X Dorandi C I C E RO N E 106 - 43 a.C. Diogene il cinico era solito dire che Arpalo, un brigante che all’epoca aveva fama di vivere nel lusso, era un testimone a carico degli dèi, poiché aveva avuto una vita lunga e fortunata4. De natura deorum, I I I , 34, 83 16 Diogene di Sinope Il successo e le fortune dei disonesti, diceva Diogene, sono una confutazione di ogni facoltà e potere degli dèi. De natura deorum, I I I 36, 88 Non bisogna ascoltare i cinici e quanti tra gli stoici furono seguaci dei cinici, poiché disapprovano e irridono il fatto che si ritenga vergognoso parlare di cose che non hanno nulla di immorale mentre si chiamano con il loro nome cose realmente vergognose. Commettere furto, frode o adulterio sono cose realmente vergognose, ma parlarne non è indecente. Far figli è un’attività lecita, ma parlarne è sconveniente. I cinici hanno molti altri argomenti simili a questi, avversi al pudore. De officiis, I 128 Il modo di pensare dei cinici è da rifiutare per intero, poiché è ostile al pudore, senza il quale non sono possibili la rettitudine e l’onestà. De officiis, I 148 Pur avendo gli stessi sentimenti [di Socrate rispetto alla morte], in quanto cinico Diogene era più rude e chiedeva che il suo cadavere fosse lasciato per terra insepolto. Gli amici gli chiesero: «Vuoi forse che sia lasciato in pasto agli uccelli e alle belve?». Diogene Filosofia del cane 17 allora rispose: «No di certo, lasciate accanto a me un bastone, così che possa scacciarli!». Qualcuno disse allora: «Ma come potresti farlo, visto che avrai perso i sensi?». E Diogene: «Se sarò incapace di sentire, che male potranno farmi i morsi delle belve?»5. Tusculanæ disputationes, I 104 Come si addice a un cinico, Diogene rispose con franchezza ad Alessandro che gli aveva chiesto se avesse bisogno di qualcosa, dicendogli: «Spostati un po’ dal sole». In effetti Alessandro gli faceva ombra. Diogene era anche solito dimostrare che le sue ricchezze superavano di gran lunga quelle del re di Persia, poiché non mancava di nulla mentre l’altro non era mai soddisfatto: non desiderava nessuno dei lussi di cui il re non era mai sazio, mentre il re non poteva in alcun modo godere dei veri piaceri <del filosofo>. Tusculanæ disputationes, V 32 SENECA 21 a.C. - 65 d.C. Dimmi, te ne prego, chi ammiri di più tra Diogene e Dedalo, chi ti sembra più sapiente. Il secondo, che 18 Diogene di Sinope inventò la sega, o il primo, che quando vide un bambino bere nel cavo delle mani prese dalla sua bisaccia la tazza e la ruppe, rimproverando se stesso: «Che stupido sono stato finora», disse: «a portarmi dietro questo inutile bagaglio», poi si rannicchiò nella sua botte e si addormentò. Ad Lucilium Epistulæ morales, 90, 14 Senz’altro superiore a me è Diogene, che avanza nudo tra i tesori di Macedonia calpestando le ricchezze dei re, […] più potente e ricco di Alessandro, che allora era signore del mondo, poiché poteva rifiutare più di quanto il re potesse concedere. De beneficiis, V, 4, 4 FILONE DI ALESSANDRIA 20 ca. - 50 d.C. Diogene, il filosofo cinico, aveva una grandezza d’animo superiore. Quando era prigioniero dei pirati, che gli davano appena del cibo per sopravvivere, e nel modo più rude, non si lasciò abbattere da quella condizione e non temette le angherie dei suoi rapitori, ai quali diceva: «Certo è assurdo che si ingrassino con i cibi migliori i Filosofia del cane 19 maiali e le pecore per venderli e l’animale migliore, l’uomo, lo si svenda dopo averlo fiaccato col digiuno». In effetti mangiava con la più grande moderazione e quando fu messo in vendita insieme ai compagni volle prima sedersi a mangiare, e mostrando un coraggio straordinario condivise addirittura il cibo con gli altri. Uno del gruppo, che non aveva smesso di lamentarsi, si lasciò andare al più profondo abbattimento. Diogene gli disse: «Lascia perdere ogni preoccupazione e tieni a mente questi versi: “Anche Niobe dalla bella chioma volle mangiare / Quando dodici dei suoi figli erano appena morti / Sei ragazze e sei ragazzi nel fiore degli anni”»6. Quod Omnis Probus Liber Sit (Colson, I X ) 121 ss. P L U T A RC O 46 ca. - 127 d.C. Diogene vedendo un ragazzo completamente fuori di sé gli disse: «Ragazzo, tuo padre doveva essere ubriaco quando ti ha generato». De liberis educandis, 2A Con parole rudi ma veritiere, Diogene ci invita ad andare al bordello dove, a quanto dice: «Si impara che 20 Diogene di Sinope non c’è affatto differenza tra ciò che si stima e ciò che si paga»7. De liberis educandis, 5C A chi gli chiese come ci si possa vendicare di un nemico Diogene rispose: «Facendo di lui un uomo retto». Quomodo adolescens poetas audire debeat, 21F e 88B Una volta Diogene disse che a chi ha bisogno di salvarsi conviene cercare un amico fidato o un nemico giurato, così grazie alle critiche o alle premure potrà sottrarsi al male. Quomodo adulator ab amico internoscatur, 74C Si racconta su Diogene di Sinope che al tempo in cui aveva appena cominciato a praticare la filosofia, si ritrovò in un festino, ad Atene, con magnifiche pietanze, spettacoli, amici riuniti per non privarsi di alcun piacere e festeggiare fino a notte fonda. Diogene, quanto a lui, si era imbacuccato preparandosi a dormire in un angolo del mercato, profondamente scosso e turbato da cattivi pensieri, poiché senza che nessuno lo avesse costretto – si diceva – aveva intrapreso una vita difficile, di isolamento, mettendosi alle strette con le sue stesse mani poiché aveva rinunciato Filosofia del cane 21 spontaneamente a ogni ricchezza. Fu allora che, a quanto si dice, vide un topo arrampicarsi verso di lui e avventarsi sulle briciole cadute dalla sua pagnotta. Allora il suo spirito fu subito rinfrancato, e a mo’ di rimprovero rivolse a se stesso questa critica: «Che hai da dire, Diogene? Ecco che un topo si nutre con gioia dei tuoi resti, mentre tu, con la tua nobiltà di spirito, ti lamenti e rimpiangi di non poterti unire agli altri che si ubriacano sdraiati su morbidi tappeti». Quomodo quis suos in virtute sentiat profectus, 77E-78A Diogene, vedendo un ragazzo ingozzarsi di dolciumi, andò a schiaffeggiare il suo precettore. E aveva ragione, poiché la colpa non è di chi non ha imparato ma di chi non ha insegnato. An virtus doceri possit, 439D-E Apprezzo Diogene che, a Sparta, vedendo il suo ospite prodigarsi per organizzare una festa, gli disse: «Non credi che per l’uomo retto sia festa ogni giorno?». De tranquillitate animi, 477C Costringere qualcuno a rinunciare a splendide ricchezze, casa, tavola, lussi, in cambio di mantello, bisaccia e questua quotidiana per il cibo? Eppure 22 Diogene di Sinope questa fu la strada di Diogene verso la felicità e di Cratete8 verso libertà e fama. An vitiositas ad infelicitatem sufficiat, 499D Purché espressi nel modo giusto, anche i rimproveri possono diventare uno scherzo garbato, com’è il caso di Diogene che diceva di Antistene: «Mi ha vestito di stracci e reso mendicante ed esule»9. Questionum convivialium liber I I , 632E Qualcuno ricordò che Diogene il Cane e il re Alessandro morirono lo stesso giorno10. Questionum convivialium liber V I I I , 717C Diogene vide un giorno a Corinto la figlia di Dionisio11, che da tiranno era diventato un semplice cittadino e le disse: «La vita che conduci non è degna di te. Non dovresti vivere tra di noi, libera e senza preoccupazioni di sorta, ma in mezzo ai tiranni come tuo padre, invecchiando tra loro» An seni respublica gerenda sit, 783D Filosofia del cane 23 EPITTETO 50 ca. - 120 Diogene indicò un sofista puntando verso di lui il dito medio. Questi andò su tutte le furie, al che Diogene disse agli astanti: «Ecco, vi ho mostrato com’è in realtà»12. Dissertationes, I I I , 2, 11 Diogene andava in giro tutto lucente di unguento, e per strada la gente si voltava a guardarlo per via del suo corpo13. Dissertationes, I I I , 22, 88 Diogene dice da qualche parte che il solo modo per essere liberi è morire sereni14 e scrive al re dei Persiani: «– Non puoi asservire Atene e i suoi cittadini. Come non potresti farlo con dei pesci. – Ma come? Non potrei catturarli? – Se mai riesci a prenderli, ti lasceranno e scapperanno come pesci. Se li trattieni, muoiono. E se muoiono perché li hai trattenuti, a cosa ti saranno serviti tutti i tuoi piani?». Dissertationes, I V , 1, 30, 31 24 Diogene di Sinope SESTO EMPIRICO II - III sec. Qualcuno rivolse un’obiezione sull’esistenza del movimento a un cinico che, senza rispondere, si alzò e si mise a camminare, dimostrando così con i fatti che il movimento esiste15. Pyrrhoneion hypotyposeon, I I I 66 AU L O G E L L I O ca. 125 - 180 Ci piace anche raccontare come Diogene abbia avuto presenza di spirito nel rispondere a quel sofisma di cui abbiamo detto, che gli era stato proposto da un dialettico della cerchia di Platone che voleva prendersi gioco di lui. Il dialettico gli aveva chiesto: «Quel che sono io, tu non sei». Diogene assentì, al che l’altro aggiunse: «Ora, io sono un uomo». Diogene assentì ancora una volta, quindi l’altro concluse: «Dunque tu non sei un uomo». Allora Diogene disse: «Questo però è falso, se vuoi che sia vero devi cominciare da me»16. Noctes Atticæ, X V I I I , 13, 7-8 Filosofia del cane 25 DIOGENE LAERZIO 180 - 240 [20] Diogene, figlio del banchiere Icesio, nacque a Sinope. Secondo Diocle andò in esilio perché suo padre, che aveva un banco pubblico, aveva alterato dei valori. Ma Eubulide nel suo scritto su Diogene sostiene che sia stato Diogene stesso a farlo, e che andò in esilio insieme al padre. E in effetti Diogene in persona afferma nel Pordalo di aver alterato dei valori. Secondo alcuni vi fu spinto da certi truffatori quando era amministratore. Si recò a Delfi, o forse al santuario delio della sua regione, per chiedere ad Apollo se dovesse fare quel che gli si chiedeva. Il responso fu “alterare i valori”, e Diogene lo interpretò non come un riferimento ai valori politici, ma come segno che i valori poteva falsificarli. Pare che sia stato mandato in esilio quando fu scoperto, ma altri ritiene che sia scappato per paura delle conseguenze. [21] Altri ancora racconta che aveva alterato dei valori che aveva ricevuto dal padre, che sarebbe morto in prigione, mentre Diogene sarebbe fuggito a Delfi, dove avrebbe chiesto all’oracolo non se potesse fare il falsario, bensì cosa dovesse fare per diventare molto famoso: il responso si riferirebbe dunque a questa domanda17. Ad Atene incontrò Antistene. Questi si rifiutava di accogliere allievi al suo seguito e in un primo momento 26 Diogene di Sinope lo respinse, ma Diogene insistette con tale perseveranza da riuscire a convincerlo. Una volta che Antistene lo minacciò con un bastone, Diogene protese il capo dicendogli: «Picchia pure: finché parli, non troverai un legno tanto duro da farmi smettere di ascoltarti». Da allora fu suo allievo, e poiché era in esilio cercò di vivere con semplicità. [22] Teofrasto dice nel Megarico che una volta Diogene si mise a osservare un topo che correva in lungo e in largo, ma non perché cercasse un posto per dormire, per via del buio o perché volesse ciò che comunemente si considera piacevole. Fu così che trovò “un espediente per ogni circostanza”18. Secondo alcuni fu il primo a servirsi di un mantello doppio per dormire, e teneva con sé anche una bisaccia in cui conservava il cibo. Considerava ogni luogo buono per qualunque attività, che fosse mangiare, dormire o conversare. Diceva spesso che gli ateniesi gli avevano riservato un posto dove stare, indicando il portico di Zeus e il Pompeio. [23] Dapprincipio si serviva del bastone solo quando era malato, ma poi prese a portarlo sempre quando usciva dalla città, insieme alla sua bisaccia. Così dicono Olimpiodoro (il governatore degli Ateniesi), Polieucto e Lisania (figlio di Escrione). Una volta scrisse a un tale chiedendogli di trovargli una casetta, ma visto che la risposta non arrivava, Filosofia del cane 27 decise di andare ad abitare in una botte dalle parti del Metroon, come racconta di suo pugno nelle lettere. D’estate si rotolava sulla sabbia arsa dal sole, d’inverno abbracciava le statue coperte di neve, perché cercava di temprarsi in ogni modo. [24] Era terribile nell’avere la meglio sugli altri. La scuola di Euclide la chiamava colica19, l’istruzione proposta da Platone distruzione20, delle gare dionisiache diceva che erano grandiose solo per la meraviglia degli stupidi, parlava dei capipopolo come di servi del popolino. Diceva che vedendo all’opera piloti, medici o filosofi riteneva l’uomo il più intelligente degli animali, ma vedendo poi la gente attratta da interpreti di sogni e indovini o incontrando vanitosi e arricchiti, riteneva che l’uomo fosse il più stupido. E ripeteva di continuo che nella vita se non si usa la testa tanto vale infilarla in un cappio21. [25] Una volta durante un ricco banchetto si trovò accanto a Platone, e vedendo che mangiava soltanto olive gli disse: «Che vedo? Un sapiente come te, che ha attraversato il mare per andare a cercare fino in Sicilia banchetti all’altezza di questo, ora che li ha a portata di mano non ne approfitta?». Al che Platone rispose «Per gli dèi, Diogene, anche lì mangiavo