DOI: http://dx.doi.org/10.15804/IW.2014.05.12
Giovanni Ferraro
Società Filosoica Europea di Ricerca e Alti Studi
Il logos della CroCe
O Crux ave, spes unica, hoc Passionis tempore!
Piis adauge gratiam, reisque dele crimina1.
In seguito all’apertura degli archivi vaticani (il 15 febbraio 2003) relativi ai rapporti tra la Santa Sede e la Germania nel periodo compreso
tra le due guerre, è stato reso pubblico il contenuto di una lettera scritta
da Edith Stein a papa Pio XI. Era l’inizio della primavera del 1933, pochi mesi prima Hitler era salito al potere in Germania, e in quello scritto
la Stein cercava di mettere in guardia dai pericoli della politica antisemita, chiedendo al papa di condannare l’“eresia” dell’ideologia nazionalsocialista, in quanto: “Noi tutti, che guardiamo all’attuale situazione
tedesca come igli fedeli della Chiesa, temiamo il peggio per l’immagine
mondiale della Chiesa stessa, se il silenzio si prolunga ulteriormente”2.
La risposta alla lettera inviata al Ponteice arrivò a irma del cardinale Pacelli, il quale, con tono piuttosto formale, assicurò alla mittente che
la sua missiva era stata “sottoposta doverosamente a Sua Santità”, invi“Ave Croce, unica speranza, in questo tempo di passione! Aumenta la grazia
nei fedeli e cancella le colpe di chi è reo”, dall’inno liturgico Vexilla Regis, composto
intorno al 569 da Venanzio Fortunato.
2
Cfr. A. Ales Bello e Ph. Chenaux, Edith Stein e il Nazismo, Città Nuova, Roma 2005. In appendice al volume è riportato il testo della lettera (pp. 101–
–106).
1
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tandola a pregare Dio afinché “in tempi tanto dificili” conceda a “tutti
i suoi igli la grazia della forza d’animo e di sentimenti nobili che sono
le premesse della vittoria tanto attesa”3.
La successiva enciclica Mit brennender Sorge, scritta in tedesco
da Pio XI ed emanata il 14 marzo 1937, testimonia la perfetta sintonia
tra il timore espresso dalla Stein e la ‘bruciante preoccupazione’ del magistero ecclesiastico riguardo ai fondamenti neopagani del Reich tedesco e ai “metodi criminali” adottati nei confronti del popolo ebraico4.
Nel maggio del 1938, mentre Hitler fa visita alla città di Roma –
dove, nel “giorno della Santa Croce”, vengono inalberate per l’occasione le insegne di “un’altra croce che non è la croce di Cristo”5 –, ospite
di quel governo che si appresterà a promulgare le leggi razziali fasciste,
la Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università rende pubblica
una sorta di Syllabus contro il razzismo, inviandolo ai rettori degli istituti cattolici di tutto il mondo.
Durante la Quaresima del 1933 Edith Stein aveva preso la decisione
di testimoniare le atrocità di cui cominciavano a essere vittime gli ebrei,
in seguito alle notizie ricevute da un professore cattolico di Münster che
le riportava degli articoli apparsi sulla stampa americana. “In quel momento – scrive la Stein – compresi in un lampo che Dio aveva ancora
una volta posato pesantemente la sua mano sul suo popolo e che il destino di questo popolo era anche mio”6.
3
Ibidem, p. 13.
La pubblicazione dell’enciclica Mit brennender Sorge (‘Con bruciante preoccupazione’) provocò la reazione violenta del regime nazista, inasprendo le persecuzioni verso i cattolici e provocando l’arresto di religiosi e sacerdoti secolari in tutte le
diocesi tedesche.
5
R. De Felice, Mussolini il duce. II. Lo Stato totalitario 1936–1940, Einaudi,
Torino 1981, p. 484. Discorso pronunciato da Pio XI e pubblicato sull’ “Osservatore
romano” in occasione della visita di Hitler a Roma.
6
A. Ales Bello e Ph. Chenaux, Edith Stein e il Nazismo, op. cit., p. 12. La citazione è tratta dall’autobiograia della Stein, scritta in gran parte nel 1933, dal titolo Aus
dem Leben einer jüdischen Familie. Das Leben Edith Steins: Kindheit und Jugend,
[in:] (ESW) Edith Stein Werke VII, Herder, Freiburg–Basel–Wien 1987. Nella nuova
edizione critica delle opere complete – Edith Stein Gesamtausgabe (ESGA), curata
4
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271
Verso la ine dell’estate di quello stesso anno, nel corso del dialogo
epistolare tenuto con una religiosa, Edith conida che “è volontà di Dio
che l’uno porti il peso dell’altro”7, riprendendo l’esortazione dell’apostolo Paolo ai Galati: “Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete
la legge di Cristo” (Gal 6,2), poiché in questo modo, esaminando “la
propria condotta” e portando “il proprio fardello”, alla ine “ciascuno
raccoglierà quello che avrà seminato” (Gal 6,7).
