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Gli animali nella teologia naturale di Christiaan Huygens

2018, Di stelle, atomi e poemi - Aracne

https://doi.org/10.4399/97888255107133

Oggetto del presente studio è un'analisi storico-filosofica della concezione degli animali in alcuni scritti della produzione matura di Christiaan Huygens.

Di stelle, atomi e poemi ISBN 978-88-255-1071-3 DOI 10.4399/97888255107133 pag. 29–38 (gennaio 2018) Gli animali nella teologia naturale di Christiaan Huygens L M∗ Oggetto del presente studio è un’analisi storico–filosofica della concezione degli animali in alcuni scritti della produzione matura di Christiaan Huygens. Punto di partenza per l’analisi testuale è l’edizione nazionale delle Œuvres Complètes . L’opera principale è il Cosmotheoros, ultima opera redatta in vista della pubblicazione, ma edita postuma nel  dal fratello Constantjin. In essa lo scienziato olandese obietta, in particolare contro Democrito , Lucrezio e Descartes , che i soli atomi con i loro movimenti disordinati e fortuiti non sarebbero sufficienti a causare la generazione di piante e animali i quali mostrerebbero, invece, in modo manifesto la grandezza della provvidenza e dell’intelligenza divina operante in vista di determinati fini. Il riconoscimento di tali fini nel creato sarebbe possibile soltanto grazie a due approcci e competenze complementari: un’ottima conoscenza delle leggi della natura e della geometria e un’attenta osservazione dei miracoli della generazione. Dottorato di ricerca, Università degli Studi di Cagliari. . Œuvres complètes de Christiaan Huygens publiées par la Société Hollandaise des Sciences,  voll., M. Nijhoff, La Haye –. Nelle citazioni dei singoli scritti, tale edizione sarà d’ora in poi abbreviata con la sigla OC seguita dal relativo volume in numeri arabi. . Cfr. OC , Prèface al Discours de la cause de la pesanteur, p. . Huygens critica anche Epicuro nella sua lettera a Pierre Bayle del  febbraio . Cfr. OC , n. , pp. –. . Cfr. OC , Pensees meslees, § , pp. –. «Quelle merveille n’est ce pas de plus que la premiere plantation des animaux sur la terre, et qui peut la concevoir sans une operation particuliere de Dieu. Qu’ils me disent ceux etc une maniere possible comment la chose s’est passée dans ce commencement. En marge: contre Lucrece. Ne pouvoient estre enfants». . Com’è noto, Descartes ne Le Monde non ha parlato della genesi di animali e piante, concentrandosi sulla creazione del mondo inorganico. Cfr. I., Le Monde, AT XI, pp. –. Huygens rimarca tale mancanza nella lettera a Leibniz dell’ luglio . Cfr. OC , n. , pp. – (corsivo mio): «Il semble que des Cartes ait voulu decider sur toutes les matieres de Physique et Metaphysique, sans se soucier s’il disoit vray ou non. Et peut–estre cela n’est pas inutile d’en user ainsi à des personnes qui se sont acquis une grande reputation d’ailleurs, parce qu’ils excitent d’autres à trouver quelque chose de meilleur. Il s’est abstenu pourtant de toucher à la production des plantes et des animaux, sans doute parce qu’il n’a pas vu moien de les faire naitre du mouvement et de la figure des particules, ainsi que le reste des corps qu’il considere». ∗   Ludovica Marinucci Cum enim quae in Terra, imo quae in Caelo quoque aspicimus, aliquis Democriti, aut etiam Cartesii sectator, ita se explanaturum profiteri possit, ut tantum atomis et motu horum indigeat; in herbis tamen et animalibus frustra erit, nec de primo eorum exortu quidquam verisimile adferet; cum nimis manifesto appareat, nunquam vago, ac fortuito corpusculorum motu, talia quaedam prodire potuisse: quippe in quibus omnia ad certum finem egregie apta accommodataque cernantur; cum summa prudentia, et legum naturae, ipsiusque Geometriae, cognitione exquisita; quemadmodum in sequentibus saepius ostendetur: ut jam omittamus illa in progignendo miracula. In tale contesto, l’accostamento ravvicinato dei termini miracolo e fine pone il serio problema di inquadrare quella che potremmo definire come la teleologia biologica di Huygens all’interno della struttura concettuale del suo meccanicismo scientifico tematizzato nelle opere precedenti. È in virtù dell’adozione di un punto di vista