olive e poco altro». E Diogene: «Ma allora che bisogno avevi di andartene a Siracusa? Forse a quei tempi l’Attica non produceva olive?». Favorino nella Storia varia attribuisce però l’aneddoto ad Aristippo. Un’altra volta, 28 Diogene di Sinope mentre mangiava fichi secchi, Diogene incontrò Platone. Allora gli disse: «Prendi pure». Platone li prese e li mangiò, al che Diogene gli disse: «Ti avevo detto di assaggiarli, non di divorarli». [26] A un banchetto offerto da Platone a certi amici che tornavano dalla corte di Dionisio, mentre camminava sui tappeti Diogene disse: «Calpesto la vanità di Platone». Platone gli rispose: «Così mostri l’orgoglio che dici di non avere». Ma secondo altri Diogene avrebbe detto: «Calpesto l’orgoglio di Platone» e Platone: «Con lo stesso orgoglio, Diogene». Sozione, nel quarto libro della sua opera, attribuisce invece l’aneddoto a Platone. Una volta Diogene chiese a Platone del vino e anche dei fichi secchi. Platone gli fece avere un’anfora colma di vino, e Diogene gli disse: «Se ti chiedono quanto fa due più due, risponderai venti? Se non c’è comune misura tra quanto dài e quanto ti si chiede, non ci sarà neppure tra quanto rispondi e quanto ti si domanda». In effetti si prendeva gioco di Platone perché era capace di parlare all’infinito. [27] A chi gli chiedeva dove avesse visto in Grecia uomini virtuosi rispose: «Uomini da nessuna parte, ragazzi a Sparta». Una volta, vedendo che nessuno prendeva sul serio i suoi discorsi, si mise a cinguettare. Tutti gli si precipitarono intorno, e allora rimproverò gli astanti perché erano accorsi subito a sentire chiacchiere, mentre nessuno si era affrettato ad ascoltare un discorso serio22. Filosofia del cane 29 Diceva che gli uomini fanno a gara a colpirsi col bastone o a prendersi a calci, ma nessuno gareggia per diventare nobile d’animo. Si stupiva di quei grammatici che vanno in cerca dei mali di Ulisse e non si curano dei propri23, ma anche dei musicisti, che badano all’armonia delle corde della loro lira senza cercare quella della loro anima24. [28] Si stupiva anche dei matematici, che scrutano il sole e la luna senza vedere quel che sta sotto i loro occhi, dei retori che si affannano a parlare della giustizia senza mai praticarla o disprezzano gli avari mentre non fanno altro che cercare di arricchirsi. Così criticava anche chi tesse le lodi dei giusti perché non si curano del denaro ma in realtà invidia chi vive nelle agiatezze. Si indignava per i sacrifici offerti agli dèi per ottenere salute perché in occasione di quegli stessi sacrifici si fanno banchetti che alla salute procurano danni. Si meravigliava che i servi pur vedendo i padroni mangiare senza ritegno non facessero incetta anche loro rubando il cibo. [29] Lodava chi stava per sposarsi ma poi non si sposava, chi stava per mettersi in viaggio per mare ma poi restava a casa, chi mostrava di volersi dedicare alla politica ma poi non lo faceva, chi voleva farsi una famiglia ma poi desisteva, chi sembrava voler stare con i potenti ma poi lasciava perdere25. Diceva anche che quando si tende una mano agli amici bisogna tenerla aperta e non chiusa a pugno. 30 Diogene di Sinope Nella Vendita di Diogene Menippo26 racconta di quando fu imprigionato e venduto come schiavo: a chi gli chiedeva cosa sapesse fare rispose: «Comandare gli uomini» e al banditore: «Ecco l’annuncio che devi dare: “c’è qualcuno che vuole procurarsi un padrone?”»; poi, visto che non gli era permesso di sedersi, osservò: «Che importa, anche i pesci si vendono senza badare alla posizione in cui stanno». [30] Diceva anche di essere sorpreso perché se vogliamo comprare una marmitta o un tegame verifichiamo se è integro ascoltandone il suono, mentre se dobbiamo comprare un uomo ci accontentiamo di guardarlo soltanto. A Seniade, che lo aveva comprato, disse che avrebbe dovuto ubbidirgli anche se era il suo schiavo, dicendo che così bisognava obbedire anche a un medico o a un pilota benché si trovassero a essere schiavi. Nella Vendita di Diogene di Eubulide si dice anche che educò i figli di Seniade insegnando loro tutte le discipline ma anche a cavalcare, a tirare con l’arco, a usare la fionda e a lanciare il giavellotto, e che però impedì al maestro che li seguiva nella palestra di allenarli come si conviene agli atleti, facendo in modo che si esercitassero soltanto fino ad acquistare un bel colorito e una condizione di buona salute. [31] I ragazzi erano tenuti a imparare molti passi di poeti e prosatori, oltre che di opere dello stesso Diogene, che si premurava anche di preparare compendi e di rendere le nozioni facili da tenere a mente. In casa insegnava Filosofia del cane 31 loro a occuparsi da sé dei propri bisogni, a mangiare cibi semplici e a bere soltanto acqua. Radeva loro i capelli e non permetteva che portassero ornamenti: li aveva educati a uscire senza tunica e scalzi, a stare in silenzio e a non distrarsi per le strade. Li portava anche a caccia27. I ragazzi a loro volta si prendevano cura di Diogene e presentavano le sue richieste ai genitori. Eubulide dice anche che Diogene rimase da Seniade fino alla fine dei suoi giorni e che quando morì fu seppellito dai suoi figli. Quando Seiniade gli chiese come voleva essere sepolto, rispose: «Faccia a terra». [32] Seniade gliene chiese il motivo, e Diogene spiegò: «Perché presto quel che sta sotto si rivolterà», riferendosi ai Macedoni che avevano imposto il loro dominio diventando potenti da umili che erano. Capitò che un tale lo facesse entrare in una casa lussuosa, raccomandandogli di non sputare: Diogene allora si schiarì la gola a fondo e gli sputò in faccia, dicendo che non aveva trovato un posto peggiore. Ma altri affermano che si trattasse di Aristippo. Nel primo libro delle Sentenze, Ecatone racconta che una volta gridò: «Ehi, uomini» e poi prese a dar colpi di bastone a chi era accorso dicendo: «Ho chiamato uomini, non balordi». A quanto pare Alessandro disse che se non fosse nato Alessandro sarebbe voluto nascere Diogene. [33] Diogene diceva che incapaci non sono i sordi o i ciechi ma quelli che non hanno una bisaccia capace28. 32 Diogene di Sinope Metrocle racconta nelle Sentenze che una volta si presentò con la testa rasata a metà di una festa di giovani, che presero a bastonarlo. Quindi scrisse su una tavoletta i nomi di coloro che lo avevano colpito e se la appese al collo perché tutti li disprezzassero e li biasimassero compensandolo così dell’offesa subìta. Diceva di essere un cane, uno di quelli che tutti lodano, ma aggiungeva che di tutti quelli che lo lodano nessuno avrebbe avuto il coraggio di andare con lui a caccia29. A un tale che aveva detto: «Alle gare pitiche batto uomini in gamba» rispose: «Sono io a battere uomini in gamba, tu degli uomini batti soltanto le gambe»30. [34] A uno che gli diceva: «Sei vecchio, lascia perdere» rispose: «E perché? Se stessi correndo allo stadio, in vista del traguardo dovrei lasciar perdere o andare avanti fino alla fine?». Una volta declinò un invito a cena perché l’ultima volta che era stato ospite in quella casa non lo avevano ringraziato. Camminava scalzo sulla neve e oltre alle cose già dette provò anche a mangiare carne cruda, senza però riuscire a digerirla31. Una volta vide l’oratore Demostene che mangiava in una taverna. Demostene si spostò verso il fondo, al che Diogene disse: «Ti trattieni in taverna più di prima»32. A certi stranieri che volevano conoscere Demostene lo indicò con il dito medio aggiungendo: «Eccolo, il demagogo degli Ateniesi»33. Filosofia del cane 33 [35] Una volta che un tale che si era vergognato di raccogliere un pezzo di pane cadutogli di mano, per dargli una lezione legò il collo di un vaso e lo trascinò per tutto il Ceramico. Diceva di imitare il maestro del coro, che dà il tono crescente perché tutti gli altri prendano il tono giusto. Diceva anche che un dito è il criterio della follia della gran parte degli uomini: se uno va in giro mostrando il dito medio si pensa che sia folle, ma se il dito è l’indice va tutto bene. Diceva poi che cose di gran valore si vendono a un prezzo irrisorio e viceversa, per esempio una statua si vende per tremila dracme mentre una manciata di farina per un paio di monete. [36] A Seniade, che lo stava comprando come schiavo, disse: «Ti raccomando di obbedire ai miei ordini». Seniade gli rispose: «“Rimontano i fiumi alle sorgenti”»34, e Diogene di rimando: «Se avessi comprato un medico gli obbediresti o staresti lì a declamare: “Rimontano i fiumi alle sorgenti”?». A uno che desiderava imparare da lui la filosofia diede da portare un pesce e gli disse di seguirlo. Quello però si vergognava, quindi buttò via il pesce e se ne andò. Tempo dopo Diogene lo incontrò e gli disse ridendo: «È bastato un pesce a rompere la nostra amicizia». Diocle riporta la vicenda in modo diverso. Un tale disse: «Diogene, sono ai tuoi ordini». Diogene allora gli diede da portare un pezzo di formaggio da mezzo 34 Diogene di Sinope obolo. Visto che quello si rifiutava di farlo Diogene disse: «È bastato mezzo obolo di formaggio a rompere la nostra amicizia». [37] Una volta vide un bambino che beveva nel cavo della mano. Allora prese dalla bisaccia la sua tazza e la buttò via dicendo: «Un bambino mi ha battuto in semplicità». Buttò via anche la scodella quando vide un altro bambino che avendo rotto la sua mangiava le lenticchie nel cavo di una pagnotta. Questo era uno dei suoi ragionamenti: «Tutto appartiene agli dèi; i sapienti sono amici degli dèi; gli amici condividono i loro beni; dunque tutto appartiene ai sapienti»35. Una volta vide una donna che invocava gli dèi chinandosi in avanti. Allora, come riferisce Zoilo di Perge, per liberarla dalla superstizione le si accostò dicendole: «Non temi, donna, che un dio possa trovarsi anche dietro di te, poiché ogni cosa ne è piena?»36. [38] Diede incarico a un tale di appostarsi nei pressi dell’Asclepeion e di bastonare chi veniva a prosternarsi. Diceva che le maledizioni tragiche lo avevano colpito, perché era “senza città, senza casa, esule dalla patria, povero, errante, sempre in cerca di un tozzo di pane”37. Contrapponeva alla fortuna il coraggio, alla legge la natura, alla passione la ragione38. Una volta che se ne stava al sole nel Craneo gli si avvicinò Alessandro dicendogli: «Chiedimi qualunque Filosofia del cane 35 cosa e l’avrai». Diogene gli rispose: «Spostati, che mi fai ombra». A un tale che leggeva da un bel po’, tanto che ormai era visibile la parte non scritta alla fine del rotolo, disse: «Coraggio uomini! Terra! Terra!». A uno che voleva mostrargli con un sillogismo che aveva le corna disse, toccandosi la fronte: «Io non le vedo». [39] Allo stesso modo rispose a un altro che negava l’esistenza del moto: si alzò e si mise a camminare39. A uno che discettava dei fenomeni celesti disse: «E quando sei venuto giù dal cielo?». Un eunuco vizioso aveva scritto sulla porta di casa: «Non entri alcun male». Diogene disse: «E il padrone di casa da dove dovrebbe entrare?». Si spalmava di unguento i piedi, perché diceva che se ci si spalma la testa il profumo sale verso il cielo, quindi se si vuole sentirlo bisogna ungersi i piedi. Agli Ateniesi che insistevano per iniziarlo ai misteri dicendo che nell’Ade gli iniziati occupano un posto privilegiato rispose: «Sarebbe ridicolo se Agesilao o Epaminonda stessero nel fango e un qualunque iniziato sulle isole dei beati». [40] Quando vide i topi correre sulla sua tavola disse: «Anche Diogene alleva parassiti». A Platone che gli aveva dato del cane disse: «Hai ragione, torno sempre da chi mi ha venduto». Una volta che usciva da un bagno pubblico, a uno che gli chiese se vi fossero molti uomini a lavarsi rispose 36 Diogene di Sinope di no, ma a un altro che gli chiese se vi fosse molta gente rispose di sì. Poiché Platone definiva l’uomo “bipede privo di penne” e molti concordavano entusiasticamente, Diogene spennò un pollo e lo portò alla sua scuola dicendo: «Ecco qui l’uomo di Platone». Fu per questo che si aggiunse “dotato di unghie larghe”40. A uno che gli chiedeva quale fosse l’ora migliore per mangiare disse: «Se sei ricco quando vuoi, se sei povero quando puoi». [41] A Megara vide che le pecore erano coperte con pelli di cuoio, mentre i figli dei Megaresi erano nudi. Allora disse: «Meglio essere il montone di un Megarese che suo figlio». A un tale che prima lo aveva colpito con un bastone e poi gli aveva detto: «Sta’ attento a te», disse: «Vuoi forse colpirmi ancora?». Definiva i capipopolo “servi del popolino”, le corone di fiori “efflorescenze della gloria”. Se ne andava in giro con una lanterna accesa in pieno giorno dicendo: «Cerco un uomo». Una volta alla gente che lo compativa perché era inzuppato di pioggia, Platone che si trovava a passare disse: «Se davvero volete compatirlo, andatevene», alludendo alla sua vanità. Una volta che prese un pugno disse: «Per Eracle, non credevo fosse meglio andare in giro con un elmo in testa». [42] Un’altra volta Midia lo prese a pugni e poi Filosofia del cane 37 gli disse: «Puoi incassarne tremila». Il giorno dopo Diogene si fasciò le mani come i pugili, picchiò Midia e poi gli disse: «Puoi incassarne tremila»41. A Lisia, il mercante di farmaci, che gli chiedeva se credesse agli dèi rispose: «Come potrei non crederci: credo che tu sia inviso agli dèi!». Ma stando ad altri questo sarebbe un detto di Teodoro. Una volta vide un tale che faceva le abluzioni e disse: «Infelice, non sai che le abluzioni non ti libereranno dagli errori della vita come non ti liberano dagli errori di grammatica?»42. Criticava le invocazioni degli uomini, perché chiedevano non il vero bene ma quel che sembrava bene a loro. [43] Criticava chi è turbato da un sogno perché non si dà pena per quel che fa da sveglio ma si preoccupa di decifrare ciò che ha immaginato di fare mentre dormiva. Quando l’araldo a Olimpia proclamò: «Diossippo ha vinto uomini in gamba», Diogene esclamò: «Degli uomini ha vinto le gambe, gli uomini sono io a vincerli». Presso gli Ateniesi era benvoluto. Quando un ragazzo gli ruppe la botte, gli Ateniesi punirono il ragazzo e procurarono a Diogene un’altra botte. Secondo lo stoico Dionisio, fu fatto prigioniero a Cheronea43 e fu condotto al cospetto di Filippo. Quando Filippo gli chiese chi fosse, Diogene rispose: «Un osservatore della tua insaziabilità». Filippo ne fu ammirato e gli rese la libertà. 