Rispetto alla possibilità di sfuggire al disagio della sofferenza circostante, o contro una sua eventuale rimozione, Edith confessava: “Si acuisce in me un desiderio urgente di essere holocaustum, che si deinisce
sempre più in: hic Rhodus, hic salta”8.
Analoga testimonianza sul rischio di ‘chiudere gli occhi’ di fronte
alla realtà, si trova nel diario di un’altra testimone di quel dolore, Etty
Hillesum, dove si accenna alla pericolosità di quanto si poteva ascoltare
ogni giorno: “non vogliamo pensare, non vogliamo sentire, vogliamo
dimenticare il più possibile”, scrive la Hillesum, mentre sarebbe necessario imparare ad offrire “un nuovo senso alle cose, attinto dai pozzi più
profondi della nostra miseria e disperazione”, se si vuole dischiudere
“l’orizzonte di un nuovo sapere”9.
Edith nacque a Breslavia il 12 ottobre 1891, quella sera ricorreva
la più grande solennità degli ebrei: la festa dell’Espiazione (Kippur),
il giorno ebraico più santo e solenne dell’anno. Lo Yom Kippur, il ‘giorno
dell’espiazione’ dei peccati e della riconciliazione, è giorno di penitenza
e digiuno in cui assumendosi anche la responsabilità degli altri si domanda il perdono per i peccati, con un cerimoniale che inizia appena pridallo “Edith-Stein-Institut” di Würzburg, Herder Verlag, Freiburg–Basel–Wien, a partire dal 2000 – il testo di Edith Stein è stato ripubblicato nel 2010.
7
E. Stein, Briefaulese 1917–42 mit einem Dokumentenanhang zu ihrem Tode,
Monastero delle Carmelitane di Maria von Frieden (ed.), Köln–Freiburg i. Br. 1967;
tr. it. La scelta di Dio. Lettere dal 1917 al 1942, a cura della redazione di Città Nuova
Editrice, Mondadori, Milano 1998, p. 56.
8
E. Stein, La scelta di Dio, op. cit., p. 29. La frase di Esopo “qui è Rodi, qui devi
saltare”, apostrofe beffarda a un atleta che affermava di aver fatto un salto eccezionale
a Rodi, ha il senso traslato: “Dimostraci qua le tue affermazioni”.
9
E. Hillesum, Lettere 1942–43, Adelphi, Milano 1990, pp. 42–45.
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ma del tramonto e termina dopo il giorno successivo, quando appaiono
le prime stelle. Il Giorno del Pentimento discende dalle antiche pratiche
sacriicali rimaste in vigore ino alla distruzione del Tempio di Gerusalemme (70 d.C.), in particolare il sacriicio del “capro espiatorio”10.
Nel Nuovo Testamento l’antico ‘giorno della riconciliazione’ diventerà
igura del ‘venerdì santo’ di Cristo, che si fa vittima e accetta di morire
come “agnello di Dio […] che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29).
Cristo stesso, quando evoca la propria missione terrena, fa riferimento
ai Canti del ‘Servo sofferente’ di Isaia, il quale “si è caricato delle nostre
sofferenze e si è addossato i nostri dolori, così che noi lo giudicavamo
castigato, percosso da Dio e umiliato”11.
Per esprimersi, per farsi Parola, Dio stesso si svuota dell’originario possesso di sé (kénosis) e donandosi nel Figlio annuncia l’amore
per il ‘prossimo’ che esige l’esodo dalla propria philautía, dall’egoistico amore di sé. L’azione di Dio apre l’anima all’avvento dell’altro
rendendola ospitante (Er-fahrung); il prossimo ci appare così come
“l’Altro: noi stessi, quest’anima che indaghiamo e la cui misura ci trascende sempre”12.
Colui che si ‘perde’ in questa mistica ‘notte dei sensi’ (san Giovanni
della Croce), trova la strada “verso l’incomprensibile Dio”, giungendo
inine alla ‘notte dello spirito’ in cui Dio stesso chiede all’anima di condividere la propria ‘crociissione’, come estrema prova d’amore13.
10
“Aronne poserà entrambe le mani sul capo del capro vivo, confesserà su di esso
tutte le colpe degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li riverserà
sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di ciò, lo manderà via nel
deserto” (Lev 16, 21–22).
11
Cfr. Isaia 53, 4–6: “Egli è stato traitto per i nostri delitti, schiacciato per le
nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe
noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti”. Gesù parla
di sé come di un servo, alludendo a Isaia 53, quando dice: “Il Figlio dell’uomo... non
è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”
(Mc 10,45).
12
Cfr. M. Cacciari, Della cosa ultima, Adelphi, Milano 2004, pp. 138–140.
13
Cfr. E. Stein, Kreuzeswissenschaft. Studie über Johannes a Cruce, L. Gelber –
M. Linssen (edd.), ESW I, Herder, Louvain–Freiburg–Basel–Wien 1983; tr. it. Scientia
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273
Se l’assunzione della natura umana diede a Cristo “la possibilità
di soffrire e di morire”, afferma Edith Stein, “la natura divina da lui
posseduta dall’eternità diede al soffrire e al morire un valore ininito
e una forza redentrice”14. Il dolore e la morte di Cristo persistono nel suo
‘Corpo Mistico’ assieme alla vita di grazia, per questo in ogni “membro
vivo del Corpo di Cristo” la sofferenza e la morte acquistano un carattere salviico15.