teleologico, infatti, che egli è condotto a supporre per via analogica nel Cosmotheoros l’esistenza di altre stelle circondate da pianeti, i quali sarebbero equiparabili in dignità alla Terra, essendo anch’essi abitati da esseri viventi. Oltre che nel Cosmotheoros, lo scienziato olandese si avvale dell’argomentazione della necessaria presenza di un disegno dell’universo per corroborare le sue congetture probabili sulla creazione di altri pianeti e dei loro abitanti anche in scritti precedenti , e definibili come preparatori al Cosmotheoros stesso, nei quali la creazione animale sarebbe la principale testimonianza dei fini divini. In particolare nel Quod animalium productio, Huygens annota un riferimento critico diretto verso coloro che attribuirebbero la capacità degli uccelli di volare al fatto di essere alati invece di sostenere che siano state loro donate le ali al fine del volo. Quid quod ex his quae ad animalia hominesque attinent suprema illa intelligentia ac providentia necessaria quadam ratione deducitur, cum reliqua omnia quae tum in terra tum in coelo intuemur ex atomis motuque eorum oriri potuisse pertinax aliquis Epicuri sectator ostensurus sit. Sed ijdem cum ad animalia ventum est, frustra se torquent, et, nisi desipiant, digitum Dei in his se agnoscere consiteri debent in quibus omnia ad destinatum finem tam providè disposita apparent. Quis enim tam impudens ut aves volare dicat quia alatae sunt. non autem datas esse alas ut volent. . OC , Cosmotheoros I, p.  (corsivo mio). . OC , De rationi impervijs, § , p. ; Verisimilia de planetis, p.  e ; Quod animalium productio, § , p. , § , p. . . OC , Quod animalium productio, § , p.  (corsivo mio). Questo passo ricorda quanto affermato da Leibniz nel Discorso di Metafisica relativamente alla spiegazione delle cause finali previste da Dio come principio esplicativo delle leggi di natura, in particolare nel caso della creazione degli animali. Cfr. G.W. L, Discours de Métaphysique, , § . Utilité des causes finales dans la physique. (corsivo mio): «Ainsi lorsque nous voyons quelque bon effet ou quelque perfection qui arrive ou qui s’ensuit des ouvrages de Dieu, nous pouvons dire sûrement que Dieu se l’est proposée. Gli animali nella teologia naturale di Christiaan Huygens  L’esistenza di un disegno divino sarebbe, quindi, per Huygens deducibile a posteriori grazie al rinvenimento di determinate finalità, perfettamente previste e predisposte nel corpo umano o animale. L’osservazione della perfezione di ciascun organismo e delle sue parti sarebbe capace di originare una meraviglia tale da condurre lo scienziato olandese ad utilizzare anche il polisemantico mirabilia come sinonimo per indicare gli animali sia nel Verismilia de planetis sia successivamente nel Cosmotheoros: Apparet quidem hoc homini datum esse, ut omnibus iis alatur quae vel in terra vel in aquis nascuntur, si quid nutrimenti contineant; ut herbis, pomis, lacte, ovis, melle, piscibus, volucrum quadrupedumque plurimorum carnibus. In quo mirum sane videri potest, animal illud rationis composita esse comparatum, ut cum multorum aliorum pernicie caedeque vivat. Nec tamen naturae praescripto contrarium hoc esse putandum est, cum placuisse ei videamus ut leones, lupi, aliaque rapacia, pecudes et infirmiora quaelibet pabuli loco habeant: [. . . ] Praeter omnem vero istam ex viventibus herbisque utilitatem, hanc quoque delectationem ex iis nos capere voluit rerum conditor, ut varias eorum formas naturasque et generandi vias contemplaremur; in quibus infinita quaedam varietas ac mirabilia multa insunt, quae apud naturae scriptores celebrantur. Sarebbe evidente secondo Huygens come agli uomini sia stata data la possibilità di nutrirsi di tutto ciò che è commestibile sulla terra e nell’acqua e che non sia contraria ai precetti della natura, praescripta naturae , la sopravvivenza degli animali, razionali e non, per mezzo dell’uccisione e della supremazia dei più deboli. In questa organizzazione gerarchica del regno animale e vegetale, Dio avrebbe voluto che fosse prerogativa dell’uomo non solo il trarre utilità pratica da ciò che gli è inferiore, ma anche il poterne studiare le diverse forme e modi di vivere e di