38 Diogene di Sinope [44] Una volta, ad Atene, Diogene assistette alla consegna di una lettera di Alessandro ad Antipatro per tramite di un certo Modesto. Allora disse: «Modesto da modesto con modesto a modesto»44. Una volta Perdicca lo minacciò di morte se non fosse andato da lui. Diogene disse: «Potrebbe uccidermi anche uno scorpione o una tarantola: mi avresti minacciato sul serio dicendomi che puoi vivere felice anche senza di me». Se ne andava in giro gridando che gli dèi hanno dato vita facile agli uomini, ma questi non lo vedono, perché si affannano a cercare focacce col miele, unguenti e altre cose del genere. Così a un tale che si faceva calzare da uno schiavo disse: «Perché non ti fai anche soffiare il naso? Così sarai felice di aver perso anche l’uso delle mani». [45] Una volta che vide i guardiani del tempio condurre in prigione un tale che aveva rubato una coppa dal tesoro disse: «Ladroni che portano un ladruncolo». Una volta che vide un ragazzo tirare pietre a un palo gli disse: «Bravo, se è a quello che miri»45. Una volta che si trovò in mezzo a un gruppo di ragazzi, sentendo che dicevano: «Attenti, morde» rispose: «State tranquilli, i cani non mangiano rape». A uno che si dava un sacco di arie con una pelle di leone disse: «Smetti di disonorare l’abito della virtù»46. A uno che esaltava la condizione di Callistene47 perché godeva degli straordinari favori di Alessandro Filosofia del cane 39 disse: «Ma no, è un infelice: va a tavola e mangia quando pare ad Alessandro». [46] Una volta che era a corto di soldi disse agli amici «Non mi aspetto denaro perché lo chiedo, chiedo denaro perché mi spetta»48. Una volta che si masturbava nel bel mezzo dell’agorà disse: «Che bello se bastasse massaggiarsi un po’ la pancia per non avere più fame!»49. Quando vide un ragazzo che andava a mangiare con dei satrapi lo prese da parte e lo ricondusse a casa, raccomandandosi con i suoi di tenerlo d’occhio. A un ragazzo tutto imbellettato che gli aveva chiesto qualcosa disse che non gli avrebbe risposto se prima non si fosse spogliato per mostrargli se fosse donna o uomo. A un ragazzo che giocava al cottabo in un bagno pubblico disse: «Meglio giochi, peggio sarà per te»50. A un banchetto certi convitati presero a gettargli ossi come a un cane. Diogene allora fece per andarsene, ma prima si avvicinò e pisciò sui loro piedi come un cane. [47] I retori e tutti quelli che si misuravano nell’eloquenza li chiamava “tre volte uomini”, come usa dire “tre volte miserabili”. Di chi è ricco ma ignorante diceva che è una pecora dal vello d’oro. Una volta, vedendo che sulla casa di un gaudente era scritto: «Si vende», disse: «Sapevo che dopo quei bagordi avresti vomitato il padrone». 40 Diogene di Sinope A un ragazzo che si lamentava di essere insidiato da molti corteggiatori disse: «Tu però dovresti smettere di mostrare i segni di chi è incline alla lussuria». Una volta entrò in un bagno pubblico e vedendo che era lurido disse: «Chi si lava qui, dove andrà a lavarsi?». Una volta prese a lodare un suonatore di lira corpulento e disprezzato da tutti e quando gli chiesero perché rispose: «Perché grosso com’è suona la lira e non fa il ladro». [48] A un altro suonatore di lira si rivolse dicendogli: «Salve, gallo» e quando l’altro gli chiese perché lo chiamasse così rispose: «Perché svegli tutti col tuo canto». Mentre un ragazzo declamava in pubblico, Diogene comprò dei lupini e li mise in una piega della veste, poi gli si parò di fronte e prese a mangiarli con trasporto, attirando su di sé l’attenzione degli astanti. Allora disse di essere sorpreso che avessero lasciato perdere l’oratore per guardare lui. A un tale molto superstizioso che gli aveva detto: «Mi basta un colpo per spaccarti la testa» rispose: «A me basta uno starnuto da sinistra per farti tremare»51. A Egesia che gli chiedeva in prestito uno dei suoi scritti disse: «Sei stupido, Egesia: ti accontenteresti di guardare un esercizio scritto invece di praticarlo, ma è come se volessi soltanto guardare l’immagine dei fichi secchi invece di mangiare quelli veri»52. [49] A uno che lo biasimava per la sua condizione di esule disse: «Sei un poveraccio, invece è proprio per Filosofia del cane 41 questo che mi sono dato alla filosofia». A un altro che gli diceva che gli abitanti di Sinope lo avevano condannato all’esilio disse: «E io condanno loro a restarsene a casa». Una volta vide un atleta che aveva vinto ai giochi olimpici pascolare un gregge e gli disse: «Caro amico, sei passato troppo presto dai giochi di Olimpia a quelli di Nemea»53. A chi gli chiedeva perché gli atleti siano tanto insensibili al dolore rispose: «Perché sono fatti di maiale e di manzo». Una volta se ne stava a fare domande a una statua e a chi gliene chiese il motivo rispose: «Mi esercito a chiedere invano». Capitò che, costretto dal bisogno, chiedesse l’elemosina a un tale dicendogli: «Se hai già dato a un altro, da’ anche a me, altrimenti comincia da me». [50] A un tiranno che gli chiese quale fosse il bronzo migliore per fare una statua, Diogene gli rispose: «Il bronzo con cui sono state fatte le statue di Armodio e Aristogitone»54. A chi gli chiedeva come Dionisio trattasse gli amici rispose: «Come sacchi: quelli pieni li appende, quelli vuoti li butta via. Un giovane sposo aveva scritto sulla sua porta: «Qui abita Eracle dalle belle vittorie, figlio di Zeus. Non entri il male». Diogene commentò: «Dopo la guerra, l’alleanza». Diceva che la bramosia di denaro è la madrepatria di tutti i mali. 42 Diogene di Sinope Una sera in una taverna vide un gaudente ingozzarsi di olive e disse: «Se oggi avessi già mangiato così, adesso non banchetteresti così»55. [51] Diceva che gli uomini buoni sono immagini degli dèi. E che l’amore è un passatempo per perditempo. A chi gli chiedeva quale fosse il male peggiore nella vita rispose: «Invecchiare poveri». A chi gli chiedeva quale animale avesse il morso peggiore rispose: «Tra gli animali selvatici il sicofante, tra quelli domestici l’adulatore»56. Una volta vedendo due centauri dipinti molto male disse: «Quale dei due è Chirone?»57. Di un discorso inteso a ingraziarsi qualcuno disse “laccio coperto di miele”. Diceva che lo stomaco è come un gorgo, la Cariddi della vita. Una volta, sentendo che un certo Didimo, un adultero, era stato colto sul fatto, disse: «Già per il nome è degno di essere impiccato»58. A chi gli chiedeva perché l’oro sia pallido rispose: «Perché molti lo insidiano». Una volta, vedendo una donna su una lettiga, disse: «Una gabbia inadatta alla preda». [52] Una volta vide uno schiavo che era fuggito dal padrone e si era messo a sedere sul bordo di un pozzo. Allora gli disse: «Sta’ attento, rischi di toccare il fondo»59. Filosofia del cane 43 Una volta che vide un ladro di vestiti in un bagno pubblico gli chiese: «Ti vieni a lavare o a levare qualcosa?»60. Una volta, vedendo un ladro di vestiti, disse: «Tu qui, eccelso? A far che? / Forse a saccheggiare il cadavere di uno degli uccisi?»61. A chi gli chiedeva se avesse una schiava o uno schiavo rispose: «No». L’ altro gli chiese allora: «Se muori, chi ti porterà al cimitero?». E Diogene: «Chi avrà bisogno della mia casa»62. [53] Vedendo un bel ragazzo profondamente addormentato lo scosse e «Svegliati» gli disse, «ché nessuno mentre dormi ti trafigga da tergo con la sua picca»63. A un tale che spendeva molti soldi in lussi e feste: «Stando a quel che compri, figlio, avrai breve sorte»64. Una volta che Platone disquisiva sulle idee ricorrendo ai termini “tavolità” e “coppità” invece di parlare di “tavola” e “coppa”, Diogene disse: «Quanto a me, Platone, la tavola e la coppa le vedo, la tavolità e la coppità no». Al che Platone: «È logico: gli occhi per vedere la coppa e la tavola ce li hai, l’intelletto per vedere la tavolità e la coppità ti manca»65. [54] E a chi gli chiedeva: «Cosa pensi di Diogene?» Platone rispose: «È un Socrate impazzito»66. A chi gli chiedeva quale fosse il momento propizio per sposarsi, Diogene rispose: «Da giovani non ancora, da vecchi non più». Una volta che vide un ragazzo tutto imbellettato gli disse: «Triste se ti sei agghindato per gli uomini, tristo se lo hai fatto per le donne»67. 44 Diogene di Sinope Una volta che vide un ragazzo arrossire gli disse: «Coraggio, questo è il colore della virtù». Una volta che aveva ascoltato discutere due uomini di legge li condannò entrambi dicendo che uno aveva rubato ma l’altro non aveva perduto nulla. A chi gli chiedeva quale vino preferisse bere rispose: «Quello degli altri». A chi gli disse: «Molti ti considerano ridicolo» rispose: «Ma non mi rendono ridicolo»68. [55] A chi gli disse che vivere è un male disse: «Non vivere, ma vivere male». A chi voleva convincerlo a riprendere il suo schiavo, che era scappato, disse: «Sarebbe ridicolo se Mane potesse vivere senza Diogene e Diogene senza Mane non potesse»69. Una volta che aveva da mangiare soltanto qualche oliva gli fu offerta una focaccia, ma la gettò via declamando: «Cedi il passo ai sovrani, Straniero»70 e un’altra volta: «Frustò il caciocavallo»71. A chi gli chiedeva che razza di cane fosse rispose: «Quando ho fame, un Maltese, quando sono sazio un Molosso: i più lodano queste razze senza però avere il coraggio di servirsene a caccia, per paura di stancarsi, proprio come voi non potete vivere insieme a me per paura degli stenti». [56] A chi gli chiedeva se i sapienti mangino focacce rispose: «Mangiano tutto, <ma non>72 come gli altri uomini». A chi gli chiedeva perché tutti facciano Filosofia del cane 45 l’elemosina ai mendicanti e non ai filosofi rispose: «Perché tutti si aspettano di poter diventare zoppi o ciechi, ma non certo filosofi». Una volta che chiedeva qualcosa a un avaro, visto che quello prendeva tempo disse: «Uomo, sento il morso della fame, ma se perdi ancora tempo sarò morto di fame»73. Capitò che qualcuno gli rinfacciasse di aver alterato i valori. Diogene rispose: «Fu al tempo in cui ero quel che tu sei adesso. Tu però non sarai mai quel che adesso sono io». E a un altro che gli rinfacciava la stessa cosa disse: «Un tempo mi pisciavo anche addosso, ma ora sono cresciuto». [57] Una volta, a Mindo, vedendo che una città tanto piccola aveva porte molto grandi disse: «Abitanti di Mindo, chiudete le porte o la vostra città esce e se ne va». Una volta che colse sul fatto un ladro di porpora declamò: «La morte purpurea lo colse, e l’imperioso destino»74. Poiché Cratero insisteva per ospitarlo disse: «Preferisco piuttosto leccar sale ad Atene che approfittare di questo abbondante Cratere»75. Una volta incontrò il retore Anassimene76, che era grasso, e gli disse: «Condividi con noi stupidi il tuo stomaco: per te sarà un sollievo e per noi un vantaggio». Poi, mentre l’altro conversava, Diogene prese a distrarre gli astanti mostrando un pesce sotto sale. 46 Diogene di Sinope Quando Anassimene si spazientì, Diogene disse: «Un pesce salato da un obolo fa perdere il filo ad Anassimene». [58] Una volta, a chi lo rimproverava perché stava mangiando nel bel mezzo dell’agorà rispose: «È nell’agorà che mi è venuta fame». Alcuni gli attribuiscono anche questo aneddoto: Platone lo vide lavare la verdura e gli sussurrò all’orecchio: «Se anche tu avessi coltivato l’amicizia con Dionisio non staresti a lavare la verdura». Al che Diogene gli rispose, anche lui sussurrandoglielo all’orecchio: «Se anche tu avessi lavato la verdura non avresti dovuto coltivare l’amicizia con Dionisio»77. A chi gli diceva: «Molti ti prendono in giro» rispose: «Magari gli asini prendono in giro loro, e come loro non fanno caso agli asini io non faccio caso a loro»78. Una volta vide un ragazzo che si dedicava alla filosofia e gli disse: «Bene! Chi si invaghisce del tuo corpo, godrà della bellezza della tua anima»79. [59] A un tale che ammirava i doni votivi a Samotracia disse: «Sarebbero anche molti di più se avesse fatto offerte anche chi non si è salvato»80. Ma altri attribuisce il detto a Diagora di Melo. A un bel ragazzo che andava a un simposio disse: «Tornerai più brutto». Il giorno dopo, quando fu di ritorno, il ragazzo disse a Diogene: «Sono tornato, e non mi pare di essere più brutto». Al che Diogene disse: «Retto come Chirone no, rotto come Eurizione sì»81. Filosofia del cane 47 Chiedeva l’elemosina a uno scostante che gli disse: «Se mi persuadi». Al che Diogene gli disse: «Se mi fosse riuscito di persuaderti, ti avrei convinto piuttosto a impiccarti». Mentre tornava ad Atene da Sparta, a un tale che gli chiese: «Da dove vieni e dove vai?» rispose: «Dagli uomini alle donne». [60] Mentre tornava dai giochi olimpici, a un tale che gli chiese se vi fosse molta folla disse: «La folla era molta, gli uomini pochi». Diceva che chi è dissoluto somiglia agli alberi di fico che crescono sul ciglio dei burroni: poiché gli uomini non possono raggiungerli, i loro frutti sono riservati a corvi e avvoltoi82. A Delfi, sull’Afrodite d’oro offerta da Frine pare che abbia scritto: «Dono della lussuria ellenica»83. Ad Alessandro, che una volta incontrandolo gli disse: «Sono Alessandro, il gran re», rispose: «E io sono Diogene, il Cane». E quando il re gli chiese spiegazioni disse: «Scodinzolo a chi mi dà qualcosa, abbaio a chi non mi dà niente e mordo i buoni a nulla». [61] Una volta che raccoglieva fichi, al custode che gli disse: «A quell’albero è stato impiccato un uomo» rispose: «Io quindi lo sto purificando». Una volta che vide un olimpionico guardare con bramosia un’etera disse: «Ecco un folle ariete tenuto al laccio da una ragazzetta». Delle etere più belle diceva che sono come idromele avvelenato84. 