L’ARCHEOLOGIA DELLA PRODUZIONE A ROMA
(SECOLI V-XV)
La ricerca è stata finanziata con fondi del Progetto PRIN
“Storia e Archeologia globale dei paesaggi rurali in Italia fra Tardoantico e Medioevo”
In copertina: Ricostruzione del cantiere altomedievale nell'area a sud della basilica di S. Paolo fuori le mura (disegno di F. Benetti).
Sul retro della copertina:
COLLECTION DE L’ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME
11
L’ARCHEOLOGIA DELLA PRODUZIONE A ROMA
(SECOLI V-XV)
Atti del Convegno Internazionale di Studi
Roma, 27-29 marzo 2014
a cura di
Alessandra Molinari, Lucrezia Spera e Riccardo Santangeli Valenzani
COORDINAMENTO SCIENTIFICO DELLA BANCA DATI
E CURA REDAZIONALE DEL VOLUME
Cinzia Palombi
REALIZZAZIONE E GESTIONE DELLA PIATTAFORMA GIS
Nicoletta Giannini
Roma-Bari 2015
© École française de Rome - 2015
ISSN 0223-5099
ISBN 978-2-7283-0000-0
© 2015 Edipuglia srl, via Dalmazia 22/b - 70127 Bari-S. Spirito
tel. 0805333056-5333057 (fax) - http://www.edipuglia.it - e-mail: info@edipuglia.it
ISBN 978-88-7228-778-1
DOI http://dx.doi.org/10.4475/778
L’ARCHEOLOGIA DELLA PRODUZIONE A ROMA (SECOLI V-XV)
INTRODUZIONE
Alessandra Molinari, Riccardo Santangeli Valenzani, Lucrezia Spera
L’organizzazione di questo convegno nasce dall’intento di un’analisi esaustiva delle attività produttive a
Roma nella Tarda Antichità e nel Medioevo, che possa
inserire la città e i fenomeni in essa documentati entro
il complessivo dibattito che riguarda l’«archeologia
della produzione». Per cominciare ci sembra importante
ripercorrere quali sono stati i principali interrogativi dai
quali siamo partiti, e quali finalità ci siamo posti e le attività di ricerca e censimento che hanno preceduto queste giornate di studio. Per una città come Roma, che è
piuttosto ben nota come centro di consumo, ci è parso
invece indispensabile cercare di comprendere meglio in
quale modo funzionassero gli aspetti della produzione,
i quali rappresentano un elemento centrale per cogliere
la struttura ed i ritmi economici nella lunga durata. Lo
stato delle conoscenze e l’ampiezza dei problemi da trattare hanno suggerito, in questa sede, di circoscrivere il
nostro progetto di ricerca alle sole attività artigianali e
all’edilizia, riservandoci in futuro di organizzare un diverso incontro che affronti anche il tema delle produzioni agricole e dei consumi alimentari.
È passato oltre un ventennio dall’edizione del convegno organizzato da Lidia Paroli e Paolo Delogu 1, nel
quale iniziò un proficuo dialogo tra storici ed archeologi
sulla storia economica di Roma post-antica, anche se limitatamente all’alto Medioevo. In questi vent’anni sono
cresciuti esponenzialmente i dati archeologici in nostro
possesso. Inoltre, negli ultimi tre anni la raccolta di saggi
di Paolo Delogu (2010) sull’alto Medioevo, nonché i recentissimi volumi di Chris Wickham sui secoli X-XII e
quello di Jean Claude Maire Vigueur sui secoli XII-XIV
hanno utilizzato a vario titolo ed in varia misura i dati
materiali, ma hanno anche proposto nuovi interrogativi
alle fonti archeologiche. È stato quindi importante raccogliere, riorganizzare ed in prospettiva aumentare le
fonti in nostro possesso. Nei saggi che abbiamo appena
citato è peraltro centrale il rifiuto dello stereotipo di
Roma come città improduttiva, parassita ed in qualche
modo pregiudizialmente sui generis, proprio a partire da
considerazioni che riguardano l’organizzazione e l’articolazione del lavoro artigianale.
Per collocare nella giusta scala la produzione artigianale della Roma post-antica abbiamo quindi pensato alla
necessità, in primo luogo, di partire da alcune sintesi
sulla città imperiale, quindi di affrontare il nostro tema
nella lunga diacronia e, infine, di proporre un’ampia sezione comparativa con altre realtà italiane ed europee.
Sul fronte della ricerca archeologica i numerosi scavi
di emergenza e di ricerca all’interno della città e nel suo
immediato suburbio continuano a restituire testimonianze importanti di impianti e/o di indicatori di attività
produttive; di qui anche l’esigenza di ‘fare ordine’, di
riorganizzare i dati noti e di fare emergere quelli inediti.
Da questa constatazione è nata l’idea di costituire una
banca dati, collegata ad un GIS dell’area di Roma e del
suo suburbio, che ha comportato una schedatura della
bibliografia relativa alle scoperte dalla fine dell’Ottocento ad oggi, alla quale hanno partecipato una ventina
di giovani studiosi e che ha permesso di censire circa
seicento indicatori produttivi e grossomodo trecento
contesti. I dati inediti forniti dai responsabili diretti delle
ricerche sono invece risultati di minore entità. La banca
dati è ora presentata nel CD, allegato a questo volume,
quale supporto fondamentale alle prime sintesi proposte,
e diverrà fruibile on-line e destinata di una continua implementazione nel corso dei prossimi mesi. Il censimento esaustivo permette di essere molto più precisi
nella valutazione generale dei fenomeni (pur con tutte
le limitazioni che verranno evidenziate), come è ad
esempio avvenuto in seguito allo studio delle sepolture
1
PAROLI, DELOGU 1993.
6
ALESSANDRA MOLINARI, RICCARDO SANTANGELI VALENZANI, LUCREZIA SPERA
in urbe realizzato alcuni anni fa da Riccardo Santangeli
Valenzani e Roberto Meneghini 2. La possibilità di ragionare su nuove basi sulla dislocazione topografica
delle officine, nella lunga diacronia dal V al XV secolo,
pur con alcuni limiti insiti nell’evidenza disponibile, è
stato uno dei principali fini della nostra ricerca. Le variabili considerate particolarmente significative sono
state: la collocazione in area urbana o extra urbana; la
concentrazione di attività produttive analoghe in una
stessa area della città; la relazione con chiese e monasteri o spazi un tempo pubblici; la relazione con le aree
più densamente abitate, etc. Comincia, inoltre, a diventare possibile valutare la complessità, la dimensione,
l’entità numerica degli impianti e dei cantieri e distinguere caratteri e forme della produzione, se essa si configuri come attività permanente o limitata/occasionale,
nonché di valutarne i significati nelle più generali dinamiche della città nella Tarda Antichità e nel Medioevo.
Negli atti del convegno la rassegna delle diverse
attività produttive include sia le produzioni seriali, sia
quelle di lusso ed artistiche, seppure con diverse lacune.
Se è vero che sono le attività più comuni a dare il tono
economico dei diversi periodi, sembra interessante capire
in quale humus produttivo ed in quale congiuntura economica si siano realizzati gli oggetti di lusso ed i prodotti
artistici. Come è noto, esiste tra gli storici dell’economia
un nutrito dibattito sulla congiuntura economica di fasi di
importante produzione artistica, come ad esempio è ben
noto per il Rinascimento italiano. Per molti questa non
avviene necessariamente in fasi di sviluppo e crescita.
La scelta della lunga durata per studiare l’economia
di Roma, attraverso le attività produttive, è stata anche
finalizzata a riconoscere meglio le fasi di cambiamento
e di passaggio, nonché il peso delle trasformazioni sociali e di quelle istituzionali sull’andamento dell’economia. L’analisi della struttura produttiva ha permesso
anche di andare oltre generici giudizi sulle performance
economiche (crescita/declino). Peraltro, gli studi più recenti permettono di constatare come le trasformazioni
del papato, la sua forza o debolezza, non influiscano in
modo lineare sugli andamenti economici e sullo sviluppo delle forze produttive.
Questo progetto, nato dalla collaborazione tra l’Università di Roma ‘Tor Vergata’ e l’Università di Roma
‘Tre’, deve molto al contributo di varie istituzioni,
l’École française de Rome, che ha generosamente sostenuto anche il progetto editoriale, la British School at
Rome, la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma (ora Soprintendenza Speciale per il Co-
losseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma) e la Sovraintendenza Capitolina ai Beni
Culturali; dobbiamo perciò rivolgere ai responsabili di
queste, nel momento dell’attivazione della ricerca, a
Catherine Virlouvet, Christopher Smith, Maria Rosaria
Barbera e Umberto Broccoli, sinceri ringraziamenti per
la disponibilità a partecipare, a diverso titolo, al migliore
esito dell’iniziativa. Lo sviluppo del progetto si è avvalso
soprattutto dell’impegno serio e appassionato del gruppo
di ricerca per l’impianto della banca dati, giovani colleghi delle due Università coinvolte e del Pontificio Istituto
di Archeologia cristiana, firmatari delle schede del CD
allegato: a Laura Acampora, Alexander Agostini, Cristian Aiello, Marco Bianchi, Lucrezia Campagna, Federico Caruso, Gabriele Castiglia, Gabriele Ciccone, Tiziano Cofani, Francesca Colangeli, Emanuela D’Ignazio,
Gabriele D’Uffizi, Adriana Farina, Giuliano Giovannetti,
Dino Lombardo, Giulia Manili, Marilù Mattace Raso,
Francesca Missi, Alfonso Orfeo, Cinzia Palombi, Erika
Pischedda, Michela Porcu, Giorgio Rascaglia, Jacopo
Russo, Pasqua Scardigno dobbiamo perciò un grazie di
cuore. La banca dati è stata arricchita per alcune schede
grazie anche all’apporto di studiosi diretti responsabili
delle indagini archeologiche, in particolare: Massimo
Brando, Monica Ceci, Riccardo Frontoni, Giuliana Galli,
Carmen Lalli, Ersilia Maria Loreti, Roberto Meneghini,
Francesco Pacetti, Carlo Pavolini, Eleonora Ronchetti,
Lucia Saguì, Enrico Zanini. Ringraziamo poi anche, per
la generosa e proficua collaborazione, Cinzia Palombi,
che ha seguito la costruzione scientifica della banca dati
ed effettuato la cura redazionale di questo volume, e
Nicoletta Giannini, cui si deve l’elaborazione del sistema
GIS e la realizzazione delle numerose mappe che corredano i nostri contributi. Per l’organizzazione del convegno e per una serie di necessità legate allo sviluppo
della ricerca abbiamo potuto usufruire di alcuni fondi
di ricerca, in particolare di quelli destinati al progetto
(PRIN 2010-2011) su ‘Storia e Archeologia globale dei
paesaggi rurali in Italia fra Tardoantico e Medioevo.
Sistemi integrati di fonti, metodi e tecnologie per uno
sviluppo sostenibile’ con la direzione scientifica nazionale di Giuliano Volpe e, per l’Unità di ricerca di Roma
‘Tor Vergata’, sotto il coordinamento di Vincenzo Fiocchi Nicolai. Siamo grati, infine, alla casa editrice Edipuglia per la disponibilità a condividere con l’École
française de Rome l’edizione di questi atti.
Roma, 4 ottobre 2015
2
Si veda MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004, pp. 103-125.
L’ARCHEOLOGIA DELLA PRODUZIONE A ROMA (SECOLI V-XV). INTRODUZIONE
Bibliografia
DELOGU 2010 = P. DELOGU, Le origini del medioevo. Studi sul
settimo secolo, Roma 2010.
MAIRE VIGUEUR 2011 = J.-C. MAIRE VIGUEUR, L’altra Roma.
Una storia dei romani all’epoca dei comuni (secoli XIIXIV), Torino 2011.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004 = R. MENEGHINI,
R. SANTANGELI VALENZANI, Roma nell’Altomedioevo: to-
7
pografia e urbanistica della città dal V al X secolo, Roma
2004.
PAROLI, DELOGU 1993 = L. PAROLI, P. DELOGU (a cura di), La
storia economica di Roma nell’Alto Medioevo alla luce
dei recenti scavi archeologici. Atti del seminario (Roma,
2-3 aprile 1992), Firenze 1993.
WICKHAM 2013 = C. WICKHAM, Roma medievale. Crisi e stabilità di una città 900-1150, Roma 2013.
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE
NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
Cinzia Palombi*, Lucrezia Spera**
La banca dati e il GIS degli indicatori di produzione: quadri di insieme
Il notevole incremento dei dati archeologici sulle attività artigianali a Roma e la necessità di una sistematizzazione delle conoscenze pregresse ha motivato il
progetto di ricerca sul tema dell’’archeologia della produzione a Roma nei secoli dal V al XV’, che si propone come fine primario di ricostruire, nella lunga
durata, i processi produttivi della città 1, ampliando
l’orizzonte geografico del campo d’indagine anche alla
fascia territoriale suburbana entro il limite generico,
stabilito convenzionalmente, del IV-V miglio, proprio
nella prospettiva di una migliore comprensione delle interazioni tra urbs e suburbio (fig. 1) 2. Il progetto associava, già nella concezione iniziale, all’organizzazione
del convegno la creazione di una banca dati destinata
ad una divulgazione su una piattaforma web in grado
di accogliere, inizialmente sulla base dell’edito, tutte le
Presento con lievi modifiche e un adeguato apparato critico
l’intervento letto nel corso del convegno. Mi è gradito ringraziare
i Professori Alessandra Molinari, Lucrezia Spera, Riccardo Santangeli Valenzani, organizzatori di queste giornate di studio, per
avermi coinvolto nel progetto di ricerca ed avermi affidato il compito di presentare i primi risultati del lavoro finora svolto.
1
Cfr. supra l’introduzione al presente volume.
2
Effettivamente per l’epoca post-classica sono ancora pochi gli
studi in cui si è tentato di ricostruire, in un’ottica più generale, le
connessioni storico-economiche tra il centro urbano di Roma e il
suo suburbio (cfr. le osservazioni in SPERA 2011a, in particolare pp.
309-311, in riferimento all’età tardo antica).
3
A tutt’oggi sono stati presi in considerazione i seguenti periodici: Archeologia Classica, Archeologia Laziale, Archeologia Medievale, Bollettino di Archeologia, Bullettino di Archeologia
Cristiana, Bullettino della Commissione Archeologica Comunale,
Capitolium, Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité, Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge, Notizie degli Scavi
di Antichità, Ostraka, Papers British at School, Rendiconti della Pontificia Accademia di Archeologia, Rivista di Archeologia Cristiana.
informazioni relative alle tracce di lavorazioni di tipo
manifatturiero, attestate a Roma nella Tarda Antichità
e nel Medioevo.
Per raggiungere l’obiettivo, si è pianificata in primo
luogo un’accurata acquisizione e catalogazione dei dati, mediante il riesame di studi editi e lo spoglio sistematico delle principali riviste di ambito scientifico, a
partire dal 1870 ad oggi 3. Questo lavoro di recupero,
Fig. 1. - Roma, foto satellitare: in evidenza il limite generico del
campo d’indagine, stabilito convenzionalmente al IV-V miglio.
10
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
Fig. 2. - Immagine dell’interfaccia utente del database relazionale, con pulsantiera principale.
Fig. 3. - Esempio di una scheda compilata di ‘contesto produttivo’ estrapolata dal database.
Di fatto, non è stato ancora ultimato il vaglio delle pubblicazioni specialistiche a cui seguirà il censimento delle fonti letterarie
ed archivistiche. Per tale motivo, ci si è mossi verso uno strumento
di catalogazione flessibile che rappresentasse un vero e proprio archivio in progress e in continua implementazione.
5
Il gruppo di lavoro, coordinato da chi scrive, è stato costituito da:
Alexander Agostini, Cristian Aiello, Marco Bianchi, Lucrezia Campagna, Gabriele Ciccone, Tiziano Cofani, Francesca Colangeli, Emanuela
D’Ignazio, Gabriele D’Uffizi, Giuliano Giovannetti, Giulia Manili,
Michela Porcu, Giorgio Rascaglia, Jacopo Russo, Pasqua Scardigno.
4
che non ha, tuttavia, la pretesa di essere esaustivo 4, è
stato svolto da una nutrita
équipe di studenti delle Università degli Studi ‘Tor Vergata’ e ‘Roma Tre’ 5 ed
allievi e dottorandi del Pontificio Istituto di Archeologia
Cristiana 6, in collaborazione
con gli enti di ricerca e gli
organi di tutela, comunale e
statale, operanti sul territorio
di Roma; diverse informazioni da scavi per lo più inediti hanno, infatti, arricchito
il panorama della documentazione disponibile 7 . Si è
proceduto alla registrazione
delle informazioni raccolte
in un database relazionale,
appositamente creato con
un’architettura di tipo gerarchico che prevede un modello essenziale, organizzato in
due principali moduli (fig. 2
e tav. 00) 8. Si è scelta dunque come unità minima di riferimento la scheda di
‘contesto produttivo’ (fig. 3),
in cui far confluire in maniera più generica le indicazioni relative alla tipologia di
insediamento, alle modalità
di rinvenimento (anno, tipo
di intervento, direttore di
scavo, etc.) e alla localizzazione del sito in base sia alla
viabilità moderna che alle
coordinate cartografiche, arricchite da una descrizione
essenziale e da una datazio-
6
Hanno partecipato: Laura Acampora, Agostina Appetecchia, Federico Caruso, Gabriele Castiglia, Adriana Farina, Dino Lombardo, Marilù Mattace Raso, Francesca Missi, Alfonso Orfeo, Erika Pischedda.
7
In questa sede, ci preme rivolgere i più sinceri ringraziamenti a
tutti gli studiosi che hanno fornito il proprio contributo scientifico.
8
La progettazione della banca dati è stata realizzata dalla dott.ssa
N. Giannini, con una rivisitazione logico-funzionale e grafica del
tecnico informatico A. Pace (per dettagli si rinvia al contributo della
studiosa in questo volume); l’inserimento di tutti i dati acquisiti è
stato eseguito da chi scrive. Sull’applicazione degli strumenti in-
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
11
ne orientativa. Grazie ad un
livello diversificato di approfondimento, si passa alle
schede correlate sui relativi
‘indicatori di attività produttive’ (fig. 4) 9, in cui è stato
possibile dettagliare, utilizzando specifici parametri per
la cronologia, la descrizione
e la bibliografia, le caratteristiche di ogni singolo elemento, registrato secondo la
classificazione adottata nello studio di T. Mannoni e E.
Giannicchedda 10. A sua volta, tale modulo garantisce,
laddove disponibile, un rimando alla documentazione
grafica e fotografica attraverso una sezione per l’archiviazione delle entità
multimediali, fotografie, disegni tecnici e dati cartografici. Per completare la
descrizione del sistema informativo è necessario accennare alle potenzialità di
consultazione della banca
dati fornita, nella versione
aggiornata a marzo 2014, nel
CD-ROM allegato (fig. 5);
una maschera di interrogazione consente, all’interno di
liste indicizzate, di risalire
alla localizzazione e all’identificativo numerico del
contesto o effettuare ricerche
con l’inserimento di una ‘parola chiave’ (fig. 6) 11. NelFig. 4. - Esempio di una scheda correlata relativa ad un ‘indicatore di attività produttiva’ con rimando
l’ottica di una gestione alla sezione per l’archiviazione delle entità multimediali.
integrata dei dati su scala tersistema GIS 12, strumento di indubbia utilità che ha reritoriale, si è provveduto parallelamente all’archiviaso possibile la visualizzazione grafica, per ciascuna fazione e georeferenziazione delle informazioni in un
formatici all’archeologia si vedano, da ultimi, FRONZA, NARDINI, VA2009, con ampia bibliografia.
9
Nella costruzione del database i vari contesti ed indicatori sono
stati associati ad un identificatore numerico progressivo e fisso, a
cui si farà costantemente riferimento nel testo. L’eterogeneità di terminologia applicata alle tipologie di ritrovamenti è stata gestita attraverso la definizione di thesauri, in questo caso implementabili e
gestiti come tabelle esterne collegate ai campi di riferimento.
LENTI
MANNONI, GIANNICHEDDA 1996, pp. 171-201.
È stata aggiunta, inoltre, la funzionalità ‘reports’ che permette
l’esportazione in documenti pdf delle schede di contesto produttivo
associate ai specifici indicatori di produzione.
12
Anche l’elaborazione di tale prodotto nasce nel Laboratorio di
Archeologia Medievale dell’Università degli Studi ‘Tor Vergata’ (cfr.
infra, contributo di N. Giannini in questo volume).
10
11
12
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
Fig. 5. - Maschera di avvio della banca dati nel CD-ROM allegato.
se storica, degli assetti distributivi delle varie tipologie di attività.
In definitiva, ponendo
l’accento sui primi risultati,
appare significativo segnalare come il lavoro di raccolta svolto finora abbia
fatto emergere una serie diversificata di contesti -316
per l’esattezza- e di indicatori di produzione, per un numero complessivo di circa
600 tipi 13, che annovera a
vari livelli gli elementi caratteristici di un processo
produttivo (fig. 7): le installazioni fisse (in numero di
185), che costituivano generalmente l’epicentro dell’attività
e
rappresentano
ovviamente i più sicuri indicatori di una localizzata produzione; gli scarti di
fabbricazione, presenti in
quantità considerevoli (154
segnalazioni) 14; le materie
prime, semilavorati ed eventuali prodotti finiti, in genere
di difficile riconoscimento
(135); gli arnesi, attestati più
sporadicamente
(111).
Tracce di questo tipo hanno
permesso di distinguere,
sotto il profilo tipologico,
produzioni legate al vetro, al
Per chiarezza bisogna precisare che il valore fornito indica il
numero di schede compilate per tipologia di indicatore e non si riferisce al dato quantitativo esatto. È
previsto per la banca dati l’inserimento di un campo apposito che
consentirà il conteggio in cifre numeriche (sull’utilità di quantificare
i reperti cfr., in particolare, GIANNICHEDDA 2006, pp. 203-215;
GIANNICHEDDA 2014, p. 88).
14
Si tratta di una percentuale
approssimativa; il numero complessivo di scorie è sicuramente
più elevato.
13
Fig. 6. - Maschera di interrogazione della banca dati con un esempio di ricerca.
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
13
Fig. 7. - Grafico comparativo a livello quantitativo delle tipologie di indicatori attestate.
metallo, alla ceramica, alla sfera edilizia e ad attività
minori, soggette nel tempo a variazioni quantitative
(figg. 8-9 e tavv. 00-00) 15. Occorre, tuttavia, premettere che la qualità della vasta mole dei dati è stata sottoposta a revisione: costituiscono limiti della ricerca la
forte frammentarietà e difformità delle informazioni,
spesso estremamente lacunosa e carente di indicazioni
cronologiche (il 36% dei contesti è del tutto privo di
una datazione puntuale; figg. 10-11) 16. Altro aspetto da
tenere nella debita considerazione è quello relativo ad
una corretta valutazione ed interpretazione dei residui
di lavorazioni. Si tratta nella maggior parte dei casi di
indicatori mobili, rinvenuti spesso sporadici, decontestualizzati o provenienti da concentrazioni di materiali
in giacitura secondaria, per cui non è possibile definire
effettivamente la localizzazione del contesto di origine 17. Da valutare, inoltre, il dato quantitativo, perché
un sito dove si individuano scarsi rifiuti di un’attività
produttiva ha una valenza ben diversa rispetto ad una
percentuale maggiore del materiale di scarto.
Per quanto attiene la dislocazione topografica dei ritrovamenti nelle diverse epoche, non si può non tener
conto degli spazi ‘vuoti’ che non necessariamente indicano un’assenza di presenze archeologiche 18. Incide
inesorabilmente il diseguale grado di visibilità delle
zone della città antica, fortemente sollecitate, a partire
dai primi anni del Novecento, dai processi di urbanizzazione. D’altro canto, la situazione geomorfologica
delle aree contigue al Tevere, soggette, appunto, ad un
accrescimento rilevante dei livelli per le inondazioni del
fiume, quali per esempio Trastevere o il quartiere Prati 19,
costituisce un fattore limitativo nell’analisi degli strati
di frequentazione antropica, che, situati a notevoli metri
di profondità, sono di difficile raggiungimento 20. Al contrario, particolarmente prezioso è stato l’apporto fornito
dalle indagini preliminari alla realizzazione della linea
15
Rimane, purtroppo, il problema della gestione delle incertezze
temporali.
16
Cfr. L. Spera, infra, pp. 00. Questo dato deriva dalle modalità
di recupero delle testimonianze -perlopiù rinvenimenti sporadici o
veri e propri sterri- e dallo scarso interesse, in alcuni casi, per le tematiche connesse con l’archeologia della produzione. Raramente la
documentazione risulta più corposa, con integrazioni di analisi archeometriche dei reperti antichi e informazioni sull’organizzazione
degli spazi di lavoro (per un excursus sulla genesi dell’archeologia
della produzione in Italia si veda GIANNICHEDDA 2014, pp. 75-94).
Per tale motivo si è scelto di inserire nella banca dati anche quei
contesti incerti di relativa affidabilità che per diversa natura non rien-
trerebbero teoricamente nei limiti cronologici prefissati. Si tratta di
alcuni casi in cui la definizione temporale appare dubbia, ipotetica
o definita da parametri post quem e ante quem nonché di quelle evidenze il cui uso sembra protrarsi per ampi periodi storici, ma non
è possibile determinare l’arco cronologico di riferimento.
17
Cfr. L. Spera, infra, pp. 00.
18
Si fa riferimento, in particolare, alle zone gravitanti la riva destra del fiume Tevere e ad alcuni comparti territoriali nei quadranti
nord-est e sud-ovest del suburbio della città (su cui, vd. infra).
19
FUNICIELLO, TESTA 2008, pp. 261-274; LANZINI, MAZZA, CAPELLI 2008, pp. 185-194.
20
Cfr. le osservazioni in BERTINETTI 2010, pp. 27-38.
14
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
Partendo da tali presupposti, si tenterà, in questa sede,
di cogliere, a grandi linee e
con uno sguardo diacronico,
alcuni aspetti utili alla ricostruzione della configurazione del quadro produttivo
della città 22.
1. L’età tardo antica. I secoli
dal V al VII d.C.
Le ricerche archeologiche
in costante aumento 23 e
l’apertura di nuovi cantieri di
scavo nell’Urbs hanno arricchito sensibilmente lo scenario delle attività artigianali, in
particolare per il periodo
compreso tra il V e il VII secolo d.C., portando alla luce
delle sostanziali novità. Il
paesaggio della produzione
che si viene, quindi, a delineare per la Tarda Antichità,
rispetto a quanto già noto in
passato, appare connotato da
un discreto numero di evidenze relative a diversificati
tipi di indicatori, prevalentemente attestati in ambito intramuraneo (fig. 12 e tav.
00) 24.
Osservando la distribuzione topografica dei rinvenimenti (fig. 13 e tav. 00), si
può notare in primo luogo
Fig. 8. - Grafico rappresentativo degli indicatori relativi alla produzione del metallo e del vetro (VXV secolo).
un’incidenza particolarmente
considerevole sia nella zona
metropolitana C, che ha rappresentato una straordinacentrale della città, compresa tra Celio, Foro Romano
ria occasione per ampliare le conoscenze su quelle parti
e Palatino, ove si registra un’affluenza di officine medella città interessate dal progetto 21.
tallurgiche e botteghe della lavorazione dell’osso, sia
21
I risultati delle indagini archeologiche preliminari alla realizzazione del progetto sono stati raccolti nel volume a cura di EGIDI,
FILIPPI, MARTONE 2010.
22
In questa sede, si presenta il progetto di ricerca allo stato di
work in progress; pertanto, l’analisi dei processi produttivi sarà limitata alle tracce individuate fino alla data di svolgimento del convegno (marzo 2014); in previsione della pubblicazione su web del
database si avrà l’occasione attraverso il vaglio delle fonti letterarie e della documentazione d’archivio, di integrare le conoscenze e
di implementare quanto finora catalogato con nuove attestazioni di
attività artigianali. L’elaborazione di tale prodotto informativo
‘aperto’ offrirà l’occasione anche ad utenti esterni di inviare eventuali segnalazioni di rinvenimenti, in modo da ottenere una più
esaustiva raccolta di informazioni grazie anche -si spera- alla collaborazione dei vari enti istituzionali.
23
SANTANGELI VALENZANI, VOLPE 2009, pp. 204-215.
24
L’interesse per l’archeologia della produzione a Roma, avente
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
lungo la fascia prossima alle
sponde della riva sinistra del
Tevere, in cui prevalgono vetrerie e attività di calcinazione 25; solo sporadicamente
si rilevano attestazioni in aree
periferiche suburbane, perlopiù legate alla sfera edilizia e
diffuse, in particolar modo,
nel quadrante a sud della
città. Valutando, in secondo
luogo, la localizzazione delle
singole tipologie rispetto ai
luoghi della città classica, il
fenomeno certamente più diffuso e meglio documentato,
già a partire dalla fine del IV
e la prima metà del V secolo,
è lo sviluppo dei contesti produttivi all’interno di preesistenti strutture di epoca
romana e la rioccupazione
senza distinzione sia degli
spazi pubblici che privati 26.
Nell’ubicazione degli impianti sembrano evidenziarsi
alcune scelte preferenziali
dettate dalla maggiore disponibilità di materie prime o da
riciclo, delle fonti di approvvigionamento del combustibile e dalla vicinanza alle vie
di trasporto fondamentali per
la circolazione delle merci.
Infine, riprendendo quanto
sostenuto da A. Augenti, è
possibile ribadire, per questi
secoli, uno sviluppo delle la-
15
Fig. 9. - Grafico rappresentativo degli indicatori relativi alla sfera edilizia e alla produzione della ceramica (V-XV secolo).
come oggetto il ciclo produttivo dei manufatti, malgrado abbia origini assai lontane nel tempo, con la curiosità scientifica di alcuni
eruditi del XVIII-XIX secolo, tra cui soprattutto R. Lanciani, prende
effettivamente avvio con gli scavi, intrapresi agli inizi degli anni
’80 e ancora in corso nel monumento della Crypta Balbi (Crypta
Balbi 1; Crypta Balbi 2; Crypta Balbi 3; Crypta Balbi 4; Crypta
Balbi 5; MANACORDA 2001). Gli esiti di tali ricerche hanno costituito, come è noto, un vero punto di svolta nello studio dei fenomeni di trasformazione della città tra la Tarda Antichità e il
Medioevo e hanno contribuito, nello specifico, ad iniziare a mettere a fuoco alcuni aspetti relativi lo sviluppo diacronico delle attività artigianali in ambito urbano (cfr. AUGENTI 2010, pp. 101-116).
Da allora gli studi sulla città tardo antica e altomedievale, dal seminario sulla storia economica, organizzato nel 1992 da Lidia Pa-
roli e Paolo Delogu (PAROLI, DELOGU 1993), agli studi editi in seguito alla costituzione del Museo Nazionale Romano della Crypta
Balbi (ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001; PAROLI, VENDITTELLI
2004), fino ai volumi di Roberto Meneghini e Riccardo Santangeli
Valenzani (MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004; MENEGHINI,
SANTANGELI VALENZANI 2006; MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI
2007), hanno avuto il pregio di valorizzare le conoscenze sulle fasi
post-classiche di Roma, privilegiando rispetto al passato anche i temi
connessi con lo studio delle attività produttive.
25
In controtendenza rispetto al quadro produttivo delle epoche
più antiche, ove la riva destra del Tevere sembra che abbia restituito il maggior numero di testimonianze di attività artigianali (cfr.
il contributo di C. Panella in questo volume).
26
Cfr. L. Spera, infra, pp. 00.
16
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
vorazioni a ‘corrente alternata’ 27, che
vede appunto l’alternarsi nella lunga durata, in un medesimo contesto, di differenti attività produttive.
1.1. Il V secolo
La produzione metallurgica
Per il V secolo, tra le testimonianze
di attività artigianali, sono indubbiamente meglio attestate le lavorazioni metallurgiche 28, che possono essere
associate sovente ad altre produzioni
complementari, come quella dell’osso e
del vetro, in linea con una tendenza già
Fig. 10. - Grafico comparativo a livello quantitativo sulla datazione degli indicatori di
attività produttiva.
nota per le epoche precedenti 29. Negli ultimi anni,
infatti, c’è stato un incremento di ritrovamenti di
fornaci, di cui si è potuto
identificare il ciclo di produzione, grazie anche all’impiego
di
analisi
archeometriche eseguite sui
manufatti o sugli scarti di
fabbricazione 30.
L’occupazione da parte
delle attività fusorie è documentata piuttosto precocemente al centro politico
dell’antica Urbs, nella taAUGENTI 2010, p. 106.
Si veda a tal proposito il
contributo di V. La Salvia in questo volume. Sulle caratteristiche
di questa produzione in epoca
tardo antica, si rinvia, da ultimo
a GIANNICHEDDA 2007, pp. 187209.
29
Si rimanda al contributo
della Panella in questo volume. La
coesistenza di lavorazioni di questo tipo è riscontrabile, per l’età
romana, pure in altre città d’Italia, come a Milano (GRASSI 2011,
pp. 161-168, in particolare pp.
166-167; ivi per ulteriori confronti).
30
Ad esempio, per un recente
resoconto delle analisi archeometallurgiche vd. PERNELLA, SANTAMARIA, MORRESI 2013, pp.
124-126.
27
28
Fig. 11. - Grafico comparativo a livello quantitativo degli indicatori di attività produttiva, in base alla
datazione generica e puntuale.
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
17
Fig. 12. - L’età tardo antica: grafico comparativo a livello quantitativo degli indicatori di attività produttiva, databili nell’ambito compreso
tra i secoli V-VII.
berna XI del Foro di Cesare, ove, alla metà del
V secolo, l’installazione di una fornace del tipo
a fossa trasformò l’ambiente in un’officina adibita principalmente alla fusione degli elementi
in bronzo (grappe) 31. Un impianto produttivo
analogo, cronologicamente coevo, è stato individuato lungo le pendici nord-est del Palatino,
nel settore a sud di un tempio di età flavia (area
delle Curiae Veteres), in un vano riadattato ad
uso artigianale 32. Sembra potersi rilevare l’esistenza di lavorazioni simili perfino in altre zone
della città prevalentemente sulla scorta di puntuali ritrovamenti di materiale di scarico ovvero
di utensili per la fusione. In una galleria dell’ala
sud-orientale delle terme di Traiano, sul colle
Oppio, un discreto numero di scorie di metallo
e, in minor misura, vitree, insieme a numerosi
crogioli costituiscono segni eloquenti di attività
connesse alla produzione del metallo e del
vetro 33. Appare piuttosto significativo anche il
rinvenimento presso la chiesa di S. Stefano Rotondo al Celio di diversi vasetti con incrostazioni
metalliche, interpretati come crogioli 34, specie
Fig. 13. - L’età tardo antica: planimetria con l’ubicazione degli indicatori di attività produttive relativi al periodo compreso tra i secoli V e VII.
DELFINO, DE LUCA, MINNITI et alii 2013, pp. 93-123; CORSARO,
DELFINO, DE LUCA et alii 2013, pp. 127-130. Per dettagli sugli indicatori di produzione, rinvenuti in associazione (accumuli di scorie metalliche e ceneri, fosse di scarico, tracce di una paratia lignea)
si rinvia alla scheda: DB, contesto 73, indicatori 147-150.
32
DB, contesto 283, indicatore 578. Brevi cenni sull’impianto
in FERRANDES 2013, pp. 129-130; PANELLA 2013b, p. 367, nota 30.
33
DB, contesto 111, indicatori 274-275. Le indagini avviate di
recente (gennaio-giugno 2014) in una delle tabernae (taberna IV)
31
lungo il fronte nord-occidentale delle terme di Caracalla, in occasione di un intervento manutentivo di restauro, sotto la direzione
scientifica della dott.ssa M. Piranomonte, funzionario della Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e
l’Area Archeologica di Roma, e dirette dalla sottoscritta, hanno evidenziato la presenza anche in questo complesso monumentale di attività artigianali (tracce di fuochi, scorie di metallo e di vetro),
riferibili ad epoca tardo antica. I dati di scavo sono ancora in corso
di elaborazione da chi scrive e attendono un’edizione definitiva.
34
DB, contesto 17, indicatore 33. MARTIN 2004, p. 506.
se messo in relazione con la notizia, seppur generica,
della scoperta avvenuta nel corso del XVII secolo di
una «filara di botteghe credute de calderari» proprio nell’area dei Castra Peregrina 35.
Allo stesso tempo la riconversione a scopo produttivo contraddistingue abitazioni private o edifici commerciali. Talvolta ci si trova di fronte ad attività svolte in
maniera occasionale, che si attestano con impianti relativamente semplificati, costituiti da un’unità produttiva
singola, prevalentemente funzionale all’autoconsumo.
In particolare si segnalano due fossette circolari piene
di abbondanti scorie metalliche nei pressi di piazza della
Chiesa Nuova, all’interno di un ambiente di domus 36, e
una piccola fornace per la lavorazione di leghe metalliche e forse del vetro, connesse con un accumulo di scorie non meglio specificate, che riutilizzava la vasca di
una latrina, ubicata lungo via dei Fori Imperiali, di
fronte al Belvedere Cederna 37. Di particolare interesse
sono le installazioni artigianali, indubbiamente più articolate e durevoli, concentrate nell’area di S. Omobono
all’interno di antiche strutture con funzione commerciale, in cui sembra scorgersi una settorializzazione
della produzione 38. Un primo impianto è ubicato ad est
della chiesa omonima con una fucina per la forgiatura
dei metalli, che riusa due tabernae, affiancate e prospicienti ad un viottolo basolato 39. Tra i materiali sono da
segnalare un piano in pietra e quantità cospicue di rifiuti
metallici, sparsi addirittura sul piano stradale, a testimonianza forse di come non esistesse un luogo adibito a
vera e propria discarica 40. L’atelier sembra mostrare una
precisa organizzazione degli spazi di lavoro, con un’area
scoperta adibita forse alla battitura e una parte dotata di
acqua per la tempratura dei manufatti. Nel settore meridionale del sito, in corrispondenza della cosiddetta
‘Insula Volusiana’, si è identificata un’altra officina
costituita da tre ambienti, in cui sono emersi resti di fuochi, tracce di termotrasformazioni del terreno e delle
murature, e accumuli di scarti 41. In stretta relazione
topografica è, infine, il ritrovamento, nel 1931, lungo
via Buccimazza, nell’ambito sempre di tabernae, di
diversi vasetti interpretati dal Colini come crogioli
insieme a numerosi scarti di metallo, benché allo stato
attuale la datazione dell’impianto non risulti agevole 42.
Appare piuttosto suggestiva la concentrazione delle attestazioni sopra ricordate in questo settore della città che
lascerebbe ipotizzare l’esistenza di un’area dalla chiara
vocazione produttiva 43.
Per concludere, rimane dubbia, vista l’assenza di indicazioni precise sul contesto di rinvenimento, la possibilità di associare a lavorazioni metallurgiche singolari
concentrazioni di strumenti ponderali (pesi staderali, tipologicamente differenti e provvisti talora di iscrizioni 44, bilance, etc.), accumuli eterogenei di reperti
bronzei 45, lingotti di metallo e residui di piombo fuso
DB, contesto 16, indicatore 32. Si fa menzione del ritrovamento
nella stessa occasione di «quantità grande di monete di rame» (LANCIANI 1989-2002, V, p. 177). Nel 1890, inoltre, si segnala il recupero di due pesi marmorei nei pressi del muro di cinta dell’edificio
cultuale (DB, contesto 249, indicatore 519).
36
FILIPPI 2010, p. 69; Atlante di Roma antica, p. 525. Per dettagli: DB, contesto 83, indicatori 176-177.
37
DB, contesto 288, indicatori 585-586. Brevi cenni in REA
2010, p. 192. Mancano precise indicazioni per la datazione di un
accumulo di residui di lavorazione del metallo, scoperto in un ambiente sul Lungotevere Castello, nel quartiere Prati, di cui allo stato
attuale è difficile valutare la funzione produttiva. La sua ubicazione
al di sopra dei resti di strutture realizzate in opera laterizia e in blocchetti tufacei, potrebbe orientare per un inquadramento cronologico
in epoca tardo antica (DB, contesto 296, indicatori 598-599; MARCHETTI, TOMEI 2001, p. 414; CAR 2005, pp. 191-192, n. 264).
38
Gli impianti, scoperti negli anni ’30, sono stati valorizzati dagli
studi condotti dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale che attendono una pubblicazione definitiva. Le informazioni
qui riportate sono estrapolate dalle schede redatte, in occasione del
convegno, dalla dottoressa M. Ceci della Sovraintendenza Capitolina ai Beni Culturali, alla quale ci preme rivolgere i più sentiti ringraziamenti.
39
DB, contesto 101, indicatori 246-250.
40
DB, contesto 101, indicatori 248-249.
41
DB, contesto 102, indicatori 251-256. A partire dal 2013 il contesto è oggetto di indagini di scavo da parte dell’Università degli
Studi di Roma ‘Sapienza’.
DB, contesto 197, indicatori 410-411.
Effettivamente già a partire dalla seconda metà del III secolo
nel settore sud-est dell’area di S. Omobono, grazie agli scavi condotti negli anni ’70, si è individuato nello strato di rialzamento del
piano pavimentale di una delle tabernae di età imperiale materiale
eterogeneo proveniente forse da una discarica di un atelier, che era
costituito da residui di una lavorazione del ferro e piombo, strumenti
di metallo, oggetti in osso ed avorio, reperti osteologici e grumi di
colore. Lo stesso vano agli inizi del IV secolo parrebbe essere destinato ad ospitare un «emporio di vendita di colori» (VIRGILI 1977,
pp. 22, 25; VIRGILI 1978, p. 422; BROCATO, TERRENATO 2012, p. 94).
44
La precisa attribuzione cronologica in assenza di dati di scavo
è assai problematica, dal momento che da un punto di vista morfologico i pesi sono standardizzati e non subirono sostanziali modifiche nel tempo dall’età romana a quella tardo antica (CONTI, GIORDANI
2001; SCARPELLINI 2004). L’assenza di indicazioni precise sul contesto di provenienza non consente un inquadramento cronologico
dei pesi raccolti in altri luoghi della città, per i quali resta incerto
anche l’utilizzo come pendenti da telaio o pondera da bilancia (DB,
contesto 72, indicatore 146; contesto 200, indicatore 414; contesto
204, indicatore 430; contesto 205, indicatori 431-432; contesto 210,
indicatore 460).
45
Colpisce in particolar modo la consistenza di un deposito rinvenuto nei pressi di una delle domus scoperte nella zona comprendente una «testa di Fauno, coppia di piedi coturnati, calamaio in
forma di piede con coperchio, figurina virile giacente, tre ornati di
lettiga, quattro morsi di cavallo, cinque pesi a tronco di cono, coltelli ripiegantisi entro manici d’osso o d’avorio, armi e utensili diversi, medaglioni, monete etc.» (LANCIANI 1872-1873, pp. 300-306;
35
42
43
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
19
Fig. 14. - L’età tardo antica: planimetria con l’ubicazione delle aree di lavorazione dell’osso, datate nell’ambito del V secolo.
(circa kg 1,5), emersi nell’Ottocento durante i lavori condotti nelle aree della stazione Termini (presso piazza dei
Cinquecento o Monte della Giustizia) 46 e del Ministero
delle Finanze 47. A ben considerare le varie notizie è difficile stabilire se si è di fronte a depositi intenzionali di
spolia recuperati, forse, in loco e accumulati per nuovi
utilizzi 48 o, più semplicemente, a reperti legati ad attività commerciali che dovevano svolgersi nel sito 49.
La produzione dell’osso
Benché le tracce che attestano la presenza di
aree di lavorazione dell’osso e dell’avorio appaiano per
ora decisamente meno rilevanti da un punto di vista
quantitativo, esse ci mostrano quanto fosse ancora viva
CAR III, p. 240). Per una disamina di alcuni pregevoli reperti bronzei rinvenuti negli scavi ottocenteschi, si veda FERREA 1996, pp. 3656.
46
DB, contesto 207, indicatori 434-437; contesto 208, indicatori
439-455; contesto 209, indicatori 456-459.
47
DB, contesto 201, indicatori 415-425.
48
L’ipotesi, del tutto suggestiva, meriterebbe ulteriori approfondimenti mirati anche al recupero dei reperti. Una situazione analoga
sembra riscontrarsi in altri siti della città, dove si sono recuperati
attrezzi di uso commerciale insieme ad oggetti bronzei (DB, contesto 191, indicatore 491; contesto 204, indicatori 428-430; contesto 253, indicatori 525-526).
49
Sulle caratteristiche insediative del quartiere sorto sul Viminale si rimanda, da ultime, a BARBERA, PARIS 1996.
50
Vd. contributo di Baldini Lippolis in questo volume. BONA-
a Roma una produzione per le suppellettili di lusso, volta
sostanzialmente a soddisfare il bisogno della città (fig.
14 e tav. 00) 50. L’esistenza in loco di botteghe artigianali che possono contare su segnalazioni più affidabili
è ben attestata, come per il passato 51, sulle pendici est
del Palatino dai resti di una manifattura, che occupa, tra
il I e il V secolo, la domus detta con ‘aula ad abside’ 52,
e nella taberna X del Foro di Cesare, ove, in fase con
l’officina metallurgica già citata 53, si sono individuati
avanzi di strutture deperibili in legno insieme a scarti
di lavorazione e placchette di rivestimento 54. Segni inequivocabili di una produzione diversificata, rivolta sia
alla fabbricazione di aghi e spilloni in osso/avorio che
alla preparazione di sostanze coloranti e tessere vitree
CASA CARRA 2000, pp. 353-358; RICCI 2001b, pp. 331-428; L. Spera,
infra, pp. 00.
51
Sull’ubicazione delle aree di lavorazione dell’osso in età romana (dal I secolo a.C. al IV d.C.) si rimanda, in particolare, a DE
GROSSI MAZZORIN, MINNITI 2012, pp. 413-418 (ivi per ulteriori rimandi bibliografici). Vd., inoltre, il contributo di C. Panella in questi stessi atti.
52
DB, contesto 284, indicatore 579.
53
Cfr. supra, p. 00.
54
Per dettagli sul contesto: DB, contesto 74, indicatori 151-153;
CORSARO, DELFINO, DE LUCA et alii 2013, pp. 129-130, nota 21. Placchette simili, prodotte forse dal medesimo atelier, sono state rinvenute nei pressi delle domus sotto palazzo Valentini (cfr. LUMACONE
2008, pp. 145-150). La produzione di questi oggetti sembra essere
documentata anche nel laboratorio sul Palatino (ST. CLAIR 2003, pp.
38-55; SCHWARZ 2006; HOSTETTER, BRANDT 2009, p. 193).
20
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
di mosaico, è per ora ipotizzata solo sul Celio nella basilica Hilariana, la schola dei dendrofori di Cibele e
Attis, in cui si registra, nei decenni centrali del V secolo, una ripresa delle lavorazioni artigianali, che avevano connotato precedentemente l’edificio, attraverso
l’inserimento, negli spazi di rappresentanza del settore
sud-orientale, di nuove installazioni dal carattere effimero 55. Va segnalato, infine, il rinvenimento nell’area
di S. Omobono di un accumulo di corna bovine, che,
come è noto, costituiva una delle materie prime dure
animali preferite dagli artigiani romani e potrebbe,
quindi, in via del tutto ipotetica, essere indiziario di una
lavorazione dell’osso, anche se non è possibile stabilire
se tale attività avvenisse nelle immediate vicinanze 56.
La produzione del vetro
Se confrontate con le attività legate alla metallurgia
le testimonianze di una produzione del vetro sono in
linea di massima più labili e gli scarti in genere meno
consistenti 57. Al momento, l’unica installazione fissa
certa, databile tra la fine del V e gli inizi del VI secolo,
rimane la fornace a pianta circolare rinvenuta nell’esedra della Crypta Balbi 58. Mancano, invece, indicazioni
più dettagliate a proposito di una ‘bottega del vetraio’,
emersa nell’area del Laterano 59. In tal senso, nel panorama attuale della ricerca, appare degna di nota la recente scoperta nella villa dei Quintili sulla via Appia di
DB, contesto 29. Per una lettura delle fasi di vita del complesso cfr. PALAZZO, PAVOLINI 2013 e l’articolo degli stessi in questi atti. Un altro impianto produttivo, di minore entità, risulta
installato nella domus di Gaudentius, ubicata nell’area dell’Ospedale Militare al Celio, di cui al momento non è possibile precisarne
la funzione originaria (DB, contesto 33, indicatore 66).
56
DB, contesto 102, indicatore 255. Di dubbia datazione è, invece, la segnalazione di un deposito di scarti di zanne di elefante
nella zona del Testaccio, sul lato est di piazza dell’Emporio, di solito utilizzati per la lavorazione dell’avorio (DB, contesto 23, indicatore 44).
57
Cfr. il contributo di L. Saguì e B. Lepri in questo volume. A
titolo esemplificativo per un inquadramento sulla produzione del
vetro in epoca tardo antica si veda SAGUÌ 2007, pp. 211-232.
58
Alla struttura produttiva erano associati numerosi resti di fabbricazione (colletti, scarti di vetro, gocce, colaticci, ritagli, etc.); per
dettagli si rinvia alle schede del database redatte da L. Saguì, che
si ringrazia calorosamente per la sua collaborazione: DB, contesto
85, indicatori 180-185. Altri indicatori di una lavorazione vitrea, ancora inediti, sono stati rintracciati nell’area retrostante il teatro di
Balbo (DB, contesto 159, indicatori 346-347).
59
DB, contesto 136, indicatore 315. L’impianto, a detta di Santa
Maria Scrinari, doveva riutilizzare i resti di una sepoltura a camera
di età repubblicana (SANTA MARIA SCRINARI 1968-1969, p. 18). Cfr.
L. Spera, infra, pp. 00 per un’identificazione sul piano funzionale
di tale attività.
60
Cfr. il contributo di R. Paris et alii nel presente volume e le
55
un forno da vetro, il primo attestato nel suburbio prossimo alla città, anche se riferibile ad un periodo di poco
precedente 60.
Bisogna inoltre sottolineare che i ritrovamenti di
prodotti semilavorati e scarti di fabbricazione nei pressi
delle pendici nord-est del Palatino 61, sul lungotevere Testaccio 62, in via Marmorata 63 e sul colle Aventino 64,
non sono sempre ritenuti indicativi di una realizzazione
contestuale e in situ e, dunque, non possono essere
messi in relazione con luoghi specifici di lavorazione,
anche se la localizzazione di vetrerie nelle vicinanze del
Tevere apparirebbe in linea con delle tendenze insediative già note per le epoche più antiche 65. Appare piuttosto suggestiva l’ipotesi della presenza nella basilica
Hilariana di un atelier specializzato nella produzione
del mosaico, installato ad hoc forse con lo scopo di soddisfare le necessità del cantiere per l’edificazione della
vicina chiesa di S. Stefano Rotondo 66.
La produzione della ceramica e dei laterizi
Per quel che riguarda più specificatamente la produzione dei laterizi e della ceramica, con particolare riferimento al V secolo, va sottolineata la totale assenza di
testimonianze archeologiche, se non in fortuiti casi al di
fuori del nostro ambito territoriale 67. Non sembra, poi,
di cogliere una continuità della fitta rete di fornaci che
costellavano in età imperiale varie parti del suburbio 68.
relative schede, redatte da G. Galli, ed inserite nel database (DB,
contesto 277, indicatori 565-570).
61
DB, contesto 273, indicatori 552-554.
62
DB, contesto 21, indicatore 41. Per una rilettura critica di questo contesto si rimanda al contributo di L. Saguì e B. Lepri in questo volume.
63
DB, contesto 20, indicatori 38-40.
64
DB, contesto 27, indicatore 50.
65
Cfr. il contributo di C. Panella in questo volume.
66
Cfr. il contributo di C. Pavolini et alii in questi atti.
67
Ad esempio, in una villa in località S. Alessandro, all’altezza
dell’VIII miglio della via Nomentana, sono state installate dopo la
metà del IV secolo due fornaci per laterizi e ceramica in associazione a vasche di decantazione dell’argilla. Interessante anche il riferimento alla presenza di quattro lingotti di ferro, indizi di una
lavorazione, forse in loco, di metalli (vd. CARBONARA, MESSINEO
1991-1992, pp. 118-155; DE FRANCESCHINI 2005, pp. 94-98, ivi ulteriore bibliografia). Resta invece più problematico stabilire l’esatta
funzione, la cronologia e la durata dell’impianto di una fornace a
pianta circolare dotata di praefurnium, riportata alla luce lungo via
delle Vigne Nuove, all’altezza del km 23 della via Nomentana (DB,
contesto 118, indicatore 283). Sulle lavorazioni svolte in epoca
tardo antica all’interno di ville cfr., da ultimo, MUNRO 2010, pp. 217242; MUNRO 2012, pp. 351-370.
68
Un censimento delle fornaci per l’età romana è contenuto in
PETRACCA, VIGNA 1985, pp. 131-137; OLCESE 2011-2012. Per una
sintesi sulla produzione laterizia a Roma in epoca tardo antica si rimanda a STEINBY 1986, pp. 111-148; STEINBY 2001, pp. 127-150.
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
21
Altre attività produttive
Completano il quadro produttivo finora delineato le
officine lapidarie, attestate con continuità d’uso fino al
pieno Medioevo, in particolar modo nelle zone del
Campo Marzio e del Testaccio 74, di cui sono state rinvenute labili tracce in recenti indagini, effettuate rispettivamente nell’area di piazza del Parlamento 75 e
lungo via Marmorata 76. Va inoltre rimarcato che si potrebbero riferire al medesimo arco temporale alcuni
degli opifici segnalati dal Lanciani, per cui, al momento, non si dispone di elementi cronologici più precisi 77. Un discorso a parte merita l’atelier allestito nel
piazzale della destrutturata Porticus Minucia Frumentaria, che doveva svolgere in maniera probabilmente occasionale attività destinate alla produzione di
rivestimenti in cocciopesto e, forse, in lastre di marmo
di reimpiego 78.
Poche sono le testimonianze di impianti deputati alla
calcificazione del materiale di ‘spoglio’, in prevalenza situati all’interno di edifici dismessi in zone periferiche
dell’abitato 79, tra cui la fornace trovata sul Quirinale,
nella domus di C(aius) Fulvius Plautianus, prefetto del
pretorio sotto Settimio Severo e suocero di Caracalla 80,
e quella, collocata nell’angolo nord-occidentale del Circo
Variano (negli Horti Spei Veteris) sul colle Esquilino 81.
Analogamente sono emersi allestimenti per la produzione di calce sulla via Labicana sia in località Torre
69
LP, I, p. 180. Il toponimo, che ricorre nuovamente nelle passiones di S. Susanna (AA. SS., Aug. II, 632) e dei SS. Mario, Marta
e compagni (AA. SS., Ian. II, 216), ha fatto pensare ad un vero e proprio insediamento, dotato di manifatture ragguardevoli di laterizi (DE
FRANCESCO 2002, pp. 620-624; DE FRANCESCO 2004a, p. 251; DINUZZI, FUSCO 2009, pp. 142-143, con bibliografia precedente). Un
agglomerato di impianti produttivi legato alla presenza di uno scalo
fluviale è attestato anche al III miglio della via Ostiense con il toponimo di vicus Alexandri (cfr. VELLA 2013a; VELLA 2013b; L. Spera,
infra, pp. 00).
70
DB, contesto 237, indicatore 507.
71
Si possono richiamare, tra le più significative esemplificazioni,
le cave di tufo lungo la Portuense sulla collina di Monteverde (da
ultimo, LANZINI 2013, pp. 109-118), quelle esistenti nel sottosuolo
dell’area compresa tra via Casilina e via di Centocelle (GIOIA, VOLPE
2004, pp. 165-166) o le cave di argilla nella zona di Monte Mario,
ampiamente sfruttate dall’epoca antica fino a tempi recenti (GIGLI
1971, pp. 33-60; VENTRIGLIA 1971). Cfr., infra, pp. 00.
72
DB, contesto 187, indicatore 394. A detta dello scopritore la
cava doveva datarsi nell’ambito del V secolo; tuttavia, manca qualsiasi elemento per suffragare questa datazione (FIORELLI 1883, pp.
130-131).
73
DB, contesto 242, indicatore 512.
74
MAISCHBERGER 1997, pp. 110-137. Cfr. L. Spera, infra, pp. 00.
75
DB, contesto 285, indicatore 580. In questo caso, la scoperta
di una sequenza di battuti ricchi di schegge di marmo, collocabili
alla fine del IV-V secolo, è stata messa in relazione con le officine
indicate nell’area dal Lanciani (FUR, tav. 15; FILIPPI 2013, p. 137).
Pur in mancanza di dati cronologici, è possibile attribuire il cumulo
di marmi semilavorati presso il cortile di S. Ivo della Sapienza all’azione di una bottega di marmorarius (DB, contesto 287, indica-
tori 583-584). Dato il contesto di rinvenimento, a questi si potrebbero forse aggiungere altri depositi di schegge di lavorazione della
pietra e del marmo, messi in luce sempre nella zona del Campio
Marzio, lungo via Clementino (DB, contesto 193, indicatori 403404) e via Ascanio (DB, contesti 194, indicatori 405-406; contesto
195, indicatori 407-408), al momento privi di datazione. Un «opificio di scalpellino» è ricordato da R. Lanciani pure in via di Gesù
e Maria, di cui, tuttavia, non fornisce ulteriore indicazione (DB, contesto 192, indicatore 402).
76
DB, contesto 19, indicatore 37. Si richiama per un ulteriore
esempio l’officina tardo antica installata all’interno di una domus
nell’area del mattatoio comunale (DB, contesto 25, indicatori 4748; contesto 26, indicatore 49). Per una disamina delle fonti dall’età romana al Medioevo sulla zona di Marmorata, vd. TOMASSETTI
1979, pp. 22-34.
77
Risultano preziose le numerose indicazioni scrupolosamente
raccolte nei volumi della Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità (LANCIANI 1989-2002). Da
segnalare, pure, l’articolo edito dallo studioso nel 1891 (LANCIANI
1891, pp. 23-36).
78
DB, contesto 274, indicatori 555-556. Sulle dinamiche di produzione dei rivestimenti parietali e pavimentali si rimanda al contributo di F. Guidobaldi e A. Guiglia in questo volume.
79
In generale sulle fasi del processo produttivo della calce cfr.
PETRELLA 2007, pp. 151-172; PETRELLA 2008, pp. 29-44; TRAINI
2013.
80
DB, contesto 211, indicatore 461. Si segnalano, inoltre, nell’area del Laterano presso il piazzale Inps i resti dello scarico di una
fornace da calce, non associabile ad alcun impianto produttivo (DB,
contesto 138, indicatore 317).
81
DB, contesto 139, indicatore 318.
L’esistenza di installazioni artigianali parrebbe comunque attestata nelle fonti storiche. Non è nota la precisa
ubicazione, in effetti, di una civitas figlina, menzionata
per la prima volta in un passo del Liber Pontificalis, nella
biografia di papa Silvestro, in relazione alla donazione
di terreni da parte di Costantino alla basilica di S.
Agnese 69, per cui è stata proposta una localizzazione tra
la via Salaria e la via Nomentana, nei pressi del cimitero
dei Giordani 70.
In merito all’attività estrattiva, le tracce sono altrettanto poco tangibili; laddove lo sfruttamento di cavità
di origine antica sembra essersi svolto a più riprese con
successivi rimaneggiamenti fino a tempi moderni, appare assai problematico, in mancanza di elementi datanti, ricostruirne con precisione lo sviluppo
diacronico 71. Allo stato attuale delle conoscenze, perciò, sono state attribuite ad epoca tardo antica solo alcune latomie di pozzolana ritrovate alla fine
dell’Ottocento sulla via Ostiense, nell’area dell’ex Forte
omonimo 72, e il fronte aperto verso il fiume Aniene delle
antiche cave di tufo sulla via Tiburtina, identificabili con
le lapidicinae Pallenses 73.
22
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
Allo stato attuale, è, invece, difficile definire con esattezza l’orizzonte cronologico
e l’effettiva funzione svolta
da quei depositi di spoglie architettoniche, distribuiti soprattutto lungo il tratto
fluviale 88. Ci sembra possibile attribuire ad epoca postantica solo la formazione di
un piccolo accatastamento,
scoperto nel 1894 presso
ponte Milvio, sulla scorta
dell’individuazione su una
cornice angolare di un graffito, presumibilmente inciso
durante le attività di spoliazione, in cui si legge Probi
v(iri) c(larissimi) 89. I caratFig. 15. - Via Latina, basilica di S. Stefano: ubicazione dei resti di vasche per lo spegnimento della
teri paleografici del docucalce (nn. 2, 3; rielaborazione da Fortunati 1859).
mento epigrafico e le
Spaccata 82, nell’ambito di una villa suburbana di età roanalogie del formulario con attestazioni urbane, ampiamana, in correlazione con interventi di recupero delle pamente note, ne permettono una generica datazione in età
vimentazioni e decorazioni marmoree, sia tra via Acqua
tardo imperiale 90.
Bullicante e via dei Portici, nei pressi di un ipotizzato imIn generale, assume un notevole rilievo per la ricopianto produttivo 83. Allo stesso modo sono da ricondursi
struzione dell’organizzazione dei cantieri romani il rinall’opera di calcararii anche le attestazioni di alcuni acvenimento di piccoli dispositivi per la lavorazione della
cumuli di elementi marmorei con evidenti segni di rilacalce, allestiti a piè d’opera nel corso dei lavori di edivorazione, scoperti nelle vicinanze del Mausoleo di
ficazione della chiesa di S. Sisto Vecchio, alle pendici
Augusto 84, in piazza della Chiesa Nuova 85 e nella villa
del Celio 91, e della basilica di S. Stefano, all’altezza del
86
87
dei Quintili , connessi sovente a fosse di spoliazione .
III miglio della via Latina, grazie, in quest’ultimo caso,
82
Si tratta di una piccola calcara installata nella seconda metà
del IV secolo (DB, contesto 258, indicatore 534) che fu riutilizzata
da un successivo impianto, inquadrabile, per posizione stratigrafica,
dalla fine del IV al VI secolo (DB, contesto 259, indicatore 535).
83
DB, contesto 289, indicatore 287.
84
DB, contesto 171, indicatori 371-372.
85
In questo caso è stata rinvenuta anche una fossa per il grassello (DB, contesto 84, indicatori 178-179).
86
DB, contesto 281, indicatori 574-575. Si rinvia anche alla scheda
redatta dalla studiosa C. Lalli che raccoglie i dati di scavo ancora
inediti (DB, contesto 278, indicatore 571). Cfr. infra, articolo di R.
Paris et alii in questo volume. Questa attività sembra proseguire anche
nel corso del VI secolo, come testimoniato da cumuli di marmi e
strati di schegge di lastre pavimentali emersi nel settore delle piccole terme del complesso residenziale (DB, contesto 281, indicatori
574-575).
87
Attività di spoliazione, mirate non solo al recupero delle decorazioni degli edifici, ma anche del metallo delle condutture, sono
documentate in questo periodo anche sul Palatino, presso il tempio
di Elagabalus e della sua porticus (DB, contesto 143, indicatore 324),
sul Celio, nel complesso scoperto presso i giardini di piazza Celimontana (DB, contesti 65-69), presso la domus di palazzo Valentini (un accenno in DB, contesto 267, indicatore 541) e lungo la via
Flaminia, all’altezza dell’incrocio con via Emery (DB, contesto
235, indicatore 505). Di poco precedente (prima della fine del IV
secolo) è il deposito di marmi e schegge di lavorazione rinvenuto
presso il Circo Massimo, anch’esso determinato da azioni di spoglio (DB, contesto 250, indicatori 520-521).
88
Su queste testimonianze si hanno essenzialmente informazioni
di massima che consentono di differenziare alcuni depositi di marmi
di cava, dislocati nell’area ostiense (DB, contesti 238, 240), da accatastamenti volontari di marmi per azioni di spoglio di monumenti
antichi, come riscontrato a valle di ponte Milvio, lungo la riva sinistra (DB, contesto 234, indicatore 534) o per attività di calcinazione, individuati rispettivamente in località Farnesina, lungo viale
Angelico (DB, contesto 221), presso Lungotevere di Pietra Papa (DB,
contesto 244) o a piazza Brin, nel quartiere della Garbatella (DB,
contesto 239).
89
L’iscrizione, finora ignota, è stata valorizzata in particolare in
PALOMBI 2008-2010, pp. 81-82 (ora PALOMBI c.s.); per approfondimenti bibliografici cfr. DB, contesto 215, indicatore 468.
90
Per le valutazioni di carattere cronologico e il raffronto con le
testimonianze in ambito urbano si rinvia al testo di L. Spera, infra,
pp. 00.
91
DB, contesto 99, indicatore 239. Stessa funzione doveva svolgere la fornace impiantata per la costruzione della basilica costan-
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
23
perlopiù di impianti sorti in età imperiale entro dimore
private, diversamente distribuite sul Palatino, Celio,
Esquilino e Laterano 98, con una continuità d’uso almeno
fino al V secolo.
al riesame del resoconto degli scavi intrapresi dal Fortunati nel 1857-1858 (fig. 15, nn. 2, 3) 92. Al riguardo
figurano infine i resti di un’attività di cantiere predisposta nell’area nord-occidentale del Foro Romano,
presso le pendici meridionali del Campidoglio, in probabile connessione con opere edilizie che riguardarono
il sito in questo periodo 93; si tratta di un miscelatore di
calce, ricavato in un vano di età repubblicana contiguo
al tempio di Saturno, da associare ad un consistente deposito di elementi marmorei accumulati all’interno di
una vicina fossa 94. Al contrario, è da ricondurre ad una
specifica situazione di cantiere svolta in maniera del tutto
occasionale un modesto impianto per lo spegnimento
della calce, identificabile sostanzialmente dalla presenza di tracce del legante in una fossa ricavata nel pavimento di uno dei magazzini costruiti in età domizianea
nell’isolato compreso tra via di S. Paolo alla Regola,
via del Conservatorio, via delle Zoccolette e via dei Pettinari 95. Per ora mancano elementi sufficienti per convalidare l’ipotesi dell’esistenza di un impianto
artigianale nel settore nord della domus Tiberiana, ove
nel tardo IV secolo si costruirono strutture effimere in
argilla, buchi e canalette di incerta funzione 96.
A completamento del panorama complessivo degli
indicatori, si rileva, infine, la presenza di spazi deputati alla follatura, legati, come è noto, ad attività tessili
non necessariamente di tipo manifatturiero 97. Si tratta
1.2. I secoli VI-VII
Per quanto riguarda i secoli VI-VII, si dispone ancora di una rilevante quantità di evidenze archeologiche riferibili a generi diversi di tradizioni artigianali, tali
da disegnare un panorama piuttosto variegato e complesso (fig. 16 e tav. 00) 99. Se da un lato si registra una
continuità o discontinuità d’uso di molteplici contesti
di epoca precedente 100, in disparati settori della città si
evidenzia un rinnovamento su larga scala delle forme
di produzione, per le quali si è supposta talora una connessione con il potere statale o ecclesiastico 101.
Di nuovo gli indicatori di lavorazioni metallurgiche
rappresentano una parte considerevole e significativa
delle testimonianze, localizzati di preferenza in edifici
a carattere pubblico e spesso complementari ad altre attività manifatturiere. Particolarmente interessante è l’impianto di notevoli dimensioni installatosi, nella metà del
VI secolo, sui resti degli auditoria del supposto Athenaeum, fatto costruire dall’imperatore Adriano nel 135
e riportato alla luce presso piazza della Madonna di Loreto 102. La più impressionante caratteristica dell’atelier,
che non trova confronti nel panorama conosciuto, è il
tiniana dei SS. Pietro e Marcellino, al III miglio della via Labicana,
che fu riutilizzata verosimilmente in una fase secondaria (forse successivamente al termine dei lavori da collocare nel 325) come vasca
per spegnere la calce (GUYON, MANACORDA, STRÜBER 1981, pp. 10041005, 1014-1016; TRAINI 2013, p. 49). Legati sempre ad operazioni
di cantiere sono le tracce di piani di lavorazione emersi nell’area
del Laterano, nel piazzale dell’Inps, inquadrabili tra il V e il VI secolo (DB, contesto 137, indicatore 316).
92
Per ulteriori approfondimenti sui due dispositivi per lo spegnimento della calce («smorzatoio di calce» secondo le parole dello
studioso: FORTUNATI 1859, pp. 16-17), individuati nella navata centrale e nella zona del battistero, vd. DB, contesto 37, indicatori 38;
contesto 38, indicatore 80.
93
Non si esclude una connessione con la tarda ricostruzione alla
fine del IV secolo del tempio di Saturno, ipotizzata sulla base dell’analisi stilistica della decorazione architettonica (PENSABENE 1984,
pp. 151-152).
94
DB, contesto 56, indicatori 106-107. L’unico elemento di datazione per questa presunta attività di calcinazione è il terminus ante
quem offerto dagli strati di obliterazione successivi, inquadrabili,
sulla base dei dati ceramici, tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo (PAGANELLI 2004, p. 180).
95
I dati di scavo consentono di collocare l’allestimento di questa struttura provvisoria nell’ambito compreso tra la fine del IV e
gli inizi del V secolo (DB, contesto 300, indicatori 00-00).
96
DB, contesto 120, indicatore 287. Peraltro ancora incerta resta
la funzione di un laboratorio artigianale che riutilizzò, tra la fine del
IV e gli inizi del V secolo, un settore della cosiddetta ‘Insula Capitolina’ (DB, contesto 261, indicatore 538).
97
Su questo tipo di lavorazione si vedano DI GIUSEPPE 2012, pp.
477-494 e il contributo della studiosa in questi atti.