Nell’autunno del 1933 Edith Stein entra nel Carmelo di Colonia,
dove assume il nome di Teresa Benedetta della Croce. Nel breve scritto autobiograico, composto per spiegare il suo ingresso nel monastero
delle Carmelitane, Edith riporta: “Da quasi dodici anni il Carmelo era
la mia aspirazione, da quando, cioè, nell’estate del 1921, la Vita della
nostra santa Madre Teresa, venutami per caso tra le mani, aveva posto
improvvisamente ine alla mia lunga ricerca della vera fede”16. Dopo
la lettura del libro di S. Teresa d’Avila le era apparso chiaro che la verità
non è un ideale da perseguire all’ininito, secondo l’idea di Husserl, e in
seguito al confronto con san Tommaso, asserirà che “la verità intera,
Crucis. Studio su S. Giovanni della Croce, di C. Dobner, Edizioni OCD, Roma 2011.
“Nessun cuore umano è mai piombato in una notte così oscura come il Dio-Uomo nel
Getsemani e sul Golgota. Nessuno spirito umano in ricerca può mai penetrare nell’insondabile mistero del Dio Uomo morente, abbandonato da Dio. Gesù però può far
provare alle anime elette qualche cosa di questa estrema amarezza. Sono i suoi amici
fedelissimi, ai quali chiede l’ultima prova del loro amore”. Ibidem, p. 31.
14
E. Stein, Il mistero del Natale (tr. it. di A. de De Piaz), La Locusta, Vicenza
1993, p. 21. Conferenza contenuta in Ganzheitliches Leben. Schriften zur religiosen
Bildung, L. Gelber – M. Linssen (edd.), ESW XII, Herder, Freiburg–Basel–Wien 1990.
15
“Questo è il motivo reale per cui tutti i santi hanno sempre desiderato soffrire.
Non si tratta di una malsana voglia di sofferenza. Ciò che all’intelletto naturale si presenta soltanto come perversione, alla luce del mistero della redenzione si mostra come
massima ragione. Così l’uomo unito al Cristo persevererà incrollabile anche nella notte oscura dell’apparente lontananza e abbandono di Dio. Forse la provvidenza divina
permette questo tormento per liberare un vero prigioniero delle tenebre. Perciò «Sia
fatta la tua volontà», anche è proprio nella notte più oscura”. E. Stein, Il mistero del
Natale, op. cit., p. 21.
16
E. Stein, Come giunsi al Carmelo di Colonia, Mimep–Docete, Roma 1998,
p. 46. Suor Teresa Benedetta consegnò questa ‘relazione’, come dono di Natale, alla
sua Madre Priora del Carmelo di Colonia, nel Natale del 1938.
274
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la verità totale, è, esiste; c’è una conoscenza che la possiede tutta intera,
e che non è processo ininito, ma ininita perfetta pienezza: la conoscenza divina”17.
A partire dal 1934 si dedica per due anni alla stesura dell’opera
Endliches und Ewiges Sein (‘Essere inito e Essere eterno’), che sarà
pubblicata postuma, dove cercherà di accordare i problemi della ilosoia e i problemi della teologia, nella consapevolezza che la strada che
conduce a Dio non è comunque quella della scienza, poiché “la via della
fede ci dà di più della via della conoscenza ilosoica; il Dio vicino come
persona, che ama ed è misericordioso, ci dà una certezza che non è propria di alcuna conoscenza naturale”18.
Nel 1938 Suor Teresa Benedetta della Croce ratiica deinitivamente i voti temporanei divenendo monaca di clausura a vita. “La mia sete
di verità era una preghiera continua” aveva confessato in una lettera del
23 marzo di quell’anno, scrivendo poi: “Non mi è mai piaciuto pensare
che la misericordia di Dio si fermi ai conini della Chiesa visibile. Dio
è verità. Chi cerca la verità cerca Dio, che lo sappia o no”19.
Occorre una ilosoia come sapienza (Weltbegriff), che nasce dal
bisogno concreto di risolvere il problema della vita, piuttosto che una
ilosoia come disciplina di scuola (Schulbegriff)20. La fenomenologia
di Husserl e la ilosoia di san Tommaso, sebbene differenti per impostazione e contenuti, convergono nel fondare la conoscenza nell’incontro
17
E. Stein, Welt und Person. Beitrag zum christlichen Wahrheitstreben, L. Gelber – R. Leuven (edd.), ESW VI, Herder, Louvain–Freiburg–Basel–Wien 1962; tr. it.
La ricerca della verità. Dalla fenomenologia alla ilosoia cristiana, A. Ales Bello
(ed.), Città Nuova, Roma 1993, p. 318.