48 Diogene di Sinope Mentre se ne stava a mangiare nell’agorà, alla gente che gli diceva: «Cane», rispondeva: «Cani sarete voi, che mi state attorno mentre mangio»85. Mentre a due buoni a nulla che cercavano di sfuggirgli diceva: «Non temete, un cane non mangia rape». A chi gli chiedeva da dove venisse un ragazzo che si prostituiva rispose: «È di Tegea»86. [62] Vedendo un atleta poco dotato che faceva il medico disse: «È un modo per mandare in malora chi non sei riuscito a battere?». Una volta che vide il figlio di un’etera lanciar sassi contro la folla disse: «Attento a non colpire tuo padre». A un ragazzo che gli mostrava un coltello regalatogli da un ammiratore disse: «Certo è un bel coltello, ma attento, il brutto sta nel manico». A chi lodava un tale che gli aveva dato qualcosa disse: «Io ho preso degnamente, perché non lodate anche me?». A un tale che gli chiedeva di restituirgli il mantello disse: «Se me lo hai dato in dono è mio e me lo tengo, se me lo hai dato in prestito, lo sto ancora usando». A un ragazzo, un supposito, che diceva di tenere dell’oro nel mantello disse: «Suppongo sia per questo che te lo poni sotto per dormire»87. [63] A chi gli chiedeva quale beneficio avesse ricavato dalla filosofia rispose: «Se non altro, essere preparato ad affrontare qualunque sorte». A chi gli chiedeva da dove venisse rispose: «Cittadino del mondo»88. Filosofia del cane 49 A un uomo e una donna che offrivano sacrifici agli dèi per avere un figlio disse: «Perché invece non offrite sacrifici per sapere che figlio avrete?». All’esattore che gli chiedeva un contributo disse: «Altri depreda, giù le mani da Ettore»89. Delle etère diceva che sono regine dei re, perché questi danno loro tutto quel che vogliono. Quando gli Ateniesi stabilirono di chiamare Alessandro “Dioniso” disse: «Allora chiamatemi Serapide»90. A chi lo rimproverava di entrare in luoghi sudici disse: «Anche il sole entra nelle latrine, ma non si sporca certo per questo». [64] Mentre mangiava in un tempio furono offerti pani di farina non mondata. Diogene li buttò via e disse: «Niente di immondo entri nel tempio»91. A chi gli disse: «Non sai niente e fai il filosofo» rispose: «Anche far finta di essere sapiente è fare il filosofo»92. A un tale che gli presentò il figlio dicendo che era molto dotato e ben educato disse: «Perché allora dovrebbe aver bisogno di me?». Di chi parla del bene senza metterlo in pratica diceva che somiglia in tutto e per tutto a una cetra, che nulla ascolta e nulla sente. Una volta, a teatro, si mise a cercare di entrare dall’uscita, camminando in direzione opposta a chi veniva fuori, e quando gli fu chiesto il motivo disse: «È quel che cerco di fare da tutta la vita»93. 50 Diogene di Sinope [65] Vedendo un ragazzo effeminato gli disse: «Non ti vergogni di voler peggiorare l’opera della natura? Ti ha fatto maschio e come se non bastasse cerchi di diventare femmina». Vedendo uno stupido che cercava di accordare una lira gli disse: «Non ti vergogni di cercare l’armonia dei suoni di un pezzo di legno mentre la tua anima non è in armonia con la vita?»94. A un tale che diceva: «Non sono fatto per la filosofia» rispose: «Perché vivi, se non ti curi di vivere bene?». A un ragazzo che parlava male del padre disse: «Non ti vergogni di parlar male di chi ha fatto in modo che potessi vantarti?». A un bel ragazzo che parlava a vanvera disse: «Non ti vergogni di estrarre un coltello di piombo da un fodero di avorio?». [66] A chi lo rimproverava perché stava a bere in una taverna disse: «Eppure vado a radermi dal barbiere»95. A chi lo rimproverava di aver accettato in dono un mantello da Antipatro rispose: «Non bisogna rifiutare gli splendidi doni degli dèi»96. A un operaio che prima aveva gettato una trave rischiando di colpirlo e poi gli aveva detto: «Sta’ attento a te!», dopo averlo colpito col bastone, disse: «Sta’ attento a te!». A un tale che cercava in tutti i modi di ottenere i favori di un’etera disse: «Perché, misero, sei attratto da ciò da cui è meglio tu sia sottratto?»97. Filosofia del cane 51 A un tale che si cospargeva di unguento i capelli disse: «Bada che il profumo della tua testa non diventi puzza per la tua vita». Diceva che gli stolti sono schiavi delle passioni come i servi dei padroni. [67] A chi gli chiedeva perché si dice andrapoda per indicare gli schiavi rispose: «Perché hanno i piedi degli uomini, ma l’anima di chi fa domande come le tue». Una volta chiese una mina a uno spendaccione. Questi allora gli domandò perché agli altri chiedesse solo un obolo e a lui invece una mina intera. Diogene rispose: «Perché dagli altri spero di riceverne ancora, se ne avrò ancora da te lo sanno soltanto gli dèi». A chi gli disse che Platone non stava a chiedere l’elemosina come lui, disse: «Anche Platone chiede, ma “abbassa la testa e sussurra perché gli altri non sentano”»98. Una volta vide un arciere incapace e andò a sedersi vicino al bersaglio dicendo: «Qui non rischio di farmi colpire». Diceva che gli amanti godono attraverso le proprie sfortune. [68] A chi gli chiedeva se la morte sia un male rispose: «Come potrebbe essere un male, se quando è presente non la percepiamo?». Alessandro incontrandolo gli chiese: «Non hai paura di me?». E Diogene: «Che cosa sei? Un bene o un male?», Alessandro: «Un bene». E Diogene di rimando: «Chi potrebbe aver paura di un bene?». 52 Diogene di Sinope Diceva che una buona educazione per i giovani è moderazione, per i vecchi conforto, per i poveri ricchezza, per i ricchi ornamento. A Didimo, un adultero, che una volta stava medicando l’occhio di una sua pupilla, disse: «Cura l’occhio ma non compromettere la pupilla»99. A un tale che gli diceva di essere assillato dagli amici rispose: «Che fare, se adesso si devono trattare allo stesso modo gli amici e i nemici». [69] A chi gli chiedeva quale sia la cosa più bella negli uomini disse: «La libertà di parola»100. Entrato in una scuola dove vide molte muse e pochi allievi disse: «Maestro, contando le divinità si può dire che hai molti allievi». Aveva l’abitudine di fare ogni cosa sotto lo sguardo di tutti, anche le faccende di Demetra e Afrodite101. E amava ripetere questo ragionamento: «Se mangiare non è fuori luogo, non è fuori luogo nell’agorà. Mangiare non è fuori luogo, quindi non è fuori luogo nell’agorà»102. Aveva l’abitudine di masturbarsi in pubblico e in proposito diceva: «Che bello se bastasse massaggiarsi un po’ la pancia per non avere più fame!». Gli sono attribuiti altri detti, ma sarebbe lungo enumerarli tutti, perché sono molti103. [70] Diceva che l’esercizio è duplice, dell’anima e del corpo, perché con la pratica costante della ginnastica si formano rappresentazioni che aiutano a mettere in pratica la virtù, e che un esercizio è incompleto senza Filosofia del cane 53 l’altro, perché essere in buone condizioni e forti giova sia al corpo che all’anima. A suo avviso la prova che la ginnastica sia una via facile per la virtù era che anche nelle arti manuali e nelle altre gli artisti raggiungono un’abilità notevole grazie alla pratica, e che l’abilità dei suonatori di flauto o degli atleti è commisurata alla costanza degli sforzi profusi nella loro attività, il che non sarebbe insensato e inutile se si preoccupassero di esercitare anche l’anima104. [71] Diceva che senza esercizio le cose della vita non vanno come devono andare, perché l’esercizio può avere la meglio su ogni cosa. E che, se si vuole vivere felici, alle fatiche inutili bisogna preferire quelle che sono secondo natura, perché l’infelicità proviene dalla sconsideratezza. Infatti, quando si è presa l’abitudine, disprezzare il piacere diventa molto piacevole. Come chi è abituato a vivere nel piacere prova dispiacere nel passare allo stato contrario, così chi si è esercitato nello stato contrario disprezza piacevolmente quegli stessi piaceri. Questi erano i suoi discorsi, e pare che li mettesse davvero in pratica contraffacendo la moneta, negando che ciò che si conforma alla legge abbia importanza pari a ciò che è dato per natura e conformandosi al tenore di vita di Eracle, che non metteva nulla al di sopra della libertà105. [72] Diceva che tutto appartiene ai sapienti, argomentando come abbiamo detto: tutto appartiene agli dèi; gli dèi sono amici dei sapienti; gli amici condividono i 54 Diogene di Sinope loro beni; dunque tutto appartiene ai sapienti. Quanto alla legge, diceva che senza legge non è possibile essere buoni cittadini: se non c’è la città, è inutile che vi sia urbanità; l’urbanità riguarda la città; se non c’è una città è inutile che vi sia legge; dunque la legge è una questione di urbanità106. Si prendeva gioco della nobiltà dei natali, della fama e delle altre cose del genere, dicendo che sono orpelli del vizio. Diceva anche che l’unica vera cittadinanza è quella del mondo. Diceva che le donne dovrebbero essere in comune, riteneva che non ci si dovesse sposare ma convivere con una donna consenziente avendola persuasa, e che per questo anche i figli dovessero essere in comune. [73] Diceva che non c’è nulla di assurdo nel prendere qualcosa da un tempio o nel mangiare la carne di un animale, e che non c’è nulla di empio nel mangiare la carne di un uomo, come dimostrano i costumi di altri popoli107. Diceva che per via di un retto ragionamento tutto è in tutto a causa di tutto: nel pane, infatti, c’è carne e nella verdura c’è pane, poiché i corpi sottili entrerebbero e si comporrebbero come esalazione in ogni cosa attraverso certi pori invisibili, come Diogene mostra nel Tieste, sempre che le tragedie siano opera sua e non del suo discepolo Filisco di Egina o di Pasifonte figlio di Lusiato, che secondo quanto riferisce Favorino nella Storia varia le avrebbe scritte dopo la morte di Diogene108. Filosofia del cane 55 Di musica, geometria, astronomia e delle altre discipline del genere diceva di non occuparsene, perché sono inutili e non necessarie109. [74] Era straordinariamente capace di cogliere nel segno quando rispondeva alle domande, come è chiaro da quanto abbiamo detto110. Seppe anche tollerare con grande nobiltà la schiavitù. Fu catturato dai pirati di Scirpalo mentre si recava in nave a Egina, e fu messo in vendita a Creta. Quando il banditore gli chiese cosa sapesse fare rispose: «Comandare uomini». Poi indicò un corinzio molto elegante – Seniade, come abbiamo detto – e disse: «Vendimi a lui, ha bisogno di un padrone»111. Seniade lo comprò e lo condusse a Corinto come precettore dei suoi figli, affidandogli ogni aspetto dell’amministrazione della casa 112. Diogene si dimostrò all’altezza da ogni punto di vista, tanto che Seniade diceva a tutti: «In casa mia è entrato un demone buono». [75] Nel suo Pedagogico Cleomene riporta che Diogene prese per stupidi i discepoli che avrebbero voluto riscattarlo, dicendo: «Neppure i leoni sono schiavi di chi li nutre, piuttosto questi è schiavo dei leoni: è proprio dello schiavo avere paura, invece sono le bestie feroci a spaventare gli uomini». Aveva una straordinaria capacità di persuadere gli uomini, tanto che gli riusciva facile avere la meglio su chiunque nella discussione. Si dice per esempio che 56 Diogene di Sinope un certo Onesicrito di Egina avesse mandato ad Atene uno dei suoi figli, Androstene, e che questi, dopo aver ascoltato Diogene, fosse rimasto lì. Onesicrito mandò l’altro figlio, il maggiore, a cercarlo. Si trattava del Filisco di cui abbiamo detto. [76] Ma anche Filisco non poté fare a meno di restare, come il fratello. Infine lo