98
DB, contesto 28, indicatori 51-52; contesto 32, indicatore 65
(Celio); contesto 113, indicatore 277 (Colle Oppio); contesto 123,
indicatore 292 (Palatino); contesto 135, indicatore 314 (Laterano);
contesto 295, indicatore 597 (Esquilino). I resti di una fullonica con
chiara funzione domestica, formata da una vasca quadrangolare in
cocciopesto e da un piano di marmo per sbattere e pressare i panni,
sono noti nell’ala nord-ovest della domus di Gaudentius sul Celio,
il cui uso abitativo proseguì almeno fino alla metà del V secolo (SPINOLA 1992, p. 964). Ad un’attività di tessitura sempre a conduzione
familiare riporta il ritrovamento di una fuseruola in terracotta da un
contesto datato tra il V e il VII secolo nella domus B di palazzo Valentini (DB, contesto 266, indicatore 544). Un’altra tipologia di impianto legato sempre ad attività di follatura, ma risalente alla seconda
metà del IV secolo, è quello relativo ad una coloreria, attestata sul
Palatino nell’area ad ovest del tempio di Cibele (DB, contesto 122,
indicatori 289-291).
99
Per un inquadramento generale, si rinvia a DELOGU 2010.
100
Si interrompono definitivamente le attività delle officine metallurgiche e della lavorazione dell’osso nel Foro di Cesare; prosegue la produzione sulle pendici nord-est del Palatino, nella basilica
Hilariana e nell’area di S. Omobono (su cui vd. supra, pp. 00).
101
Cfr. L. Spera, infra, pp. 00.
102
DB, contesto 80, indicatori 168-171. Per una lettura recente
delle strutture di produzione e dei relativi indicatori si rimanda a
ANTONELLI, IACONE, PROSPERI et alii 2013, pp. 95-112. Sull’impianto
vd. i contributi di M. Serlorenzi, G. Ricci e di V. La Salvia in questo volume.
24
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
ricco repertorio morfologico e tipologico di fornaci, destinate a processi diversificati di riduzione e lavorazione
di metalli più nobili come il rame e l’argento, che rivelano sicuramente una precisa e ben strutturata organizzazione dell’apparato produttivo, difficilmente
limitata all’esclusivo fabbisogno locale 103. Peraltro, in
una sostanziale contiguità con le funzioni artigianali che
avevano già connotato in passato l’area centrale della
città, si insediarono nei vani di sostruzione dei Rostra
piccole officine per il riciclaggio di materiali metallici
(soprattutto bronzo e ferro) 104; allo stesso tempo, un numero cospicuo di crogioli, rifiuti di fabbricazione insieme ad alcuni oggetti in ferro, provenienti dai livelli
di abbandono di un ambiente delle cosiddette ‘terme di
Elagabalo’ al Palatino, parrebbero suggerire la presenza,
sul posto o nelle immediate vicinanze, di un impianto
finalizzato ad operazioni di fusione 105.
Legata presumibilmente ad una committenza monastica è la più variegata e composita attività artigianale
attestata per questo periodo che ha lasciato traccia nell’enorme butto dell’esedra della Crypta Balbi, in cui si
è riconosciuto un campionario piuttosto diversificato di
oggetti semilavorati, scarti e materie prime, strettamente
legati alla lavorazione non solo dei metalli ma anche
delle merci di lusso, dell’osso, del vetro, dei tessuti, delle
pelli in genere e del legno 106. L’ingente quantità di materiale recuperato è stata giudicata indicativa per proporre l’esistenza di un laboratorio altamente
specializzato in tipi differenti di produzioni, la cui ubicazione è stata messa in relazione e in diretto rapporto
con il vicino cenobio di S. Lorenzo in Pallacinis 107. Diversamente, non è ancora accertata l’area di provenienza di una serie di scarti di lavorazione, rinvenuti in
giacitura secondaria sul colle Oppio, nell’esedra sudoccidentale delle terme di Traiano 108. Gli indicatori più
significativi risultano essere in prevalenza ritagli me-
Fig. 16. - L’età tardo antica: grafico comparativo a livello quantitativo degli indicatori di attività produttiva, datati nell’ambito compreso tra i secoli VI-VII.
103
È stata suggerita l’ipotesi di identificare tale impianto produttivo con uno spazio della zecca enea. Su questa lettura interpretativa si rinvia ai contributi di M. Serlorenzi, G. Ricci e V. La Salvia
in questo volume. Sulle problematiche relative alla produzione monetale a Roma, vd. il testo di A. Rovelli in questi atti.
104
DB, contesto 47, indicatore 93.
105
Si segnala inoltre il rinvenimento di due frammenti di blu egizio: DB, contesto 144, indicatori 325-327. Un accenno sul contesto, tuttora inedito, in SAGUÌ 2013, p. 151.
106
DB, contesto 86, indicatori 186-201. Sulle attività dell’officina vedi, in particolare, RICCI 2001b, pp. 331-428.
107
Cfr. contributo di L. Vendittelli e M. Ricci in questo volume.
A riguardo sono emerse nuove considerazioni nel corso del dibattito svolto a fine convegno, per cui rinvio al contributo di A. Molinari in questo volume e a L. Spera, infra, pp. 00.
108
DB, contesto 108, indicatori 266-271.
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
25
tallici, scorie di fusione, frammenti di osso ed avorio
trattati, lingotti e altri materiali vitrei da riciclare, provenienti probabilmente dalla discarica di una bottega artigianale adibita a molte attività produttive per le quali
si è evidenziata una certa affinità, sotto il profilo tipologico, con quelle del coevo deposito della Crypta
Balbi 109.
A parte gli impianti di epoca precedente ancora in
uso 110, mancano casi certi di nuove installazioni entro
spazi privati e gli unici laboratori noti sono riconducibili in prevalenza a lavori artigianali svolti su scala abbastanza vasta. In tal senso l’esempio più
rappresentativo è costituito dall’officina polivalente collocata nell’ambito delle insulae connesse al teatro di
Balbo, dove, accanto alla produzione di metalli, sono
attestati indicatori per la realizzazione di accessori d’abbigliamento e manufatti in osso lavorato 111. Nel complesso l’atelier si componeva di due fornaci in mattoni
e in pietra lavica, un focolare per la preparazione del
combustibile e una vaschetta di raffreddamento, chiari
segni di un’organizzazione articolata degli spazi di lavoro e di una produzione assolutamente non occasionale 112. È molto probabile che fosse indirizzata ad un
mercato non esclusivamente locale anche l’intensa attività di una bottega emersa presso piazza Venezia, all’interno di tabernae prospicienti un tratto della via
Lata, in cui avevano luogo processi di riduzione e trasformazione secondaria delle leghe di rame, rivolti alla
creazione di oggetti finiti o semilavorati di piccole dimensioni 113.
Per quanto riguarda le restanti produzioni, esse sono
presenti in quantità notevolmente più limitata. In relazione ad episodi di destrutturazione e spoliazione delle
aree centrali dell’abitato 114 possono essere attribuiti uno
strato di schegge di travertino sulle rovine del Foro Transitorio 115, due fornaci da calce nell’Atrium Vestae, con
camera di combustione scavata nei suoli antichi, cumuli
di marmi pronti per un nuovo carico e depositi di rifiuti 116, e i diversi accatastamenti di abbondanti materiali lapidei nell’Anfiteatro flavio, derivati da
sistematiche e continuate operazioni di smontaggio e
smistamento delle spoglie architettoniche 117. Per un
quadro complessivo si rileva allo stesso modo la testimonianza di processi spoliativi a scala più ridotta anche
in contesti privati: lo scarico di una probabile installazione per la calce insieme a due fosse di spoliazione e
i resti di un apprestamento per calcinaroli sono stati identificati nell’ambito delle domus, scoperte rispettivamente sotto i palazzi Valentini 118 e delle Assicurazioni
Generali 119. Si possono riferire a testimonianze edilizie
condizionate spesso da specifiche necessità locali anche
diverse lavorazioni manifatturiere riconosciute nel suburbio. In linea di massima si tratta di modeste fornaci
attive lungo la via Nomentana 120 e, soprattutto, Labicana 121, in prossimità talvolta di strutture residenziali
in disuso, che servivano difatti per attività di calcinazione legate al riciclo di elementi lapidei da spoliazione.
Si può, al contrario, considerare un esempio rappresentativo di un vero e proprio cantiere di smontaggio
col fine di recuperare materiale da costruzione l’ecce-
Ibidem.
Ci si riferisce in particolare agli impianti metallurgici nell’area
di S. Omobono che rimasero attivi fino al VII secolo (cfr. supra,
pp. 00).
111
Cfr. contributo di L. Vendittelli e M. Ricci in questo volume.
112
DB, contesto 160, indicatori 348-355. Sull’ipotesi che questa
officina costituisca la prima sede dell’atelier i cui scarti sono stati
rinvenuti nell’esedra del teatro di Balbo si rimanda al testo di L.
Vendittelli e M. Ricci in questo volume.
113
DB, contesto 76, indicatori 158-162. Cfr. pure il contributo
di M. Serlorenzi e G. Ricci in questi atti.
114
Allo stato attuale della ricerca, si è constatata la presenza sul
Pincio, nell’area degli horti Luculliani , in una zona scarsamente
abitata, di un cumulo di marmi determinato da azioni di spoglio (DB,
contesto 212, indicatore 462).
115
DB, contesto 196, indicatore 409.
116
Al di là delle due calcare, nel VII secolo, l’atrium Vestae fu
interessato da occupazioni di tipo abitativo (DB, contesto 59, indicatori 114-117).
117
DB, contesto 94, indicatori 223-226. Al momento, vista l’assenza di dati cronologici, non è possibile associare a questa attività
di spoliazione anche i resti di una struttura per lo spegnimento della
calce, emersi nel 1962 presso piazzale del Colosseo, in direzione di
via dei SS. Quattro Coronati (DB, contesto 105, indicatore 260). Un
deposito di spolia provenienti dalla vicina Meta Sudans si è rinvenuto nei pressi dell’arco di Costantino a testimonianza delle operazioni di recupero che interessarono in questo periodo la valle del
Colosseo (DB, contesto 272, indicatore 551).
118
DB, contesto 267, indicatore 545; contesto 271, indicatore 550.
119
DB, contesto 82, indicatore 175.
120
Una calcara databile al VI secolo è stata rinvenuta nei pressi
della villa di Boccone D’Aste, tra via della Bufalotta e via di Casal
Boccone, connessa alle fasi di abbandono del complesso (DB, contesto 185, indicatore 391).
121
Si ricordano i forni da calce dislocati sul pianoro di Centocelle, rispettivamente nei pressi dell’ex pista dell’aeroporto omonimo (DB, contesti 254, indicatore 527; 256, indicatore 530),
all’interno della villa della Piscina (DB, contesti 302-303, indicatori 000-000) e nelle vicinanze di quella cosiddetta delle Terme (DB,
contesto 257, indicatori 532-533). Occorre, tuttavia, premettere che
tale particolare concentrazione di calcare, pressoché esclusiva di questo comparto territoriale, va ricondotta molto probabilmente all’estesa campagna di indagini, eseguita in questa parte del suburbio
tra il 1995 e il 2000, i cui risultati sono confluiti nell’edizione di
ben tre volumi (GIOIA, VOLPE 2004; VOLPE 2007; GIOIA 2008). Non
è dunque esclusa la presenza di impianti simili in altri settori del
suburbio romano, sicuramente meno esplorati. Si veda a titolo esemplificativo quanto è emerso di recente nel territorio capenate (SAVI
SCARPONI 2013, pp. 1-18).
109
110
26
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
zionale contesto, databile nell’ambito del VII secolo, scoperto al V miglio della via Flaminia, in prossimità al
Tevere 122, che è stato messo in relazione alla presenza
di un insediamento monastico dedicato a S. Leucio, di
cui abbiamo notizia nell’epistolario di Gregorio
Magno 123. Nel sito, le rovine ancora emergenti di alcuni sepolcri, tra cui si è riconosciuto quello di un senatore di origine bresciana, Marco Nonio Macrino,
distinti per le valenze monumentali, diventarono campi
privilegiati per il prelievo sistematico, l’accatastamento
e la lavorazione in loco di marmi antichi 124. Lo stato di
conservazione e l’affidabilità del contesto, grazie anche
alle analisi al C14, lo rendono esclusivo nel suo genere 125.
Prendendo ora in considerazione gli altri tipi di lavorazioni, l’assenza di materiale di scarto non permette
una sicura definizione della funzione produttiva di due
piccoli forni in muratura con camera di combustione circolare, installati in un periodo successivo al V secolo
in una taberna dei Mercati di Traiano, per i quali si è
supposta una destinazione alla cottura di vasellame 126.
Non molto si può dire neppure relativamente al grado
di specializzazione e al tipo di manufatti prodotti di una
bottega artigiana, individuata sulle pendici nord-ovest
Fig. 17. - L’età altomedievale: grafico comparativo a livello quantitativo degli indicatori di attività produttiva, datati nell’ambito compreso tra i secoli VIII-X.
122
DB, contesto 219, indicatori 473-479. Sull’organizzazione di
questo specifico cantiere di demolizione con fasi di utilizzo fino al
pieno Medioevo, cfr. D’AMELIO, ESPOSITO 2012, pp. 331-343; ESPOSITO 2012, pp. 73-75. Più in generale, sulla pratica dello smontaggio, in area romana, cfr. REA 2002, pp. 152-160 e il contributo di
R. Santangeli Valenzani in questo volume (ivi, per ulteriore bibliografia).
123
Greg. M., Ep. XI, 57; LP, I, p. 521. Nella lettera il pontefice
dà disposizioni perché siano concesse alcuni sanctuaria del martire
Leucio, poiché quelli esistenti nel monastero sulla Flaminia, diretto
a quel tempo dall’abbas Oportunus, erano stati trafugati. Per un quadro generale sulle forme di insediamento nei secoli dell’alto Medioevo della via Flaminia tra il V e VI miglio, rimando al mio
contributo in ARIZZA, PALOMBI 2012, in particolare pp. 53-61.
124
Sul ritrovamento, vd. ROSSI, GREGORI 2009-2010, pp. 109128; ROSSI 2012; sulle fasi tardo antiche cfr. CHIOCCI, GASSEAU, ROSSI
et alii 2012, pp. 304-327. Stringente il confronto con la situazione
riscontrata nella limitrofa area sepolcrale, al VI miglio della via Flaminia, dove i blocchi della decorazione marmorea del mausoleo cosiddetto a pianta stellare, liberati dagli strati alluvionali, sono stati
rinvenuti accatastati in notevole quantità: BRUTO, MESSINEO, VANNICOLA 1984, p. 159.
125
Sono stati individuati frammenti di un’anfora di tipo ‘Cisterna
di Samo’, di ceramica da fuoco di VII secolo nonché una moneta
dell’imperatore bizantino Phocas, databile tra il 602 e 610; tali dati
trovano conferma nell’analisi al carbonio 14 di un bovino, rimasto
intrappolato sotto una delle esondazioni del Tevere, che forse costituiva la forza trainante all’interno del cantiere (CHIOCCI, GASSEAU,
ROSSI et alii 2012, pp. 310-312).
126
Su questa struttura che meriterebbe ulteriori approfondimenti,
cfr. SPECCHIO 2010, pp. 179-180 (DB, contesto 301, indicatori 000).
Vd. pure il contributo di G. Rascaglia e J. Russo in questo volume.
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
del Palatino, per cui si è ipotizzata una stretta relazione
con la fondazione della diaconia di S. Teodoro 127. Al
contrario, ad una possibile manifattura per la fabbricazione di materiali vitrei rimandano i ritrovamenti di un
pane di vetro e scarti di lavorazione nell’area della basilica Hilariana 128. Di particolare interesse, vista la rarità di attestazioni simili, è la scoperta sul Pincio di un
laboratorio artigianale presumibilmente dedito alla concia delle pelli o alla preparazione di pergamena 129.
Per quanto concerne la produzione di materiale fittile, resta al momento ancora incerta la localizzazione
delle figlinae riattivate sotto Teoderico, la cui intensa
attività edilizia è ampiamente ricordata nelle fonti e
trova conferma in un ampio mercato di distribuzione
dei manufatti 130. L’unica manifattura laterizia che è possibile identificare è quella impiantata sui ruderi del balneum dei Frates Arvales, nella zona tra il V e il VI miglio
della via Campana 131. Non sembrano comparire neppure evidenze legate alla sfera tessile 132; si segnala solamente il recupero nell’ambito di un insediamento,
legato fin dall’antichità allo sfruttamento agricolo dei
terreni lungo la fascia prospiciente la sponda destra del
Tevere, nei pressi di ponte Milvio, di un peso da telaio
127
Si sono individuate due vasche in opera cementizia, ricolme
di argilla diatomitica dalle proprietà sia leviganti che refrattarie
(DB, contesto 153, indicatori 335-336; cfr. L. Spera, infra, pp. 0000). Non ci sono elementi per definire la funzione originaria di un
altro bacino in muratura, inserito nel VI secolo in un ambiente dell’horreum di età flavia, alle pendici settentrionali del Palatino (DB,
contesto 117, indicatore 282).
128
DB, contesto 30, indicatori 60-62. E’ stata connessa all’installazione di attività artigianali anche una struttura in laterizi fornita di un ripiano e di un rivestimento in cocciopesto di incerta
funzione (DB, contesto 29, indicatore 56). Vd. pure il contributo di
C. Pavolini et alii in questi atti.
129
L’impianto si caratterizzava di un numero abbastanza elevato
di vasche rettangolari (ben 7) con scarichi di calce all’interno, forse
destinate per il calcinaio (DB, contesto 163, indicatori 358-359). In
generale, è difficile distinguere le tracce archeologiche relative al
ciclo produttivo delle pelli (DEFERRARI 1997, pp. 363-368; GIANNICHEDDA 2014, p. 87) e, oltre agli indizi già esaminati di un’attività
simile nell’atelier della Crypta Balbi (cfr. supra, p. 00), rare sono
le attestazioni per Roma (per l’età romana si veda il contributo di
C. Panella in questo volume). Si è ipotizzata di recente la possibilità di considerare alcune strutture indagate in passato sul colle
Aventino, al di sotto della chiesa di S. Sabina, come un luogo fortemente indiziario per la collocazione di un impianto per le pratiche di conceria, risalente molto probabilmente al IV secolo
(ACAMPORA c.s.). Sulla via Tiburtina, presso il Policlinico Umberto
I, sono stati recuperati dei trincetti, utensili generalmente attribuibili alla funzione di scarnatura del cuoio; tuttavia, l’assenza di indicazioni sul contesto di riferimento non ne consente un
inquadramento cronologico puntuale (DB, contesto 204, indicatori
428-430).
130
Cfr., da ultima, GUERRINI 2011, pp. 133-174, in particolare
sulla produzione laterizia si vedano le pp. 156-164.
27
in piombo, presumibilmente ascrivibile ad un’attività a
conduzione familiare 133.
2. L’età altomedievale. I secoli dall’VIII al X d.C.
Riguardo al quadro ricostruito per il periodo tardo
antico, indubbiamente meno ricco e composito si presenta il panorama delle attività artigianali per la forbice
compresa tra l’VIII e il X secolo d.C. (fig. 17 e tav. 00).
Partendo dal presupposto fondamentale che molteplici
realtà produttive attestate solo nelle fonti documentarie
non hanno ad oggi un riscontro archeologico che ci permetta di conoscere l’entità e l’organizzazione delle strutture 134, sembra registrarsi per l’alto Medioevo una
contrazione quantitativa di indicatori che passano da 130
a circa 60, con una maggiore incidenza di forme connesse alla sfera edilizia e un progressivo sviluppo di una
rete artigianale sotto il controllo del potere ecclesiastico 135. Valutando poi la distribuzione topografica dei
rinvenimenti (fig. 18 e tav. 00), si evidenzia chiaramente
un minor numero di presenze sparse intorno alla città,
un incremento di installazioni nelle aree dei Fori e del
Palatino, in associazione alla realizzazione di fabbriche
131
DB, contesto 141, indicatore 322. LORETI, MARTORELLI 2000,
p. 389.
132
Questa produzione, come si è già evidenziato, risulta attestata
per l’ambito urbano solo nel sito della Crypta Balbi (cfr. supra, pp.
00). Degli impianti di follatura installati nel periodo precedente (cfr.
supra, pp. 00) solamente quello nella basilica Hilariana parrebbe
essere ancora operante fino ai primi decenni del VI secolo (DB, contesto 28, indicatori 51-52).
133
Il contesto, emerso durante le indagini preventive alla costruzione del Nuovo Mercato di ponte Milvio, è costituito da una
complessa rete di canalizzazioni riconducibili ad almeno tre diverse
fasi cronologiche comprese tra l’epoca medio-repubblicana e l’età
medievale ed attende ancora un’edizione scientifica (un breve cenno
in ARIZZA, PALOMBI 2012, p. 54). La possibilità di esaminare i materiali di scavo, concessa a chi scrive dalla dott.ssa Marina Piranomonte, funzionario della Soprintendenza Speciale per il Colosseo,
il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma, responsabile del sito, ha permesso di acquisire dati utili sui reperti
provenienti dalle stratigrafie tardo antiche/medievali. Malgrado il
perdurare nel tempo di questi pesi insieme alla mancanza di radicali trasformazioni nel repertorio morfologico non consentano una
puntuale datazione, il manufatto (DB, contesto 216, indicatore 469)
è confrontabile con un esemplare del VI-VII secolo proveniente dalla
Crypta Balbi (PAROLI, VENDITTELLI 2004, p. 344, II.4.139).
134
Effettivamente il ruolo importante svolto da alcune produzioni,
come ad esempio quella degli oggetti di lusso (cfr. DELOGU 1998b,
pp. 123-141; DELOGU 2001, pp. 34-35; RICCI 2001a, pp. 331-428),
dei laterizi (STEINBY 2001, pp. 143-144; vd. pure L. Spera, infra,
pp. 00-00) e degli arredi architettonici e liturgici delle chiese (MELUCCO VACCARO 1999, pp. 299-308; BALLARDINI 2008, pp. 225-246;
BALLARDINI 2010, pp. 141-148), si riflette esclusivamente in un quadro di rinvenimenti topograficamente assai articolato.
135
Cfr. L. Spera, infra, pp. 00-00.
28
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
quegli impianti sorti nei Rostra e
presso piazza Venezia 136, che furono sostituiti da attività connesse
ad officine marmorarie nel primo
caso 137, e da una fornace per la produzione della calce nel secondo 138.
Allo stesso tempo, nei contesti riconosciuti come tali prosegue quel
fenomeno di rioccupazione di edifici pubblici, anche se in genere la
grande maggioranza degli ateliers
presenta modeste dimensioni, ricoprendo spazi piuttosto contenuti
che implicano un’organizzazione
del lavoro non particolarmente sofisticata, per lo più destinata alla rifusione di metallo da riciclo (ferro,
bronzo e piombo) 139. A tal proposito vale la pena ricordare l’inserimento nella navata settentrionale
della basilica Giulia di un modesto
allestimento artigianale probabilmente di breve durata, composto
dai resti di un forno a pozzetto, un
discreto numero di scorie bronzee
Fig. 18. - L’età altomedievale: planimetria con l’ubicazione degli indicatori di attività produttive relativi al periodo compreso tra i secoli VIII-X.
e un livello di cenere sparso sopra
il pavimento originario 140. Una sireligiose, e, infine, la comparsa di contesti produttivi in
tuazione simile è stata riscontrata anche nell’esedra
aree finora ‘vuote’.
della Crypta Balbi, dove, nella prima metà dell’VIII secolo, in continuità con la tradizione artigianale dei deLa produzione del metallo, vetro, osso
cenni precedenti, sono stati identificati i resti di una
Per quel che riguarda più specificatamente le eviprobabile officina fusoria pertinente ad una produzione
denze di lavorazioni metallurgiche, analogamente a
su scala ridotta 141.
quanto avviene per l’età tardo antica, esse risultano in
Pur in assenza di dati attendibili, occorre, tuttavia,
linea di massima presenti in quantità ancora apprezzamenzionare le sporadiche tracce collegabili ad una labile, sebbene in forme qualitativamente ridotte. I dati a
vorazione del piombo, considerata soprattutto la rarità
disposizione mostrano innanzitutto una dismissione di
con cui sono attestate 142. Con estrema cautela potrebbe
136
Cfr. supra pp. 00-00. Anche l’attività artigianale sviluppatasi
sui resti dell’Atheneum fu obliterata, nella seconda metà del VII secolo, da un innalzamento del livello di calpestio riutilizzato agli inizi
dell’VIII secolo per un’area funeraria (SERLORENZI 2010, pp. 146147; vd. pure il contributo di M. Serlorenzi e G. Ricci in questo volume).
137
DB, contesto 48, indicatori 94-95.
138
DB, contesto 77, indicatore 163. Il periodo di utilizzo di questo impianto dovette essere piuttosto breve e ricadere nell’ambito
dell’VIII secolo. In effetti, già a partire della fine del IX e gli inizi
del X secolo nel sito è documentata una successiva attività di spoliazione mirata al recupero in particolare di travertino (SERLORENZI
2010, p. 136; vd. pure il contributo di M. Serlorenzi e G. Ricci in
questo volume).
139
In età tardo antica si distinguevano, come si è già notato, al-
cune officine con caratteristiche più da industria che da bottega artigiana (cfr. supra, pp. 00-00).
140
DB, contesto 61, indicatori 121-123. La struttura produttiva
fu attiva almeno fino al IX-X secolo, forse in connessione con i resti
di un piccolo oratorio costruito nella navata occidentale della basilica, precedentemente identificato con la chiesa di S. Maria de Cannapara (MAETZKE 2001, p. 596; DE FELICE 2012, pp. 210-211).
141
Nel contesto sono stati rinvenuti due piccoli forni, un numero
cospicuo di crogioli e una quantità di cenere e di scorie negli strati
di accumulo che coprivano le installazioni (DB, contesto 88, indicatori 206-210).
142
Non sono note per l’epoca tardo antica testimonianze dirette
di una metallurgia del plumbum (vd. in particolare L. Spera, infra,
pp. 00-00).
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
29
essere riferita ad età altomedievale, o forse ad epoca di
poco successiva, la notizia, ormai non più verificabile,
del rinvenimento, durante gli scavi nell’orto del convento di S. Bernardo, tra la fine del 1598 e il 1612, nell’ambito delle terme di Diocleziano di «alcune Grotte»
interpretate come «officine d’Orefici, o fonditori di metalli, e vi fu ritrovata si gran quantità di piombo, che ne
fu ricoperta la Cupola della Chiesa» 143. Di estremo interesse sono anche gli esemplari di fornaci, recuperati
negli anni Ottanta all’interno delle cosiddette ‘piccole
terme’ della villa dei Quintili, per cui non è possibile
risalire con precisione all’entità quantitativa e alle modalità di lavorazione 144. Concorre ad integrare il quadro produttivo l’installazione scoperta alla metà del
XIX secolo lungo il vicolo dell’Atleta, nella zona di Trastevere, l’unica ad essere collocata all’interno di un edificio privato a carattere termale 145. L’ambiente romano
di II-III secolo fu rioccupato con diversa destinazione
d’uso e divenne sede di una significativa attività metallurgica concordemente connessa alla trasformazione
di elementi di spoglio, di cui si rinvennero tracce consistenti di bruciato sulle murature e residui di bronzo
fuso sul piano di calpestio 146. Il recupero poi di un’ingente quantità di materiale bronzeo potenzialmente riciclabile, tra cui il celebre cavallo ora ai Musei
Capitolini 147, accuratamente accumulato insieme a vasellame ed elementi marmorei assai eterogenei, potrebbe far supporre un utilizzo secondario come
magazzino 148.
Più labili, ma non certo da trascurare, sono le tracce
in favore di altri generi di attività artigianali. In assenza
di una struttura vera e propria, non è possibile precisare
i caratteri tecnologici di una probabile vetreria sorta nei
pressi e sotto il controllo della chiesa di S. Maria An-
La produzione della ceramica
In linea generale, indubbiamente più tangibili, a
fronte delle epoche precedenti, ma ancora veramente
sfuggenti, sembrano essere le attestazioni di un artigianato della ceramica, prevalentemente rappresentate da
pochi e più affidabili scarti di lavorazione provenienti
dall’area dei Fori e del Campo Marzio 153. A dispetto,
infatti, dei progressi registrati nel panorama degli studi
condotti negli ultimi anni, non si sono ancora identifi-
143
LANCIANI 1989-2002, V, p. 87; VI, p. 156; FELLETTI MAJ 1952,
p. 39. DB, contesto 10, indicatore 18. Si ricordano anche «nella casa
fabbricata ivi vicino dai Monaci Camaldolesi furono trovate parimente botteghe» (LANCIANI 1989-2002, VI, p. 156). In via ipotetica, poteva trattarsi di officine specializzate nello spoglio e nella
fusione delle fistule plumbee provenienti dal complesso termale.
144
DB, contesto 282, indicatori 576-577. Si attende l’edizione
definitiva delle indagini archeologiche eseguite nel 1984-1987 per
avere ulteriori informazioni su tale contesto. Brevi cenni sulla scoperta solo in RICCI 1991, pp. 469-470. Si veda pure l’articolo di R.
Paris et alii in questo volume. Al momento, non è possibile stabilire se il consistente quantitativo di piombo rinvenuto pure all’interno della villa dismessa del praedium Demetriae, al III miglio della
via Latina, tale da raggiungere il peso, a detta del Fortunati, delle
«2000 mila e più libre» (FORTUNATI 1859, p. 11) sia da riferire ad
un’attività di spoliazione e accatastamento intenzionale del metallo
in funzione di nuovi utilizzi (DB, contesto 41, indicatore 86).
145
DB, contesto 291, indicatore 591.
146
Ibidem.
PARRISI PRESICCE 2007, pp. 33-53.
DB, contesto 292, indicatore 592. Per una rassegna dettagliata
dei reperti vd. LANCIANI 1989-2002, VI, pp. 386-388; SACCHI LODISPOTO 1983, pp. 3-22.
149
DB, contesto 46, indicatore 92.
150
DB, contesto 79, indicatore 167. Per ulteriori dettagli si rimanda al testo di M. Serlorenzi e G. Ricci in questo volume.
151
DB, contesto 87, indicatori 202-205. Cfr., supra, pp. 00-00 e
il testo di L. Saguì e B. Lepri in questi atti.
152
DB, contesto 155, indicatori 339-341; contesto 157, indicatore 344; contesto 158, indicatore 345.
153
Si tratta di scarti provenienti dal Foro di Cesare (DB, contesto 304, indicatore 00-00; vd. contributo di G. Rascaglia e J. Russo
nel presente volume), dal Foro della Pace (per una preliminare presentazione dei residui, ancora inediti ed in corso di studio, cfr. DB,
contesto 70, indicatori 136-139), dall’isolato a sud della Crypta Balbi
(DB, contesto 155, identificativo 340) e da S. Maria in Cosmedin,
anche se in giacitura secondaria (DB, contesto 265, indicatore 543).
tiqua, al Foro Romano, a cui sono state ricondotte alcune scorie di fusione e scarti di lavorazione 149. Non ci
sono dati certi neppure per definire la funzionalità di
un deposito di cenere spesso sino ad un metro, rinvenuto in via Cesare Battisti, che poteva costituire un
amalgama destinato alla fusione del vetro o un agente
candeggiante per attività tessili 150. Altrove, si registra
una persistenza della vocazione produttiva per più secoli, che sembra suggerire il perdurare di una tradizione
tecnologica radicata; da un deposito della discarica nell’esedra della Crypta Balbi, risalente alla prima metà
dell’VIII secolo, provengono colaticci, crogioli, scarti
di fusione e pani di vetro per un peso totale di g 1000,
indicatori tipici di una produzione vetraria, svolta in
forma decisamente più modesta rispetto all’attività dell’atelier di fine VII secolo 151. Peraltro, si rintracciano
nell’isolato attorno al monumento romano, almeno fino
al tardo X-inizi dell’XI secolo, ulteriori indizi di una
lavorazione analoga affiancata da scarti di una fabbricazione di oggetti in osso e da un crogiolo per la fusione del bronzo che sembrerebbero testimoniare un
ampliamento dello spettro delle realtà produttive, in
un’area della città che assume ormai i connotati di un
vero e proprio quartiere artigianale 152.
147
148
30
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
cate installazioni fisse, che ovviamente potrebbero confermare una localizzata attività produttiva in ambito urbano 154. Peraltro, l’analisi condotta sugli indicatori
affermati finora come tali della Crypta Balbi 155, della
basilica Hilariana al Celio 156, della fonte di Giuturna 157
e delle Colonne Onorarie 158, ha permesso di ridefinire
la funzionalità degli stessi, che non risultano essere
sempre indiziari di una produzione 159.
La produzione edilizia e del marmo
A proposito dei luoghi addetti alla lavorazione
del marmo e della calce è interessante notare come, in
base alla distribuzione delle testimonianze superstiti, si
assista in età altomedievale al diffondersi e al proliferare di officine specializzate in particolar modo nello
spazio urbano, compreso tra il Palatino e il Campo Marzio meridionale. Altro elemento che sembra indubitabile è che queste attività siano in genere inserite in
edifici pubblici di maggiore risonanza, rispecchiando
quel processo secolare di spoliazione subito dalla città.
Per quanto riguarda l’organizzazione delle botteghe di
marmorarii, numericamente meno consistenti 160, esse
rioccupano grosso modo superfici all’aperto grazie all’installazione di precarie strutture lignee prospicienti
assi viari di collegamento 161 e, talvolta, si collocano in
contiguità agli impianti di calcinazione, a testimonianza
di un’articolazione degli spazi destinati alle singole ope-
razioni dell’intero ciclo produttivo, dalle fasi di approvvigionamento alla rilavorazione e trasformazione
in loco dei materiali lapidei di spoglio. Esemplificativo
in tal senso è il caso della basilica Giulia, dove, a fianco
all’attività metallurgica citata in precedenza 162, si accostarono ateliers di marmorari e calcinai, dediti ad una
produzione certamente più permanente presumibilmente
legata alla depredazione del monumento romano e di
quelli circostanti. Si rinvennero, infatti, nella navata
longitudinale meridionale dell’edificio una calcara a
pianta circolare, in uso fino ai secoli del pieno Medioevo,
insieme ad un accumulo di elementi architettonici e
strutture deperibili intorno, innalzate direttamente sul lastricato marmoreo 163; l’organizzazione del lavoro così
articolata parrebbe essere legata, come in altri contesti,
ad una programmata iniziativa imprenditoriale 164.
Nel quadro complessivo vanno integrate le molteplici attestazioni di attività finalizzate alla lavorazione
della calce 165, che raggiungeranno il massimo sviluppo
nei secoli immediatamente successivi, segno evidente
del rinnovamento edilizio promosso all’interno della
città 166. Nell’insieme, si contraddistinguono diverse
strutture permanenti che funzionarono per un tempo relativamente lungo, quali le fornaci alle spalle della curia
di Adriano 167 o della già citata basilica Giulia; molti impianti che sono da considerarsi piuttosto allestimenti
temporanei, in relazione ad interventi specifici di ri-
154
PATTERSON 1993, pp. 309-331; ROMEI 2004, pp. 278-311;
PATTERSON 2010, pp. 143-162. Per approfondimenti bibliografici vd.
testo di G. Rascaglia e J. Russo in questi atti.
155
DB, contesto 90, indicatore 215.
156
DB, contesto 31, indicatori 63-64.
157
DB, contesto 119, indicatori 285-286.
158
BERTELLI, BROGIOLO 2000, p. 327.
159
Si rimanda alle considerazioni del testo di G. Rascaglia e J.
Russo nel presente volume.
160
DB, contesto 48, indicatori 94-95 (area dei Rostra, cfr. supra,
pp. 00-00); contesto 63, indicatore 126 (basilica Giulia); contesto
64, indicatori 127-129 (Palatino, zona dello stadio); contesto 230,
indicatore 498 (Teatro di Marcello).
161
È stato sinora possibile individuare percorsi di servizio per il
passaggio di carri e il trasporto di marmi nell’area dei Rostra orientali (GIULIANI, VERDUCHI 1987, pp. 145, 166, 186-187) e nella basilica Giulia (DE FELICE 2012, p. 214).
162
Cfr. supra, pp. 00.
163
DB, contesto 62, indicatori 124-125; contesto 63, indicatore
126; vd. pure DE FELICE 2012, pp. 212-215. La fornace, datata dal
Lanciani all’VIII-IX secolo, parrebbe essere ancora menzionata in
documenti del 1426 come appartenente ad una società del rione
Pigna, cui era riconosciuta la facoltà di calcinare i blocchi di travertino (LANCIANI 1989-2002, I, p. 55).
164
Pur in assenza di dati cronologici puntuali, una situazione simile sembra rintracciarsi nel contesto del teatro di Marcello, dove
si è rilevata la presenza di un’area di rilavorazione di pezzi mar-
morei datata nell’ambito dell’VIII secolo, forse in connessione con
la vicina diaconia di S. Teodoro, e di una composita attività di calcinazione, probabilmente di lunga durata (due calcare: DB, contesti 227-228, indicatori 495-496; un cumulo eterogeneo di elementi
lapidei: DB, contesto 229, indicatore 497).
165
Cfr. infra, pp. 00-00. Tra la fine del VII e gli inizi dell’VIII
secolo si colloca la produzione del forno nel Foro di Traiano (DB,
contesto 96, indicatori 228-229; vd. pure articolo di R. Meneghini
in questi atti); al secolo VIII va attribuita la fornace presso piazza
Venezia (DB, contesto 77, indicatore 163); di poco posteriore è quella
emersa nell’esedra della Crypta Balbi (DB, contesto 89, indicatore
211-214); all’VIII-IX sono da riferire le installazioni nell’area retrostante la Curia (DB, contesto 50, indicatori 97-99), nel settore tra
la chiesa di S. Adriano e la basilica Emilia (DB, contesto 51, indicatore 100), e nella basilica Giulia (cfr. supra, nota 163), tutte in
uso fino al pieno Medioevo; al tardo IX secolo risale la fornace nelle
cosiddette ‘Terme di Elagabalo’ (DB, contesto 145, indicatori 328332); sulle pendici del Palatino una calcara aveva occupato il settore di una taberna degli horrea Agrippiana, attribuita al IX-X
secolo (DB, contesto 45, indicatore 91). Si fa un breve cenno anche
all’esistenza di una calcara altomedievale sulla sommità del Celio,
ma di essa non si fornisce alcuna indicazione (PAVOLINI 2001, p.
618).
166
Cfr. infra, pp. 00-00 e il testo di R. Santangeli Valenzani in
questo volume.
167
DB, contesto 50, indicatori 97-99. In base alle fonti letterarie queste fornaci erano ancora attive nel pieno Medioevo (LANCIANI
1989-2002, I, pp. 33, 62).
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
31
strutturazione edilizia, come si è ipotizzato per la fornace di piazza Venezia 168 e, infine, alcune installazioni
strategicamente dislocate nelle vicinanze di contesti insediativi, come quella nelle cosiddette ‘Terme di Elagabalo’, alle pendici nord-est del Palatino, che dovette
soddisfare le necessità edilizie dell’abitato di S. Maria
Nova 169. Al contrario, sporadiche sono le testimonianze
di organismi simili nel comparto suburbano; una calcara è stata scoperta all’interno della più volte citata villa
dei Quintili 170; altro caso è quello dell’impianto attivo
fino all’XI secolo nell’atrio del Mausoleo di Elena,
lungo la via Labicana (fig. 19) 171. L’esistenza di queste fornaci è segnale di un evidente processo di defunzionalizzazione di alcune parti dei complessi
monumentali, ormai destinate ad uso di cava, e di riqualificazione dei siti in senso produttivo. Indubbiamente
più significativi sono i consistenti resti di una lunghissima attività di cantiere documentati nell’area a sud
della basilica di S. Paolo fuori le mura, tra la prima metà
dell’VIII e il X-XI secolo, in stretta correlazione con i
vari momenti edilizi del monastero (tav. 00 e fig. 20a,
nn. 1-4) 172; si tratta di bacini per la miscelazione della
malta, realizzati in momenti distinti, ma in continuità
operativa formati da fosse circolari nel terreno o vasche
quadrangolari contornate da intelaiature lignee 173. Ad
epoca altomedievale risale presumibilmente un miscelatore, del tutto analogo, individuato all’interno di un
vasto complesso insediativo a continuità di vita, ubicato
lungo via Sorelle Marchisio, nella zona gravitante la via
Trionfale (fig. 20b) 174; elemento che parrebbe suggerire l’impiego di maestranze edili qualificate, con comuni conoscenze tecniche, in grado di spostarsi ed
esercitare attivamente la loro arte ad ampio raggio 175.
Fig. 19. - Via Labicana, Mausoleo di Elena: resti di una calcara nell’atrio del monumento (rielaborazione da Vendittelli 2011).
168
Cfr. testo di M. Serlorenzi e G. Ricci in questo volume. Una
funzione analoga è stata supposta anche per l’impianto nel teatro di
Balbo (cfr. L. Vendittelli, M. Ricci in questo volume; per una lettura alternativa vd. il testo di A. Molinari).
169
DB, contesto 145, indicatori 328-332. TRAINI 2013, pp. 5153.
170
Si ringrazia calorosamente R. Frondoni per aver fornito informazioni su questo rinvenimento, ancora inedito (DB, contesto 275,
indicatori 557-559). Si rinvia pure al contributo di R. Paris et alii
in questi atti.
171
DB, contesto 232, indicatori 501-502.
172
DB, contesto 188, indicatori 395-396; contesto 313, indicatori 000-000. Non vi sono indicazioni sufficienti per definire la cronologia di una «fossa per calce», scoperta davanti al portichetto
laterale della basilica (DB, contesto 189, indicatori 397-398). Per
alcune anticipazioni sulle scoperte cfr. FILIPPI, SPERA 2009; SPERA
2011b; SPERA 2011c; per le evidenze di cantiere si rimanda a SPERA,
ESPOSITO, GIORGI 2011, pp. 19-33; APPETTECCHIA, PALOMBI c.s. Sull’organizzazione dei cantieri altomedievali cfr. SANTANGELI VALENZANI 2002, pp. 419-426.
173
Parrebbero legate, invece, ad un’attività di cantiere svolta in
maniera occasionale le due vasche di spegnimento rinvenute nell’isolato prossimo al teatro di Balbo (DB, contesto 156, indicatori
342-343).
174
L’insediamento è stato descritto in maniera sommaria ed attende ancora un’analisi d’insieme (BRUCCHIETTI, OLMEDA 2006, pp.
293-301; SANTOLINI GIORDANI 2009, pp. 621-229). La revisione
della documentazione di scavo ed il riesame dei materiali scoperti,
eseguita per una tesi di dottorato, svolta da chi scrive presso l’Università di Roma ‘Sapienza’, dal titolo Le dinamiche insediative del
territorio compreso tra la via Flaminia e la via Trionfale, dal Tevere al V miglio, nella tarda antichità e nell’altomedioevo, sotto la
supervisione del Prof. Vincenzo Fiocchi, ha permesso di acquisire
dati significativi per puntualizzare le fasi di vita di questo complesso
e valorizzare la scoperta di questo impianto produttivo, del tutto inedito (PALOMBI 2008-2010, pp. 395-404).
175
Sulla trasmissione del sapere antico, cfr. BIANCHI 1996, pp.
53-64; SIMONCINI 1997; sui magistri itineranti, cfr., da ultimo, CAGNANA 2008, pp. 39-53.
32
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
3. L’età medievale. I secoli dall’XI al XV d.C:
Il quadro delle manifatture che emerge per i secoli
tra l’XI e il XV risulta, allo stato della ricerca, piuttosto denso di evidenze, distribuite in modo abbastanza
disomogeneo nel territorio (fig. 21 e tav. 00), in crescita
rispetto al periodo precedente (si passa da 60 indicatori
a 140). Ciò nonostante, la conoscenza dei sistemi e dell’organizzazione produttiva è ancora ad uno stadio preliminare, in quanto la documentazione relativa è limitata
e spesso del tutto insufficiente. Valutando poi le singole
tipologie di indicatori (fig. 22 e tav. 00) si evidenzia una
flessione delle testimonianze di un artigianato del vetro,
dell’osso e dei metalli a fronte di una presenza quantitativamente più rilevante di impianti per la produzione
della calce, che rappresentano più del 50% dell’insieme,
con un picco di attestazioni tra il XII e XIII secolo.
3.1. L’XI secolo
Il repertorio delle forme produttive riferibili all’assetto di XI secolo ha lasciato segni decisamente meno
tangibili nel panorama urbano, in assoluta controtendenza con il quadro fornito dalle fonti scritte 176; mantiene una certa vitalità solamente l’area centrale. Difatti
la maggior parte delle
fornaci di calce allestite
nel Foro Romano risulterebbe ancora operante 177
e nuovi contesti sembrerebbero emergere alle
pendici del Palatino,
dove, nelle tabernae contigue all’Atrium Vestae,
sono documentate fosse
di spoliazione e calcare
attive almeno fino al XII
secolo, in relazione,
forse, alla fortificazione
del colle, per opera della
famiglia dei Frangipane 178, e nel pronao del
Templum Pacis, in cui
sono state individuate
tracce di un’officina di
marmorari, costituite in
buona parte da accumuli
di listelli di colonne e
pezzi di decorazioni rilavorate 179. Si segnala,
inoltre, il rinvenimento in
un butto della prima metà
dell’XI secolo, presso
piazzale del Colosseo, di
numerose scaglie di traFig. 20. - A) area a sud della basilica di S. Paolo fuori le mura: resti di bacini per la miscelazione della
vertino e diverse scorie di
malta documentati tra la metà dell’VIII e il X-XI secolo (nn. 1-4); B) via Sorelle Marchisio, complesso
insediativo: in evidenza è un miscelatore altomedievale (rielaborazione da Santolini Giordani 2009).
ferro che, seppur in gia-
176
2013.
Si veda la puntuale disamina dei riferimenti storici in WICHKAM
Cfr. supra, pp. 00-00.
DB, contesto 60, indicatori 118-120; contesto 146, indicatore
333 (nei pressi della chiesa di S. Maria Nova). Cfr. infra, pp. 00177
178
00. Sulle dinamiche insediative nel Medioevo sul colle Palatino si
veda in particolare AUGENTI 1996, con bibliografia di riferimento.
179
DB, contesto 305, indicatori 000-000. Allo stesso periodo risale la rimozione delle decorazioni marmoree del monumento, in
connessione, secondo l’ipotesi degli studiosi, alla presenza di una
calcara nelle vicinanze (FOGAGNOLO, ROSSI 2010, pp. 40-41).
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
Fig. 21. - L’età medievale: planimetria con l’ubicazione degli indicatori di attività produttive relativi al periodo compreso tra i secoli
XI-XV.
33
Iugario, in rapporto alla persistenza d’uso, nel Medioevo, della strada di collegamento tra la Suburra e il
Foro Boario, altamente specializzate in una produzione,
finora poco indagata, quella delle pietre dure 183. Ne sono
una diretta testimonianza la vasta gamma di materiali
grezzi, i moltissimi scarti di fabbricazione e i disparati
strumenti per la lisciatura, tutti indicatori significativi
non raffrontabili con contesti coevi. Cronologicamente
in parallelo compaiono nell’ambito suburbano, in particolar modo lungo il percorso della via Appia, altrettante realtà produttive che sembrano riflettere
l’immagine vivace desumibile da un passo del problematico atto di conferma dei beni di Gregorio VII, nel
1081, alla basilica di S. Paolo fuori le mura 184. Al di là
di labili tracce di impianti artigianali per la produzione
di ceramica nei ruderi del circo di Massenzio 185 e di
una calcara nell’area centrale della villa dei Quintili, in
uso per tutto il Medioevo 186, le attività più rappresentative risultano essere i resti di una fullonica nella zona
del Quo vadis e di una gualchiera nel parco della Caffarella 187, considerando soprattutto che questi tipi di
strutture hanno lasciato in genere pochi dati archeologici 188.
citura secondaria, potrebbero essere interpretate come
scarico dei residui di attività metallurgiche e di calcinazione svolte nelle immediate vicinanze del sito 180.
Pochi appaiono gli indizi di una lavorazione del vetro,
che comprendono due esemplari di crogioli provenienti
di nuovo da depositi dell’esedra della Crypta Balbi, databili alla prima metà dell’XI secolo 181, ed un gruppo
di rifiuti di fusione e materie prime vetrificabili dal Foro
di Nerva, la cui area di provenienza non è stata ancora
accertata 182. Al contrario, rivestono particolare rilevanza
i resti di botteghe artigianali insediate nei pressi del Vico
3.2. I secoli dal XII al XV d.C.
Nelle successive fasi di frequentazione dei secoli del
pieno Medioevo si assiste ad un’accentuazione dei fenomeni insediativi rispetto al periodo precedente, con
più rilevanti e marcate trasformazioni degli assetti costruttivi. La lettura degli indicatori nella loro globalità
mostra con chiarezza una considerevole espansione ed
un ampliamento dello spettro delle attività artigianali
perfino in zone della città finora poco rappresentate,
come ad esempio il quartiere di Trastevere 189 o il settore suburbano lungo la via Cassia 190. Sul piano tipologico si registra altresì il proliferare in Roma e nei suoi
DB, contesto 104, indicatori 258-259.
MANNONI 1990, p. 604; vd. pure il testo di L. Saguì e B. Lepri
in questi atti.
182
DB, contesto 298, indicatori 602-604.
183
DB, contesto 57, indicatori 108-111. Per aspetti generali, cfr.
LIPINSKI 1975 e i vari contributi raccolti in BALDINI LIPPOLIS, GUAITOLI 2009; su Roma, cfr. GASPARRI 1979, pp. 4-13.
184
TRIFONE 1908, doc. I, p. 282: Itemque concedimus tibi Sanctam Mariam que cognominatur Domine quo vadis et totam planiciem ante ianuas ipsius ecclesie, ubi fullones candificant pannos,
cum tribus molendinis, que ibidem sunt. Et medietatem Circi, cum
omnibus criptis, ubi lutea vasa conquuntur. Et balneum, quod nunc
detinet Gregorius de Tuscolana. Vd. SPERA 1999, pp. 274, 428 per
le considerazioni di carattere topografico. Sull’attendibilità del documento di cui permangono dubbi cfr., da ultima, DE FRANCESCO
2004b, pp. 291-292.
185
DB, contesto 126, indicatori 295-296. WICKHAM 2013, p. 179,
nota 104; testo di G. Rascaglia e J. Russo in questi atti.
186
DB, contesto 276, indicatori 560-564.
187
DB, contesto 124, indicatore 293; contesto 152, indicatore 334.
Sullo sviluppo di queste forme artigianali nella Valle della Caffarella, in relazione alla presenza del fiume Almone, si rinvia a RANELLUCCI 1980, pp. 445-458.
188
Per aspetti di carattere generale cfr. PANDURI 2010, pp. 83-91;
BUSANA, BASSO 2012; per la produzione dei panni a Roma cfr. AIT
2005, pp. 33-59 e testo di H. Di Giuseppe in questi atti.
189
Per una sintesi sullo sviluppo e assetto topografico di questo
settore della città, dall’età romana al Medioevo, si rimanda ai vari
contributi raccolti in ERMINI PANI, TRAVAGLINI 2010.
190
Studi recenti hanno tentato di colmare le lacune sulla conoscenza di questo comparto territoriale: VISTOLI 2005; VISTOLI 2012.
180
181
34
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
dintorni delle testimonianze riferibili a lavorazioni di
tipo edile, costituite sostanzialmente da installazioni
fisse (fig. 23 e tav. 00), molto spesso dislocate in prossimità di monumenti oggetto di spoliazione e legate al
fervore edilizio del periodo storico 191.
Partendo proprio dai luoghi di produzione della calce
non si potrà non notare, in particolar modo per l’ambito intramuraneo, la capillare distribuzione in tutti i settori dell’abitato oltre le aree a maggiore densità dei Fori
e del Campo Marzio 192, rilevando una deliberata e molto
complessa organizzazione produttiva che doveva riflettere il ruolo importante svolto sul piano economico da
questa attività 193. Nella vasta gamma di fornaci, distinte
Fig. 22. - L’età medievale: grafico comparativo a livello quantitativo degli indicatori di attività produttiva, datati nell’ambito compreso tra i secoli XI-XV.
191
Sulle modalità di recupero dei materiali da costruzione nel
Medioevo si vedano D’AMELIO, ESPOSITO 2012, pp. 331-343; ESPOSITO 2012, pp. 59-76, con ampia bibliografia. Per un quadro storico
cfr. MAIRE VIGUEUR 2011; GUIDOBALDI 2014.
192
Sugli impianti ancora attivi nel Medioevo cfr. supra, pp. 0000. Anche se permangono dubbi sul preciso inquadramento cronologico di alcune strutture e senza la pretesa di essere esaustivi, le
calcare riferibili ad età medievale sono installate rispettivamente nell’area centrale del Foro Romano, nei pressi della chiesa dei SS.
Cosma e Damiano, dell’arco di Tito, dei templi dei Castori, di Antonino e Faustina, e di Venere e Roma, forse anche nelle vicinanze
della basilica Emilia (DB, contesto 49, indicatore 96; contesto 52,
indicatore 101; contesto 53, indicatori 102-103; contesto 54, indicatore 104; contesto 164, indicatori 360-361; contesto 166, indicatore 364; contesto 167, indicatore 365-366); nella valle del Colosseo,
sul Celio, Laterano, Palatino, Esquilino, Aventino e nel Campo Marzio (DB, contesto 81, indicatore 172-174; contesto 106, indicatori
261-264; contesto 133, indicatore 312; contesto 134, indicatore 313;
contesto 142, indicatore 323; contesto 146, indicatore 333; contesto 154, indicatori 337-338; contesto 161, indicatore 356; contesto
162, indicatore 357; contesto 165, indicatori 362-363; contesto 168,
indicatori 367-368; contesto 169, indicatore 369; contesto 170, indicatore 370; contesto 172, indicatori 373-375; contesto 173, indicatori 376-377; contesto 174, indicatori 378-380; contesto 175,
indicatore 381; contesto 178, indicatore 384; contesto 179, indicatore 385; contesto 180, indicatore 386; contesto 181, indicatore 387;
contesto 183, indicatore 389; contesto 190, indicatori 399-400; contesto 262, indicatore 539; contesto 270, indicatori 548-549). Per un
censimento delle attività produttive legate alla sfera edilizia nella
zona di Trastevere vd. PORCARI 2009, pp. 93-129 e le schede dei seguenti contesti: DB, contesto 100, indicatori 240-243; 290, indicatore 590; 294, indicatore 596; 306, indicatore 000-000. Permangono
principalmente dubbi sulla datazione di numerosi accumuli di spolia eterogenei (DB, contesto 202, indicatore 426; contesto 203, indicatore 427; contesto 245, indicatore 515; contesto 246, indicatore
516; contesto 247, indicatore 517; contesto 248, indicatore 518). È
peraltro ben documentata la presenza di impianti destinati ad attività di cantiere, quali le vasche per la lavorazione della calce o della
malta presso il tempio di Bellona (DB, contesto 176, indicatore 382)
e in via della Croce Bianca (DB, contesto 114, indicatori 278-279)
o i residui edilizi nell’area della chiesa di S. Clemente (DB, contesto 98, indicatore 238).
193
Sull’incremento della produzione di calce nei secoli del pieno
Medioevo, cfr. BARAGLI 1998; TRAINI 2013, pp. 17-18, 21-22. Per
le implicazioni sul piano economico di questo fenomeno si vedano
CORTONESI 1996, pp. 277-307; CORTONESI 2002, pp. 109-136. A tale
riguardo, appare significativo segnalare come a partire dall’XI secolo la zona del Circo Flaminio, compresa tra i rioni S. Angelo e
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
35
Fig. 23. - Grafico comparativo a livello quantitativo del numero di calcare attestate nel corso dei secoli compresi tra il V e il XV.
per tipo e probabilmente funzione, differiscono dai modesti allestimenti temporanei alcuni impianti articolati
di maggiori proporzioni composti da più calcare, come
testimoniato nel sito del Conservatorio di S. Pasquale
Baylon 194 o presso piazza Madonna di Loreto 195, che
dovettero restare in funzione per un lungo periodo ed
essere destinate forse ad una produzione ‘industriale’196.
In ugual modo nel territorio periferico si diffondono in
maniera omogenea e in quantità rilevanti installazioni
di calcinazione, del tutto simili sotto il profilo morfologico, a quelle urbane. Le strutture finora prese in considerazione sono rinvenute per la maggior parte in
contesti insediativi (fig. 24), collocati lungo la viabilità
principale, e rioccupano indistintamente spazi di ville
imperiali (villa dei Quintili, villa di Lucio Vero al V miglio della via Cassia) 197, complessi residenziali (cosiddetti horti di Ovidio, aggregato di Acquatraversa, domus
Marmeniae sull’Appia, etc.) 198, contesti funerari (ne-
Pigna, prendesse il nome di Calcarario proprio in riferimento alla
sua spiccata vocazione produttiva (MARCHETTI LONGHI 1919, pp. 401535; per le testimonianze rinascimentali di calcare nell’area della
Crypta Balbi, vd. MANACORDA 2002, pp. 693-715). Sulla svolta decisiva nella produzione della calce a Roma a partire dal Quattrocento, si veda, da ultimo, VAQUERO PIÑEIRO 2002, pp. 137-154;
VAQUERO PIÑEIRO 2010, pp. 30-33, con bibliografia di riferimento.
194
DB, contesto 100, indicatori 240-245 (quattro calcare, cumuli
di marmi e residui dell’ultima cottura); PORCARI 2009, pp. 112-113.
195
DB, contesto 81, indicatori 172-174. E’ interessante notare
come, in questo caso, le fornaci emerse, sebbene non attive contemporaneamente, siano ubicate in contiguità fisica, indice di una
riattivazione prolungata nel tempo del medesimo impianto produttivo.
196
Ciò appare plausibile soprattutto per la zona di Trastevere,
dove il riesame dei dati noti ha apportato certamente un contributo
considerevole alla ricostruzione dei meccanismi produttivi e distributivi nel periodo dal Medioevo al Rinascimento (PORCARI 2009,
pp. 93-129). Si sono rintracciate cospicue tracce di attività di calcinazione, documentate sostanzialmente dal rinvenimento di numerosi accatastamenti intenzionali di materiali di spoglio e depositi
di stoccaggio, allestiti in ambienti preesistenti di età romana, come
per via Salemi o nei pressi della chiesa di S. Maria dell’Orto (ibidem, pp. 107-108, 110-115; GUERRINI 2010, p. 74).
197
DB, contesto 276, indicatori 560-564 (villa dei Quintili; cfr.
supra, pp. 00); contesto 222, indicatori 486-487 (villa di Lucio
Vero).
198
DB, contesto 40, indicatori 82-85 (villa del praedium Demetriae sulla via Latina); contesto 115, indicatore 280 (domus Marmeniae); contesto 223, indicatori 489-491 (complesso di
Acquatraversa). Per gli horti di Ovidio si può parlare più propriamente di un apprestamento per lo spegnimento della calce che riutilizza una vasca di natura idraulica (DB, contesto 217, indicatore
417; PALOMBI 2008-2010, p. 103). Non si forniscono dati cronologici e tipologici per una calcara apprestata forse in età medievale a
nord della Torre di Quinto, nei pressi dei resti di un contesto abitativo (DB, contesto 218, indicatore 472).
36
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
Fig. 24. - L’età medievale, esempi di installazioni di calcare in contesti suburbani: a) villa di Lucio Vero sulla via Cassia; b) cosiddetti horti
di Ovidio sulla via Flaminia; c) aggregato di Acquatraversa sulla via Cassia; d) complesso di S. Sebastiano sulla via Appia.
cropoli di via Vitorchiano, sepolcro dei Servili, complesso di S. Sebastiano, etc.) 199 ed edifici di culto (basilica di S. Stefano sulla via Latina, di S. Paolo fuori le
mura, etc.; figg. 15; 20a, n. 6) 200. Il ritrovamento, nelle
immediate adiacenze di questi allestimenti produttivi,
di ammassi di blocchi eterogenei di spoglio potrebbe
indicare l’esistenza di punti di raccolta del materiale da
riciclare 201. Allo stesso modo, attività di spoliazioni mirate al recupero di materiale da costruzione (laterizi,
marmi e travertini) o al servizio di calcinai investirono
molteplici edifici maggiori 202, tra cui a titolo di esempio si possono segnalare l’Anfiteatro Flavio 203, la domus
199
DB, contesto 42, indicatore 87 (sepolcri sulla via Latina); contesto 127, indicatori 297-301 (S. Sebastiano); contesto 184, indicatore 390 (sepolcro dei Servili); contesto 186, indicatori 392-393
(sepolcro degli Scipioni); contesto 220, indicatore 480 (via Vitorchiano). Altre due calcare sono ricordate nei pressi di una catacomba
all’altezza del IV miglio della via Latina (DB, contesto 43, indicatori 88-89). Attività di cavatura per produrre calce sono attestate a
livello documentario anche presso il sepolcro del Monte del Grano,
sulla via Latina (DB, contesto 44, indicatore 90).
200
DB, contesto 39, indicatore 81 (S. Stefano); contesto 315, indicatore 000-000 (S. Paolo fuori le mura).
201
A titolo di esempio sono da segnalare gli accumuli di elementi
scultorei ed architettonici presso il Grande Ninfeo della villa dei
Quintili (DB, contesto 279, indicatore 572; cfr. pure articolo di C.
Lalli in Paris et alii in questi atti), in una fossa all’interno dei resti
di una villa lungo il km VII della via Appia Nuova (DB, contesto
243, indicatori 513), nelle vicinanze della villa ad duas lauros sulla
via Labicana (contesto 255, indicatori 528-529) o nei pressi del presbiterio della chiesa di S. Stefano sulla via Latina (DB, contesto 39,
indicatore 81). Non è possibile stabilire la cronologia precisa di un
deposito di spolia lungo la via Trionfale, forse con analoga funzione
di stoccaggio (DB, contesto 226, indicatore 494).
202
Per problematiche di carattere generale, vd. articolo di R. Santangeli Valenzani in questi atti.
203
DB, contesto 93, indicatore 222; contesto 95, indicatore 227.
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
37
Tiberiana sul Palatino 204, gli impianti termali di Traiano 205 e di Caracalla 206, il tempio di Bellona 207, il Mausoleo di Augusto 208, e, in misura minore, proprietà
private, quali la domus B presso palazzo Valentini 209 e
l’aula absidata generalmente nota come la biblioteca di
papa Agapito 210. Aumentano le attestazioni pure di officine marmorarie con un’incidenza maggiore nei quartieri peritiberini e periferici dell’abitato 211.
Al contrario, appaiono sostanzialmente puntuali le
evidenze riferibili alle altre tipologie di attività, pur offrendo un quadro ancora piuttosto variegato. Rispetto
alle tendenze precedenti i dati disponibili per la lavorazione dei metalli derivano in linea di massima da sporadiche attestazioni di residui e scarichi di fabbricazione,
tecnicamente riconducibili al processo di lavorazione del
ferro, per i quali non si può stabilire in maniera esatta
il contesto di provenienza 212. Diversi scarti, in giacitura
secondaria, provengono da accumuli, databili tra la fine
del XII e il XIII secolo, indagati in più occasioni nel
sottoscala XLV e all’interno del cuneo X dell’Anfiteatro flavio 213; indizi certi di un’attività svolta su scala ridotta sono stati individuati in un ambiente ormai
destrutturato nell’area nord-ovest del Foro Romano, riadattato ad uso artigianale 214. In questo panorama piuttosto esiguo, riveste particolare rilevanza l’unica fornace
metallurgica, scoperta in area suburbana, sulla collina
S. Agata, all’altezza del V miglio della via Trionfale,
che sfruttò un puteus di acquedotto preesistente, caduto
in disuso (fig. 25) 215. Pur con le cautele dovute all’occasionalità dell’indagine, l’utilizzo di tale installazione,
non comparabile al momento con siti coevi, sembra pro-
Fig. 25. - Via Trionfale, collina S. Agata: resti di una fornace metallurgica di età medievale (da Santolini Giordani, Brucchietti, Olmeda 2009).
204
DB, contesto 121, indicatore 288. Fosse di spoliazione sono
state rintracciate pure sulle pendici nord-ovest del colle (DB, contesto 154, indicatore 337).
205
E’ documentata l’attività di uno scalpellino forse in connessione alle tracce di macchinari o di impalcature utilizzate per le operazioni di smontaggio del monumento (DB, contesti 109-110,
indicatori 272-273).
206
DB, contesto 107, indicatore 265. Al di là dell’allestimento
per la calce già citato (DB, contesto 106; cfr. supra, nota 191), è
attestato anche presso il settore sud-est del complesso termale il rinvenimento di schegge di marmo/travertino, che potrebbero essere
residui di lavorazioni svolte in loco (CECCHINI 1985, p. 585).
207
DB, contesto 177, indicatore 383.
208
DB, contesto 172, indicatori 373-375.
209
DB, contesto 268, indicatore 546.
210
DB, contesto 251, indicatore 522; contesto 252, indicatore 524.
Ulteriori interventi mirati al recupero di materiali sono documentati nell’ambito di un contesto insediativo scoperto nell’area compresa tra il viale del Monte Oppio e via delle Terme di Traiano (DB,
contesto 112, indicatore 276).
211
DB, contesto 5, indicatori 7-8 (presso porta Portese); contesto 6, indicatori 9-11 (via dei Quattro Cantoni); contesto 7, indica-
tori 12-14 (Esquilino, villa Altieri); contesto 8, indicatore 15 (via
del Mazzarino); contesto 13, indicatori 22-23 (Esquilino, villa Montaldo-Negroni-Massimo); contesto 15, indicatori 26-31 (chiesa di S.
Maria in Vallicella); contesto 18, indicatori 34-36 (vicolo del Vaccaio del Borgo Nuovo in Trastevere); contesto 260, indicatore 537
(Campo Marzio, via in Lucina); dubbi sussistono sui contesti 22,
23 e 24 (Testaccio, piazza dell’Emporio) su cui cfr. MAISCHBERGER
1997, pp. 61-93, 177.
212
Sulla produzione di reperti metallici nel Medioevo si veda ZAGARI 2005. Non ci sono elementi sufficienti per definire la cronologia esatta e la funzionalità dei resti di una probabile attività
metallurgica, emersi nel 1803 lungo l’attuale via Dandolo, nella zona
di Trastevere. Si tratta di crogioli frammentari e mattoni vetrificati
(DB, contesto 293, indicatori 594-595).
213
REA, COCCIA 1998, p. 121. Per dettagli su questi indicatori,
alcuni dei quali risultano inediti, si rimanda alle schede del database: DB, contesto 35, indicatori 69-70; contesto 36, indicatori 7175.
214
DB, contesto 58, indicatori 112-113.
215
DB, contesto 224, indicatore 492. Per un censimento delle attestazioni più tarde di botteghe di fabbri nell’area del Vaticano si
veda CENTOFANTI 1999.
38
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
lungarsi non oltre il XIII secolo, sulla base della più tarda
attestazione di alcuni frammenti di ceramica laziale 216.
Almeno per quanto è dato sapere, l’esistenza di una
concomitante produzione del vetro sembra essere documentata durante il pieno Medioevo, anche se in misura
minore 217. Oltre ai segni estremamente labili di un’attività erratica nei pressi del cuneo X dell’Anfiteatro Flavio 218, indubbiamente di maggiore interesse è il rinvenimento nel settore meridionale dell’esedra della Crypta
Balbi di uno scarico della fine del XII e la metà del XIII
secolo di resti antracologici, livelli di cenere e un considerevole quantitativo di scorie vetrose per un peso complessivo di kg 100, tra cui una più rappresentativa derivata da una trasformazione dell’argento 219, da ricondurre
alla fase di cottura o forgiatura di una bottega di vetraio
la cui ubicazione, pur restando ancora ignota, va ragionevolmente posta in prossimità dell’area di scavo 220. Naturalmente rappresenta un ritrovamento d’eccezione, se
si considera la rarità con cui sono attestati, il forno vetrario
emerso presso piazza Venezia, assieme ad un discreto numero di residui, crogioli e un’ingente quantità di materiale vetroso potenzialmente riciclabile 221. Più sfuggenti risultano essere i luoghi deputati ad una manifattura
dell’osso. Tracce certe riferibili allo sfruttamento artigianale
del corno sono state identificate al momento solo nell’area
di S. Paolo fuori le mura 222; dubbi permangono sulla funzionalità di scarti provenienti da depositi tardo medievali
della Crypta Balbi 223 e di un cumulo di ossa nella zona
di piazza Navona 224. Nell’ambito della produzione ceramica, le notizie tratte dalle fonti storiche circa la presenza di numerose botteghe di vasai nei secoli più tardi
del Medioevo parrebbero essere confermate da un incremento delle testimonianze riferibili a questa attività artigianale 225; si segnalano, tra gli indicatori più attendibili 226, diversi biscotti da piazza Navona 227 e da via di S.
Paolo alla Regola 228, i manufatti malriusciti dal Foro della Pace 229 e la bottega presso il Foro di Traiano, organizzata
in maniera articolata con spazi destinati alle diverse fasi
di lavorazione (operazioni di raffinamento, decantazione e depurazione dell’argilla impiegata) 230. Si deve infine ricordare il ritrovamento avvenuto in questi ultimi anni
nei pressi di piazza Cavour dei resti di un impianto produttivo, inquadrabile tra la fine del XV e gli inizi del secolo successivo, formato da vasche per la decantazione
dell’argilla, la cui destinazione d’uso è ancora incerta 231.
Per quel che riguarda le officine di laterizi, singolare è la scoperta di una piccola fornace, nell’area del
Campo Marzio, in piazza Sforza Cesarini, sintomo del
trasferimento dentro la città di attività forse di natura
occasionale e limitate al fabbisogno locale 232. Localiz-
Ibidem.
Sulla produzione e diffusione del vetro nel Medioevo cfr. STIAFFINI 1999.
218
Da accumuli di XII-XIII secolo provengono un frammento di
pane di vetro e uno di colaticcio (DB, contesto 36, indicatori 76-77).