moltiplicarsi, descritti dai Car il ne fait rien par hasard, et n’est pas semblable à nous, à qui il échappe quelquefois de bien faire. [. . . ] Tous ceux qui voient l’admirable structure des animaux se trouvent portés à reconnaître la sagesse de l’auteur des choses, et je conseille à ceux qui ont quelque sentiment de piété et même de véritable philosophie, de s’éloigner des phrases de quelques esprits forts prétendus, qui disent qu’on voit parce qu’il se trouve qu’on a des yeux, sans que les yeux aient été faits pour voir. Quand on est sérieusement dans ces sentiments qui donnent tout à la nécessité de la matière ou à un certain hasard [. . . ], il est difficile qu’on puisse reconnaître un auteur intelligent de la nature». . Cfr. Cosmotheoros I, p. ; Cosmotheoros II, p. . . Cfr. Verisimilia de planetis, p. . . OC , Cosmotheoros I, p.  e  (corsivo mio). . Troviamo la stessa espressione praescriptum naturae nell’esame della necessità d’identiche modalità di generazione e comportamento degli animali in ogni luogo dell’universo. Cfr. Ivi, p. : «Neque vero dispar ratio est in animalibus; cur non et pascendi, et generandi, modus similis putetur in Planetis ei qui est apud nos. Quia nempe universa terrae hujus animalia, sive quadrupedum generis, aut volucrum, aut natantia, aut reptilia, ipsaque insecta, idem naturae praescriptum sequuntur. Vescuntur enim vel herbis, fructibusque, vel ipsis animantibus, quae inde nutrita fuere: omniumque generatio per conjunctionem maris et foeminae, perque faecunditatem ovorum (nam et haec ubique animadvertitur) peragitur».  Ludovica Marinucci naturalisti, scriptores naturae , in infinite varietà e molti meravigliosi miracoli, mirabilia. Tale termine sintetizza il pensiero di Huygens riguardo questi oggetti della creazione: anche se straordinari e non del tutto comprensibili, essi rientrano nella regolarità delle leggi della natura previste da Dio, il quale, seppur nella sua onnipotenza possa far sì che accada ogni genere di cosa, agisce secondo un disegno, necessario e soggiacente al reale, che eliminerebbe il caso nelle leggi operanti nella natura. Come messo in risalto dagli editori delle Œuvres Complètes , tali miracoli si conformano alle leggi meccaniche della natura, dato che per Huygens non si sarebbe verificata un’unica creazione iniziale degli animali ma molte creazioni nel tempo. Occorre in ogni caso aggiungere a tale interpretazione che, ad avviso di chi scrive, il fenomeno della generazione organica resta uno dei temi più controversi, e perciò fecondi, per l’evoluzione del pensiero maturo di Huygens come testimonia la sua espressione generationis mysteria . Già nel Verisimilia de planetis sono presenti considerazioni simili sulla varietà della creazione, che, ciononostante, può essere ricondotta al funzionamento di una macchina secondo leggi, tali che nulla che non sia stato precedentemente previsto possa accadere: Quanto vero etiam majorem Dei conceptum praebet, tot ac tam variarum rerum creatoris, quas ijs legibus eaque arte constituerit ut veluti machinae totidem affabre confectae sponte moveri quantocunque tempore possent, nihilque ijs accideret quod non ipse praevidisset. In Huygens, l’ordinamento necessario al funzionamento della macchina del mondo diviene, ad avviso di chi scrive, un determinismo cosmologico nel quale il filosofo–scienziato deve ricercare non solo la causa meccanica ma anche quella finale. Come spiega nel Cosmotheoros, l’unica vera differenza tra uomo e animale consiste proprio nella capacità contemplativa del primo: soltanto l’uso della ragione, che si rivolge alla spiegazione dell’ordine cosmico tramite la logica geometrica, consente all’uomo di elevarsi al di sopra . Cfr. Ibidem. È probabile che Huygens si riferisca agli studi naturalistici dell’olandese Antoni van Leeuwenhoek, con il quale Huygens ebbe uno scambio epistolare tra il – (cfr. OC , n. ; n. ), in cui si fa anche riferimento all’inglese Robert Hooke, autore dell’importante Micrographia (). Inoltre, Huygens potrebbe tenere conto delle tesi sulla generazione degli animali esposte da Jan Swammerdam nell’Historia insectorum generalis (). Per un confronto, nel quale non c’è però accenno alle considerazioni huyghensiane, tra van Leeuwenhoek, Hooke e Swammerdam sulle leggi della generazione degli animali, sui miracoli e sulla previdenza divina, cfr. E.G. R, Swammerdam on generation, in M.J. Osler–P.L. Lawrence (ed.), Religion, Science and Worldview, Cambridge University Press, , pp. –. . Cfr. OC , Prèface del Discours de la cause de la pensanteur, p. . . Cfr. OC , Quod animalium production, § , p.  (corsivo mio): «Sed cum animalium genus intuemur, hîc sive ad artificiosam membrorum compaginem attendimus sive ad sensuum mirabilem perceptionem sive ad generationis mysteria». . OC , Verisimilia de planetis, § , p.  (corsivo mio). Gli animali nella teologia naturale di Christiaan Huygens  degli animali, i quali, invece, gli sarebbero simili nel bisogno, definibile come primario, di aggregarsi in comunità sociali: Ac videtur quidem quatenus providendis procurandisque rebus tantum necessariis homines intenti sunt, ut nempe ab aëris injuriis tuti habitent; ut moenibus inclusi ab inimicis sibi caveant, ut leges condant ad secure ac tranquille vivendum; ut liberos educent; victum illis, sibique parent; in his omnibus inquam nihil magnum admodum habere videtur rationis nostrae usus, cujus causa nos brutis animantibus anteferamus. Namque haec pleraque istorum facilius simpliciusque efficiunt; aliquibus nihil opus habent. [. . . ] Nam quod ad voluptates corporis attinet, haud dubie iis aeque ac nos afficiuntur, quicquid contradicant novi quidam philosophi; qui sensum omnem ita auferunt reliquis praeter hominem animantibus, ut pro meris automatis aut neurospastis ea haberi velint; quorum absurdae, crudelique sententiae, miror quenquam accedere posse; praesertim cum et voce et verberibus fugiendis, et re omni contrarium bestiae ipsae significent. Imo vix dubito, quin miro pulchroque illo per aëra lapsu aves sese delectari sentiant. Esiste, quindi, per Huygens una forte continuità tra animali razionali e non: se l’uomo applica il suo ingegno soltanto in direzione dell’appagamento del desiderio di conservazione della vita attraverso, ad esempio, la costruzione di abitazioni o mura difensive così come l’istituzione di leggi che assicurino una vita sicura e tranquilla, non sarebbe superiore agli animali non razionali. Ciò che eleverebbe l’uomo non è il possesso della sola ragione in sé, ma il suo giusto uso, usus rationis , ovvero l’esser rivolta alla contemplazione della natura e delle opere di Dio insieme alla coltivazione delle scienze, attraverso le quali possiamo riconoscere la sua eccellenza e grandezza. Particolarmente rilevante l’affermazione, seppur incidentale, di Huygens, il quale ritiene crudele e assurda l’opinione di alcuni filosofi i quali . OC , Cosmotheoros I, p.  (corsivo mio). Anche Locke sostiene nel Saggio sull’intelletto umano che la differenza tra uomini e bruti è l’assenza nei secondi di idee universali e l’incapacità di astrazione. Cfr. J. L, An Essay Concerning Human Understanding, II, XI, § . Locke, però, aggiunge subito che nonostante l’assenza della capacità di astrazione e linguaggio, gli animali non possono essere considerati semplici ingranaggi che non possiedono un certo tipo di ragione. Cfr. Ivi, § : «[. . . ] And therefore I think we may suppose, that it is in this that the species of brutes are discriminated from man; and it is that proper difference wherein they are wholly separated, and which at last widens to so vast a distance: for if they have any ideas at all, and are not bare machines (as some would have them) we cannot deny them to have some reason. It seems as evident to me, that they do some of them in certain instances reason, as that they have sense; but it is only in particular ideas, just as they received them from their senses. They are the best of them tied up within those narrow bounds, and have not (as I think) the faculty to enlarge them by any kind of abstraction». . Tale collocazione è molto frequente e più rilevante della singola occorrenza del termine ratio, in particolare nel Cosmotheoros. Cfr. Ivi, p.  (corsivo mio): «Quid igitur est in quo potissimum eminet humanae rationis usus, facitque ut antecellamus caeteris animantibus? Nihil aequè puto ac contemplatio naturae, Deique operum; tum cultura scientiarum, quibus consequimur ut eorum praestantiam, magnitudinemque aliqua ex parte cognoscamus».  