18
E. Stein, Endliches und ewiges Sein. Versuch eines Aufstiegs zum Sinn des
Seins, L. Gelber – R. Leuven (edd.), ESW II, Herder, Louvain–Freiburg–Basel–Wien
1950; tr. it. Essere inito e Essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere,
di L. Vigone, Città Nuova, Roma 1988, p. 98. Risuonano qui le parole della Summa
theologiae: “la certezza data dalla luce divina è più grande di quella offerta dalla luce
della ragione naturale”. Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II–II, q. 171, a. 5, ad 3:
Ed. Leon. 10, 373.
19
E. Stein, La scelta di Dio, op. cit., p. 100.
20
Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, trad. it. G. Gentile e G. Lombardo-Radice Laterza, Roma–Bari 1983, p. 634.
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275
con la realtà creata, il mondo delle cose, ricercando la verità nello “spirito dell’autentico ilosofare”, secondo quella philosophia perennis “che
vive in ogni vero ilosofo, cioè in colui che un’interna necessità spinge
irresistibilmente a rintracciare il logos o la ratio di questo mondo”21. Una
comprensione razionale del mondo può essere raggiunta soltanto attraverso l’unione della ragione naturale, capace di “accedere a un patrimonio di verità”, e di quella soprannaturale. Un ilosofo, un uomo di cultura cristiano, secondo Edith Stein, deve pensare rimanendo stabilmente
piantato nella fede, in tal modo diventa possibile superare quel “vecchio
razionalismo che non ammette nessun mistero, che sembra non saper
nulla della frammentarietà di ogni sapere umano”22.
La “passione per la verità”, che appartiene sia al periodo della ricerca ilosoica che al tempo in cui “si tiene stretta a quella Verità che l’ha
afferrata”23, è connessa all’interesse antropologico che accompagna tutto il percorso intellettuale della Stein, sin dagli anni di Breslavia, quando
frequenta i corsi di psicologia. In seguito, a Gottinga, avvierà un’indagine fenomenologica sulla conoscenza dell’altro, attraverso un nuovo
modo di intendere la nozione di ‘empatia’ (Einfühlung), un concetto già
utilizzato nell’ambito dell’estetica e della psicologia. I risultati delle sue
ricerche conluiranno nella dissertazione dottorale ‘Il problema dell’emE. Stein, Husserls Phänomenologie und die Philosophie des heiligen Thomas
von Aquino. Versuch einer Gegenüberstellung, in Festschrift Edmund Husserl zum
70. Geburstag (Jahrbuch für Philosophie und ph-nomenologische Forschung, Ergänzungsheft), Max Niemeyer Verlag, Tübingen 1929, pp. 315–338; tr. it. La fenomenologia di Husserl e la ilosoia di san Tommaso d’Aquino. Tentativo di confronto, [in:]
La ricerca della verità. Dalla fenomenologia alla ilosoia cristiana, a cura di A. Ales
Bello, Città Nuova, Roma 1997, p. 62.
22
E. Stein, Welt und Person. Beitrag zum christlichen Wahrheitstreben, L. Gelber – R. Leuven (edd.), ESW VI, Herder, Louvain–Freiburg–Basel–Wien 1962; tr. it.
Il castello interiore. Esposizione di Santa Teresa di Gesù, a cura di A. M. Pezzella, [in:]
E. Stein, Natura persona mistica; per una ricerca cristiana della verità, Città Nuova,
Roma 1997, p. 144.
23
M. Paolinelli, Note sulla “Filosoia Cristiana” di Edith Stein, (art.) Simposio
Internazionale “Edith Stein, Testimone per oggi, Profeta per domani”, Teresianum,
Roma, ottobre 1998, http://www.ocd.pcn.net (consultato il 2.01.2014). Cfr. M. Paolinelli, La ragione salvata: sulla ilosoia cristiana di Edith Stein, Franco Angeli, Milano
2001, p. 60.
21
276
Giovanni Ferraro
patia’ (Zum Problem der Einfühlung)24, dove l’analisi comparativa di alcuni vissuti (la percezione, il ricordo, la fantasia) conduce ai tratti essenziali dell’empatia: la conoscenza dell’altro come ‘simile’ e alter-ego.
Si tratta di osservare, ‘rendersi conto’ (gewahren), percepire il ‘sentire’
(fühlen) dell’altro, allargando la propria esperienza per cogliere la realtà
del dolore e della gioia altrui. L’empatia è un atto d’esperienza vivente,
piena e immediata, in cui “la realtà viene colta nella sua forma decisiva
per gli esseri umani, nella forma dell’incontro con l’altra, con l’altro”25.
Ogni relazione prevede un duplice movimento, verso l’interno e verso
l’esterno, come indica la radice del termine Einfühlung (fühlen). Il movimento verso l’altro conferisce ‘pienezza di senso’ quando è associato
al cammino verso l’interiore singolarità del proprio essere.
È nell’approssimarsi all’altro che si manifesta la propria identità,
la conoscenza di sé presuppone il “far-esodo da sé”, dall’amore ripiegato su se stessi (philautía). L’incontro col prossimo avvicina a se stessi,
la relazione con l’altro presuppone l’uscita dalla ‘prigione’ del Se, dove
è impossibile conoscersi perché si è condannati a essere “non-altro che
sé, nulla di altro”26.