219
A questo riguardo vale la pena segnalare il ritrovamento in strati
di riporto del XV secolo nell’esedra della Crypta Balbi di due tipi di
bilance, decontestualizzate, solitamente utilizzate nelle oreficerie
che potrebbero costituire un unico indicatore dell’esistenza di una
produzione di metalli preziosi (DB, contesto 92, indicatore 218). Per
approfondimenti su questa lavorazione si veda LIPINSKI 1975; PIGLIONE 2000, pp. 250-261, con ulteriori rimandi bibliografici.
220
DB, contesto 91, indicatori 216-217.
221
DB, contesto 78, indicatori 164-166.
222
Il deposito di pertinenza di tali materiali, recuperati nel corso
delle indagini svolte nell’area di S. Paolo ed ora in corso di studio
da parte di J. De Grossi Mazzorin (cfr. il contributo dello studioso
in questi atti), costituiva la dismissione di un pozzo in uso nell’alto
Medioevo (SPERA, FILIPPI c.s.).
223
DB, contesto 92, indicatore 220. Dal contesto proviene pure
una matrice in pietra per la realizzazione di medagliette in metallo
(ibidem, indicatore 221).
224
DB, contesto 131, indicatore 306. Potrebbe essere legate ad
attività piuttosto di macellazione una «gran quantità di corna» individuate nel corso dei lavori per l’edificazione della chiesa di S.
Bartolomeo de’ Vaccinari (DB, contesto 12, indicatore 21).
225
GÜLL 1997; GÜLL 2003; BANDINI 2009, pp. 497-505. Si rimanda al contributo di G. Rascaglia e J. Russo in questo volume.
226
Per il periodo in questione il gruppo di scarti ritenuti tali sono
costituiti da reperti ceramici ipercotti/deformati o biscotti che, in
assenza di ulteriori dati, non forniscono l’indizio certo dell’esi-
stenza di una fornace: DB, contesto 55, indicatore 105 (tempio di
Romolo); contesto 252, indicatore 523 (Celio, biblioteca di Agapito); contesto 307, indicatore 000-000 (via dei Farnesi); contesto
308, indicatori 000-000 (piazza SS. Apostoli); contesto 309, indicatore 000-000 (Crypta Balbi, area X); contesto 310, indicatore 0000 (Crypta Balbi, area III); contesto 312, indicatore 000-000 (S.
Nicola in Carcere); contesto 299, indicatori 605-600 (Area sacra di
Largo Argentina); contesto 316, indicatori 000-000 (Basilica di S.
Paolo fuori le mura, chiostro). Peraltro il riesame completo dei materiali noti ha permesso di appurare che questi manufatti potrebbero
essere ancora funzionali e forse immessi nel mercato (si rimanda
alle osservazioni nel testo di G. Rascaglia e J. Russo in questi atti).
227
DB, contesto 132, indicatori 307-311. Si segnala pure un frammento di biscotto, decontestualizzato, dalla Torre De’Conti (DB, contesto 311, indicatore 000-000).
228
DB, contesto 264, indicatore 542.
229
Per dettagli su questi prodotti, del tutto inediti, si rimanda a:
DB, contesto 71, indicatori 140-145.
230
Ricco il repertorio di strumenti e degli scarti di fabbricazione
(DB, contesto 97, indicatori 230-237). Cfr. infra, il contributo di R.
Meneghini in questi stessi atti.
231
Si ringraziano per le notizie circa la scoperta la dott.ssa M.
Bertinetti, funzionario della Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma,
responsabile del sito, e il dottor M. Brando, autore della scheda:
DB, contesto 297, indicatori 600-601.
232
DB, contesto 286, indicatore 581. Potrebbe essere valorizzata
in tal senso anche la notizia riportata nel Lanciani della presenza di
un forno per laterizi nei pressi della chiesa dei SS. Marcellino e Pietro, di cui, tuttavia, non si fornisce un inquadramento cronologico
puntuale (DB, contesto 9, indicatori 16-17).
216
217
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
39
zato, invece, nel suburbio è l’impianto realizzato entro
i resti di un edificio preesistente al I miglio della via
Appia 233. Nel caso fortuito, sono emerse le tracce archeologiche delle diverse fasi del processo produttivo,
dal deposito delle argille depurate, al piano di lavorazione di queste e alla raccolta di materiali da combustione e da scarto 234. Pur non disponendo di elementi
precisi per una datazione delle singole coltivazioni 235
possiamo individuare in questo periodo, con la diffusione della tecnica a ‘tufelli’, una ripresa dello sfruttamento delle risorse litotipiche 236; sul Celio sono, infatti,
attestate cave di tufo sotterranee forse di epoca medievale 237. Per terminare il quadro produttivo vale la pena
ricordare, in relazione alla produzione laniera, il rinvenimento nel settore del Grande Ninfeo della villa dei
Quintili di una più tarda attestazione di un apprestamento
per la follatura, legato sempre al corso dell’Almone e
sicuramente meglio caratterizzato sul piano architetto-
nico 238. Pur non essendo noti esempi analoghi, il mondo
della tessitura sembra essere ben rappresentato nelle fonti
letterarie che ci informano dell’esistenza nel territorio
suburbano di svariate gualchiere 239. Quanto allo strumentario connesso sono testimoniati ritrovamenti in
particolar modo di fuseruole in stratigrafie di epoca medievale nel deposito della Crypta Balbi 240, nell’area
sotto palazzo Valentini 241, nel Foro Romano presso il
tempio della Concordia 242 e presso piazza Navona 243.
(C. P.)
233
DB, contesto 75, indicatori 154-157. Si segue la datazione
proposta per questo impianto in SPERA 1999, pp. 61-63. Sulla produzione dei laterizi nel Medioevo si rimanda ai fondamentali studi
di GIUSTINI 1997; DE MINICIS 2001; MONTELLI 2001 e si vedano
anche le osservazioni nel testo di N. Giannini in questo volume. Le
fonti menzionano nell’area di Borgo e di Trastevere la presenza di
diverse fornaci a partire dal XV secolo (DB, contesto 198; VAQUERO
PIÑEIRO 2002, pp. 137-154); la produzione di mattoni si sposterà
solo alla fine del XVI secolo, in seguito ad un editto di Pio II Piccolomini, nelle valli delle Fornaci e del Gelsomino (MASINI 1986;
BULTRINI, STEMPERINI 2009, p. 367). Una fornace adibita alla produzione di tegole e coppi, datata ad età post-medievale, è emersa
in via di S. Dorotea, nel quartiere di Trastevere, a testimonianza di
una continuità di tradizione (PORCARI 2009, p. 115).
234
Ibidem.
235
Cfr. supra, nota 71.
236
ESPOSITO 1998; cfr. i testi di D. Esposito e R. Santangeli Valenzani in questo volume. A partire dal XV-XVI secolo le notizie
documentarie sono ricche di indicazioni relative all’aperture di cave
estrattive. A titolo di esempio si ricordano i contesti: DB, contesto
206, indicatore 433; contesto 236, indicatore 506; oppure le numerose cave di pozzolana nei pressi delle catacombe: cfr. FELLE, DEL
MORO, NUZZO 1994, pp. 99-100; BISCONTI, DEL MORO 1999, pp.
73-74; GIORDANI 2007, p. 289. È testimoniata anche la ripresa dello
sfruttamento delle cave di argilla in relazione soprattutto alla produzione della ceramica: si vedano, in particolare, i recenti studi archeometrici realizzati sugli impasti delle maioliche rinascimentali
in PANNUZI, MONARI, MANTOVANI 2010, pp. 197-208; PANNUZI, MONARI, MANTOVANI 2012, pp. 71-74.
237
Cave di tufo sono segnalate dal Lanciani (FUR, tavv. 35-36)
come antiche, ma potrebbero essere medievali, considerando in special modo la notizia, riportata in HUBERT 1990, p. 224, che descrive
nel sito la presenza nel 1003 di un’industria estrattiva.
238
Cfr. supra, nota 188; DB, contesto 280, indicatore 273. Il perpetuarsi di queste attività nella valle della Caffarella parrebbe trovare conferma in diverse testimonianze note da documenti su cui
vd., per una sintesi, DE FRANCESCO 2004b, p. 292.
239
DB, contesti 147-151.
240
DB, contesto 92, indicatore 219.
241
DB, contesto 269, indicatore 547.
DB, contesto 116, indicatore 281.
DB, contesto 132. Per ulteriori testimonianze si rimanda al
contributo di H. Di Giuseppe in questo testo.
244
C. Palombi, supra, pp. 00-00; come si è già detto, la complessiva raccolta dei dati, elaborata per il Convegno nel marzo 2014, è
presentata in questa sede nel CD allegato, ma destinato al web nella
forma predisposta per un’implementazione sempre aggiornata. Il contributo che si presenta offre un primo tentativo di lettura complessiva delle evidenze, senza pretendere di imporsi come uno studio sistematico ed esauriente di tutte le tematiche correlate, anche nel senso
della completezza cronologica. Ad esso, infatti, si intende anche attribuire lo scopo di mettere in luce le potenzialità di una ricerca più
ampia, che si presta ad ulteriori radicali approfondimenti. Gli argomenti trattati, si vedrà, non si spingono oltre i secoli dell’alto Medioevo,
sia per le specifiche competenze di chi scrive, sia perché il periodo
bassomedievale presenta una messe straordinaria di fonti scritte che
finora ha indirizzato piuttosto gli storici che gli archeologici all’esame della documentazione e ai conseguenti tentativi di sintesi (si vedano, in questo volume, i preziosi apporti di C. Wickham e di J.-C.
Maire Vigueur) e manca ancora un’indagine sistematica che legga contestualmente in quadri generali di dettaglio anche i records archeologici. Per l’età tardoantica e l’alto Medioevo analisi più esaustive e
ragionate dovrebbero essere rivolte ad esempio alle categorie professionali, soprattutto correlando dati, anche in senso topografico, e
attestazioni di fonti letterarie ed epigrafiche. Alcune professionalità
risultano emergenti, ad esempio, con singolari raggruppamenti in ambiti sepolcrali privilegiati, semplicemente dall’epigrafia funeraria (DI
STEFANO MANZELLA 1997, pp. 316-337; l’epigrafia è valutata anche
nelle raccolte complessive, per categorie di mestieri, di BISCONTI 2000):
per qualche caso interessante si richiamano gli argentarii di ICUR V,
13410 (del 498, da S. Sebastiano); II, 4280 (del 522, da S. Pancrazio); II, 5087 (del 544, da S. Paolo); VIII, 20841 (del 557, da S. Agnese, su cui anche LEGA 1997, con un’analisi sul lemma professionale), l’aurifex di ICUR I, 1403 sepolto nel 571 nell’Oratorio dei Quaranta
Martiri, il monetarius di ICUR I, 998 (l’epigrafe, del 546, venne riutilizzata nel pavimento della chiesa dei SS. Quattro Coronati), il cabidarius di ICUR II, 5057 (del 538, da S. Paolo), lo spatarius di ICUR
II, 4284 (del 538, da S. Pancrazio), il tinctor di ICUR II, 4283 (del
536-537, da S. Pancrazio) – il folto gruppo dei tinctores è ricordato
un noto passo Dialogi di Gregorio Magno (4, 56, 1). Studi generali
su tali temi ancora assai utili di CRACCO RUGGINI 1971 e di MOR 1971.
Note topografiche e riflessioni di sintesi
I quadri di insieme ricostruiti, proponendo una
generale presentazione diacronica dei dati per tipologie
di impianto, evidenziano l’eccezionale ricchezza della
documentazione acquisita 244.
La raccolta e le prime valutazioni storico-interpre242
243
40
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
tative che ne derivano hanno richiesto alcune considerazioni preliminari di ordine critico-metodologico, soprattutto sul valore del singolo record archeologico che,
se non pone troppe questioni per le installazioni fisse,
benché queste condividano con gli altri indicatori in
molti casi le scarse informazioni e la diffusa fluidità di
datazione che segnano le scoperte meno recenti (figg.
10-11), assume ovviamente significati diversi in relazione all’impatto quantitativo per gli scarti di lavorazione e i residui di materie prime, spesso problematici
anche per il ruolo all’interno dei depositi archeologici,
in quanto non sempre si può stabilire se si tratta di residui o reperti in fase 245. Nel senso del valore topografico, poi, può essere utile ribadirlo, si ritiene che essi
vadano considerati tenendo conto anche dei processi di
smaltimento dei rifiuti nella città: finché questo si può
considerare programmaticamente effettuato entro circuiti
urbani preordinati, con la formazione di ampie discariche polarizzanti 246, tali indicatori arrivano a perdere, è
logico, ogni valenza di precisazione locativa, mentre un
significato diverso va attribuito ai reperti da ‘mondezzai’ di contenuto volume, plausibilmente legati a operatività produttive nelle vicinanze 247.
La ricerca sugli apparati di produzione nelle trasformazioni delle città, di Roma in particolare, dall’antichità al Medioevo non può poi limitarsi alla scarna
raccolta dei dati materiali, cui finalmente gli studi più
recenti stanno concedendo un ruolo primario di documentazione diretta. La migliore lettura di questi richiede, per lo sviluppo e la piena comprensione di una
serie di aspetti correlati, uno sforzo di attenta integrazione con le fonti scritte ed epigrafiche, soprattutto
quelle che possano aiutare a ricostruire gli apparati le245
Per alcuni casi di indicatori sporadici, particolarmente scorie
o crogiuoli, di difficile contestualizzazione e incerto significato cfr.
i diversi casi valorizzati nell’esame di C. Palombi, supra, pp. 000.
246
Come quella di età antonina nell’area del Trastevere recentemente edita da Fedora Filippi, di composizione mista, domestica e
industriale (FILIPPI 2008); sullo smaltimento dei rifiuti nelle città romane in generale DUPRÉ RAVENTÓS, REMOLÀ 2000, in particolare i
contributi di PANCIERA 2000 e MANACORDA 2000; più generale LIEBESCHUTZ 2000.
247
DB, contesto 108, indicatori 266-271. Per il caso più significativo nell’esedra della Crypta Balbi (DB, contesto 86, indicatori
186-201) RICCI 2001b e SAGUÌ 2002.
248
Non a caso uno dei più preziosi avvii della ricerca sulle produzioni nella Tarda Antichità e nel Medioevo, la XVIII settimana
di Studio del Centro italiano sull’alto medioevo su Artigianato e
tecnica nella società dell’alto medioevo occidentale del 1970, aprendosi prevalentemente alla documentazione diretta monumentale con
una serie di approfondimenti sulle tecniche (Artigianato e tecnica
1971, particolare pp. 525-782), affidava i lineamenti introduttivi ad
un giurista (LOPEZ 1971).
gislativi di riferimento in relazione all’organizzazione
del lavoro e, per le ricadute topografiche, alla valenza
giuridica degli spazi urbani 248.
L’analisi critica complessiva ha permesso di comporre, si è visto, quadri distributivi dai quali è possibile
dedurre alcune riflessioni ulteriori, in particolare sul significato delle presenze produttive nelle trasformazioni
degli assetti urbani nella Tarda Antichità e nel Medioevo. Tale punto di osservazione risulta obbligato
tanto più se si richiama preliminarmente il ruolo di fattore assai dinamico esercitato dalle macroproduzioni
sulla configurazione degli insediamenti nella città e nel
territorio, fino alla connotazione marcata pressoché monofunzionale di interi quartieri 249 o alla formazione di
aggregati demici significativi esterni alle mura, quali dovevano profilarsi, nell’immediato suburbio, la civitas figlinae, a nord, attestata dal Liber pontificalis e dalla
passio sanctae Susannae 250, e, al terzo miglio della via
Ostiense, in prossimità dello scalo tiberino noto dalla
descrizione di Ammiano Marcellino 251, il vicus Alexandri, cui sono stati ragionevolmente riferiti alcuni impianti artigianali e per lo stoccaggio di materiali da
costruzione documentati a più riprese nell’area 252.
Nell’arco dei dieci secoli in esame, dal V al XV, pur
in una sostanziale tenuta dei saperi e dei procedimenti
tecnologici 253, si ridisegna, infatti, a più riprese e radicalmente, come si deduce anche da una semplice osservazione delle mappe e dai dati quantitativi (figg.
12-13, 16-18, 21-22), la ‘geografia della produzione’ a
Roma. La tendenza che appare inequivocabile a partire
dal V secolo è il progressivo inurbamento degli impianti
produttivi che nei precedenti secoli dell’età imperiale,
249
Vd. infra, p. 00 per la concentrazione delle officine marmorarie e p. 00 (con nota 00) per il ‘Calcarario’ nel Medioevo. Sulle
problematiche del rapporto tra archeologia della produzione e topografia urbana si vedano le recenti riflessioni, anche di ordine metodologico, di ESPOSITO, SANIDAS 2012a; inoltre MONTEIX 2012 per
Roma e SALIOU 2012 per alcuni casi in Oriente.
250
LP, I, p. 180 (la donazione di Costantino alla basilica di S.
Agnese comprendeva omnis ager circa civitatem Figlinas) e AA. SS.,
Aug. II, p. 632, che ne suggerisce la localizzazione tra il secondo e
il terzo miglio della via Salaria per la prossimità al cimitero dei Giordani (in crypta iuxta sanctum Alexandrum, iuxta civitatem Figlinas;
L. DUCHESNE, comm. ad LP, p. 197, nota 82); cfr. anche AA. SS.,
Ian. II, p. 80. Essenzialmente DE FRANCESCO 2004a, con ulteriore
bibliografia. Cfr. già C. Palombi, supra, p. 000.
251
Hist. 17, 4, 14.
252
Un riepilogo ragionato dei dati documentari in VELLA 2013b,
pp. 184-185 (cfr. anche VELLA 2013a); si veda poi ROGGIO 2012,
pp. 343-355. Vd. anche DB, contesto 241, indicatore 511.
253
Essenzialmente LAVAN 2007.
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
41
dicate nel tessuto urbano, accanto ad una serie di microattività e procedure di rifinitura dei prodotti, va richiamato il logico radicamento delle officine
marmorarie, operanti, a conclusione dei processi di lavorazione già iniziati in cava, sulla base degli studi di
Rodolfo Lanciani e Martin Maischberger, in particolare
nei comparti peritiberini dell’Emporio e del Campo
Marzio e in prossimità dei grandi cantieri di destinazione 259.
ovviamente per le attività primarie, si caratterizzano per
una generale localizzazione in aree extra e periurbane 254
e per l’organizzazione di circuiti più articolati in senso
spaziale, a motivo delle scontate correlazioni con i siti
estrattivi delle materie prime, ma anche, per alcune tipologie di installazioni produttive, le più inquinanti,
della diffusa attenzione alla tutela della salubritas di cui
si rintracciano ampi riflessi negli apparati legislativi, esigenza primaria in un centro urbano ad alto indice di popolamento 255. Alla fine del I secolo Frontino, celebrando
l’intervento di Nerva a favore della salubritas cittadina
(Sentit hanc curam imperatoris piissimi Nervae principis sui regina et domina orbis in dies et magis sentiet
salubritas eiusdem aucto castellorum, operum, munerum et lacuum numero), poteva ricordare che i Romani
del tempo godevano di una città pulita, dove erano
scomparsi «gli odori nauseabondi che al tempo degli
antichi rendevano l’aria irrespirabile» (causae gravioris caeli quibus apud veteres urbis infamis aer fuit sunt
remotae) 256. Non è di scarso significato in questa direzione che nella popolosa Costantinopoli, ancora nel
419, non si concedesse, propter salubritatem, la licentia coquendae calcis in uno spazio della città, benché
costiero, centrale e adiacente il palazzo imperiale 257;
dallo stesso repertorio di leggi si deriva, tra l’altro, a
più riprese, come è noto, che le fornaci erano preferibilmente dislocate in praediis dei domini che gestivano
la produzione 258.
Tra le attività artigianali invece più naturalmente ra-
Nella Roma tardo antica, dunque, dal V al VI secolo, si documenta una decisa inversione di tendenza e
l’intromissione sistematica delle attività produttive negli
spazi cittadini con diversa configurazione originaria si
impone come uno dei fattori più efficaci di rinnovamento
urbano nei secoli della transizione 260, fattore, peraltro,
riconosciuto come fenomeno connotante in molti centri urbani a continuità di vita 261. Questa tendenza può
essere valutata sulla base di impulsi molteplici e interconnessi, alcuni di facile comprensione: il riciclo sempre più consistente di materiali e pratiche frequenti di
rilavorazione, che modificano per molte produzioni il
rapporto con le ‘materie prime’; disponibilità di grandi
edifici in progressivo disuso e il contemporaneo graduale depopolamento 262, con il conseguente affievolirsi
di quella cultura ‘ecologica’ ante litteram che aveva tenuto fuori dalla città, si è detto, gli impianti più inquinanti 263; l’emergere di nuovi gestori della produzione,
soprattutto, si vedrà, gli enti ecclesiastici.
254
Nel 1987 l’analisi specifica di Morel doveva ammettere come
limiti della documentazione l’impossibilità di distinguere sempre con
chiarezza le testimonianze di attività produttive e di commercializzazione dei prodotti (MOREL 1987, particolare pp. 128-129); per altri
quadri complessivi dello stesso studioso MOREL 1989, MOREL 1990,
MOREL 2001. Su questi temi hanno fornito fondamentali contributi
Clementina Panella e Filippo Coarelli in questi stessi atti.
255
Sulla tutela alla salubritas in età antica cfr. FASOLINO 2010,
ma soprattutto RAMPAZZO 2006; si veda anche, per una serie di altre
questioni giuridiche relative alle fulloniche urbane, VALLOCCHIA
2013. La configurazione complessiva della città, anche per gli indici di popolamento, emerge dai vari contributi in GIARDINA 2011
(cfr. anche LO CASCIO 1997).
256
Aq. 88. In un epigramma (6, 93) Marziale ricorda l’odore nauseabondo dell’anfora vecchia di un avaro fullon (Tam male Thais
olet, quam non fullonis avari Testa vetus).
257
C.Th. 14, 6, 5 (Impp. honorius et theodosius aa. aetio praefecto urbi. omnes fornaces per omne spatium, quod inter amphitheatrum et divi iuliani portum per litus maris extenditur, tolli
praecipimus propter salubritatem urbis amplissimae et nostrarum
aedium vicinitatem nec ulli in his locis coquendae calcis praeberi
licentiam. dat. iiii non. octob. constantinopoli monaxio et plinta
conss.). Per i caratteri demografici di Costantinopoli tra IV e V secolo MANGO 2004, pp. 000-000.
258
Così in una costituzione del 359: C.Th. 14, 6, 1 (Imp. constantius a. ad orfitum praefectum urbi. ex omnibus praediis, quae
iam dudum praestationi calcis coeperunt obnoxia adtineri, coctoribus calcis per ternas vehes singulae amphorae vini praebeantur,
vecturariis vero amphora per bina milia et nungenta pondo calcis.
quin etiam volumus non personas, sed ipsos fundos titulo huius praestationis adstringi. vecturarios etiam ex quattuor regionibus trecentos
boves praecipimus dari. dat. viii kal. april. eusebio et hypatio
conss.).
259
FUR, tavv. 8, 14, 15, 21, 22, 23, 31; LANCIANI 1891; MAISCHBERGER 1997; PENSABENE 2013b, pp. 116-119. Vd. infra.
260
Per alcuni spunti già SPERA 2014a, pp. 218-220; SPERA 2014b
(per il Campo Marzio); SPERA 2015, pp. 58-64 (per il comparto orientale); vd. MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004.
261
Per quadri generali semplicemente BROGIOLO 2011, dalla cui
sintesi, per i diversi casi segnalati, emerge una marcata associazione
di tale tendenza con il riuso dei grandi edifici pubblici, riscontrato
in modo massiccio a Roma (infra).
262
Per il collasso demografico vd. LO CASCIO 1997, LO CASCIO
2000, LO CASCIO 2013.
263
Supra. La minore preoccupazione per la salubritas, che non
risulterebbe più considerata nelle fonti, va logicamente posta in correlazione con il decremento demografico e con un modello urbano
in parte progressivamente decostruito, con ampi spazi inedificati e
coltivati: una buona evidenza di questi fenomeni nei vari contributi
in ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001; PAROLI, VENDITTELLI 2004,
cui si affianchino SANTANGELI VALENZANI, MENEGHINI 2004; DELOGU
2010, pp. 211-333.
42
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
Nell’insieme i dati portano in evidenza alcune specificità negli sviluppi della rete delle installazioni produttive, variabili in senso tipologico, locativo e
temporale.
Sulla base di un gruppo delle attestazioni più antiche raccolte, la probabile riconferma di un indirizzo insediativo già corrente potrebbe riconoscersi
nell’attrazione delle produzioni di lusso da parte dei poli
preferenziali di uso e si può ritenere non affatto casuale
che le tracce più consistenti di lavorazione dell’osso, di
metalli e pietre preziose 264, e di produzione dei vetri incisi 265 siano state rintracciate alle pendici del Palatino,
dove potevano essere ancora operativi quegli ateliers di
manufatti preziosi destinati alla casa imperiale che, sulla
base di un interessante suggerimento di Clementina Panella, avevano forse realizzato anche le prestigiose insegne imperiali attribuite a Massenzio 266; in relazione
alla supponibile contiguità delle officine degli artigiani
palatini, esito di una ‘statalizzazione’ di alcune produzioni soprattutto a partire dall’età tetrarchica 267, può risultare significativa l’ipotesi secondo la quale nel
palazzo di Spalato, in uno dei comparti nord destinati
ai servizi, potrebbe riconoscersi l’impianto di una
grande fullonica per la lavorazione della lana porporata 268, secondo una prassi più tardi ratificata da una
norma del Codice giustinianeo che ammetteva la lavorazione degli ornamenta regia solo intra aulam e per
mano di palatini artifices, non in privatis domibus 269.
Secondo i medesimi criteri di distribuzione di alcune
tipologie di poli produttivi si può anche considerare che
le postazioni delle botteghe in relazione alle quali operavano le maestranze per le esigenze di abbellimento
delle ricche domus tardoantiche con preziosi rivestimenti
marmorei e musivi potessero radicarsi nel tessuto urbanistico dei quartieri a marcata residenzialità di alto
livello; in tal modo è stato ragionevolmente letto un consistente deposito di lastrine di marmi colorati rintracciato di recente in alcuni ambienti sotto l’ima cavea dello
stadio di Domiziano, rifunzionalizzati nel IV secolo
forse con l’impianto di un’officina per la fabbricazione
di opus sectile 270.
La rilocazione degli impianti produttivi nella città
tardoantica e medievale si traduce in diffusi episodi di
riuso di edifici, più raramente privati 271, ma per la maggior parte pubblici, un fenomeno che troppo sbrigativamente viene letto, soprattutto per i secoli precedenti
il Medioevo, come testimonianza di un iniziale processo
di ‘privatizzazione’ degli spazi pubblici 272, ma che potrebbe, più significativamente, offrire un punto di riflessione,
si
vedrà,
anche
sui
caratteri
giuridico-gestionali della produzione nell’Urbe tra il V
e l’VIII secolo, in migliore consonanza con la fisionomia di un centro urbano garantito, nella tenuta, se non
degli apparati monumentali, dell’assetto giuridico degli
spazi, da una specifica normativa di salvaguardia 273. Tali
antichi edifici, per lo più configurati con macrovolu-
DB, contesto 284, indicatore 579. Cfr. anche ST. CLAIR 2003.
Sul tema delle produzioni vetrarie di lusso vanno richiamati
i numerosi e fondamentali contributi di L. Saguì (particolare SAGUÌ
1993, SAGUÌ 1997, SAGUÌ 2000, SAGUÌ 2002, SAGUÌ 2007, SAGUÌ
2009), ripresi dalla studiosa anche in questi atti.
266
PANELLA 2011, p. 68.
267
In tal senso già JONES 1964, pp. 671, 834-839 e CRACCO RUGGINI 1971, particolare pp. 147-148; PANELLA 2011, pp. 66-69 con
ulteriori spunti di approfondimento.
268
BELAMARIČ 2004, pp. 147-149; questo sulla base del riferimento, nella Notitia Dignitatum, ad un procurator Gynecii Iovensis Dalmatiae - Aspalatho, rispetto al quale assumono significato
migliore le attestazioni di un purpurarius e di un negotiator artis
purpurae in due iscrizioni di Salona (REINHOLD 1970, p. 54). Sull’afferenza di questa produzione a fabricae statali anche CRACCO
RUGGINI 1971, p. 163 con nota 205.
269
C.Just. 11, 12, 2; PANELLA 2011, p. 69.
270
D’ANNNOVILLE, FERRI 2014, pp. 243-245 e MOLINARI 2014,
pp. 264-265; per le domus nel Campo Marzio e nella VII regio augustea, comparti segnati però anche dalla prevalente presenza di edifici pubblici con fasi di IV secolo (SPERA 2014b), cfr. D’ALESSIO
2012, p. 525 e CAPANNA 2012, p. 487.
271
C. Palombi, supra, p. 000.
272
MANACORDA 2001, p. 42, MOLINARI 2014, p. 265. Si ricorda
che anche il caso di occupazione dello spazio del Diribitorium, nel
Campo Marzio centrale, con le strutture di una presunta domus (GUIDOBALDI 1986, pp. 175-181; a questa lo studioso riferisce la fistula
CIL XV, 7583: cfr. infra), non è unanimamente interpretato in tal
senso (MUZZIOLI 1995, particolare pp. 159-162; anche TORELLI 1995
attribuisce al complesso una funzione termale, mentre HÜLSEN 1910,
p. 43 pensava al monasterium iuxta thermas Agrippianas nominato
da Gregorio Magno (Epist. 6, 44 e 9, 138).
273
Che quello dell’abusivismo e della cessione a privati di spazi
pubblici debba essere ritenuto, almeno fino al VI-VII secolo, un fenomeno massimamente controllato si evince proprio dal noto rescritto
imperiale del 397 che vietava la costruzione di casae e tuguria in
Campo Martio (C.Th. 14, 14, 1); in età teodericiana alcuni permessi
sono esplicitamente concessi nell’ottica della preservazione degli
stessi monumenti pubblici: così al patricius Albinus, dell’amica e
potente famiglia dei Caecinae Decii, si permette di estendere il volume della propria domus sulla porticus curva del Foro di Nerva
(Variae 4, 30. Per l’identificazione soprattutto GUIDOBALDI 1995) e
a Paulinus, vir inlustris e patricius, di utilizzare per il proprio profitto antichi horrea che avevano perso la propria utilità (Variae 3,
29). Lo stesso Teoderico deve occuparsi di una contesa sul possesso
di una turris circi che risolve a favore dei figli di Volusianus, vir
magnificaus e patricius: Variae 4, 42. Su tali interventi FAUVINET
RANSON 2006, pp. 127-131, 346-348. Progressivamente tali tendenze
si configureranno con esiti massicci e capillari e il riuso degli edifici pubblici da parte di privati o delle istituzioni ecclesiastiche per queste, tuttavia, gli aspetti giuridici appaiono più complessi, poiché progressivamente non possono essere considerate entità assimilabili ai semplici privati - sembra diventare più marcato e esplicito
nei secoli successivi al VI-VII. Cfr. SANTANGELI VALENZANI 2007;
inoltre SPERA 2014a, p. 217.
264
265
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
metrie, in alcuni casi arrivano a riprofilarsi come organismi polindustriali su più o meno lunga durata, come
si evince dal caso della Basilica Hilariana 274, o pure
con serie di installazioni per diverse produzioni artigianali in sequenza temporale, ad esempio nell’emblematica situazione degli annessi del teatro di Balbo, sito
ad altissima incidenza di indicatori di produzione, talora logicamente avvantaggiata da un sistematico riciclo di materiali dai contesti preesistenti 275, in cui si
succedono un’officina vetraria della fine del V secolo
nell’esedra, un articolato complesso metallurgico in attività dal VI in uno degli ambienti orientali, l’operatività di ateliers di vario tipo che si evince dall’importante
scarico della fine del VII secolo, una calcara impiantata tra la fine dell’VIII e il IX secolo ancora nell’ampio emiciclo della crypta 276.
È significativo che i casi più precoci di riuso (i presunti laboratori di marmorari nello stadio di Domiziano 277, le officine per il vetro e il metallo in un
balneum che aveva ancor prima rioccupato una galleria del settore sud-est delle terme di Traiano 278), databili già nell’ambito del IV-V secolo, si individuino in
settori secondari e periferici di complessi monumentali
articolati, le cui funzioni originarie si prolungano contestualmente spesso con sicurezza nelle strutture principali, talora con supponibili soluzioni di riduzione delle
superfici destinate all’uso primario e accompagnando
la transizione di questi edifici verso forme di accentuata
parcellizzazione con riutilizzi polivalenti 279; tale continuità di uso in forma ‘ridotta’ e con parte degli spazi
accessori rioccupati per altre attività, appunto soprattutto artigianali, si può documentare e ipotizzare, nei
secoli finali della Tarda Antichità, anche per i più grandi
edifici di spettacolo, il Trigarium e il Circo Flaminio
Su questa si veda il contributo di Calabria et alii.
275
Tra le ville del suburbio, il complesso dei Quintili, su cui questo volume propone un approfondimento specifico, offre attestazioni
macroscopiche in tal senso (cfr. Paris et alii, infra). Per altri esempi
di istallazioni produttive in ville suburbane C. Palombi, supra, nota
67.
276
Ricci, Vendittelli in questi stessi atti.
277
Supra, pp. 000.
278
DB, contesto 111, indicatori, 274-275 (cfr. SCIORTINO, SEGALA
2010, pp. 252-253 e, per una lettura sulle forme variate di continuità e rioccupazione del complesso, SPERA 2015, pp. 63-65).
279
SPERA 2014a, pp. 218-220.
280
SPERA 2014b, pp. 000-000.
281
BRANDIZZI VITTUCCI 1988 e BRANDIZZI VITTUCCI 1991.
282
I ‘segni’ dell’uso polifunzionale del Colosseo sono riesaminati in SPERA 2015, pp. 63-65, cui si rimanda per i riferimenti di
documentazione e di approfondimento.
274
43
nel Campo Marzio occidentale 280, probabilmente il
Circo Massimo 281, l’Anfiteatro flavio 282.
Alcuni casi di intromissione di poli produttivi entro
apparati monumentali ancora in uso inducono pure a intuire che le attività di lavorazione possano talora essere
state richiamate da esigenze di diretta operatività in
situ, proprio, appunto, in relazione alla continuità funzionale; così, soprattutto i laboratori artigianali per la
lavorazione del piombo e del ferro e l’officina marmoraria nell’area dei rostri orientali del Foro Romano, ancora spazio celebrativo con sicurezza almeno fino ai
primi anni del VII secolo 283, ma anche, si può sospettare, la fornace metallurgica in una delle cd. tabernae
del foro di Cesare 284 potrebbero plausibilmente risultare significativi in relazione a interventi di riallestimento
documentati con sicurezza nei medesimi contesti e negli
stessi periodi, i decenni del V e del VI secolo 285, sottraendo in effetti a tali indicatori il ruolo univoco di parametri interpretativi ‘in negativo’, cioè di indizi certi
di processi di dismissione e abbandono.
Nel quadro complessivo dei markers della produzione individuati in ambito urbano e suburbano un ruolo
dominante sotto il profilo quantitativo (circa il 50% delle
attestazioni totali) e dell’ampia distribuzione territoriale, è rappresentato, si è visto, dagli indicatori connessi ai prodotti per l’edilizia 286, dai siti estrattivi di
materie prime (cave per tufo e pozzolana) 287 e dalle fosse
di spoliazione mirate al recupero di manufatti da riciclare 288 alle fornaci per la calce 289, agli addensamenti
di materiali lapidei sia collegabili alle stesse attività di
calcinazione 290, ma anche, in diversi casi meglio leggibili, come depositi di pezzi per la rilavorazione e il
reimpiego 291, infine alle tracce in situ della diretta ope283
GIULIANI, VERDUCHI 1987, pp. 145, 163-166, 187 (DB, contesto 47, indicatore 93; contesto 48, indicatori 94-95). E’ ben noto
che la continuità è garantita da una serie consistente di dati, minuziosamente evidenziati da BAUER 1996, pp. 6-79, 397-408, almeno
fino alla dedicazione di una preesistente colonna onoraria all’imperatore Foca nel 608 (COATES-STEPHENS 2011, particolare pp. 397401).
284
Per gli ultimi interventi monumentali particolare MENEGHINI
2010 (cfr. anche le note dello studioso in questo volume).
285
Essenzialmente BAUER 1996, pp. 81-86, 408.
286
C. Palombi, supra, p. 000 e perciò a queste sono dedicati gli
approfondimenti specifici di Riccardo Santangeli Valenzani e di Daniela Esposito nei presenti atti.
287
C. Palombi, supra, p. 000.
288
C. Palombi, supra, p. 000.
289
C. Palombi, supra, p. 000.
290
C. Palombi, supra, p. 000.
291
C. Palombi, supra, p. 000.
44
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
ratività di cantieri da costruzione (accumuli di materiali
selezionati, bacini di miscelazione della malta) 292 e di
smontaggio 293. Attraverso la documentazione disponibile emergono, per tutti i secoli considerati, singoli
aspetti di un’operatività complessa, circuiti articolati di
produzione che investono diffusamente e razionalmente
gli spazi della città con insediamenti per il migliore sfrut-
tamento delle risorse disponibili, poli di lavorazione e
poli di esecuzione significativamente dislocati. Molte
di queste attività produttive passano attraverso programmi mirati e regolamentati di smantellamento dell’esistente e, benché modalità di raccolta e
ridistribuzione del materiale edilizio di reimpiego siano
ancora da focalizzare compiutamente, soprattutto per le
procedure giuridico-organizzative, è però ormai ben
chiaro che si tratta di operazioni per lo più ‘centralizzate’, pur negli intuibili passaggi di gestione e sottocoordinamento connessi alle dinamiche socio-istituzionali
ben note sulla lunga diacronia in esame 294.
La ricerca sistematica degli indicatori archeologici
ha confermato la formazione di aree con più marcato
accentramento di pezzi da deposito o per rilavorazione,
talora segnati anche da una particolare mobilità topografica rispetto ai luoghi di originaria collocazione, formazione visibilmente favorita dalla migliore
accessibilità stradale e fluviale e dalla naturale, più accentuata disponibilità di risorse in situ per il carattere
più marcatamente monumentale di alcune zone (fig. 26
e tav. 00) 295. Nell’ambito di questi significati non stupisce l’attestazione di numerose officine marmorarie nel
Campo Marzio anche nella Tarda Antichità e nel Medioevo 296, le quali dovevano attrarre materiali consistenti
pure dal resto della città e dal suburbio, considerando
come caso esplicitamente emblematico la lastra con
l’epigrafe damasiana in onore di Felicissimo e Agapito,
sicuramente messa in opera sul sepolcro dei due martiri nel cimitero di Pretestato sulla via Appia e recuperata, dopo essere stata in parte utilizzata come base di
taglio per altri marmi (fig. 27), dal pavimento della
chiesa di S. Nicola de Calcarariis 297. In tale comparto
292
C. Palombi, supra, pp. 000. Per il caso di S. Paolo fuori le
mura, con tracce consistenti di diversi cantieri dall’VIII al XV secolo, SPERA, ESPOSITO, GIORGI 2011.
293
C. Palombi, supra, p. 000.
L’individuazione delle tracce di veri e propri cantieri di smontaggio, che dovettero interessare, in alcuni periodi, interi monumenti
o parti di essi, per il recupero ‘industriale’ di materiali, attende ancora di essere sistematizzata con ricerca che ne sappia stabilire indicatori univoci (ad esempio indizi di impalcature, asportazione su
larga scala di cortine e altri segni di simile significato). Per alcune
riflessioni BARKER 2010; il caso esemplare della via Flaminia ben
valorizzato da D’AMELIO, ESPOSITO 2012. Infra, per la porticus Minucia frumentaria.
294
Queste sono questioni complesse su cui risultano ancora necessari alcuni approfondimenti mirati, soprattutto, si ritiene, attraverso una minuziosa analisi delle fonti scritte e la valorizzazione di
alcuni contesti significativi. Fondamentali in tal senso le ricerche di
Patrizio Pensabene, di recente confluite nel volume PENSABENE
2015. Si tratta ovviamente di fenomeni da leggere attraverso le categorie interpretative che ruotano intorno al concetto di «degrado
urbano controllato» introdotto nel dibattito più recente sulle città
(DELOGU 2000).
295
La semplice osservazione della mappa permette di evidenziare
concentrazioni significativi: utile, in questo senso, la mappa di riferimento del DB.
296
Per le officine marmorarie nel Campo Marzio nei secoli precedenti C. Panella e F. Coarelli in questi atti, ma anche MAISCHBERGER 1997, particolare pp. 95-156 e PENTIRICCI 2009, pp.
55-62 (nel quadro generale D’ALESSIO 2012, p. 520). Molti addensamenti di marmi, in gran numero segnalati da Lanciani (LANCIANI
1891, pp. 23-36; FUR, tavv. 14, 15, 21; LANCIANI 1922, pp. 10-11),
non sono facilmente decodificabili in senso cronologico (cfr. in generale la nota di LANCIANI 1922, p. 7). Come connotazione del quartiere soprattutto dal V secolo anche D’ALESSIO 2012, p. 525.
297
LANCIANI 1989-2002, I, p. 33, MARCHETTI LONGHI 1919; vd.
SANTANGELI VALENZANI 1994 e PANI ERMINI 1998, pp. 48-49. Per
mettere a punto alcune linee di inquadramento del fenomeno della
mobilità dei materiali, soprattutto marmorei, verso centri di aggregazione e nuove rilocazioni in opera, in generale l’intero repertorio
delle epigrafi damasiane, come è ovvio di sicura afferenza cimite-
Fig. 26. - Mappa con dislocazione degli indicatori relativi alla produzione del marmo (officine, scaglie etc.) nei secoli V-XV.
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
45
Fig. 27. - La lastra con iscrizione damasiana in onore di Felicissimo e Agapito con tracce d riutilizzo come base di taglio (foto PCAS).
si possono anzi raccogliere indicatori interessanti di
continuità effettiva nell’operatività di officine di un
certo livello. Nell’area della Chiesa Nuova, dove anche
lo scavo recente per la metro C ha documentato il riutilizzo di un edificio preesistente, forse una domus, per
l’impianto di un laboratorio per marmo e metallo 298, il
ritrovamento, nel 1938, di un capitello ionico di fattura
compiuta, che apparve «non essere stato mai messo in
opera», realizzato da un blocco di marmo lunense di spoglio e destinato più probabilmente, per la presenza di
cristogrammi, ad un edificio religioso 299, può essere la
prova che, ancora tra fine IV e i primi decenni del V
secolo, in una delle presumibili officine campensi si realizzavano manufatti fino alle fasi di rifinitura, da inquadrare nell’ambito di una certa persistenza della
produzione locale, sia pur segnata da «testimonianze più
ingenue o piuttosto impoverite rispetto alla tradizione
classica» 300; a botteghe dello stesso tipo dovevano poi
essere anche destinati analoghi prodotti architettonici importati in stato di semilavorazione, quali erano, ad esempio, per rimanere entro il medesimo frangente
temporale, i capitelli in marmo proconnesio scoperti
nello scalo marmorario di Porto 301. Simili operatività
sono state documentate entro lo spazio della Porticus
riale e santuariale, può offrire dati sicuri e indicazioni di un certo
interesse. Tra le circa settantasei epigrafi del corpus di Antonio Ferrua, molte note solo dalle trascrizioni nelle sillogi, di cui fanno parte
anche esemplari di impropria attribuzione al papa del IV secolo (FERRUA 1942), alcune vennero scoperte fuori contesto e per queste spesso
il luogo di ritrovamento risulta significativo per le riflessioni in corso:
dall’area del Foro Romano, la cui centralità inoltrata si traduce in
un’importante incidenza di cantieri sulla lunga durata (per le calcare R. Santangeli Valenzani in questa sede), vennero recuperate un
frammento dell’epigrafe a Irene, la sorella di Damaso (FERRUA 1942,
n. 11, pp. 107-111 = ICUR IV, 12417), e un’iscrizione (FERRUA 1942,
n. 13, pp. 114-116; dalla chiesa dei SS. Giovanni e Paolo?), in parte
reimpiegata nel pavimento della chiesa dei SS. Cosma e Damiano.
Lo stesso destino accomuna diverse lastre incise con le nobili iscrizioni per lo più filocaliane: oltre a quella già ricordata di Felicissimo e Agapito (un ulteriore frammento da Pretestato, FERRUA 1942,
n 26a, pp. 156-157 lastricava «un giardino dentro Roma» ai tempi
di de Rossi), dal pavimento di S. Martino ai Monti vennero recuperate le epigrafi FERRUA 1942, n. 18,2, pp. 134-136 (di dubbia attribuzione, per semplice suggestione da Callisto; su cui anche SPERA
1994, pp. 124-125), n. 32, pp. 165-166 ( = ICUR VI, 16962; Gorgonio), n. 51, pp. 201-205 (Proietta), dal pavimento della basilica
lateranense, tagliata a configurare pezzi per un intarsio (fig. 28), l’epigrafe dedicatoria a Ippolito, martire della via Tiburtina (FERRUA 1942,
n. 35, pp. 169-173 = ICUR VIII, 19932). Pure per motivi di riuso
o, non si può escludere, accompagnando spostamenti di reliquie,
erano nel complesso dei Quattro Coronati un resto della lastra per
Marcellino e Pietro (FERRUA 1942, n. 28, pp. 160-162 = ICUR VI,
16961) e il manufatto FERRUA 1942, n. 52, pp. 205-206 e a S. Gregorio al Celio l’epigrafe FERRUA 1942, p. 67a, pp. 239-242. Un caso
di riuso in situ dal complesso di S. Valentino, dove un resto dell’iscrizione damasiana FERRUA 1942, n. 49a, pp. 197-198 era reimpiegata nelle murature della schola canthorum.
298
FILIPPI 2010, pp. 69-71; FILIPPI 2013, pp. 139-140 (D’ALESSIO 2012, p. 525, IX, 1703). Anche nell’area di Montecitorio, carotaggi recenti per un parcheggio sotterraneo hanno confermato
stratigrafie già documentate negli anni Ottanta con battuti ricchi di
schegge di marmi associate a materiali datanti di fine IV-V secolo
e quindi la presenza di attività marmorarie (DB, contesto 285, indicatore 580, ma anche C. Palombi, supra, p. 000); su queste precedentemente FUR, tav. 15, da scavi Lais 1860).
299
COLINI 1938b; HERRMANN 1988, pp. 126-127; PENSABENE
1995, p. 206; PENSABENE 2000, p. 348; nelle più recenti rivisitazioni
del pezzo P. Pensabene preferisce un’attribuzione alla monumentalizzazione tardoimperiale dei percorsi verso ponte Elio, le porticus
maximae (PENSABENE 2008, p. 71; PENSABENE 2015, p. 175).
300
PENSABENE 2013b, p. 139.
301
Questi marmi, tuttavia, come si sa, potevano anche essere messi
in opera non rifiniti, come in alcuni casi a S. Paolo fuori le mura e
a S. Maria Maggiore (BRANDENBURG 2009; PENSABENE 2013b, p.
138).
46
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
Minucia frumentaria in corso di destrutturazione 302, per la presenza di
cataste ordinate di materiali, soprattutto marmi, realizzate prima
del crollo del tempio, dei quali si è
supposta la provenienza sia da edifici diversi, anche prossimi come il
Divorum, sia dallo stesso monumento 303, sottoposto forse ad uno
smontaggio sistematico 304. Proprio
a questo complesso potrebbe tra
l’altro afferire una grande lastra in
travertino scoperta nella seconda
metà dell’Ottocento su via delle
Botteghe Oscure, di cui già il de
Rossi, prima degli scavi, sospettò
l’attribuzione al sito di ritrovamento a causa delle notevoli pro- Fig. 28. - Resti marmorei dell’iscrizione damasiana al martire Ippolito in sagome per intarsio
porzioni del manufatto 305, e che ben (da Ferrua 1942).
si lega in effetti all’ultima pavimentazione dell’area documentata
si deducono meglio, per la Tarda Antichità, in attesa di
a più riprese 306; essa mostra un’iscrizione lungo il bordo
una ricerca mirata ed esaustiva, dalle fonti letterarie e
con una formulazione interessante di probatio scriptuepigrafiche. Per le prime basti ricordare il noto passo
rae, in caratteri giudicati databili negli anni tra la fine
delle Variae di Cassiodoro che attesta l’esistenza di un
del V e l’inizio del VI secolo, che affiancava ad una
deposito di marmi nella domus Pinciana, ovviamente
successione alfabetica la trascrizione dell’epigrafe suldalla spoliazione di parti della stessa e delle prestigiose
l’arco di Tito, ovvia attestazione dell’operatività di un
307
proprietà contigue (marmora, quae de domo Pinciana
lapicida .
constat esse deposita), di cui Teoderico poteva disporre
Testimonianze dirette sugli apparati organizzativi e
il trasferimento a Ravenna (ad Ravennatem urbem vesulle procedure di immagazzinamento e ridistribuzione
MANACORDA 1985, pp. 545-547.
MANACORDA, ZANINI 1997, p. 274 con n. 114.
304
L’ipotesi (in SPERA 2014b, p. 000) è stata avanzata, considerando la precoce asportazione dei travertini dal piano pavimentale
e valutando anche la possibilità che le tracce di fori per una struttura lignea nelle lastre pavimentali, probabilmente un ponteggio, a
ridosso del colonnato del tempio (MANACORDA, ZANINI 1997, pp.
256, 261-262), possano essere giudicati riconducibili ad una operazione di smontaggio.
305
DE ROSSI 1881. Per informazioni sul ritrovamento anche FIORELLI 1877.
306
COLINI 1938a; MANACORDA, ZANINI 1997, pp. 253-257.
307
CIL VI, 29849; sul lato, pure di particolare interesse, si legge
il lemma Ro-(tra due simboli) ma capus (sic!) mundi. L’iscrizione
originale sull’arco di Tito è la CIL VI, 945. La cronologia è suggerita da CARLETTI 2002, p. 362 e fig. 8, diversamente da DE ROSSI
1881, che propone una datazione al VI-VII secolo. Vd. anche MANACORDA 1993, p. 40. In un altro settore del portico, «un grande riporto di cocciami e laterizi, probabilmente databile intorno al V
secolo» (MANACORDA, ZANINI 1997, p. 257), si presta forse ad essere letto in relazione ad un impianto per la triturazione dei materiali destinati al cocciopesto (ciò anche sulla base di un’osservazione
verbale di Enrico Zanini nell’intervento alla Giornata di Studio Officine in Urbe. Produzione metallurgica a Roma tra tardoantico e
302
303
altomedieovo (Chieti, 13 dicembre 2010); vd. anche DB, contesto
274, indicatore 556 e C. Palombi, supra, p. 000. Analoghi grossi
depositi di materiale ceramico erano tra l’altro documentati anche
al centro della Crypta Balbi (MANACORDA, ZANINI 1989, pp. 29-30;
MANACORDA 1993, pp. 35-38). Non vi sono tracce incontrovertibili,
invece, che una qualche continuità come quartiere a prevalente vocazione artigianale segni anche, almeno fino alla supponibile disurbanizzazione, l’area del Testaccio (MENEGHINI, SANTANGELI
VALENZANI 2004, p. 127; la formazione precoce del disabitato in questa area urbana si deduce anche dalla scarsissima presenza di tracce
insediative fino al basso Medioevo, soprattutto, di chiese, generalmente correlate all’abitato - SPERA 2011a, pp. 331-335. Per la distribuzione delle officine marmorarie nei secoli dell’età imperiale
MAISCHBERGER 1997, pp. 61-93): l’interessante assetto archeologico
post-antico descritto dal Lanciani per la porticus Aemilia, che ne
evidenziava, «dopo l’abbandono ufficiale di quei vastissimi porticati», la rioccupazione da parte di «una colonia di scalpellini [...]
per lavorare i marmi abbandonati lungo la sponda di Marmorata [...],
industrie esercitate negli ultimi anni dell’impero e fors’anche nel
medioevo incipiente» (LANCIANI 1891, p. 25), è infatti rivisitato criticamente da MAISCHBERGER 1997, pp. 84-86, in una riconsiderazione generale dell’ipotesi dello studioso dell’Ottocento
sull’operatività di botteghe cosmatesche. Per una struttura abitativa
trasformata nell’officina di un lapicida nell’area del mattatoio DB,
contesto 25, indicatori n 47-48; contesto 26, indicatore 49.
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
47
stra ordinatione dirigentem) 308. Se sulla presenza di magazzini, non solo di marmi di importazione, rifiniti o di
fattura incompleta 309, ma anche di materiali reciclabili
esito di spoliazioni programmate e radicali, non possono
sussistere dubbi ed essi vanno plausibilmente immaginati presso i nuovi cantieri o, per i primi, presso i luoghi di arrivo e di rilavorazione e, per gli ultimi, entro
o vicino gli stessi contesti di spoliazione, ad un tempo
va pure ribadita la difficoltà a leggere la gran parte dei
ritrovamenti di accumuli significativi di marmi sia in
senso cronologico 310, sia per eventuali afferenze a siti
di estrazione o destinazione.
È poi prezioso il piccolo gruppo di iscrizioni tardoimperiali di ambito urbano che sembrerebbero connesse a funzionari in qualche modo operanti in attività
di spoglio di edifici pubblici: alle due ben note, già valorizzate in tal senso a più riprese, quella del vir spec-
tabilis Gerontius dal Colosseo, probabilmente il senatore nato nel 467 e morto nel 523 a Ravenna 311, e quella,
in effetti molto problematica, del Decius attestato sul
letto di attesa di un rocchio di colonna scanalata dal Foro
di Augusto, nel quale si è proposto di riconoscere uno
dei prestigiosi esponenti della gens dei Caecinae Decii
vissuti tra la fine del V secolo e gli inizi del successivo,
preferibilmente entro l’età teodericiana 312, si può affiancare, per analogia di scrittura, il graffito sul resto di
un cornicione in marmo scoperto nel 1894 presso ponte
Milvio, in un sito con cumuli di marmi evidentemente
raccolti dall’area della via Flaminia e almeno in parte
forse pronti per il trasbordo sul fiume 313: in questo si
legge Probi v(iri) c(larissimi) 314, ancora un nome al genitivo con specificazione di rango, e può distinguersi il
disegno di uno strumento di lavorazione segnato dalle
Variae 3, 10; cfr. FAUVINET RANSON 2006, pp. 97-100, 249. A
Ravenna, peraltro, nello stesso periodo dovevano essere operativi
marmorari provenienti dall’Urbe (MARANO 2015, particolare pp. 998999).
309
Su questi in particolare PENSABENE 2000; PENSABENE 2013b,
pp. 138-141.
310
PENSABENE 2007, pp. 428-430 isola le situazioni ostiensi meglio codificabili e riferibili alla Tarda Antichità (di notevole interesse il magazzino sul decumano delle terme di Nettuno ritrovato
dal Vaglieri sotto il crollo della volta dell’ambiente riutilizzato per
tale uso: VAGLIERI 1909, pp. 84-85), ma evidenzia alcune questioni
di metodo e interpretative e la possibilità ricorrente di attribuzione
anche al Medioevo o all’età moderna, in cui la pratica di accatastare materiali meno significativi recuperati durante le indagini archeologiche è pure generalizzata.
311
PANI, REA 1995; PANI, REA 2002. Poiché l’epigrafe è ormai
molto nota e riconsiderata a più riprese, dopo essere stata rintracciata e valorizzata nel 1979, per ulteriore bibliografia si rimanda
alla trattazione esauriente di ORLANDI 2004, pp. 532-534, per le problematiche correlate e l’apparato critico di riferimento. Le evidenze
di un’attività di spoliazione in corso nell’anfiteatro tra VI e VII secolo sono anche costituite da accumuli di materiale (DB, contesto
94, indicatori 223-226).
312
R. Meneghini in MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 1996,
pp. 78-81 e idem, in MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004, pp.
71, 179-180 per l’elaborazione delle diverse proposte. Alcune considerazioni aggiuntive in rapporto a questa epigrafe meritano però
di essere annotate, soprattutto per la grande valenza attribuitagli per
definire la fase di iniziale spoliazione del Foro di Augusto (R. Meneghini in MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004, particolare p.
180). Raccolgo intanto, da alcune osservazioni di Vincenzo Fiocchi
Nicolai, il prezioso suggerimento che lo scioglimento del lemma
epigrafico come patr(ici) Deci possa essere inappropriato per l’anomala anticipazione nella scrittura della carica pat(ricius) al nome e
si presti piuttosto ad essere inteso come un nominativo reggente la
forma nominale al genitivo, pat(rimonium) Deci o, preferibilmente,
per l’attestazione della abbreviatura (ad esempio CIL II, 2211 del
348), pat(ronatus) Deci. In tal caso, è ovvio, il riferimento alla carica perde il suo valore indicativo in senso cronologico e resta la
più generica afferenza alla gens dei (Caecinae?) Decii (PLRE II,
stemma 26), generalmente documentata ben prima del V secolo (cfr.,
ad esempio, CIL II, 4756; X, 5393). Va pure rilevato che l’utilizzo
del letto di attesa del rocchio per l’iscrizione non è inequivocabilmente associabile ad una operazione spoliativa, poiché, è ben noto,
scritte analoghe su superfici di marmi architettonici che non sarebbero state visibili dopo il montaggio sono soprattutto con certezza
pertinenti alle fasi di lavorazione e destinazione primaria dei manufatti, come per i molti esemplari negli edifici severiani di Leptis
Magna, tanto per richiamare un caso (WARD PERKINS 1951, figg. 78; per una semplice visualizzazione di altri esempi PARIBENI 2004,
figg. 366, 419). Il significato attribuito all’epigrafe del presunto patricius Decius di età teodericiana è l’esito di una procedura tanto
più ‘pericolosa’, perché anticipa notevolmente l’iniziale destrutturazione del Foro di Augusto, in disaccordo sia con una serie di dati
più certi, che la fanno slittare almeno alle soglie dell’alto Medioevo
(il reimpiego di una lastra marmorea con un elogium di sicura pertinenza al foro da un restauro del tetto del Pantheon-S. Maria ad
martyres, restauro attribuito ipoteticamente all’intervento di Gregorio
III - LP, I, p. 275; LANCIANI 1881b, p. 283 -; l’impianto del monastero di S. Basilio sul podio del tempio di Marte Ultore tra IX e X
secolo: cfr. lo stesso R. Meneghini, in MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004, p. 179), sia con le prevalenti tendenze, pur con alcune eccezioni, ad una conservazione degli apparati monumentali
nelle aree forensi (ancora MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004,
pp. 175-188; MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007). Peraltro,
va pure evidenziato, i caratteri paleografici, con l’uso esclusivo
delle maiuscole, non appaiono indicativi in senso cronologico e anche
la forma della A con traversa spezzata è piuttosto diffusa ben prima
dell’età tardoantica (non così R. Meneghini in MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 1996, p. 78 e in MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004, p. 179), come, ad esempio, su una lucerna di età
repubblicana da Canosa (V. Morizio, in CHELOTTI, MORIZIO, SILVESTRINI 1990, p. 71).
313
GATTI 1894, da cui PALOMBI 2008-2010, pp. 81-82; diversi
blocchi, si ricorda, vennero ritenuti pertinenti allo smontaggio di un
ponte: cfr. anche la scheda del contesto DB, contesto 215, indicatore 468. Sulla mobilità fluviale per questo tipo di carichi interessante il ritrovamento del relitto ritenuto medievale, su cui vd. ROGGIO
2012, p. 270 con dati di ritrovamento e bibliografia di riferimento.
314
Potrebbe trattarsi, con migliori probabilità, sia del pretore organizzatore di ludi nel 424/425 (forse Anicius Probus; PLRE, II,
Probus 2 e Anicius Probus 7, pp. 910, 911), sia dell’omonimo personaggio, vissuto sempre nel V secolo (prima o seconda metà), titolare anche di un locum nell’anfiteatro flavio (PLRE, II, Memmius
Aemilius Probus 6, p. 911; ORLANDI 2004, n. 134, pp. 504-505).
308
48
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
Fig. 29. - Apografo dell’iscrizione di Probus vir clarissimus (da Gatti
1894).
Fig. 30. - Apografo dell’iscrizione di Uranius tribunus et notarius
(da Fiorelli 1886).
lettere SC, da sciogliere forse, si propone, come s(ub)
c(ura) (fig. 29) 315.
Difficilmente ascrivibili, invece, alle notae lapicidinarum eseguite nella fase di smontaggio e ridistribuzione del materiale risultano essere sia la scritta Rufeno,
che ricorre su due fusti di colonne, rispettivamente a S.
Sabina e a S. Maria Maggiore, ritenuta l’indicazione del
nome del «mercante intermediario» nelle procedure di
reimpiego 316, sia l’epigrafe Urani trib(uni) et not(arii)
ripetuta su quattro blocchi di pavonazzetto, scoperti nel
1886 nell’area del Quirinale durante i lavori di costruzione del palazzo della Banca d’Italia 317 e con grande
probabilità afferenti, nelle condizioni di ritrovamento,
ad un’officina marmoraria – che Lanciani ritenne medievale –, reinsediata in ambienti preesistenti, prossima
alle terme di Costantino e per logica favorita soprattutto
dalle risorse di tale ricco contesto 318; il deposito di
marmi risultò infatti costituito da pezzi «evidentemente
spoglio di antiche fabbriche già cadute in rovina [...],
fusti di colonne di giallo e di africano, blocchi di caristio e di travertino, i quali mostrano fino a tre o quattro colpi di sega» 319. Il riesame della quadruplice
iscrizione, che al primo editore, per le lettere «rozzissime», sembrò «a quanto pare del settimo o ottavo secolo dell’éra nostra» 320, finora sfuggita all’attenzione
degli studiosi nella sua completezza 321, suggerisce tuttavia di non considerarla in connessione con una qualche attività spoliativa gestita dal funzionario della
burocrazia palatina 322, ma piuttosto di riconoscere nell’incisione un marchio dei marmorari eseguito in cava
315
La formula sub cura è attestata in diverse sigle di cava e di
cantiere (BRUZZA 1870, nn. 258-259; FANT 1989, p. 30; PENSABENE
2013b, pp. 368-369); ricorre notoriamente sulle fistulae in relazione
alla sovraintendenza dei lavori e su epigrafi CIL VI, 9255, 31369,
31370, 33338.
316
BRENK 2002, pp. 1010-1011 con fig. 5, p. 1012; BRANDENBURG 2004, p. 172; PENSABENE 2013a, p. 716.
317
La nota del ritrovamento in FIORELLI 1886; le dimensioni dei
blocchi sono fornite dallo stesso studioso: a) m 1,40 x 0,60 x 0,25;
b) m 3,10 x 0,85 x 0,32; c) m 1,94 x 0,60; d) m 1,50 x 0,65 x 0,25.
Cfr. DB, contesto 8, indicatore 15.
318
LANCIANI 1886, p. 191 per l’officina (sulla quale anche LANCIANI 1989-2002, I, p. 20). Sull’attribuzione al Medioevo anche GATTI
1887, p. 18, che ritiene però in qualche senso datanti le iscrizioni
ben più antiche riferite infra alla nota 000. Per altri ritrovamenti di
marmi pregiati dalle alture di Monte Cavallo (questa si individua
chiaramente nella pianta di Bufalini), deducibili da una memoria
del Vacca (49) valorizzata da Lanciani (un Apollo alato, teste di Pan
e una Cibele (?) turrita su due leoni) LANCIANI 1886, p. 186; a p.
189 lo studioso descrive anche il recupero di una statua di Antinoo,
che ritiene di provenienza suburbana, forse, per l’associazione con
un’iscrizione, dalla villa di L. Funius Vettonianus, all’VIII miglio
della via Nomentana (QUILICI, QUILICI GIGLI 1993, sito 219, p. 234).
LANCIANI 1886, p. 191; su un resto di fusto in giallo antico
lo studioso ricorda incisioni beneauguranti, Maximina / Zenuaria /
[—-]ustus /utere e salis /arci con vivas entro una piccola tabula ansata. Una descrizione analoga in FIORELLI 1886, p. 361: «vari frammenti marmorei di ornato architettonico, cioè capitelli, colonne
scanalate, architravi, cornici di elegante disegno e di non spregevole lavoro».
320
FIORELLI 1886, p. 361, come poi GATTI 1887, p. 18 e LANCIANI 1989-2002, I, p. 20.
321
Dopo FIORELLI 1886, pp. 361-363, vi fanno riferimento LANCIANI 1989-2002, I, p. 20; DE ROSSI 1886, p. 32; GATTI 1887, p. 18,
n. 1703; HÜLSEN, CECCHELLI, GIOVANNONI et alii 1924, pp. 58-59;
ORLANDI 2004, p. 534.
322
ORLANDI 2004, p. 534 inserisce l’epigrafe di Uranius tra le
«iscrizioni incise o dipinte su elementi marmorei di spoglio derivanti dalla distruzione di edifici antichi e costituite in genere da nomi
di personaggi di condizione sociale elevata – in nominativo e in genitivo con o senza titoli di rango – che evidentemente potevano annoverare tra le fonti della loro ricchezza anche lo sfruttamento di
questo tipo di materiali». Per la carica di tribunus et notarius cfr.
JONES 1974, pp. 772, 799-802; TEITLER 1985, pp. 59-64 e Notarii,
in BOWERSOCK, BROWN, GRABAR 1999, pp. 611-612.
319
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
49
o in un centro di stoccaggio e smistamento 323. Dagli
apografi pubblicati dal Fiorelli (fig. 30) 324 si deduce che
le quattro scritte presentavano alcune difformità, caratterizzandosi, tre di queste, per l’associazione di alcune
lettere greche 325, introdotte da un π sormontato da un
piccolo ο, in posizione differenziata rispetto al nome (rispettivamente alla fine, all’inizio e nella parte superiore);
non vi è dubbio che si tratti della specificazione di valori dimensionali, precisati in piedi con l’abbreviazione
πό(δες) 32, e che dunque in a) debba evincersi il valore
di 5 (ε) con ½ e con ¼ [πό(δες) εLḍ]; in c) quello di 10
con 5, cioè 15 piedi [πό(δες) ιε]; in d) quello di 8 (η)
con ½ [πό(δες) ηL] 32. L’indicazione delle lunghezze o
del peso espresso in piedi cubici 328 sui marmi parrebbe
richiamare sia la pratica, piuttosto diffusa, di preordinare il materiale prodotto con indicazioni per il montaggio destinate al cantiere 329, sia, più probabilmente
nel caso in questione, la necessità di contrassegnare i
pezzi sottoposti a controllo di qualità nella fase di produzione o di distribuzione, anche a scopo fiscale 330. In
tale direzione il ruolo svolto da Uranius, nel quale si è
proposto di riconoscere il funzionario cui nel 339 veniva destinato un provvedimento fiscale straordinario
per urgenze indotte da circostanze belliche 331, non deve
essere stato tanto quello di destinatario dei manufatti
per un qualche edificio privato 332, quanto quello di sovraintendente di tali procedure di controllo, attività che
doveva essere in qualche modo legata alle sue funzioni
di tribunus et notarius 333.
Alcune questioni giuridico-gestionali degli impianti
di produzione si possono valutare anche guardando alla
distribuzione spaziale degli indicatori e considerando in
relazione a questi il ruolo degli edifici riutilizzati, gli
stessi caratteri della produzione, situazioni di immediata
contiguità con insediamenti che potrebbero aver assunto una funzione di promozione e controllo delle attività produttive. Ad esempio – richiamando la casistica
di impatto più immediato –, il parametro della vicinanza
topografica può risultare valevole per il significato da
attribuire ad alcune fornaci di calce ad uso limitato e,
SPERA in c.s.
324
Non è stata infatti possibile la verifica diretta sui reperti, con
probabilità conservati proprio nell’edificio della Banca di Italia su
via Nazionale, ma forse, durante i lavori, rilavorati per i nuovi arredi marmorei del palazzo Koch (SPERA in c.s.).
325
Tra tutti gli studiosi già ricordati che posero attenzione ai reperti in questione, solo GATTI 1887, p. 18 fa cenno a ulteriori segni
grafici, ritenendoli tuttavia «sigle d’incerta lettura». Infatti la grossolanità e la rapidità dell’incisione anche nella parte in greco determina una corsivizzazione marcata dei caratteri che li rende
leggibili con una certa difficoltà: devo un grande aiuto, per la possibilità di elaborare una lettura convincente di tali segni, ai colleghi Denis Feissel, Jean-Luc Fournet e Jean-Pierre Sodini.
326
Per l’uso della specificazione dei piedi, non troppo corrente,
ma attestata con sicurezza su alcuni marmi BRUZZA 1870, p. 115;
inoltre PENSABENE 1995, pp. 193-194, 323. Per un esempio si richiamano alcuni blocchi di un monumento colonnato di Beyrouth
(SEYRIG 1949 ripreso da INGLESE 2014, p. 229).
327
Tali note mensurali non vanno disgiunte, si ritiene, dall’elemento nominale di Uranius, benché, è ovvio, solo un’analisi diretta
delle incisioni, finora resa impossibile dall’irreperibilità dei manufatti, possa assicurare, mediante la verifica dell’esecuzione dei tratti
e degli allineamenti, la contestualità delle scritte latine con i marchi in lettere greche: in effetti in almeno due casi (a e d) queste ultime assecondano la disposizione orizzontale delle altre, con le
quali, appunto, si può ragionevolmente supporre siano coerenti. Un
simile abbinamento (iscrizione latina con lettere greche indicanti i
piedi) è stato riconosciuto su un fusto di pavonazzetto dalla villa di
Carranque (Spagna), che recherebbe la sigla [D(omini)] N(ostri)
T(heodosi) e una plausibile indicazione di misura (ΠΥ): MAYER
OLIVÉ, FERNANDEZ-GALIANO RUIZ 2001, pp. 130-13, n. 10; l’alto
valore del numerale attribuito dagli editori nella lettura (πυ = 400
piedi) ha fatto supporre che non si tratti di un riferimento ad un unico
pezzo, ma all’intero carico. Dalla foto che accompagna la descrizione si deduce in effetti che nel nesso ΠΥ potrebbe anche riconoscersi quella che L. Bruzza descrive come «la nota numerale propria
dei Corciresi» e trattarsi dunque di πγ, cioè di 3 piedi (BRUZZA 1870,
p. 189 n. 234, con ulteriori richiami).