Ludovica Marinucci negano ogni tipo di senso, sensum omnem, agli animali riducendoli a meri automi o marionette; al contrario, essi, proprio attraverso i sensi, godrebbero dei piaceri corporei, voluptates corporis, tanto quanto gli animali razionali . Per comprendere ciò, basterebbe per esempio osservare il comportamento degli uccelli che si compiacciono del loro modo di attraversare l’aria durante il volo. Senza la possibilità di provare piacere, quindi, da parte degli animali, razionali e non, la vita stessa non sarebbe più né preziosa né desiderabile. Ciò non può che valere universalmente e, quindi, sarebbe stato previsto da Dio in ogni parte abitata dell’Universo: Sive enim cogitemus, quanto in universum, propter haec, jucundior feliciorque vita reddatur, non debemus maximum ejus bonum nostrae Telluris habitatoribus ascribere, caeteras tenentibus denegare, quasi res nostrae rebus illorum multò praeferendae sint. Sive ad voluptates, quae in cibis capiendis, et in conjunctione utriusque sexus contingunt, attendamus; intelligemus haec esse necessaria quaedam veluti providae naturae jussa, tacitè cogentis ad conservandum, propagandumque animantium genus: vel etiam, in bestiis quidem, fortasse genus ipsum propagari, ut utraque illa jucunditate fruatur, ut proinde, utroque nomine, in caeteris Planetis eadem reperiri consentaneum sit. I decreti della natura previdente, providae naturae jussa, statuiscono la necessità di conservare e riprodurre la specie: attività nel corso della quale gli animali proverebbero una componente di piacere, parimenti sulla Terra che sugli altri pianeti. Il termine iussum, relativo all’ambito giuridico e traducibile con decreto, comando etc., è presente anche nei precedenti appunti contenuti nel Quod animalium productio con riferimento alla legge mosaica e all’incomprensibile potenza divina: Ad haec igitur peculiaris quaedam Dei opera requirebatur, quae quo pacto sese exercuerit dum tot varias vivorum animalium formas molitur atque in Terram per ducit id verò omnium rerum quas unquam scire optavi supremum est et maximum. Hic tantum voluntatem ac potentiam Dei Mosaica historia adducit, cum jussu ejus cuncta exorta esse narrat. Nec quicquam ulterius aut ratio aut conjectura humana pervestigare potuit aut poterit unquam. . A differenza di Descartes, Huygens sembra vicino alla posizione di Spinoza, espressa in E , P S, secondo la quale sarebbe impossibile negare che gli animali abbiano una mente, dunque siano soggetti di percezioni e affetti. Per commento e traduzione di tale passo dell’Ethica, cfr. A. S, Gli strani confini della coscienza: Spinoza e gli animali, in «Giornale Critico di Storia delle Idee», , n. , p. : «gli affetti degli animali detti irrazionali (infatti, dopo aver conosciuto l’origine della mente, non possiamo in nessun modo dubitare che i bruti sentano) differiscono tanto dagli affetti degli uomini quanto la loro natura differisce dalla natura umana. Infatti, il cavallo e l’uomo sono entrambi trascinati dalla libidine di procreare; ma il cavallo da una libidine equina e l’uomo da una libidine umana. Così anche le libidini e gli appetiti degli insetti, dei pesci e degli uccelli devono essere diversi gli uni dagli altri». . OC , Cosmotheoros I, p.  (corsivo mio). . OC , Quod animalium productio, § , pp. – (corsivo mio). Gli animali nella teologia naturale di Christiaan Huygens  In tale scritto frammentario, Huygens — coerentemente con la sua premessa di non scrivere in contrasto con le Sacre Scritture — annota un riferimento all’Antico Testamento nel quale si riconduce alla volontà e alla potenza di Dio l’origine di tutto ciò che è stato creato sulla Terra attraverso la sua legge. L’uomo non sarà mai in grado di investigare con la ragione o con le congetture qualcosa di più. Questo passo, seppur in forma di appunto, databile all’incirca al , è significativo per la sua capacità di gettare luce sulla prospettiva religiosa presente nel pensiero dello scienziato olandese, già messa in risalto da Fabien Chareix di contro alla precedente interpretazione di scetticismo . Chi scrive ritiene, inoltre, possibile aggiungere una possibile comparazione con la concezione matura di Boyle, espressa in particolare negli scritti Things above Reason () e The Christian Virtuoso I (–), circa il rapporto tra filosofia naturale e teologia che si delineerebbe in una “epistemologia del limite” . Simili affermazioni sono presenti in un altro scritto precedente e preparatorio al Cosmotheoros, ovvero i Pensees meslees: Ce n’est pas a nous a donner des limites a la nature, et il faut scavoir que a quelque grandeur et estendue nous la bornions, toute cette grandeur ne sera que comme rien a l’egard de l’espace au dela, et y aura moindre proportion qu’un grain de sable a toute la masse de la terre. Le reste seroit il donc vuide et n’aura–t–il pour ainsi dire creé qu’un grain de sable qui pouvoit creer une infinitè de choses en comparaison. L’estendue du monde estant infinie, si le nombre des estoiles est fini, . Per prevenire qualsiasi attacco alla sua opera, Huygens afferma che, proprio per volere di Dio, le Sacre Scritture non ci hanno edotto nel dettaglio sulla creazione divina. Cfr. OC , Cosmotheoros I, p.  e : «Erunt alii qui ea, quae verisimilia esse ostendere conati sumus, Sacris Literis adversari praedicent, cum de Terris animalibusque, atque etiam ratione praeditis, nos disserere animadvertent; de quorum origine, aut quod omnino in rerum natura extent, nihil illic traditum sit, sed ea potius ex quibus contrarium sequatur. Tantum enim de Tellure hac, cum suis animantibus, herbisque, et homine omnium domino commemorari. Quibus respondeo, quod et ante me alii, satis apparere non de omnibus iis, quae Deus creavit, particulatim nos edoceri eum voluisse». . Chareix è convinto della religiosità huyghensiana, sottolineando la sua adesione alle tesi protestanti secondo cui il pensiero è una grazia indipendente dalla volontà o dalle opere di colui che pensa. Cfr. F. C, La philosophie naturelle de Christiaan Huygens, Vrin, Paris , p. : «Dans la mesure où Dieu est rector omnium, la convergence des déterminations corporelles et mentales dans un univers parfaitement déterminé au préalable produit le rationalisme le moins glorieux qui soit, dans lequel la pensée est une grâce qui ne doit rien à la volonté ou aux œuvres de celui qui pense. Sur ce point la pensée de Huygens se conforme au texte du De servo arbitrio de Luther, suscité par sa controverse avec Erasme, et il conviendrait sans doute mieux de renvoyer la thèse de la limitation de la raison à une adhésion aux points de vue de la Réforme plutôt que un scepticisme dont jamais, pas même dans sa correspondance avec Sluse, ne fait publiquement l’aveu». . Cfr. C. V, La mécanique de Christiaan Huygens: la relativité du mouvement au XVIIe siècle, Blancard, Paris , p. ; G. G, La filosofia in Olanda da Geulincx ad Huygens, in Storia della filosofia, a cura di M. Dal Pra, Vallardi, Firenze . . Cfr. A. P, Cartesio in Inghilterra. Da More a Boyle, Laterza, Roma–Bari , pp. –; inoltre, per la relazione tra esegesi della Scrittura e problema dell’above reason, cfr. M. S, Robert Boyle e il problema dell’«above reason», in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», LIV, , pp. –.  Ludovica Marinucci il est croiable qu’au de la il y a une infinitè d’autres choses creees dont l’idee ne tombe point en notre pensee. Immensa e lontana dalla nostra comprensione, la varietà della natura e l’infinità dell’Universo sono tali da non poter essere del tutto concepite dalla mente umana. La valenza epistemologica del discorso huyghensiano consiste nel ritenere la potenza di Dio immensa, ovvero, etimologicamente, non misurabile dall’intelletto umano. Huygens lo espliciterà nel Cosmotheoros: Hoc igitur jam quaeramus quam sit verisimile; et an non potius credendum sit, non tantam esse diversitatem quanta existimetur. Favet eorum sententiae, qui omnia alia illic imaginantur, quod Natura videatur varietatem plerumque, et plurimis in rebus, sectari; quodque Conditoris potentia hoc ipso magis declaretur. Sed cogitare debent, non esse hominum arbitrio definiendum quàm magna ista sit varietas ac dissimilitudo. Neque, quia possit esse immensa, resque illae ab intellectu, et comprehensione