Nel comandamento dell’amore, il mandatum novum di Cristo, la relazione tra identità e alterità attraversa il paradosso della croce, segno
di sofferenza e di morte, e insieme simbolo della vita che risorge, nell’Esodo estremo del Figlio.
Il culmine della relazione e il culmine dell’abbandono coincidono
nella ‘parola della croce’, Logos dell’analogia che mette in relazione
determinazioni distinte, mostrando l’afinità di quanto viene concepito
come assoluta separatezza, oltre ogni sophia, fondata invece sul principio di non contraddizione. Guardando allora al paradosso della croce,
E. Stein, Zum Problem der Einfühlung, Buckdruckerei des Waisenhauses, Halle 1917; ed. it. eadem, Il problema dell’empatia, di Elio e Erika Costantini, Edizioni
Studium, Roma 1998.
25
L. Boella, A. Buttarelli, Per amore di altro. L’empatia a partire da Edith Stein,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, p. 72.
26
E. Bianchi, M. Cacciari, Ama il prossimo tuo, Il Mulino, Bologna 2011,
pp. 112–113. “Come potrebbe ciò che è nulla di altro conoscersi? Quali contenuti
o quale sostanza potrebbe attribuirsi?”.
24
Il Logos della Croce
277
la fede cristiana può affermare il più profondo interesse col mondo, ino
al completo dono di sé, senza però accettarne lo ‘spirito’ (Weltgeist),
poiché “come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani”27.
La frequentazione del pensiero medievale, in particolare l’opera
di santa Teresa d’Avila ‘Il Castello interiore’, consente alla Stein di operare un raffronto tra le analisi fenomenologiche sull’essere umano e le
tappe del cammino interiore percorso da santa Teresa. Riprendendo
le osservazioni di Husserl sul rapporto tra l’io puro e l’io personale,
la Stein individua un ‘nucleo’ (Kern) invariabile della personalità, un
“principio formativo” che coincide con il ‘centro dell’anima’, in cui risiede la “consistenza immutabile del suo essere”28. Rileva poi che non
è possibile fornire una deinizione esauriente dell’anima senza parlare
di ciò che costituisce concretamente la sua vita interiore, così come fa
santa Teresa quando utilizza l’immagine delle varie dimore del castello
per esprimere “ciò che è quasi indicibile” con il “marchio della più limpida veridicità”29.
In certe circostanze, per un “colpo del destino”, o per un progressivo avvizzimento, la fonte che l’anima “racchiude in sé può esaurirsi”,
allora “il mondo le si fa ancora presente, ma senza «accendere» nulla
in lei” ed “essa non è più in grado di dare una «risposta»”, viene meno
“la sensibilità per i valori” e svaniscono quelle qualità “in cui si espri27
“L’anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra.
L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non
sono del mondo”. AA.VV., A Diogneto, Ed. Paoline, Milano 2008, VI.1–3.
28
E. Stein, Beiträge zur philosophischen Begründung der Psychologie und
der Geisteswissenschaften, “Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung”, vol. V, Halle 1922; ristampa ed. M. Niemeyer, Tübingen 1970; tr. it. Psicologia e scienze dello spirito. Contributi per una fondazione ilosoica, di A. M. Pezzella,
Città Nuova, Roma 1999, p. 123.
29
E. Stein, Il castello interiore, op. cit., p. 117. È “veramente strano, è una situazione patologica che una persona non conosca la propria casa”, come chi abita fuori
dalle mura di cinta ed è ignaro della vita che si svolge all’interno del castello (ibidem,
p. 119). Nella dimora più interna del ‘castello interiore’ (il centro dell’anima) abita
il Signore dall’anima, intorno alla sua dimora vi sono altre sei dimore: le tappe che
l’essere umano percorre nel suo intimo, a partire dall’autoconoscenza, prima di giungere all’ultima in cui avviene la visione della verità.
278
Giovanni Ferraro
meva l’individualità stessa”, per cui “devono esserle apportate nuove
forze da fonti esterne, per risvegliarla ad una nuova vita”30.
Ognuno di noi è abituato a vivere a un certo ‘livello di profondità’,
in corrispondenza della propria maturità affettiva o sensibilità personale. Ogni persona, in base alle circostanze, si muove in un ambito più
o meno profondo di sé, per percepire un certo avvenimento, oppure per
accoglierlo al ‘giusto’ livello di profondità31. E tutti noi sperimentiamo
di non riuscire, per un lungo periodo o per una certa consuetudine, a far
rivivere una parte affettiva o una zona più profonda di noi stessi, perché ci siamo abituati a rimuovere ciò che potrebbe causarci sofferenza.
Ciò corrisponde, secondo Edith Stein, a “neutralizzare” la verità di una
cattiva notizia, ad evitare di “accoglierla veramente” pur ‘credendo’ ad
essa, sfuggendo a tutte le conseguenze e implicazioni. Colui che “vive
alla supericie di sé”, continuando a ignorare “il proprio cuore”, perde
il contatto con il ‘fondo’ di se stesso e “lascia morire la propria anima”.