stesso Onesicrito raggiunse i figli per praticare la filosofia insieme a loro. Tale era il fascino irresistibile dei discorsi di Diogene. Lo seguirono anche Focione detto il Buono, Stilpone di Megara e molti uomini politici. Si dice che Diogene sia morto all’età di quasi novant’anni. Sulla sua morte si tramandano resoconti diversi. Alcuni raccontano che contrasse il colera perché aveva mangiato un polipo crudo, e che morì in questo modo. Altri riportano che morì trattenendo il respiro, e tra questi anche Cercida di Megalopoli, che nei Meliambi dice: «Non c’è più il Sinopeo, / col suo bastone / e il doppio mantello, non mangia più all’aperto / [77] ma è andato su <…> / stringendo labbra e denti / morse anche il respiro: / figlio di Zeus eri davvero113 / e cane celeste». Altri riportano che volendo condividere un polipo con certi cani fu morso al tendine di un piede, e che morì per questo. I suoi allievi, secondo quanto riporta Antistene nelle Successioni dei filosofi, ritenevano verosimile che avesse trattenuto il respiro. Lo trovarono nel Craneo, il ginnasio che si trova di fronte a Filosofia del cane 57 Corinto, avvolto nel suo mantello. Poiché era insolito che dormisse, dato che non era un dormiglione incline al sonno, scostarono il mantello che gli copriva il volto e trovando che era spirato supposero che lo avesse fatto per togliersi la vita. [78] Vi fu una disputa tra gli allievi, a quanto pare, su chi dovesse seppellirlo, e si arrivò anche alle mani. Ma i notabili della città, giunti sul posto, disposero che fosse sepolto nei pressi della porta che conduce all’Istmo. Sulla sua tomba gli allievi eressero una colonna con in cima un cane di marmo di Paro. In seguito anche i suoi concittadini gli resero onore con statue di bronzo e scrissero questo epigramma: «Invecchia anche il bronzo col tempo, ma la tua / gloria, Diogene, tutta l’eternità non l’abbatte: / tu solo mostrasti come vivere bastando a sé stessi / ai mortali, e la vita, qual è la più lieve». [79] Questo è invece un nostro epigramma, in metro procelleusmatico: «– Diogene, dimmi, che morte ti colse, / ché sei nell’Ade? – Di un cane mi colse, aspro, il morso». Alcuni dicono poi che morendo abbia dato disposizione di lasciare il suo cadavere insepolto affinché gli animali selvatici potessero tutti mangiarlo, oppure di spingerlo in un fosso e poi spargergli sopra un po’ di polvere (secondo altri di gettarlo nell’Ilisso, per poter essere utile ai fratelli). Nei suoi Omonimi Demetrio sostiene che Alessandro e Diogene siano morti lo stesso giorno, l’uno a Babilonia, l’altro a Corinto. In 58 Diogene di Sinope ogni caso era già vecchio all’epoca della centotredicesima olimpiade. [80] Quanto alle opere che gli sono attribuite, si contano diversi dialoghi: Cefalione, Ittia, La cornacchia, Pardalo, Il popolo ateniese, Repubblica, Arte etica, Della ricchezza, Erotico, Teodoro, Ipsia, Aristarco, Della morte; Lettere; e sette tragedie: Elena, Tieste, Eracle, Achille, Medea, Crisippo, Edipo. Secondo quanto Sosicrate sostiene nel primo libro della Successione dei filosofi, tuttavia, nessuna di queste opere sarebbe di Diogene. Le tragedie, di scarso valore, secondo Satiro sarebbero di Filisco di Egina, allievo di Diogene. Sozione nel settimo libro afferma invece che soltanto le opere seguenti sono di Diogene: Della virtù, Del bene, Erotico, Il mendicante, Tolmeo, Pardalo, Cassandro, Cefalione, Filisco, Aristarco, Sisifo, Ganimede, Sentenze, Lettere. [81] Vi furono cinque Diogene. Il primo era cittadino di Apollonia, e si occupava della natura. Così comincia la sua opera: «Ritengo che all’inizio di ogni ragionamento occorra fare in modo che il principio sia indubitabile». Il secondo era cittadino di Sicione, autore di uno scritto sul Peloponneso. Il terzo è il nostro. Il quarto è uno stoico, cittadino di Seleucia da generazioni ma detto babilonese per via della vicinanza di Seleucia a Babilonia. Il quinto è cittadino di Tarso e ha scritto su certe questioni poetiche cercando di risolverle. 59 Filosofia del cane Del nostro, Atenodoro, nell’ottavo libro delle Passeggiate, ricorda che era sempre lucente, perché si ungeva. Vitæ philosophorum, V I 20-81 AT E N E O II - III sec. Una volta, vedendo un cavaliere tutto rasato e profumato, disse: «Mi ero sempre chiesto perché si dice “zoccola”114, ora lo so». Deipnosophistae, X I I 565 Nella sua Repubblica Diogene stabilisce per legge che si usino gli astragali come moneta115. Deipnosophistae, I V 159 C L AU D I O E L I A N O 175 ca. - 235 Diogene diceva che Socrate stesso viveva nelle mollezze perché se ne stava nella sua bella casetta, nel 60 Diogene di Sinope suo bel lettino e ogni tanto calzava anche dei bei sandaletti118. Varia historia, I V 11 A Diotimo di Caristo, che gli aveva dato un po’ di soldi, disse: «Che gli dèi ti concedano quel che desideri / nel profondo della tua anima: un uomo e una casa»119, perché Diotimo aveva fama di essere un po’ effeminato. Varia historia, I V 27 A uno Spartiate che lodava un verso di Esiodo – «Neppure un bue morirebbe se il mio vicino non fosse malvagio» – Diogene rispose: «Beh, anche i Messeni sono morti con tutti i loro buoi, e voi siete i loro vicini»117. Varia historia, I X 28 A Olimpia scorse tra la folla in festa dei giovani di Rodi che portavano vesti magnifiche: «Tutto fumo!» esclamò ridendo. Poi vide degli spartani che portavano tuniche modeste e sudicie ed esclamò ancora: «Tutto fumo!». Varia historia, I X 34 Filosofia del cane 61 Diogene aveva male a una spalla, credo per via di una ferita o per qualche altra ragione e poiché soffriva visibilmente uno della sua cerchia si mise a insultarlo dicendogli: «Perché non ti togli la vita, Diogene, se vuoi liberarti da questi mali?». Al che Diogene rispose: «Chi sa cosa fare e cosa dire nella vita, conviene che viva (alludeva chiaramente a se stesso); quanto a te, visto che non sai cosa dire e cosa fare, se muori è un bene; quanto a me, visto che queste cose le so, conviene che io viva». Varia historia, X 11 Antistene aveva avviato diversi giovani alla filosofia, ma questi non si applicavano. Profondamente deluso, allora, non aveva più permesso a nessuno di seguirlo. Tra gli aspiranti allievi c’era Diogene, che fu ugualmente respinto. Alle sue insistenze, Antistene lo minacciò con il bastone e addirittura lo colpì sulla testa. Diogene non accennò a desistere e anzi tornò alla carica con maggiore insistenza mostrando il più grande desiderio di ascoltare il maestro, al quale disse: «Colpiscimi pure, se vuoi, ecco la mia testa: non troverai un bastone abbastanza duro da farmi rinunciare ad ascoltarti». A quel punto Antistene lo accolse di buon grado come allievo116. Varia historia, X 16 62 Diogene di Sinope G N O M O L O G I U M VAT I C A N U M III sec.?120 Trovando una spada abbandonata esclamò: «Qualcuno ti ha perduto o hai perduto qualcuno?». Gnomol. Vat., 170 Al figlio di una flautista che era un gran vanitoso, disse: «Quanto a darti arie, hai più fiato di tua madre». Gnomol. Vat., 173 Una volta che un ragazzo si vantava della magnifica lana delle proprie vesti commentò: «Quando smetterà di millantare le virtù della pecora?». Gnomol. Vat., 177 Sentì che qualcuno parlava male di lui, al che disse: «Non mi sorprende, non ha mai imparato a parlare bene». Gnomol. Vat., 179 A chi gli chiese chi fosse l’uomo più ricco rispose: «Chi è sufficiente a se stesso». Gnomol. Vat., 180 Filosofia del cane 63 Aristippo gli aveva chiesto a cosa gli fosse servita la filosofia. Rispose: «A essere ricco senza avere un soldo». Gnomol. Vat., 182 A un tale che lo insultava, Diogene rispose: «Nessuno mi crederebbe se parlassi bene di te, così nessuno ti crede se parli male di me». Gnomol. Vat., 186 A chi gli chiese come si possa respingere un nemico rispose: «Basta essere gentili e amabili con lui». Gnomol. Vat., 187 Scorgendo un giovane che si intratteneva con tutti i sofisti e desiderava a ogni costo accostarsi anche a lui disse: «Non venire, non sapendo dove battere la testa, a piangere ai miei piedi»121. Gnomol. Vat., 193 Al dialettico Polisseno, indignato perché certuni lo chiamavano “cane”, disse: «Chiamami cane anche tu, Diogene è solo un soprannome122, io sono davvero un cane. Ma di razza, di quelli che hanno a cuore gli amici». Gnomol. Vat., 194 64 Diogene di Sinope Diceva che è tre volte schiavo123 chi si lascia vincere dallo stomaco, dal sesso e dal sonno. Gnomol. Vat., 195 A chi gli chiedeva perché mangiasse nell’agorà rispose: «A quanto so, anche i piloti e gli operai si portano da mangiare al lavoro»124. Gnomol. Vat., 196 Una volta, vedendo un conoscente intrattenersi con dei viziosi, disse: «Se volendo fare un viaggio in mare si scelgono i compagni migliori, è assurdo che avendo deciso di vivere rettamente si prendano compagni a caso». Gnomol. Vat., 197 Ho tutto quel che si trova nelle tragedie, «povero ed errante, vivo alla giornata», ma qualunque sia la mia condizione, per la felicità sono pronto a lottare perfino contro il re dei Persiani125. Gnomol. Vat., 201 65 Filosofia del cane PA P Y RU S B O U R I A N T N ° III - IV sec.?126 1 Vedendo una donna imparare le lettere disse: «È come se affilasse una spada». Vedendo due donne prendere accordi disse: «Lo scorpione si procura il veleno dal ragno». Vedendo un africano mangiare del pane bianco e disse: «Ecco, la notte soffoca il giorno»127. Vedendo un africano andare di corpo e disse: «È bucato come un paiolo». Papyrus Bouriant N° 1; Crönert, pp. 157-158 AU S O N I O 310 - 395 «Dimmi, cane, di chi è questa tomba?». «Di un cane». «Ma chi è questo cane?». / «Diogene». «È morto?». «Non è morto, se n’è andato»128. / «Diogene, che per sola ricchezza aveva una bisaccia e per casa una botte è tra le ombre?». «No, Cerbero gli sbarra la strada». / «E allora dov’è andato?». «Lì dove brilla la stella del Leone, / è il cane da guardia della nobile Erigone»129. In Diogenis Cynici sepulcro, in quo pro titulo canis signum est, V I 29 66 Diogene di Sinope Ritengo che la ricchezza provenga dall’anima e non l’anima dalla ricchezza: Creso desidera possedere ogni cosa, / Diogene non desidera nulla. De herediolo, 11-12 STOBEO V sec. Nell’agorà un astrologo mostrava a un gruppo di persone delle tavolette illustrate con immagini di astri e sosteneva che si trattasse di astri erranti, al che <Diogene> disse: «Ti sbagli, mio caro, erranti non sono questi, ma questi» indicando gli astanti130. II, 1, 23 W. H . Diogene faceva un discorso sulla moderazione e l’autocontrollo. Quando gli Ateniesi cominciarono a lodarlo esclamò: «Accidenti a voi che mi contraddite con le vostre azioni»131. II, 15, 43 W. H . Quando ti preoccupi di un altro, non ti curi di te. II, 31, 61 W. H . 67 Filosofia del cane Considerava assurdo che si sia disposti a versare dell’olio nella lampada per vedere il cibo sulla tavola, ma non si vuole consumare alcunché per la saggezza dello spirito al fine di distinguere cos’è meglio per la vita. II, 31, 74 W. H . A chi gli chiese quale fosse la cosa più pesante che la terra sopporti rispose: «Un uomo incolto». II, 31, 75 W. H . Diceva che educare i giovani è come per un ceramista modellare l’argilla: questi infatti le dà forma e proporzioni quando è ancora tenera, poiché se si indurisce non è più possibile plasmarla; allo stesso modo, i giovani che non sono stati educati attraverso le fatiche, crescendo diventano impossibili da plasmare. II, 31, 87 W. H . L’ educazione è come una corona d’oro: gode di grande considerazione ed è molto cara. II, 31, 92 W. H . A un geometra che lo tacciava di essere ignorante e incolto rispose: «Riconosci a mio credito che non ho 68 Diogene di Sinope imparato niente di ciò che lo stesso Chirone ritenne di non insegnare ad Achille». II, 31, 118 W. H . A chi gli chiedeva che cos’è un amico rispose: «Un’anima in due corpi». II, 33, 10 W. H . A chi gli chiese cosa invecchi più rapidamente negli uomini rispose: «La grazia». II, 46, 13 W. H . A chi gli chiedeva il modo per diventare maestri di sé stessi rispose: «Rimproverando innanzitutto a sé stessi quel che si rimprovera agli altri». III, 1, 55 W. H . A chi lo accusava di essere incapace di pensare disse: «Non sono incapace di pensare, non penso come voi». III, 3, 51 W. H . Una volta che camminava all’indietro sotto un portico, a chi prese a deriderlo disse: «Non vi vergognate di 69 Filosofia del cane deridere chi cammina all’indietro sotto un portico quando voi stessi camminate all’indietro nella vita?». III, 4, 83 W. H . Diceva Diogene: «Gli uomini si procurano il necessario per vivere ma non per vivere bene». III, 4, 85 W. H . Diogene disse: «Vedo molti lottatori e corridori, ma nessuno che si sforzi di rendere nobile il proprio animo». III, 4, 111 W. H . Diogene diceva: «È terribile che atleti e musici dominino la pancia e i piaceri per curare la voce o il corpo, ma nessuno si priva di queste cose in virtù della moderazione». III, 5, 39 W. H . Diogene si prendeva gioco di chi protegge i suoi tesori con catenacci, chiavistelli e sigilli ma apre ogni porta e finestra del suo corpo: la bocca, il sesso, le orecchie e gli occhi. III, 6, 17 W. H . 