32
Ipotesi che risulta essere in effetti la più probabile (si ricordi
peraltro la casistica nell’Edictum de praetiis di Diocleziano – pp.
276-279; 2, 5-14 – con il valore monetale dei marmi per ogni pes,
quasi certamente il piede cubico: BARRESI 2002, p. 73). SPERA in
c.s. per alcune verifiche mensurali effettuate con l’aiuto di Patrizio
Pensabene e Paolo Barresi.
329
Sui ‘marchi di montaggio e di assemblaggio’ si veda soprattutto la recente disamina di MARSILI 2014a, che considera un ricco
repertorio di attestazioni per tutta l’età imperiale e oltre il VI secolo; anche l’indagine proposta per S. Sofia di Costantinopoli da
PARIBENI 2004 è utile per argomentazioni classificative e per l’interesse degli esempi correlati. A questi studi si rimanda per l’inquadramento generale e per la consistente documentazione sul
complesso tema dei marchi dei marmorari.
330
Un’idea suggeritami da J.-P. Sodini. Dopo BRUZZA 1870,
nella vasta bibliografia sui sistemi di siglatura dei marmi nel mondo
romano e i significati nella ricostruzione degli apparati amministrativi
di produzione e distribuzione HERRMANN 1988, FANT 1992, FANT
1993, PENSABENE 1997, PENSABENE 1998, PENSABENE 2001, PENSABENE 2002, CUVIGNY 2005, SERAFINO 2009, PENSABENE 2013b,
pp. 197-227 e PENSABENE 2014; il contributo complessivo di J.B.
Ward Perkins in DODGE, WARD PERKINS 1992. Per i problemi specifici relativi alle cave di Docimium PENSABENE 2010, con bibliografia complessiva, e PENSABENE 2013b, pp. 360-387. Per l’età
tardoantica soprattutto DEICHMANN 1976, pp. 206-230, SODINI 1987,
pp. 503-518, BARSANTI 1989, pp. 215-220, PARIBENI 2010 e MARSILI 2014a (in particolare, questo ampio studio, sulla produzione del
proconnesio).
331
C.Th.11, 1, 5. Il personaggio venne ritenuto dal de Rossi un
esponente vissuto nel IV secolo del gruppo famigliare presunto titolare del mausoleo di S. Sebastiano (DE ROSSI 1886; recentemente
NIEDDU 2009, pp. 153-156) e attribuito invece nella Prosopography
of the Later Roman Empire alla burocrazia di palazzo operante in
Occidente tra il V e il VI secolo (PLRE, II, Uranius 5, p. 1187).
SPERA in c.s. per le questioni relative.
323
50
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
cumentate da scavi degli
anni Cinquanta del XX secolo nei mausolei a nord
della basilica di S. Sebastiano sulla via Appia 335, rispetto alle quali, tuttavia,
considerandone il numero,
non si può neppure escludere
l’eventualità che il monastero svolgesse un ruolo imprenditoriale
per
la
336
produzione della calce .
Un’osservazione non trascurabile sulla medesima direzione della lettura dei dati
in chiave topografica è indotta dalle mappe di dislocazione
delle
officine
metallurgiche attestate nel V
e VI/VII secolo (fig. 31 e tav.
00): esse, nell’ovvia differenziazione per materie
(ferro,
bronzo,
rame,
piombo), lavorate o rilavorate, e per tipologia dei proFig. 31. - Mappa con dislocazione degli impianti metallurgici del V-VII secolo.
dotti 337,
rappresentano
un’introduzione veramente
dunque, plausibilmente installate non a scopo ‘induinnovativa nell’area monumentale centrale, concenstriale’, ma per cantieri specifici, se pure sempre avtrandosi in particolare nei comparti del Foro Romano,
vantaggiate dalla presenza di fonti di rifornimento di
dei Fori Imperiali e alle pendici del Palatino, e nel
marmi da riciclo; così, con maggiore evidenza, le calCampo Marzio e insediandosi in misura preferenziale
care prossime alla chiesa di S. Croce e alla cattedrale
entro edifici pubblici (esemplari le officine installate in
lateranense, di probabile afferenza alle fasi edilizie meuna taberna del Foro di Cesare 338, nella piazza dei ro334
dievali di tali complessi , o anche le tre fornaci dostri 339, nella basilica Giulia 340, nel sito delle Curiae Ve-
332
GATTI 1887, p. 18. Sui ‘marchi di destinazione’, da ultima,
MARSILI 2014b, con una rassegna interessante e ricca di attestazioni.
333
Alla bibliografia principale già riferita supra, alla nota 000,
si aggiungano GIARDINA 1977, BARNWELL 1992, pp. 26-28, AMELOTTI, COSTAMAGNA 1995, CRIFÒ 2001a, p. 152. TEITLER 1985, particolare p. 54 propose che la schola notariorum fosse stata istituita
negli anni di Costantino e Licinio. Dal 358 sono attestati i primi tribuni et notari (PLRE, I, p. 1070), che, negli ultimi decenni del IV
secolo, erano spectabiles (JONES 1974, p. 772). Si è pure dibattuta
la questione dell’aggiunta di tribunus ad alcune cariche, oltre a quella
di notarius, anche a quella del magister officiorum, se questa sia
l’acquisizione di una valenza militare, in rapporto alla militarizzazione della burocrazia in età dioclezianea, ovvero una esplicitazione
del rango conquistato (in questo senso già il Godefroy in C.Th., p.
93): cfr. sul tema, più recentemente, AIELLO 2001, pp. 151-159 e
CASTELLO 2010, pp. 165-166 (ivi bibliografia ulteriore).
334
DB, contesto 139, indicatore 318; contesto 132, indicatore 312.
335
DB, contesto 127, indicatori 297-301. Per un’ipotesi di correlazione con la ricostruzione del monastero nel XII-XII secolo
SPERA 1999, pp. 237-238, 241, 247, 428-430. Molti casi potrebbero
essere assimilabili; vedi, per una trattazione generale del tema delle
calcare, il contributo di Riccardo Santangeli Valenzani in questi stessi
atti. Il legame diretto con cantieri è ovvio per alcuni dispositivi di
lavorazione della calce, su cui ha già richiamato l’attenzione C. Palombi, supra, p. 000; SPERA, ESPOSITO, GIORGI 2011 per le numerose e significative presenza di questo tipo nell’area a sud della
basilica di S. Paolo fuori le mura. Interessante, poi, l’ipotesi di associare con la realizzazione degli apparati musivi nella basilica di
S. Stefano Rotondo l’attività del laboratorio nella Basilica Hilariana
(Calabria et alii in questi atti).
336
Possibilità da riconsiderare nell’ambito del tema generale sul
ruolo degli enti ecclesiastici nelle reti della produzione (infra, p. 00).
337
Su questo V. La Salvia in questi stessi atti per le questioni generali sulla produzione metallurgica.
338
DB, contesto 73, indicatori 147-150; vd. anche DELFINO, DE
LUCA, MINNITI et alii 2013 e R. Meneghini in questo volume.
339
Supra, nota 000.
340
DB, contesto 61, indicatori 121-123.
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
51
teres 341, entro gli auditoria prossimi al Foro di Traiano
in cui si è riconosciuto l’Athenaeum di Adriano 342, negli
annessi del teatro di Balbo 343, nella Basilica Hilariana 344, nei castra peregrina 345, nelle terme traianee
del colle Oppio 346). Tale macroscopica convergenza induce ad interrogarsi se questo fenomeno non sia da ritenersi l’esito, oltre che della logica attrazione di quegli
stessi luoghi per esigenze peculiari, talora, come nei Fori,
associabili a forme ben documentabili di continuità
delle funzioni originarie di quegli spazi 347, anche di un
controllo statale di una buona parte della produzione metallurgica 348, ovviamente anche in caso di materiali di
riciclo di pertinenza pubblica 349, per la quale sarebbero
predisposti spazi che non variano, in questa fase, il loro
profilo giuridico. Se da una parte è per questo calzante
l’ipotesi di riconoscere negli impianti installati nell’Athaeneum una zecca operante in età bizantina 350,
proprio nella direzione di una presenza inequivocabile
dell’amministrazione bizantina negli impianti produttivi
del complesso del teatro di Balbo, va ricordato, hanno
assunto un particolare valore i sigilli, particolarmente
quelli esarcali, recuperati dai depositi di VII-VIII secolo dell’esedra 351.
In senso più generale, poi, non può non evidenziarsi
341
DB, contesto 283, indicatore 578. Cfr. FERRANDES 2013, pp.
119-120 e Panella in questo volume. Indicatori di produzione metallurgica sono emersi dallo scavo delle cosiddette terme di Elagabalo, dunque nella medesima area alle pendici nord-est del Palatino,
e attribuiti a contesti di VI-VII secolo (SAGUÌ 2013, p. 151; DB,
contesto 144, indicatori 325-327).
342
DB, contesto 80, indicatori 168-171. G. Ricci, M. Serlorenzi
in questi atti. Alla connotazione del sito contribuiscono anche le evidenze nelle insulae sulla via Lata (SERLORENZI 2010, pp. 132-133
e G. Ricci, M. Serlorenzi in questo volume) e la presenza di indicatori connessi alla produzione di metalli, ancora inediti, dalle stratigrafie delle domus sotto palazzo Valentini (sulla base di
un’indicazione orale di Paola Baldassarri, che ringrazio per la cortese anticipazione; sul contesto BALDASSARRI 2008-2009).
343
DB, contesto 160, indicatori 348-355. L. Vendittelli, M. Ricci
in questi atti
344
DB, contesto 29, indicatori 57-59. M.E. Calabria et alii in questi atti.
345
DB, contesto 17, indicatore 33. Cfr. anche C. Palombi, supra,
nota 34.
346
DB, contesto 111, indicatori 274-275. Poche sono le eccezioni
di impianti metallurgici in spazi sicuramente privati: vd. già C. Palombi, supra, p. 000.
347
Supra, p. 000.
348
Sugli assetti giuridici entro i quali inquadrare l’estrazione e la
produzione dei metalli nei secoli della prima e media età imperiale si
veda il bel lavoro di HIRT 2010, dal quale evincere anche le complesse
questioni, a lungo dibattute, sull’attribuzione esclusiva dello sfruttamento delle miniere all’imperatore ovvero su una rete più articolata
di proprietà e competenze con la compartecipazione di privati; utile
anche DOMERGUE, BORDES 2006. Contributi significativi per un’estensione di tali questioni alla Tarda Antichità (le cui norme di regolamentazione, ormai si ritiene, non presentano grosse discontinuità
con i secoli precedenti) quelli di MISPOULET 1907 e di EDMONSON
1989; MATSCHKE 2002 per Bisanzio. Ben trattato l’argomento anche
in CARLÀ 2009, pp. 253-275, con specifico interesse all’oro. Si ricorda
che per l’età tardo antica aiutano a considerare il tema alcuni riferimenti normativi del Codex theodosianus e poi del giustinianeo, che
dedicano un titolo specifico all’attività estrattiva: C.Th. 10, 19, 3, del
365: Impp. valentinianus et valens aa. ad cresconium comitem metallorum. perpensa deliberatione duximus sanciendum, ut, quicumque
exercitium metallorum vellet adfluere, is labore proprio et sibi et rei
publicae commoda compararet. itaque si qui sponte confluxerint, eos
laudabilitas tua octonos scripulos in balluca cogat exsolvere; quidquid autem amplius colligere potuerint, fisco potissimum distrahant,
a quo competentia ex largitionibus nostris pretia suscipient. dat. iiii
id. decemb. parisis valentiniano et valente aa. conss. (v. anche C.Just.
11, 7, 1); C.Th. 10, 19, 4, del 367: Idem aa. ad germanianum comitem sacrarum largitionum. ob metallicum canonem, in quo propria
consuetudo retinenda est, quattuordecim uncias ballucae pro singulis libris constat inferri. dat. vi id. ian. rom. lupicino et ioviano conss.
(v. anche C.Just. 11, 7, 2); C.Th.10, 19, 10, del 382: Imppp. gratianus, valentinianus et theodosius aaa. floro praefecto praetorio. cuncti, qui per privatorum loca saxorum venam laboriosis effossionibus
persequuntur, decimas fisco, decimas etiam domino repraesentent, cetero modo suis desideriis vindicando. dat. iiii kal. sept. constantinopoli antonio et syagrio conss. (v. C.Just. 11, 7, 3). Per questi cfr.
l’approfondimento delucidante di PIACENTE 2009. Tali problematiche
interpretative, è noto, non si dissociano dalle procedure giuridiche
sullo sfruttamento delle cave di marmo, su cui sono più direttamente
correlate altre promulgazioni legislative: C.Th. 10, 19, 8, del 376:
Impp. valens, gratianus et valentinianus aaa. ad senatum. potestatem
eruendi vel exsecandi de privatis lapidicinis iam pridem per macedoniam et illyrici tractum certa sub condicione permisimus. sed vobis, patres conscripti, volentibus liberalius deferetur, suo ut quisque
sumptu suoque emolumento, vectigalis operas et portorii damna non
metuens, pariat eam copiam. et cetera. lecta in senatu id. aug. valente
v et valentiniano aa. conss., ma anche C.Th. 10, 19, 11, del 384:
Imppp. gratianus, valentinianus et theodosius aaa. cynegio praefecto
praetorio. ii, quibus ad exercenda metalla privata dives marmorum
vena consentit, excidendi exsecandique iuxta legem dudum latam habeant facultatem, ita ut decima pars fisci nostri utilitatibus, decima
ei cuius locus est deputetur. quidquid vero reliquum fuerit, id iuxta eiusdem legis tenorem exercentibus cedat habituris licentiam vendendi
donandi et quo voluntas suaserit transferendi. dat. iii non. octob. constantinopoli richomere et clearcho conss.
349
Interessante in tal senso un passo di Sozomeno (2, 3) per il
quale i tesori dedotti dalla spoliazione dei templi sarebbero stati
δημόσια χρήματα, in analogia con l’invito di Firmico (Err. 28, 6)
agli imperatori di rifondere gli ornamenta templorum (Deos istos
aut monetae ignis aut metallorum coquat flamma; donaria universa
ad utilitatem vestram dominiumque transferte); da Libanio (Or. 30,
6) si deduce la notizia che proprio il depauperamento degli antichi
santuari avesse contribuito a finanziare la fondazione di Costantinopoli. Per precisazioni sul tema del riciclo di manufatti metallici
a Roma potrebbe risultare utile un approfondimento mirato, anche
per una migliore precisazione temporale del contesto, del ripostiglio di bronzi, alcuni di particolare valore artistico e antichità, su
vicolo dell’Atleta (DB, contesto 292, indicatore 592); cfr. CANINA
1849, BRAUN 1850 e CANINA 1850; SACCHI LADISPOTO 1983. A queste note si associno le riflessioni di V. La Salvia, infra.
350
Da ultimi G. Ricci, M. Serlorenzi e V. La Salvia in questo
volume. Sulla pertinenza statale della produzione monetaria, anche
con forme ‘schiavistiche’ esercitate sulle categorie professionali
(C.Th. 10, 22, 4 stabilisce che i monetarii venissero marchiati a fuoco
come altri lavoratori di fabricae statali), CRACCO RUGGINI 1971, particolare pp. 147, note 181, 162, 170.
351
MARAZZI 2001 (vi torna Marco Ricci, infra), dando però per
52
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
Chiesa negli apparati di controllo della produzione anche di
ambito urbano. Le varie istituzioni religiose sembrano infatti
tendere ad una sempre più diretta gestione di attività produttive, sotto la spinta di esigenze
diversificate: precoci necessità
di autosostentamento e imprenditoriali, motivate anche dal
ruolo marcatamente assistenziale di alcune fondazioni – dapprima soprattutto xenodochia e
monasteri, più tardi le diaconie 353 –; la promozione e conduzione di imprese costruttive di
rilievo 354; l’uso precoce e sempre più ampio di prodotti specificamente destinati e connotati,
talora concepiti per una realizFig. 32. - Lastra damasiana con la firma di Furius Dionysius Filocalus.
zazione seriale ‘massiva’, conche la distribuzione delle attestazioni risulta interessante
nessi sia alla liturgia (arredi, suppellettile, abiti) 355, sia
anche dal punto di vista della complessiva configuraal culto 356. Alla sfera devozionale si legano, infatti, cazione della città tardoantica nella fase più avanzata, poitegorie di oggetti dedicati, reliquari, encolpi, ampolle 357,
ché arriva a restituire quasi un intero quartiere
in rapporto ai quali fornisce un’abbondante messe di inspecializzato in senso produttivo, con una modifica soformazioni, per il periodo tra la fine del VI secolo ed il
stanziale delle vocazioni funzionali più antiche e la deVII, l’epistolario di Gregorio Magno, con i numerosi
finizione progressiva di una toponomastica correlata 352.
riferimenti a chiavi e croci in oro e argento, offerte come
doni speciali a personaggi eminenti, spesso contenenti
In relazione ai temi che ruotano intorno all’organizla polvere della limatura delle catene di Pietro e Paolo,
zazione della produzione a Roma nella Tarda Antichità
le prime realizzate probabilmente a imitazione della
e nel Medioevo un’attenzione precipua deve essere richiave che apriva il recinto della confessione 358; di mavolta al ruolo progressivamente emergente e attivo della
nufatti di questo tipo, di chiaro significato ideologico e
scontata l’ipotesi di una gestione diretta da parte del monastero di
S. Lorenzo in Pallacinis (vd. però anche infra, p. 00 con nota 000).
352
Emerge, ad esempio, la possibilità che le attestazioni tarde di
un clivus Argentarius, nelle biografie di Benedetto III (LP, II, p.
145) e di Nicola I (LP, II, p. 53) e, quindi, nell’Ordo romanus di
Benedetto Canonico (VALENTINI, ZUCCHETTI 1946, pp. 219-220), possano avere una qualche connessione con la vocazione del quartiere,
più che raccordarsi alle antiche nomenclature di edifici a ridosso
del Foro di Cesare, di ben più antica tradizione (BUZZETTI, PISANI
SARTORIO 1993). Meno chiaro il riferimento nel De civitate Dei di
Agostino (7, 4), dal quale, tuttavia, si deduce una interessante critica agli specialismi nei sistemi produttivi, che dovevano dunque
essere largamente attestati alle soglie del V secolo (Ridemus [...]
tamquam minuscularios vectigalium conductores vel tamquam opifices in vico argentario, ubi unum vasculum, ut perfectum exeat, per
multos artifices transit, cum ab uno perfecto perfici posset. Sed aliter non putatum est operantium multitudini consulendum, nisi ut singulas artis partes cito ac facile discerent singuli, ne omnes in arte
una tarde ac difficile cogerentur esse perfecti).
353
Sulle funzioni di queste istituzioni, dal profilo ben noto e approfondito a più riprese, ci si limiti a SANTANGELI VALENZANI 1996-
1997, STASOLLA 1998, STASOLLA 2007 per gli xenodochia; a FERRARI 1957, PANI ERMINI 1981, GIUNTELLA 2001 per i monasteri; a
BERTOLINI 1947, CECCHELLI 2010 per le diaconie.
354
Poiché il tema è risaputamente ampio e ben approfondito nelle
numerose correlazioni, basti portare l’attenzione sull’inesauribile
elencazione di interventi offerta dalle biografie dei papi nel Liber
pontificalis (LP, I-II).
355
Cfr. le relative voci sulle singole categorie di manufatti in
DACL e DP. L’ampio apparato di fonti sui donativi papali di arredi
liturgici in VON SCHLOSSER 1992; sull’uso dei tessuti negli apparati
decorativi delle chiese SAXER 1996-1997; contributi specifici anche
quelli di RIGANATI 2002 e BALLARDINI 2008.
356
Per le attività produttive e commerciali legate ai santuari
spunti in FIOCCHI NICOLAI 2012, p. 148 con nota 85.
357
Cfr. le relative voci su tali categorie di manufatti in DACL e
DP.
358
Epist. 1, 25; 1, 29; 1, 30; 3, 33; 3, 47; 4, 27; 4, 30; 5, 42; 5,
46; 6, 6; 6, 61; 7, 23; 7, 25; 8, 33; 11, 43; 12, 2. Tra queste, per i
significati esplicitati con clausole terminali ricorrenti, si possono richiamare le lettere all’arcivescovo di Corinto Anastasio (Epist. 1,
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
53
risultanti di immediata pertinenza, si può presumere
che la stessa sede episcopale ne detenesse il monopolio esclusivo di fabbricazione e distribuzione 359, come
autorizzano forse a ritenere le normative documentate
dalle fonti per la produzione ben più tarda delle ‘quadrangulae’ di pellegrinaggio, in piombo e stagno, con
le immagini Pietro e Paolo, per le quali un provvedimento di Innocenzo III del 1199 attribuisce l’auctoritas fundendi o quella di concederne la fusione al
Capitolo della Basilica di S. Pietro, pena la scomunica
di eventuali falsificatori e produttori non autorizzati 360.
Le ben note iscrizioni dell’officina lapidaria di papa
Damaso provano in effetti che già dalla seconda metà del
IV secolo si può sospettare l’esistenza di artifices e botteghe episcopali (fig. 32) 361. Un’evidenza interessante e
degna di approfondimento si riconosce in due fistulae individuate in situ in contesti diversi, il battistero di S. Cecilia in Trastevere e il complesso nell’area a sud della
basilica di S. Paolo fuori le mura, entrambe datate, per
la sicura correlazione con le strutture, tra la fine del V e
Fig. 33. - Fistula nel battistero di S. Cecilia (da Parmegiani, Pronti
gli inizi del successivo (figg. 33, a-b; 34) 362; esse pre2004).
sentano marchi con lettere a rilievo, nei quali si
specifica l’afferenza della
risorsa idrica alle rispettive chiese, le vicine S.
Cecilia e S. Crisogno
quello di provenienza urbana [PE(r)T(inentia) 363
S(an)C(t)OR(um)
CHRIS(o)G(oni)
ET
Fig. 34. - Fistula dallo scavo nell’area a sud della basilica di S. Paolo fuori le mura.
25: Amatoris autem vestri beati Petri apostoli vobis claves transmisi,
quae super aegros positae multis solent miraculis coruscare; «Vi
ho poi mandato le chiavi di S. Pietro apostolo che vi ama molto:
esse, poste sugli ammalati, sogliono risplendere per numerosi miracoli», OGM, V/1, pp. 168-169) e quella al vir inlustris di Costantinopoli Andrea (Epist. 1, 29; Praeterea sacratissimam clavem
a sancti Petri apostoli corpore vobis transmisi, quae super aegros
multi solet miraculis coruscare; man etiam de eius catenis interius
habet. Eaedem igitur catenae quae illa sancta colla tenuerunt suspensae vestra colla sanctificent; «Vi ho inviato la chiave santissima che fu posata sulla tomba di san Pietro apostolo. Essa suole
rifulgere per molti secoli sugli ammalati: ha infatti dentro frammenti
delle catene di Pietro. Queste catene che strinsero il suo collo, appese al vostro collo, vi santifichino», OGM, V/1, pp. 174-175). Un
approfondimento specifico sul tema è di RIGANATI 2007, cui si rimanda per una disamina complessiva delle testimonianze e del loro
significato; cfr. anche SPERA 1998, pp. 73-74.
359
Anche RIGANATI 2007, p. 548 presume che questi oggetti «non
è escluso che venissero realizzati in botteghe sorte presumibilmente
intorno alla Basilica Vaticana per assolvere alle specifiche necessità del complesso ecclesiastico e dei pellegrini».
360
PL 241, cc. 490-491: Eapropter, dilecti in Domino filii, tam
redditum, quem de signis plumbeis sive stagneis apostolorum Petri
et Pauli imaginem praeferentibus, quibus eorum limina visitantes
in augmentum propriae devotionis et testimonium itineris consummati seipsos insigniunt, praedecessores nostri et nos ipsi percipere
consuevimus, quam auctoritatem fundendi ea vel quibus volueritis
fusoribus concedendi, qui vobis tantum de ipsis respondeant, vobis
et per vos canonicae vestrae praesentium auctoritate concedimus
et praesentis scripti pagina communimus. Ad haec, sub poena excommunicationis districtius inhibemus ne quis ea praeter assensum
et concessionem vestram aliquatenus formare praesumat. Da ultimo,
per una trattazione sul tema specifico della produzione romana di
tali signa peregrinorum, IMPERIALE 2012, cui si rimanda anche per
ulteriore bibliografia.
361
Sull’officina lapidaria di papa Damaso: dopo FERRUA 1942,
si rimanda a FIOCCHI NICOLAI 2015 per i più recenti approfondimenti connessi proprio agli aspetti dell’esemplare produzione.
362
Per la fistula del battistero transtiberino PARMEGIANI, PRONTI
2004, pp. 89-90; quella dal complesso dell’Ostiense, in corso di edizione con i materiali dallo scavo 2007-2009, era in connessione con
una struttura nella quale si sono riconosciuti i resti dei pauperibus
habitacula realizzati a S. Paolo da papa Simmaco (498-514; LP, I,
p. 263. Per anticipazioni sulle indagini archeologiche FILIPPI, SPERA
2009; SPERA 2011b; SPERA 2011c); cfr. infra.
54
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
Fig. 35. - Fistula dal complesso di S. Lorenzo (da Filippi 1997).
CEC(iliae)] e il santuario apostolico l’altro [PE(r)T(inentia) S(an)C(t)I PAVLI], anticipato da una croce equilatera il primo e con il medesimo segno posto alla fine il
marchio dell’Ostiense. La fattura assimilabile delle due
iscrizioni induce a ritenere che i tubi in questione possano essere stati prodotti dalla medesima officina plumbaria, forse di dipendenza episcopale, da cui simili
manufatti dovevano essere distribuiti ai diversi edifici
per i quali erano stati commissionati. Questi due reperti
non sono peraltro le uniche testimonianze di tubi plumbei con sicurezza pertinenti a edifici religiosi. Alla fistula
transtiberina ne è stata giustamente associata un’altra con
formula analoga, PE(r)T(inentia) S(an)C(t)I CRISOGO(ni), scoperta «in Tiberi prope pontem Sixti» e
nota dall’apografo del Dressel, che riporta, dopo le lettere, una palmetta, non una croce 364. Tale segno introduce invece il marchio ricorrente su alcune tubature
scoperte agli inizi del XVIII secolo nell’area intorno
alla chiesa di S. Lorenzo sulla via Tiburtina, che precisa
la pertinenza ad un intervento di restauro, forse degli apparati idrici del balneum fatto costruire da papa Ilaro 365,
condotto dal praepositus Stefanus, durante il pontificato di Giovanni I (523-526), come meglio ritenne il de
Rossi (fig. 35) 366, e, ancora, su un ultimo manufatto
dello stesso tipo, di incerta provenienza 367, ma che la specificazione di pertinenza [((crux)) XENOD(ochii) ORFANO<N>T(rophii)] permette di attribuire con buona
probabilità alla schola cantorum, quae pridem Orphanotropheum vocabatur, ricostruita per la nimia vetustas
e lo stato rovinoso da Sergio II e localizzata, sulla base
del quadro complessivo delle attestazioni, nel quartiere
della cattedrale lateranense 368.
Il valore di questo gruppo di fistulae va oltre il pur
già significativo aspetto della produzione, che le direbbe
realizzate, si è detto, in una o più officine di diretta gestione ecclesiastica, poiché la stessa contemporaneità dei
reperti, sicura per tre di questi e supponibile per i restanti, e il consistente dato quantitativo rispetto ai bolli
su tubi plumbei più o meno coevi di pertinenza diversa 369, fa emergere un elemento nuovo, almeno sulla
base della documentazione pervenuta, l’acquisizione da
parte della Chiesa di Roma del privilegio di bollare le
condutture in relazione all’utilizzo di risorse idriche logicamente pubbliche, sia pur con le evidenti variazioni
dei formulari, tipiche in particolare dei marchi più tardi,
rispetto alle pratiche precedenti prevalentemente normalizzate 370. Le nuove iscrizioni, tuttavia, proprio per
la loro anomalia e genericità, non inquadrano precisa-
363
Si ritiene tale scioglimento preferibile rispetto a PET(ia) e
P(ropri)ET(as).
364
CIL XV, 7258; cfr. PARMEGIANI, PRONTI 2004, p. 90.
365
LP, I, p. 247. SERRA 2005, pp. 209-210.
366
CIL XV, 7261; ICUR VII, 17615 (il quadro completo delle
problematiche di ritrovamento e conservazione e l’apparato delle
edizioni in FILIPPI 1997). Trascrizione: ((crux)) Salvo Papa Iohanne
/ St<e>fanus p(rae)p(ositus) reparavit. Bibliografia essenziale. A
FILIPPI 1997 si rimanda anche per le questioni relative all’attribuzione, rispetto alla quale, si è detto, si preferisce l’orientamento iniziale di DE ROSSI 1877, p. 521, ormai generalmente condiviso (cfr.
anche SERRA 2005, p. 210).
367
CIL XV, 7257.
368
LP, II, p. 92. L’Orphanotrophium, che poteva assolvere anche
ad un ruolo assistenziale, è noto pure da un passo del Liber diurnus (97), e risulta abbinato alla schola cantorum - di questa Giovanni Diacono riferiva la costituzione o la ristrutturazione a Gregorio
Magno (Vita, 2, 6) - anche in un documento del Regesto sublacense
(RS, n. 112, p. 159). La localizzazione nelle vicinanze delle chiese
di S. Matteo e S. Bartolomeo sulla via Merulana si deduce dalla
giustapposizione a queste, in fonti più tarde, della chiesa di S. Stefano Ophonotrofio o de Scola Cantoris (HÜLSEN 1927, p. 479; VALENTINI, ZUCCHETTI 1942, p. 318, nota 1).
369
Possono forse essere riferiti allo stesso orizzonte temporale
CIL XV, 7260 che documenta un restauro del trib(unus) (aquarum?)
Fl(avius) Iohannis v(ir) c(larissimus) - BRUUN 1991, p. 46; BRUUN
2000, p. 169, n. 79 -, CIL XV, 7583 da piazza del Gesù, che si è
preteso di attribuire alle strutture nell’area del Diribitorium (GUIDOBALDI 1986, pp. 175-181; MANACORDA 1993, p. 33, nota 24; MANACORDA 2001, p. 47; vd. supra, p. 00), CIL XV, 2, 7538 con
P(er)T(inentia?) Silveri v(iri) in(lustris), integrato nella prima parola diversamente da CIL. Di incerta pertinenza e cronologia il bollo
CIL XV, 7594 Ex of(f)icina Agnelli ((chrismon)) G.
370
BRUUN 1991. Vd., però, soprattutto BRUUN 1991-1992 su alcune iscrizioni anomale che assumono il carattere di fornire dati indicativi per l’officina plumbaria e non avrebbero perciò valenze
giuridiche.
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
55
mente il ruolo della Chiesa in relazione agli apparati della cura aquarum, nella Tarda Antichità ancor più
complessi dei secoli precedenti e in
alcune fasi scarsamente documentati 371. Di certo essa, con le macroscopiche esigenze di rifornimento
idrico soprattutto per battisteri, fontane, balnea e simili strutture connesse all’assistenza, dislocati su
ampia scala topografica, doveva
imporsi come un concessionario
extra ordinem in rapporto a quel
privilegio per pochi costituito dall’utilizzo dell’acqua pubblica 372, risultante ancor più ristretto nella
legislazione del IV e V secolo 373, e Fig. 36. Indicatori di produzione (segnati con asterisco) nel complesso degli horti Domitiae
forse le ricorrenti intromissioni di (rielaborazione da Santamaria Scrinari, Marinucci 1995).
Teoderico, per le vicende legate allo
acquedotti e delle acque; rientrava, infatti, nelle procescisma laurenziano, nelle questioni di stabilizzazione del
374
dure del re goto ben attestate dalle Variae la sollecitapatrimonio ecclesiastico poterono in qualche modo
zione indirizzata a personaggi eminenti all’assunzione
favorire una qualche apertura anche in merito ai benedi responsabilità civiche, come fa, proprio per la mafici sull’acqua pubblica; può non essere una semplice
nutenzione degli acquedotti, con i possessores di Racoincidenza che a papa Simmaco si debba, tra i pontevenna e con il vescovo di Vercelli Emiliano 378. Peraltro
fici della Tarda Antichità, la costruzione del maggior
sembra tradire un ruolo giuridicamente riconosciuto nel
numero di edifici dotati di impianti idraulici, un battirestauro delle condutture idriche il bollo della Tiburtina
stero sulla via Aurelia annesso alla chiesa di S. Agata
con l’esplicitazione del curatore dei lavori, il praeposiin fundo Lardario, balnea a S. Pancrazio e a S. Paolo,
tus Stefanus, appartenente, con tutta probabilità, agli apdove il biografo specifica che aquam introduxit, la meparati ecclesiastici di amministrazione del complesso
desima espressione utilizzata dal biografo in relazione
martiriale 379. La cura aquarum/formarum resterà coai lavori di ampliamento di una chiesa dedicata a S. Mimunque, per almeno due secoli, appannaggio del pochele 375, probabilmente quella della via Salaria 376, forse
tere civile, come si deduce anche da un rapido
gli stessi pauperibus habitacula nei santuari principali
riferimento della Pragmatica sanctio 380 se, ancora nel
di S. Pietro, S. Paolo, S. Lorenzo 377. Non è, tuttavia,
602, Gregorio Magno dovrà rivolgersi, con la medianeppure da escludere che il vescovo di Roma fosse, su
zione del suddiacono di Ravenna Giovanni, al prefetto
delega, direttamente attivo nell’amministrazione degli
371
LANCIANI 1881a, pp. 520-543; CHASTAGNOL 1960, pp. 357363; BRUUN 1991; BRUUN 1997; BRUUN, - SAASTAMOINEN 2003.
37
ECK 1982, BRUUN 1997, pp. 145-149 (sulla base di Frontino,
Aq. 78.3, si è calcolato che il 38% dell’acqua andasse ai privati:
BRUUN 1997, p. 138).
373
Si ricordi l’emanazione dei provvedimenti che limitavano ad
uso pubblico alcuni acquedotti (C.Th. 15, 2, 9; C.Th. 14, 15, 4), o che
stabilivano rigide regole di massimo uso ai privati (C.Th.1 5, 2, 3);
a questi era anche vietato innestare tubature da condotti destinati a edifici pubblici (C.Th. 15, 2, 6). Per un panorama legislativo sulla lunga diacronia ancora fondamentale LANCIANI 1881a, pp. 592-605.
374
Basti la sintesi di SARDELLA 2000.
375
LP, I, p. 262. La precisazione aquam introduxit per S. Michele e per il complesso apostolico dell’Ostiense sembra alludere a
lavori più impegnativi di canalizzazione, evidentemente perché i due
siti risultavano distanti dai rifornimenti idrici principali costituiti dagli
acquedotti.
376
FIOCCHI NICOLAI 2009, pp. 40-51, particolare pp. 41-42 per
la relazione del passo del Liber pontificalis con la basilica dedicata
all’Arcangelo.
377
LP, I, p. 263.
378
Variae 5, 38 e 4, 31. Sul tema, anche oltre gli acquedotti, FAUVINET RANSON 2006, particolare pp. 131-133, 145-148, 201, 217221.
379
GUYON 1974, pp. 580-585; specificamente per la fistula della
Tiburtina FILIPPI 1997.
380
Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii, 25 (MGH, Leges, V,
p. 174): Consuetudines et privilegia Romanae civitatis vel publicarum fabricarum reparationi, vel albo Tiberino vel foro aut portui
Romano, sive reparationi formarum concessa, servari pre cipimus:
ita videlicet, ut ex hisdem tantummodo titulis, ex quibus delegata
fuerunt, praestentur
56
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
bee del ramo della forma Sabbatina che riforniva direttamente il complesso vaticano 384.
del pretorio per rivendicare che il vir clarissimus Augustus potesse occuparsi della necessaria manutenzione
degli acquedotti 381, benché le fluidità dei decenni precedenti l’VIII secolo, con la oscillazione e intersezione
di competenze istituzionali e responsabilità reali, riemerga, se si ammette una nota interpolata del Liber pontificalis, nell’intervento di Onorio I sull’aqua Traiana
per un nuovo mulino gianicolense 382.
La produzione delle fistulae assumerà un ben più
chiaro significato nel quadro di una intuibile istituzionalizzazione del ruolo della Chiesa nella cura aquarum
dall’VIII secolo, in un ben diverso contesto storico-istituzionale, quando, non per caso, le biografie si soffermano su interventi massicci di ripristino e direttamente
gestiti, come quello di Gregorio II a S. Lorenzo (aquam
fistulis compagetis post multum tempus […] reduxit) 383,
e quello, massiccio, di Adriano I sulle condutture plum-
In rapporto all’ambito della produzione edilizia si può
facilmente ritenere che la Chiesa avesse maturato in poco
tempo, dopo le prime grandi imprese supportate, anche
per le prestazioni tecnologiche e il reclutamento di maestranze specializzate, dall’evergetismo imperiale 385, autonomia e capacità gestionali straordinarie
nell’acquisizione e lavorazione dei materiali e nella
stessa organizzazione dei cantieri, che si impongono
quasi sempre come poli di attivazione di operatività complesse e con esiti di assoluta eccellenza. Un passo di
Gregorio di Nazianzo ricorda ad esempio l’arrivo, nelle
cave del Proconneso, di un presbitero proveniente da
Taso, cui era concesso il privilegio di acquistare
Προκοννησίαι πλάκαι per la costruzione di una chiesa 38.
La notevole disponibilità di materiali da parte di enti
ecclesiastici, anche in quantitativi sistematicamente e industrialmente prodotti e immagazzinati, si evince ancora dall’epistolario di Gregorio I, che, con una lettera
al rettore del patrimonio campano, inoltra la richiesta
di donare all’abate Felice, per una fabbrica, 1500 libbre di piombo, prelevandolo dal deposito ecclesiastico
sull’isola Eumorfiana 387; la Chiesa di Roma disponeva
soprattutto di grandi quantità di legname, ovviamente
fornito dall’esteso patrimonio terriero, ed il papa, che
in una epistola del 599 ad un gruppo di vescovi delle
Gallie dimostra di conoscerne le più corrette adozioni
nell’edilizia al punto da utilizzarne i dettagli in termini
metaforici 388, arriva anche a fornire a più riprese al pa-
Epist. 12, 6.
382
LP, I, p. 324 (con L. DUCHESNE, ad comm. LP, p. 327, nota
20). La giurisdizione sulla città era logicamente ancora legata al diretto controllo bizantino, cosicché lo stesso pontefice riceve da Eraclio la formale concessione di riutilizzare per il tetto di S. Pietro le
tegole bronzee dal tempio di Venere e Roma (LP, I, p. 323). Note
sui restauri degli acquedotti tra Tarda Antichità e alto Medioevo in
COATES-STEVENS 1999, pp. 215-223 e MARCELLI, MUNZI 2007, pp.
35-41.
383
LP, I, p. 397.
384
LP, I, p. 504: Et confestim centenarium illud qui ex eandem
formam in atrio ecclesiae beati Petri decurrebat, dum per nimiam
neglectus incuriam plumbum ipsius centenarii furtim iam plurima
pars exinde ablata fuisset, reliquum plumbum conquassatum, protinus isdem praecipuus pastor addita multitudine plumbi ipsum centenarium noviter fecit. In questa fase, dopo la mancanza di
attestazioni per numerosi decenni, riprende l’operatività dei papi nella
costruzione di balnea e fontane (STASOLLA 2002, pp. 145-147). Sulla
‘svolta’ nelle competenze del papato agli inizi dell’VIII secolo,
tema in corso di approfondimento da parte di chi scrive, vd. anche
le concordanze nelle più complessive gestioni della produzione edilizia e dell’organizzazione di maestranze e cantieri.
385
Sui cantieri imperiali del IV secolo BRANDENBURG 2004, pp.
16-108, 114-130.
386
Carm. 2, II, 875-882, in PG 37, c. 1089. Per i problemi connessi alla giurisdizione delle cave cfr. la sintesi di PENSABENE 2013b,
pp. 197-227; per quelle del Proconneso pp. 317-348.
387
Epist. 1, 48. Nell’edilizia del periodo, è noto, il piombo veniva prevalentemente destinato ai tetti e alle condutture idriche (cfr.,
per esempio, LP, I, pp. 275, 419. Per altri contesti interessanti i richiami nell’Historia francorum di Gregorio di Tours, 1, 30, in PL,
LXXI, c. 177 e nella Vita sancti Eligii di Audoenus Rotomagensis,
18, in PL, LXXXVII, c. 495). Sull’uso massiccio di questo materiale è estremamente interessante un passaggio della relazione delle
scoperte di Lorenzo Fortunati alla metà del XIX secolo sulla via
Latina; le strutture della villa risultarono essere state radicalmente
compromesse da un incendio prima del crollo delle volte che aveva
‘sigillato’ l’esistente e, quindi, dell’impianto di una calcara (DB, contesto 40, indicatori 82-85): gli strati di distruzione dell’edificio presentavano «grandi masselli di piombo fuso» e poi «incastonati e
semifusi li condotti di piombo. Piccole lastre, ossiano pezzi di
piombo fuso, furono trovati per lungo tratto di tempo sparsi quà e
là fra le rovine, e sotto le precipitate volte, fino a metterne insieme
due mila e più libre» (FORTUNATI 1859, pp. 10-11).
388
Epist. 9, 219: Apta namque aedificationibus de silvis ligna
Fig. 37. Monete destinate alla fusione nel complesso degli horti Domitiae (da Santamaria Scrinari, Marinucci 1995).
381
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
57
triarca di Alessandria Eulogio carichi di travi di
varie dimensioni destinate alla carpenteria navale, attività produttiva
pure evidentemente gestita in forma diretta dallo
stesso patriarca egiziano 389. La possibilità di
ampi rifornimenti di trabes de Calabria viene
sottolineata nel suo valore qualitativo nelle biografie di Sergio I e di
Gregorio II per un integrale restauro del tetto
della basilica di S. Paolo
fuori le mura 390
In tale ottica possono
prestarsi ad una rilettura
alcuni contesti urbani che Fig. 38. Cortile con dolia nel complesso degli horti Domitiae (da Santamaria Scrinari, Marinucci 1995).
assumono tratti significapietre preziose 394, metallo 395, forse in vetro 396) e per
tivi se riconsiderati nell’ottica della rete delle produzioni
operatività produttive di tipo alimentare (figg. 36-38) 397.
ecclesiastiche, tema ancora poco indagato nelle linee di
391
Da tali indicatori si deriva il profilo di un settore urinsieme . Nell’area a nord-ovest del complesso epibano a prevalente nuova occupazione ‘polindustriale’,
scopale del Laterano, entro alcuni nuclei degli antichi
per ipotesi alle dipendenze del complesso episcopale 398,
horti di Domitia Lucilla, le indagini archeologiche conconsiderando la stretta contiguità topografica, la condotte a partire dalla fine degli anni Cinquanta del Notemporaneità delle trasformazioni e quella ben spiegavecento hanno fatto emergere una generale continuità
bile
tendenza
all’autosostentamento
e
d’uso nella Tarda Antichità 392, con la tendenza diffusa
all’autoproduzione degli enti ecclesiali, in cui si deve
al riuso di ambienti per la fabbricazione e la lavorazione
riconoscere un fenomeno generale e massivo soprattutto
di materiali (una fornace 393, officine per manifatture in
succiduntur, nec tamen adhuc viridibus aedificii pondus imponitur,
nisi eorum viriditatem multorum dierum mora siccaverit, et apta ad
necessarium usum effecerit. Quae observantia si forte negligitur, citius superimposita mole franguntur, et gignit ruinam ad auxilium
res provisa.
389
Epist. 6, 61; 7, 37; 8, 28; 10, 21; 13, 43; i riferimenti in Epist.
8, 28 chiariscono anche che per papa Gregorio, in dichiarata adesione con e prescrizioni evangeliche, tali beni, derivati direttamente
dalle proprietà ecclesiastiche, non erano commercializzabili, rispondendo appunto con un diniego all’offerta di pagamento per le
travi più lunghe da parte di Eulogio.
390
LP, I, pp. 375, 397. Per un quadro generale con ampia diacronia DIOSONO 2008.
391
Solo una prima ‘apertura’ di una ricerca complessa ancora tutta
da sviluppare in MARTORELLI 1999.
392
Dalle descrizioni di V. Santa Maria Scrinari derivano diverse
indicazioni di verificata continuità di uso delle strutture, con scopi
evidentemente differenziati: cfr., in particolare, SANTA MARIA SCRINARI, MARINUCCI 1995, pp. 95, 116, 132, 138, 157, 188-190, 206207, 213-214, a più riprese in 215-241.
393
SANTA MARIA SCRINARI, MARINUCCI 1995, p. 143 (figg. 172,
175), con alcune incertezze.
SANTA MARIA SCRINARI, MARINUCCI 1995, pp. 106-109.
SANTA MARIA SCRINARI, MARINUCCI 1995, pp. 95-97, figg. 91114. L’identificazione del vano produttivo si lega al recupero di una
quantità significativa di oggetti metallici, di diversa funzione e cronologia (statuette di divinità, lucerne bronzee, manufatti decorativi,
resti di arnesi da lavoro e di armi, recipienti), tra cui circa settemila
monete depositate entro un vaso. È significativo che dell’ambiente
interessato da tale riuso la studiosa evidenzi l’abbandono per «un
lungo e forte incendio», dopo che «era vissuto a lungo nel tardo impero» (p. 95).
396
SANTA MARIA SCRINARI, MARINUCCI 1995, p. 66.
397
SANTA MARIA SCRINARI, MARINUCCI 1995, pp. 57-66, 114-116,
132 (in fig. 71, p. 69 resti di macine direttamente sul basolato). In
particolare, alcuni spazi vennero destinati alla produzione di olio e
vino; in alcuni vani l’alloggio entro i piani pavimentali di dolia e
anfore ne predispose l’utilizzo come capienti magazzini per lo stoccaggio e il deposito.
398
SPERA, in c.s. Non è tra l’altro escluso che tali proprietà, forse
anche con alcuni degli edifici residenziali nell’area, potessero far
parte di quel gruppo di domus vel horrea intra urbe Roma, dono di
Costantino al battistero lateranense, di certo di consistenza significativa perché con la rendita altissima di 2500 solidi (LP, I, p. 175).
394
395
58
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
a partire dal V secolo 399, ma che potrebbe essersi profilato con maggiore precocità in particolare in alcuni contesti 400.
Soprattutto valutando significative aderenze topografiche, diversi markers di produzione diffusi nella città
potrebbero essere ragionevolmente ascritti alle varie tipologie di enti ecclesiastici: a chiese titolari, giuridicamente connotate da autonomia amministrativa 401 e
perciò dotate, negli atti fondativi, anche di beni urbani
con rendite – nei casi più dettagliati dal Liber pontificalis sono attestati domus, balnea, pistrina, horti 402 –
, o, ancor più, per la connaturata vocazione ad un
servizio polivalente 403, a diaconie o a monasteri 404. Per
alcuni esempi delucidanti si ricordi che uno dei tituli
dell’area esquilina, forse quello di Marcellino e Pietro,
poteva avere alle dipendenze una fullonica, ipotizzabile
per l’attestazione di un lector de fullonices in un’epigrafe del V secolo da un cimitero della via Appia 405;
alla diaconia di S. Teodoro, alle pendici del Palatino, si
è proposto di associare attività produttive operanti nelle
prossimità 406; per la complessa rete di ateliers nell’area
del teatro di Balbo si sono ipotizzate dipendenze gestionali dal monastero di S. Lorenzo in pallacinis 407 e
pure valevoli in tal senso sono i resti di materiali per
lavorazioni artigianali in osso recuperati nel sito del monastero di S. Paolo fuori le mura 408.
Con il progressivo potenziarsi delle responsabilità del
vescovo verso la città, pure in senso materiale, entro i
primissimi anni dell’VIII secolo si accentua anche il suo
ruolo centrale nella rete artigianale urbana. Le testimonianze in questa direzione appaiono ricorrenti e inequivocabili soprattutto in rapporto alle attività produttive
per l’edilizia: a Giovanni VII (705-707) va ascritto il
primo laterizio bollato di sicura pertinenza pontificia 409,
utilizzato con probabilità nel restauro della rampa che
univa l’atrium Vestae al Palatino 410, il quale precede
quelli, più numerosi, sempre su tegole, con il monogramma di Adriano I (772-795) 411; nella stringatissima
biografia di Sisinnio, papa per soli venti giorni nel 708,
il biografo del Liber pontificalis si limita a segnalare
che, standogli particolarmente a cuore gli abitanti dell’Urbs (curam agens pro habitatoribus huius civitatis),
si era affrettato a ordinare di dequoquere calcarias ‘pro
restauratione murorum’ 412, come farà appena più tardi
Gregorio II (715-731) con un intervento diretto tra le
preoccupazioni iniziali del suo pontificato (exordio pontificatus sui calcarias dequoquere iussit) 413. Non può
mancare di cogliersi, in tali esplicitazioni, una sottoli-
399
DESTEFANIS 2013, particolare pp. 490-496. Che la Chiesa di
Roma disponesse di strutture specifiche per lo stoccaggio di prodotti sarà attestato più tardi da un noto passo di Gregorio di Tours
(Franc. 1, 10, in Monumenta Germaniae Historica, Scriptores rerum
merovingicarum, 1, 1, f.2, Hannoverae 1942, p. 477), relativo a horrea ecclesiae interessati da una inondazione tiberina del 589 (e perciò supposti in area peritiberina: GUERRINI 2010, p. 49), nonché dalla
biografia di Sabiniano che, in un momento di carestia, iussit aperire horrea ecclesiae (LP, I, p. 315).
400
Il caso di più interessante parallelo su questa linea interpretativa si riconosce nel complesso episcopale di Barcino, al quale si
è ipotizzato di correlare, forse già dalla fondazione nel IV secolo,
la continuità di uso di strutture produttive di tipo alimentare nelle
immediate adiacenze, un impianto per la lavorazione del vino, dotato di grandi dolia per lo stoccaggio, e un analogo organismo per
la produzione del garum (BONNET, BELTRÁN DE HEREDIA BERCERO,
pp. 77-78, BELTRÁN DE HEREDIA BERCERO 2013, pp. 656-657). Al
VI secolo possono essere riferiti i casi di Canosa (VOLPE, FAVIA,
GIULIANI et alii 2007, pp. 1116-1119; in generale sui casi pugliesi
chiarificanti della gestione diretta del vescovo di svariate attività produttive VOLPE, ROMANO, TURCHIANO 2013, pp. 565-574) e di Byllis (BEAUDRY, CHEVALIER, MUÇAJ 2013, pp. 1273-1274). Caratteri
generalmente polifunzionali negli sviluppi dell’insula episcopalis
ne segnano la storia: un caso esemplare, sulla base delle testimonianze letterarie, quello di Antiochia (SALIOU 2014, particolare p.
131).
401
Sulla struttura giuridico-amministrativa dei tituli soprattutto
PIETRI 1989.
402
LP, I, p. 171 (per il titulus Equitii), pp. 212-213 (per il titulus Damasi), pp. 212-222 (per il titulus Vestinae, al quale la fondatrice, che evidentemente ne era azionaria, devolve anche i 3/8 dei
vectigalia legati al passaggio delle merci dalla porta Nomentana).
Tali tipologie di beni risultano anche nelle donazioni di altre chiese
non titolari, urbane (il gruppo episcopale: LP, I, p. 175; S. Maria
Maggiore: LP, I, p. 233) e suburbane (S. Pietro, cui nel territorio
d’Oriente vengono destinati domus, horti, cellae, un balneum, un
pistrinum e una propina: LP, I, p. 177)
403
Supra, p. 00.
404
Sui monasteri come centri multiproduttivi cfr. soprattutto MARAZZI 2015 e i vari contributi in ERMINI PANI 2015.
405
ICUR IV, 11798; cfr. FERRUA 1975, p. 238 e MARTORELLI 1999,
p. 590
406
MILELLA 2004, MILELLA 2009. Incerto è il legame tra l’attività di produzione del vetro riferibile all’alto Medioevo e l’adiacente fondazione di S. Maria Antiqua (DB, contesto 46, indicatore
92; cfr. C. Palombi, supra, p. 000).
407
L. Vendittelli e M. Ricci in questi atti, dopo MANACORDA 2001
e ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001. Non può essere però trascurata la proposta recente di collocare il monastero, attestato per
la prima volta, come è noto, nella biografia di Adriano I (descrizione: in rovina), più ad est, in prossimità del titulus Marci, cui in
realtà il papa dell’VIII secolo affida la gestione (LANZANO 2006).
D’altra parte, sulla base di quanto considerato supra, non si può escludere che la produzione fosse direttamente, fino agli inizi dell’VIII
secolo, sotto il controllo statale.
408
Cfr. I. De Grossi Mazzorin in questi atti (e C. Palombi, supra,
p. 000).
409
STEINBY 1986, pp. 115-116.
410
LP, I, p. 385; AUGENTI 1996, pp. 56-58. Spunti generali in
DELOGU 2007.
411
STEINBY 1986, pp. 115-116 (e STEINBY 1973-1974).
412
LP, I, p. 388.
413
LP, I, p. 396. Sul tema anche SPERA 2011a, pp. 336-338.
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
neatura di una prerogativa ormai acquisita e dedotta dal
potere civile, che, si sa, della produzione della calce,
componente primaria per la solidità degli edifici, a
Roma eseguiva il controllo attraverso funzionari specifici, come il praepositus calcis dell’età teodericiana su
cui a lungo si dilunga una delle Variae di Cassiodoro 414.
In effetti nelle biografie dei papi dell’alto Medioevo
ricorrono frequenti richiami alle competenze episcopali
nell’organizzazione dei cantieri, con evidenti significati
ideologici, sia in relazione alla gestione dei circuiti di
produzione e approvvigionamento dei materiali, sia per
il coordinamento di maestranze e manodopera: alla fine
dell’VIII secolo Adriano I può disporre, per le fondazioni del portico diretto al santuario petrino, di plus quam
duodecim milia tufos recuperati a litore alvei fluminis 415 e ripristinare l’aqua Traiana predisponendo la reintegrazione delle fistulae, in gran parte asportate, con
multitudo plumbi 416; l’uso del piombo per il restauro
dei tetti ricorre anche nella biografia di Gregorio III a
proposito di un intervento a S. Maria Maggiore, che il
papa attua cum calce abuntantissimo seu chartis plumbeis 417. La responsabilità diretta sulle maestranze si
evince da altre testimonianze correlabili: Gregorio III,
promuovendo opere reintegrative di plurima pars murorum huius civitatis Romane, alimonia quoque artificum et pretium ad emendum calcem de proprio
tribuit, 418 come più tardi Adriano I, per il rinnovamento
di muri e turres, aveva garantito multa stipendia, tam
in mercedes eorum qui ipsum murum fabricaverunt,
quamque in ipsorum alimentis, simulque et in calce
atque diversis utilitatibus usque ad centum auri libras
expendit 419. L’efficiente rete di risorse materiali e umane
per la costruzione della mura vaticane di Leone IV, negli
anni centrali del IX secolo, su cui molto è stato detto
Var. 7, 17. In tal senso va ricordato che le categorie professionali legate alla produzione della calce sono anche le più controllate
e protette dalla legislazione tardoimperiale: C.Th. 14, 6, 1 (del 359)
e 14, 6, 3 (del 365) fissano la retribuzione di calcinai e carrettieri,
C.Th. 14, 6, 2 ratifica le norme sulle esenzioni fiscali degli stessi.
Anche per la produzione di laterizi è forse superfluo ricordare l’enfasi data nelle stesse Variae (1, 25) alla spinta produttiva di Teoderico (vd. STEINBY 1986, pp. 104-106; CAMILLI 1999). Sulla cura
edilizia nell’età teodericiana PANI ERMINI 1995 e PANI ERMINI 1999.
415
LP, I, p. 507.
416
LP, I, p. 504.
417
Cfr. anche Sergio I (LP, I, p. 375), a proposito del restauro
del tetto dei SS. Cosma e Damiano (supra, sull’uso del piombo). In
generale BAUER 2004.
418
LP, I, p. 420.
419
LP, I, p. 501.
420
Per semplicità si rimanda a PANI ERMINI 2000, particolare pp.
414
59
in un’accurata serie di studi 420, con la sua pesante portata ideologica, riflette bene la gestione di tali articolati
sistemi di produzione, i quali, a livello archeologico, in
generale, si traducono nelle attestazioni di cantieri complessi di buona tenuta tecnologica, sicuramente eccellenti rispetto alle coeve tendenze costruttive 421 e capaci
di imporsi ancora come modelli 422.
Se una ricerca mirata si spingesse oltre il X secolo,
valorizzando con sistematicità, oltre ai dati materiali,
soprattutto le copiose informazioni dei fondi archivistici
degli enti ecclesiastici 423, ne emergerebbe un già intuibile panorama molto ricco e articolato e si configurerebbero con sicurezza i contorni di un fenomeno
massiccio e l’evidenza di apparati più complessi, che
devono gradualmente tener conto del radicale riassetto
socio-istituzionale e delle famiglie emergenti della
nuova aristocrazia urbana 424, in buona parte protagonisti della ristrutturazione degli apparati produttivi del
pieno Medioevo 425.
(L. S.)
Bibliografia
AA. SS. = Acta Sanctorum, ed. Bollandisti.
ACAMPORA c.s. = L. ACAMPORA, L’area di S. Sabina all’Aventino: nuove acquisizioni da indagini archeologiche
e ricerche d’archivio, in Studi e Scavi sull’Aventino (20032015). Atti della giornata di studi (Roma, 24 marzo 2015),
c.s.
AIELLO 2001 = V. AIELLO, I rapporti tra centro e periferia in
epoca costantiniana. L’origine del magister officiorum,
in CRIFÒ 2001b, pp. 137-163.
AIT 2005 = I. AIT, Aspetti della produzione dei panni a Roma
nel basso Medioevo, in A. ESPOSITO, L. PALERMO (a cura
di), Economia e società a Roma tra Medioevo e Rinascimento. Studi dedicati ad Arnold Esch, Roma 2005, pp.
33-59.
409-412 con apparato critico esaustivo (e PANI ERMINI 1992); utile
anche l’inquadramento di MARAZZI 1994, pp. 262-264, con tutte le
iscrizioni relative ai lavori in appendice (pp. 276-277). L’entità dell’impresa ha fatto addirittura ipotizzare la spoliazione integrale di
contesti antichi ancora integri, come la pavimentazione del Foro di
Traiano (SANTANGELI VALENZANI, MENEGHINI 2004, p. 183).
421
SPERA 2011a, pp. 335-340 e SPERA, ESPOSITO, GIORGI 2011
per riflessioni in tal senso sulla base delle evidenze di cantiere a S.
Paolo fuori le mura.
422
Sulla cultura costruttiva more romano nell’alto Medioevo
d’Oltralpe EMERICK 2011.
423
Per le potenzialità della ricerca, esemplare il caso della piccola chiesa S. Maria domine quo vadis, che permette di associare
fonti e un’importante presenza monumentale: SPERA 1999, particolare pp. 427-428.
424
WICKHAM 2013, particolare pp. 221-306.
425
Infra, i contributi di Chris Wickham e Jean-Claude Maire Vigueur in questi stessi atti.
60
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
AMELOTTI, COSTAMAGNA 1995 = M. AMELOTTI, G. COSTAMAGNA, Alle origini del notariato italiano. Parte prima.
L’età romana, Milano 1995.
ANTONELLI, IACONE, PROSPERI et alii 2013 = S. ANTONELLI,
A. IACONE, S. PROSPERI, M. TORNESE, L’impianto metallurgico dell’Athenaeum: processi empirici tra “teoria e
metodi” ed esperienza archeologica, in BdA on line. Direzione Generale per le Antichità, IV, 2013/2-3-4, pp. 95112.
APPETTECCHIA, PALOMBI c.s. = A. APPETECCHIA, C. PALOMBI,
Le apparecchiature murarie: classificazione tipologica e
modalità costruttive, in SPERA, FILIPPI c.s.
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001 = M.S. ARENA, P. DELOGU, L. PAROLI, M. RICCI, L. SAGUÌ, L. VENDITTELLI (a
cura di), Roma dall’antichità al medioevo. Archeologia e
storia nel Museo Nazionale Romano Crypta Balbi, Milano 2001.
ARIZZA, PALOMBI 2012 = M. ARIZZA, C. PALOMBI, Cenni storico-topografici sulla via Flaminia tra il V e il VI miglio,
in ROSSI 2012, pp. 46-83.
Artigianato e tecnica 1971 = Artigianato e tecnica nella società dell’alto medioevo occidentale. XVIII Settimana di
studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo
(Spoleto, 2-8 aprile 1970), Spoleto 1971.
Atlante di Roma antica = A. CARANDINI, P. CARAFA (a cura
di), Atlante di Roma antica. Biografia e ritratti della città.
1. Testi e immagini. 2. Tavole e indici, Milano 2012.
AUGENTI 1996 = A. AUGENTI, Il Palatino nel Medioevo. Archeologia e topografia. Secoli VI-XIII, Roma 1996.
AUGENTI 2010 = A. AUGENTI, Roma tra la tarda Antichità e
l’alto Medioevo: temi e prospettive della ricerca archeologica, in Reti Medievali Rivista, XI, 2, luglio-dicembre,
2010, pp. 101-116.
BALDASSARRI 2008-2009 = P. BALDASSARRI, Indagini archeologiche a Palazzo Valentini: domus di età imperiale
ai margini del Foro di Traiano, in RendPontAc, 81, 20082009, pp. 234-384.
BALDINI LIPPOLIS, GUAITOLI 2009 = I. BALDINI LIPPOLIS, M.T.
GUAITOLI (a cura di), Oreficeria antica e medievale. Tecniche, produzioni e società, Bologna 2009.
BALLARDINI 2008 = A. BALLARDINI, Scultura per l’arredo liturgico nella Roma di Pasquale I. Tra modelli paleocristiani e Flechtwerk, in A.C. QUINTAVALLE (a cura di),
Medioevo. Arte e storia. Atti del convegno internazionale
di studi (Parma, 18-22 settembre 2007), Milano 2008, pp.
225-246.
BALLARDINI 2010 = A. BALLARDINI, Scultura a Roma: standards qualitativi e committenza (VIII secolo), in V. PACE,
L’VIII Secolo: un secolo inquieto. Atti del Convegno internazionale di studi (Cividale del Friuli, 4-7 dicembre
2008), Udine 2010, pp. 141-148.
BANDINI 2009 = G. BANDINI, Notizie sugli artigiani ceramisti a Roma tra Quattrocento e Cinquecento, in FROMMELL,
PENTIRICCI 2009, II, pp. 497-505.
BARAGLI 1998 = S. BARAGLI, L’uso della calce nei cantieri
medievali (Italia centro-settentrionale): qualche considerazione sulla tipologia delle fonti, in AArchit, III, 1998,
pp. 125-139.
BARBERA, PARIS 1996 = M. BARBERA, R. PARIS (a cura di),
Antiche stanze. Un quartiere di Roma imperiale nella
zona di Termini. Museo Nazionale Romano Terme di Diocleziano (Roma, dicembre 1996-giugno 1997), Milano
1996.
BARKER 2010 = S. BARKER, Roman builders-Pillagers or salvagers? The economics of deconstruction an reuse, in S.
CAMPOREALE, H. DESSALES, A. PIZZO (edd.), Arqueología
de la costrucción II. Los procesos constructivos en el
mundo romano: Italia y provincias orientales, MadridMérida 2010, pp. 127-142 (Anejos de Archivo Español de
Arqueología, LVII).
BARNWELL 1992 = P.S. BARNWELL, Emperor, Prefects, &
Kings. The Roman West, 395-565, Chapell Hill-London
1992.
BARRESI 2002 = P. BARRESI, Il ruolo delle colonne nel costo
degli edifici pubblici, in DE NUCCIO, UNGARO 2002, pp.
69-81.
BARSANTI 1989 = C. BARSANTI, L’esportazione di marmi dal
Proconneso nelle regioni pontiche durante il IV-VI secolo,
in RIA, 3, 1989, pp. 91-220.
BAUER 1996 = F.A. BAUER, Stadt, Platz und Denkmal in der
Spätantike. Untersuchungen zur Ausstattung der öffentlichen Raums in der spätantiken Stadten Rom, Kostantinopel und Ephesos, Mainz a. Rh. 1996.
BAUER 2004 = F.A. BAUER, Das Bild der Stadt Rom im Frühmittelalter. Papststiftungen im Spiegel des Liber Pontificalis von Gregor dem Dritten bis zu Leo dem Dritten,
Wiesbaden 2004.
BEAUDRY, CHEVALIER, MUÇAJ 2013 = N. BEAUDRY, P. CHEVALIER, S. MUÇAJ, Les coulisses d’une cathédral: le quartier épiscopal de Byllis (Albanie) au VIe siècle, in BRANDT,
CRESCI, LÓPEZ QUIROGA et alii 2013, 2, pp. 1269-1277.
BELAMARIČ 2004 = J. BELAMARIČ, Gynaeceum Iovense Dalmatiae - Aspalatho, in A. DEMANDT, A. GOLTZ, H.
SCHLANGE-SCHÖNINGEN (edd.), Diokletian und die Tetrarchie: Aspekte einer Zeitenwende, Berlin-New York
2004, pp. 141-162.
BELTRÁN DE HEREDIA BERCERO 2013 = J. BELTRÁN DE HEREDIA BERCERO, Topografía de los grupos episcopales urbanos: Barcelona, in BRANDT, CRESCI, LÓPEZ QUIROGA et
alii 2013, 1, pp. 649-664.
BERNARD 2014 = J.-F. BERNARD (a cura di), «Piazza Navona,
ou Place Navone, la plus belle & la plus grande». Du
stade de Domitien à la place moderne, histoire d’une évolution urbaine, Roma 2014 (Collection de l’École française de Rome, 493).
BERTELLI, BROGIOLO 2000 = C. BERTELLI, G.P. BROGIOLO, Il
futuro dei Longobardi: l’Italia e la costruzione dell’Europa di Carlo Magno. Catalogo della mostra, Milano
2000.
BERTINETTI 2010 = M. BERTINETTI, Note preliminari sul quadro archeologico del territorio del Municipio XVII. Nuove
indagini e dati pregressi messi a confronto, in EGIDI, FILIPPI, MARTONE 2010, pp. 27-38.
BERTOLINI 1947 = O. BERTOLINI, Per la storia delle diaconie
romane nell’Alto Medioevo, in ArchStorRom, 70, 1947,
pp. 1-45.
BETTI SESTIERI, AGOSTINELLI, ATTILIA 1985 = A.M. BETTI SESTIERI, M. AGOSTINELLI, L. ATTILIA (a cura di), Roma Archeologia nel centro. I. L’area archeologica centrale. II.
La città murata, Roma 1985 (Lavori e studi di archeologia 6, 1-2).
BIANCHI 1996 = G. BIANCHI, Trasmissione dei saperi tecnici
e analisi dei procedimenti costruttivi di età medievale, in
AArchit, I, 1996, pp. 53-64.
BISCONTI 2000 = F. BISCONTI, Mestieri nelle catacombe ro-
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
mane: appunti sul declino dell’iconografia del reale nei
cimiteri cristiani di Roma, Città del Vaticano 2000.
BISCONTI, DEL MORO 1999 = F. BISCONTI, M.P. DEL MORO,
Via Latina 135: cronaca di un intervento di urgenza, in
RACr, LXXV, 1999, pp. 11-94.
BONACASA CARRA 2000 = R. BONACASA CARRA, Gli ossi e
avori “alessandrini” a Roma, in ENSOLI, LA ROCCA 2000,
pp. 353-358.
BONNET, BELTRÁN DE HEREDIA BERCERO 2010 = CH. BONNET,
J. BELTRÁN DE HEREDIA BERCERO, The origins and evolutions of the episcopal buldings in Barcino: from early
Christian time to the Visigotic era, in J. BELTRÁN DE HEREDIA BERCERO (ed.), From Barcino to Barcinona (Ist to
7th centuries). The archaeological remains of Plaça del
Rei in Barcelona, Barcelona s.d. 2010, pp. 74-93.
BOWERSOCK, BROWN, GRABAR 1999 = G.W. BOWERSOCK, P.
BROWN, O. GRABAR, Late Anquity. A Guide to the Postclassical World, Cambridge-London 1999.
BRANDENBURG 2004 = H. BRANDENBURG, Le prime chiese di
Roma, IV-VII secolo. L’inizio dell’architettura ecclesiastica occidentale, Milano 2004.
BRANDENBURG 2009 = H. BRANDENBURG, Die Architektur
von San Paolo fuori le mura. Baudekoration und Nutzung
von Magazinmaterial im späteren 4. Jh., in RM, 115,
2009, pp. 143-201.
BRANDIZZI VITTUCCI 1988 = P. BRANDIZZI VITTUCCI, Circo
Massimo. Contributi di scavo per la topografia medievale, in Archeologia Laziale, IX, 1988, pp. 406-416.
BRANDIZZI VITTUCCI 1991 = P. BRANDIZZI VITTUCCI, L’emiciclo del Circo Massimo nell’utilizzazione post classica,
in MEFRA, 103, 1991, pp. 7-40.
BRANDT, CRESCI, LÓPEZ QUIROGA et alii 2013 = O. BRANDT,
S. CRESCI, J. LÓPEZ QUIROGA, C. PAPPALARDO (a cura di),
Episcopus, civitas, territorium. Acta XV Congressus Internationalis Archaeologiae Christianae (Toleti, 8-12 settembre 2008), Città del Vaticano 2013.