Chi invece si muove verso il ‘centro’ dell’attenzione con un’accoglienza affettiva, senza “chiudere gli occhi” alle qualità negative della realtà, permette alle conoscenze relative di “entrare in vigore” e produrre
il loro effetto32.
L’anima “rigenerata dallo Spirito Santo” è capace di un’intima e originaria “ricettività”, così che “quanto le si avvicina ella lo accoglie nel
modo appropriato e nella corrispondente profondità”33.
All’estremo opposto dell’indifferenza c’è la “preghiera silenziosa
del cuore”, lo stato di raccoglimento e concentrazione di colui che, nella
topograia della vita interiore descritta da santa Teresa d’Avila, è giunto
all’ultima dimora del “castello interiore”; lo sguardo pieno d’attenzio-
30
E. Stein, Psicologia e scienze dello spirito, op. cit., p. 252.
Cfr. R. De Monticelli, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti,
Milano 2008, p. 277.
32
Ibidem, pp. 278–280. Le citazioni del testo fanno riferimento al libro di
E. Stein, Psicologia e scienze dello spirito.
33
E. Stein, Scientia Crucis, op. cit., p. 7.
31
Il Logos della Croce
279
ne del mistico, la cui anima si lascia soavemente ferire dall’amore che
la possiede, consumandola e trasformandola come una iamma viva34.
Recensendo un’opera su Teresa d’Avila, Edith Stein osserva che se
intendiamo la ilosoia, che cerca di rispondere all’universale ‘bisogno
di verità’, come amore per la sapienza divina, non troveremo ilosofo
più grande di santa Teresa, la quale riconoscendo che l’essenziale è “il
molto amare”, ha amato così tanto – als diese große Liebende – da arrivare ad una “scienza sperimentale” e a una “conoscenza intuitiva del
Dio nascosto”35.
C’è una duplice dipendenza della ilosoia dalla fede, ‘formale’
e ‘materiale’: la fede è criterio (Maßstab) che libera e preserva da errori,
e completamento (Ergänzung) della ilosoia, perché la verità rivelata
dà risposta a molte questioni che per la ragione naturale sono insolubili.
Mentre Husserl parte dall’immanenza della coscienza, per san Tommaso
il punto di partenza “assoluto” è la fede. Ciò è possibile perché la fede
non è qualcosa di irrazionale, qualcosa che non ha niente a che fare con
la verità e la falsità, ma per l’uomo in statu viae essa rappresenta una
strada sicura verso la verità, una ‘certezza’ – che non è un’evidenza –
soprattutto nei confronti di quelle verità che altrimenti ci resterebbero
precluse.
Husserl intende la ilosoia come ‘scienza rigorosa’ (strenge Wissenschaft) la cui analisi richiede di cominciare sempre da capo nel tentativo di dare una struttura deinitiva al fenomeno. L’epoché, la messa tra
parentesi di ‘ciò che è vissuto’ dal soggetto (gli Erlebnisse), pone una
serie di problemi, perché “qualsiasi ‘fondo’ si raggiunga, esso rimanda
effettivamente ad altri fondi, qualsiasi orizzonte si dischiuda esso ridesta
“O iamma d’amor viva, che soave ferisci, dell’alma mia nel più profondo centro”. San Giovanni della Croce, Opere, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi,
Roma 1985, p. 732.
35
Cfr. M. Paolinelli, La ragione salvata, op. cit., p. 271. “Il nodo della questione
non sta nel pensare molto, ma nell’amare molto; pertanto fate ciò che può incitarvi
maggiormente ad amare. Forse non sappiamo che cosa sia amare, e non me ne meraviglierei molto, perché non consiste nel maggior piacere spirituale, ma nella maggiore
determinazione di cercar di contentare Dio in tutto”. Teresa d’Avila, Il castello interiore, tr. L. Falzone, Edizioni Paoline, Milano 2005, p. 84.
34
280
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altri orizzonti”. Questo “tutto ininito” rimane “orientato verso l’unità
di un senso”, tuttavia non è possibile “giungere ad afferrarlo e a capirlo
completamente”36.
Il cammino dell’intelligenza umana è dunque obbligato a un interminabile e solitario ‘errare’, dove il pensiero è ‘cammino’ (odós) in cerca di un ‘metodo’, di una ‘strada da percorrere’ (metá-odós) per uscire
dall’aporía, e continuare a scandagliare gli abissi dell’anima. Tuttavia,
per la Stein nella ‘incertezza’ (aporèo) e nello ‘spaesamento’ dell’esistenza c’è sempre una verità da raggiungere, che non è un ideale astratto
né un compito ininito, poiché coincide con quella Verità che si comunica allo spirito dell’uomo attraverso la croce, donando la propria vita per
amore, attraverso un “esodo da sé senza ritorno” (Emmanuel Lévinas).