70 Diogene di Sinope Diogene: «Si chiede la salute agli dèi, ma i più fanno tutto ciò che alla salute è contrario»132. III, 6, 35 W. H . Nel corso della loro vita i più si corrompono compiendo lavacri e fornicazioni ma chiedono che una volta morti li si deponga nel balsamo o addirittura nel miele per rallentare la putrefazione. III, 6, 36 W. H . Diogene diceva che se una casa è piena di cibo ci sono anche molti topi e donnole, e allo stesso modo se un corpo prende molto cibo attira anche le malattie. III, 6, 37 W. H . Diogene diceva che nulla è più vile dell’adultero che rinuncia alla propria anima in cambio di ciò che si può comprare con una moneta. III, 6, 39 W. H . Diogene diceva che gli uomini mangiano per piacere e per lo stesso motivo non vogliono smettere. III, 6, 40 W. H . 71 Filosofia del cane Nulla vale la pena di essere fatto, a meno che il fine sia l’elevazione e la forza dell’anima, non del corpo. III, 7, 17 W. H . Vedendo che i cittadini di Megara edificavano delle grandi mura disse: «Sciocchi, invece che della grandezza delle mura curatevi di quella di chi deve starci dentro». III, 7, 46 W. H . Diogene comparava l’avaro al malato di idropisia poiché entrambi desiderano avere in quantità sempre maggiore ciò di cui sono già pieni – l’uno i soldi, l’altro l’acqua – e la loro passione aumenta a misura che riescono a procurarsi quel che bramano. III, 10, 45 W. H . «Gli avari usano la vita come un’arma: per loro ogni cosa è un appiglio»133. III, 10, 57 W. H . Diogene il cane vedendo un tale amoreggiare con un’anziana facoltosa disse: «Non gli è caduto l’occhio ma il dente». III, 10, 60 W. H . 72 Diogene di Sinope Diogene chiamava chi aveva ereditato somme ingenti ingente-indigente134. III, 10, 62 W. H . Diogene diceva che il rimprovero è un bene altrui. III, 13, 42 W. H . A un cittadino dell’Attica che lo biasimava perché non era andato a vivere tra gli Spartani di cui pure tesseva volentieri gli elogi Diogene rispose: «Anche il medico non va ad abitare a casa dei malati, benché li curi». III, 13, 43 W. H . Diogene diceva: «Gli altri cani mordono i nemici, io invece mordo gli amici, per salvarli». III, 13, 44 W. H . Chiese a Platone se avesse scritto Le leggi. L’ altro rispose di sì. Allora gli chiese: «Che è accaduto? Non hai scritto anche La repubblica?». L’ altro rispose che com’è noto l’aveva scritta. Quindi disse: «Ma allora era una repubblica senza leggi». Platone negò. «Dunque che bisogno c’era di scrivere anche Le leggi?». III, 13, 45 W. H . 73 Filosofia del cane Di Platone diceva, a ragione: «A che ci serve un uomo che ha passato tanto tempo a fare filosofia senza dare fastidio a nessuno?». III, 13, 68 W. H . «L’ adulazione ha dell’amicizia soltanto il nome, come un’iscrizione su un monumento». III, 14, 14 W. H . «La vanità è come un’arma placcata d’oro: l’interno non somiglia all’esterno». III, 22, 40 W. H . Come un pastore, l’orgoglio conduce la gente a suo piacimento. III, 22, 41 W. H . Diogene diceva che Medea era una donna saggia e non un’avvelenatrice. Infatti prendeva uomini molli e corrotti nel corpo dalla lussuria e li rendeva forti facendoli sudare con gli esercizi ginnici e i bagni di vapore, ragion per cui si diffuse la voce che mettesse a cuocere carne umana per ringiovanirli135. III, 29, 92 W. H . 74 Diogene di Sinope A un tale che diceva di essere un filosofo ma discuteva in modo cavilloso disse: «Sciagurato, dici di fare filosofia quando invece rovini con i discorsi quel che di meglio c’è nella vita del filosofo». III, 33, 14 W. H . A chi gli rinfacciava la sua povertà rispose: «Sciagurato, non hai mai visto nessuno che si sia messo a fare il tiranno per via della povertà, ma molti per via della ricchezza». III, 33, 26 W. H . Poiché si era rivolto a uno della sua cerchia che però era rimasto in silenzio disse: «Non credi che si debba non soltanto sapere cosa dire e quando ma anche cosa tacere e con chi?». III, 34, 16 W. H . Una volta che si trovava nel giardino di Platone, gli chiese tre fichi secchi. Platone gliene fece recapitare un intero medimno, al che disse: «Ecco, gli si chiede per uno e risponde per mille»136. III, 36, 21 W. H . 75 Filosofia del cane Agli uomini che agiscono rettamente la vita sembra migliore e la morte, per la stessa ragione, più crudele. Chi vive male trascorre i propri giorni con grande pena e trova piacevole la morte. Le due cose sono invece ugualmente penose, e più di quanto lo siano per gli altri uomini, lo sono per i tiranni, poiché questi vivono in modo di gran lunga meno gradevole di chi più desidera la morte e temono di morire più di chi maggiormente ha gioia di vivere. IV, 8, 27 W. H . Fu chiesto a Diogene come padre e figlio debbano comportarsi l’uno nei confronti dell’altro: «Ciascuno dovrebbe agire anticipando l’altro senza aspettare che formuli una richiesta. È verosimile che il padre, che avrà fatto il primo passo, si irriti subito se non è trattato bene. E che il figlio si inorgoglisca e pensi che allora non valga la pena chiedere alcunché». IV, 26, 23 W. H . A chi gli chiedeva quali siano gli uomini più nobili rispose: «Quelli che disprezzano la ricchezza, la fama, il piacere e la vita e sono superiori ai loro contrarî, cioè la povertà, l’anonimato, il dolore e la morte». IV, 29a, 19 W. H . 76 Diogene di Sinope Diceva che la virtù non potrebbe mai abitare in una casa o in una città ricca. IV, 31c, 88 W. H . Diceva che quanto alla filosofia, la povertà è un rimedio utile per imparare da sé: la filosofia cerca di convincere a parole, la povertà si impone con i fatti. IV, 32a, 11 W. H . A un vizioso che lo disprezzava per la sua povertà rispose: «Non ho mai visto nessuno che fosse pervertito a causa della povertà, ma a causa del male ne ho visti molti». IV, 32a, 19 W. H . A un suo caro che si era infortunato e gli chiedeva aiuto disse: «Approfitti di questa pena per non darti pena!»137. IV, 36, 10 W. H . La felicità non è altro che stare allegri in tutto e per tutto e non rattristarsi in nessun modo, qualunque sia la situazione o l’occasione. IV, 39, 20 W. H . 77 Filosofia del cane Occorre dire che la vera felicità consiste nell’avere sempre mente e anima serene e gaie. IV, 39, 21 W. H . Quando si trovava in circostanze avverse diceva: «Fai bene, Fortuna, a schierarti innanzi a me virilmente!»138. IV, 44, 71 W. H . A chi gli chiese quale sia la cosa più alta rispose: «La speranza». IV, 46, 20 W. H . A un tale che si lamentava dicendo che vivere è una pena disse: «Non vivere ma vivere male»139. IV, 53, 26 W. H . ANTONIUS ET MAXIMUS V sec.? I medici addolciscono col miele l’amarezza dei loro farmaci elettuari, l’allegria permette ai saggî di rendere a 78 Diogene di Sinope sé stessi più sopportabile la compagnia degli uomini sgradevoli. Sermo de hominibus malis, 64 «Rimproverare un vecchio è come curare un morto». De admonitione, 254 A un uomo calvo che parlava male di lui disse: «Invece di oltraggiarti anch’io, loderò i tuoi capelli che hanno abbandonato un cranio tanto brutto»140. Sermo de vituperatione et calumnia, 260 A un traditore che lo oltraggiava rispose: «Sono contento di essere diventato tuo nemico visto che fai del male non ai tuoi nemici ma ai tuoi amici». Sermo de vituperatione et calumnia, 260 A un simposio gli era stato servito molto vino e prese a versarlo per terra. Poiché certuni lo rimproverarono, disse: «Se lo avessi bevuto, non solo sarebbe andato perduto, ma avrebbe perduto anche me». Sermo de ebrietate, 302 Filosofia del cane 79 Diogene si era messo a correggere un miserabile e a un tale che gliene chiese la ragione disse: «Sto dando una strigliata a un etiope per renderlo bianco». Sermo de hominibus malis, 64. Vedendo un gruppo di donne che chiacchieravano, Diogene disse: «L’ aspide prende in prestito il veleno dalla vipera»141. Sermo de mulieribus improbis, 609 Diogene il cinico vedendo una vecchia che si imbellettava le disse: «Se lo fai per i vivi, ti illudi, se lo fai per i morti, è meglio che ti sbrighi». Sermo de senibus inhonestis et imprudentibus, 875 Diogene il cinico a un tale che si lamentava di dover morire in terra straniera disse: «Di che ti lamenti, stupido: ovunque tu sia, la strada per l’Ade è la stessa». Sermo de morte, 878 È altrettanto colpevole colui che dà a chi non è meritevole e colui che non dà a chi è meritevole. De beneficentia, 277 80 Diogene di Sinope Gli uomini di bell’aspetto ma incolti sono come i vasi di alabastro colmi di aceto. Sermo de pulchritudine, 566 Vedendo i servi di Anassimene che trasportavano una gran quantità di suppellettili, Diogene chiese loro di chi fossero tutte quelle cose, e quando gli risposero che erano di Anassimene disse: «È padrone di tutte queste cose ma non di se stesso». De divitiis et paupertate, 758 FLORILEGIUM MONACENSE VII o X I sec.?142 Il re Alessandro inviò una volta a Diogene una scodella piena d’ossi. Questi, accettandola, disse: «Come cibo è degno di un cane, ma non è degno di un re come regalo». Florileg. Monac., 155 Un amico lo esortava ad avere dei figli: «Non temere» gli disse, «i miei figli sono le mie vittorie». Florileg. Monac., 156 Filosofia del cane 81 Ad Antipatro, che gli aveva scritto parlando molto male di sua madre rispose: «Ignori, Antipatro, che una sola lacrima di mia madre basta a cancellare mille lettere ingiuriose». Florileg. Monac., 157 Una volta ricevette questo avvertimento: «Se puoi far strada, non andare per mare». Florileg. Monac., 158 Ogni giorno, esponi a tua moglie le tue vergogne143. Florileg. Monac., 159 A un vecchio che si tingeva i capelli disse: «Non dovresti tingerti i capelli, ma le ginocchia»144. Florileg. Monac., 160 Il vero piacere, diceva Diogene, consiste nell’avere un’anima allegra e gioiosa, poiché altrimenti perfino le ricchezze di Creso o di Mida non servono a nulla. I dolori, grandi o piccoli che siano, rendono tristi, non felici145. Florileg. Monac., 179 NOTE AI TESTI 1. Allusione alla mollezza dei costumi ateniesi rispetto a quelli spartani, tema peraltro caro a Platone. In questo passo si trova la più antica attestazione del soprannome “il Cane”. Sulla questione si vedano però le cautele espresse da M.-O. Goulet-Cazé, Who Was the First Dog?, in R. Bracht Branham, M.-O. Goulet-Cazé (a cura di), The Cynics: The Cynic Movement in Antiquity and Its Legacy, University of California Press, Berkeley 1997, pp. 414-415. 2. Si tratta della più antica e importante testimonianza sugli scritti di Diogene, e in particolare su una sua opera intitolata Repubblica (cfr. infra, Ateneo, Deipnosophistae, IV 159). In proposito si veda M.-O. Goulet Cazé, Les kunika du stoïcisme, Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2003, pp. 34 ss. Il resoconto di Filodemo, epicureo, attribuisce una sostanziale continuità alla tradizione cinico-stoica, nei confronti della quale esprime un’esplicita avversione. Si tratta dunque di uno snodo determinante per comprendere la corruzione dello stesso termine “cinico”, che assume assai precocemente un’accezione negativa. In proposito, giova qui ricordare che, nella sua magistrale riflessione sul cinismo moderno, Peter Sloterdijk (Critica della ragion cinica, Garzanti, Milano 1992) ha proposto di indicare il cinismo delle origini con il termine “kunismo”. 3. Gli astragali erano anticamente utilizzati come dadi. Anche tenendo conto dell’aneddotica sull’alterazione della moneta (cfr. infra 84 Diogene di Sinope Diog. Laërt., V I 20 ss.), l’impiego di un gioco al posto della moneta è coerente con la critica radicale rivolta da Diogene alle istituzioni e alla legge. Cfr. piuttosto Diog. Laërt. V I 35 e Plutarco, Lib. educ., 5C. 4. Sulla critica di Diogene alla religione si veda M.O. GouletCazé, Les Premiers cyniques et la religion, in M.O. Goulet-Cazé, R. Goulet (a cura di), Le Cynisme ancien et ses prolongements, P U F , Paris 1993, pp. 117-159. 5. Concezione della morte che riecheggia ambiguamente tematiche epicuree. Cfr. Diog. Laërt. V I 68. 6. La vicenda della vendita all’asta di Diogene, ampiamente documentata da Diogene Laerzio e poi divenuta topos letterario con Luciano, si intreccia ambiguamente con quella delle vicissitudini di Platone in Sicilia e della sua vendita come schiavo al mercato di Egina dopo la rottura con Dionisio I. 7. L’ ambiguità tra l’accezione mercantile e quella morale di termini come “stima” o “valore” su cui gioca il detto permane intatta in italiano. In greco: o{ti tw'n ajxivwn ta; tivmia oujde;n diafevrei. 8. Cratete di Tebe appartiene alla prima generazione dei discepoli di Diogene. Fu maestro di Zenone di Cizio, fondatore dello stoicismo. 9. Si tratta di una delle più antiche allusioni ad Antistene come maestro di Diogene e iniziatore della scuola cinica. Il fatto è in sé assai dubbio e fu contestato fin dall’antichità (cfr. D.R. Dudley, A History of Cynicism, Methuen & Co., London 1937, p. 1 ss.). 10. Il tema del rapporto tra Diogene e Alessandro e dei loro modelli antitetici di vita e di valori sarà sviluppato in un’ampia aneddotica, in gran parte registrata da Diogene Laerzio. 11. Dionisio I I , tiranno di Siracusa dal 367 al 357 a.C., poi dal 347 al 345. Platone cercò invano di ispirarne la politica. Note ai testi 85 12. Cfr. Diog. Laërt., V I 34-35. Interessante che qui il gestaccio aggiunga alla deissi il disvelamento della vera natura dell’individuo. 