BRANDT, PERGOLA 2011 = O. BRANDT, PH. PERGOLA (a cura
di), Marmoribus vestita. Miscellanea in onore di Federico Guidobaldi, Città del Vaticano 2011.
BRAUN 1850 = E. BRAUN, I. Scavi. a. Scavi nel vicolo delle
Palme, in BdI, 1850, pp. 33-35.
BRENK 2002 = B. BRENK, L’anno 410 e il suo effetto sull’arte
chiesastica a Roma, in GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI
2002, 3, pp. 1001-1018.
BROCATO, TERRENATO 2012 = P. BROCATO, N. TERRENATO,
Nuove ricerche nell’area archeologica di S. Omobono a
Roma, Rossano 2012.
BROGIOLO 2011 = G.P. BROGIOLO, Le origini della città medievale, Mantova 2011.
BRUCCHIETTI, OLMEDA 2006 = M. BRUCCHIETTI, E. OLMEDA,
Via della Pineta Sacchetti, via Sorelle Marchisio. Note preliminari, in BCom, CVII, 2006, pp. 293-301.
BRUTO, MESSINEO, VANNICOLA 1984 = M.L. BRUTO, G. MESSINEO, C. VANNICOLA, Grottarossa. Considerazioni preliminari sul mausoleo c.d. a pianta stellare (km 9), in
BCom, LXXXIX, 1984, pp. 155-166.
BRUUN 1991 = CH. BRUUN, The water supply of ancient
Rome. A study of Roman imperial administration, Helsinki 1991.
BRUUN 1991-1992 = C. BRUUN, Iscrizioni trascurate su fistule acquarie di Roma e dell’Italia centrale, in RendPontAc, 64, 1991-1992, pp. 235-249.
61
BRUUN 1997 = CH. BRUUN, - Acquedotti e condizioni sociali
di Roma imperiale. Immagini e realtà, in La Rome impériale 1997, pp. 121-155.
BRUUN 2000 = CH. BRUUN, - Il funzionamento degli acquedotti romani, in Roma imperiale. Una metropoli antica,
Roma 2000, pp. 137-172.
BRUUN, - SAASTAMOINEN 2003 = CH. BRUUN, - A. SAASTAMOINEN, Technology, Ideology, Water: From Frontinus to
the Renaissance and Beyond. Papers from a Conference
at the Institutum Romanum Finlandiae (May 19-20,
2000), Roma 2003.
BRUZZA 1870 = G. BRUZZA, Iscrizioni dei marmi grezzi, in
AdI, 42, 1870, pp. 105-204.
BULTRINI, STEMPERINI 2009 = S. BULTRINI, G. STEMPERINI,
Strutture produttive e luoghi di scambio nella Roma del
Settecento, in D. CALABI, P. MARINI, C.M. TRAVAGLINI (a
cura di), I Musei della Città, Roma 2009, pp. 347-390.
BUSANA, BASSO 2012 = M.S. BUSANA, P. BASSO (a cura di),
La lana nella Cisalpina romana. Economia e società.
Studi in onore di Stefania Pesavento Mattioli. Atti del convegno (Padova-Verona, 18-20 maggio 2011), Padova 2012
(Collana Antenor Quaderni, 27).
BUZZETTI, PISANI SARTORIO 1993 = C. BUZZETTI, G. PISANI
SARTORIO, s.v. Clivus Argentarius, in LTUR, I, Roma
1993, p. 280.
C.Just. = Corpus Iuris Iustinianeum.
C.Th. = Codex Theodosianus cum perpetuis commentariis Iacopi Gothofredi, 6, 1, Lipsiae 1736-1743 [ristampa Hildsheim-New York 1975].
CAGNANA 2008 = A. CAGNANA, Maestranze e opere murarie
nell’alto medioevo: tradizioni locali, magistri itineranti,
importazione di tecniche, in AMediev, XXXV, 2008, pp.
39-53.
CAMILLI 1999 = L. CAMILLI, s.v. Port(us) Lic(inii), in LTUR,
IV, Roma 1999, p. 154.
CANINA 1849 = L. CANINA, Scavi nel vicolo delle Palme in
Trastevere, in BdI, 1849, pp. 161-169.
CANINA 1850 = L. CANINA, II. Scavi. Sulle recenti scoperte
fatte nel vicolo delle Palme in Trastevere, in BdI, 1850,
pp. 108-112.
CAPANNA 2012 = M.C. CAPANNA, Regione VII. Via Lata, in
Atlante di Roma antica, pp. 477-492.
CAR = Carta Archeologica di Roma, a cura della Commissione per la Carta Archeologica d’Italia con la collaborazione della Ripartizione X-A.A. BB. A.A. del Comune
di Roma, Istituto Geografico Militare Firenze 1962-1997.
CAR 2005 = M.A. TOMEI, P. LIVERANI (a cura di), LTUR, Supplementum I.1. Carta Archeologica di Roma. Primo quadrante, Roma 2005.
CARBONARA, MESSINEO 1991-1992 = A. CARBONARA, G. MESSINEO, Via Nomentana. S. Alessandro (Circ. IV), in BCom,
XCIV, 1991-1992, pp. 118-155.
CARLÀ 2009 = F. CARLÀ, L’oro nella tarda antichità: aspetti
economici e sociali, Torino 2009.
CARLETTI 2002 = C. CARLETTI, Dalla «pratica aperta» alla
«pratica chiusa»: produzione epigrafica a Roma tra V e
VIII secolo, in Roma fra Oriente e Occidente. Settimane
di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo
XLIX (Spoleto, 19-24 aprile 2001), Spoleto 2002, pp.
325-392.
CASTELLO 2010 = M.G. CASTELLO, Tribunus et magister of-
62
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
ficiorum: cause di un’omissione in Giovanni Lido, in
ΚΟΙΝΩΝΙΑ, 34, 2010, pp. 161-180.
CECCHELLI 2010 = M. CECCHELLI, Temi di approfondimento
sul problema del servizio assistenziale, in Diakonia, diaconiae, diaconato. Semantica e storia nei Padri della
Chiesa. XXXVIII Incontro di studiosi dell’antichità cristiana (Roma, 7-9 maggio 2009), Roma 2010, pp. 539573.
CECCHINI 1985 = M. G. CECCHINI, Terme di Caracalla. Campagna di scavo 1982/83 lungo il lato orientale, in BETTI
SESTIERI, AGOSTINELLI, ATTILIA 1985, pp. 583-593.
CECI 2013 = M. CECI (a cura di), Contesti ceramici dai fori
imperiali, Oxford 2013 (BAR International Series, 2455).
CENTOFANTI 1999 = G. CENTOFANTI, I fabbri a Roma nel XVI
e XVII secolo, Roma 1999.
CHASTAGNOL 1960 = A. CHASTAGNOL, La Préfecture urbaine
à Rome sous le Bas-Empire, Paris 1960.
CHELOTTI, MORIZIO, SILVESTRINI 1990 = M. CHELOTTI, V.
MORIZIO, M. SILVESTRINI, Le epigrafi romane di Canosa,
II, Bari 1990.
CHIOCCI, GASSEAU, ROSSI et alii 2012 = P.F. CHIOCCI, L. GASSEAU, D. ROSSI, R. ZACCAGNINI, L’attività di spoglio e riuso
tra tardo antico ed età medievale, in ROSSI 2012, pp. 304330.
COATES-STEPHENS 1999 = R. COATES-STEPHENS, Le ricostruzioni altomedievali delle Mura Aureliane e degli acquedotti, in Roma dal IV all’VIII secolo: quale paesaggio
urbano? Dati da scavi recenti. Atti della seduta dei Seminari di archeologia cristiana (Roma, 13 marzo 1997),
in MEFRM, 111, 1999, pp. 209-225.
COATES-STEPHENS 2011 = R. COATES-STEPHENS, The Forum
Romanum in the Byzantine period, in BRANDT, PERGOLA
2011, pp. 385-408.
COLINI 1938a = A.M. COLINI, Piazza della Chiesa Nuova, in
BCom, LXVI, 1938, p. 260.
COLINI 1938b = A.M. COLINI, Notiziario. Regione IX - Circus Flaminius, in BCom, LXVI, 1938, p. 260.
CONTI, GIORDANI 2001 = C. CONTI, N. GIORDANI (a cura di),
Pondera: pesi e misure nell’antichità, Modena 2001.
CORSARO, DELFINO, DE LUCA et alii 2013 = A. CORSARO, A.
DELFINO, I. DE LUCA, R. MENEGHINI, Nuovi dati archeologici per la storia del Foro di Cesare tra la fine del IV
e la metà del V secolo, in LIPPS, MACHADO, VON RUMMEL 2013, pp. 123-136.
CORTONESI 1986 = A. CORTONESI, Fornaci e calcare a Roma
e nel Lazio nel Basso Medioevo, in G. GIAMMARIA (a cura
di), Scritti in onore di Filippo Caraffa, Anagni 1986, pp.
277-307 (Biblioteca Latium, 2).
CORTONESI 2002 = A. CORTONESI, Fornaci e calcare a Roma
e nel Lazio: secoli XIII-XV, in A. LANCONELLI, I. AIT (a
cura di), Maestranze e cantieri edili a Roma e nel Lazio.
Lavoro, tecniche, materiali nei secoli XIII-XV, Roma
2002, pp. 109-136.
CRACCO RUGGINI 1971 = L. CRACCO RUGGINI, Le associazioni professionali nel mondo romano-bizantino, in Artigianato e tecnica 1971, pp. 59-193.
CRIFÒ 2001a = G. CRIFÒ, L’uso delle fonti giuridiche nell’opera di André Chastagnol, in CRIFÒ 2001b, pp. 33-44.
CRIFÒ 2001b = G. CRIFÒ (a cura di), XIII Convegno Internazionale in Memoria di André Chastagnol. Atti dell‘Accademia Romanistica Costantiniana (Perugia, 1-4 ottobre
1997), Perugia 2001.
Crypta Balbi 1 = D. MANACORDA (a cura di), Archeologia
urbana a Roma: il progetto della Crypta Balbi, Firenze
1982.
Crypta Balbi 2 = D. MANACORDA (a cura di), Archeologia
urbana a Roma: il progetto della Crypta Balbi. 2. Un
«mondezzaro» del XVIII secolo. Lo scavo dell’ambiente
63 del Conservatorio di S. Caterina della Rosa, Firenze
1984.
Crypta Balbi 3 = D. MANACORDA (a cura di), Archeologia
urbana a Roma: il progetto della Crypta Balbi. 3. Il giardino del Conservatorio di S. Caterina della Rosa, Firenze
1985.
Crypta Balbi 4 = A. GABUCCI, L. TESEI (a cura di), Archeologia urbana a Roma: il progetto della Crypta Balbi. 4.
Il giardino del Conservatorio di S. Caterina della Rosa.
Supplemento, Firenze 1989.
Crypta Balbi 5 = L. SAGUÌ, L. PAROLI (a cura di), Archeologia urbana a Roma: il progetto della Crypta Balbi. 5.
L’esedra della Crypta Balbi nel Medioevo (XI-XV secolo), Firenze 1990.
CUVIGNY 2005 = H. CUVIGNY, L’organigramme du personnel d’une carrière impériale d’après un ostracon du Mons
Claudianus, in Chiron, 35, 2005, pp. 309-353.
D’ALESSIO 2012 = T. D’ALESSIO, Regione IX. Circus Flaminius, in Atlante di Roma antica, pp. 493-541.
D’AMELIO, ESPOSITO 2012 = M.G. D’AMELIO, D. ESPOSITO,
Il cantiere di smontaggio: la pietraia lungo la via Flaminia. Osservazioni sul recupero di materiali da costruzione, in ROSSI 2012, pp. 331-343.
D’ANNNOVILLE, FERRI 2014 = C.M. D’ANNOVILLE, A. FERRI,
Premiéres réflexions sur le stade de Domitien à la fin de
l’antiquité (IVe siècle-Ve siècle), in BERNARD 2014, pp. 237247.
DACL = F. CABROL, H. LECLERCQ, Dictionnaire d’Archéologie Chrétienne et de Liturgie, Paris 1907-1953.
DE FELICE 2012 = M. DE FELICE, La basilica Giulia nel Foro
Romano: storia ed archeologia di un edificio civile nelle
trasformazioni urbanistiche della città, in E. DE MINICIS
(a cura di), Archeologia delle strade. La viabilità in età
medievale: metodologie ed esempi di studio a confronto.
Atti del I Convegno Nazionale di Studi (Viterbo-Roma,
3-4 dicembre 2009), Roma 2012, pp. 195-218.
DE FRANCESCHINI 2005 = M. DE FRANCESCHINI, Ville dell’Agro
Romano, Roma 2005.
DE FRANCESCO 2002 = D. DE FRANCESCO, La basilica di S.
Saturnino sulla via Salaria Nova, in GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 2002, 2, pp. 611-624.
DE FRANCESCO 2004a = D. DE FRANCESCO, s.v. Figlinae civitas, in LTUR Suburbium, II, Roma 2004, p. 251.
DE FRANCESCO 2004b = D. DE FRANCESCO, La proprietà fondiaria nel Lazio, secoli IV-VIII storia e topografia, Roma
2004.
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI 2012 = J. DE GROSSI MAZZORIN, C. MINNITI, La lavorazione dell’osso e dell’avorio nella Roma antica, in Atti del VI Congresso
Internazionale di Archeozoologia (Parco dell’Orecchiella,
San Romano in Garfagnana-Lucca, 21-24 maggio 2009),
Lucca 2012, pp. 413-417.
DE MINICIS 2001 = E. DE MINICIS, I laterizi in età medievale.
Dalla produzione al cantiere. Atti del Convegno Nazionale di Studi (Roma, 4-5 giugno 1998), Roma 2001.
DE NUCCIO, UNGARO 2002 = M. DE NUCCIO, L. UNGARO (a
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
cura di), I marmi colorati della Roma imperiale, Venezia
2002.
DE ROSSI 1877 = G.B. DE ROSSI, La Roma sotterranea cristiana descritta ed illustrata dal Cav. G. B. de Rossi, pubblicata per ordine della Santità di N. S. Papa Pio Nono,
III, Roma 1877.
DE ROSSI 1881 = G.B. DE ROSSI, Vaso fittile con simboli ed
epigrafe abecedaria trovata in Cartagine presso un battistero, in Bullettino di Archeologia Cristiana, s. III, 6,
1881, pp. 136-139.
DE ROSSI 1886 = G.B. DE ROSSI, Il mausoleo degli Uranii cristiani a S. Sebastiano sull’Appia, in Bullettino di Archeologia cristiana, s. IV, 4, 1886, pp. 29-33.
DEFERRARI 1997 = G. DEFERRARI, Per un’archeologia della
produzione in conceria: possibili percorsi di indagine, in
S. GELICHI (a cura di), Atti del I congresso nazionale di
Archeologia Medievale (Pisa, 29-31 maggio 1997), Firenze
1997, pp. 363-368.
DEICHMANN 1976 = F.W. DEICHMANN, Ravenna. Hauptstadt
des spätantiken Abendlandes, Kommentar, II, 2, Wiesbaden 1976.
DELFINO, DE LUCA, MINNITI et alii 2013 = A. DELFINO, I. DE
LUCA, C. MINNITI, M. MUNZI, S. ZAMPINI, Lo scavo di una
fornace metallurgica nella taberna XI del Foro di Cesare,
in CECI 2013, pp. 93-127.
DELOGU 1998a = P. DELOGU (a cura di), Roma Medievale.
Aggiornamenti, Firenze 1998.
DELOGU 1998b = P. DELOGU, L’importazione di tessuti preziosi ed il sistema economico romano nel IX secolo, in
DELOGU 1998a, pp. 123-141.
DELOGU 2000 = P. DELOGU, Solium Imperii, urbs Ecclesiae.
Roma tra la tarda antichità e l’alto medioevo, in G. RIPOLL, J.M. GURT (a cura di), Sedes regiae, annis 400-800,
Barcellona 2000, pp. 83-108.
DELOGU 2001 = P. DELOGU, Il passaggio dall’Antichità al Medioevo, in A. VAUCHEZ (a cura di), Storia di Roma dall’antichità a oggi. Roma medievale, Roma-Bari 2001, pp.
3-40.
DELOGU 2007 = P. DELOGU, Rome in the ninth century: the
economic system, in J. HENNING (a cura di), Post-Roman
Towns. Trade and Settlement in Europe and Byzantium.
1. The Heirs of the Roman West, Berlin 2007, pp. 105122.
DELOGU 2010 = P. DELOGU, Le origini del medioevo. Studi
sul settimo secolo, Roma 2010.
DESTEFANIS 2013 = E. DESTEFANIS, Episcopato e proprietà
ecclesiastica: il ruolo del vescovo nella gestione delle risorse tra città e territorio (IV-VII secolo), in BRANDT, CRESCI, LÓPEZ QUIROGA et alii 2013, 1, pp. 483-498.
DI GIUSEPPE 2012 = H. DI GIUSEPPE, Lanifici e strumenti della
produzione nell’Italia centro-meridionale, in BUSANA,
BASSO 2012, pp. 479-496.
DI STEFANO MANZELLA 1997 = I. DI STEFANO MANZELLA (a
cura di), Le iscrizioni dei cristiani in Vaticano. Materiali
e contributi scientifici per una mostra epigrafica, Città
del Vaticano 1997.
DINUZZI, FUSCO 2009 = S. DINUZZI, U. FUSCO, Il territorio
tra il Tevere, l’Aniene e la via Nomentana, Roma 2009
(Quaderni della Carta dell’Agro Romano, 2).
DIOSONO 2008 = F. DIOSONO, Il legno. Produzione e commercio, Roma 2008.
DODGE, WARD PERKINS 1992 = H. DODGE, J.B. WARD PERKINS, Marble in Antiquity. Collected Papers of J.B. Ward-
63
Perkins, London 1992 (Archaeological monographs of the
British School at Rome, 6).
DOMERGUE, BORDES 2006 = C. DOMERGUE, J.L. BORDES,
Quelques nouveautés techniques dans les mines et la métallurgie à l’Epoque romainee: leur efficacité et leurs effects sur la producion, in E. LO CASCIO (a cura di),
Innovazione tecnica e progresso economico nel mondo romano. Atti degli incontri capresi di storia dell’economia
antica (Capri, 13-16 aprile 2003), Bari 2006, pp. 197-223.
DP = A. DI BERARDINO (a cura di), Nuovo Dizionario patristico e di antichità cristiane, I, Genova-Milano 20062010.
DUPRÉ RAVENTÓS, REMOLÀ 2000 = X. DUPRÉ RAVENTÓS, J.A.
REMOLÀ (a cura di), Sordes urbis. La eliminación de residuos en la ciudad romana. Actas de la reunión (Roma,
15-16 de noviembre de 1996), Roma 2000.
ECK 1982 = W. ECK, Die Fistulae aquariae der Stadt Rom.
Zum Einfluss des sozialen Status auf administratives Handeln, in Epigrafia e ordine senatorio. 1. Atti del Colloquio internazionale AIEGL (Roma, 14-20 maggio 1981),
Roma 1982, pp. 197-209.
Edictum de pretiis = M. GIACCHERO, Edictum Diocletiani et
collegarum de pretiis rerum venalium in integrum fere restitutum e Latinis Graecisque fragmentis. 1 (Edictum). 2
(Imagines), Genova 1974.
EDMONSON 1989 = J.C. EDMONSON, Mining in the Later
Roman Empire and beyond: Continuity or Disruption?,
in JRS, 79, 1989, pp. 84-102.
EGIDI, FILIPPI, MARTONE 2010 = R. EGIDI, F. FILIPPI, S. MARTONE (a cura di), Archeologia e infrastrutture. Il tracciato
fondamentale della linea C della metropolitana di Roma:
prime indagini archeologiche, Roma 2010 (BdA, volume
speciale).
EMERICK 2011 = J.J. EMERICK, Building more romano in
France during the third quarter of the eighth century: the
abbey church of Saint-Denis and its model, in R. MCKITTERICK, J. OSBORNE (a cura di), Rome Across Time and
Space. Cultural Transmission and the Exchange of Ideas
c. 500-1400, Cambridge 2011, pp. 127-150.
ENSOLI, LA ROCCA 2000 = S. ENSOLI, E. LA ROCCA (a cura
di), Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana,
Roma 2000.
ERMINI PANI 2015 = L. ERMINI PANI (a cura di), Teoria e pratica del lavoro nel monachesimo altomedievale. Atti del
Convegno internazionale di studio (Roma-Subiaco, 7-9
giugno 2013), Spoleto 2015 (De Re Monastica, IV).
ERMINI PANI, TRAVAGLINI 2010 = L. ERMINI PANI, C. TRAVAGLINI, Trastevere un’analisi di lungo periodo. Atti del
Convegno di studi (Roma, 13-14 marzo 2008), Roma
2010.
ESPOSITO 1998 = D. ESPOSITO, Tecniche costruttive murarie
medievali. Murature ‘a tufelli’ in area romana, Roma
1998.
ESPOSITO 2012 = D. ESPOSITO, “Pietraie” e “calcarari” a
Roma: recupero dei materiali da costruzione fra medioevo ed età moderna, in A.S. MELO, M.C.F. RIBEIRO (a
cura di), História da Construção Os Materiais, Braga
2012, pp. 59-76.
ESPOSITO, SANIDAS 2012a = A. ESPOSITO, G.M. SANIDAS, La
question de la concentration des activités Economiques
et le concept de «Quartiers d’artisans»: quelle approche?,
in ESPOSITO, SANIDAS 2012b, pp. 11-22.
ESPOSITO, SANIDAS 2012b = A. ESPOSITO, G.M. SANIDAS (a
64
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
cura di), «Quartiers» artisanaux en Grèce ancienne. Une
perspective méditerranéenne, Villeneuve d’Ascq 2012.
FANT 1989 = J.C. FANT, Cavum Antrum Phrygiae. The Organization and Operations of Roman Imperial Marble
Quarries in Phrygia, Oxford 1989.
FANT 1992 = J.C. FANT, The Roman imperial marble yard at
Portus, in Ancient stones. Quarrying, trade and provenance. Interdisciplinary studies on stones and stone technology in Europe and Near East from the prehistoric
to the Early Christian period. Second Meeting of the Association for the Study of Marble and Other Stones Used
in Antiquity (Leuven, October 16-20th 1990), Louvain
1992, pp. 115-120.
FANT 1993 = J.C. FANT, Ideology, gift, and trade. A distribution model for the Roman imperial marbles, in W.V. HARRIS (ed.), The inscribed economy. Production and
distribution in the Roman empire in the light of instrumentum domesticum. The proceedings of a conference
held at the American Academy (Rome, 10-11 January
1992), Ann Arbor 1993, pp. 145-170.
FASOLINO 2010 = F. FASOLINO, Prime considerazioni in tema
di tutela della salubritas fra III e I sec. a.C., in Teoria e
storia del diritto privato. Rivista internazionale online, 3,
2010, pp. 1-32 (http://www.teoriaestoriadeldirittopriv a t o . c o m / i n d e x . p h p ? c o m
=statics&option=index&cID=150).
FAUVINET RANSON 2006 = V. FAUVINET RANSON, Decor civitatis, decor Italiae. Monuments, travaux publics et spectables au VIe siècle d’après les Variae de Cassiodore, Bari
2006.
FELLE, DEL MORO, NUZZO 1994 = A.E. FELLE, M.P. DEL
MORO, D. NUZZO, Elementi di corredo-arredo delle tombe
del cimitero di S. Ippolito sulla via Tiburtina, in RACr,
LXX, 1994, pp. 89-158.
FELLETTI MAJ 1952 = B.M. FELLETTI MAJ, Roma. Ruderi in
relazione col lato S-O delle terme di Diocleziano, in NSc,
VI, 1952, pp. 33-41.
FERRANDES 2013 = A.F. FERRANDES, La media e tarda età
imperiale, in PANELLA 2013a, pp. 125-131.
FERRARI 1957 = G. FERRARI, Early Roman Monasteries. Notes
for the History of the Monasteries and Convents at Rome
from the V through the X century, Città del Vaticano 1957.
FERREA 1996 = L. FERREA, La casa della “lettiga capitolina”
ed altri materiali dal monte della Giustizia nelle collezioni capitoline, in BARBERA, PARIS 1996, pp. 36-57.
FERRUA 1942 = A. FERRUA, Epigrammata damasiana, Città
del Vaticano 1942.
FERRUA 1975 = A. FERRUA, Lavori a San Callisto, in RACr,
LI, 1975, pp. 213-240.
FILIPPI 1997 = G. FILIPPI, Tubo dell’acqua con iscrizione del
soprintendente Stefano (526), in DI STEFANO MANZELLA
1997, pp. 252-253.
FILIPPI 2008 = F. FILIPPI (a cura di), Horti et sordes. Uno scavo
alle falde del Gianicolo, Roma 2008.
FILIPPI 2010 = F. FILIPPI, Le indagini in Campo Marzio occidentale. Nuovi dati sulla topografia antica: il Ginnasio
di Nerone (?) e l’”Euripus”, in EGIDI, FILIPPI, MARTONE
2010, pp. 39-81.
FILIPPI 2013 = F. FILIPPI, Nuovi dati da Campo Marzio e Trastevere, in LIPPS, MACHADO, VON RUMMEL 2013, pp. 137150.
FILIPPI, SPERA 2009 = G. FILIPPI, L. SPERA, Il monastero altomedievale di San Paolo. Recenti indagini archeologi-
che nell’orto dell’Abbazia, in U. UTRO (a cura di), San
Paolo in Vaticano. La figura e la parola dell’Apostolo delle
Genti nelle raccolte pontificie, Todi 2009, pp. 140-142.
FIOCCHI NICOLAI 2009 = V. FIOCCHI NICOLAI, I cimiteri paleocristiani del Lazio. II. Sabina, Città del Vaticano 2009.
FIOCCHI NICOLAI 2012 = V. FIOCCHI NICOLAI, Considerazioni
sullo stato degli studi delle chiese suburbane di Roma, in
Hortus Artium Medievalium, 18, 2012, pp. 143-153.
FIOCCHI NICOLAI 2015 = V. FIOCCHI NICOLAI, Le iscrizioni
‘damasiane’ della chiesa di S. Ippolito a Porto: a proposito della topografia cristiana del Portus Romae, in C.
CARBONETTI, S. LUCÀ, M. SIGNORINI (a cura di), Roma e
il suo territorio nel Medioevo. Le fonti scritte tra tradizione e innovazione. Atti del Convegno internazionale di
studio dell’Associazione italiana dei Paleografi e Diplomatisti (Roma, 25-29 settembre 2012), Spoleto 2015, pp.
525-539.
FIORELLI 1877 = G. FIORELLI, Notizie degli scavi. Aprile, in
NSc, 1877, p. 80.
FIORELLI 1883 = G. FIORELLI, Notizie degli scavi. Aprile. Via
Ostiense, in NSc, 1883, pp. 130-131.
FIORELLI 1886 = G. FIORELLI, Roma. Regione VI, in NSc, 1886,
pp. 361-362.
FOGAGNOLO, ROSSI 2010 = S. FOGAGNOLO, F.M. ROSSI, Il Templum Pacis come esempio di trasformazione del paesaggio urbano e dimutamenti culturali dalla prima età
imperiale ai primi del ‘900, in BdA on line, I, 2010, volume speciale, pp. 31-46.
FORTUNATI 1859 = L. FORTUNATI, Relazione degli scavi e scoperte fatte lungo la via Latina redatta dallo stesso intraprendente escopritore Lorenzo Fortunati dall’ottobre
1857 all’ottobre 1858, Roma 1859.
FROMMEL, PENTIRICCI 2009 = C.L. FROMMEL, M. PENTIRICCI
(a cura di), L’antica basilica di San Lorenzo in Damaso.
Indagini archeologiche nel Palazzo della Cancelleria
(1988-1993), Roma 2009.
FRONZA, NARDINI, VALENTI 2009 = V. FRONZA, A. NARDINI,
M. VALENTI (a cura di), Informatica e archeologia medievale. L’esperienza senese, Firenze 2009.
FUNICIELLO, PRATURLON, GIORDANO 2008 = R. FUNICIELLO,
A. PRATURLON, G. GIORDANO, La Geologia di Roma: dal
centro storico alla periferia, Firenze 2008 (Memorie descrittive della Carta Geologica d’Italia, 80).
FUNICIELLO, TESTA 2008 = R. FUNICIELLO, O. TESTA, Cambiamenti morfologici e sviluppo urbano nella città di
Roma: il versante destro del Tevere, in FUNICIELLO, PRATURLON, GIORDANO 2008, pp. 261-274.
FUR = R. LANCIANI, Forma Urbis Romae, Milano 1893-1901.
GASPARRI 1979 = C. GASPARRI, Vasi antichi in pietra dura a
Firenze e Roma, in Prospettiva, 19, 1979, pp. 4-13.
GATTI 1887 = G. GATTI, Trovamenti riguardanti la topografia e la epigrafia urbana, in BCom, XV, 1887, pp. 13-24.
GATTI 1894 = G. GATTI, Roma. Nuove scoperte nella città e
nel suburbio. Via Flaminia, in NSc, 1894, pp. 142-143.
GIANNICHEDDA 2006 = E. GIANNICHEDDA, Uomini e cose. Appunti di archeologia, Bari 2006.
GIANNICHEDDA 2007 = E. GIANNICHEDDA, Metal Production
in Late Antiquity; from Continuity of Knowledge to Changes in Consumption, in LAVAN, ZANINI, SARANTIS 2007,
pp. 187-209.
GIANNICHEDDA 2014 = E. GIANNICHEDDA, Archeologia della
produzione, in S. GELICHI (a cura di), Quarant’anni di Ar-
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
cheologia Medievale in Italia. La rivista, i temi, la teoria e i metodi, in AMediev, numero speciale, 2014, pp.
75-94.
GIARDINA 1977 = A. GIARDINA, Aspetti della burocrazia del
tardo impero, Roma 1977.
GIARDINA 2011 = A. GIARDINA (a cura di), Roma antica, Bari
2011.
GIGLI 1971 = E. GIGLI, Cosa c’è sotto Roma? Monte Mario,
Vaticano, Gianicolo: una sola origine, in Capitolium, 46,
7/8, 1971, pp. 33-60.
GIOIA 2008 = P. GIOIA (a cura di), Torre Spaccata, Roma
S.D.O. le indagini archeologiche, Roma 2008.
GIOIA, VOLPE 2004 = P. GIOIA, R. VOLPE (a cura di), Centocelle I. Roma S.D.O. le indagini archeologiche, Roma
2004.
GIORDANI 2007 = R. GIORDANI, La scoperta della catacomba
sotto la Vigna Sanchez e la nascita degli studi di antichità cristiane, in RACr, LXXXIII, 2007, pp. 277-315.
GIULIANI, VERDUCHI 1987 = C.F. GIULIANI, P. VERDUCHI,
L’area centrale del Foro Romano, Firenze 1987.
GIUNTELLA 2001 = A. GIUNTELLA, Gli spazi dell’assistenza e
della meditazione, in Roma nell’alto medioevo. Settimane
di studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo
XLVIII (Spoleto, 27 aprile-1 maggio 2000), Spoleto 2001,
pp. 639-691.
GIUSTINI 1997 = L. GIUSTINI, Fornaci e laterizi a Roma dal
XV al XIX secolo, Roma 1997.
GRASSI 2011 = E. GRASSI, Ricerche di archeometallurgia in
Italia settentrionale: il caso di Milano in età romana, in
C. GIARDINO (a cura di), Archeometallurgia: dalla conoscenza alla fruizione. Atti del Workshop (Cavallino, 2225 maggio 2006), Bari 2011, pp. 161-168 (Beni
Archeologici-Conoscenza e Tecnologia, 8).
GUERRINI 2010 = P. GUERRINI, Il Trastevere nella tarda antichità e nell’altomedioevo: continuità e trasformazioni
dal IV all’VIII secolo, in ERMINI PANI, TRAVAGLINI 2010,
pp. 35-96.
GUERRINI 2011 = P. GUERRINI, Theodericus rex nelle testimonianze epigrafiche, in Temporis Signa, Archeologia
della tarda antichità e del medioevo, VI, 2011, pp. 133174.
GUIDOBALDI 1986 = F. GUIDOBALDI, L’edilizia abitativa unifamiliare nella Roma tardoantica, in A. GIARDINA (a cura
di), Società romana e impero tardo antico. 2. Roma. Politica, economia, paesaggio urbano, Roma 1986, pp. 165237.
GUIDOBALDI 1995 = F. GUIDOBALDI, s.v. Domus: Albinus, in
LTUR, II, Roma 1995, pp. 28-29.
GUIDOBALDI 2014 = F. GUIDOBALDI, Un estesissimo intervento
urbanistico nella Roma dell’inizio del XII secolo e la
parziale perdita della “ memoria topografica “ della città
antica, in MEFRM, 126, 2, 2014, pp. 00-00.
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 2002 = F. GUIDOBALDI, A.
GUIGLIA GUIDOBALDI (a cura di), Ecclesiae Urbis. Atti del
Congresso Internazionale di studi sulle chiese di Roma
(IV-X secolo) (Roma, 4-10 settembre 2000), Città del Vaticano 2002.
GÜLL 1997 = P. GÜLL, Fornaci di ceramica e organizzazione
del lavoro a Roma tra basso medioevo ed epoca moderna:
fonti scritte e documentazione archeologica, in G. DE
BOE, F. VERHAEGHE (edd.), Material Culture in Medieval
Europe. Papers of the “Medieval Europe Brugge 1997”.
Conference. 7, Zellik 1997, pp. 107-110.
65
GÜLL 2003 = P. GÜLL, L’industrie du quotidien: production,
importations et consommation de la céramique à Rome
entre XIVe et XVIe siècle, Roma 2003.
GUYON 1974 = J. GUYON, La vente des tombes à travers l’épigraphie de la Rome chrétienne (IIIe-VIIe siècles): le rôle
des fossores, mansionarii, praepositi et prêtres, in
MEFRA, 85, 1974, pp. 549-596.
GUYON, MANACORDA, STRÜBER 1981 = J. GUYON, D. MANACORDA, L. STRÜBER, Recherches autour de la basilique
constantinienne des Saints Pierre et Marcellin sur la via
Labicana à Rome: le mausolée et l’enclos au nord de la
basilique, in MEFRA, 93, 2, 1981, pp. 999-1061.
HERRMANN 1988 = J.J. HERRMANN, The Ionic capital in late
antique Rome, Roma 1988.
HERRMANN 1988 = P. HERRMANN, Chresimus, procurator lapicidinarum. Zur Verwaltung der kaiserlichen Steinbrüche in der Provinz Asia, in Tyche, 3, 1988, pp. 119-128.
HIRT 2010 = A.M. HIRT, Imperial Mimes and Quarries in the
Roman World. Organizational Aspects 27 BC-AD 235, Oxford-New York 2010.
HOSTETTER, BRANDT 2009 = E. HOSTETTER, J.R. BRANDT, Palatine East Excavations I. Stratigraphy and Architecture,
Roma 2009.
HUBERT 1990 = É. HUBERT, Espace urbain et habitat à Rome:
du X siècle à la fin du XIII siècle, Roma 1990.
HÜLSEN 1910 = CH. HÜLSEN, Die Thermen des Agrippa, Rom
1910.
HÜLSEN 1927= CH. HÜLSEN, Le chiese di Roma nel Medioevo, Roma 1927 (rist. anast. Roma 2000).
HÜLSEN, CECCHELLI, GIOVANNONI et alii 1924 = CH. HÜLSEN,
C. CECCHELLI, G. GIOVANNONI, U. MONNERET DE VILLARD, A. MUÑOZ, Sant’Agata dei Goti, Roma 1924.
ICUR = Inscriptiones Christianae Urbis Romae septimo saeculo antiquiores, Nova series, I-X, edd. A. Silvagni, A.
Ferrua, D. Mazzoleni, C. Carletti, Roma-Città del Vaticano 1922-1992.
IMPERIALE 2012 = M.L. IMPERIALE, Signa Apostolorum Petri
et Pauli. Note sulla produzione delle “quadrangulae” di
pellegrinaggio a Roma, in F. REDI, A. FORGIONE (a cura
di), Atti del VI Congresso Nazionale di Archeologia
(l’Aquila, 12-15 settembre 2012), Firenze 2012, pp. 698703.
INGLESE 2014 = C. INGLESE, Progetti sulla pietra, Roma 2014.
JONES 1964 = A.H.M. JONES, The Later Roman Empire, 284602: A Social, Economic and Administrative Survey,
Oklaoma 1964.
JONES 1974 = A.H.M. JONES, Il tardo romano impero (284602), 2, Milano 1974.
L’Urbs = L’Urbs. Espace urbain et histoire (Ier siècle av. J.C. - IIIe siècle ap. J.-C.). Actes du Colloque International (Roma, 8-12 mai 1985), Roma 1987 (CEFR, 98).
La Rome impériale 1997 = La Rome impériale. Démographie et logistique. Actes de la table ronde (Rome, 25 mars
1994), École française de Rome 1997 (Collection de
l’École française de Rome, 230).
LANCIANI 1872-1873 = R. LANCIANI, Elenco degli oggetti di
arte antica, scoperti e conservati per cura della Commissione Archeologica Municipale, da Giugno 1972 al Dicembre 1873. Sezione terza. Bronzi e monete, in BCom,
I, 1872-1873, pp. 300-306.
LANCIANI 1881a = R. LANCIANI, Le acque e gli acquedotti di
66
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
Roma antica. I commentari di Frontino intorno le acque
e gli acquedotti. Silloge epigrafica acquaria, Roma 1881.
LANCIANI 1881b = R. LANCIANI, Roma. Delle vicende del Pantheon, in NSc, 1881, pp. 282-294.
LANCIANI 1886 = R. LANCIANI, Delle scoperte avvenute nei
disterri pel palazzo della Banca Nazionale, in BCom,
XIV, 1886, pp. 184-191.
LANCIANI 1891 = R. LANCIANI, Officina marmoraria della regione XIII, in BCom, XIX, 1891, pp. 23-36.
LANCIANI 1922 = R. LANCIANI, Studi d’artisti nella Roma antica, in BCom, L, 1922, pp. 3-12.
LANCIANI 1989-2002 = R. LANCIANI, Storia degli scavi di
Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità,
I (1000-1530), II (1531-1549), III (1550-1565), IV (15661605), V (1605-1700), VI (1700-1878), VII (indici analitici), Roma 1989-2002.
LANZANO 2006 = LANZANO, Ricerche sulla topografia di
Roma nel Medioevo. Il vicus Pallacinae, in Temporis
signa. Archeologia della tarda antichità e del medioevo,
I, 2006, pp. 207-309.
LANZINI 2013 = M. LANZINI, Storia geologica del territorio,
in D. ROSSI, M. DI MENTO (a cura di), La catacomba
ebraica di Monteverde: vecchi dati e nuove scoperte,
Roma 2013, pp. 109-122.
LANZINI, MAZZA, CAPELLI 2008 = M. LANZINI, R. MAZZA, G.
CAPELLI, Le antiche alluvioni del Tevere ed i dissesti storici (Prati-Balduina XVII Municipio), in FUNICIELLO, PRATURLON, GIORDANO 2008, pp. 185-194.
LAVAN 2007 = L. LAVAN, Explaining technological change:
innovation, stagnation, recession and replacement, in
LAVAN, ZANINI, A. SARANTIS 2007, pp. XV-XL.
LAVAN, ZANINI, SARANTIS 2007 = L. LAVAN, E. ZANINI, A. SARANTIS (edd.), Technology in Transition A.D. 300-650, Leiden 2007 (Late Antique Archaeology, 4).
LEGA 1997 = C. LEGA, Epitaffio dell’argentiere e banchiere
Iulianus, in DI STEFANO MANZELLA 1997, pp. 321-322.
LIEBESCHUTZ 2000 = W. LIEBESCHUTZ, Rubbish Disposal in
Greek and Roman Cities, in DUPRÉ RAVENTÓS, REMOLÀ
2000, pp. 51-61.
LIPINSKI 1975 = A. LIPINSKI, Oro, argento, gemme e smalti.
Tecnologia delle arti dalle origini alla fine del Medioevo,
Firenze 1975.
LIPPS, MACHADO, VON RUMMEL 2013 = J. LIPPS, C. MACHADO, PH. VON RUMMEL (a cura di), The Sack of Rome
in 410 AD. The Event, its Context and its Impact, Ludwig 2013.
LO CASCIO 1997 = E. LO CASCIO, Le procedure di „recensus“ dalla tarda repubblica al tardo antico e il calcolo
della popolazione di Roma, in La Rome impériale 1997,
pp. 3-76.
LO CASCIO 2000 = E. LO CASCIO, Il popolamento, in ENSOLI,
LA ROCCA 2000, pp. 52-54.
LO CASCIO 2013 = E. LO CASCIO, La popolazione di Roma
prima e dopo il 410, in LIPPS, MACHADO, VON RUMMEL
2013, pp. 411-421.
LOPEZ 1971 = R.S. LOPEZ, Discorso inaugurale, in Artigianato e tecnica 1971, pp. 15-39.
LORETI, MARTORELLI 2000 = E.M. LORETI, R. MARTORELLI,
La via Portuense dall’epoca tardo antica all’età di Gregorio Magno. Continuità e trasformazioni, in PH. PERGOLA, R. SANTANGELI VALENZANI, R. VOLPE (a cura di),
Suburbium. Il suburbio di Roma dalla crisi del sistema
delle ville a Gregorio Magno. Atti delle giornate di studio sul suburbio romano (Roma, 16-18 marzo 2000),
Roma 2003, pp. 367-397.
LP = Le Liber Pontificalis. Texte, introduction et commentaire, I-II, éd. L. Duchesne, Paris 1886-1892; III, éd. C.
Vogel, Paris 1957.
LTUR Suburbium = Lexicon Topographicum Urbis Romae,
Suburbium, Roma 2001-2008.
LUMACONE 2008 = A. LUMACONE, I manufatti in osso, in R.
DEL SIGNORE (a cura di), Palazzo Valentini: l’area tra antichità ed età moderna: scoperte archeologiche e progetti
di valorizzazione, Roma 2008, pp. 145-150.
MAETZKE 2001 = G. MAETZKE, Foro Romano. Scavo nell’area
nord-occidentale, in ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001,
pp. 595-596.
MAIRE VIGUEUR 2011 = J-C. MAIRE VIGUEUR, L’altra Roma:
una storia dei romani all’epoca dei comuni (secoli XIIXIV), Torino 2011.
MAISCHBERGER 1997 = M. MAISCHBERGER, Marmor in Rom.
Anlieferung, Lager- und Werkplätze in der Kaiserzeit,
Wiesbaden 1997 (Palilia, 1).
MANACORDA 1985 = D. MANACORDA, Crypta Balbi, 19811983. Aspetti di archeologia urbana, in BETTI SESTIERI,
AGOSTINELLI, ATTILIA 1985, pp. 546-553.
MANACORDA 1993 = D. MANACORDA, Trasformazioni dell’abitato nel Campo Marzio: l’area della «Porticus Minucia», in PAROLI, DELOGU 1993, pp. 31-51.
MANACORDA 2000 = D. MANACORDA, Sui mondezzai di Roma
tra antichità e età moderna, in DUPRÉ RAVENTÓS, REMOLÀ
2000, pp. 63-73.
MANACORDA 2001 = D. MANACORDA, Crypta Balbi. Archeologia e storia di un paesaggio urbano, Milano 2001.
MANACORDA 2002 = D. MANACORDA, Un nuovo frammento
della Forma Urbis e le calcare romane del Cinquecento
nell’area della Crypta Balbi, in MEFRA, 114, 2, 2002,
pp. 693-715.
MANACORDA, ZANINI 1989 = D. MANACORDA, E. ZANINI, The
first millennium A.D. in Rome. From the Porticus Minucia to the via delle Botteghe Oscure, in K. RONDSBORG (a
cura di), The birth of Europe. Archaeology and social development in the first millennium A.D. International archaeological symposium (Rome, 14th-17th January 1987),
Roma 1989, pp. 25-32 (Analecta Romana-Instituti Danici,
suppl. 16).
MANACORDA, ZANINI 1997 = D. MANACORDA, E. ZANINI, Il
tempio di via delle Botteghe Oscure. Tra stratigrafia, topografia e storia, in Ostraka, 6, 1997, pp. 249-293.
MANGO 2004 = C. MANGO, Le développement urbain de Constantinople (IVe-VIIe siècles), Paris 2004³.
MANNONI 1990 = T. MANNONI, Rifiuti delle arti del fuoco, in
Crypta Balbi 5, pp. 603-604.
MANNONI, GIANNICHEDDA 1996 = T. MANNONI, E. GIANNICHEDDA, Archeologia della produzione, Torino 1996.
MARANO 2015 = Y. MARANO, Cassiodorus on marble, in P.
PENSABENE, E. GASPARINI (a cura di), ASMOSIA X. Interdisciplinary Studies on Ancient Stone, Proceedings of the
Tenth International Conference of ASMOSIA. Association
for the Study for the Study of Marble and Other Stones
in Antiquity (Rome, 21-26 May 2012), Roma 2015, pp.
997-1002.
MARAZZI 1994 = F. MARAZZI, Le “città nuove” pontificie e
l’insediamento laziale nel IX secolo, in R. FRANCOVICH,
G. NOYÉ (a cura di), La storia dell’alto medioevo italiano
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
(VI-X secolo) alla luce dell’archeologia, Firenze 1994, pp.
251-277.
MARAZZI 2001 = F. MARAZZI, Sigilli dai depositi di VII e VIII
secolo dell’esedra della Crypta Balbi, in ARENA, DELOGU,
PAROLI et alii 2001, pp. 257-265.
MARAZZI 2015 = F. MARAZZI, I luoghi della produzione artigianale nei monasteri altomedievali europei. Un excursus sulla base delle fonti scritte e archeologiche, in ERMINI
PANI 2015, pp. 231-265.
MARCELLI, MUNZI 2007 = M. MARCELLI, M. MUNZI, Roma
medievale e l’acqua, in S. LE PERA, R. TURCHETTI (a cura
di), I giganti dell’acqua. Acquedotti romani del Lazio
nelle fotografie di Thomas Ashby (1892-1925), Roma
2007, pp. 35-47.
MARCHETTI LONGHI 1919 = G. MARCHETTI LONGHI, Le contrade medievali nella zona in «Circo Flaminio»: il «Calcarario», in ArchStorRom, 42, 1919, pp. 401-535.
MARCHETTI, TOMEI 2001 = P. MARCHETTI, M.A. TOMEI, Castel Sant’Angelo. Sottopasso. Scavi e indagini preliminari,
in F. FILIPPI (a cura di), Archeologia e Giubileo, gli interventi a Roma e nel Lazio nel piano per il Grande Giubileo del 2000, Roma 2001, pp. 413-416.
MARSILI 2014a = G. MARSILI, Il cantiere architettonico di età
protobizantina. prassi, organizzazione e committenza attraverso lo studio dei marchi dei marmorai sugli elementi
di arredo architettonico e liturgico in marmo proconnesio. Proposta di suddivisione tipologica, in M. MALATESTA, D. RIGATO, V. CAPPI (a cura di), Fonti per lo studio
delle culture antiche e medievali, Bologna 2014, pp. 153.
MARSILI 2014b = G. MARSILI, La committenza architettonica
attraverso i marchi dei marmorari: il caso del palazzo di
Antioco a Costantinopoli, in P. PENSABENE, C. SFAMENI
(a cura di), La Villa restaurata e i nuovi studi sull’edilizia residenziale tardoantica. Atti del Convegno internazionale del Centro Interuniversitario di Studi sull’Edilizia
abitativa tardoantica nel Mediterraneo (Piazza Armerina,
7-10 novembre 2012), Bari 2014, pp. 181-189.
MARTIN 2004 = A. MARTIN, Santo Stefano Rotondo: stratigrafia e materiali, in PAROLI, VENDITTELLI 2004, pp. 506516.
MARTORELLI 1999 = R. MARTORELLI, Riflessioni sulle attività
produttive nell’età tardo antica ed altomedievale: esiste
un artigianato “ecclesiastico”, in RACr, LXXV, 1999, pp.
571-596.
MASINI 1986 = P. MASINI, Il borgo dei fornaciari fuori Porta
Cavallegeri: evoluzione di un territorio suburbano, Roma
1986.
MATSCHKE 2002 = K.P. MATSCHKE, Mining, in A.E. LAIOU
(ed.), The Economic History of Bysantium. From the VII
to the XV Century, Washington 2002, I, pp. 115-120.
MAYER OLIVÉ, FERNANDEZ-GALIANO RUIZ 2001 = M. MAYER
OLIVÉ, D. FERNANDEZ-GALIANO RUIZ, Epigrafía de Carranque, in Carranque. Centro de Hispania romana.
Museo Arqueologico Regional, Alcalá de Henares (27 de
abril a 23 septiembre de 2001), Madrid 2001, pp. 121134.
MELUCCO VACCARO 1999 = A. MELUCCO VACCARO, Le officine marmorarie romane nei secoli VIII-IX. Tradizioni ed
apporti, in A. CADEI (a cura di), Arte d’Occidente. Temi
e metodi. Studi in onore di Angiola Maria Romanini,
Roma 1999, pp. 132-143.
MENEGHINI 2010 = R. MENEGHINI, La trasformazione dello
67
spazio architettonico del Foro di Cesare nella tarda antichità, in ScAnt, 16, 2010, pp. 503-512.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 1996 = R. MENEGHINI,
R. SANTANGELI VALENZANI, Episodi di trasformazione del
paesaggio urbano nella Roma altomedievale attraverso
l’analisi di due contesti; un isolato in Piazza dei Cinquecento e l’area dei Fori Imperiali, in AMediev, XXIII,
1996, pp. 53-100.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004 = R. MENEGHINI,
R. SANTANGELI VALENZANI, Roma nell’alto medioevo. Topografia e urbanistica della città dal V al X secolo, Roma
2004.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2006 = R. MENEGHINI,
R. SANTANGELI VALENZANI (a cura di), Roma. Lo scavo
dei Fori Imperiali 1995-2000. Contesti ceramici, Roma
2006.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007 = R. MENEGHINI,
R. SANTANGELI VALENZANI, I Fori Imperiali. Gli scavi del
Comune di Roma (1991-2007), Roma 2007.
MILELLA 2004 = A. MILELLA, San Teodoro alle pendici del
Palatino. Considerazioni sulle origini della diaconia, in
ArchCl, 55, 2004, pp. 203-233.
MILELLA 2009 = A. MILELLA, Nuove acquisizioni sulla diaconia di S. Teodoro al Palatino a Roma. Notizia perliminare, in M. ROTILI (a cura di), Tardo antico e alto
medioevo. Filologia, storia, archeologia, arte, Napoli
2009, pp. 225-233.
MISPOULET 1907 = J.B. MISPOULET, Le régime des mines à
l’époque romain et au Moyen age d’après les Tables d’Aljustrel, in Nouvelle revue historique de droit français et
étranger, 31, 1907, pp. 345-391, 491-536.
Misurare la terra = AA.VV., Misurare la terra: centuriazione
e coloni nel mondo romano. Città, agricoltura, commercio: materiali da Roma e dal suburbio, Roma 1985.
MOLINARI 2014 = A. MOLINARI, Gli scavi al n. 62 di Piazza
Navona tra «microstorie» e «grandi narrazioni», in BERNARD 2014, pp. 263-274.
MONTEIX 2012 = N. MONTEIX, «Caius Lucretius [...], merchand de couleurs de la rue du fabricant de courrois».
Réflexions critiques sur les concentrations de métiers à
Rome, in ESPOSITO, SANIDAS 2012b, pp. 333-352.
MONTELLI 2011 = E. MONTELLI, Tecniche costruttive murarie medievali: mattoni e laterizi in Roma e nel Lazio fra
X e XV secolo, Roma 2011.
MOR 1971 = C.G. MOR, Gli artigiani nell’alto medioevo, in
Artigianato e tecnica 1971, pp. 195-213.
MOREL 1987 = J.-P. MOREL, La topographie de l’artisanat et
du commerce dans la Rome antique, in L’Urbs, pp. 127155.
MOREL 1989 = J.-P. MOREL, L’artigiano, in A. GIARDINA (a
cura di), L’uomo romano, Roma- Bari 1989, pp. 233-268.
MOREL 1990 = J.-P. MOREL, L’artigiano e gli artigiani, in G.
CLEMENTE, F. COARELLI, E. GABBA (a cura di), Storia di
Roma, II, Torino 1990, pp. 143-158.
MOREL 2001 = J.-P. MOREL, Artisanat et manufacture à Rome
(Ier siècle av. n.è-IIe siècle de n.è), in Pallas, 55, 2001,
pp. 243-263.
MUNRO 2010 = B. MUNRO, Recycling in late Roman villas in
southern Italy: Reappraising hearths and kilns in final occupation phases, in Mouseion. Journal of the Classical
Association of Canada Revue de la Société canadienne
des etudes classiques, LIV, series III, 10, 2010, pp. 217242.
68
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
MUNRO 2012 = B. MUNRO, Recycling, demand for materials,
and landownership at villas in Italy and the western provinces in late antiquity, in JRA, 25, 1, 2012, pp. 351-370.
MUZZIOLI 1995 = M.P. MUZZIOLI, I lavori per la Via Nazionale e il Diribitorio, in RIA, s. III, 18, 1995, pp. 139-168.
NIEDDU 2009 = A.M. NIEDDU, La Basilica Apostolorum sulla
Via Appia e l’area cimiteriale circostante, Città del Vaticano 2009 (Monumenti di Antichità Cristiana, II serie,
XIX).
OGM = Opera di Gregorio Magno.
OLCESE 2011-2012 = G. OLCESE, Atlante dei siti di produzione ceramica, Roma 2011-2012.
ORLANDI 2004 = S. ORLANDI, Epigrafia anfiteatrale dell’Occidente Romano. VI. Roma. Anfiteatri e strutture annesse con una nuova edizione e commento delle iscrizioni
del Colosseo, Roma 2004.
PAGANELLI 2004 = M. PAGANELLI, Area N-O del Foro Romano: l’Ambiente D nell’altomedioevo, in PAROLI, VENDITTELLI 2004, pp. 180-203.
PALAZZO, PAVOLINI 2013 = P. PALAZZO, C. PAVOLINI (a cura
di), Gli dèi propizi. La Basilica Hilariana nel contesto dello
scavo dell’Ospedale Militare Celio (1987-2000), Roma
2013.
PALOMBI 2008-2010 = C. PALOMBI, Le dinamiche insediative
del territorio compreso tra la via Flaminia e la via Trionfale, dal Tevere al V miglio, nella tarda antichità e nell’altomedioevo, Tesi di dottorato XXIV Ciclo-Università
di Roma ‘Sapienza’, Anni Accademici 2008-2010 (ora PALOMBI c.s.).
PANCIERA 2000 = S. PANCIERA, Nettezza urbana a Roma. Organizzazione e responsabili, in DUPRÉ RAVENTÓS, REMOLÀ 2000, pp. 95-105.
PANDURI 2010 = T. PANDURI, Tessuti e tessitori in età medievale, in Grado, 5.1, 2010, pp. 83-91.
PANELLA 2011 = C. PANELLA, I segni del potere, in C. PANELLA (a cura di), I segni del potere. Realtà e immaginario della sovranità nella Roma imperiale, Bari 2011, pp.
25-76.
PANELLA 2013a = C. PANELLA (a cura di), Scavare nel centro
di Roma; storie, uomini e paesaggi, Roma 2013.
PANELLA 2013b = C. PANELLA, Roma e gli altri, in LIPPS, MACHADO, VON RUMMEL 2013, pp. 365-402.
PANI ERMINI 1981 = L. PANI ERMINI, Testimonianze archeologiche di monasteri a Roma nell’alto medioevo, in ArchStorRom, 104, 1981, pp. 25-45.
PANI ERMINI 1992 = L. PANI ERMINI, Renovatio murorum tra
programma urbanistico e restauro conservativo: Roma e
il ducato romano, in Committenza e produzione artisticoletteraria nell’alto medioevo occidentale. Settimane di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo
XXXIX, (Spoleto, 4-10 aprile 1991), Spoleto 1992, pp. 485530.
PANI ERMINI 1995 = L. PANI ERMINI, Forma urbis e renovatio murorum in età teodericiana, in A. CARILE (a cura di),
Teoderico e i goti tra Oriente e Occidente. Atti del Congresso Internazionale (Ravenna, 28 settembre-2 ottobre
1992), Ravenna 1995, pp. 171-180, 201-225.
PANI ERMINI 1998 = L. PANI ERMINI, L’assetto medievale: i
segni della memoria, in P. SOMMELLA, L. MIGLIORATI (a
cura di), Corso Vittorio Emanuele II. Storia di una stratificazione urbanistica areale: il periodo antico, Napoli
1998, pp. 41-49.
PANI ERMINI 1999 = L. PANI ERMINI, Roma da Alarico a Teo-
derico, in W.V. HARRIS (a cura di), The transformations
of Urbs Roma in Late Antiquity, Portsmouth 1999, pp. 3552 (JRA, Suppl. 33).
PANI ERMINI 2000 = L. PANI ERMINI, Dai complessi martiriali alle ‘civitates’: formazione e sviluppo dello ‘spazio
cristiano’, in L. PANI ERMINI, P. SINISCALCO (a cura di),
La comunità cristiana di Roma. La sua vita e la sua cultura dalle origini all’alto medioevo, Città del Vaticano
2000, pp. 397-419.
PANI ERMINI 2007 = L. PANI ERMINI (a cura di), L’Orbis Christianus Antiquus di Gregorio Magno. Convegno di studi
(Roma, 26-28 ottobre 2004), Roma 2007.
PANI, REA 1995 = G.G. PANI, R. REA, Gerontius v(ir) s(spectabilis); Horatius rogatus proc(urator) Aug(usti) n(ostri):
nuova documentazione sull’epigrafia del Colosseo e dei
Mercati di Traiano, in Archeologia laziale, XII, 1, 1995,
pp. 173-180.
PANI, REA 2002 = G.G. PANI, R. REA, GERONTI V S: la spoliazione teodericiana, in REA 2002, pp. 153-160.
PANNUZI, MONARI, MANTOVANI 2010 = S. PANNUZI, S. MONARI, O. MANTOVANI, Produzioni di maiolica rinascimentale in area romana: prime analisi su campioni
d’argille di cava a confronto con i campioni ceramici, in
Fornaci. Tecnologie e produzioni della ceramica in età
medievale e moderna. Atti del XLII convegno Internazionale della Ceramica (Savona, 2009), Albisola-Borgo
San Lorenzo 2010, pp. 197-208.
PANNUZI, MONARI, MANTOVANI 2012 = S. PANNUZI, S. MONARI, O. MANTOVANI, Indagini archeometriche su argille
di cava di area romana e su maioliche cinquecentesche
dal Borgo di Ostia, in S. GELICHI (a cura di), Atti del IX
Congresso Internazionale sulla ceramica medievale nel
Mediterraneo (Venezia, 23-27 novembre 2009), Firenze
2012, pp. 71-74.
PARIBENI 2004 = A. PARIBENI, Le sigle dei marmorari e l’organizzazione del cantiere, in A. GUIGLIA GUIDOBALDI, C.
BARSANTI (a cura di), Santa Sofia di Costantinopoli, Città
del Vaticano 2004, pp. 651-733.
PARIBENI 2010 = A. PARIBENI, Il lungo viaggio versa la capitale: estrazione, lavorazione e distribuzione del marmo
in età bizantina, in C. BARSANTI, A. GUIGLIA, A. PARIBENI,
Le officine dell’imperatore: marmora byzantina, in A.C.
QUINTAVALLE (a cura di), Medioevo: le officine. Atti del
Convegno internazionale di studi (Parma, 22-27 settembre 2009), Milano 2010, pp. 118-125.
PARMEGIANI, PRONTI 2004 = N. PARMEGIANI, A. PRONTI, Santa
Cecilia in Trastevere. Nuovi scavi e ricerche, Città del Vaticano 2004.
PAROLI, DELOGU 1993 = L. PAROLI, P. DELOGU (a cura di), La
storia economica di Roma nell’alto medioevo alla luce
dei recenti scavi archeologici. Atti del seminario (Roma,
2-3 aprile 1992), Roma 1993.
PAROLI, VENDITTELLI 2004 = L. PAROLI, L. VENDITTELLI (a
cura di), Roma dall’antichità al medioevo. II. Contesti tardoantichi e altomedievali, Milano 2004.
PARRISI PRESICCE 2007 = C. PARRISI PRESICCE, Un cavallo di
bronzo per più cavalieri. La riscoperta di un originale
greco a Roma, in BCom, CVIII, 2007, pp. 33-53.
PATTERSON 1993 = H. PATTERSON, Un aspetto dell’economia
di Roma e della campagna romana nell’Altomedioevo:
l’evidenza della ceramica, in PAROLI, DELOGU 1993, pp.
309-331.
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
PATTERSON 2010 = H. PATTERSON, Rural settlement and economy in the middle Tiber Valley: AD 300-1000, in AMediev, XXXVII, 2010, pp. 143-162.
PAVOLINI 2001 = C. PAVOLINI, Nuove indagini sul Celio (secoli V-IX), in ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, pp.
616-618.
PENSABENE 1984 = P. PENSABENE, Tempio di Saturno. Architettura e decorazione, Roma 1984.
PENSABENE 1995 = P. PENSABENE, Le vie del marmo. I blocchi di cava di Roma e di Ostia. Il fenomeno del marmo
nella Roma antica, Roma 1995 (Itinerari ostiensi, VII).
PENSABENE 1997 = P. PENSABENE, Marmi d’importazione, pietre locali e committenza nella decorazione architettonica
di età severiana in alcuni centri delle province Syria et
Palestina e Arabia, in ArchCl, 49, 1997, pp. 275-421.
PENSABENE 1998 = P. PENSABENE (a cura di), Marmi Antichi.
2. Cave e tecnica di lavorazione, provenienze e distribuzione, Roma 1998.
PENSABENE 2000 = P. PENSABENE, Reimpiego e depositi di
marmi a Roma e a Ostia, in ENSOLI, LA ROCCA 2000, pp.
341-350.
PENSABENE 2001 = P. PENSABENE, Pentelico e proconnesio in
Tripolitania: coordinamento o concorrenza nella distribuzione?, in ArchCl, 52, 2001, pp. 63-127.
PENSABENE 2002 = P. PENSABENE, Il fenomeno del marmo nel
mondo romano, in DE NUCCIO, UNGARO 2002, pp. 3-67.
PENSABENE 2007 = P. PENSABENE, Ostiensium marmorum,
decus et decor. Studi architettonici, decorativi e archeometrici, Roma 2007.
PENSABENE 2008 = P. PENSABENE, I portici nelle case medievali di Roma, in J.-F BERNARD, PH. BERNARDI, D.
ESPOSITO (a cura di), Il reimpiego in architettura. Recupero, trasformazione, uso, Roma 2008, pp. 67-93 (Collection de l’École française de Rome, 418).
PENSABENE 2010 = P. PENSABENE, Cave di marmo bianco e
pavonazzetto in Frigia. Sulla produzione e sui dati epigrafici, in Marmora, 6, 2010, pp. 71-134.
PENSABENE 2013a = P. PENSABENE, Elementi di reimpiego di
IV-V secolo nella basilica dei Ss. Quattro Coronati, in
BRANDT, CRESCI, LÓPEZ QUIROGA et alii 2013, 2, pp. 707728.
PENSABENE 2013b = P. PENSABENE, I marmi nella Roma antica, Roma 2013.
PENSABENE 2014 = P. PENSABENE, Sigle di cava, amministrazione imperiale, appalti e commercio, in J. BONETTO,
S. CAMPOREALE, A. PIZZO (edd.), Arqueología de la costrucción. IV. Las canteras en el undo antiguo: sistemas
de explotación y procesos productivos. Actas del congreso
(Padova, 22-24 de noviembre de 2012), Mérida 2014, pp.
41-57.
PENSABENE 2015 = P. PENSABENE, Roma su Roma. Reimpiego
architettonico, recupero dell’antico e trasformazioni urbane tra il III e il XIII secolo, Città del Vaticano 2015.
PENTIRICCI 2009 = M. PENTIRICCI, Il settore occidentale del
Campo Marzio tra l’età antica e l’altomedioevo, in FROMMEL, PENTIRICCI 2009, I, pp. 15-75.
PERNELLA, SANTAMARIA, MORRESI = A. PERNELLA, U. SANTAMARIA, F. MORRESI, Analisi sui campioni provenienti
dalla fornace della taberna XI del Foro di Cesare, in CECI
2013, pp. 124-126.
PETRACCA, VIGNA 1985 = L. PETRACCA, L.M. VIGNA, Le fornaci di Roma e del suburbio, in Misurare la terra, pp.
131-137.
69
PETRELLA 2007 = G. PETRELLA, La produzione della calce:
stato degli studi e proposta di scheda di informatizzazione
dei dati di un forno da calce, in Archeologia Postmedievale. Società, ambiente, produzione, 11, 2007, pp. 151172.
PETRELLA 2008 = G. PETRELLA, “De calcariis faciendis”. Una
proposta metodologica per lo studio delle fornaci da calce
e per il riconoscimento degli indicatori di produzione, in
AArchit, XIII, 2008, pp. 29-44.
PG = J.P. MIGNE, Patrologiae cursus completus, Series
Graeca, Paris 1857-1866.
PIACENTE 2009 = D.V. PIACENTE, Sul titolo 10.19 del Codice
teodosiano (De metallis et metallariis), in StCl, 45, 2009,
pp. 153-180.
PIETRI 1989 = CH. PIETRI, Régions ecclésiastiques et paroisses romaines, in N. DUVAL (ed.), Actes du XIe Congrès International d’Archéologie Chrétienne (Lyon, Vienne,
Grenoble, Genève et Aoste, 21-28 septembre 1986), Città
del Vaticano 1989, II, pp. 1035-1062.
PIGLIONE 2000 = C. PIGLIONe, Oreficeria, in L. CASTELFRANCHI VEGAS, C. PIGLIONE (a cura di), Arti minori, Milano 2000, pp. 250-261.
PL = J.P. MIGNE, Patrologiae cursus completus, Series Latina, Paris 1844-1905.
PLRE = A.H. M. JONES, J.R. MARTINDALE, J. MORRIS (a cura
di), The Prosopography of the later Roman Empire, I-III,
Cambridge 1971-1992.
PORCARI 2009 = B. PORCARI, Dai monumenti funerari alle
calcare. Storia di un contesto di materiali lapidei dal Trastevere (Roma), in RM, 115, 2009, pp. 93-129.
QUILICI, QUILICI GIGLI 1993 = L. QUILICI, S. QUILICI GIGLI,
Ficulea. Latium Vetus 6, Roma 1993.
RAMPAZZO 2006 = N. RAMPAZZO, Salubritas e utilitas publica
nel diritto romano, in G. CATALDI, A. PAPA (a cura di), Ambiente, diritti ed identità culturale. Consiglio Nazionale
delle Ricerche - Istituto di Studi Giuridici Internazionale,
Sezione di Napoli, Napoli 2006, pp. 117-148 (Monografie, 7).
RANELLUCCI 1980 = S. RANELLUCCI, Le valche della Valle della
Caffarella, in StRom, 28, 1980, pp. 445-458.
REA 2002 = R. REA (a cura di), Rota Colisei. La valle del
Colosseo attraverso i secoli, Verona 2002.
REA 2010 = R. REA, La sella tra la Velia e le Carinae. La
valle dell’anfiteatro. I versanti sud-orientale e nord-occidentale della Velia, in EGIDI, FILIPPI, MARTONE 2010, pp.
171-202.
REA, COCCIA 1998 = R. REA, S. COCCIA, Anfiteatro Flavio.
Indagini archeologiche in corso al primo ordine: note preliminari sui depositi postantichi, in E. DE MINICIS (a cura
di), Le ceramiche di Roma e del Lazio in età medievale
e moderna. III. Atti del III Convegno di Studi (Roma, 1920 aprile 1996), Roma 1998, pp. 119-123.
REINHOLD 1970 = M. REINHOLD, History of Purple as a Status Symbol in Antiquity, Bruxelles 1970.
RICCI 1991 = A. RICCI, La Villa dei Quintili sulla via Appia
antica: riuso e spoliazione. Seminario di Archeologia. Seduta del 9 Maggio 1991, in RACr, LXVII, 1991, pp. 467470.
RICCI 2001a = M. RICCI, La produzione di merci di lusso e
di prestigio a Roma da Giustiniano a Carlomagno, in
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, pp. 79-87.
RICCI 2001b = M. RICCI, Produzioni di lusso a Roma da Giustiniano I (527-565) a Giustiniano II (685-695): l’atelier
70
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
della Crypta Balbi e i materiali delle collezioni storiche,
in ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, pp. 331-428.
RIGANATI 2002 = F. RIGANATI, “Vestes super altare” ed altri
tessuti di uso liturgico nella Roma carolingia, in GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 2002, 3, pp. 1605-1628.
RIGANATI 2007 = F. RIGANATI, Reliquie, reliquiari e cose
sacre dal Registrum epistularum Gregorii Magni, in PANI
ERMINI 2007, I, pp. 531-576.
ROGGIO 2012 = B. ROGGIO, Archeologia e GIS: uno studio
diacronico delle trasformazioni dell’area Ostiense di
Roma, Roma 2012.
ROMEI 2004 = D. ROMEI, Produzione e circolazione dei manufatti ceramici a Roma nell’alto medioevo, in PAROLI,
VENDITTELLI 2004, pp. 278-311.
ROSSI 2012 = D. ROSSI (a cura di), Sulla via Flaminia. Il mausoleo di Marco Nonio Macrino, Roma 2012.
ROSSI, GREGORI 2009-2010 = D. ROSSI, G. L. GREGORI, Recenti ritrovamenti tra il V e il VI miglio dell’antica via
Flaminia: un tratto di viabilità e l’adiacente area necropolare, in RendPontAc, 82, 2009-2010, pp. 109-128.