C’è una forma di conoscenza che non si acquisisce gradualmente, “in un
processo senza ine”, ma è in grado di comprendere interamente la verità, “in una pienezza che rimane uguale a se stessa all’ininito”, e Dio può
rendere partecipi di questa pienezza attraverso la conoscenza naturale,
oppure con la “visione beatiica”, tramite una fede viva che conduce alla
“visione mistica”37.
36
E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie: Eine Einleitung in die phänomenologische Philosophie (1936);
tr. it. La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, di E. Filippini,
Il Saggiatore, Milano 1961, p.196. “Se potessimo identiicare la ψυχή di Eraclito con
questa soggettività, varrebbero per essa le sue parole «Qualsiasi strada tu percorra non
arriverai mai a trovare i conini dell’anima, tanto profondo è il suo fondo». Qualsiasi
‘fondo’ si raggiunga, esso rimanda effettivamente ad altri fondi, qualsiasi orizzonte
si dischiuda esso ridesta altri orizzonti; tuttavia il tutto ininito, nell’ininità del suo
movimento luente, è orientato verso l’unità di un senso, ma non è mai possibile giungere ad afferrarlo e a capirlo completamente”.
37
Cfr. M. Paolinelli, Note sulla “Filosoia Cristiana” di Edith Stein, op.cit.
Al termine del cammino, il mystes, colui che tiene serrate le labbra per rendere impenetrabile, come la notte più profonda, il segreto cui ha partecipato, spalanca lo sguardo
e tace ciò che ha visto: il culmine della visione, l’istante senza tempo dell’illuminazione (l’epopteía) in cui gode della contemplazione delle realtà divine. Cfr. M. Cacciari,
Della cosa ultima, op. cit., p. 418. È probabile che myo – che indica il ‘chiudersi’ degli
occhi: da cui ‘miope’ – corrisponda ai termini myèo (‘inizio’ ai misteri) myesis, mystes,
che in accadico designavano il tempo notturno (durante il quale si svolgevano i riti
misterici).
Il Logos della Croce
281
Il ilosofo si appresta a scrutare il mondo con ‘occhio spalancato’
(ganz offenes Auge)38, cercando di ‘salvare’ i fenomeni, le ‘cose che appaiono’ (ta fainomena). Il sapere ilosoico ha alle spalle tutte quelle
forme arcaiche della sapienza connesse al vedere, reinterpretate e trasformate “in una nuova accezione della visione”, manifestatasi col “gesto teoretico” di Platone che dà inizio alla ‘scienza ilosoica’ (episteme
theoretike), attraverso un vedere (theoreo) ‘spirituale’ che va al di là del
vedere ‘corporeo’ per cogliere ciò che è39.
La ilosoia gioca nel dialogo tra meraviglia (thaumàzein) e interrogazione (diaporein) dell’aporia. Il ilosofo fa esperienza della dimensione della verità, cioè guarda a quella dimensione in cui ‘giocano’
e ‘dialogano’ le verità della ilosoia, della scienza, della religione, ecc.,
riconoscendo che ‘nulla appare invano’, come afferma il principio della
fenomenologia. Nell’ambito del domandare ilosoico, che è cammino
alla ricerca del senso, la fenomenologia è quel ‘metodo’ che invita a ‘vivere’, a fare esperienza (Erlebnis) in prima persona, laddove l’esperienza vitale (Erleben) è l’attraversamento di una soglia, di un limen,
è un evento che produce un passaggio dalla prospettiva del soggetto
a un orizzonte nuovo, un’uscita da sé che può mettere in pericolo, ma
che può allo stesso tempo salvare40. La meraviglia (to thaumàzein), che
Cfr. E. Stein, Einführung in die Philosophie, L. Gelber–M. Linssen (edd.),
ESW XIII, Herder, Freiburg–Basel–Wien 1991; tr. it. Introduzione alla ilosoia,
di A. M. Pezzella, Città Nuova, Roma 2001.
39
C. Sini, Filosoia teoretica, Jaca Book, Milano 1992, pp. 9, 45–47. “Come nelle esperienze arcaiche, dove per arrivare alla visione-rivelazione è necessario puriicarsi, anche nella sapienza ilosoica è necessario un cammino (odos) preliminare, nella
forma del metodo (methodos) della domanda. Ma il contrassegno di questa via di puriicazione è che essa consiste essenzialmente nel dubbio, nella capacità di rimuovere
(di mettere in epoché, dirà Husserl) tutto il patrimonio delle antichissime sapienze”.
40
Esperienza viene dai verbi greci peiro (‘attraversare’, ‘passare attraverso’),
peirào (‘tentare’, ‘provare’), e dal termine peira, (‘tentativo’, ‘esperimento’). In latino
il termine ‘-perior’, da ex-perior, implica la nozione di prova e di pericolo. Nella lingua tedesca il termine esperienza può essere reso con Erfahrung ed Erlebnis, derivati
dai due verbi erfahren (dove fahren signiica andare, viaggiare) ed erleben (da leben,
vivere), per cui Erfahrung indica l’esperienza concreta, fattiva, accumulata, mentre
Erlebnis, indica l’esperienza vissuta, prevalentemente interiore.