13. Cfr. la chiosa della biografia di Diogene Laerzio (V I 81). 14. La tesi riecheggia in parte quella di Solone, che nessuno possa dirsi felice finché vive, ma soltanto al termine dei suoi giorni, e in parte il tema anassagoreo, poi platonico, della melevth qanavtou, l’“esercitarsi a morire”. Il riferimento al “morire sereni” [to; eujkovlw" ajpoqnhvskein] potrebbe però rinviare specificamente all’ascesi cinica. 15. Cfr. infra Diog. Laërt., V I 39, che attribuisce la confutazione performativa esplicitamente a Diogene. 16. Il sofisma consiste nel predicare il genere come proprio. La replica di Diogene è invece ad hominem e riprende un tema tipico del filosofo, la contrapposizione uomo/non-uomo, riccamente attestata in Diogene Laerzio. 17. Il termine novmisma indica sia la moneta avente “valore legale” sia il “sistema di valori” con riferimento ai costumi e alle istituzioni. Le ricerche di C.T. Seltman, Diogenes of Sinope, Son of the Banker Hikesias, in J. Allan, H. Mattingly, E.S.G. Robinson (a cura di), Transactions of the International Numismatic Congress (1936), Royal Numismatic Society, London 1938, p. 121 hanno rivelato che nella zona di Sinope è stato effettivamente ritrovato un numero assai rilevante di monete alterate risalenti al 350-340 a.C. che portano il nome di Icesio come magistrato deputato alla valuta. Secondo la cronologia che ne consegue, Diogene non avrebbe mai incontrato Antistene e si sarebbe recato ad Atene molto tardi, anche dopo la morte dello stesso Platone. In merito si veda A.A. Long, The Socratic Tradition: Diogenes, Crates, and Ellenistic Ethics, 86 Diogene di Sinope in R. Bracht Branham, M.O. Goulet-Cazé (a cura di), The Cynics, cit., pp. 28-46, p. 45 e D.R. Dudley, A History of Cynicism, cit., pp. 21 ss. 18. L’ espressione povro" th;" peristavsew" diverrà un motto cinico. 19. La traduzione è qui abbastanza fedele alla coppia di termini greci scolhv / colhv, lett. “scuola” / “bile” benché suoni inevitabilmente con meno efficacia. 20. Il testo greco ha diatribhv e katatribhv. È interessante tuttavia osservare che, fuori contesto, diatribhv significa in primo luogo non “insegnamento” o “scuola” bensì precisamente “perdita di tempo” (cfr. il latino otium). Il gioco di Diogene consiste pertanto nel richiamare il senso primario del vocabolo opponendolo a quello derivato, con un effetto particolarmente straniante. 21. Il termine brovcon indica specificamente la corda dell’impiccato. L’ assonanza liquida-velare con lovgon (lett. “discorso”, “ragione”) doveva essere più perspicua all’orecchio greco di quanto non sia al nostro. 22. Il senso figurato del verbo teretivzw, “cinguettare”, è precisamente “chiacchierare”. La performance di Diogene sembra dunque avere un sottotesto verbale. 23. La satira ai danni della filologia omerica si trova già in Luciano, Vera historia, I I 20. 24. La metaforica dell’armonia della lira risale almeno a Eraclito (D K 22 B 48 e 51). 25. Le variazioni su temi socratici delle linee precedenti si concludono qui con un riferimento alquanto esplicito al “demone” di Socrate, la cui particolarità consisteva appunto nell’indurre il filosofo a desistere dal fare ciò a cui si accingeva (ajei; ajpotrevpei me tou'to o{ a[n mevllw pravttein, protrevpei de; ou[pote, Platone, Apologia, Note ai testi 87 31d). La versione cinica sarebbe dunque una radicalizzazione di questo “freno” morale. 26. L’ identità di questo e altri presunti autori di “Vendite di Diogene” non è del tutto chiara. K. von Fritz, Quellenuntersuchungen zu Leben und Philosophie des Diogenes von Sinope, Dieterich’sche Verlagsbuchhandlung, Leipzig 1926, pp. 22 ss. ritiene che si tratti di una storia di pura invenzione. Il tema si ritrova nell’“asta dei filosofi” di Luciano (Vitarum auctio). 27. Diogene Laerzio illustra qui con un certo numero di esempi il metodo pedagogico di Diogene, incentrato sulla pratica dell’esercizio (a[skesi") fisico e spirituale. In V I 70 ss. si trova invece un’esposizione dei principî teorici del metodo. 28. Difficile rendere altrimenti l’opposizione tra i termini ajnavphro" (storpio) e phvra (bisaccia). Menomato sarebbe dunque chi non si conforma alla modestia della vita cinica. 29. Qui e altrove Diogene Laerzio attribuisce a Diogene stesso la paternità del soprannome. 30. Lett. «batti soltanto schiavi». I termini contrapposti sono a[ndra", “uomini” (con riferimento alla virilità) e ajndravpoda, “schiavi” (parola in cui risuona un riferimento ai piedi). L’ atleta, cioè, è migliore degli altri soltanto sul piano fisico, il filosofo lo è da ogni punto di vista. 31. Secondo Plutarco questa abitudine causò la morte di Diogene (De esu carnium, 995D). Lo stesso Diogene Laerzio riporta la notizia secondo cui Diogene potrebbe essere morto perché aveva mangiato un polpo crudo. Per altro verso, occorre considerare il rituale dionisiaco, in cui il consumo di carne cruda è un momento rilevante, oltre alla ben nota equipollenza delle coppie crudo/cotto 88 Diogene di Sinope e natura/cultura, quest’ultima essendo centrale nella filosofia cinica. 32. Stridente il contrasto tra la fama di Demostene e la taverna: pandokei'on significa letteralmente “che accoglie chiunque”. 33. Il gesto aveva ai tempi significato identico a quello attuale. 34. Euripide, Medea, 410. 35. Ragionamento fallace deliberatamente imperniato sull’anfibolia. 36. Non è escluso che vi sia qui un riferimento erotico. La tesi dell’onnipresenza divina è un retaggio presocratico ma occorre soprattutto considerare che il panteismo sarà un aspetto fondamentale della tradizione stoica. 37. Adesp. 284 Nauck. 38. La frase riassume le polarità fondamentali della filosofia cinica: tuvch (destino) e qavrso" (coraggio), novmo" (legge, cultura) e fuvsi" (natura), pavqo" (passione) e lovgo" (ragione). 39. Esempi della confutazione performativa tipica di Diogene, che oppone l’evidenza del fatto o dell’azione alla vanità del ragionamento. Cfr. però l’uso di un sillogismo fallace qualche riga sopra. Il famoso paradosso del “cornuto” risale a Eubulide di Mileto, filosofo megarico (I V sec. a.C.): «Hai ciò che non hai perduto. Non hai perduto le corna. Dunque hai le corna». In generale si veda R. Bracht Branham, Defacing the Currency: Diogenes Rethoric and the Invention of Cynicism, in R. Bracht Branham, M.-O. Goulet-Cazé (a cura di), The Cynics: The Cynic Movement in Antiquity and Its Legacy, cit., pp. 81-104. 40. Notevole che in questo caso la confutazione performativa metta in luce l’inadeguatezza della dialettica platonica sul piano della divisione e della definizione, mostrando che per via dicotomica non è possibile pervenire alla formulazione di un discorso Note ai testi 89 definitorio. Diogene Laerzio cita qui la definizione accademica canonica, che corrisponde peraltro letteralmente a quella riportata nella silloge pseudo-platonica delle Definizioni: a[nqrwpo" zw/'on a[pteron divpoun platuwvnucon (Def. 415a 11). 41. Il gioco di parole si basa qui sul doppio senso del termine travpeza, che indica il “tavolo”, e quindi il “banco”, ma anche una superficie piatta del corpo come la “fronte” o il “dorso”. 42. Come l’equivalente italiano, anche il greco aJmavrthma indica sia “errore” in senso materiale sia “colpa” morale. 43. La battaglia di Cheronea ebbe luogo nel 338 a.C. 44. “Modesto” traduce qui il greco a[qlio". Il gioco di parole si basa sulla declinazione seriale del termine nella medesima frase. 45. Vale a dire “se miri a finire al palo”, cioè a essere condannato per qualche malefatta. 46. La pelle di leone era un attributo di Eracle, considerato da Diogene e poi dai cinici un modello di virtù. 47. Callistene di Olinto, parente di Aristotele, la cui famiglia vantava stretti legami con la corte macedone. 48. Il greco ha aijtevw “prego”, “chiedo di avere” e ajpaitevw “chiedo che mi sia restituito ciò che mi appartiene”. 49. Cfr. Ateneo, I V 158 F . 50. Il cottabo era un gioco a sfondo erotico che consisteva nel cercare di far cadere un piattello posto in bilico su un’asta lanciando del vino con la propria tazza. 51. Lo starnuto era anticamente considerato un segno da cui trarre auspici, e la sinistra era il lato della cattiva ventura. Stando alla testimonianza di Plutarco (Il demone di Socrate, 581 B ) potrebbe esservi inoltre un riferimento socratico prossimo a V I 29, poiché 90 Diogene di Sinope pare che Socrate considerasse lo starnuto da sinistra come un’indicazione del suo “demone” a desistere da un’azione. 52. Diogene sfrutta qui la doppia accezione del verbo gravfw che significa generalmente “scrivere” ma vale anche per “disegnare” o “dipingere” (duplicità che non ha un equivalente in italiano). Il tema della critica della scrittura rispetto alla viva pratica della ricerca filosofica, come è noto, è socratico e platonico, ma il richiamo all’“esercizio” [a[skhsi"] è specificamente cinico. Egesia era un filosofo cirenaico. 53. Intraducibile la sottintesa assonanza tra Nemea, pianura in cui si svolgevano i giochi omonimi, analoghi a quelli olimpici, e il verbo nevmw, “pascolare”. 54. Le statue di Armodio e Aristogitone, vere e proprie icone della democrazia ateniese che nel 514 a.C. avevano animato la rivolta contro i Pisistratidi, erano all’epoca piuttosto diffuse e un gruppo scolpito da Antenore si trovava nella stessa agorà. 55. Cfr. Gnomol. Vat. 169. 56. Cfr. Antonius et Maximus, De lucri cupiditate, 226. 57. Uno dei giochi di parole più ricorrenti nelle testimonianze su Diogene: nel nome del centauro Chirone [Ceivrwn], modello di virtù e saggezza, maestro di Achille, risuona ambiguamente il comparativo ceivrwn, “peggiore”, che richiama la natura generalmente rozza e malvagia della stirpe dei centauri. 58. L’ ambiguità è tra il nome Didimo e “didimo” nel senso di testicolo (il greco ha divdumo"). 59. Il gioco è imperniato sul verbo ejmpivptw che significa “cadere” ma anche “subire un processo”. 60. Nel testo greco l’assonanza è tra ejp’ ajleimmavtion e ejp’ a[ll’ iJmavtion, lett. «per un unguento o per un mantello». Note ai testi 91 61. Il. X 343, 387. 62. Cfr. Gnomol. Vat., 200: «il padrone di casa». 63. Il. V I I I 95. Deliberatamente decontestualizzata, la citazione omerica assume una sfumatura erotica. 64. Il. X V I I I 95, ma si tratta di una parodia, poiché ajgoravzei", “compri” sostituisce l’originale ajgoreuvei", “dici”. 65. La risposta di Platone evoca le ben note espressioni “vista della mente” hJ th'" dianoiva" o[yi" (Simposio 219a) e “vista dell’anima” hJ th'" yuch'" o[yi" (Repubblica 519b), che indicano la facoltà capace di scorgere le idee in quanto forme intelligibili. 66. La genuinità del passo è controversa, ma l’aneddoto è documentato anche da Eliano, Var. hist. X I V 33. La battuta di Platone non implica in senso stretto un’affiliazione di Diogene alle scuole socratiche, né vi si può scorgere un riferimento alle forme di follia “positiva” distinte dal Socrate platonico nel Fedro. Si tratta però di una chiara testimonianza del fatto che le performance di Diogene erano recepite come una modalità, sia pure distorta, di interazione dialettica riconducibile a una versione estrema, “folle”, dell’ironia socratica. 67. Il greco ha un’assonanza tra ajtucei'", “sei disgraziato” e ajdikei'", “commetti ingiustizia”. 68. In greco il gioco si basa sull’alternanza di katagelw'sin e katagelw'mai (attivo / medio passivo). 69. Cfr. Seneca, De tranquillitate animi, 8, 7: «il mio schiavo è scappato, ma sono io ad essermi liberato». 70. Parodia del celeberrimo passo di Euripide (Phœn., 40) in cui Laio intima di scansarsi al figlio Edipo, che non ha riconosciuto. 71. Difficile rendere altrimenti la complessa parodia di Il. V 366 (cfr. Il. V I I I 45; Od. V I 82), incentrata sull’omografia ejlavan, nel 92 Diogene di Sinope contempo forma del verbo “avanzare” e accusativo di “oliva”. Nel caso della formula omerica si tratta naturalmente di cavalli. 72. Così integrano Sternbach e Gigon in base a Gnomol. Vat., 188. 73. Il greco ha trofhvn “cibo” e tafhvn “sepoltura”, dunque lett. «voglio soldi per mangiare, non per il mio funerale». 74. Il. V 83. 75. Il gioco si basa sull’assonanza tra Cratero, potente generale di Alessandro Magno che diventerà governatore della Grecia alla morte di questi, e il cratere della tavola. 76. Anassimene di Lampsaco era assai vicino alla corte macedone. 77. Come l’italiano “coltivare” anche il greco qerapeuvw si applica sia alle relazioni umane che ai vegetali. 78. Potrebbe trattarsi qui dell’imprecisa formulazione di un falso sillogismo incentrato su un’anfibolia o di un gioco simile a supra V I 54. 79. Cfr. Gnomol. Vat., 176. Il tema del gradus che dal godimento estetico della bellezza del corpo conduce alla contemplazione dell’idea del bello è tipicamente platonico (cfr. ad esempio Simposio, 210a ss.). 