RS = Il Regesto sublacense del secolo XI pubblicato dalla
Reale Società di Storia Patria, éd. L. Allodi, G. Levi,
Roma 1885.
SACCHI LODISPOTO 1983 = G. SACCHI LODISPOTO, Gli scavi
archeologici del vicolo delle Palme in Trastevere, in BMusRom, 30, 1983, pp. 3-22.
SAGUÌ 1993 = L. SAGUÌ, Produzioni vetrarie a Roma tra
tardo-antico e alto medioevo, in PAROLI, DELOGU 1993,
pp. 113-136.
SAGUÌ 1997 = L. SAGUÌ, Un piatto di vetro inciso da Roma:
contributo ad un inquadramento delle officine vetrarie tardoantiche, in F. CARINCI, M.G. PICOZZI (a cura di), Studi
in memoria di Lucia Guerrini, Roma 1997, pp. 337-358
(Studi Miscellanei, 30).
SAGUÌ 2000 = L. SAGUÌ, Produzioni vetrarie a Roma tra V e
VII secolo. Nuovi dati archeologici, in Annales du 14e Congrès de l’Association Internationale pour l’Histoire du
Verre (Venezia-Milano 1998), Lochem 2000, pp. 203207.
SAGUÌ 2002 = L. SAGUÌ, Roma, i centri privilegiati e la lunga
durata della tarda antichità. Dati archeologici dal deposito di VII secolo nell’esedra della Crypta Balbi, in AMediev, XXIX, 2002, pp. 7-42.
SAGUÌ 2007 = L. SAGUÌ, Glass in Late Antiquity: the Continuity of Technology and Sources of Supply, in LAVAN, ZANINI, SARANTIS 2007, pp. 211-232.
SAGUÌ 2009 = L. SAGUÌ, Ateliers de verre gravé à Rome au
IVe siècle ap. J.-C.: nouvelles données sur le verre gravé
“à relief négatif”, in Annales du 17e Congrès de l’Association Internationale pour l’Histoire du Verre (Anvers,
2006), Antwerp 2009, pp. 206-216.
SAGUÌ 2013 = L. SAGUÌ, Area delle “Terme di Elagabalo”:
tre millenni di storia alle pendici del Palatino, in PANELLA
2013a, pp. 133-151.
SALIOU 2012 = C. SALIOU, Artisanats et espace urbaine dans
le monde romain: droit et projets urbain (Ier siècle av.
J.-C.-VIe siècle ap. J.-C.), in ESPOSITO, SANIDAS 2012b,
pp. 39-52.
SALIOU 2014 = C. SALIOU, À Antioche sur l’Oronte, l’église
de Constantin entre histoire et mémoire, in AntTard, 22,
2014, pp. 125-136.
SANTA MARIA SCRINARI 1968-1969 = V. SANTA MARIA SCRINARI, Tombe a camera sotto via S. Stefano Rotondo presso
l’Ospedale di S. Giovanni in Laterano, in BCom, LXXXI,
1968-1969, pp. 17-24.
SANTA MARIA SCRINARI, MARINUCCI 1995 = V. SANTA MARIA
SCRINARI, A. MARINUCCI, Il Laterano imperiale. 2. Dagli
Horti Domitiae alla cappella cristiana, Città del Vaticano
1995.
SANTANGELI VALENZANI 1994 = R. SANTANGELI VALENZANI,
Tra la Porticus Minucia e il Calcarario - L’Area Sacra
di Largo Argentina nell’altomedioevo, in AMediev, XXI,
1994, pp. 57-98.
SANTANGELI VALENZANI 1996-1997 = R. SANTANGELI VALENZANI, Pellegrini, senatori, papi. Gli xenodochia a
Roma tra il V e il IX secolo, in RIA, 19-20, 1996-1997,
pp. 203-226.
SANTANGELI VALENZANI 2002 = R. SANTANGELI VALENZANI,
Il cantiere altomedievale. Competenze tecniche, organizzazione del lavoro e struttura sociale, in RM, 109, 2002,
pp. 419-426.
SANTANGELI VALENZANI 2007 = R. SANTANGELI VALENZANI,
Public and Private Space in Rome during Late Antiquity
an the Early Middle Ages, in Fragmenta, 1, 2007, pp. 6381.
SANTANGELI VALENZANI, VOLPE 2009 = R. SANTANGELI VALENZANI, R. VOLPE, Quale Archeologia Urbana a Roma?
L’esperienza degli ultimi vent’anni, in Dialoghi di archeologia ed architettura, 2009, pp. 204-215.
SANTOLINI GIORDANI 2009 = R. SANTOLINI GIORDANI, «Nel
segno dell’acqua». Impianti e manufatti rurali presso via
della Pineta Sacchetti, in V. JOVILET, C. PAVOLINI, M.A.
TOMEI, R. VOLPE (a cura di), Suburbium II. Il suburbio
di Roma dalla fine dell’età monarchica alla nascita del
sistema delle ville (V-II secolo a. C.), Roma 2009, pp. 621627.
SANTOLINI GIORDANI, BRUCCHIETTI, OLMEDA 2009 = R. SANTOLINI GIORDANI, M. BRUCCHIETTI, E. OLMEDA, Via Taverna, località Monte Mario. Rinvenimenti archeologici
(Mun. XIX), in BCom, XC, 2009, pp. 158-168.
SARDELLA 2000 = T. SARDELLA, s.v. Simmaco, in Enciclopedia dei papi. I. Pietro, santo-Anastasio bibliotecario, antipapa, Roma 2000, pp. 000-000.
SAVI SCARPONI 2013 = A. SAVI SCARPONI, Fornaci da calce
di epoca romana e medievale in territorio capenate, in
The Journal of Fasti Online, 2013, pp. 1-18 (www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2013-301.pdf).
SAXER 1996-1997 = V. SAXER, Le informazioni del Liber Pontificalis sugli interventi dei papi nella decorazione tessile
delle chiese romane: l’esempio di S. Maria Maggiore
(772-844), in RendPontAc, 69, 1996-1997, pp. 219-232.
SCARPELLINI 2004 = G. SCARPELLINI (a cura di), Da Tanaquilla
alla Tonacella. Filare e tessere nella tradizione castiglionese dagli Etruschi al XV secolo, Castiglion Fiorentino 2004 (Quaderno di Biblioteca, 23).
SCHWARZ 2006 = C. SCHWARZ, Scavo delle pendici nordorientali del Palatino (Regio X). avorio e osso lavorato,
in M.A. TOMEI (a cura di), Roma. Memorie dal sottosuolo.
Ritrovamenti archeologici 1980/2006, Milano 2006, pp.
83-84.
SCIORTINO, SEGALA 2010 = I. SCIORTINO, E. SEGALA, Scavi
della Soprintentenza Archeologica di Roma nell’angolo
sud-orientale delle Terme di Traiano, in BCom, CXI,
2010, pp. 250-254.
SERAFINO 2009 = C. SERAFINO, Cave, miniere, salari, il caso
del Mons Claudianus, in A. STORCHI MARINO, D. MEROLA
LA BANCA DATI E IL GIS DEGLI INDICATORI DI PRODUZIONE. NOTE TOPOGRAFICHE E PRIME RIFLESSIONI DI SINTESI
(a cura di), Interventi imperiali in campo economico e sociale. Da Augusto al Tardoantico, Bari 2009, pp. 43-53.
SERLORENZI 2010 = M. SERLORENZI, Le testimonianze medievali nei cantieri di piazza Venezia, in EGIDI, FILIPPI,
MARTONE 2010, pp. 131-163.
SERRA 2005 = S. SERRA, s.v. S. Laurentii basilica, balneum,
praetorium, monasterium, hospitia, bibliothecae, in LTUR
Suburbium, III, Roma 2005, pp. 203-211.
SEYRIG 1949 = H. SEYRIG, Note sur les marques d’assemblage d’une colonnade de Béryte, in Bullettin de Musée
de Beyrouth, 8, 1949, pp. 155-158.
SIMONCINI 1997 = G. SIMONCINI (a cura di), Presenze medievali
nell’architettura di età moderna e contemporanea, Milano 1997.
SODINI 1987 = J.-P. SODINI, Marques de tâcheron inédites à
Istanbul et en Grèce, in X. BARRAL I ALTET (ed.), Artistes, artisans et production artistique au Moyen Age, Paris
1987, II, pp. 503-510.
SPECCHIO 2010 = P. SPECCHIO, Nuove acquisizioni sulle tabernae prospicienti via Salita del Grillo, in L. UNGARO,
M.P. DEL MORO, M. VITTI (a cura di), I Mercati di Traiano restituiti. Studi e restauri 2005-2007, Roma 2010,
pp. 175-184.
SPERA 1994 = L. SPERA, Interventi di papa Damaso nei santuari delle catacombe romane: il ruolo della committenza
privata, in Bessarione, 11, 1994, pp. 111-127.
SPERA 1998 = L. SPERA, Ad limina apostolorum. Santuari e
pellegrini a Roma tra la tarda antichità e l’alto medioevo,
in C. CERRETI (a cura di), La geografia della città di Roma
e lo spazio del sacro. L’esempio delle trasformazioni territoriali lungo il percorso della Visita alle Sette Chiese
Privilegiate, Roma 1998, pp. 1-104.
SPERA 1999 = L. SPERA, Il paesaggio suburbano di Roma dall’antichità al medioevo: il comprensorio tra le vie Latina
e Ardeatina dalle Mura Aureliane al III miglio, Roma
1999.
SPERA 2011a = L. SPERA, Le forme della cristianizzazione nel
quadro degli assetti topografico-funzionali di Roma tra
V e IX secolo, in Postclassical Archaelogies, 1, 2011, pp.
309-347.
SPERA 2011b = L. SPERA, Dalla tomba alla “città” di Paolo:
profilo topografico della Giovannipoli, in O. BUCARELLI,
M.M. MORALES (a cura di), Paulo apostolo martyri. L’apostolo San Paolo nella storia, nell’arte e nell’archeologia.
Atti della giornata di studi (Università Gregoriana, 19
maggio 2009), Roma 2011, pp. 119-161.
SPERA 2011c = L. SPERA, Osservazioni sulle porticus dei santuari martiri ali a Roma. Assetti architettonico-urbanistici
e questioni cronologiche, in BRANDT, PERGOLA 2011, pp.
1039-1070.
SPERA 2014a = L. SPERA, La cristianizzazione di Roma: forme
e tempi, in F. BISCONTI, O. BRANDT (a cura di), Lezioni di
archeologia cristiana, Città del Vaticano 2014, pp. 207272.
SPERA 2014b = L. SPERA, Trasformazioni e riassetti del
Campo Marzio centrale fra tarda antichità e medioevo,
in MEFRM, 126, 1, 2014, pp. 000-000.
SPERA 2015= L. SPERA, Introduzione topografica, in La Diocesi di Roma. La III regione ecclesiastica, Corpus della
scultura altomedievale, Spoleto 2015, pp. 3-70.
SPERA c.s. = L. SPERA, A proposito di quattro blocchi di pavonazzetto con iscrizioni da un’officina marmoraria nel-
71
l’area del Quirinale, in Miscellanea in onore di Patrizia
Serafin, in c.s.
SPERA c.s. = L. SPERA, Roma e linee generali per le sedi imperiali di Occidente, in Atti del XV Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana, in c.s.
SPERA, ESPOSITO, GIORGI 2011 = L. SPERA, D. ESPOSITO, E.
GIORGI, Costruire a Roma nel medioevo: evidenze di cantiere a San Paolo fuori le mura, in AArchit, XVI, 2011,
pp. 19-33.
SPERA, FILIPPI c.s. = L. SPERA, G. FILIPPI (a cura di), Il complesso di San Paolo fuori le mura. Profilo dell’insediamento attraverso le indagini 2007-2008 nell’orto
dell’Abbazia, c.s.
SPINOLA 1992 = G. SPINOLA, Il dominus Gaudentius e l’Antinoo Casali: alcuni aspetti della fine del paganesimo da
una piccola domus sul Celio?, in MEFRA, 104, 2, 1992,
pp. 953-979.
ST. CLAIR 2003 = A. ST. CLAIR, Carving as Craft. Palatine
East and the Greco-Roman Bone and Ivory Carving Tradition, Baltimore-London 2003.
STASOLLA 1998 = F.R. STASOLLA, A proposito delle strutture
assistenziali ecclesiastiche: gli xenodochi, in ArchStorRom, 121, 1998, pp. 5-45.
STASOLLA 2002 = F.R. STASOLLA, Balnea ed edifici di culto:
relazioni e trasformazioni tra tarda antichità e alto medievo, in GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 2002, pp.
143-151.
STASOLLA 2007 = F.R. STASOLLA, Modi e luoghi dell’assistenza
nelle opere di Gregorio Magno, in PANI ERMINI 2007, I,
pp. 223-280.
STEINBY 1973-1974 = E.M. STEINBY, Le tegole antiche di
Santa Maria Maggiore, in RendPontAc, 46, 1973-1974,
pp. 101-133.
STEINBY 1986 = M. STEINBY, L’industria laterizia di Roma
nel tardo impero, in A. GIARDINA (a cura di), Società romana e impero tardoantico. Roma, politica, economia,
paesaggio urbano, II, Bari 1986, pp. 111-148.
STEINBY 2001 = M. STEINBY, La cronologia delle figlinae tardoantiche, in M. CECCHELLI (a cura di), Materiali e tecniche dell’edilizia paleocristiana a Roma, Roma 2001, pp.
127-150.
STIAFFINI 1999 = D. STIAFFINI, Il vetro nel Medioevo. Tecniche, strutture, manufatti, Roma 1999.
TEITLER 1985 = H.C. TEITLER, Notarii and Exceptores: an
Inquiry into Role and Significance of Shorthand Writers
in the Imperial and Ecclesiastical Bureaucracy of the
Roman Empire (from the Early Principate to c. 450 A.D.),
Amsterdam 1985.
TOMASSETTI 1979 = G. TOMASSETTI, La campagna romana
antica, medioevale e moderna. V. Via Laurentina-Ostiense,
Firenze 1979.
TORELLI 1995 = M. TORELLI, s.v. Diribitorium, in LTUR, II,
Roma 1995, p. 18.
TRAINI 2013 = L. TRAINI, La lavorazione della calce dall’antichità al medioevo. Roma e le province dell’Impero,
Roma 2013.
TRIFONE 1908 = B. TRIFONE, Le carte del monastero di S.
Paolo di Roma dal secolo XI al XV, in ArchStorRom, 31,
1908, pp. 267-313.
VAGLIERI 1909 = D. VAGLIERI, Ostia-Nuove scoperte tra la
via dei Sepolcri, le Terme ed il Teatro, in NSc, 1909, pp.
82-99.
72
CINZIA PALOMBI - LUCREZIA SPERA
VALENTINI, ZUCCHETTI 1942 = R. VALENTINI, G. ZUCCHETTI,
Codice Topografico della città di Roma, II, Roma 1942.
VALENTINI, ZUCCHETTI 1946 = R. VALENTINI, G. ZUCCHETTI,
Codice Topografico della città di Roma, III, Roma 1946.
VALLOCCHIA 2013 = F. VALLOCCHIA, Fulloniche e uso delle
strade urbane: sul concetto di incommodum publicum (a
proposito di D. 43.10.1), in Teoria e storia del diritto privato. Rivista internazionale online, 6, 2013, pp. 1-50
(http://www.teoriaestoriadeldirittoprivato.com
/index.php?com=statics&option=index&cID=277).
VAQUERO PIÑEIRO 2002 = M. VAQUERO PIÑEIRO, La gabella
dei calcarari. Note sulla produzione di calce e laterizi a
Roma nel Quattrocento, in A. LACONELLI, I. AIT, Maestranze e cantieri edili a Roma e nel Lazio. Lavoro, tecniche, maestranze, Roma 2002, pp. 137-154.
VAQUERO PIÑEIRO 2010 = M. VAQUERO PIÑEIRO, La produzione della calce nella campagna romana in età moderna:
materiali ed aspetti organizzativi, in Arkos, scienza e restauro, 22, gennaio-marzo 2010, pp. 30-33.
VELLA 2013a = A. VELLA, Anteros Augusti Severianus: una
testimonianza inedita e le possibili implicazioni per la conoscenza di alcune produzioni laterizie urbane, in ScAnt,
19, 2013, pp. 219-232.
VELLA 2013b = A. VELLA, “Frammenti” di un complesso sepolcrale della media e tarda età imperiale dalla zona del
Ponticello di San Paolo sulla via Ostiense a Roma: alcune note di topografia, in BMonMusPont, 31, 2013, pp.
169-198.
VENDITTELLI 2011 = L. VENDITTELLI, Il mausoleo di Sant’Elena. Gli scavi, Roma 2011.
VENDITTELLI 2014 = L. VENDITTELLI, Il quartiere antico a est
della Crypta Balbi, in L. VENDITTELLI (a cura di), Crypta
Balbi. Guida, Milano 2014, pp. 49-60.
VENTRIGLIA 1971 = U. VENTRIGLIA, La geologia della città
di Roma, Roma 1971.
VIRGILI 1977 = P. VIRGILI, Scavo stratigrafico (1974-1975),
in PP, 32, 1977, pp. 20-34.
VIRGILI 1978 = P. VIRGILI, Risultati generali della ricerca, in
A.M. COLINI, P. VIRGILI, M.M. CAPASSO, S. RIZZO, D.
MANCIOLI, Area sacra di S. Omobono in Roma: ricerca
stratigrafica 1974-1976, in Un decennio di ricerche archeologiche, 2, Roma 1978, pp. 417-422.
VISTOLI 2005 = F. VISTOLI (a cura di), Emergenze storico-archeologiche di un settore del suburbio di Roma: la Tenuta dell’Acqua Traversa. Atti della Giornata di Studio
(Roma, 7 giugno 2003), Roma 2005.
VISTOLI 2012 = F. VISTOLI (a cura di), «Tomba di Nerone»,
toponimo, comprensorio e zona urbanistica di Roma Capitale. Scritti tematici in memoria di Gaetano Messineo,
Roma 2012.
VOLPE 2007 = R. VOLPE (a cura di), Centocelle II. Roma
S.D.O. le indagini archeologiche, Roma 2007.
VOLPE, FAVIA, GIULIANI et alii 2007 = G. VOLPE, P. FAVIA, R.
GIULIANI, D. NUZZO, Il complesso sabiniano di San Pietro a Canosa, in R.M. BONACASA CARRA, E. VITALE (a
cura di), La cristianizzazione in Italia tra tardoantico e
alto medioevo. Atti del IX Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana (Agrigento, 20-25 novembre 2004),
Palermo 2007, 2, pp. 1113-1165.
VOLPE, ROMANO, TURCHIANO 2013 = G. VOLPE, A.V. ROMANO,
M. TURCHIANO, San Giusto, l’ecclesia e il saltus Carminiensis: vescovi rurali, insediamenti, produzioni agricole
e artigianali. Un approccio globale allo studio della cristianizzazione delle campgne, in BRANDT, CRESCI, LÓPEZ
QUIROGA et alii 2013, 1, pp. 559-580.
VON SCHLOSSER 1992 = J. VON SCHLOSSER, Quellenbuch. Repertorio di fonti per la storia dell’arte del Medioevo occidentale (secolo IV-XV), èd. J. Végh, Firenze 1992.
WARD PERKINS 1951 = J. WARD PERKINS, Tripolitania and
the Marble Trade, in JRS, 41, 1951, pp. 89-104.
WICKHAM 2013 = C. WICKHAM, Roma medievale. Crisi e stabilità di una città, 900-1150, Roma 2013.
ZAGARI 2005 = F. ZAGARI, Il metallo nel Medioevo. Tecniche, strutture, manufatti, Roma 2005.
IL GIS E LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE A ROMA IN ETÀ MEDIEVALE
UNA QUESTIONE DI METODO TRA TENDENZE E FATTI
Nicoletta Giannini
«Quello che mi interessa è il mosaico in cui l’uomo si trova
incastrato, il gioco dei rapporti, la figura da scoprire tra gli
arabeschi del tappeto[…]».
Italo Calvino, Due interviste su scienza
e letteratura in Saggi (1945-1985), I, p. 133
La piattaforma GIS e l’importanza della complessità
Il GIS delle produzioni di Roma è nato, come illustrato anche in altri saggi di questo volume, con l’idea
di creare un archivio digitale georeferenziato dei dati
provenienti dalla catalogazione delle tracce produttive
di età medievale nella città di Roma 1. Tale lavoro nasce
nell’ambito dell’équipe di ricerca, che aveva progettato
preventivamente al convegno una puntuale raccolta di
tutte le informazioni rintracciabili nell’edito (bibliografia esistente ed in alcuni casi letteratura grigia) pertinenti
la produzione 2. I dati inizialmente sono stati raccolti attraverso l’utilizzo di una scheda cartacea, che ha consentito di quantificare la base di dati poi elaborata nel
database e nel GIS.
Nello specifico si è fatto ricorso ad una scheda cartacea composita strutturata per voci predefinite (campi
aperti e campi chiusi), basata sulla scomposizione del
ciclo produttivo. Per quel che concerne gli aspetti informatici il database relazionale è stato realizzato in Access, mentre per il GIS si è fatto ricorso all’applicazione
desktop QGIS 3. Il database progettato ha visto la creazione di tabelle relazionate e di maschere per agevolare
l’interfaccia utente di immissione dati. Successivamente
essi sono stati georeferenziati all’interno di shapefiles
con specifici dataset di informazione.
Tuttavia poiché trasferire in un sistema GIS una
banca dati comporta comunque questioni di metodo, il
rischio era quello di disperdere la complessità che le diverse attività produttive comportano. Si è quindi prestata
particolare attenzione alla trasposizione del dato ed alle
criticità che il dato edito porta con sé. Il presente contributo si prefigge di presentare proprio alcune delle riflessioni formulate di fronte a tali criticità nel momento in
cui dalla scheda cartacea di raccolta dei dati si è proceduto alla progettazione della banca dati informatica. Si
parlerà perciò del sistema non tanto dal punto di vista
informatico quanto del modello concettuale che ne è alla
base, dei criteri secondo cui sono state organizzate e trasposte le informazioni e delle riflessioni che in alcuni
casi sono scaturite da esse. Le esemplificazioni proposte
nel testo che segue hanno quindi la finalità di illustrare
questi temi.
Elemento cardine è stato vedere il GIS e le attività
produttive come tecnologie a confronto, provando a rintracciare paralleli tra le componenti di entrambe. In questa proposta di confronto si è quindi posta l’attenzione
sull’unità minima di registrazione, sui parametri che le
Ringrazio la Prof.ssa A. Molinari per il sostegno e gli importanti
momenti di confronto nelle riflessioni sulla banca dati e nella stesura
di questo contributo. Un ringraziamento va alla Prof.ssa E. De Minicis per aver riletto il testo e aver discusso con me alcuni aspetti
della produzione laterizia. Quanto scritto ed eventuali imprecisioni
restano una mia responsabilità.
1
Si vedano l’introduzione ed i saggi di L. Spera e C. Palombi in
questo volume.
2
Cfr. L. Spera, C. Palombi in questo volume.
3
Sull’argomento si veda MOLINARI, GIANNINI 2015.
74
NICOLETTA GIANNINI
danno validità storica, e sul rapporto che esiste in entrambi i sistemi tra standardizzazione e complessità. È
stata adottata come unità minima di registrazione l’indicatore di produzione, che assume validità di esistenza
secondo i tre criteri individuati da Galiniè in un suo lavoro del 2000: la localizzazione, la cronologia, la definizione, elementi questi che secondo l’autore
giustamente definiscono la vita di quelli che lui chiama
oggetti storici e che Lefevre identifica come Constituent
Element (EC) 4.
Ovviamente nell’organizzare i dati, quantificandoli
e qualificandoli, punto di partenza è stato individuare
queste condizioni, avendo come filo conduttore il
pensiero che l’archeologia della produzione debba essere
considerata non tanto o almeno non solo «dal punto di
vista di come si facevano le cose nell’antichità, ma rispondendo alla domanda ben più complessa ed articolata
di come si possono studiare le cose prodotte in passato
avendo per fine il ricostruire storie di più ampia portata» 5.
La struttura a supporto della ricerca del gruppo di lavoro, infatti, doveva essere in grado di restituire informazioni inerenti anche l’organizzazione degli spazi, i
tipi di contesti produttivi e se possibile, e dove possibile,
l’organizzazione e la divisione del lavoro (officine singole, associate, atelier complessi, manifatture, etc.) almeno potenzialmente. La tecnologia in fondo cosa fa?
Soddisfa bisogni, ne crea di nuovi, consente di risparmiare lavoro fisico e di ottimizzare l’organizzazione del
lavoro, ma soprattutto come dice K. Kelly «la tecnologia
genera opportunità» 6. Alla luce di questo l’idea era
quella di rendere il GIS una opportunità a disposizione
dell’équipe di lavoro.
Il rischio era quello che l’informatica potesse appiat-
tire e ridurre ai minimi termini un fenomeno complesso
ed articolato, di cui conoscevamo per Roma, nonostante
tutto, ancora molto poco. Non appiattire il dato e non disperdere le informazioni quindi, ma non solo. La difficoltà era rappresentata anche dal fatto di dover gestire
l’eterogeneità di un dato già filtrato e parziale (dato
edito) e quindi provare a gestire anche questa complessità. Il GIS, per sua natura, deve essere impostato ab origine per rispondere a domande specifiche, e non deve
assolutamente tendere, almeno a mio avviso, alla creazione di un sistema ‘generalista’, ma di volta in volta
deve modellarsi sulle finalità della ricerca. Nell’organizzare la banca dati e la sua georeferenziazione è stato
perciò essenziale tenere presente le problematiche legate
alla visibilità del dato – cosa rimane della produzione –
, le dinamiche e la logica del ciclo produttivo, il rapporto
tra quello che riguarda strettamente la produzione e altri
aspetti della città (ad esempio viabilità, approvvigionamento idrico, contesto cronologico e topografico). Un
possibile limite della banca dati, del quale si è stati consapevoli sin dalla sua impostazione, è quello di contenere esclusivamente le tracce archeologiche. A mio
parere le tracce produttive per non essere travisate devono essere relazionate alle varie fasi dei cicli produttivi,
senza tralasciare quanto ci dicono altri tipi di fonti in
merito ad esempio ai modi della produzione, all’introduzione di innovazioni tecnologiche, all’uso di particolari materiali. Si pensi ad esempio al caso della
produzione dei panni lana nel basso Medioevo e ad i
cambiamenti che certamente essa subì dal punto di vista
del ciclo produttivo nel momento in cui si iniziò ad usare
l’allume 7. Sulla base di tali riflessioni di metodo si è
pensato quindi, una volta riconosciuta come unità mi-
GALINIÈ 2000; LEFEVRE 2012, pp. 65-82.
Cfr. GIANNICHEDDA 2006, p. 9. Alla base della costruzione di
questo contributo vi è una bibliografia metodologica e inerente casi
di studio specifici. Nel tracciare la visione che ha determinato queste
riflessioni si ricorderanno perciò solo alcuni dei contributi principali,
fil rouge del sistema costruito e delle domande archeologiche cui si
è cercato di rispondere. Sulla metodologia di approccio alla produzione e sulle problematiche ad esse legate si rimanda a WHITE 1962;
CARANDINI 1979; MANNONI 1993; GIANNICHEDDA, MANNONI 1996;
GOULD 1997; LUGLI, STOPPIELLO, VIDALE 2000, pp. 17-19; CARVER
2001, pp. 1-22; MANNONI 2002; VIDALE 2004; MANNONI 2004, pp.
545-550; FORSTER, CROSS 2005; GIANNICHEDDA 2005, pp. 85-104;
GIANNICHEDDA 2006; CARVER 2008; MARCINIAK, YALMAN 2013;
GIANNICHEDDA 2014a; GIANNICHEDDA 2014b. In particolare, sul rapporto tra tecnologie medievali e ricerca archeologica, vd. GIANNICHEDDA 2007a, pp. 49-61; sullo studio degli indicatori e del processo
tecnici e produttivi, vd. ROUX CORBETTA 1989; ROUX 2003, pp. 768782; GIANNICHEDDA, FERRARI 2006, pp. 341-357; sul rapporto tra
contesti e affidabilità stratigrafica e residualità GUIDOBALDI, PAVOLINI, PERGOLA 1998; GIANNICHEDDA 2007b, pp. 51-64; sulla necessità
di valutare prima di indagare CARVER 2003; per quanto riguarda il
Gis, anche in questo caso la bibliografia di riferimento è corposa.
Per l’approccio e le piattaforme che si stanno realizzando nell’ambito
del laboratorio di Archeologia Medievale di ‘Tor Vergata’ si rimanda
a MOLINARI, GIANNINI 2014, pp. 334-340; MOLINARI, GIANNINI c.s..
A titolo esemplificativo si ricordano in questa sede i contributi di
HALL, HUNTER-MANN 2002; HOWELL 2004; TWEDDLE, MOULDEN,
LOGAN 1999; GARRIOCH, PEEL 2005, pp. 663-676; DEAN 2012.
6
KELLY 2011, p. 27.
7
Si ricordano in questa sede, a puro titolo esemplificativo, alcuni
aspetti della produzione dei panni lana nel basso Medioevo, mentre
per una analisi puntuale della produzione tessile romana si rimanda
invece al contributo di H. Di Giuseppe in questo stesso volume. La
produzione tessile, infatti, è certamente quella che lascia meno tracce
di sé da tutti i punti di vista, pur tuttavia a Roma è stata oggetto di
alcuni studi interessanti per il basso Medioevo specie per quel che
concerne l’analisi di alcune fonti storiche. Si rimanda a VAQUERO PIÑEIRO 1993, pp. 287-305; AIT 2005, pp. 33-59. Quanto emerge da
queste prime analisi si mostra a mio avviso un esempio interessante
della complessità delle tracce. L’introduzione dell’allume infatti non
ha solo un peso economico ma modifica profondamente le dinamiche
del ciclo, nella lavorazione e soprattutto nell’uso della cenere, che
4
5
IL GIS E LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE A ROMA IN ETÀ MEDIEVALE. UNA QUESTIONE DI METODO TRA TENDENZE E FATTI
75
Come accennato nel paragrafo precedente, uno degli
elementi cardine nella costruzione del sistema è stato
quello di vedere il GIS e le attività produttive come tecnologie a confronto. Questo parallelo tra sistemi differenti prende le mosse da quei confronti tra materia e
intangibile che, a partire dalla pubblicazione di Esseri
digitali di Negroponte nel 1995, hanno spesso caratterizzato la definizione e la comprensione degli elementi
intrinseci di una tecnologia. Nel testo l’autore nello spiegare cosa avrebbe significato in futuro essere digitali,
siamo nel 1995, scriveva che il futuro era fatto di bit e
che il vecchio mondo era rappresentato dalla materia.
Atomi versus bit, vedendo nei bit gli atomi del futuro e
suggerendo quasi una completa sostituzione della materia, in una visione, potremmo dire, da fantascienza.
Negroponte tuttavia metteva in risalto la distanza tra
quello che è l’elemento materiale con la sua fisicità e
spazialità e quello che è invece l’elemento numerico intangibile. In realtà sono molte di più le similitudini tra i
due sistemi. Essi, infatti, pur afferendo a sfere diverse
funzionano secondo strutture del tutto comparabili. Entriamo ora nel merito di questo confronto tra GIS e attività produttive. Il primo è un insieme di componenti
(hardware, software, umane) che attraverso una serie di
relazioni e connessioni, acquisisce, processa, analizza,
immagazzina e restituisce in forma grafica dati riferiti
ad un preciso contesto spaziale. Due concetti principali
ne sono alla base: il dato e l’informazione. Il primo è
una semplice registrazione di fatti, oggetti, fenomeni
allo stato grezzo, punto di partenza di ogni ricerca. La
seconda è invece un insieme di dati collegati tra loro che
hanno lo scopo di fornire nozioni puntuali in risposta a
una domanda specifica. Queste informazioni sono poi
puntualmente georeferenziate nello spazio secondo un
sistema di coordinate. Ciò consente di apprezzarne la localizzazione, i rapporti con le altre informazioni, confrontandone gli attributi, che rappresentano la parte non
spaziale del dato immagazzinato in apposite tabelle.
Anche nelle produzioni riscontriamo un’articolazione
similare. L’attività produttiva è un insieme complesso
costituito da più componenti combinati tra loro (strutture
produttive, procedure, strumenti, tecniche, senza dimenticare ovviamente la componente umana). Anche qui ci
troviamo di fronte ai dati grezzi e alle informazioni ottenute dalle connessioni tra i dati. Tali informazioni si
amplificano ogni volta che variamo le domande con cui
interroghiamo i dati grezzi (fig. 1).
In questo procedere dal semplice al complesso è individuabile un movimento in grado di selezionare le soluzioni migliori, ponendole alla base di nuovi eventi, nuove
prospettive, nuove possibilità. L’essenza però è nell’organizzazione delle informazioni. Forzando un po’,
potremmo dire che muovendosi da una unità minima
verso unità tecnologiche sempre più complesse, queste
ultime gettano nuove basi per ulteriori costruzioni. Inoltre, ci si rende conto che utilizziamo queste unità minime
in relazione della scala con cui affrontiamo la lettura dei
dati. Ragionare secondo questo criterio nelle attività produttive vuol dire ovviamente fare riferimento alla logica
del ciclo produttivo; una sequenza ordinata di operazioni
concatenate, ripetibili e spesso prevedibili, che consente
di valutare i modi della produzione anche in termini di
organizzazione, circolazione e trasmissione delle competenze; tutti elementi che rimandano alla complessità
invece sembra caratterizzare le produzioni precedenti. A sostanze diverse corrispondono aspetti tecnici diversi, ma anche economici ed
organizzativi, poiché ad esse sono legati modi di stoccaggio delle
materie prime diverse. Sappiamo ad esempio che una sostanza utilizzata in sostituzione dell’allume era la cenere ottenuta dalla combustione del cremor tartaro, che si forma sul fondo delle botti di vino
ed è di facile reperibilità; altro sostitutivo erano le ceneri tanniche
ottenute quindi dalla combustione (castagno, faggio, betulla, quercia,
noce). È evidente quindi che tali informazioni provenienti dalle fonti
d’archivio divengono basi conoscitive importanti, nella valutazione
e interpretazione del record archeologico.
8
Si veda il contributo di C. Palombi in questo volume.
9
Queste riflessioni sui contesti produttivi sono inoltre state rese
necessarie anche in funzione del successivo inserimento dei dati nel
progetto iDEAL ‘Storia e Archeologia globale dei paesaggi rurali in
Italia tra tardoantico e medioevo. Sistemi integrati di fonti, metodi e
tecnologie per uno sviluppo sostenibile’ (progetto Prin 2010/2011).
nima l’indicatore, di associare i dati sia per contesti topografici (database) 8 sia per contesti determinati dall’associazione di indicatori di produzioni. Questi ultimi
sono sì in connessione topografica, ma soprattutto in
connessione funzionale e ovviamente temporale, in relazione al ciclo produttivo e alle fasi di quest’ultimo, affinché possano, ove possibile, restituire anche
informazioni sul tipo di contesto produttivo e sulla sua
organizzazione 9. Alla luce di quanto fin qui esposto, è
evidente che sebbene l’archivio digitale, prodotto dall’insieme dell’équipe di ricerca sia in progress e quindi
modificabile e migliorabile, tuttavia esso può rappresentare un valore aggiunto nella lettura di questi dati, inserendosi così in un percorso di ricerca sulla città
potenzialmente innovativo.
Tecnologie a confronto. Gli elementi del sistema
76
NICOLETTA GIANNINI
Fig. 1. - Quadro riassuntivo del confronto tra GIS e produzioni.
economica del ciclo stesso. Ad essi sono poi da sommare
i livelli di specializzazione, le scelte e il significato che
tali scelte assumono. Sulla base di queste considerazioni,
è evidente che per analizzare correttamente le molte tracce che caratterizzano la complessità della realtà produttiva, esse devono essere collocate in una logica di insieme
che le quantifichi e sia in grado di ricondurle a specifiche
fasi o processi. Perciò si è scelto di porre l’indicatore di
produzione, ovvero qualsiasi traccia riconducibile ad una
fase della produzione (installazioni fisse, materie prime,
tracce nella stratificazione, etc.), alla base del sistema,
identificando in esso l’unità minima di registrazione. Ad
ogni elemento puntiforme del GIS corrisponde un indicatore di produzione rintracciato nell’edito. Unità minime diverse (l’elemento puntiforme nel GIS, l’indicatore
per quel che concerne i processi produttivi) all’interno
di diverse tecnologie (il GIS e i modi della produzione).
Ma non solo. Dagli elementi singoli è, infatti, necessario
passare ai sistemi interconnessi. Dalla traccia alla logica
di insieme. Un indicatore isolato, infatti, non è sufficiente
a definire un contesto produttivo, o meglio non tutti gli
indicatori se presi da soli possono darci informazioni
certe sulla presenza di un contesto produttivo. Per poter
passare però a questo step successivo, ovvero alla definizione dei contesti produttivi, è necessario prima soffermarci su alcuni aspetti legati alla natura del dato raccolto. Gli indicatori censiti non sempre sono collocabili
puntualmente nello spazio, senza dimenticare che spesso
nell’edito si riscontrano problemi terminologici, che ren-
dono difficile l’inserimento dell’indicatore nella logica di cicli specifici.
L’eterogeneità dei dati raccolti
proprio dal punto di vista del tipo
di informazione rappresenta quindi
un elemento da valutare sempre
con attenzione: pubblicazioni diverse sotto molti punti di vista e
gradi di approfondimento differenziati, talvolta con indicazioni cronologiche generiche. In molti testi,
l’informazione produttiva è stata
dedotta da indizi non sempre esplicitamente riconosciuti dagli editori
dei dati. Per capire la complessità
nella costruzione ed interrogazione
del GIS legate a questo aspetto
prendiamo il caso più che noto
della grande calcara che viene innalzata alla fine dell’VIII secolo
nell’esedra della Crypta Balbi 10. Una struttura utilizzata
per un lasso di tempo molto contenuto, rinvenuta ancora
con il suo carico di marmi. Una struttura di una certa
importanza, di grandi dimensioni, tecnica di realizzazione accurata, accorgimenti tecnologici di buon livello
impiegati. Tutte informazioni che hanno consentito di
formulare ipotesi e trovare risposte sul perché ad esempio fosse stata realizzata, da chi, per la costruzione di
quale complesso. Spostiamo ora l’attenzione su tutti i
dati che abbiamo sulle calcare. Benché esse costituiscano il dato numericamente più significativo tra quelli
raccolti, appare evidente che i casi in cui troviamo semplicemente registrato il termine calcara o grande calcara
senza ulteriori informazioni su come fossero queste calcare, hanno un valore diverso rispetto al dato della
Crypta Balbi.
Per poter rendere questi dati maggiormente ‘generosi’, è stato necessario affrontare il problema dell’affidabilità dei dati raccolti, come già notato nel saggio precedente. È sembrato perciò fondamentale ragionare con la
volontà di costruire uno strumento che concettualmente
affrontasse anche questo tipo di problematiche: guardare
ai dati discriminando tra essi in termini di qualità e potenzialità dell’informazione al fine di ricostruire storie.
L’edito spesso ci mette di fronte alla presa di coscienza
che ci siano notevoli quantità di informazioni perse, tut10
Sulla produzione della calce a Roma si rimanda ai testi di C.
Palombi e R. Santangeli Valenzani in questo stesso volume.
IL GIS E LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE A ROMA IN ETÀ MEDIEVALE. UNA QUESTIONE DI METODO TRA TENDENZE E FATTI
77
Fig. 2. - Distribuzione degli indicatori censiti con grafico riassuntivo dei gruppi di appartenenza.
tavia valutare gli indicatori in questi termini vuol dire
anche dare un senso diverso all’assenza dell’informazione, attuando quindi una distinzione tra i vuoti, che si
riscontrano e che il GIS rende evidenti anche dal punto
di vista spaziale, in ‘reali’ e ‘fittizi’. I primi dettati dalla
reale assenza di informazioni, i secondi dalla non corretta
valutazione delle informazioni. Alla luce di queste difficoltà oggettive, si è scelto di inserire tutti gli indicatori
nel GIS dotandoli di un grado di affidabilità determinato
dalla qualità della pubblicazione (ovvero se si tratta di
una segnalazione generica o no), dalla cronologia (generica o puntuale), dalla terminologia (riferimento preciso
ad indicatori produttivi o descrizione vaga) e dalla localizzazione (puntuale o approssimativa). Tutti gli indicatori registrati nel database sono stati quindi inseriti anche
con la stessa visualizzazione grafica, ma è possibile tra
essi attuare un discrimine. Sono presenti nel sistema 596
indicatori diversificati per classi di appartenenza (fig. 2
e tav. 00). Di questi il 40% risulta valido secondo i criteri
appena descritti, mentre del restante 60% , il 10% è privo
di indicazione topografica ed il 18% non ha un grado di
affidabilità cronologica. Il restante 32%, può essere ulteriormente definito approfondendo le ricerche e incrociando i dati con altre informazioni (fig. 3). È comunque
importante sottolineare che anche i dati non collocabili
Fig. 3. - Grafici inerenti la valutazione dei dati secondo i criteri di
(dall’alto a sinistra ) affidabilità cronologica, bibliografica, topografica. In basso, grafico che riassume i dati censiti sulla base dei tre
criteri di validità presi in considerazione.
78
NICOLETTA GIANNINI
Fig. 4. - Localizzazione dell’area in cui si concentrano le indicazioni non datate inerenti i marmorarii con segnalate i principali percorsi altomedievali.
puntualmente, ma riferibili ad un’area circoscritta restituiscono informazioni importanti. È questo il caso dei
cumuli di pietra in via dei Coronari, via del Governo Vecchio o via dei Quattro Cantoni. Questi indicatori sebbene
siano registrati con indicazioni topografiche dettagliate,
rispettivamente «sotto casa Massali», «accanto la casa
Odam», presso «casa di G. Frontoni», allo stato attuale
delle ricerche non trovano una collocazione puntuale,
poiché non è stato possibile identificare queste indicazioni topografiche. Tuttavia essi consentono di individuare un areale topografico significativo, con una specifica vocazione artigianale. È interessante ad esempio il
fatto che l’areale in cui ricadono questi dati corrisponda
alla zona interessata dal passaggio delle vie coinvolte
negli itinerari di pellegrinaggio noti dalle fonti scritte tra
VIII e IX secolo; vie che tra l’altro continuano ad essere
coinvolte nei secoli centrali del Medioevo da un infittirsi
del tessuto edilizio, che interesserà in maniera preponderante l’area nord del Campo Marzio. A tal proposito
dato interessante, messo a confronto con questo tipo di
indicatori di attività produttive, è la presenza lungo queste vie e lungo vie limitrofe di portici (fig. 4 e tav. 00) 11.
Tornando alla totalità dei dati finora processati invece è possibile evidenziare che gli indicatori maggiormente attestati sono riconducibili a quattro categorie:
installazioni fisse, attrezzi e utensili, residui e scarti, materie prime e semilavorati, ed è possibile riportare in
queste sede alcune brevi riflessioni.
11
Lo studio sull’edilizia medievale di Roma che si sta portando
avanti nell’ambito delle ricerche di Archeologia Medievale presso
l’Università degli Studi di ‘Tor Vergata’, sta infatti evidenziando la
presenza di una forte concentrazione di questi elementi in questa porzione della città caratterizzata dal passaggio della via Peregrinorum
e della via Papalis. Anche la documentazione d’archivio per questo
areale registra inoltre la presenza di un’intensa attività commerciale,
in linea con l’infittirsi del tessuto edilizio, dato che sembra emergere
ad esempio anche dai documenti pertinenti il monastero femminile
di S. Maria in Campo Marzio che nel 1194 possiede più di 150 case
molte delle quali disposte a schiera. Per il progetto sull’edilizia medievale si veda infra, nota 28.
Installazioni fisse. Le strutture accertate sono riconducibili in massima parte a calcare e solo in misura
molto più ridotta a fornaci metallurgiche da vetro, da ceramica, per laterizi. Se osserviamo la distribuzione dei
dati solo le calcare sono significative da un punto di
vista cronologico, ed è interessante la loro concentrazione in tre momenti cronologici importanti per la città.
È possibile infatti riscontrarne una forte presenza nel periodo compreso tra il IV e il VI secolo, un momento di
IL GIS E LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE A ROMA IN ETÀ MEDIEVALE. UNA QUESTIONE DI METODO TRA TENDENZE E FATTI
crescita di entità ridotte si riscontra in età carolingia, ed
infine si ha un nuovo picco confrontabile con la tarda
antichità, a partire dal XII secolo.
Attrezzi e Utensili. In proporzione ai dati raccolti,
scarse sono le informazioni inerenti i vari attrezzi legati
alle più importanti attività artigianali. I dati quantitativamente più importanti arrivano dalla presenza di pesi
e fuseruole. Numerosi anche i crogioli (rinvenuti nei
contesti di Trastevere, villa dei Quintili, basilica Hilariana, piazza Madonna di Loreto, Crypta Balbi, area
Sacra di S. Omobono, Terme di Traiano, Palatino), che
divengono un indicatore importante da valutare rispetto
alle fornaci accertate.
Residui e scarti. A questa classe di indicatori piuttosto varia sono attribuibili gran parte delle informazioni
raccolte, sebbene nella maggior parte dei casi non sia
semplice ricondurre tali informazioni a specifiche fasi
dei processi di lavorazione e consapevoli del fatto che
essi debbano sempre essere valutati in relazione al contesto di rinvenimento, appaiono evidenti alcune tendenze. Sebbene infatti non sia questa la sede per
approfondire nel dettaglio gli aspetti della ricerca legati
a questo tipo di tracce, i dati raccolti mettono in evidenza una scarsa presenza di scarti riconducibili al ciclo
della ceramica 12, che, oltretutto in nessuno dei casi registrati sono in connessione a strutture fisse. Tralasciando in questa sede i residui di carboni e ceneri, un
dato interessante, certamente da analizzare caso per
caso, è rappresentato dalle scorie. I dati raccolti mostrano una tendenza interessante a cavallo tra XII e XIII,
anche se è bene sottolineare che dal punto di vista distributivo essi si trovano in contesti produttivi particolari
quali il Colosseo e la Crypta Balbi, mentre necessita di
un particolare approfondimento la segnalazione del rinvenimento di una fornace metallurgica in via Trionfale,
datata al XIII secolo 13.
Di interesse può essere la completa assenza di segnalazioni di scorie per quel che concerne il XIV e XV secolo, elemento che mette in evidenza, senza alcun
12
Per un quadro sugli indicatori della ceramica si rimanda a G.
Rascaglia, J. Russo in questo stesso volume.
13
Benché manchino elementi pertinenti gli scarti in grado di definire da subito la materia prima lavorata, nuove acquisizioni arriveranno dallo studio della struttura, tuttora in corso. La fornace in
bibliografia viene indicata di forma circolare con pareti realizzate in
opera pseudo litica con rivestimento in argilla concotta (cfr. DB, contesto 224, indicatore 492).
14
Si veda CENTOFANTI 1999.
15
ARMELLINI 1882.
79
dubbio una scarsa attenzione nelle pubblicazioni, e
spesso negli scavi urbani, verso le stratigrafie pertinenti
questo arco cronologico. Per definire meglio questa potenzialità informativa farò riferimento ad alcuni dati che,
sebbene siano al di là dell’arco cronologico di riferimento del convegno, danno la dimensione di quanto il
quadro in nostro possesso sia ancora manchevole.
Quanto riusciamo a ricostruire sugli indicatori metallurgici diviene di notevole interesse infatti se lo mettiamo
in relazione a ciò che si evince dalle fonti scritte, proprio
per questi secoli e per quelli successivi, in particolar
modo il XVI secolo, sulla presenza dei fabbri a Roma 14.
Se poi confrontiamo la distribuzione di quanto contenuto nella banca dati con la distribuzione dei fabbri a
Roma sulla base del censimento del 1513 15, quindi
pochi anni dopo la chiusura dell’arco cronologico di nostro interesse, notiamo un completo spostamento dei
luoghi produttivi, evidenziando quello che è l’areale oggetto del nuovo progetto urbanistico 16.
Materie prime. In merito allo studio delle materie
prime i dati raccolti necessitano ancora di specifici approfondimenti e di attente valutazioni. Interessante, ma
da puntualizzare meglio, ad esempio, è la connessione
tra i cumuli di ossa, e gli scarti di tipo metallurgico identificati, come nel contesto della taberna XI del Foro di
Cesare 17. Qui è stata rinvenuta una officina metallurgica
ed in connessione con alcuni accumuli di discarica della
fornace oggetti non finiti in osso e scarti di lavorazione 18. Ancora da approfondire è, inoltre, la connessione tra ossa animali e vasche, in funzione di una
possibile presenza di luoghi produttivi legati al ciclo
della concia, per la produzione di cuoio ma anche di pergamene 19. Se pensiamo infatti al cuoio come ad un prodotto commerciale è evidente che la qualità dipende dal
tipo di materia prima, ma anche dal tipo di trattamento
a cui essa viene sottoposta (bagni di calce, utilizzo di
sostanze concianti come allume e tannino, oppure il ricorso all’affumicatura). Scarti di questa attività sono
oltre che peli (più raramente attestati) e unghie anche le
corna; ecco perché vanno letti con attenzione i dati ine-
CENTOFANTI 1999, tavola 1.
DELFINO, DE LUCA, MINNITI et alii 2013, pp. 99-100.
18
Nella taberna X del Foro sono stati inoltre rinvenuti tracce di
una probabile tettoia e di altri cumuli simili a quello descritto, che
hanno portato a identificare qui la presenza di un laboratorio dedito
alla lavorazione dell’osso. Dato che porterebbe ancor di più ad avvalorare il riutilizzo dei materiali di scarto nella fornace metallurgica.
19
Sulla concia si veda, DEFERRARI 1997, pp. 363-368.
16
17
80
NICOLETTA GIANNINI
renti questo tipo di residui. Inoltre, in relazione ad una
produzione così importante e che lascia scarsi dati archeologici, si ribadisce quanto sia fondamentale riflettere attentamente sull’associazione di indicatori. Sempre
usando la concia a titolo esemplificativo, è evidente che
se ci fermiamo a riflettere su questa produzione saltano
agli occhi le numerose connessioni con altri processi indipendenti dall’ambito della conceria. Macellazione,
scuoiatura, conservazione, implicano tutte una serie di
variabili e quindi di connessioni che non devono essere
sottovalutate. Se le concerie usavano pelle fresca esse
non dovevano trovarsi distanti dai macelli, al contrario
le pelli dovevano essere conservate in magazzini o strutture apposite. Se la conservazione avveniva in conceria,
in questi spazi dovevano essere presenti vasche con residui di sale. Elemento quest’ultimo che se non può essere facilmente rintracciato archeologicamente, a meno
che non si ricorra ad analisi specifiche sui depositi, può
certamente essere rintracciato con il ricorso alle fonti
scritte. Inventari, documenti notarili, statuti, gabelle,
possono in questo senso dare informazioni preziose riguardo all’impiego della salamoia in questa fase del
ciclo. Se pensiamo invece al ricorso ai bagni di calce,
non si deve dimenticare, che dove essi venivano praticati
era necessario anche l’utilizzo di sabbia, cui si ricorreva
per evitare il contatto della calce viva con l’aria. Un interessante lavoro su alcune produzioni della Milano
basso medievale, ha messo in evidenza, ad esempio,
come nei documenti sia ampiamente riscontrabile il diretto coinvolgimento del conciatore nell’acquisto della
calce, distinguendone caratteristiche e proprietà e che
era egli stesso ad occuparsi del suo spegnimento 20.
La qualità del dato e la sua validità storica messi in
evidenza finora, sono certo fondamentali nella valutazione degli indicatori e nella loro associazione, ma allo
stesso tempo divengono fondamentali anche nella scomposizione dei dati più complessi. Nella raccolta dei dati
infatti non ci si è trovati di fronte solo ad indicatori isolati ma anche a contesti produttivi già definiti, identificati ed interpretati nell’edito (ad esempio l’atelier della
Crypta Balbi, quello di piazza Venezia). Di fronte a questo tipo di dati, si è scelto di scomporre l’informazione
produttiva e di registrare anche in questo caso i singoli
indicatori. Tale scomposizione delle informazioni pro-
duttive complesse (officine identificate e ben descritte
nella pubblicazione), è stata realizzata per avere un grado
di uniformità nella gestione dei dati ed in seconda battuta, proprio perché come si è detto il dato edito è stato
in ogni caso filtrato, scomporre l’informazione complessa sembrava essere un modo per non svincolare mai
l’unità minima (l’indicatore) dal contesto di scavo. Inoltre è sembrata essere utile anche nella valutazione di tutti
quegli indicatori isolati che risultavano essere di dubbia
o difficile comprensione e che invece, alla luce di un lavoro di analisi come quello affrontato in questo progetto
di ricerca, possono, e potranno anche in futuro, essere
ricondotti a specifici cicli, fasi, attività, spostando quindi
l’attenzione verso i processi. Certo, come si evince dalle
riflessioni fin qui proposte, non sempre è possibile dare
un grado di affidabilità al dato desunto dall’edito, tuttavia considerare i dati in questi termini vuol dire rendere
il sistema applicabile in futuro anche a dati che provengono da scavi, ricognizioni, o analisi di particolari classi
di oggetti, dando così un peso specifico anche alla giacitura del reperto, alle relazioni che lo legano agli altri
reperti, e quindi alla definizione del contesto che si analizza; associazioni sbagliate portano infatti alla definizione di contesti inadeguati, che falsificano l’analisi dei
contesti stessi, travisando il valore che essi assumono in
ricerche di carattere più generale (qualità della produzione, della specializzazione, livelli produttivi, relazione
tra le officine, ma anche in relazione all’efficienza e
quindi all’economia). Ad esempio, resti ossei come cavicchie e mascelle di bovino e suino sono scarti di macellazione, che possono diventare materie prime per altre
lavorazioni, come lo sono anche ad esempio rinvenimenti di tibie con epifisi segate. Indicatori che non ci
danno solo informazioni sulla presenza di una specifica
attività, ma che consentono di riflettere sulla dislocazione di queste stesse attività in specifiche aree della città
e di ragionare sulle connessioni con altre attività, restituendo quindi informazioni sulla catena di officine artigianali legate in questo caso allo sfruttamento animale 21.
Gli indicatori, valutati secondo i criteri fin qui descritti, possono essere associati in contesti produttivi, che
assumono anch’essi validità di esistenza secondo i tre
criteri di localizzazione, cronologia e definizione già
ricordati. Nel passare dai singoli indicatori ai contesti
ZANOBONI 1996.
Si pensi al caso di Padova, o a quello di Aix en Provence: cfr.
CIPRIANO, MAZZOCHIN 2014; per Aix, NIN, LEGIULLOUX 2003. Per
Roma, ad esempio, sappiamo che l’attività dei candelottari durante
il XV secolo nel rione Pigna si svolgeva in connessione con altre at-
tività legate sempre alla lavorazione di derivati animali, dato questo
che se finora non ha avuto riscontro archeologico nella banca dati, è
certamente da approfondire cercando le adeguate connessioni (cfr.
MODIGLIANI 1992, p. 462). Per una analisi degli indicatori ossei si
veda il contributo di J. De Grossi Mazzorin in questo volume.
20
21
IL GIS E LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE A ROMA IN ETÀ MEDIEVALE. UNA QUESTIONE DI METODO TRA TENDENZE E FATTI
81
produttivi, ottenuti per associazione topografica-funzionale, la logica del ciclo consente, ancora una volta, di
avere la possibilità di individuare una distinzione tra officine che producono prodotti diversi (vetro, metallo, ceramica, etc.), ma consente anche di dare un grado di validità
ad ogni contesto. Infatti, se ci sono degli indicatori che
rimandano a specifiche produzioni, altri si prestano a più
interpretazioni; senza tralasciare il fatto che a volte alcuni
reperti non è chiaro se siano da riferirsi alla produzione
o al consumo. Sicuramente la presenza di installazioni
fisse, di frammenti dei prodotti lavorati, scarti di produzione, notevoli quantità di materiali non cotti o semilavorati, accumuli di materie prime, rinvenimenti di strumenti ci danno delle indicazioni precise. Tuttavia ad
eccezione delle installazioni fisse, che sole possono darci
indicazioni precise sulla presenza o meno di un contesto
produttivo, gli altri elementi devono essere dapprima
valutati in relazione al deposito archeologico e successivamente secondo i criteri di associazione. Ecco perché
nel sistema, come si diceva, gli indicatori sono stati associati sia come contesti topografici e poi sulla base di
quanto appena descritto sono stati associati in contesti
produttivi. Nel database sono stati identificati finora 303
contesti topografici, di questi finora si è proceduto ad una
analisi dei contesti produttivi su un campione di 158. Di
questi 158, sulla base del metodo presentato, 70 sono
contesti produttivi validi, 28 non validi, 21 presentano
delle incongruenze e 39 mostrano problemi legati
all’identificazione degli indicatori in funzione del ciclo
produttivo e quindi sono oggetto di una revisione volta
alla comprensione del tipo di contesto produttivo.
Rientrano in questa attività di revisione ad esempio
i contesti 129 e 131, dove in corso di verifica è la dubbia
interpretazione, presente già in bibliografia, dei cumuli
di ossa rinvenuti nell’area di piazza Navona 62, area
126. I cumuli sono indicati, infatti, sia come scarti di
macellazione sia come probabile materia prima nella lavorazione dell’osso. Scopo della verifica è capire, sulla
base dell’affidabilità stratigrafica in quale fase e in quale
ciclo ci troviamo ovvero se siamo di fronte a degli scarti
semplicemente ‘buttati’ o a degli scarti ‘reimpiegati’ già
come materia prima e quindi stoccati per la nuova attività. Un esempio di contesto produttivo problematico è,
ad esempio, il contesto 132, sempre in piazza Navona,
dove sono censiti tra gli indicatori alcuni scarti di lavorazione della ceramica, rinvenuti in un immondezzaio
di XIV-XV secolo. In questo caso è chiaro che il dato è
da mettere in relazione alla presenza, attestata anche
nelle fonti, di botteghe di vasai, tuttavia se l’indicazione
topografica è importante al fine di identificare areali di
azione tra botteghe e luoghi di smaltimento dei rifiuti,
essi non provengono da un contesto produttivo accertato
stratigraficamente, ovvero l’officina di un vasaio. Ecco
quindi che l’indicatore ci da una informazione topografica importante, anche se non riconducibile ad un contesto produttivo puntuale. Altro caso interessante, sulla
base sempre delle interrogazioni del GIS, è il contesto
108, individuato nell’esedra sud-occidentale delle terme
di Traiano. Si tratta di un contesto in cui sono stati identificati indicatori diversificati riconducibili a diverse attività artigianali, che fanno riflettere sulla presenza di
una officina composita e complessa, simile a quella del
VII secolo della Crypta Balbi, anche se di qualche decennio precedente 22. Certamente si tratta di una ipotesi
da valutare con attenzione, ma uno degli scopi del GIS
in questo caso è anche quello di aprire i dati a nuovi tipi
di interpretazione e a nuove vie di ricerca.
Molto è ancora il lavoro da fare, ma l’accortezza dell’analisi avviata, basata in primis su una attenta conoscenza dei cicli produttivi, consentirà di muoversi con
maggiore agilità nella complessità che si apre di fronte
ai nostri occhi, e che appare ancora più articolata di
quanto ipotizzato all’avvio del lavoro. Emerge inoltre
come, i dati produttivi possano essere letti anche in relazione allo sviluppo urbanistico, ai rapporti economici
e alle interazioni culturali e non debbano mai essere separati dal contesto di rinvenimento.
Se poniamo ancora una volta attenzione alla definizione dei contesti cui si è accennato in questo paragrafo, possiamo ora far riferimento ad un altro aspetto della produzione: l’organizzazione del lavoro. L’archeologia non sempre restituisce informazioni sull’organizzazione del lavoro, può, infatti, risultare difficile ricostruire quante persone lavorassero all’interno di ogni
officina, quanti collaboratori, quanti apprendisti 23. Tuttavia è importante tentare almeno a livello molto gene-
22
I materiali rinvenuti durante le indagini archeologiche svolte
dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali del Comune di
Roma tra il 2003 e il 2005, hanno messo in evidenza, ad esempio,
come i materiali rinvenuti, dal punto di vista tipologico presentino
affinità con quelli dell’esedra della Cripta Balbi, anche se databili a
qualche decennio prima rispetto a questi ultimi (cfr. DB, contesto
108, indicatori 266-271).
23
Il tema è certamente ampio e notevolmente discusso. Testi di
riferimento in proposito sono certamente PEACOCK 1979; PEACOCK
1982; MOREL 1987; BARRAL I ALTET 1990. Sul rapporto tra economia
e tecnologia GOLDTHWAITE 1984. Per una riflessione sull’organizzazione del lavoro in età romana alla luce dei dati si veda il saggio di
C. Panella in questo volume.
82
NICOLETTA GIANNINI
rale di attuare una classificazione, sulla base delle evidenze archeologiche censite. È possibile ad esempio distinguere i quartieri dai centri artigianali, dai laboratori
specializzati, dalle manifatture, sia per alcune caratteristiche intrinseche, sia per il ruolo che essi hanno
nell’organizzazione della città e del suo sistema socioeconomico. In verità siamo in grado di attribuire a vere
e proprie manifatture, pochi contesti come ad esempio
le fornaci che sorsero nel XV secolo a ridosso del Borgo, e che costituiscono il nucleo primordiale di quello
che diventerà poi un vero e proprio distretto (pre)industriale. Dal punto di vista urbano le tracce di attività
produttive messe in relazione con i dati provenienti dai
documenti di archivio, saranno in grado di restituire informazioni, non solo sulla natura dell’attività, ma anche
sulla presenza di abitazioni legate ad essa, o sulla presenza di eventuali luoghi destinati al commercio o all’immagazzinamento di materie prime, nonché sull’organizzazione della produzione.
La fornace da laterizi di piazza Sforza Cesarini e la produzione laterizia a Roma nel Medioevo. Un esempio di
ricerca alla luce del GIS
Alla luce di quanto fin qui esposto si evince che ora
disponiamo di un nuovo insieme di informazioni, caratterizzate da differenti gradi di dettaglio. Esse tuttavia
aprono la strada anche ad altri quesiti; il valore del dato
che censiamo e che poi interroghiamo attraverso il sistema GIS, infatti, sta anche nella possibilità di poterlo
utilizzare per la ricostruzione del paesaggio produttivo
e culturale. Vorrei quindi presentare in questa sede alcune riflessioni scaturite dal rinvenimento della fornace
da laterizi di piazza Sforza Cesarini, che hanno portato
ad un tentativo di rilettura della produzione laterizia a
Roma in età medievale. Tale approfondimento prende le
mosse dalla volontà di riconsiderare, alla luce del metodo esposto, il valore degli indicatori legati alle attività
costruttive, tuttora in corso di svolgimento, e in stretta
24
Dal 2013 chi scrive sta portando avanti nell’ambito delle attività
condotte dal Laboratorio di Archeologia Medievale, una ricerca
sull’edilizia medievale della città di Roma, che ha preso le mosse
dal progetto pilota Filas-Regione Lazio- Università di Roma ‘Tor
Vergata’ dal titolo: Le identità del Lazio. Valorizzazione del patrimonio storico, sociale, artistico e ambientale attraverso nuove piattaforme conoscitive(e multimediali), anche ai fini della promozione
turistico-culturale. Essa inoltre è parte di un progetto di più ampia
portata, condotto dall’Università di ‘Tor Vergata’, con la volontà di
ricostruire le dinamiche evolutive della realtà urbana tra VI e XV secolo. Ad esso quali componenti stabili dell’équipe di ricerca stanno
contribuendo Sandro Carocci, Nicoletta Giannini, Alessandra Molinari, Marco Vendittelli.
connessione con quanto si sta facendo sull’edilizia medievale della città (fig. 5 e tav. 00) 24. La fornace di
piazza Sforza Cesarini 25, infatti, è certamente tra questo
tipo di installazioni fisse la più interessante per l’arco
cronologico di riferimento, il XIII-XIV secolo. L’impianto è stato rinvenuto durante i saggi effettuati lungo
corso Vittorio Emanuele per la realizzazione della Metro
C 26. Ci troviamo in un punto importante nella storia
della città, ovvero il settore occidentale del Campus
Martius, un’area che dalla tarda età repubblicana ha cominciato ad essere oggetto di una edificazione continua.
Le indagini hanno messo in luce una sequenza insediativa che dall’età augustea giunge ai giorni nostri, pur
mostrando in molti casi l’assenza di livelli di età pienamente medievale, in quanto asportati a seguito delle trasformazioni costruttive che questo settore della città
conosce tra XVI e XVII secolo. Tuttavia, proprio da
questo saggio provengono le testimonianze superstiti dei
livelli medievali databili al XIII-XIV secolo, da mettere
in connessione, insieme all’impianto, con le attività costruttive del periodo. Alla luce di quanto possibile ricostruire sulla base dell’edito, si tratta di un impianto di
forma quadrangolare, di cui possiamo identificare la camera di cottura e il corridoio centrale, classificabile,
come Tipo II/b nella tipologia della Cuomo di Caprio 27.
La produzione laterizia è senza alcun dubbio una
delle attività edilizie tra le più importanti per la città già
in epoca romana e consente certamente di mettere in evidenza tutta una serie di problematiche legate allo studio
di una città come Roma dal punto di vista della produzione in età medievale 28.
Se guardiamo al rinvenimento in relazione alla produzione dal punto di vista dei problemi metodologici cui
si è fatto riferimento nelle pagine precedenti, essi possono essere sintetizzati nei seguenti punti:
- valore del rinvenimento in funzione della quantità
degli impianti scavati e della loro distribuzione cronologica
FILIPPI 2010, p. 54; vd., pure, DB, contesto 286, indicatore 581.
EGIDI, FILIPPI, MARTONE 2010.
27
CUOMO DI CAPRIO 2007, pp. 522-525. Allo stato attuale della
ricerca non è possibile associare all’impianto altri indicatori e/o strutture pertinenti alle attività necessarie alla fabbricazione dei laterizi.
Dati diversi emergono ad esempio dal contesto della fornace per laterizi rinvenuta nei Fori Imperiali datata al XV-XVI secolo, di cui si
conserva anche parte degli archetti di sostegno e l’imposta della camera di cottura.
28
In merito alla produzione laterizia in età romana, si vedano i
contributi in questo volume di C. Panella e F. Coarelli.
25
26
IL GIS E LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE A ROMA IN ETÀ MEDIEVALE. UNA QUESTIONE DI METODO TRA TENDENZE E FATTI
83
- qualità del record
archeologico
- classificazione del
tipo di impianti
(occasionali o manifatture per la produzione su scala
più ampia)
- ricostruzione della
produzione partendo
dai manufatti.
Inoltre i dati così raccolti possono portare ad
alcune riflessioni su:
- tipo di committenza
- presenza di maestranze specializzate
a volte portatrici di
nuove tecnologie.
Un’ulteriore domanda
a cui essi portano è legata
alla riflessione su quanto
è estesa la città in termini
di produzione e quindi
al rapporto con alcune
parti del territorio circostante che non è sempre
ed esclusivamente legato
all’areale con il quale la
identifichiamo, ma spesso mostra legami con territori anche piuttosto distanti. Va sottolineato infine come la produzione
laterizia consente di mettere in evidenza quello
stringente rapporto tra Fig. 5. - Indicatori di attività edilizie. In alto, la distribuzione nel GIS; in basso, il grafico inerente la loro didato archeologico e altre stribuzione cronologica nel tempo.
fonti che si mostra sema Roma ampiamente documentata fino al III secolo,
pre fondamentale nella comprensione di un fenomeno
subisce un primo arresto nella metà del IV secolo, vede
complesso come quello della produzione.
Appare evidente per la fornace di piazza Sforza Cepoi un nuovo impulso in età teodoriciana (490-526),
sarini che, l’informazione contenuta nel GIS, nonostante
senza tuttavia mai riprendere il pieno regime testimoniato
la scarsa documentazione edita inerente la giacitura del
manufatto ed i livelli antropizzati ad essa associati, si
29
La documentazione in merito a questa produzione a Roma è
mostra interessante specie se lo inseriamo nel quadro
ancora, nonostante alcuni studi ad esso dedicati, frammentaria, sia
della produzione laterizia a Roma di età medievale,
per quel che concerne le strutture materiali sia per quel che riguarda
sulla quale i dati non sono densi 29. L’industria laterizia
lo studio dei documenti d’archivio. Per la comprensione dei modi
84
NICOLETTA GIANNINI
dalla produzione di età imperiale. Sebbene i dati provenienti dalle indagini archeologiche segnalino la presenza
di una produzione destinata sopratutto ad elementi da
copertura è solo alla fine del Medioevo che essa rifiorisce
quale attività economica trainante organizzata in serie.
Tra questi due momenti cronologici il VI e il XV secolo,
si inserisce una ripresa in scala molto ridotta attuata dai
papi carolingi, mentre tutte da chiarire sono le dinamiche
produttive legate al periodo compreso tra il VIII-IX
secolo e il XIV e XV secolo 30. Se, infatti è ben conosciuta
e documentata la pratica del reimpiego, è anche vero
che siamo a conoscenza di alcune produzioni, certamente
limitate e circoscritte nel tempo, sia per il periodo altomedievale che per i secoli centrali del Medioevo.
Si pensi al rinvenimento dei mattone con bollo Iohannes in tabula ansata proveniente dal tempio di Vesta, oppure alle tegole con il bollo di papa Adriano I provenienti
dal tetto di S. Maria Maggiore, ma anche alle tegole con
bollo di Innocenzo II rinvenuto sulla via Nomentana 31.