nostra penitus remotae, idcirco necesse esse, ut reipsa tales existant. Quamvis enim similia omnia iis quae apud nos sunt, finxisset Deus in caeteris Planetis; nihilo minor esset spectatoribus eorum, si qui sunt, admiratio, quam si plurimum distarent: cum, quid in aliis effectum sit, nullo modo possint cognoscere. Huygens riconosce il grado di varietà della Natura, da un lato, come non determinabile arbitrariamente dall’uomo e, dall’altro, seppur non conoscibile, come fonte di ammirazione in ogni parte dell’Universo. L’admiratio, in quanto capacità peculiare dell’uomo, compenserebbe il suo limite conoscitivo e in essa, come afferma Gianfranco Mormino , risiederebbe la maggiore espressione della religiosità huyghensiana. Degni di particolare ammirazione sono proprio gli animali, i quali, come abbiamo visto, non possono essere stati creati soltanto imprimendo una quantità di movimento alla materia. Anche se non abbandonerà mai la soluzione meccanica dei vortici , già all’epoca di questo scritto — precedente i Principia mathematica di Newton —, a Huygens sembra impossibile che il solo scontro casuale di atomi possa consentire la generazione degli animali: Que s’il n’y avoit rien dans la nature que des soleils et des globes autour d’eux, composez de terre d’eau et entourez d’air, l’on pourroit concevoir comme quelques . OC , Pensees meslees, § , p. . Cfr. Que penser de Dieu?, § , p. ; HUG , f. : «[. . . ] Que pouvaient–ils faire autre chose? Avouer qu’il surpasse de bien loin l’homme d’avoir une idée de Dieu». . OC , Cosmotheoros I, p.  (corsivo mio). . Cfr. G. M, Ammirare e comprendere: la concezione del sapere di Christiaan Huygens, in «Potentia Dei». L’onnipotenza nel pensiero dei secoli XVI e XVII, FrancoAngeli, Milano , pp. –. . Cfr. A. K, Huygens and Leibniz on Universal Attraction, pp. –, in Id., Newtonian Studies, Harvard University Press, Cambridge . Trad.it a cura di P. Galluzzi, Studi newtoniani, Einaudi, Torino . Gli animali nella teologia naturale di Christiaan Huygens  uns ont fait que Dieu n’avoit qu’a donner simplement du mouvement a la matiere pour produire nostre systeme et tous les autres. Et ceux la n’auroient point besoin de supposer une divinitè si on leur accordoit que l’espace la matiere le mouvement sont de toute eternitè. Mais quand on considere les animaux et les plantes, l’admirable construction de leur parties pour chaque usage, la maniere estonnante de leur generation, il me paroit impossible que le seul mouvement donnè a la matiere puisse estre cause de tout cela sans la cooperation d’un Estre infiniment intelligent et puissant. De sorte que la grandeur des cieux et ces inconcevables distances des astres dont j’ay parlè cy dessus prouvent bien moins a mon avis l’existence d’une providence que l’œil d’un homme ou d’un autre animal ou l’aile d’un oiseau. Lo scienziato olandese argomenta che se la materia e il movimento fossero eterni, non ci sarebbe bisogno di supporre l’esistenza di una divinità; al contrario, sembrerebbe impossibile che un solo movimento sia la causa di tutto senza la cooperazione di un Essere che possieda intelligenza e potenza infinite. Finiti temporalmente, invece, sarebbero i soli, le terre, i pianeti, gli uomini, gli animali e tutte le cose create: il loro “cominciamento” necessita e, quindi, prova l’esistenza di una providence senza la quale non esisterebbe la natura. Soprattutto, sarebbero prova del disegno divino molto di più la perfezione dell’occhio di un uomo e l’ala di un uccello che la grandezza dei cieli e le impensabili distanze tra gli astri. È possibile inferire una chiara influenza su Huygens della tesi stoica dell’esistenza di un logos immanente che governa il mondo e coincide con l’artefice divino come causa infinita, aggiungendo a queste argomentazioni il riferimento «contre Lucrece» poco avanti nello stesso scritto: essa rivela un esplicito disaccordo da parte di Huygens circa la tesi del De rerum natura secondo la quale, essendo il tempo infinito, tutto ciò che esiste in natura si formerebbe in combinazioni casuali senza alcun intervento di un fattore intelligente o spirituale. Si ritiene che da questi passi emergano come fondamentali le riflessioni huyghensiane sugli animali. Nella loro definizione di miracoli , il cui mistero della generazione sarebbe testimonianza manifesta della volontà divina . OC , Pensees meslees, § , p.  (corsivo mio). . Ivi, §  [in margine], pp. . Commentando questo passo dei Pensees meslees, Chareix sostiene una maggiore vicinanza di Huygens allo stoicismo che all’epicureismo: contro quest’ultimo, così come contro l’atomismo, Huygens obietterebbe che soltanto l’ipotesi creazionista può rendere conto della genesi del regno animale. Proprio questa critica al pensiero epicureo mostrerebbe l’impossibilità di vedere Huygens ancora come un ateo. Cfr. F. C, La philosophie naturelle de Christiaan Huygens, cit., p. : «l’idée d’une mécanique moins réductrice a donc immédiatement pour corrélat une ambition moindre dans la recherche du maillon causal originel et fondateur. Lucrèce tout comme Descartes doivent rendre compte de cette origine en exhibant, qui une complexification des masses corporelles, qui une variation indéfinie des différence modales engendrées par le mouvement». . Cfr. L, De rerum natura, I, vv. –. . Cfr. OC , Cosmotheoros I, p. ; Cosmotheoros II, p.  e ; Verisimilia de planetis, p.  e . . Cfr. OC , Quod animalium production, § , p. .  Ludovica Marinucci operante in vista di determinati fini, ad avviso di chi scrive, esse ricoprono nel pensiero maturo dello scienziato olandese il ruolo d’importante punto d’intersezione tra meccanicismo e teleologia della natura. La questione della spiegazione dei miracoli nel contesto della filosofia meccanicista è stata ampiamente dibattuta nella seconda metà del Seicento. Se anche Hobbes nel Leviathan definisce i miracoli come meraviglie, wonders , che testimoniano la mano di Dio, la maggiore somiglianza con Huygens è riscontrabile non solo sulla concezione dei miracoli, come evento straordinario che riflette la provvidenza divina, espressa nel A Discours of Miracles di Locke e nel Christian Virtuoso di Boyle , ma anche sulla reintroduzione delle cause finali nella prospettiva meccanicista delle leggi di natura presente tanto negli Essays on the Law of Nature quanto nel A Disquisition About the Final Causes of Natural Things . Perciò, nella contrapposizione tra due fronti, delineata da R.M. Burns , è forse possibile aggiungere Huygens nel novero degli “empiristi inglesi”: questi, nella ricerca della spiegazione dei miracoli, non cercherebbero di colmare un vuoto nella spiegazione scientifica, ma li utilizzano come evidenza empirica della verità del Cristianesimo, e si oppongono ai “razionalisti continentali”, che li negano (Descartes e Spinoza) oppure cercano di giustificarne l’imbarazzo (Malebranche e Leibniz) nelle loro interpretazioni del meccanicismo delle leggi naturali. . Cfr. T. H, Leviathan, , part. III, chapt. XXXVII. . Cfr. J.J. MI, Locke and Boyle on miracles and God’s existence, in Robert Boyle Reconsidered, Cambridge University Press, Cambridge , pp. –. . Cfr. R. B, A Disquisition about the Final Causes of Natural Things (), Works, XI, p. : «For, without a Suppostition, that they know what God design’d in Setting Matter a–moving ‘tis hard for them to shew, that His design could not be such, as might be best accomplish’d by sometimes adding to, and sometimes taking from, the Quantity of Motion he communicated to Matter at first». Per studi specifici sul pensiero di Locke e Boyle, cfr. G.A.J. R, John Locke. God and the Law of Nature, in «Potentia Dei»: l’onnipotenza divina nel pensiero dei secoli XVI e XVII cit., p. ; S. R, Robert Boyle lettore di Descartes: leggi di natura e cause finali, in E.R.A.C. Giannetto, S. Ricciardo, E. Antonello, M. Mazzoni (a cura di), Cielo e Terra. Fisica e Astronomia. Un antico legame, Aracne, Roma , pp. –; T. S, Teleological reasoning in Boyle’s Disquisition about Final Causes, in Robert Boyle Reconsidered, cit., pp. –; A. C, God and the Physical World in Boyle’s Thought, in Hubertus Busche (Hg.), Departure for Modern Europe/Aufbruch in das moderne Europa. A Handbook of Early Modern Philosophy (–), Felix Meiner Verlag, Hamburg , pp. –. . Cfr. R.M. B, The great debate on miracles: from Joseph Glanvill to David Hume, Bucknell University Press, Lewisburg (PA) .