80. Samotracia era un centro di culto di importanza paragonabile a Eleusi. Sulla critica di Diogene ai rituali religiosi si veda almeno M.O. Goulet-Cazé, Les Premiers cyniques et la religion, cit. 81. Gioco di parole tanto complesso quanto sboccato. Chirone, come abbiamo detto, è il centauro più saggio, Eurizione aveva invece fama di essere il più intemperante. Ma per via dell’assonanza del nome Eurizione con il comparativo “più largo”, il sottotesto racchiude un’allusione alla sodomia: “più brutto no, più largo sì” (già Mullach glossa eujruvprwkto", “rotto in culo”). 82. Dal confronto con Stobeo, I V , 31b, 48 e I I I , 15, 10 si evince che si tratta di un’assonanza tra kovraka", “corvi” e kolakiv", “cortigiana”. Note ai testi 93 83. Famosa etera frequentata da alcuni tra i maggiori intellettuali del I V sec., grazie alla sua bellezza leggendaria accumulò ricchezze straordinarie, tanto da offrirsi di ricostruire le mura di Tebe, a patto che vi fosse incisa l’iscrizione «Distrutte da Alessandro, ricostruite dall’etera Frine». Pare che in effetti sia stata modella di Prassitele per la realizzazione dell’Afrodite d’oro di Delfi, che riportava l’iscrizione «Frine, figlia di Epicle di Tespi» (Ateneo, Deipnosofisti, X I I I 59 ss.). 84. Cfr. Gnomol. Vat., 189. 85. Cfr. Gnomol. Vat., 175. 86. Difficile rendere in italiano l’assonanza tra il nome della città di Tegea e il termine tevgo", “bordello”. 87. Si rende così l’allusione al termine uJpobolimai'o", “supposito”, attraverso l’uso del verbo uJpobavllw, che significa “mettere sotto” ma anche appunto “spacciare il figlio di un altro come proprio”. 88. Si tratta della più antica attestazione del termine kosmopolivth", “cosmopolita” che fu dunque probabilmente coniato da Diogene. In generale si veda J.L. Moles, Cynic Cosmopolitanism, in R. Bracht Branham, M.-O. Goulet-Cazé (a cura di), The Cynics: The Cynic Movement in Antiquity and Its Legacy, cit., pp. 105-120. 89. Si tratta con ogni probabilità di un falso in stile omerico, poiché il verso non si trova in nessun manoscritto dell’Iliade e non è riportato altrove. 90. Divinità sincretistica greco-egizia che in terra greca aveva il centro di culto principale a Sinope, città natale di Diogene. L’ introduzione del culto ad Alessandria d’Egitto e la costruzione di un tempio, il Serapeo, risalirebbe però a Tolomeo I, diadoco di Alessandro Magno, che avrebbe peraltro rubato la statua del dio 94 Diogene di Sinope dal tempio di Sinope (cfr. Plutarco, De Iside et Osiride, 361E ). 91. Il senso principale del termine rJuparov" è “sporco”, anche in senso figurato, può riferirsi ugualmente ai cereali non spulati. 92. Cfr. Gnomol. Vat., 174. Interessante gioco di parole basato sullo spettro semantico di prospoiou'mai, che significa “far finta” o “millantare”, ma anche “farsi amico qualcuno” (com’è noto, “filosofo” è letteralmente “amante” o “amico della sapienza”). Si tratta chiaramente di una variazione sul tema della dotta ignoranza socratica. 93. L’ aneddoto tratteggia un Diogene impegnato a “opporsi” alle abitudini e alle convenzioni. Occorre peraltro considerare che il teatro non è certo un luogo qualunque, sia per l’aspetto in certo modo “teatrale” delle performance del filosofo, sia naturalmente per la straordinaria importanza dell’arte drammatica nella formazione della cultura greca. A questo si può forse aggiungere l’aspetto “antiteorico” della filosofia di Diogene, che esercitandosi in questo caso contro il pubblico del teatro e dunque opponendosi alla “teoria” nel suo senso originario di “essere spettatore” mette simbolicamente in discussione la “teoria” stessa nel senso derivato di “speculazione”. 94. Cfr. supra, V I 27. 95. Cfr. supra, V I 34 dove il rimprovero è rivolto dallo stesso Diogene a Demostene. 96. Il. I I I 65. 97. Il greco ha tucei'n, “ottenere in sorte” e ajpotucei'n, “non ottenere ciò che si desidera”. 98. Parodia di Od. I 157; I V 70. 99. Come l’italiano “pupilla”, il greco kovrh indica sia la parte dell’occhio sia la fanciulla, in particolare la vergine. Il verbo fqeivrw, Note ai testi 95 “guastare” ha il senso figurato di “sedurre” o “adescare”. Il nome Didimo allude infine al “testicolo” (cfr. supra, V I 51). 100.Si veda in proposito M. Foucault, Discorso e verità nella Grecia antica, introduzione di R. Bodei, Donzelli, Roma 1996, in particolare le pp. 79 ss., dedicate alla “parresia cinica”. 101. Si evince dal prosieguo del passo che si tratta di un’allusione a come Diogene si masturbasse e consumasse i pasti nell’agorà. 102. L’ anfibolia su cui si basa il sillogismo forza il significato di a[topon che come l’equivalente italiano “fuori luogo” sarebbe da intendersi in senso soltanto figurato. 103. Si chiude qui la lunga, frammentaria, sezione dedicata da Diogene Laerzio alle vicende della vita del filosofo. 104. Il duplice esercizio [a[skhsi"] del corpo e dell’anima costituisce il nucleo centrale della filosofia cinica, che si presenta così più come una pratica di vita che come una dottrina o, men che meno, come un corpus di teorie. Si trattava di una proposta rivoluzionaria nella Grecia dei sofisti, che nella cultura greca trova un precedente forse soltanto nelle tecniche di respirazione connesse alla meditazione e alla mnemotecnica presso i pitagorici (cfr. J.-P. Vernant, Mythe et pensée chez les grecs : études de psychologie historique, Maspero, Paris 1969, pp. 66 ss.). 105. La tradizione farà di Eracle l’iniziatore eroico del cinismo. Le sue vicende mitiche, e in particolare le ben note dodici fatiche, facevano dell’eroe un simbolo della capacità di non lasciarsi travolgere dagli eventi, di dirittura morale e prestanza fisica. In merito si veda R. Höistad, Cynic Hero and Cynic King. Studies in the Cynic Conception of Man, Dissert. Univ. Uppsala, Uppsala 1948. 106.In modo non dissimile dall’italiano “urbano”, il termine ajstei'on indica il savoir vivre (e la raffinatezza) della città per opposizione 96 Diogene di Sinope alla semplicità (e alla rozzezza) della campagna. Il sillogismo, basato su un’anfibolia, esprime dunque ironicamente la critica della legge e l’esaltazione della natura, temi tipici del cinismo. Si veda una diversa interpretazione in M.-O. Goulet-Cazé, Un Syllogisme stoïcien sur la loi dans la doxographie de Diogène le Cynique. A propos de Diogène Laërce VI 72, «Rheinisches Museum», 125 (1982), pp. 214-240, criticata da M. Schofield, The Stoic Idea of the City, Cambridge University Press, Cambridge 1991, pp. 132 ss. 107. Cfr. supra, V I 34. 108. Questi riferimenti sono piuttosto generici e confusi. In tutta la sezione si sovrappongono temi presocratici, platonici e stoici difficilmente attribuibili in modo specifico a Diogene. 109.Cfr. supra, V I 27-28. 110. Questa precisazione coglie un aspetto fondamentale e pienamente rivoluzionario della performance filosofica di Diogene. La dialettica greca, infatti, fin dalle origini era strutturalmente sbilanciata in favore di chi pone le domande. Chi risponde, cioè, era irrimediabilmente destinato a essere sopraffatto nella discussione. Una straordinaria perizia nel persuadere (cfr. infra, V I 75, qaumasth; dev ti" h\n peri; to;n a[ndra peiqwv) e il ricorso ad espedienti non ortodossi permettevano invece a Diogene di avere la meglio nel ruolo dell’interrogato. La potenzialità “distruttiva” (cfr. G. Colli, La nascita della filosofia, Adelphi, Milano 1975, pp. 83 ss.) della ragione dialettica si riflette così, moltiplicando la sua forza dirompente, dal lato perturbante ed enigmatico del problema a quello della risposta. 111. Cfr. Philo Judæus, Quod Omnis Probus Liber Sit (Colson, I X ), 123 ss. 112. Cfr. Aulo Gellio, Noctes Atticæ, I I , 18, 9-10. Note ai testi 97 113. Allusione al significato del nome Diogene. 114. Il greco ha iJppovporno", lett. “prostituto-cavallo”, termine che comprensibilmente ricorre soprattutto nei comici. 115. La testimonianza sembra confermare che Diogene scrisse effettivamente una Repubblica (cfr. supra, Filodemo di Gadara, De Stoicis = Papiri di Ercolano 155 e 339, X V- X X ). 116. Cfr. Diog. Laërt. V I 21. 117. Op., 348. Le tre guerre messeniche, svoltesi tra l’ V I I I e il V sec. a.C., furono tutte vinte dagli Spartani. 118. Variazione sul tema dell’immagine di Diogene come antiSocrate giocata sul piano dell’abbigliamento, aspetto centrale della vita cinica. 119. Od., V I 180. 120. Benché le raccolte di massime che ci sono giunte siano generalmente di redazione alquanto tarda e comunque di difficile datazione, includono nuclei di materiali presumibilmente piuttosto antichi. In proposito si veda J. Barns, A New Gnomologium: With Some Remarks on Gnomic Anthologies, I, «The Classical Quarterly», 44 (1950), pp. 126-137; Id., A New Gnomologium: With Some Remarks on Gnomic Anthologies, II, «The Classical Quarterly», 45 (1951), pp. 1-19 e M. Richard, Florilèges spirituels grecs, in de M. Viller, A. Derville, P. Lamarche, A. Solignac (a cura di), Dictionnaire de Spiritualité ascétique et mystique, Beauchesne, Paris, 1962-1964, V, coll. 488-492. 121. Il., V 889. 122. Cioè “figlio di Zeus”: cfr. i versi di Cercida di Megalopoli riportati da Diogene Laerzio (supra, V I 76-77). 123. Il greco ha tridouvlou", lett. “schiavo da tre generazioni”. 98 Diogene di Sinope 124. Cfr. supra, Diog. Laërt. V I 69. 125. Cfr. supra, Diog. Laërt., V I 38. 126. Pare che il cosiddetto “papyrus Bouriant N° 1” fosse una raccolta di massime ad uso degli scolari greci in Egitto. In merito si veda P. Jouguet, P. Perdrizet, Le Papyrus Bouriant N° 1. Un cahier d ’écolier grec d ’Egypte, «Studien zur Paleographie Und Papyruskunde», 6 (1906), pp. 148-161. 127. Gli schiavi neri erano considerati un lusso esotico (cfr. B.H. Isaac, The Invention of Racism in Classical Antiquity, Princeton University Press, Princeton 2006, p. 49). Cfr. supra, Antonius et Maximus, Serm. de homin. mal., 64. 128. Interessante l’assonanza del latino, che ha obiit e abit. 129. Cfr. Antologia Palatina, V I I , 63 e V I I , 66-67. 130. Cfr. supra, Diog. Laërt. V I 28 e V I 39. 131. Interessante formulazione dell’idea che un’azione possa avere valore dialettico, contraddicendo una tesi: si tratta a tutti gli effetti del metodo di Diogene. 132. Cfr. supra, Diog. Laërt. V I 28. 133. Il termine labhv indica l’“elsa” della spada, ma anche un “appiglio” e tecnicamente la “presa” nella lotta. 134. Si rende così il composto greco megaloptwvcou". 135. Com’è noto, Medea uccise per vendetta i figli avuti con Giasone. L’ apologia qui attribuita a Diogene ricorda in certo modo l’Encomio di Elena di Gorgia. Sul tema dell’esercizio ginnico cfr. supra, Diog. Laërt., V I 70. 136. Cfr. supra, Diog. Laërt., V I 25-26. 137. Difficile rendere in italiano l’ambivalenza del greco povno", che indica sia la sofferenza fisica sia la fatica del lavoro. Filosofia del cane 99 138. Il gioco si basa sull’ambivalenza del greco proivsthmi, “schierarsi davanti a difesa” e “pararsi di fronte per attaccare”. 139. Cfr. supra, Diog. Laërt., V I 55. 140.Cfr. Esopo, Favola 97. 141. Cfr. supra, Papyrus Bouriant N° 1. 142. Raccolta pubblicata per la prima volta a metà Ottocento in appendice all’opera di Stobeo nell’edizione Meinecke. 143. Come l’italiano “vergogne”, anche il greco ajpovrrhto" è detto dei genitali. 144.Le ginocchia erano anticamente considerate sede del vigore e della potenza virile. 145. Cfr. supra, Stobeo, I V , 39, 21 W. H . Iconografia moderna 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Raffaello, Scuola di Atene, 1509-1510, part. C. van Everdingen, Diogene cerca un vero uomo, 1652. J.H.W. Tischbein, Diogene cerca un uomo, 1870 ca.. J.L. Gerome, Diogene, 1860. G.B. Castiglione, La favola di Diogene, X V I I sec. C. de Caryer, Alessandro e Diogene, X V I I sec. H. Daumier, Diogene e Alessandro, 1842. J. Bastien-Lepage, Diogene, 1873. I. Tupylev, Alessandro e Diogene, 1787. W. Matthews, Alessandro fa visita a Diogene a Corinto, 1914. E. Landseer, Alessandro e Diogene, 1848. J.W. Waterhouse, Diogene, 1882. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE BILLERBECK M., La Réception du Cynisme à Rome, «L’ Antiquité classique» 51 (1982), pp. 151-173. B I L L E R B E C K M ., Die Kyniker in der modernen Forschung, Grüner, Amsterdam 1991. B O U V E R E S S E J . , Rationalité et Cynismes, Minuit, Paris 1990. B R A H N A M B ., G O U L E T- C A Z É M . - O . 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INDICE Premessa alla traduzione Nota all’edizione Testimonianze ARISTOTELE F I L O D E M O D I G A DA R A C I C E RO N E SENECA FILONE DI ALESSANDRIA P L U T A RC O EPITTETO SESTO EMPIRICO AU L O G E L L I O DIOGENE LAERZIO AT E N E O C L AU D I O E L I A N O G N O M O L O G I U N VAT I C A N U M PA P Y RU S B O U R I A N T N ° I AU S O N I O STOBEO ANTONIUS ET MAXIMUS FLORILEGIUM MONACENSE Note ai testi Iconografia moderna Bibliografia essenziale 7 9 11 13 13 15 17 18 19 23 24 24 25 59 59 62 65 65 66 77 80 83 101 105 T E R R A I N VA G U E 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. M I C H E L E C O M E T A, Visioni della fine. Apocalissi, catastrofi, estinzioni, 2004 (pp. 128, ill. b/n). J A C Q U E S VA C H É, Lettere di guerra. A André Breton e ad altri surrealisti, 2005 (pp. 80, ill. b/n). J . M . G . L E C L É Z I O, Il verbale, 2005 (pp. 320). P L AT O N E , La settima lettera, 2005 (pp. 112). P AT R I K O U R E D N I K, Europeana. 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