Si tratta di casi circoscritti, che certo potrebbero richiamare anche il valore evergetico dato al bollo laterizio,
ma che vanno certamente inquadrati in un ambito circodella produzione laterizia pre-industriale a Roma, resta fondamentale
il trattato di Giuseppe Valadier, L’architettura Pratica, redatto nel
1828 e ricco di informazioni in merito alla descrizione di manufatti
che molto spesso sono accompagnati da illustrazioni, fornaci, strumenti e fasi del ciclo produttivo. Un primo quadro di sintesi sulla
produzione laterizia nel Lazio tra VI e XII secolo fu oggetto di un
importante lavoro redatto nel 1983 da Arthur e Whitehouse sulla produzione laterizia dell’Italia centro meridionale (ARTHUR, WHITEHOUSE 1983, pp. 525-537). Ancora scarse in quegli anni erano le
ricerche in merito a questa produzione in area romana, ma, nel corso
del tempo, le indagini archeologiche hanno portato ad importanti acquisizioni, molte delle quali vennero pubblicate, quasi venti anni
dopo il lavoro di Arthur e Whitehouse, nel convegno tenutosi a Roma
nel 1998 e poi edito nel 2001 (DE MINICIS 2001). Per alcuni aspetti
della produzione laterizia a Roma e per i casi di confronto qui presentati si rimanda a GIUSTINI 1997; GIUSTINI 2001 pp. 9-21; MONTELLI 2001, pp. 63-68. Per un approccio di tipo metodologico,
CAMPAGNOLI 1993; STEINBY 1993, pp. 139-143; MANNONI 2000; RATILAINEN, BERNOTAS, HERRMANN 2014. Per uno studio legato soprattutto alla documentazione scritta si ricordano i saggi di CORTONESI
1986; VAQUERO PIÑEIRO 2002. Infine tra la numerosa bibliografia
presente si ricordano in questa sede PEACOCK 1979; NORTON 1990;
PARENTI 1994; PITTALUNGA, QUIRÓS CASTILLO 1997; PARENTI, QUIRÓS CASTILLO 2000; QUIRÓS CASTILLO 2001; QUIRÓS CASTILLO 2005;
BALDASSARI, CIAMPOLTRINI 2006; MELLOR 2014. Per un quadro su
cosa accade in epoca romana si rimanda agli interventi di F. Coarelli
e C. Panella in questo volume.
30
Ad eccezioni di alcuni esempi sull’alto Medioevo funzionale
al discorso che qui si presenta non si tratteranno in questo contributo
aspetti legati alla produzione edilizia romana altomedievale, né alle
attività che vedono il ricorso sistematico alla pratica del reimpiego,
vista nell’ottica della produzione sia per l’alto che per il basso Medioevo. Per entrambi questi aspetti si veda il contributo di R. Santangeli Valenzani in questo volume.
31
LANCIANI, DE ROSSI 1883, p. 494; MARINI 1884, p. 5; CROSTA-
stanziale di produzione di tegole. Come già evidenziato
da E. Hubert, i laterizi da copertura sembrano passare da
un bene di lusso riservato a pochi, ancora a cavallo del
X e XI secolo, ad un prodotto edilizio che a partire dal
XII secolo trova una rinnovata diffusione 32, tanto da divenire quasi primario almeno nel XIV secolo 33. La prima
indicazione di produzione di mattoni vera e propria è invece del 1368-69 ed è inerente al materiale impiegato per
i palazzi Vaticani 34, mentre qualche anno dopo, nel 1372,
è registrata negli atti del notaio Lorenzo Staglia la richiesta di un Fornaciarius dudum de Peruscio et nunc de regione Ponti set contrate Sancti Petri, da parte del vicario
del monastero di S. Paolo 35. In tutti i casi ricordati
emerge una connessione tra produzione laterizia e committenza papale o ecclesiastica che sembra essere ben
documentata anche dagli scavi di fornaci riguardanti
Roma, il suo territorio e altre zone del Lazio, come nel
caso di Montecassino 36. Qui le ricerche, dal punto di
vista della tecnologia della produzione, hanno consentito
di evidenziare la presenza di pratiche produttive specifiche, che sembrano trovare confronto con modi produttivi
tipici dell’area lombarda 37, aspetto che si rivelerà inteROSA 1896, p. 63; GATTI 1909, pp. 107-112; STEINBY 1973-1974, pp.
117-118; STEINBY 1986, pp. 146-148, 158-159.
32
È sicuramente prova di questo valore economico il fatto che il
cardinale di S. Maria in Trastevere nel 1075 scambia una casa ad un
piano con un terreno e 100 tegole (Tab. Vicar. Urbis, Archivio del
Capitolo di Santa Maria in Trastevere, pergamena 6). Secondo Hubert, il silenzio che nelle fonti si registra a partire dal XII secolo sulle
annotazioni in materia è dettato dall’estrema diffusione che non porta
più i notai a registrare la presenza di tegole in funzione del fatto che
fosse diventato comune il loro utilizzo (HUBERT 1990, pp. 220-222
e 228-229). Certo è che la presenza di tegole, sebbene esse si diffondano maggiormente, continua ad avere un certo peso nel valore delle
case, se in un contratto di vendita del 1456, possiamo leggere casarenum seu domum discopertam cum orto post se, cum duabos trabibus et certis tebulis in eo existetibus, cum omnibus et singulis
introytibus […] positum in regione Campi M(artis).
33
MALATESTA 1885, p. 114.
34
KIRSCH 1898, pp. 111-112, doc. 451 del 1367; p. 122, doc. 451
del 1368; p. 147, doc. 334 del 1369.
35
LORI SANFILIPPO 1986, pp. 76-77. Si ricorda inoltre che nell’atto
viene chiamato a fare da garante per il fornaciaro, un vasaio di Città
di Castello ma abitante nella regione S. Eustachio.
36
Qui i materiali rinvenuti fanno pensare alla presenza di un centro in cui si producevano non solo laterizi ma anche mattoni (PANTONI 1953, p. 258).
37
Sempre a Montecassino è stata riscontrata una anomala presenza di bolli o di altri grafi che contrasta notevolmente con quanto
emerge dagli altri contesti laziali. La presenza di nomi quali Iohannes, Mauricius, Bonizo, Gisipert, è stata identificata dalla Giustini
come una conferma dell’importante ruolo culturale svolto dall’abbazia, avanzando l’ipotesi che alcuni di questi nomi, oltretutto ben
attestati in Europa Centrale, siano da mettere in relazione con la
produzione, in particolare con i responsabili delle fornaci o con gli
artigiani; ipotesi che viene avanzata anche per alcuni segni su laterizi rinvenuti in area lombarda. Cfr. GIUSTINI 2001, p. 11 e nota 26.
IL GIS E LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE A ROMA IN ETÀ MEDIEVALE. UNA QUESTIONE DI METODO TRA TENDENZE E FATTI
85
ressante anche per alcuni dati su
Roma e su cui si tornerà più avanti.
Poniamo ora l’attenzione ad alcuni rinvenimenti di area laziale
che, sebbene al di fuori dai limiti
spaziali del convegno, svolgono
certamente un ruolo importante per
la città in diversi momenti storici.
Il comparto a nord di Roma, in cui
ricadono i siti di S. Cornelia, Ponte
Nepesino, Mola di Montegelato,
caratterizzato dal passaggio della
via Amerina, è uno degli areali più
strettamente connessi alla città dal
punto di vista funzionale. Questo
legame si evidenzia durante l’alto
Medioevo, quando, con il pontificato di Adriano I (772-795), viene
creata la domusculta Capracorum,
a cui seguì tra il 1026 e il 1035 la Fig. 6. - Localizzazione dei e delle installazioni fisse nel comparto nord di Roma.
fondazione del Monastero di Sancti
romani in laterizio, sarebbe opportuna una rilettura dei
Cornelii et Petri (fig. 6) 38. Durante le indagini condotte
dati. L’impianto consente di riflettere sul rapporto tra
nelle strutture del battistero della chiesa di S. Cornelia,
luoghi di produzione, committenze (ecclesiastiche), e
fu rinvenuta una fornace per laterizi i cui prodotti e scarti
di lavorazione sono riconducibili ad un arco cronologico
materiali impiegati. Questa connessione tra ciclo procompreso tra l’XI e il XIII secolo ed hanno contribuito
duttivo e cantiere di costruzione ecclesiastico, sempre
a rafforzare il ruolo di questo centro monastico. Si tratta
restando nell’areale di interesse di Roma, emerge anche
di un impianto di forma circolare, in parte scavato nella
nel caso della fornace laterizia rinvenuta nel piazzale anroccia e caratterizzato nella parte esterna da un muro in
tistante il Castello di Giulio II, riferibile alla realizzapietra, mentre si è ipotizzato per l’interno la presenza di
zione dell’episcopio voluto da Pio II, all’interno del
blocchi di argilla 39. La struttura è stata messa in relaborgo di Ostia antica, benché databile all’inizio del XV
zione con la produzione di materiali da copertura per la
secolo 40. Anche qui, è attestata una modalità produttiva,
chiesa in quanto non sono state rinvenute tracce di scarti
che trova confronto con il caso citato ma anche con altri
ceramici che facciano pensare ad un utilizzo della forimpianti presenti sul territorio laziale. Pensiamo ad
nace anche per altri materiali. La presenza esclusiva
esempio al caso della fornace rinvenuta in località La
nelle murature del complesso ecclesiastico di tufelli e
Fontanaccia-Allumiere, anch’essa in stretta connessione
laterizi di reimpiego contribuiscono ad avvalorare quecon una committenza ecclesiastica e in prossimità di
sta interpretazione, anche se forse alla luce delle nuove
un’area caratterizzata dalla presenza di figlinae in età
acquisizioni sulle sequenze stratigrafiche degli edifici
romana 41. Certo si tratta ancora di un numero esiguo di
CHRISTIE 1991, pp. 36-37.
39
La fornace trova confronto con l’impianto rinvenuto nella
chiesa dei SS. Giovanni e Reparata a Lucca e datato alla fine del XII
secolo. Cfr. QUIRÓS CASTILLO 2001, p. 35. E’ interessante ricordare
alla luce di quanto si presenta in questa sede quello che l’autore dice
in merito alle sue caratteristiche. Quirós Castillo, infatti, mette in
evidenza come la fornace sia stata realizzata con mattoni di un modulo particolare (m 26 x 13 x 5) e che trova confronto con i laterizi
impiegati nelle navate della chiesa confermando la sua realizzazione
per la costruzione dell’edificio.
40
Una prima notizia sulla fornace è presente in BROCCOLI 1983,
pp. 170-175. Si veda poi anche GIUSTINI 2001, p. 13.
38
41
Ritengo inoltre opportuno ricordare che ancora poco studiati in
merito a questo filone di ricerca sono i dati pertinenti al comparto
dell’Appia dove insiste la domusculta Sulpiciana, il cui territorio per
numerosi aspetti produttivi continua ad avere un ruolo determinante
nelle dinamiche evolutive della città. In particolare in merito alla
produzione laterizia è opportuno ricordare in questa sede il rinvenimento di un bollo laterizio delle figlinae Sulpicianae nei pressi del
Colle Savelli, fulcro di questo territorio per molto tempo BIAGIONI
2006. Su altri aspetti della realtà produttiva di questo comparto in
cui emerge il rapporto con Roma: GIANNINI 2006; GIANNINI 2013. In
merito alle figlinae di età romana e all’interesse della aristocrazia romana nella gestione economica di queste attività si rimanda a quanto
discusso da Coarelli in questo volume.
86
NICOLETTA GIANNINI
impianti noti, che tuttavia mostrano questo stringente
rapporto tra cantiere, produzione, committenza, alla luce
del quale le nuove acquisizione presenti nel GIS danno
certamente un importante contributo, mettendo in evidenza un quadro interessante per l’arco cronologico tra
l’XI e il XIV secolo 42, dove alla luce dei dati archeologici le produzioni laterizie sono sempre in stretta connessione con cantieri ecclesiastici di una certa rilevanza.
Tornando a riflettere sul rinvenimento di piazza
Sforza Cesarini quindi sarà importante, nel proseguimento della ricerca, tentare di ricostruire il tipo di cantiere cui l’impianto fa riferimento, così da comprendere
e valutare le modalità della produzione di laterizi in questo arco cronologico. Altro aspetto che necessita di essere confermato è se si tratti di una fornace per
l’esclusiva produzione di laterizi; elemento questo di
estremo interesse specie se messo in relazione all’organizzazione del lavoro e alla presenza di artigiani specializzati. La fornace, infatti, si trova in quel rione Ponte
dove a partire dal XIV secolo vengono attestati diversi
fornaciai alcuni dei quali di provenienza umbra.
Alla luce delle fonti scritte un altro nucleo di fornaciai che sembra avere una vocazione per la produzione
di tegole, è attestato nel XIV secolo in Trastevere e, se
volgiamo l’attenzione a questi artigiani, le fonti ci restituiscono un altro aspetto interessante di questa loro concentrazione: umbri e viterbesi insieme ad artigiani
autoctoni si trovano in Trastevere, mentre quelli provenienti dall’area lombarda sono esclusivamente concentrati nel rione Borgo. Le attestazioni in Trastevere sono
più antiche mentre quelle inerenti gli immigrati lombardi si attestano a partire dal XV secolo 43. Questa prevalenza di maestranze lombarde concentrate nel rione
Borgo si intensificherà nel XV e poi nel XVI secolo.
Non è certamente un caso che le fonti attestino nel XVI
secolo un incremento di abitazioni costruite nel rione
Ponte, che vengono indicate ad uso dei Lombardi di
Borgo 44.
Tornando invece alla distinzione tra la concentrazione di maestranze in zone diverse della città, sembra
possibile identificare anche una diversificazione produttiva che vede concentrata in Trastevere la produzione di
tegole ed in Borgo quella di mattoni. La presenza di questa duplice produzione in aree diverse della città è stata
messa in evidenza anche da Vaquero Piñeiro, che sottolinea come questa distinzione nel tipo di materiale prodotto, benché non rigida, sembra comunque esistente se
si ricorda quanto riporta in merito la Gabella dei calcaraii del 1398 45.
Nel tentativo di arricchire il dibattito dal punto di
vista della cultura materiale, si è tentato di guardare ai
dati dal punto di vista delle innovazioni tecnologiche:
ovvero se in merito alla produzione di mattoni e laterizi
siamo in grado di identificare dei caratteri distintivi che
possano avere rimandi all’area lombarda, al fine di rintracciare e comprendere il ruolo ed il legame che queste
maestranze hanno con le attività edilizie della città anche sulla scia di quel rapporto tra innovazione/tradizione/cultura/tecnologia. Tenendo conto di quanto finora
raccolto ed identificato, nell’ambito del censimento
sull’edilizia civile romana è sintomatico riscontrare come le produzioni laterizie di XV secolo, presenti sopratutto nelle murature in restauri o rifacimenti, siano tutte
caratterizzate dalla presenza di mattoni rettangolari, secondo forma e dimensioni che trovano rare attestazioni,
nelle epoche precedenti, a Roma 46. La riduzione degli
spessori e il ricorso ad impasti molto depurati sono già
caratteristiche già adottate nelle produzioni laterizie di
XI-XIII secolo. Gli esemplari della fornace di S. Cornelia, ad esempio, presentano impasti molto depurati e
spessori che mostrano una certa riduzione rispetto a
quelli dei secoli precedenti 47. Le tegole inoltre sono caratterizzate da una risega verticale che ha continuità con
quelle altomedievali, in special modo del periodo di
Adriano I 48. Una interessante osservazione può essere
fatta inoltre mettendo a confronto le caratteristiche dei
materiali rinvenuti a S. Cornelia, a Ponte Nepesino, a
Mola di Monte Gelato e Malborghetto sulla via Flaminia con le attestazione dell’Urbe. Tali ritrovamenti, per
esempio nel caso di Malborghetto 49, consentono un
42
Alla luce di questo quadro disegnato è opportuno ricordare
anche l’impianto scavato nel 1996 nel sito di Rossilli lungo l’antica
via Latina. L’impianto rinvenuto è datato al XIII-XIV secolo, i dati
stratigrafici hanno messo in evidenza un abbandono dell’impianto
già prima della fine del XIV secolo. Si veda quanto riportato in GIUSTINI 2001, p. 13.
43
Per i documenti sulle fornaci si faccia riferimento alle tavole
riassuntive in GIUSTINI 1997 e ai documenti citati da VAQUERO PIÑEIRO 2002.
44
In un documento redatto da un ambasciatore dello stato di Venezia, si riporta infatti il dato che a Roma tra il 1513 e il 1523 si sono
costruite circa diecimila case di Lombardi, FOURNEL, ZANCARINI
1996; la notizia inoltre viene riportata anche, in CENTOFANTI 1999,
p. 72, nota 21.
45
VAQUERO PIÑEIRO 2002, pp. 137-154.
46
Sui mattoni con bollo di Innocenzo II, cfr. MONTELLI 2001, fig.
40, p.71.
47
PAROLI 1991, pp. 152-172.
48
In particolare con le tegole rinvenute a Roma a S. Silvestro, S.
Martino ai Monti e S. Maria Maggiore. Cfr. STEINBY 1973-1974, pp.
108-109.
49
TOMMASI 2001, pp. 108-114. Nel sito è attestato un uso di ma-
IL GIS E LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE A ROMA IN ETÀ MEDIEVALE. UNA QUESTIONE DI METODO TRA TENDENZE E FATTI
87
confronto con la produzione urbana, in particolare con
i materiali laterizi rinvenuti nella Crypta Balbi e datati
al XII secolo, contribuendo non poco alla riflessione
sulla presenza di una certa continuità produttiva tra realtà urbana ed extraurbana 50. Sia i materiali di Malborghetto che quelli della Crypta mostrano dimensioni ridotte, una forte inclinazione dell’aletta e peso ridotto.
Questa forte inclinazione dell’aletta, riconducibile ad
un taglio obliquo della medesima, si trova anche nelle
tegole di S. Cornelia; la caratteristica è riconducibile,
dal punto di vista del gesto tecnico, all’asportazione
dell’argilla in eccesso sul pezzo ancora fresco subito
dopo l’estrazione dalla forma, al contrario di quelle di
epoca romana dove la risega veniva realizzata in negativo quando il manufatto era ancora nella forma 51. A
Ponte Nepesino è possibile vedere la presenza di laterizi di nuova produzione già in manufatti di XII secolo;
le tegole sono caratterizzate, come quelle di S. Cornelia, da un’attenta selezione delle argille che è in connessione con una certa qualità di esecuzione tanto da
avere spesso marcature 52. Non troviamo qui, invece, la
presenza di riseghe né tantomeno una omogeneità dimensionale, cosa che è stata messa in relazione con una
differenziazione nella destinazione d’uso dei vari pezzi 53. I materiali provenienti da Mola di Monte Gelato,
infine, si differenziano per una qualità di fattura minore
rispetto agli altri casi 54. Qui le indagini hanno messo
in evidenza la presenza di tegole di produzione locale;
unici elementi in comune con quelli di Ponte Nepesino
sono una estrema friabilità e l’assenza di marcatura.
Passando in maniera più specifica all’analisi degli impasti, gli embrici rivenuti a Malborghetto hanno caratteristiche del tutto analoghe a quelle delle tegole. La
differenziazione del colore tra i due elementi potrebbero invece essere ricondotte alla loro posizione all’interno del forno nel momento della cottura 55. Anche l’analisi degli impasti effettuata sui campioni dei prodotti
messi in opera a Roma e riportato all’interno dello studio della Montelli, ha messo in evidenza, per quelli che
sono stati riconosciuti come laterizi medievali, caratteristiche riferibili, secondo l’autrice, ad una lavorazione
poco raffinata 56. Difficile allo stato attuale dare un valore alla qualità del prodotto, che sebbene possa dipendere dalla presenza di maestranze più o meno specializzate deve anche essere valutato nell’ambito di produzioni che sembrano sfruttare impianti temporanei e
alle modalità di cottura. Allo stato attuale delle ricerche
perciò questo aspetto risulta ancora da chiarire.
Dalle ricerche finora condotte, sembra emergere una
certa continuità con un modo di produrre che si attesta
in area romana già in epoca carolingia, è attestato ancora
nell’XI secolo e continua a lasciare traccia fino al XIV
secolo.
Segnando una differenziazione con la produzione di
derivazione romana questa nuova tradizione è caratterizzata dalla presenza di risega obliqua, spessori ridotti,
leggerezza e maneggevolezza, tutti elementi che necessitano di una particolare attenzione nella valutazione,
poiché se da un lato rimandano ad una certa ‘standardizzazione’, devono costantemente essere letti in relazione alle attestazioni di fornaci che certo non
rimandano ad una organizzazione della produzione di
tipo standardizzato. La contingenza degli impianti produttivi in relazione a queste caratteristiche comuni, consente di avanzare l’ipotesi che tali elementi siano da
mettere in relazione con maestranze specializzate itineranti e quindi portatrici di un nuovo modo di produrre.
Dati interessanti emergeranno dall’approfondimento
sulle maestranze lombarde. Studi condotti su scala regionale hanno messo in evidenza, ad esempio, come il
XII secolo rappresenti un momento centrale nella ripresa
della produzione laterizia in Italia e in Europa. Tuttavia
è in area padana che a partire dal IX secolo compaiono
le prime attestazioni di produzioni con modulo medievale, dato questo che porta senza alcun dubbio a riflettere su come da questa regione parta la diffusione di
nuove tecnologie 57. Diviene quindi fondamentale comprendere il rapporto tra nuovi cantieri costruttivi urbani,
teriale nuovo a partire dal XII secolo. Qui non sono state rinvenute
fornaci; tuttavia, in relazione alla continuità territoriale evidenziata
precedentemente, è opportuno ricordare che la nascita di un borgo
fortificato è in stretta connessione con la presenza di un insediamento
rurale posto a pochi chilometri di distanza che si sviluppo su quello
che era l’area di pertinenza della domusculta voluta da papa Zaccaria
tra il 741 e il 752.
50
PROIETTI 1990, pp. 565-574.
51
Questa tecnica si diffonde in epoca altomedievale e sembra continuare nei secoli successivi come attestano i casi qui ricordati. Sulla
diffusione di questa tecnica cfr. STEINBY 1973-1974, pp. 117-118 e
124, fig. 8.
STONE 1984, pp. 108-118.
Sono stati rinvenuti mattoni databili al XIII-XIV secolo, oltre
a 87 tegole e 15 embrici. I materiali presentano un alto grado di specializzazione ed una attenzione particolare nella selezione delle argille riscontrabile soprattutto negli elementi da copertura.
54
GILLIVER1997, pp. 78-79.
55
TOMMASI 2001, p. 111, nota 16.
56
MONTELLI 2001, p. 106.
57
Si ricordano ad esempio per la Liguria la sintesi di PITTALUNGA
2001; per la Toscana, QUIRÓS CASTILLO 2001; per la Sardegna, CORONEO 1993; MURRU 1995.
52
53
88
NICOLETTA GIANNINI
maestranze e produzioni, volgendo particolare attenzione ai mattoni, sui quali i dati si infittiscono con le manifatture di XV secolo, legate alla nascita di impianti più
stabili e che vedono coinvolte le maestranze lombarde.
A tal proposito alla luce dei dati finora raccolti sarà
interessante riflettere sulla definizione dei poli produttivi
urbani individuati: Trastevere e Borgo. Sarà importante
verificare se questa differenziazione nella produzione
tegole/mattoni sia da mettere in relazione con impianti
che producono stagionalmente o insieme ad altri manufatti, come nel caso del polo produttivo identificato a
Lucca nei pressi di Ponte San Pietro 58; oppure si tratti
di impianti stabili. Sulla base di quanto finora in nostro
possesso appare evidente che anche a Roma, in questo
passaggio tra produzione occasionale e stabile non vengono potenziati i quartieri artigianali già esistenti ma si
assiste alla vera e propria creazione di un quartiere manifatturiero, la valle delle Fornaci. Importante sarà comprendere le dinamiche di queste trasformazioni in città
e il momento di questo passaggio.
Altro punto da fissare nell’agenda di ricerca è la necessità di valutare in maniera più dettagliata se questa
produzione sia legata solo ed esclusivamente a committenze ecclesiastiche, o se sia possibile individuare anche
un coinvolgimento di committenze diverse, valutandone
il ruolo in termini di domanda e offerta ovvero richiesta
del materiale e controllo delle fornaci.
Inoltre sempre in termini di committenze l’indagine,
grazie alla combinazione di fonti archeologiche e documentarie, potrebbe consentire di definire nel dettaglio,
con una scansione cronologia puntuale, se vi sia stato o
meno un ruolo dei grandi enti monastici nella diffusione
di nuovi impianti produttivi, anche in relazione alla
grande riprese edilizia del Duecento 59.
I dati finora analizzati sull’edilizia, che certo necessitano di ulteriori approfondimenti, mettono infatti in risalto quanto la prima metà del XII secolo rappresenti un
momento importante nella crescita della città. Un momento cronologico in cui certamente la committenza pa-
pale, a partire dall’attività di Pasquale II, ma anche di
quella di Innocenzo II, Alessandro III e Celestino III assume un ruolo importante nella crescita edilizia ed urbanistica di alcuni comparti della città. Non vi è dubbio,
infatti, che il notevole numero di indicatori di produzione pertinente l’attività edilizia, deve assolutamente
essere letto in rapporto all’aspetto abitativo e in relazione ai modi di progettare la città tra XII e XV secolo 60.
Tra questi dati sul rinnovamento edilizio, informazioni
interessanti emergono dallo studio dei campanili, un elemento edilizio diffuso già nel XII secolo, e che quindi
può ampiamente contribuire alla studio dei materiali costruttivi e delle tecniche murarie in relazione agli aspetti
tecnologici 61. Al XIII secolo non riusciamo ad attribuire,
ad oggi, dei dati archeologicamente certi, tuttavia non è
da sottovalutare la diffusione che si ha della tecnica a
tufelli. Del resto, nell’edilizia privata in città dove il laterizio di reimpiego viene abbondantemente utilizzato,
si riscontra un notevole affinamento delle tecniche di
posa in opera, caratterizzate spesso da giunti stilati o lavorati, con particolare accortezza nell’apparecchio murario e nella scelta del materiale. Nello stesso momento
e già, a partire dal XII secolo, compaiono, invece, produzioni di pezzi speciali destinati alle decorazioni fittili
che non interessano solo l’edilizia ecclesiastica, come
ad esempio gli elementi prismatici della cornice di S.
Quirico e Giulitta, ma anche nell’edilizia civile; interessante a questo proposito è l’edificio di vicolo del Buco 62.
A Roma l’impiego di elementi decorativi architettonici
nell’edilizia privata non è molto attestato tuttavia alla
luce di quanto qui esposto i dati andrebbero riconsiderati
in merito a caratteri, diffusione e tecniche.
Nel XIV secolo non sembrano attestate grosse produzioni, ma sopratutto tegole e pezzi speciali, come
quelli messi in opera nel campanile di S. Maria Maggiore, nel portico dell’ospedale lateranense o nel campanile dei SS. Quirico e Giulitta.
Scarsi inoltre sono gli esempi di murature in laterizi
nelle torri e casali della Campagna Romana tra XII e
CASTAGNETTI, LUTTAZZI, PASQUALI et alii 1979, p. 232; QUIRÓS
CASTILLO 2001, p. 33.
59
In Toscana ad esempio nelle città in cui il laterizio ha avuto un
grande impiego si è messo in evidenza come a Lucca e a Pisa la produzione di laterizi si consolidi molto prima della costruzione delle
chiese conventuali di XIII secolo. In città come Pistoia e Prato dove
invece l’edilizia sembra aver prediletto l’impiego della pietra, i primi
edifici in cui si individua l’utilizzo di laterizi nuovi sono proprio questi edifici i cui cantieri comportano la presenza di impianti stabili.
QUIRÓS CASTILLO 1993, pp. 139-147; PITTALUNGA, QUIRÓS CASTILLO
1997; QUIRÓS CASTILLO 1997, pp. 159-166; QUIRÓS CASTILLO 2001,
p. 32.
60
Sull’esteso progetto edilizio che interessa la città all’inizio del
XII secolo si rimanda al recente contributo di GUIDOBALDI 2014.
61
A Pisa ad esempio i primi edifici che vedono l’impiego di laterizi nuovi sono propri i campanili che si diffondono in città tra la
fine dell’XI e il XII secolo.
62
Su via del Buco dirimpetto l’abside di S. Salvatore in Corte è
visibile il prospetto ben conservato di un edificio in laterizio che presenta la messa in opera di elementi speciali nella parte terminale del
palinsesto.
58
IL GIS E LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE A ROMA IN ETÀ MEDIEVALE. UNA QUESTIONE DI METODO TRA TENDENZE E FATTI
XIV secolo e in tutte finora è stato riscontrato un uso
esclusivo di materiale di recupero 63.
Le produzioni di XV si distinguono per una forma
rettangolare, spessori ridotti impasto rosa/giallo. Sono
attestati in diversi fabbricati, come ad esempio gli ultimi
due piani del campanile di S. Agnese fuori le mura 64 e
la facciata di S. Tommaso in Formis. Inoltre questi mattoni sono presenti in numerose risarciture di prospetti
pertinenti ad abitazioni, come, ancora una volta, quella
di vicolo del Buco. Se i primi due esempi rimandano in
maniera diretta alla committenza ecclesiastica, il secondo, pur trattandosi di un’abitazione non deve stupirci. Crediamo, infatti, che tali rifacimenti siano da
attribuirsi ai proprietari degli immobili, molto spesso
enti ecclesiastici che avviano una attenta riqualificazione
del loro patrimonio immobiliare. É questo ad esempio
il caso dell’ospedale di S. Spirito in Sassia , per il quale
in molti atti tardo quattrocenteschi sono ricordati interventi di questo tipo. Questa attività di restauro per ovvie
ragioni piuttosto diffusa sul territorio, doveva certamente svolgersi in concomitanza dei grandi cantieri cittadini. Tali cantieri, determinano un sostanziale
spostamento dei luoghi della produzione laterizia, innescando la costituzione di quel quartiere specializzato che
si svilupperà nella così detta valle dell’Inferno in stretta
connessione con il rione Borgo. È proprio in concomitanza con il rinnovamento edilizio voluto da Martino V,
che troviamo attestati fornaciari soprattutto lombardi e
slavi tra Borgo e Ponte. Inoltre è sintomatico che proprio
l’ospedale di S. Spirito in Sassia, il maggiore ente ospedaliero romano, nel momento in cui viene fatto oggetto
di una grande attività di cantiere, sia in grado di far
fronte al fabbisogno di laterizi attraverso impianti esclusivamente di sua proprietà sia urbani che extraurbani. È
Si tratta della Torre dei Massimi lungo via della Pisana, della
Torre Boacciana sulla via Ostiense, a cui deve aggiungersi la Tor Sapienza, demolita all’inizio del XX secolo. Vi sono poi casi di laterizi
associati ad altri materiali nella Torre di Acquafredda, lungo la via
Aurelia, e nella torre di Procoio nuovo lungo la via Tiberina. Sui caratteri costruttivi dei casali della Campagna Romana si veda ESPOSITO 2005, in particolare sulle murature in laterizio, pp. 49-50.
64
Alla prima metà del secolo sono da ricondurre anche altre produzioni che vengono sempre realizzate attraverso stampi di tipo rettangolare, ma caratterizzati da uno spessore maggiore, che sembrano
trovare utilizzo esclusivo in pilastri ottogonali (cfr. i casi citati in
MONTELLI 2001, pp. 97-101).
65
I documenti citati sono contenuti in Archivio di Stato di Roma,
Ospedale di S. Spirito, busta 210, f. 146r; sono poi pubblicati anche
in CORTONESI 1986, pp. 297-298.
66
Anche in questo caso le fornaci fanno riferimento a costruzioni
puntuali, in particolare l’Ospedale di S. Spirito, ma il caso di quelle
di Borghetto ad esempio mette in evidenza il ruolo svolto dal Tevere
63
89
questo il caso delle fornaci ricordate nei contratti stipulati tra l’ospedale Santo Spirito in Borgo e Martino da
Como lombardo per una fornace posta nei pressi di Gallese nel 1471, o ancora ai contratti riguardanti le fornace
collocate nei pressi di Borghetto sulla Flaminia nel
1474 65, i cui prodotti giungevano a Roma attraverso il
porto Transpontino 66. Continua infine ad avere un ruolo
significativo la produzione di pezzi speciali che tuttavia
per i casi finora accertati non si limita più a piccoli elementi messi in opera, come nei secoli precedenti ma diviene una decorazione architettonica articolata che non
affonda certo radici nella tradizione romana. Esempi di
questa produzione quattrocentesca sono la decorazione
dell’albergo dell’Orso su via dei Soldati a Roma e quelle
della casa della Fornarina a porta Settimiana 67 che mostrano medesimi caratteri stilistici e una medesima organizzazione dei motivi, tanto da far pensare ad una
realizzazione da parte di un unica maestranza. Il confronto dimensionale degli ornati tra la finestra ogivale
della casa della Fornarina e le formelle che caratterizzano la decorazione del marcapiano sito al secondo
piano dell’albergo sembrerebbe far supporre anche l’utilizzo di una stessa matrice. Di nuovo emerge l’importanza di definire il rapporto tra committenze, maestranze
e luogo di produzione. Allo stato attuale delle ricerche
appare interessante il fatto che questi elementi trovano
confronto in contesti dell’Italia centro-settentrionale legati ad una committenza d’élite 68.
Bibliografia
AIT 2005 = I. AIT, Aspetti della produzione dei panni a Roma
nel Medioevo, in A. ESPOSITO, L. PALERMO (a cura di),
nei cicli produttivi di lunga distanza, e quindi ancora una volta ci
spinge a riflettere su quanto è estesa la città in termine di produzioni.
Dovrebbero ad esempio essere valutati secondo questa chiave di lettura anche alcuni documenti riguardanti la famiglia Leni che sempre
negli stessi anni sottoscrive alcune convenzioni per lo sfruttamento
di miniere nel territorio Senese (cfr. Archivio di Stato di Roma, Collegio Notai Capitolini, 1110, cc. 37v-39r, cc. 53v-55r. I documenti
sono pubblicati anche in AIT, VAQUERO PIÑEIRO 2000, pp. 252-258).
67
Sulla casa dell’Orso, vd. MAROCCO, ZOLI 1984, pp. 61-67. Sulla
sua decorazione fittile GIUSTINI 2001, pp. 232-244.
68
In particolar modo trovano confronto stringente a Milano nella
Loggia del palazzo ducale nel castello Sforzesco, nella bicocca degli
Arcimboldi, nella decorazione di Palazzo Borromeo, nella casa dei
Notai e a Pavia nel palazzo di Francesco Bottigella e nella casa Missaglia. Tutti edifici di committenza elevata che vedono nella loro
realizzazione il coinvolgimento di architetti di pregi quali Benedetto
Ferrini fiorentino che lavora alla corte di Milano e Giovanni Antonio
Amadeo originario delle Marche che svolge parte della sua attività
a Pavia.
90
NICOLETTA GIANNINI
Economia e società a Roma tra Medioevo e Rinascimento.
Studi dedicati ad Arnold Esch, Roma 2005, pp. 33-59.
AIT, VAQUERO PIÑEIRO 2000 = I. AIT, M. VAQUERO PIÑEIRO,
Dai Casali alla fabbrica di San Pietro. I Leni: uomini
d’affari del Rinascimento, Roma 2000.
ARMELLINI 1882 = M. ARMELLINI, Un censimento della città
di Roma sotto il Pontificato di Leone X, Roma 1882.
ARTHUR, WHITEHOUSE 1983 = P. ARTHUR, D. WHITEHOUSE,
Appunti sulla produzione laterizia nell’Italia centro-meridionale tra VI e XII secolo, in AMediev, X, 1983, pp.
525-537.
BALDASSARI, CIAMPOLTRINI 2006 = M. BALDASSARRI, G.
CIAMPOLTRINI, I maestri dell’argilla. L’edilizia in cotto, la
produzione di laterizi e di vasellame nel Valdarno inferiore tra Medioevo ed età Moderna, Pisa 2006.
BARRAL I ALTET 1990 = X. BARRAL I ALTET, Artistes, Artisans
et production artistique du Moyen age. III. Fabrication et
consummation de l’œuvre, Paris 1990.
BIAGIONI 2006 =A. BIAGIONI, Dal fundus Sulpicianus al castrum Savelli (Albano Laziale, Rm), in Temporis Signa.
Archeologia della tarda antichità e del medioevo, I, 2006,
pp. 187-236.
BROCCOLI 1983 = U. BROCCOLI, Ricerche su Gregoriopoli:
materiali e nuove acquisizioni per la storia del borgo di
Ostia antica nel medioevo, in Archeologia Laziale V, Quaderni del Centro Studi Etrusco Italico, VII, 1983, pp. 170175.
CAMPAGNOLI 1993 = P. CAMPAGNOLI, Proposta di una scheda
per la catalogazione e lo studio dei prodotti laterizi dell’antichità, dall’età preromana al Medioevo, in Quaderni
della Bassa Modenese, 23, 1993, pp. 17-34.
CARANDINI 1979 = A. CARANDINI, Archeologia e cultura materiale. Lavori senza gloria nell’antichità classica, Bari
1979.
CARVER 2001 = M. CARVER, Why that? Why there? Why then?
The politics of early Medieval monumentality, in H.F. HAMEROW, A. MACGREGOR (edd.), Image and power in the
archaeology of early medieval Britain: essays in honour
of Rosemary Cramp, Oxford 2001, pp. 1-22.
CARVER 2003 = M. CARVER, Archaeological Value and Evaluation, Mantova 2003.
CARVER 2008 = M. CARVER, Thinking Allowed Current Archaeology, London 2008.
CASTAGNETTI, LUZZATI, PASQUALI et alii 1979 = A. CASTAGNETTI, M. LUZZATI, G. PASQUALI et alii, Inventari altomedievali di terre, coloni e redditi, Roma 1979.
CENTOFANTI 1999 = G. CENTOFANTI, I fabbri a Roma nel XVI
e XVII secolo, Roma 1999.
CIPRIANO, MAZZOCHIN 2014 = S. CIPRIANO, S. MAZZOCHIN,
Una discarica urbana a Padova: indizi per la ricostruzione della storia economica e sociale di una città romana, in ReiCretActa, 43, 2014, pp. 279-288.
CORONEO 1993 = R. CORONEO, Architettura romanica dalla
metà del Mille al primo ‘300, Nuoro 1993.
CORTONESI 1986 = A. CORTONESI, Fornaci e calcare a Roma
e nel Lazio nel Basso Medioevo, in G. GIAMMARIA (a cura
di), Scritti in onore di Filippo Caraffa, Anagni 1986, pp.
277-307 (Biblioteca Latium, 2).
CHRISTIE 1991 = N. CHRISTIE, Three South Etrurian Churches:
Santa Cornelia, Santa Rufina and San Liberato, London
1991 (Archaeological monographs of the British school
at Rome, IV).
CROSTAROSA 1896 = P. CROSTAROSA, Inventario dei sigilli impressi sulle tegole del tetto di Santa Maria Maggiore, in
Nuovo Bollettino di Archeologia Cristiana, II, 1896, pp.
63-70.
CUOMO DI CAPRIO 2007 = N. CUOMO DI CAPRIO, Ceramica in
archeologia 2. Antiche tecniche di lavorazione e moderni
metodi di indagine. Nuova edizione ampliata, Roma 2007.
DEAN 2012 = G. DEAN, GIS, archaeology and neighbourhood
assemblages in Medieval York, in Postclassical Archaelogies, 2, 2012, pp. 7-30.
DEFERRARI 1997 = G. DEFERRARI, Per un’archeologia della
produzione in conceria: possibili percorsi di indagine, in
GELICHI 1997, pp. 363-368.
DELFINO, DE LUCA, MINNITI et alii 2013 = A. DELFINO, I. DE
LUCA, C. MINNITI, M. MUNZI, S. ZAMPINI, Lo scavo di una
fornace metallurgica nella taberna XI del Foro di Cesare,
in M. CECI (a cura di), Contesti ceramici dai fori imperiali,
Oxford 2013, pp. 93-127 (BAR International Series,
2455).
DE MINICIS 2001 = E. DE MINICIS, I laterizi in età medievale.
Dalla produzione al cantiere. Atti del Convegno Nazionale
di Studi (Roma, 4-5 giugno 1998), Roma 2001.
EGIDI, FILIPPI, MARTONE 2010 = R. EGIDI, F. FILIPPI, S.MARTONE, Archeologia e infrastrutture. Il tracciato fondamentale della linea C della metropolitana di Roma: prime
indagini archeologiche, , Roma 2010, pp. 39-92 (BdA, volume speciale).
ESPOSITO 2005 = D. ESPOSITO, Architettura e costruzione dei
Casali della Campagna Romana fra XII e XIV secolo,
Roma 2005.
FILIPPI 2010 = F. FILIPPI, Le indagini in Campo Marzio Occidentale. Nuovi dati sulla topografia antica: il ginnasio di
Nerone(?) e l’“Euripus”, in EGIDI, FILIPPI, MARTONE
2010, pp. 39-92.
FORSTER, CROSS 2005 = S. FOSTER, M. CROSS, Able minds and
practised hands Scotland’s early medieval Sculpture in the
21st Century, Leeds 2005 (The Society for Medieval Archaeology, 23).
FOURNEL, ZANCARINI 1996 = J.L. FOURNEL, J.C. ZANCARINI,
Guerre d’Italia, 1494-1559, Firenze 1996 (Storie e Dossier, 110, novembre 1996).
GALINIÈ 2000 = H. GALINIÈ, Ville, espace urbain et archéologie, Tours 2000 (Sciences de la Ville, 16).
GARRIOCH, PEEL 2005 = D. GARRIOCH, M. PEEL, The social
history of urban neighbourhoods. Introduction, in Journal
of Urban History, 32, 2005, pp. 663-676.
GATTI 1909 = G. GATTI, Tegole fittili col bollo di Innocenzo
II, in BCom, XXXVII, 1909, pp. 107-112.
GELICHI 1997 = S. GELICHI (a cura di), Atti del I congresso
nazionale di Archeologia Medievale (Pisa, 29-31 maggio
1997), Firenze 1997.
GIANNICHEDDA 2005 = E. GIANNICHEDDA, Archeologia e cultura dei manufatti, in A. LAGUZZI, E. RICCARDINI (a cura
di), Studi di Storia Ovadese. Atti del Convegno in occasione del 45° di fondazione dell’Accademia Urbense e dedicati alla memoria di A. Bausola (Ovada, 7-8 dicembre
2002), Ovada 2005, pp. 85-104.
GIANNICHEDDA 2006 = E. GIANNICHEDDA, Uomini e Cose, Bari
2006.
GIANNICHEDDA 2007a = E. GIANNICHEDDA, Tecnologie medievali e ricerca archeologica, in S. PATITUCCI UGGERI, Archeologia del Paesaggio Medievale. Studi in memoria di
Riccardo Francovich, Firenze 1997, pp. 49-61 (Quaderni
IL GIS E LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE A ROMA IN ETÀ MEDIEVALE. UNA QUESTIONE DI METODO TRA TENDENZE E FATTI
di Archeologia Medievale, IX).
GIANNICHEDDA 2007b = E. GIANNICHEDDA, Lo scavo, i residui,
l’affidabilità stratigrafica, in Facta. A Journal of Roman
Material Culture Studies, 1, 2007, pp. 51-64.
GIANNICHEDDA 2014a = E. GIANNICHEDDA, Chi ha paura dei
manufatti? Gli archeologi hanno paura dei manufatti?, in
AMediev, XLI, 2014, pp. 79-93.
GIANNICHEDDA 2014b = E. GIANNICHEDDA, Archeologia della
produzione, in S. GELICHI (a cura di), Quarant’anni di Archeologia Medievale in Italia. La rivista, i temi, la teoria
e i metodi, in AMediev, numero speciale, 2014, pp. 75-94.
GIANNICHEDDA, FERRARI 2006 = E. GIANNICHEDDA, L. FERRARI, Studio degli indicatori del processo produttivo: il
contributo dell’etnoarcheologia, in S. LUSUARDI SIENA, E.
NERI (a cura di), Del fondere campane. Dall’archeologia
alla produzione. Atti del Convegno (Milano, 23-25 febbraio 2006), Milano 2006, pp. 341-357.
GIANNICHEDDA, MANNONI 1996 = E. GIANNICHEDDA, T. MANNONI, Archeologia della produzione, Torino 1996.
GIANNINI 2006 = N. GIANNINI, Canalizzazioni sotterranee e
mulini in un’area campione dei Colli Albani tra il Nemus
Dianae e l’Albanum, in L. LOMBARDI, G. LENA, G. PAZZAGLI (a cura di), Tecniche di Idraulica Antica. Le opere
di captazione: dighe, cunicoli, esautori, ieri e oggi. Atti
del Convegno (Roma, 7 settembre 2006), pp. 121-145
(Geologia dell’ambiente, supplemento al numero 4, 2006).
GIANNINI 2013 = N. GIANNINI, L’organizzazione delle acque
e dei mulini nei catasti urbani e rurali: il caso dei Colli
Albani orientali (Provincia di Roma), in M. CADINU (a
cura di), I Catasti e la storia dei luoghi. Metodi per la ricostruzione storica di contesti urbani e paesaggistici finalizzati alla tutela e al progetto. Atti del Convegno
Internazionale (Cagliari, 12-13 ottobre 2012),Cagliari
2013, pp. 621-634 (Storia dell’urbanistica, 4).
GILLIVER 1997 = C.M. GILLIVER, Brick and Tile, in T.W. POTTER, A.C. KING (edd.), Excavation at the Mola of Monte
Gelato, London 1997, pp. 78-79 (Archaelogical Monograph of the British School at Rome, XI).
GIUSTINI 1997 = L. GIUSTINI, Fornaci e laterizi a Roma dal
XV al XIX secolo, Roma 1997 (Museo della città e del Territorio, IX).
GIUSTINI 2001 = M. GIUSTINI, La produzione laterizia nel
Lazio tra VII e XIV secolo: ‘status quaestionis’, in DE MINICIS 2001, pp. 9-21.
GOLDTHWAITE 1984 = R.A. GOLDTHWAITE, La costruzione
della Firenze Rinascimentale. Una Storia economica e sociale, Bologna 1984.
GOULD 1997 = S.J. GOULD, Quando i cavalli avevano le dita.
Quando i cavalli avevano le dita: misteri e stranezze della
natura, Milano 1997.
GUIDOBALDI 2014 = F. GUIDOBALDI, Un estesissimo progetto
urbanistico nella Roma dell’inizio del XII secolo e la parziale perdita della «memoria topografica» della città antica, in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen
Âge, 126, 2, 2014. http:// mefrm.revues.org/2223.
GUIDOBALDI, PAVOLINI, PERGOLA 1998 = F. GUIDOBALDI, C.
PAVOLINI, P. PERGOLA, I materiali residui nello scavo archeologico, Roma 1998.
HALL, HUNTER-MANN 2002 = R.A. HALL, K. HUNTER-MANN,
Medieval Urbanism in Coppergate: Refining a Townscape, York 2002.
HOWELL 2004 = M. HOWELL, The Spaces of Late Medieval
Urbanity, in M. BOONE, P. STABEL (edd.), Shaping Urban
91
Identity in Late Medieval Europe, Leuven/Apeldoorn
2004.
HUBERT 1990 = É. HUBERT, Espace urbain et habitat à Rome:
du X siècle à la fin du XIII siècle, Roma 1990.
KELLY 2011 = K. KELLY, Quello che vuole la tecnologia, Torino 2011.
KIRSCH 1898 = P. KIRSCH, Die Ruckkehr der Päpste Urban V.
und Gregor XI. von Avignon nach Rom. Ausziige aus den
Kameralregistem des vatikanischen Archivs, Paderhorn,
Schòningh 1898.
LANCIANI, DE ROSSI 1883 = R. LANCIANI, G.B. DE ROSSI,
L’atrio di Vesta. Con appendice di G.B. de Rossi, in
NSc,1883, pp. 434-514.
LEFEVRE 2012 = B. LEFEVRE, The study of urban fabric dynamics in long time spans. Modelling, analysis and representation of spatio-temporal transformations, in Post
Classical Archaeology, II, pp. 65-83.
LORI SANFILIPPO 1986 = I. LORI SANFILIPPO, Il protocollo notarile di Lorenzo Staglia, 1372, Roma 1986.
LUGLI, STOPPIELLO, VIDALE 2000 = F. LUGLI, A.A. STOPPIELLO, M. VIDALE, Etnoarcheologia: un processo di
messa a fuoco, in Archeologia Postmedievale, 4, 2000, pp.
17-19.
MALATESTA 1885 = S. MALATESTA, Statuti delle Gabelle di
Roma, Roma 1885 (Accademia delle Conferenze StoricoGiuridiche, V).
MANNONI 1993 = T. MANNONI, Modi di fare la storia con l’archeologia. Variazioni su un tema di Andrea Carandini, in
AMediev, XX, 1993, pp. 561-568.
MANNONI 2000 = T. MANNONI, I problemi dei laterizi altomedievali. Considerazioni conclusive generali sulla giornata
di studio, in S. GELICHI, P. NOVARA (a cura di), I laterizi
nell’alto Medioevo italiano, Ravenna 2000, pp. 213-220.
MANNONI 2002 = T. MANNONI, Modi di conoscere la storia
con l’archeologia. Variazioni sul tema dei rapporti tra cultura materiale e cultura esistenziale, in AMediev, XXIX,
2002, pp. 415-420.
MANNONI 2004= T. MANNONI, Modi di conoscere la storia con
l’archeologia 3. Variazioni sul tema dell’intuizione nei
processi conoscitivi, in AMediev, XXXI, 2004, pp. 545550.
MARCINIAK, YALMAN 2013 = A. MARCINIAK, N. YALMAN,
Contesting Ethnoarchaeologies: Traditions, Theories,
Prospects, New York 2013.
MARINI 1884 = G. MARINI, Iscrizioni antiche doliari pubblicato dal comm. G.B. de Rossi, con annotazioni del dott.
E. Dressel, Roma 1884 (Accademia delle conferenze Storico Giuridiche, III).
MAROCCO, ZOLI 1984 = M. MAROCCO, L. ZOLI, Sui caratteri
storico morfologici dell’albergo dell’Orso e del suo contesto urbano, in StRom, 32, 1984, pp. 61-67.
MELLOR 2014 = M. MELLOR, Pots and tiles of the Middle
Ages, Londra 2014.
MODIGLIANI 1992 = A. MODIGLIANI, Artigiani e botteghe in
città, in M. CHIABÒ, G. D’ALESSANDRO, P. PIACENTINI, C.
RANIERI (a cura di), Alle origini della nuova Roma. Martino V. Atti del Convegno (Roma, 2-5 marzo 1992), Roma
1992, pp. 455-477.
MOLINARI, GIANNINI 2014 = A. MOLINARI, N. GIANNINI, Un
archivio digitale dell’edilizia civile medievale di Roma, in
E. DE MINICIS (a cura di), Case e torri medievali IV. Indagini sui centri dell’Italia meridionale ed insulare (sec. XIXV), Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e
92
NICOLETTA GIANNINI
Sardegna. Atti del V Convegno Nazionale di Studi (Orte,
15-16 marzo 2013), Roma 2014, pp. 334-340.
MOLINARI, GIANNINI c.s. = A. MOLINARI, N. GIANNINI, La costruzione della forma urbis digitale di Roma medievale:
il progetto dell’Università di Roma Tor Vergata, in ACalc,
supplemento 7, 2015, c.s.
MONTELLI 2001 = E. MONTELLI, Tecniche costruttive murarie
medievali. Mattoni e laterizi in Roma e nel Lazio fra X e
XV sec., Roma 2001.
MOREL 1987 = J.-P. MOREL, La topographie de l’artisanat et
du commerce dans la Rome antique, in L’Urbs. Espace
urbain et histoire. Ier siècle av. J.C.-IIIe siècle ap. J.C.
Actes du colloque international (Rome, 8-12 mai 1985),
Roma 1987, pp. 127-155.
MURRU 1995 = G. MURRU, L’opus latericium in età giudicale.
Alcuni esempi del cagliaritano, in La ceramica racconta
la storia. Atti del Convegno ‘La ceramica artistica d’uso
e da costruzione nell’Oristanese dal neolitico ai giorni nostri, Oristano 1995, pp. 259-269.
NIN, LEGIULLOUX 2003 = N. NIN, M. LEGIULLOUX, La gestion
des dechetes a Aix en Provence dans l’antiquitè, in P. BALLET, P. CORDIER, N. DIEUDONNÉ-GLAD (edd.), La ville et
ses déchets dans le monde romain: rebus et recyclages.
Actes du Colloque de Poitiers (19-21 Septembre 2002),
Montagnaque 2003, pp. 133-166.
NORTON 1990 = C. NORTON, The production and distribution
of medieval floor tiles in France and England, in BARRAL
I ALTET 1990, pp. 101-131.
PANTONI 1953 = A. PANTONI, Su un cimitero altomedievale a
Montecassino e sul sepolcro di Paolo Diacono, in Atti del
II Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo
(Grado-Aquileia-Gorizia-Cividale-Udine, 7-11 settembre
1952), Spoleto 1953, pp. 255-261.
PARENTI 1994 = R. PARENTI, Le tecniche costruttive fra VI e
X secolo: le evidenze materiali, in R. FRANCOVICH, G.
NOYÉ (a cura di), La storia dell’alto medioevo italiano
(VI-X secolo) alla luce dell’archeologia. Atti del Convegno Internazionale (Siena 1992), Firenze 1994, pp. 479496.
PARENTI, QUIRÓS CASTILLO 2000 = R. PARENTI, J.A. QUIRÓS
CASTILLO, La produzione di mattoni della Toscana medievale (XII-XVI secolo). Un tentativo di sintesi, in P. BOUCHERON, H. BROISE, Y. THÈBERT (edd.), La brique antique
et médiévale: production et commercialisation d’un materiau. Actes du colloque international (Saint-Cloud, 1618 novembre 1995), Roma 2000 (Collection de École
française de Rome, 272), pp. 219-235.
PAROLI 1991 = L. PAROLI, I laterizi, in CHRISTIE 1991, pp. 152172.
PEACOCK 1979 = D.P.S. PEACOCK, An ethoarchaeological approach to the study of Roman Bricks ans Tiles, in A.
MCWHIRR (ed.), Roman Brick and Tile. Studies in Manufacture, distribution and use in the Western Empire, Oxford 1979, pp. 5-10 (Bar International Series, 68).
PEACOCK 1982 = D.P.S. PEACOCK, Pottery in the Roman
World: an ethnoarchaeological approach, London-New
York 1982.
PITTALUNGA 2001 = D. PITTALUNGA, La storia dei mattoni medievali vista dalla Liguria, in DE MINICIS 2001, pp. 65-79.
PITTALUNGA, QUIRÓS CASTILLO 1997 = D. PITTALUNGA, J.A.
QUIRÓS CASTILLO, Mensiocronologia di laterizi della Li-
guria e della Toscana: due esperienze a confronto, in GELICHI 1997, pp. 460-463.
PROIETTI 1990 = A. PROIETTI, Le tegole, in L. SAGUÌ, L. PAROLI
(a cura di), Archeologia urbana a Roma: il progetto della
Crypta Balbi. 5. L’esedra della Crypta Balbi nel Medioevo
(XI-XV secolo), Firenze 1990, pp. 565-574.
QUIRÓS CASTILLO 1993 = J.A. QUIRÓS CASTILLO, Produzione
di laterizi nell’alta Valdinievole: la Valleriana, in Atti del
Convegno sulla pluriattività e mercati nella Valdinievole
(secoli XVI-XIX)(27 giugno 1992), Bugiano Castello-Bologna 1993, pp. 139-147.
QUIRÓS CASTILLO 1997 = J.A. QUIRÓS CASTILLO, La produzione di laterizi nella provincia di Pistoia e nella Toscana
medievale e postmedievale, in AArchit, 2, 1997, pp. 159166.
QUIRÓS CASTILLO 2001 = J.A. QUIRÓS CASTILLO, Mensiocronologia e produzione di laterizi in Toscana, in DE MINICIS
2001, pp. 31-44.
QUIRÓS CASTILLO 2005 = J.A. QUIRÓS CASTILLO, Building archaeology and social change: Medieval tiles and bricks
in Spain, in J. CRAMER, D. SACK (edd.), Technik des Backsteinbaus im Europa des Mittelalters, Berlin 2005, pp. 3949.
RATILAINEN, BERNOTAS, HERRMANN 2014 = T. RATILAINEN, R.
BERNOTAS, C. HERRMANN, Fresh Approaches to Brick Production and Use in the Middle Ages. Proceedings of the
session ‘Utilization of Brick in the Medieval Period-Production, Construction, Destruction’ (Helsinki, 29 august1 september 2012), Oxford 2014 (Bar International
Series, 2611).
ROUX 2003 = V. ROUX, Ceramics standardization and intensity of production: quantifying degrees of specialization,
in American Antiquity, 68, 2003, pp. 768-782.
ROUX, CORBETTA 1989 = V ROUX, D. CORBETTA, Wheel throwing technique and craft specialization, in V. ROUX, The
potter’s wheel: craft specialization and technical competence, Oxford 1989, pp. 10-92.
SAGUÌ 1986 = L. SAGUÌ, Crypta Balbi (Roma): lo scavo nell’esedra del monumento romano. Seconda relazione preliminare, in AMediev, XIII, 1986, pp. 345-355.
STEINBY 1973-1974 = M. STEINBY, Le tegole antiche di Santa
Maria Maggiore, in RendPontAc, XLVI, 1973-1974, pp.
117-118.
STEINBY 1986= M. STEINBY, L’industria laterizia di Roma nel
Tardo Impero, in A. GIARDINA (a cura di), Società Romana
e Impero Tardoantico. II. Roma, politica, economia, paesaggio urbano, Bari 1986, pp. 99-159.
STEINBY 1993 = M. STEINBY, L’organizzazione produttiva dei
laterizi: un modello interpretativo per l’instrumentum in
genere?, in W.V. HARRIS (ed.), The inscribed economy.
Production and distribution in the Roman empire in the
light of instrumentum domesticum, Ann Arbor 1993, pp.
139-143 (JRA, supplemento, 6).
STONE 1984 = M.J. STONE, I Laterizi, in G. CAMERON, G.
CLARK, R.P.J. JACKSON, C.M. JOHNS, S. PHILPOT, T.W.
POTTER, J.D. SHEPHERD, M.J. STONE, D.B. WHITEHOUSE,
Il castello di ponte Nepesino ed il confine settentrionale
del Ducato di Roma, in AMediev, XI, 1984, pp. 108-118.
TOMMASI 2001 = F. TOMMASI, Materiale laterizio dall’area di
Casale Malborghetto sulla via Flaminia (Roma), in DE
MINICIS 2001, pp. 108-114.
IL GIS E LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE A ROMA IN ETÀ MEDIEVALE. UNA QUESTIONE DI METODO TRA TENDENZE E FATTI
TWEDDLE, MOULDEN, LOGAN 1999 = D. TWEDDLE, J. MOULDEN, E. LOGAN, Anglian York: A Survey of the Evidence,
York 1999.
VAQUERO PIÑEIRO 1993 = M. VAQUERO PIÑEIRO, La presensa
de los espanoles en l’economia romana(1500-1527). Primeros datos de archivio, in En la Espana Medieval, 16,
1993, pp. 287-305.
VAQUERO PIÑEIRO 2002 = M. VAQUERO PIÑEIRO, La gabella
dei calcarari. Note sulla produzione di calce e laterizi a
Roma nel Quattrocento, in A. LACONELLI, I. AIT, Mae-
93
stranze e cantieri edili a Roma e nel Lazio. Lavoro, tecniche, maestranze, Roma 2002, pp. 137-154.
VIDALE 2004 = M. VIDALE, Che cos’è l’etnoarcheologia,
Roma 2004.
WHITE 1962 = L.J. WHITE, Medieval technology and Social
Change, Oxford 1962.
ZANOBONI 1996 = M.P. ZANOBONI, Artigiani, imprenditori,
mercanti, organizzazione del lavoro e conflitti sociali nella
Milano Sforzesca (1450-1476), Firenze 1996.
ROMA ANTICA COME CENTRO PRODUTTIVO
THE PRODUCTIVE SECTOR OF ANCIENT ROME
ROMA IMPERIALE COME CENTRO PRODUTTIVO:
LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE
Clementina Panella
Premessa 1
Una città a continuità di vita e con una straordinaria sequenza insediativa di oltre tre millenni, quale è
Roma, pone alcuni limiti alle ricerche sulle attività artigianali e manifatturiere esercitate in area urbana e suburbana. La ricostruzione di un sistema produttivo, che
è il fine di un’archeologia della produzione in chiave
culturale, sociale ed economica, dipende infatti dalla conoscenza della collocazione ambientale e topografica
delle officine, dalla conoscenza dei materiali lavorati,
dei soggetti impegnati (uomini, donne, liberi, schiavi),
del tipo di consumo previsto (autoconsumo, vendita a
varie scale), dei rapporti con altri sistemi, e, ancora, dalla
conoscenza della tipologia degli impianti, delle suddivisioni e funzioni degli spazi di lavoro, delle tecnologie utilizzate 2. Ora il principale ostacolo che impedisce
di affrontare per Roma alcune di queste tematiche consiste nella difficoltà di recuperare nella città, a causa
della sua lunghissima storia, gli indicatori archeologici
di tali attività, e tra questi ultimi, in particolare, le istal-
lazioni fisse nelle quali un bene è stato trasformato in
un altro bene differente dal primo 3.
Roma tuttavia ha il vantaggio rispetto ad altre realtà
urbane di disporre di un enorme apparato di fonti letterarie, giuridiche, epigrafiche e iconografiche, benché
testi, iscrizioni, raffigurazioni scontino il disprezzo del
mondo classico per le occupazioni manuali a meno che
da esse non siano derivate fortuna e fama. Ciononostante,
tale base documentaria ha fornito la possibilità di disporre di un inventario assai dettagliato dei mestieri praticati a Roma, di stabilire le specializzazioni di certe vie
e di certi quartieri (vicus Materiarius, vicus Thurarius,
vicus Vitrarius, scalae Anulariae, clivus Capsarius,
atrium Sutorium, etc.) 4, di individuare la penetrazione
in determinate zone di attività prevalenti (inter figulos,
inter lignarios, in figlinis, in sandalariis) 5, di interrogarsi più in generale sulle ricadute economiche e sociali dell’esercizio dell’artigianato e della manifattura 6,
sullo status di determinati operatori (imprenditori e
maestranze: ingenui, liberti, schiavi) 7, e sui modelli
macroeconomici dominanti nei diversi momenti della
Questo contributo deve molto, come è già avvenuto in altre occasioni (PANELLA 2010), alle riflessioni di J.-P. Morel, che a tutt’oggi è tra i pochi studiosi che ha inquadrato i fenomeni relativi
all’artigianato e alle manifatture nel contesto che compete ad essi:
MOREL 1981a; MOREL 1981b; MOREL 1989; MOREL 1990; in particolare per Roma: MOREL 1985a; MOREL 1987; MOREL 2001; per altre
realtà urbane: MOREL 2010; MOREL 2011.
2
GIANNICHEDDA 2006, pp. 17-18, passim.
3
MANNONI, GIANNICHEDDA 1996, p. 3; sugli indicatori, pp. 168203; sui cicli produttivi, BRUN 2014.
4
Vd. le rispettive voci in LTUR e da ultimo nell’Atlante di Roma
antica.
5
Fonti e riferimenti bibliografici in MOREL 1987, p. 143.
6
MOREL 1985b; MOREL 2001, p. 257 e MOREL 2009. Questo tema
travalica il caso di Roma. Si rimanda perciò ai contributi raccolti in
LEVEAU 1985; BÉAL, GOYON 2002; CHARDRON-PICAULT 2010; FONTAINE, SATRE, TEKKI 2011.
7
La ricerca ha riguardato per Roma, relativamente all’età imperiale, soprattutto la massa di informazioni trasmessa dai bolli sull’opus doliare, con particolare riferimento all’organizzazione
dell’industria laterizia, alla filiera e agli attori dell’attività produttiva, alla periodizzazione delle officine, alle ragioni della bollatura,
campi di studio che hanno visto protagonista in questi ultimi decenni la Scuola Finlandese, con i lavori di HELEN 1975, SETÄLÄ 1977
e soprattutto di M. Steinby, il cui impegno in questo settore di ricerca può essere rivisitato nella Nota Bibliografica del libro a lei
recentemente dedicato (LEONE, PALOMBI, WALKER 2007, pp. XVIXVIII). Gli interventi in alcuni convegni svoltisi nel 1995 a SaintCloud (BOUCHERON, BROISE, THÉBERT 2000), nel 2000 a Roma
(BRUUN 2005) e nel 2012 a Viterbo (SPANU 2015) danno conto dello
stato attuale degli studi. Sull’interpretazione della timbratura, che è
nodo cruciale delle ricerche, STEINBY 1993 o MANACORDA 2000; sulla
natura giuridica dei rapporti tra dominus e officinator, AUBERT 2005
e ANDREAU 2009; sull’organizzazione del lavoro, PALLECCHI 2002;
sulla localizzazione di alcune officine che servono Roma, GLIOZZO,
1
98
CLEMENTINA PANELLA
storia urbana 8. Ma poco o nulla si ricava da questo insieme di testimonianze sui luoghi reali delle produzione
di piccola (officine, laboratori) e di grande scala (gli opifici urbani di A. Carandini 9 o le manifatture di J.-P.
Morel 10), benché sia lecito supporre sulla base delle nostre fonti che il piccolo artigianato, anche specializzato,
trovasse i suoi spazi prevalentemente nelle tabernae 11
(l’«atomo del paesaggio produttivo e commerciale» di
E. Papi) 12, un mondo in cui hanno convissuto la lavorazione, il trattamento e la riparazione dei più disparati
tipi di oggetti d’uso, ma anche la vendita al minuto di
quegli stessi articoli o di merci prodotte altrove. Le stesse
fonti e alcuni edifici superstiti suggeriscono la funzione
polivalente svolta da alcune strutture collettive di cui
Roma si era dotata già a partire dall’età repubblicana
(macella, horrea, fora per l’immagazzinamento e vendita di merci), dove hanno certamente trovato spazio negozi, laboratori, officine, in un processo che vede nella
creazione di questi grandi complessi il tentativo non sempre vincente delle autorità cittadine di contrastare la cronica tendenza alla dispersione e all’occupazione
indisciplinata di suolo pubblico e privato da parte di artigiani e mercanti, di specializzare i luoghi del lavoro
(horrea Chartaria, horrea Margaritaria, horrea Piperataria, horrea Candelaria) 13, di allontanarli dal centro politico-istituzionale, di imporre una certa razionalità
nella distribuzione degli spazi in conformità con il ruolo
di città-capitale 14.
Se tutto ciò vale per il piccolo artigianato, è ancora
più logico supporre che dal nocciolo del tessuto urbano
siano state respinte altre attività, quali quelle più pericolose e nocive (per gli incendi, i fumi, i cattivi odori
= concerie, tintorie), talvolta con grandi capacità produttive e con ingente impiego di manodopera (si pensi
alle officine metallurgiche), ancora assenti dal registro
archeologico, con l’unica eccezione della conceria/tintoria di Casal Bertone, un complesso industriale di
grande taglia non a caso collocato ad una certa distanza
dalla città. Ma anche questo fenomeno, cioè l’allontanamento dalle zone più densamente abitate degli impianti ‘inquinanti’ 15 e/o destinati alla realizzazione di
beni e manufatti di largo o larghissimo consumo (si pensi
alle fornaci per laterizi), andrebbe verificato nei modi
e nei tempi, laddove le fonti scritte forniscono in proposito pochissime informazioni e la toponomastica risponde a fenomeni di lunga durata. I resti archeologici
d’altro canto non consentono di identificare, se non in
pochi casi 16, la scala e la destinazione delle merci prodotte. In sostanza i contesti riportati in luce di cui si
parlerà, non permettono quasi mai di distinguere se essi
fanno capo a piccole realtà produttive o a vere e proprie ‘fabbriche’.
Altre osservazioni vanno fatte. Nella tradizione degli
studi il termine ‘urbano’ riferito alle produzioni di Roma
viene applicato a un areale ampio, che oltre alla città e
al suburbio, comprende, in alcuni casi, territori abbastanza lontani, com’è la valle del Tevere e dei suoi affluenti per le officine laterizie 17. Non si può inoltre
trattare di un’archeologia della produzione di Roma
senza tener conto dei tipi di oggetti lavorati che coprono
tutte le possibili articolazioni delle attività praticate per
rispondere ai consumi di una capitale (dall’artigianato
artistico a quello specializzato – come è quello che fa
capo agli orefici, ebanisti, profumieri, tessitori – e alle
grandi manifatture che impegnavano masse di uomini
e mezzi). Né si può prescindere dai cambiamenti intervenuti nell’economia e nella società nel corso dei secoli. Ne danno conto le stratigrafie accuratamente
FILIPPI 2005; FILIPPI, STANCO 2005; GASPERONI 2005; GASPERONI
2010; GASPERONI, SCARDOZZI 2010.
8
CARANDINI 1981, pp. 255-259 da integrare con le osservazioni
di MOREL 2001, p. 257. Un esame dei modelli teorici applicati all’organizzazione delle produzioni ceramiche dell’Italia romana (dalle
‘forme della produzione’ di PEACOCK 1982 al ‘modello Morel’) è
in DI GIUSEPPE 2012, pp. 23-32. Il materiale di riferimento in questo lavoro è la ceramica a vernice nera; sul piano cronologico l’analisi è centrata sull’età medio- e tardo-repubblicana, con qualche
‘incursione’ nella prima età imperiale.
9
CARANDINI 1981, pp. 258-259.
10
MOREL 1987, pp. 129-133.