38
282
Giovanni Ferraro
è la ‘passione’ del ilosofo (to pathos tou philosophou)41, è anche “la
condizione del teologo”, poiché chi pensa, chi viene ‘colpito da un problema’, ha a che fare “con il novum, l’ignoto, con la pura e forte alterità
dell’Altro”, che dal teologo viene esperito “non soltanto nella forma
di un ascolto intellettuale, ma anche nella forma densa, altissima, provocatoria che è l’esperienza della preghiera, esperienza ‘mistica’, perché
data dall’alto, dell’Altro”42.
La teologia è dunque espressione di una ides semper indaganda che
“non potrebbe ‘rinunciare’ al dubbio”, una fede che testimonia la Verità
“intrinsecamente problematico-dialettica” del “Deus-Trinitas”43. In essa
il dato della rivelazione non è mai “assicurato”, dato “staticamente”, ma
richiede un indagare e un domandare radicali. Nella sua natura ‘esodale’
l’uomo è l’interrogante che attraversa le aporie dell’esistenza realizzando
il suo cammino con l’andare, nella dimensione ‘agonica’ della fede ciò
che egli trova assume valore solo in quanto continua ancora a cercarlo.
L’agòn, l’agonia e la lotta della fede e della teologia, si traduce
nel “fuoco delle contraddizioni” che segnano la storia della Cristianità,
la quale corrisponde alla storia d’Europa: “vivente relazione col Cristianesimo, traditio christiana”44. In essa “croce e notte sono la via alla luce
celeste”, tracce di misericordia – che ‘squassa le viscere’ (εσπλαγχνίσθη,
Lc 10,33) – del Deus patibilis, che ha segnato la singolare vicenda
di Edith Stein, testimone di quel Logos della croce che “è stoltezza per
quelli che si perdono” ma è “potenza di Dio” per quelli che cercano
la salvezza (1Cor 1,18).
Il pomeriggio del 2 agosto 1942 – anno in cui iniziano le sistematiche
deportazioni di massa verso l’est, per dare compimento all’Endlösung,
la ‘soluzione inale’ del problema ebraico – quando Edith venne prelevata dal convento di Echt insieme alla sorella Rosa, per essere trasferita
41
42
–61.
Platone, Teeteto, 155 d.
B. Forte, Teologia in dialogo, Raffaello Cortina Editore, Milano 1999, pp. 60–
Cfr. M. Cacciari, Filosoia e teologia, [in:] P. Rossi (a cura di), La ilosoia,
II: La ilosoia e le scienze, UTET, Torino 1995, pp. 365–421.
44
M. Cacciari, Europa o Cristianità, “MicroMega. Almanacco di ilosoia”,
Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma 2000, n. 2, p. 65.
43
Il Logos della Croce
283
ad Auschwitz, una testimone la sente dire: “Vieni, andiamo per il nostro
popolo”. Il 24 maggio 1942, pochi mesi prima del martirio, compiuto
il 9 agosto nelle camere di Auschwitz-Birkenau, Teresa Benedetta della
Croce dedica alcuni versi all’eterno Amore:
Chi sei, luce che mi inondi e rischiari la notte del mio cuore? Tu mi guidi
come la mano di una madre, ma se mi lasci non saprei fare neanche un passo
solo. Tu sei lo spazio che circonda l’essere mio e lo protegge. Se mi abbandoni cado nell’abisso del nulla, da cui mi hai chiamato all’essere. Tu, più vicino
a me di me stessa, a me più intimo dell’anima mia – eppure sei intangibile
e infrangi le catene di ogni nome: Spirito Santo – Eterno Amore! Sei tu il canto dell’amore e del timore sacro, che risuona eterno intorno al trono di Dio,
che sposa in sé il puro suono di tutte le cose? L’armonia che unisce le membra
al capo, nella quale ognuno trova beato il senso profondo del proprio essere
ed esultando scorre nel suo luire, Spirito Santo – Giubilo eterno45.
Nell’ultimo messaggio che invia alla Priora di Echt dal campo
di raccolta di Westerbork, Edith scrive: “Sono contenta di tutto. Si giunge a possedere una scientia crucis solo quando si sperimenta ino in
fondo la croce. Di questo ero convinta in dal primo istante, perciò ho
detto di cuore: ave, crux, spes unica!”46.
logos of the Cross
SUMMARY
The existential story of Edith Stein is characterized by the pursuit of truth and by
placing herself at its service. Starting from the philosophical discourse she reaches the
word of the cross, the Logos of the analogy that relates separate determinations. Going
through the various stations of her Way of the Cross in order to achieve her union
with the Beloved, Edith Stein realizes the commandment of love: donate life to “save”
forever every existence.
Keywords: philosophy, empathy, cross, suffering, self-offering
E. Stein, In der Kraft des Kreuzes, Herder, Freiburg im Breisgau 1980; tr. it. La
mistica della Croce, di G. Baptist, Città Nuova, Roma 1991, p. 73.
46
E. Stein, La scelta di Dio, op. cit., pp. 129–130.
45