11
MOREL 1987, pp. 133-137. Il termine in genere indica uno spazio edificato non utilizzato per abitazione (VLP. dig. 50, 16, 183). Su
questa realtà così ben documentata dalle fonti letterarie e dalle iscrizioni della fine della Repubblica e dell’inizio dell’Impero, si rimanda
a PAPI 1999 e 2002, che analizza le zone più centrali della città (Foro,
Sacra via, Palatino, Velabro). La sua ricerca si ferma all’incendio del
64 d.C., prima cioè della rivoluzione urbanistica neroniana e degli al-
trettanto imponenti interventi flavi e adrianei volti a dar ordine e a ristrutturare l’intero centro cittadino. Sul commercio al minuto a Roma,
vd. HOLLERAN 2012, che organizza in un’ampia sintesi il già noto;
sulla tipologia e sulle funzioni delle tabernae, ivi, pp. 99 ss.
12
PAPI 2013.
13
Vd. le rispettive voci in LTUR e in Atlante di Roma antica.
14
MOREL 1987, pp. 154-155, passim; MOREL 2001, p. 254.
15
Ma è sempre così? Vitruvio (VITR. 7, 9, 4) e Plinio (PLIN. nat.
33, 118) ad esempio menzionano una fabbrica di minio sul Quirinale tra il tempio di Flora e il tempio di Quirino (JORDAN, HÜLSEN
I, 3, p. 412, nota 51; COARELLI 2014, pp. 284-285); produzione di
coloranti forse per tessuti in pieno centro urbano (Basilica Hilariana
sul Celio; vd. infra).
16
Tra questi, come si vedrà, le officine del Gianicolo, di Prima
Porta/La Celsa e forse di via Gallia; per le dimensioni le fornaci di
Ospedaletto Annunziata e la già citata conceria o tintoria di Casal
Bertone.
17
Sulla distinzione tra officine urbane e extra-urbane, STEINBY
1974-1975, p. 12.
ROMA IMPERIALE COME CENTRO PRODUTTIVO: LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE
99
degli edifici pubblici e privati e nella diffusione del
marmo che incrementa dall’età augustea l’attività delle
maestranze specializzate nella sua lavorazione (tagliatori, scalpellini, scultori), altrettanto importante in termini di discontinuità è l’intervento imperiale sulle
manifatture, certo per le officine laterizie che nel II secolo passano (com’era già per tutte le cave, incluse
quelle di marmi pregiati), nelle mani del principe, dei
suoi familiari e dei suoi amici 26, presumibile per altri
classi di beni, quali quelli di pregio e di lusso. Ma, come
si vedrà, le tracce di impianti di produzione sono non
solo scarse, ma anche tanto mal datate e spesso indatabili da impedire di presentare oggi un quadro di sintesi
meditato e maturo.
vagliate in questi ultimi anni, che dimostrano il passaggio
dall’autosufficienza e dall’autoconsumo dell’età arcaica
e repubblicana all’importazione massiccia di beni di pregio e di materiali d’uso man mano che il bacino di sussistenza di Roma si allarga prima all’Italia e poi
all’intero Mediterraneo (la città organizzatrice di cui
parla J. Andreau) 18. Oltre al discrimine rappresentato
dall’età augustea rispetto alla tarda repubblica, una seconda cesura va posta nel corso del II secolo. Fino alla
metà di questo secolo è possibile infatti seguire ancora
un flusso di merci esportate dalla città. L’indicatore costituito dalle lucerne è certamente modesto, ma è una
delle poche classi ceramiche prodotte a Roma di cui è
possibile rintracciare dopo il I secolo un esito (benché
in flessione) anche all’esterno 19; così è anche per i laterizi e per parte dell’opus doliare, se la loro diffusione
‘di prossimità’ – da Civitavecchia ad Anzio 20 –, interregionale – Pompei 21, Etruria 22 – interprovinciale – Proconsolare e Numidia, Gallia 23 –, sia da interpretare
come un vero e proprio commercio 24. Nei decenni finali del II secolo le officine ‘romane’ parrebbero invece
operare in un circuito chiuso, con la diffusione nel solo
ambito cittadino e periurbano di quei manufatti d’uso
corrente che riusciamo a rintracciare archeologicamente
(è il caso ad esempio delle lucerne, della ceramica comune, della ceramica da fuoco, quest’ultima tuttavia in
età tardo-antonina già minoritaria nelle stratigrafie rispetto alle importazioni di vasellame da cucina africano) 25. Se la scomparsa nel II secolo della coroplastica
e della coroplastica architettonica trova una sua giustificazione nel diverso modo di concepire la decorazione
Stratigrafie e scoperte archeologiche più o meno recenti si affiancano alle fonti letterarie ed epigrafiche (trattate da F. Coarelli in altra parte di questo volume),
testimoniando l’esistenza di una produttività di Roma
collegata ad alcune classi di materiali tradizionalmente
realizzate nelle officine urbane, nel suburbio o lungo il
Tevere e i suoi affluenti navigabili (lucerne, vetri, invetriata, ceramica comune da mensa e da dispensa, ceramica da fuoco, antefisse e terrecotte architettoniche,
lastre Campana, dolia e mortaria e, ovviamente, mattoni), in alcuni casi e per alcuni periodi anche oggetto
di esportazione a breve, medio e lungo raggio 27. Se è
poi vero che Roma importava un gran numero di beni
ANDREAU 2001, pp. 312-313.
PAVOLINI 1981; MOREL 2001, pp. 246-247.
20
STEINBY 1981, p. 239; per Ostia, servita dalle officine urbane,
DELAINE 2002.
21
STEINBY 1981, p. 240 (elenco delle occorrenze).
22
GLIOZZO 2005.
23
STEINBY 1981, p. 241; ZUCCA 1987.
24
THÉBERT 2000 riassume il dibattito su questo tema, consentendo di recuperare la bibliografia di riferimento e restituendo alla
distribuzione all’estero dei materiali da costruzione urbani, con particolare riferimento alla documentazione africana, valore economico, contro l’opinione corrente, che vede nella diffusione sulle
lunghe distanze dei laterizi non l’esito di un commercio ‘primario’,
ma una loro funzione come zavorra nelle navi di ritorno (soprattutto STEINBY 1981, pp. 244-245; qui per la raccolta dei bolli, quasi
tutti di I secolo e pochi di II secolo, su mattoni, dolii, mortai prodotti a Roma e attestati in Italia e nelle province). Un esame complessivo della questione è in GIANFROTTA 2015, che condivide la
tesi della commercializzazione dei mattoni, appoggiandola ad una
revisione della documentazione archeologica. Ai contesti subacquei
editi si aggiunge un relitto appena individuato nelle acque della Gallura presso Olbia (giugno 2015), con carico costituito unicamente
da tegole e coppi (II secolo?).
L’evidenza, in mancanza di edizioni della ceramica da cucina
nelle stratigrafie urbane di questa età, è fornita da Ostia (Ostia VI,
pp. 52-55).
26
STEINBY 1978; LO CASCIO 2005.
27
Esportazione di lucerne: PAVOLINI 1981, pp. 171-176; di terrecotte architettoniche: ANSELMINO 1981, p. 211, passim; di lastre Campana: TORTORELLA 1981, pp. 229-235 (ove si distingue a livello della
diffusione la produzione urbana da quella che ne imita i modelli); di
laterizi, vd. sopra e nota 24. Un’ipotesi di commercializzazione anche
dei vetri prodotti negli ateliers romani in altre regioni dell’Impero è
stata avanzata a proposito di alcuni materiali rinvenuti in Narbonese:
FOY 2005, pp. 34-35, e in un contesto di Lione di età augustea: DESBAT 2003, p. 401. Una provenienza da Roma e dalla media valle del
Tevere è stata supposta sulla base delle analisi delle argille anche per
il vasellame e la suppellettile in ceramica invetriata rinvenuta in Occidente (Etruria, Liguria, Cisalpina occidentale, Gallia). I ritrovamenti di via Sacchi e del Nuovo Mercato Testaccio (vd. infra) attestano
l’esistenza di una produzione di questa classe a Roma-città, supportando l’ipotesi anche di un’esportazione ‘romana’: FILIPPI 2008, p.
306 e nota 100 per la bibliografia della diffusione. Su un eventuale
esportazione, anche a lungo raggio, delle ceramiche comuni e da fuoco
di Roma/valle del Tevere, vd. OLCESE 2003, pp. 66-69, limitatamente
all’età tardo-repubblicana/prima età imperiale.
18
19
Lo stato delle conoscenze
25
100
CLEMENTINA PANELLA
(il fenomeno è in costante crescita a partire dall’età tardorepubblicana), e che una parte degli arrivi consisteva in
prodotti finiti (ceramica fine da mensa, ceramica da cucina, manufatti, suppellettili ed arredi di diversificata
specie e natura), un’altra considerevole quota di merci
era composta da materie prime che venivano lavorate
in città. Si deve perciò immaginare, accanto ad un’importazione di beni di largo consumo (di cui danno conto
per i materiali indeperibili e non riciclabili le stratigrafie urbane a partire dalla tarda Repubblica) e di grande
pregio (assai di rado rintracciabili archeologicamente),
una considerevole attività di ‘trasformazione’ attuata
dalle officine lapidarie, dalle concerie, dalle officine metallurgiche, dalle officine tessili e da quelle specializzate nell’intaglio di osso, avorio, ebano, pietre preziose.
I prodotti finiti rispondevano alla domanda interna, ma
sono stati nello stesso tempo, a seconda del tipo di oggetto e della cronologia, anche esportati 28. E qualora
non si siano mossi i manufatti o le maestranze 29 – a
loro volta portatrici anche di nuove tecnologie –, le matrici e i cartoni hanno trasmesso i modelli tipologici e
iconografici (antefisse, lastre Campana 30, decorazione
architettonica in marmo, etc.).
Una tale attività di servizio esercitata da un artigianato piccolo, medio, grande, di modesta o di alta e raffinata qualità (penso agli esecutori del prezioso arredo
degli Horti Lamiani) 31, mette in discussione l’immagine di consumer city (M. Finley) nelle sue diverse declinazioni, o di città ‘parassita’ (Ch. Goudineau), o di
città di rentiers (M. Rostovzev), o peggio di città di ‘fannulloni’, ancor oggi veicolata dai media 32. Il ruolo di
capitale, la presenza dell’élite politico-sociale, le di-
mensioni abnormi della popolazione impediscono di
trovare per la Roma tardo-repubblicana, augustea e imperiale etichette di riferimento 33. J. Andreau, riassumendo il dibattito sul modello di città che ha coinvolto
storici ed archeologi alla fine del Novecento 34, applica
all’Urbs la definizione di «città organizzatrice» in base
alla costatazione che il suo bacino di sussistenza ha compreso prima il Lazio e l’Italia e in progressione l’intero
Mediterraneo (l’impero-mondo di A. Carandini) 35. E tra
i caratteri distintivi inserisce una vivace attività economica anche in materia di artigianato e commercio 36.
Per avere un’idea di tale attività sono noti, tratti da
diverse fonti, 160 mestieri 37 contro i 225 conosciuti per
l’insieme dell’Occidente e contro i 101 mestieri documentati a Parigi nel XIII secolo e i 99 a Firenze nel XVI
secolo: parcellizzazione irrazionale 38 o specializzazione
del lavoro e dei servizi, come suggerisce J.-P. Morel? 39
La notizia che attribuisce a Numa l’istituzione delle
prime associazioni professionali di artefici ed operai (collegia) 40 secondo una precisa gerarchia (flautisti, orafi,
falegnami, tintori, cuoiai, conciatori, fabbri, vasai, più
un ultimo corpo che accoglieva le arti rimanenti) 41 fornisce i nomi degli operatori implicati nella produzione
o nella trasformazione di beni (e del loro commercio).
Il dato è ai nostri fini di grande importanza. La tradizione infatti da una parte riconosce nel contesto cittadino l’esistenza in un’età regia più o meno arcaica di
una vera e propria divisione del lavoro, dall’altra assegna a questa medesima età l’organizzazione della popolazione sulla base di ‘arti’ riconosciute dallo stato e
perciò pubbliche. Attraverso i collegia dotati di propri
statuti, di sedi di culto e di riunione (scholae), i ceti più
28
Per i marmi, si possono citare i sarcofagi di officina urbana
esportati da Roma nel II secolo (PENSABENE 1986, p. 286) e le opere
d’arte (statue e ritratti imperiali: PENSABENE 1981, pp. 86 ss., nota
16); per i metalli lavorati, i colini in rame della prima metà del II
secolo trovati in Romania, bollati da un personaggio che operava
in Circo Flaminio (MOREL 1987, p. 141, nota 73; AE 1939, 277).
29
Marmo lunense e probabilmente maestranze urbane a Caesarea, capitale della Mauretania in età augustea; marmo lunense e probabilmente maestranze in Gallia Meridionale in età augustea e
giulio-claudia: PENSABENE 1986, pp. 297, 299.
30
Vd. supra nota 27.
31
CIMA 1986.
32
Definizione già contestata da LE GALL 1977; per una discussione MOREL 2001, p. 260 e COARELLI 1996, pp. 37-41, relativamente all’artigianato artistico di età repubblicana.
33
CARANDINI 1981, pp. 259-260.
34
Vd. nota 18.
35
CARANDINI 1986, pp. 4, 15-19.
36
ANDREAU 2001, p. 313.
37
Sui mestieri a Roma, TRAINA 2000; sulle iscrizioni relative ad
artigiani, vd. PANCIERA 1970 = 2006, pp. 153-159; PANCIERA 1987,
pp. 86-87 = PANCIERA 2006, pp. 363-364 (aurifices), e i contributi
di E. ZAPPATA (piperarii), P. TASSINI (aurifices, eborarii, margaritarii, thurarii), C. LEGA e S. ORLANDI (vestiarii), G.-L. GREGORI (purpurarii), C. LO GIUDICE (unguentarii), M.L. CALDELLI (lignarii),
raccolti in Epigrafia della produzione e della distribuzione, Roma
1994. Si tratta di attività legate alla lavorazione (o alla vendita? un
interrogativo a cui non siamo in grado di rispondere) di oggetti di
grande pregio, che vengono dichiarate da chi le aveva esercitate. Le
iscrizioni sono tutte datate al I secolo d.C.
38
TREGGIARI 1980, p. 56.
39
MOREL 2001, pp. 250-251.
40
Sui collegia è ancora fondamentale WALZING 1895-1900; per
la bibliografia assai vasta sull’associazionismo di età romana rimando
a SANGRISO 2009.
41
PLUT. Numa 17; PLIN. nat. 34, 1, 1; 35, 46, 159. Per Floro (FLOR.
epit. 1, 6, 3) tale suddivisione sarebbe stata opera di Servio Tullio,
mentre Cicerone, Livio, Dionigi mostrano di non essere a conoscenza
dell’iniziativa di Numa. Analisi dei collegia opificum tramandati dalle
fonti in STORCHI MARINO 1972; STORCHI MARINO 1973-1974; STORCHI MARINO 1979; STORCHI MARINO 1999: Sulle origini dell’artigianato a Roma, NONNIS c.s.
ROMA IMPERIALE COME CENTRO PRODUTTIVO: LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE
101
umili (artigiani, artisti, commercianti), oltre a difendere
i propri interessi, ottenevano un riconoscimento pubblico
e assumevano un ruolo nelle istituzioni della città, potendo così ambire ad una promozione sociale preclusa
ai singoli individui 42.
Rimanendo nell’ambito delle professioni indicate
nel testo plutarcheo, vale la pena ricordare che nella lista
di Catone 43 – siamo in età repubblicana – tra le città da
cui rifornirsi di attrezzi agricoli, Roma compaia prima
di Capua, famosa per la produzione di tali strumenti, e
di Venafro, centri tra l’altro più vicini di Roma al fundus catoniano. E in un’epoca ancora più risalente la sola
ceramica fine largamente esportata al di fuori dell’Italia tra il bucchero etrusco (VII-VI secolo a.C.) e la
Campana A di Neapolis (II-I secolo a.C.) è quella del
gruppo di officine che va sotto il nome di ‘Atelier des
petites estampilles’ (300-280/260 a.C.), operante in area
etrusco-laziale e in parte, benché in assenza del riscontro di fornaci, a Roma stessa 44. Nell’elenco dei collegia trasmessoci dalle fonti al settimo posto c’è appunto
il collegium figulorum 45, ma di esso non esistono iscrizioni né a Roma, né altrove 46. L’assenza di testimonianze
deve avere una sua giustificazione, tenuto conto che ogni
corpo professionale, avendo una propria personalità giuridica e un proprio patrimonio che lo rendeva consumatore, produttore e distributore di beni, offriva agli
‘iscritti’ un certo peso economico e sociale. Si è pensato perciò, mettendo insieme testi e fonti di diversa natura, che questo ‘collegio fantasma’ sia stato assorbito
in quello dei fictores e/o forse meglio in quello dei
fabri, che, nelle sue diverse articolazioni (fabri generici, fabri tignarii, fabri navales), è il corpo professionale più documentato nei testi e nelle iscrizioni 47.
Tornando al mondo del lavoro evocato sopra siamo
costretti ad ammettere che di esso assai poco resta, sia
in relazione ai luoghi in cui i beni erano realizzati che
agli altri indicatori archeologici di tali attività (scarti,
semifiniti, attrezzi, materiali in attesa), raramente ancorati alle strutture in cui esse erano esercitate. Il panorama complessivamente non è entusiasmante, pur
essendo certi (lo attestano le fonti letterarie, epigrafiche, figurative, la toponomastica antica e moderna, i Regionari, la Forma Urbis con la rappresentazione delle
file ininterrotte di tabernae distribuite sul fronte di quasi
tutti gli isolati, e il buon senso) che Roma, oltre ad essere, come abbiamo detto, un centro di produzione e di
rilavorazione di beni di lusso (metalli, tessuti, pietre dure,
avorio, marmi, legni pregiati, balsami ed unguenti, vetri,
etc.), sia stata anche al centro di intraprese artigianali
collegate alla fabbricazione e alla confezione di oggetti
d’uso comune, alcuni dei quali in materiale deperibile
(vesti e arredi in stoffa, pelle, legno). Per questi ultimi
mancano non soltanto i luoghi di lavoro (assai difficili
da individuare), ma anche i beni prodotti, per loro natura irrimediabilmente perduti.
La modestia della documentazione disponibile può
essere spiegata sia con gli sterri dei decenni passati nel
centro cittadino antico e con il disinteresse per gli aspetti
della cultura materiale che ha caratterizzato l’archeologia di Roma in età post-unitaria e fascista, con contestuale perdita di dati e documenti, sia con la
localizzazione delle officine stesse che, per quel che poco
che sappiamo o possiamo immaginare (ad esempio
quelle più inquinanti e maleodoranti come le tintorie,
le concerie, o più nocive per i fumi e i rischi di incendio come le grandi fornaci per laterizi) 48, dovevano essere situate, come si è già detto, in area suburbana, ove
la massiccia speculazione edilizia dalla seconda metà
MOREL 2001, pp. 258-259.
CATO agr. 135, 1-3.
44
STANCO 2004; FERRANDES 2006; FERRANDES 2008; STANCO
2009.
45
[…] propter quae Numa rex septimun collegium figulorum instituit: PLIN. nat. 35, 159.
46
SANGRISO 2009, pp. 113-116 raccoglie le iscrizioni spettanti a
figuli, di cui una sola da Roma: un tegularius dal colombario dei
Silani sulla via Appia (CIL VI, 7615). A quest’unica attestazione si
aggiunge ora un graffito dopo cottura sul piede di un piattello in ceramica acroma depurata, rinvenuto nello scavo delle pendici nordorientali del Palatino all’interno delle supposte Curiae Veteres
(PANELLA, ZEGGIO, FERRANDES 2014, p. 178, fig. 19): Semp[roni]os
ficolos feced med. L’iscrizione, che si data al 470-460 a.C. circa, è
la più antica in latino a menzionare un ceramista, utilizzando la formula dell’‘oggetto parlante’, che ritroveremo ad esempio oltre un
secolo dopo sulla Cista Ficoroni, un eccezionale oggetto, questa volta
in bronzo, di produzione romana, che dà conto, insieme al celebre
Bruto Capitolino, delle condizioni e delle caratteristiche dell’artigianato artistico urbano in età medio-repubblicana (COARELLI 1996,
pp. 54-57).
47
SANGRISO 2009, pp. 116-130 che spiega l’assenza di iscrizioni
relative al collegio dei ceramisti con una sua possibile assimilazione
in quello dei fictores sulla base di Asconio Pediano (ASCON. Corn.
75) o dei fabri, che, essendo implicati nelle arti del fuoco, potrebbero aver assorbito nella loro associazione i vasai e i vetrai (per questi ultimi non si dispone di un’istituzione collegiale, ma solo di nomi
dei personaggi implicati nella fabbricazione dei manufatti o del loro
contenuto). Qui anche per un elenco delle fonti letterarie (p. 120),
nelle quali figuli e fabbri sono citati insieme a titolo di esempio o
in modo proverbiale. Per l’assimilazione dei ceramisti ai fabbri si
pronuncia anche PUCCI 1986, p. 709.
48
Nella lex Ursonensis dell’età di Cesare o del secondo triunvirato, valida per tutti i tipi di agglomerazione urbana, si proibiva di
avere in città «figlinas tegularias maioris tegularum CCC tegularumque» (deposito di tegole): CIL I2, 2, 594 = ILS 6087.
42
43
102
CLEMENTINA PANELLA
del Novecento ha fatto la sua parte nella distruzione dei
resti. Gli elementi di cui disponiamo ci portano inoltre
a supporre che, come per l’industria laterizia, fossero i
luoghi di approvvigionamento della materia prima
(cave, acqua, legno) serviti da strade e soprattutto da
fiumi navigabili quelli più favorevoli allo sviluppo delle
attività artigianali e alla realizzazione dei prodotti da
trasportare e vendere in città. E il sottosuolo di Roma
era ricco di argilla, la materia prima della terracotta 49.
In particolare sull’Esquilino (dove Varrone ricorda
un quartiere in figlinis, certamente molto antico, all’interno del quale colloca il quarto sacrario degli Argei –
nella serviana regio II Esquilina – 50, e dove Festo menziona un figulus in Esquilina regione 51) le argille, benché sepolte sotto i depositi tufacei dei Vulcani Romani,
risultavano esposte a causa dell’azione di un torrente
(forse lo Spinon delle fonti). Su di esse si impianta il
quartiere dell’Argiletum, il cui nome potrebbe evocare
questi affioramenti 52. La più antica attestazione di un
insediamento produttivo urbano viene appunto dall’Esquilino 53, mentre nei pressi delle cinta muraria serviana (dentro/fuori), sempre sull’Esquilino, furono
rinvenuti nell’Ottocento una fornace tra via dello Statuto e via Pellegrino Rossi 54, tracce di lavorazione dell’argilla (ante età augustea per R. Lanciani, ma
certamente molto più risalente) 55 tra via dello Statuto
e via Merulana 56, con scarti di cottura di vasellame da
cucina, anfore, pesi da telaio e dolii (?) iscritti, blocchi
di argilla vetrificata 57, un deposito di terrecotte nell’orto
dei Cappuccini a sud delle Sette Sale, interpretato in via
di ipotesi come uno scarico di fornace 58.
Altri affioramenti di argilla dovevano essere raggiungibili sul versante meridionale del Celio, erosi da
una marrana che correva lungo il fronte delle future mura
Aureliane fino al Tevere, passando per il Circo Massimo 59. Qui all’altezza dell’attuale via Gallia presso
Porta Metronia è stato rinvenuto nel 1937 un altro probabile impianto produttivo testimoniato da scarti di antefisse, lastre Campana, tegole, coppi, databile, in base
alle tegole bollate da Naevius Isichrysus, tra la metà del
I secolo a.C. e l’età augustea 60. Sui margini orientali
dello stesso Celio è stata supposta la presenza delle figlinae Domitianae, ma l’interpretazione dei ritrovamenti sotto l’ospedale di S. Giovanni, in via Santo
Stefano Rotondo presso la Chiesa di S. Andrea, è stata
contestata 61. Resta in ogni caso aperto il problema dell’origine del toponimo e del cognome Lateranus 62 portato da alcuni personaggi di età repubblicana e
imperiale.
Un altro territorio con argille molto utilizzate in an-
49
COZZO 1936, p. 245. Dedicati alla geologia di Roma i fondamentali volumi di VENTRIGLIA 1971 e di FUNICIELLO 1995.
50
VARRO. ling. 5, 50; II quartiere è da collocare in corrispondenza del versante meridionale del tratto superiore del vicus Suburanus sul colle Oppio (nei pressi di Palazzo Brancaccio): ASTOLFI
1995; PALOMBI 1997, p. 25, nota 57.
51
FEST. 344 M=468 L.
52
Sull’etimologia del nome si interrogavano già Varrone (VARRO.
ling. 5, 157: ab argilla) e Servio (SERV. Aen. VIII, 345: a pingui
terra). Sul quartiere, TORTORICI 1991.
53
Vd. infra.
54
MARIANI 1896, tavv. I-II; JORDAN, HÜLSEN I, 3, p. 265, nota
30.
55
COARELLI 1996, p. 40: tra la metà del IV e la metà del III secolo a.C. in base alla paleografia dei graffiti impressi ante cocturam su alcuni oggetti recuperati.
56
«Angolo occidentale del convento dei Liguorini in Villa Caserta»: LANCIANI 1877, p. 181.
57
LANCIANI 1877, pp. 181-183, che localizza lo scarico tra le
tombe arcaiche, dimostrando l’antichità di questa officina all’interno
di settori dismessi della necropoli esquilina; DRESSEL 1978, pp. 8184, nn. 88-92, tav. d’agg. R, nn. 10-12, 17-18, che corregge l’identificazione dei pezzi data da R. Lanciani; JORDAN, HÜLSEN I, 3, p.
265, nota 30; PETRACCA, VIGNA 1985, p. 133, n. 1 = OLCESE 20112012, pp. 199-200. Le iscrizioni incise prima della cottura su due
piramidi di terracotta (pesi da telaio?), su due dolii (due larghissimi
cilindri di terracotta secondo H. Dressel) e su un altro oggetto fittile a ‘forma di orecchio’ si riferiscono, se gli scioglimenti sono corretti, a un P. Se(xtius), a un C. Sextius V(ibi) s(ervus) e a un P. Sextius
V(ibi) f(ilio). Il gentilizio è stato ricollegato da COARELLI 1996, pp.
40-41 a quel ramo della plebea gens Sextia, che esprimerà con C.
Sex(tius) Sex.f. N.n. Sextinus Lateranus, il primo console plebeo di
Roma nel 366 a.C. L’ipotesi non può essere verificata, ma è certo
che il gentilizio ricompare nel nome delle figlinae Sestianae o Sextianae (STEINBY 1978, col. 1508), ben note tra tarda repubblica e
età augustea: MANACORDA 2007, p. 200.
58
VISCONTI 1887, tavv. X-XI; JORDAN, HÜLSEN I, 3, p. 353, nota
26.
59
Un’eco in VARRO. ling. 5, 154, a proposito dell’etimologia ad
Murciae, il cui nome, secondo Procilius, ripreso da Varrone, sarebbe
derivato dai vasi fabbricati sul luogo (inter figulos).
60
ANSELMINO 1981, pp. 10, 38-39; MANACORDA 2007, p. 201 e
nota 63; OLCESE 2011-2012, p. 200; sulle officine Naevianae,
STEINBY 1974-1975, p. 67; sull’ubicazione delle figlinae dei Naevii, attive dalla tarda repubblica, CAMILLI 2006. Tra il primo e il secondo miglio della via Latina sorgeva il sepolcro familiare dei
Naevii, che, se messo in relazione con alcuni dei personaggi impegnati nella produzione ceramica (NONNIS 2005), veniva a trovarsi a
non grande distanza dall’officina di via Gallia.
61
SANTA MARIA SCRINARI 1983, pp. 204-218; SANTA MARIA SCRINARI 1995, pp. 174-181, contra LIVERANI 1988, p. 895, nota 11. Gli
spazi disponibili in quest’area sono comunque incompatibili con la
dimensione raggiunta tra prima e media età imperiale da queste importantissime officine. Sui praedia e le figlinae dei Domitii nei pressi
di Mugnano in Teverina nella media valle del Tevere, vd. GASPERONI 2003; GASPERONI 2005; GASPERONI 2010 e GASPERONI, SCARDOZZI 2010, pp. 382-387, 397-399. Una piccola fornace per ceramica
(?), poi trasformata in calcara, è segnalata nel parcheggio del nuovo
ospedale: SANTA MARIA SCRINARI 1983, p. 204; SANTA MARIA SCRINARI 1995, p. 174 = OLCESE 2011-2012, pp. 189-190.
62
Derivato da later-eris, mattone o da latus-eris, fianco?: discussione in MANACORDA 2007, pp. 197-199.
ROMA IMPERIALE COME CENTRO PRODUTTIVO: LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE
tico è il Gianicolo sia nel suo versante orientale verso
il Trastevere, di cui danno conto gli scarti di fornace
presso villa Sciarra (nel cosiddetto Santuario Siriaco) e
in via Sacchi 63, sia verso il Vaticano. Si tratta delle argille grigio-azzurre dell’Unità del Monte Vaticano; i toponimi moderni di via delle Fornaci, vicolo dei
Fornaciari, Monti della Creta hanno conservato l’eco di
attività protrattesi fino ai nostri giorni 64.
Va ricordato infine che i bolli laterizi menzionano
nel nome delle figlinae le vie Trionfale, Aurelia, Salaria, Nomentana, Tuscolana 65 e che anche i territori attraversati da queste vie sono ben forniti di materia prima
utilizzata ancora in età moderna. Le analisi chimiche
degli impasti fin qui condotte hanno indicato per i materiali campionati delle figlinae Via Nomentana una
loro probabile provenienza da un’officina posta alla
confluenza del Tevere con l’Aniene 66, e non hanno
smentito un’attribuzione all’area attuale dei Monti della
Creta dei laterizi bollati dalle figlinae a Creta e Via
Triumphalis 67.
Un caso a sé è rappresentato dai marmi, che una volta
giunti via Tevere dalle più disparate aree del Mediterraneo, venivano accumulati e lavorati presso i luoghi di
sbarco o in officine prossime: alla Marmorata dell’Aventino presso l’Emporium, ove si ritiene che esistesse la statio marmorum 68 e nel Campo Marzio
settentrionale (da Monte Giordano a piazza Navona
passando per piazza Sant’Apollinare), dove scoperte
fortuite dal ‘500 in poi e soprattutto durante gli sban63
MOCCHEGIANI CARPANO 1977; MOCCHEGIANI CARPANO 1982;
FILIPPI 2008.
64
Assai generiche le menzioni di fragiles patellae in Giovenale
(Sat. 6, 344) e di cadi in Marziale (MART. 1, 18, 2) dal Monte Vaticano = Monti della Creta? Sui depositi argillosi del settore compreso tra le vie Trionfale, Cornelia, e le due Aurelie, si rimanda a
PETRACCA, VIGNA 1985, pp. 131-132, con bibliografia.
65
STEINBY 1978, coll. 1507-1508.
66
GLIOZZO, FILIPPI 2005, pp. 237-238. Per la via Nomentana c’è
il ritrovamento, nel 1988-1989, in località S. Alessandro, a 800 metri
della via, di un’officina (due fornaci, vasche per decantazione dell’argilla) probabilmente per laterizi (resti mal cotti), inseritasi all’interno degli ambienti di servizio di una grandiosa villa di età
imperiale (I secolo), abbandonata per un incendio nel II secolo e
rioccupata nel IV secolo (l’attività produttiva potrebbe appartenere
alla seconda fase, ma il dato è incerto); la presenza di lingotti di
ferro può far presumere l’esistenza anche della lavorazione di metalli: CARBONARA, MESSINEO 1991-1992b, pp. 118-138; DE FRANCESCHINI 2005, pp. 94-98 = OLCESE 2011-2012, pp. 197-198.
67
GLIOZZO, FILIPPI 2005, pp. 238-239.
68
Sull’argomento, MAISCHBERGER 1997 e PENSABENE 2013, pp.
116-119, 550, con bibliografia.
69
Bibliografia in MOREL 1987, pp. 132-133, note 19, 22-24 (soprattutto JORDAN, HÜLSEN I, 3, p. 596 e LANCIANI 1891).
70
LANCIANI 1886.
103
camenti effettuati lungo gli argini del fiume negli ultimi due secoli hanno rimesso in luce una seconda zona
di concentrazione di blocchi grezzi, scarti e tracce di
marmi in lavorazione 69. Questo settore certamente centrale della città risulta in qualche modo sacrificato a
fronte della necessità di avvicinare i prodotti finiti (soprattutto colonne, lastre, blocchi, decorazione architettonica) ai grandi edifici ai quali erano destinati.
Altri ritrovamenti di officine di marmorarii sono segnalati da R. Lanciani negli scavi a via Mazzarino
presso la Banca d’Italia 70, sotto palazzo Brancaccio,
presso Santa Maria della Vallicella (ateliers di artisti) 71,
e da L. Mariani in via Tasso 72. Un’officina di lapicida
di età giulio-claudia sarebbe sorta sulla via Appia 73. Un
altro laboratorio, forse di età adrianea, è stato scoperto
recentemente in via Sannio durante gli scavi della Metro
C 74.
Resti e contesti: ceramica, opus doliare
Ho cercato, senza avere la pretesa di completezza,
di aggiornare con qualche dato edito in anni più recenti 75
il dossier sul ritrovamento di officine, fornaci o scarti
di cottura spettanti quasi esclusivamente a ceramica o
a laterizi, presentato parecchio tempo fa da L. Petracca
e M.L. Vigna. Qualcosa occorre dire sull’età arcaica e
repubblicana. A questi sette o otto secoli possono essere attribuiti pochi ritrovamenti 76, laddove la straLANCIANI 1923.
HAÜBER 1986, p. 191.
73
MANACORDA 1979.
74
REA 2011, p. 235, figg. 26-27.
75
MESSINEO 1991, pp. 185-199; CARBONARA, MESSINEO 19911992a, pp. 179-194; OLCESE 2003, pp. 12-13 (ceramiche comuni);
DE FRANCESCHINI 2005; FILIPPI 2008; OLCESE 2011-2012, pp. 184201.
76
Tre fornaci e altre strutture riferibili ad un’officina (cisterna,
bacini) lungo la via Laurentina/Acqua Acetosa datate tra la metà
del VI e la metà del V secolo a.C., destinate alla produzione di ceramica di impasto, ceramica figulina e laterizi (BEDINI 1990, pp. 171177; NIJBOER 1998, pp. 139-143; OLCESE 2011-2012, p. 184); due
piccole fornaci per la produzione di vasellame (?) nel quartiere servile della villa dell’Auditorium sulla via Flaminia nel V secolo a.C.
e prima della distruzione dell’edificio alla metà del IV secolo (Periodo 1: ARGENTO, GALLONE 2006, pp. 163-189, in particolare pp.
180-181, 187-189); indicatori di produzione di ceramica a vernice
nera e di ceramica in impasto chiaro sabbioso nella prima decade
del III secolo a.C. in questa stessa villa (Periodo 3: DE FRANCESCHINI
2005, pp. 116-120, n. 38; DI GIUSEPPE 2006a, p. 204; DI GIUSEPPE
2006b, p. 393; DI GIUSEPPE, BOUSQUET, ZAMPINI 2008, p. 609, nota
78; OLCESE 2011-2012, p. 201); due matrici per arule di età mediorepubblicana rinvenute alla fine dell’Ottocento nello scavo della necropoli dell’Esquilino (RICCIOTTI 1973); una presunta fornace di
71
72
104
CLEMENTINA PANELLA
grande maggioranza delle centinaia di migliaia di manufatti di quelle età rinvenuti negli scavi urbani è certamente di produzione ‘locale’: dagli elementi per la
copertura dei tetti (tegole, coppi) alla decorazione architettonica fittile (gocciolatoi, antefisse, sime, cornici,
acroteri), talvolta di straordinarie dimensioni e di eccezionale valore artistico, dal vasellame in impasto grezzo,
in impasto chiaro sabbioso e in argilla figulina al vasellame fine (bucchero romano, vernice nera) 77, dagli
utensili (pesi da telaio) alla suppellettile domestica (louteria, timiatheria, lucerne) e alla variegata serie di oggetti spettanti ai santuari e alle necropoli (statue, urne
e sarcofagi, infiniti tipi di ex voto, etc.). E’ possibile che
anche a Roma, come accade in tanti altri centri in Italia 78, impianti destinati alla produzione di vasi (ad esempio nel III secolo a.C. i pocola deorum, attribuiti al
gruppo dell’’Atelier des petites estampilles’, le Heraklesschalen, i vasi con H suddipinta) di vasetti miniaturistici, di votivi anatomici e statuette fittili si
trovassero presso i santuari o in prossimità di essi, almeno fino al momento in cui la deposizione di questo
tipo di oggetti rispose alle pratiche devozionali in uso
(cioè fino al II secolo a.C.). In quest’ambito vi sono testimonianze archeologiche (l’impianto di officine ceramiche dentro e nei pressi della necropoli esquilina) 79,
letterarie (coinvolgimento dei figuli nelle cerimonie
degli Argei?) 80 ed epigrafiche che indicano da età risalente una familiarità tra religione e mondo del lavoro,
che non sembra solo spaziale, ma anche funzionale 81.
Seppelliti o distrutti dalla furia edilizia delle epoche
successive si è perduta quasi del tutto la traccia degli
impianti relativi a questa straordinaria attività produttiva. Due tra le evidenze superstiti 82 sono lontane dalla
città (via Laurentina/Acqua Acetosa, via Flaminia/Auditorium), sono destinate probabilmente all’autoconsumo dell’insediamento (Acqua Acetosa) e della villa
(Auditorium), producono nel primo caso vasellame domestico e laterizi, nel secondo caso (nella fase della
prima metà del III secolo a.C.) ceramica a vernice nera
e ceramica d’impasto chiaro sabbioso. In città recuperiamo la notizia della supposta fornace per arule nella
necropoli esquilina, destinata a prodotti di uso funerario o sacro, e, sempre sull’Esquilino, dentro e fuori le
mura, i ritrovamenti di via dello Statuto/via Pellegrino
Rossi, via dello Statuto/via Merulana, orto dei Cappucini alle Sette Sale 83. Per questi ultimi le indicazioni
fornite dall’edito sono insufficienti a determinare cronologie e beni realizzati.
Le scoperte di impianti relativi ad età successive (dall’età augustea) mostrano come nel centro urbano si disponga solo dei ritrovamenti del Gianicolo su cui
torneremo (fornace e scarti; I-II secolo), e di quelli
presso l’incrocio della via Isonzo con la via Tevere (officina con annessa fornace, forse di II secolo, ma ignoti
i prodotti) 84. La maggior parte dei ritrovamenti riguarda
officine con annessi forni, o fornaci o scarichi di cottura rinvenuti in area suburbana. Alcuni di essi si inseriscono in strutture preesistenti (ville); in questi contesti,
quando i prodotti sono identificati, si tratta di laterizi,
che possono appartenere alla costruzione o alla manutenzione e ai restauri delle residenze all’interno delle
quali o in prossimità delle quali questi impianti sono
stati rinvenuti. Il materiale edilizio raccolto non è mai
bollato (e ciò è indice, per quanto si discuta sul significato della bollatura, di una produzione di modestissima entità). Va anche detto che parte delle strutture
ceramica a vernice nera del I secolo a.C. a Prima Porta/Monte dell’Osteriola, da ricognizione della British School di Roma (POTTER,
REYNOLDS, WALKER 1999, p. 214, sito K16; DI GIUSEPPE, BOUSQUET,
ZAMPINI 2008, pp. 601-603; OLCESE 2011-2012, p. 197).
77
Si veda sopra per i piatti e le coppe del gruppo dell’’Atelier
des petites estampilles’; nel corso del IV secolo a.C. compaiono i
vasi a vernice rossa opaca (FERRANDES 2006; FERRANDES 2008), forse
anch’essi di produzione urbana, così come le produzioni a vernice
nera di età tardo-repubblicana (Romana D e Romana E di MOREL
1981b, p. 50, passim; FERRANDES 2014).
78
DI GIUSEPPE 2012, pp. 33, 82-84, 93-99, passim.
79
Vd. infra.
80
Vd. supra, nota 49. STORCHI MARINO 1979, pp. 352-357 (contra PALOMBI 1997, p. 25, nota 57). E’ oggetto di discussione che
questo sacrario sia stato effettivamente ritrovato alle spalle del palazzo Brancaccio tra via delle Sette Sale e via delle Terme di Traiano (ASTOLFI, CORDISCHI, ATTILIA 1990; ASTOLFI 1995); per
COARELLI 2001 il monumento circolare attribuito agli Argei sarebbe
la tomba di Servio Tullio; così anche (heroon del re) per CARANDINI, MINARDI 2007.
81
PALMER 1976-1977, pp. 150-151; MOREL 1987, pp. 144; DI GIUSEPPE 2012, p. 69. Come esempi sono citati le epiclesi di divinità derivanti da attività artigianali come Hercules Victor detto Olivarius (il
tempio è stato identificato con lo pseudoperiptero del Foro Boario
detto di Vesta), Apollo Sandalarius (dal vicus omonimo da collocare
nella regio IV augustea, nella parte nord di via del Colosseo); tra le
iscrizioni si segnalano un gruppo di eborarii ab Hercule Primigenio,
liberti di età augustea o giulio-claudia (da situare a destra dell’antica
Via Salaria, presso piazza Fiume), un gruppo di vestiarii ab aede Cereris (tra Circo Massimo e Aventino, nella regio XI) e un altro ab
luco Lubitinae, un lanius ab luco Libentinae (da collocare immediatamente fuori Porta Esquilina, in rapporto con la necropoli arcaica).
Per tutti vd. le rispettive voci in LTUR e in Atlante di Roma antica.
82
Vd. supra, nota 76.
83
Vd. supra, note 54-58.
84
GATTI 1925, pp. 282-288; PETRACCA, VIGNA 1985, pp. 133134, n. 2 = OLCESE 2011-2012, pp. 200-201.
ROMA IMPERIALE COME CENTRO PRODUTTIVO: LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE
preesistenti sfruttate dall’impianto di queste fornaci
hanno inizio in età tardo-repubblicana e comprendono
fasi edilizie di età imperiale talvolta anche tarda. Le cronologie sono vaghe a causa dello stato delle pubblicazioni, che benché abbastanza recenti, editano in forme
assai sintetiche scoperte di scavi di emergenza. All’interno degli impianti inseriti nelle ville vanno segnalate
per la discreta conservazione due officine: quella della
monumentale villa in località S. Alessandro sulla Nomentana, che abbiamo già menzionato 85, di incerta datazione (IV secolo?), e l’officina realizzata anch’essa
all’interno di una grande villa risalente al II-I secolo a.C.
a Ospedaletto Annunziata/Fosso del Fontaniletto, in
prossimità della via Veientana 86. A questo sito appartengono due fornaci rettangolari di differenti dimensioni,
vaschette per la lavorazione dell’argilla, cisterna, distanziatori; si tratta cioè di un impianto produttivo abbastanza completo, datato al II-III secolo (ma la fornace
più grande è realizzata in opera vittata), utilizzato per
la fabbricazione di laterizi. Difficile da datare è un’altra fornace per laterizi realizzata nella pars rustica di
una villa anch’essa di grande impegno, edificata nel I
secolo a.C. al km 11 della via Cassia (Casale Ghella),
e in uso, con restauri di I/II e III secolo, per tutta l’età
imperiale 87. Nella stessa condizione sono una fornace
per laterizi nella parte rustica di una villa lungo la via
Ostiense in località Torrino, di cui ben poco si conosce
(due fasi di età repubblicana e imperiale) 88, un’officina
con fornace forse per laterizi all’interno di una villa in
prossimità della via Prenestina (Quarto Cappello del
Prete), le cui fasi edilizie vanno al II/I a.C. al II d.C. 89,
una fornace annessa ad un’ennesima villa, datata tra il
I a.C. e il V/VI d.C. nella Tenuta del Forno, a 2 km da
La Storta, con probabile produzione di ceramica comune
e forse laterizi 90. Solo un cenno esiste degli scarichi di
fornace in una villa datata tra età tardo-repubblicana e
età traianea, con restauri di incerta cronologia, nella teVd. supra, nota 66.
MESSINEO, PETRACCA, VIGNA 1984, pp. 194-196; PETRACCA,
VIGNA 1985, pp. 135-136 = DE FRANCESCHINI 2005, pp. 51-53, n.
1 = OLCESE 2011-2012, p. 190.
87
MESSINEO, PETRACCA, VIGNA 1985; PETRACCA, VIGNA 1985,
pp. 134-135, n. 5 = DE FRANSCESCHINI 2005, pp. 63-66, n. 16 = OLCESE 2011-2012, pp. 184-185.
88
PETRACCA, VIGNA 1985, pp. 136-137, n. 12 = DE FRANCESCHINI
2005, pp. 252-253, n. 88 = OLCESE 2011-2012, p. 198.
89
DE FRANCESCHINI 2005, pp. 161-163, n. 55 = OLCESE 20112012, p. 197.
90
KAHANE 1977; OLCESE 2011-2012, p. 189.
91
PETRACCA, VIGNA 1985, p. 136, n. 8 = DE FRANCESCHINI 2005,
pp. 56-57, n. 12.
105
nuta di Castel Giubileo 91. Priva di altri elementi di contesto è la fornace a pianta circolare, poi trasformata in
calcara, in via delle Vigne Nuove, datata ad una generica età imperiale 92.
Reimpiega invece un edificio monumentale di epoca
repubblicana situato al primo miglio della via Appia (via
Anicia) un’officina di cui sono conservate le aree funzionali e piani di lavorazione (nessuna indicazione sui
prodotti - laterizi? - e sulla datazione) 93, mentre dalla
parte opposta della città, su un probabile diverticolo della
via Flaminia, nell’ippodromo di Tor di Quinto, è attestata un’officina delimitata da muri in opera reticolata
con due fornaci rettangolari affiancate in opera laterizia, simili per dimensioni e tipologia a quelle presenti
al Torrino, a Ospedaletto Annunziata, a via Isonzo/via
Tevere (prima età imperiale, laterizi?) 94.
Ancora meno significativi, per loro natura, sono infine i dati che provengono da ricognizione: a Casal
Giubileo di fronte al fosso di Settebagni, un’area di frammenti di ceramica da cucina e di rozza terracotta mal
cotti databili alla prima età imperiale, connessi forse ai
resti di una villa rustica 95; a Collatia/Case Rosse nel suburbio orientale affioramenti di tegole mal cotte (arcaiche, repubblicane?) 96; a Collatia/Casale della
Cervelleta frammenti di ceramica mal cotta (?) in una
villa rustica 97.
A fronte di questo panorama non esaltante spiccano
tuttavia alcuni ritrovamenti di notevole rilievo, su cui è
opportuno soffermarsi:
- Via Gallia. Gli scarti di lavorazione di terrecotte
architettoniche (antefisse), di lastre Campana e laterizi (tegole bollate da Naevius Isochrysus) sono
stati già menzionati 98 - la datazione va dalla metà
del I secolo a.C. all’età augustea.
- Gianicolo. Scavi di emergenza nella zona di villa
Sciarra hanno riportato in luce nel 1965 a via XXX
85
86
92
199.
PETRACCA, VIGNA 1985, p. 136, n. 9 = OLCESE 2011-2012, p.
93
PETRACCA, VIGNA 1985, p. 136, n. 12 = OLCESE 2011-2012,
pp. 198-199.
94
PETRACCA, VIGNA 1985, p. 134, n. 4 = OLCESE 2011-2012, pp.
188-189.
95
QUILICI, QUILICI GIGLI 1986, pp. 222-223, sito 88; OLCESE 20112012, p. 185.
96
QUILICI 1974, p. 173, n. 67; PETRACCA, VIGNA 1985, p. 136,
n. 10.
97
PETRACCA, VIGNA 1985, p. 136, n. 11 = OLCESE 2011-2012,
pp. 185-186.
98
Vd. supra e bibliografia a nota 60.
106
CLEMENTINA PANELLA
Aprile 99 e nel 1981-1982 nella vicina via Dandolo
al di sotto del cosiddetto Santuario Siriaco scarichi e scarti di officine che producevano ceramica
comune (boccalini, brocche, vasetti ovoidi e piriformi, bruciaprofumi) e diversificati tipi di lucerne
a volute, a becco tondo e a testa d’uccello schematizzate e ansa trasversale (Vogelkopflampen) 100,
firmate a stilo nelle forme OPPI e COR da C. Oppius Restitutus, un produttore di grande successo 101.
Il suo nome nella forma COPPIRES impresso a
punzone compare su centinaia di esemplari in molti
contesti urbani e in molti siti del bacino occidentale del Mediterraneo (soprattutto in Africa Proconsolare). La tipologia e la circolazione di queste
lucerne consentono di attribuire l’attività artigianale
degli Oppii almeno a due generazioni della stessa
famiglia e di datarla complessivamente tra la seconda metà del I secolo (70/80 d.C.) e il 140 d.C.
Il fatto che i bolli con i tria nomina non siano stati
trovati tra i materiali del Gianicolo porterebbe a pensare che gli scarichi riflettano l’attività della prima
generazione. In ogni caso questi ritrovamenti hanno
restituito un tassello importante della storia dell’artigianato urbano, dal momento che si tratta dell’unica produzione per la quale riusciamo a
individuare una diffusione di ampio raggio dopo
l’esito mediterraneo dei vasi del gruppo degli ‘Ateliers des petites estampilles’. All’insieme di officine situate alle falde orientali del Gianicolo è
possibile assegnare anche la produzione di ceramica
a invetriatura piombifera (forme lisce o decorate)
denunciata da matrici, vasi nella fase di biscotto,
scarti, distanziatori, scoperti nelle stratigrafie di età
tardo-antonina della vicina via Sacchi 102. Sono
presenti anche qui lucerne di C. Oppius Restitutus
(qualche scarto nella discarica di età tardo-antonina) 103, che potrebbero indicare, benché si tratti
di materiale residuale rispetto alla datazione della
fase da cui provengono, che l’officina non si fosse
spostata dal Gianicolo.
- Nuovo Mercato Testaccio. Recente è il ritrova-
Qualche parola va ancora spesa sull’opus doliare. Ad
eccezione delle poche fornaci segnalate sopra, nessun
impianto di età imperiale ha occupato spazi del centro
urbano: il più vicino alla città è quello di via Gallia,
MOCCHEGIANI CARPANO 1977, pp. 173-174; PAVOLINI 19761977, pp. 46 e 76-77; PETRACCA, VIGNA 1985, p. 134, n. 3 = OLCESE 2011-2012, pp. 186-189.
100
PAVOLINI 1976-1977, pp. 63-66, gruppo IIIM.
101
Per la diffusione delle lucerne degli Oppii, MAESTRIPIERI,
CECI 1990 (in Proconsolare a Cartagine, in Narbonese e lungo il
Rodano, in Spagna); considerazioni generali in MOREL 2001, p. 247;
per la ceramica comune prodotta nell’officina, OLCESE 2003, pp. 7492, scheda in OLCESE 2011-2012, pp. 186-188.
102
FILIPPI 2008, pp. 295-304 (via Sacchi); ATTILIA 2008, p. 32,
n. 80 (cosiddetto Santuario Siriaco, in via Dandolo).
103
PUPPO 2008, pp. 177, 183.
104
PORCARI, CONTINO, LUCCERINI et alii 2010. Sullo scavo di questo grande magazzino di stoccaggio, SEBASTIANI, SERLORENZI 2008.
105
MESSINEO 1991, pp. 179-182, 185-199; PETRACCA, VIGNA
1985, p. 136, n. 7 = OLCESE 2011-2012, pp. 191-196 con ulteriore
bibliografia.
106
CARRARA 2012.
99
mento di tracce di produzione di ceramica invetriata
anche nello scavo del Nuovo Mercato Testaccio (calamai con decorazione alla barbotina di notevole
pregio), nelle fosse di fondazione e nei livellamenti
dell’horreum del II secolo e negli interri moderni.
Scorie e resti di fornace (croste di argilla concotta,
scorie) sono state raccolte un po’ ovunque, nelle
colmate sia della fase costruttiva che negli interri
moderni, insieme con strumenti in bronzo di difficile interpretazione 104, ma forse da collegare alla
realizzazione di questi manufatti.
- Prima Porta/La Celsa. Una prima fornace circolare e un deposito con scarti di cottura di sigillata
italica è stata rinvenuta nel 1963 nel fianco del costone roccioso in località La Celsa al km 12 della
via Flaminia. Nello stesso fianco della collina nel
1983 e nel 1988 è stato scavato un secondo impianto
istallato in un edificio preesistente (con fasi dalla
tarda repubblica al IV secolo), di cui occupa diversi
ambienti. La fornace più conservata è di forma circolare; meno evidenti sono i resti di altri due forni.
Scarichi e scarti sono costituiti da vasi potori a pareti sottili, da ceramica comune e da fuoco databili
tra il I e il II secolo, classi e tipi contestualmente
documentati in tutti gli scavi urbani della prima e
media età imperiale 105. L’attività è connotata da importanti volumi di produzione e di smercio sul mercato cittadino.
- A quest’area appartiene anche una piccola fornace
ricavata in parte nel tufo, utilizzata una sola volta,
probabilmente in età augustea, per la cottura di
grandi piatti-vassoio in ceramica grigia e vernice
nera brillante nella tradizione dei Graue Platten efesini, un ordinativo di oggetti di grande pregio forse
da collegare a committenza imperiale (la villa di
Livia ad gallinas albas è nei pressi) 106.
ROMA IMPERIALE COME CENTRO PRODUTTIVO: LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE
107
un’officina attiva fino all’età augustea o poco oltre,
nella quale per altro la fabbricazione di materiale da costruzione potrebbe essere stata marginale rispetto ad altri
manufatti più propriamente associabili all’artigianato artistico. Essa appartiene comunque ad un periodo in cui
la produzione laterizia (soprattutto tegole e coppi) ha
ancora, com’era stato per tutte le età precedenti, un carattere prettamente locale 107. Il dato 108 conferma la regola di tener lontane dal centro abitato questo tipo di
produzione, a partire cioè dal momento in cui la richiesta
di materiale edilizio divenne più pressante. Le materie
prime (argilla, acqua, e legname) erano largamente disponibili lungo tutta la valle del Tevere, che garantiva
anche il trasporto dei prodotti. Ed è su una lunga fascia
di territorio attraversato dal fiume, che comprende la
Sabina, l’Umbria, e la Toscana, ma anche le contermini
aree costiere (comprensori di Caere, di Tarquinia), che
vanno collocate 109, con distanze che raggiungono i 100
km da Roma, le figlinae che hanno consentito la costruzione della città imperiale, alimentando la più grande
industria urbana, quella dell’edilizia con la sua complessa rete di maestranze (dagli architetti ai pittori, dagli
scultori ai mosaicisti, dai muratori ai falegnami e ai fabbri) e con la sua ricaduta, come oggi si direbbe, sul terziario. In questo senso Roma si presenta come il più
grosso centro di consumo entro una vasta area di produzione e di mercato 110. Se questo è vero, è anche vero
che l’attività produttiva era la diretta estensione delle
proprietà e degli interessi economici degli ordini superiori della società (aristocrazia urbana e municipale, imperatori e famiglia imperiale). Le officine, qualora non
siano documentate materialmente 111, sono state attribuite
ai diversi territori in base ai toponimi impressi sui bolli
(opus Sabinu(m), de Ocri(culo), t(egula) Narn(iensis),
etc.), talvolta ancora attestati nella toponomastica moderna, e/o in base alla circolazione del materiale timbrato, ad indizi prosopografici più o meno puntuali o al
radicamento (origine, patronato) in una determinata area
della gens implicata nel processo produttivo 112. Le analisi chimiche effettuate su alcuni campioni appartenenti
a laterizi contrassegnati dal nome della figlina o del praedium non hanno consentito di fissare punti precisi, segnalando nella maggior parte dei casi una generica
attribuzione alla media valle del Tevere 113.
Un altro dato di un certo interesse riguarda la polivalenza degli impianti 114. È stato rilevato in base ai nomi
dei domini e degli officinatores che timbrano i prodotti
che quasi tutte, se non tutte le officine di laterizi, nel I
secolo e fino alla metà del II secolo, realizzano anche
dolii, mortai, sarcofagi e terrecotte architettoniche, manufatti che avevano un ciclo produttivo del tutto simile
a quello dei laterizi, e che, come abbiamo visto, ne seguivano la circolazione. Dopo questa data (ma i bolli
noti a Roma e altrove – a Pompei 115, in Gallia – sono
quasi sempre del I secolo) la timbratura su questi oggetti (ma non la produzione) scompare (gli ultimi bolli
sono dei primi anni di Marco Aurelio), facendoci perdere le tracce degli impianti di provenienza. La fine di
questa pratica sembra implicare un cambiamento nella
produzione delle figlinae in favore del materiale da costruzione, molto più richiesto e di più facile esecuzione 116. È anche possibile che dolii e mortai anticipino
un fenomeno (l’assenza della timbratura) che si riscontrerà a distanza di qualche decennio (tra i Severi e
la Tetrarchia) anche sui laterizi 117.
Le officine di ceramica non sembrano essere state
interessate dalla produzione di opus doliare, ad eccezione di impianti molto antichi o utilizzati per i consumi interni degli insediamenti (qualche caso, sempre
piuttosto incerto, è segnalato nelle fornaci presenti nelle
ville). L’esclusione del materiale da costruzione dagli
impianti destinati alla fabbricazione di ceramica, come
dimostrano le officine del Gianicolo e di Prima Porta/La
Celsa, le uniche di età imperiale per le quali disponiamo
di qualche dato, non è solo il frutto di una specializzazione delle maestranze, che ha la sua ragion d’essere
107
NONNIS 2015, p. 196, passim. Qui anche per un esame della
documentazione epigrafica sull’opus doliare di età repubblicana nel
Lazio con i suoi risvolti prosopografici e sociali.
108
Vd. supra.
109
Già da età repubblicana: NONNIS 2015, p. 185, passim; sulla
produzione doliare in questi territori, vd. FILIPPI, STANCO 2005;
GRAHAM 2006 e i contributi in SPANU 2015.
110
STEINBY 1981, p. 239.
111
I praedia dei Domitii, per esempio, possono essere localizzati
oggi a Mugnano in Teverina, nella valle del Fosso del Rio e dintorni: due impianti finora scoperti nella località S. Liberato-Vigna
della Corte e Rota Rio (vd. supra, nota 61).
112
Da ultimo si veda la ricerca di FILIPPI, STANCO 2005 e gli approfondimenti sulle figlinae nel tratto della valle tiberina compreso
tra Piammiano-Statonia e Amelia in GASPERONI, SCARDOZZI 2010,
pp. 82-86, 88-90 e SCARDOZZI 2015.
113
GLIOZZO, FILIPPI 2005, pp. 242-243.
114
PALLECCHI 2002, pp. 270-276; LAZZERETTI, PALLECCCHI 2005,
pp. 225-227.
115
Sui bolli dei mortaria centro-italici si rimanda al corpus di
PALLECCHI 2002; sui bolli sui dolia e sui rispettivi coperchi vd. ora
TAGLIETTI 2015.
116
STEINBY 1981, p. 243.
117
LAZZERETTI, PALLECCCHI 2005, p. 227.
108
CLEMENTINA PANELLA
nelle differenze tecniche e tecnologiche spettanti ai diversi tipi di prodotto, ma è anche il risultato del maggior impegno sul piano produttivo dell’industria laterizia
(e ciò implica anche impianti adeguati e appositi investimenti) rispetto ad altro tipo di manifattura ceramica.
- Vetro. Strabone attesta la presenza a Roma verso
la fine del I secolo a.C. di officine vetrarie tecnologicamente avanzate 118. Tracce di una produzione
urbana di questa età potrebbero venire dalle scorie
e da alcuni cilindri/canne di terracotta per soffiatura (almeno così in via ipotetica questi manufatti
sono stati interpretati) ritrovati a via Sacchi in giacitura secondaria in uno scarico datato al 10-15
d.C. 119, presumibilmente provenienti da un’officina da localizzare nei pressi del Tevere 120. A questa testimonianza si aggiungono le strutture
afferenti ad una fornace sul Gianicolo sul versante
ritenuto della villa di Agrippina 121, le scorie di fusione rinvenute sempre su questa collina nello
scavo già citato a villa Sciarra nel cosiddetto Santuario Siriaco 122, i grumi di vetro e crogioli trovati
nel Tevere 123, le masse vetrose e scorie dalla Basilica Hilariana sul Celio 124, le scorie (?) dalla
villa di via dei Casalotti (II-IV secolo) 125. I vetri
incisi eseguiti per un’alta committenza e attribuiti
ad almeno due ateliers di Roma-città nel corso del
IV secolo 126 costituiscono un solido indizio per assegnare alla città una tradizione manifatturiera consolidata e un artigianato di qualità. Alla produzione
urbana è difficile non pensare per i vetri dei sectilia anche figurati che decorano pavimenti e pareti
come quelli di un vano di una domus di età augustea sottostante il Tempio di Venere e Roma sulla
Velia 127, o quelli parietali e per mobili del II secolo della villa attribuita a Lucio Vero all’Acqua
Traversa sulla Cassia 128; per i vetri da finestra, diffusi in città fin dalla prima età imperiale e dal III
secolo realizzati con la tecnica della soffiatura; per
gli inserti negli arredi; per le cornici e bacchette
delle partiture architettoniche; per le infinite tessere di mosaico in pasta vitrea per campire con
scene figurate intere pareti e soffitti: ne dà un’idea
il mosaico con Apollo, Muse e filosofi nell’edificio della seconda metà del I secolo sottostante le
Terme di Traiano su via del Colle Oppio 129.
- Non rientra nell’ambito cronologico di questo contributo, ma va ugualmente segnalata per l’unicità
della scoperta, la bottega di un fabbricante di
gemme in pasta vitrea (un gemmarius) identificata
in uno dei vani sottostanti la rampa (le supposte
scalae Anulariae) che saliva dall’area del Lacus Iuturnae 130 all’angolo nord-ovest del Palatino, datata
al II-I secolo a.C. 131. Questo straordinario ritrovamento (175 gemme finite e semifinite, raccolte insieme a matrici, scarti vetrosi, bacchette, pastiglie,
pedine, soprattutto, ma non unicamente nel vano
6 – saggio G – dello scavo del Lacus Iuturnae) può
dare l’idea delle attività di produzione (e vendita)
di oggetti, in questo caso di semi-lusso, che in età
tardo-repubblicana, a detta delle fonti letterarie ed
118
CAES. STRAB. Geogr. XVI, 2, 25, menziona le scoperte fatte
nelle officine di Roma sia per produrre i colori, sia per facilitare la
produzione; per Plinio (PLIN. nat.) fabbriche erano al Circo Flaminio e sul Celio; un vicus Vitrarius (botteghe o officine? produzione,
vendita?) è menzionato dalla Notitia (IV secolo) nella Regio I (Porta
Capena); alcuni speclariarii e una porticus inter vitrarios sono
menzionati nelle iscrizioni urbane (STERNINI 1995, pp. 183-184, con
bibliografia).
119
FILIPPI 2008, pp. 326-345 (due da strati di età augustea e due
residuali in strati di età flavia). Particolarmente importante il ritrovamento di una notevole quantità di frammenti di vasi in vetro colorato nelle stratigrafie di via Sacchi per la cronologia, per la varietà
dei tipi, per la tecnologia utilizzata, elementi tutti che farebbero pensare non solo alla provenienza da officine urbane di una parte almeno dei materiali, ma anche alla presenza di maestranze orientali
trasferitesi nella capitale in questa età.
120
CAMPUS 1982; PETRIANNI 2003, p. 16: ritrovamenti di vetri
sulle sponde del fiume nei lavori post-unitari, con bibliografia.
121
FILIPPI 2008, p. 328, nota 10.
MOCCHEGIANI CARPANO 1982, p. 26.
CAMPUS 1982, pp. 126-127.
124
Vd. infra.
125
DE FRANCESCHINI 2005, p. 133, n. 47.
126
Vd. in questo volume il contributo di L. Saguì. Indizi della
vicinanza di un’officina vetraria (lingotti, scorie, scarti) anche dagli
strati di abbandono del V secolo nei vani 2 e 3 dello scavo delle
Curiae veteres sul Palatino nord-orientale: GLIOZZO et alii 2015.
127
BAROSSO 1940.
128
BACCHELLI, BARBERA, PASQUALUCCI 1995; SAGUÌ 2005; CASERTA 2010, pp. 467-478; sulla villa, DE FRANCESCHINI 2005, pp.
69-73, n. 19.
129
Notizie e foto del ritrovamento in http://www.sovraintendenzaroma.it/i_luoghi/roma_antica/aree_archeologiche/colle_oppio_terme_di_traiano_nuovi_ritrovamenti_archeologici.
130
STEINBY 2012a; STEINBY 2012b.
131
HARRI 2012; SEPIO, STEINBY 2012, p. 173.
Resti e contesti: materiali non ceramici
Passando ai materiali non ceramici va ancora una
volta constatata la scarsezza di evidenze. Ovviamente
le merci deperibili non hanno lasciato traccia.
122
123
ROMA IMPERIALE COME CENTRO PRODUTTIVO: LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE
109
epigrafiche, caratterizzavano il paesaggio di uno dei
quartieri più centrali della città (la Sacra via e le
sue adiacenze) 132.
- Metalli. Mancano all’appello la zecca di Roma, localizzata in età repubblicana sull’Arx e in età domizianea nell’area in cui sorse nel IV secolo la
chiesa di S. Clemente 133, e le tante officine in cui
si fabbricavano le fistulae (le mille iscrizioni finora
rinvenute a Roma su questo tipo di manufatti danno
un’idea dei livelli della produzione; ad essa corrispondeva una rete ininterrotta di tubature che attraversava tutta la città, preda della ‘fame’ di metalli
dell’età post-antica) 134, gli attrezzi e gli strumenti
in ferro necessari ad esempio nell’industria edilizia o in quella navale, le armi e le armature 135, per
non parlare dei luoghi per la lavorazione di oggetti
di maggior valore, in metallo pregiato (vasellame,
arredi, gioielli), a cui si riferiscono le fonti scritte
e le iscrizioni di orafi e orefici (aurifices, argentarii 136, caelatores, vascularii, etc.), le cui attività
sono segnalate nella prima età imperiale soprattutto
tra il Foro e la Sacra via 137. L’unico dato che è possibile collegare alle tante indicazioni delle fonti proviene da una delle tabernae (vano 4) sottostanti la
rampa (le supposte scalae Anulariae già citate) di
collegamento tra area di Iuturna e il versante nordovest del Palatino, identificata con la bottega di un
fabbro, attivo dalla fine del I a.C. agli inizi del II
secolo e specializzato nella realizzazione di elementi
ornamentali in metallo e forse in osso 138. Anche gli
scavi delle pendici nord-orientali del Palatino indicano la vicinanza di botteghe, dal momento che
nelle stratigrafie di distruzione di quest’area sono
stati trovati una bilancina da orafo e uno stampo
per decorazioni in foglia d’oro 139. Sul versante
orientale del Gianicolo (sotto il cosiddetto Santua-
rio Siriaco di via Dandolo) è segnalata la presenza
di crogioli, scorie ossidate in bronzo, piccoli manufatti, riferibili secondo C. Mocchegiani Carpano
ad un’area di lavorazione di metalli 140. Una manifattura è segnalata sul Celio (Basilica Hilariana) 141.
Lingotti di ferro sono stati rinvenuti in uno degli
ambienti della villa in località S. Alessandro (vd.
supra), riferiti anche in questo caso ad un’area di
lavorazione di metalli.
- Osso, corno, avorio. Resti cospicui compaiono sul
Palatino orientale nelle stratigrafie dalla prima metà
del I al V secolo nella domus detta con ‘aula ad abside’ 142 scavata dall’Accademia Americana; in
piazza del Colosseo, area della Meta Sudans, da interri di età tiberiana di una domus costruita sul versante orientale della Velia 143; sul Palatino
nord-orientale, nell’area delle Curiae Veteres, in uno
dei vani sostruttivi della pendice (Ambiente 3), e
nelle tabernae antistanti la casa tardo-repubblicana/augustea a monte del santuario, dagli strati dell’incendio del 64 d.C. (il contesto del ritrovamento
permette di datare ad età anteriore alla distruzione
di questi isolati l’attività artigianale, che include
tutte le fasi della lavorazione fino ai prodotti finiti,
soprattutto aghi crinali, cornicette, spatoline, cerniere e impiallacciature per mobili) 144; sul Gianicolo in gran parte nei depositi di età tardo-antonina
di via Sacchi (spilloni, spatoline per cosmetici, aghi
da cucito, fusi, cucchiai, placchette per decorazioni
di mobili e scarti in vari stadi di lavorazione) 145 e,
sempre sul Gianicolo, nell’area del cosiddetto Santuario Siriaco di via Dandolo 146; all’interno del
Colosseo e nel cosiddetto Passaggio di Commodo 147; in Campo Marzio (presso S. Lorenzo in
Lucina) 148. Più incerto, ma intricante, il dato relativo a lavorazione dell’osso insieme a quella di me-
PAPI 1999, pp. 220-221: gemmarii de Sacra via.
133
COARELLI 1994. Si ignora dove essa sia stata trasferita nel IV
secolo, né tracce di una tale attività (scarti, matrici, tondelli, etc.)
sono state finora ritrovate. Sull’invisibilità della zecca di Roma, BURNETT 2001, pp. 41-43.
134
BRUUN 2005, p. 15.
135
Fabrica è il termine latino di queste ultime officine. Rimando
a ciò che ho raccolto su questo aspetto della produzione, che doveva avere a Roma numerosi ‘clienti’: PANELLA 2011, pp. 66-68.
136
Il termine indica i cambiavalute, gli usurai e i banchieri, ma
argentarii si definiscono in età imperiale anche gli artigiani e i commercianti di suppellettili in argento.
137
Sugli orafi e orefici in quest’area, PAPI 1999, pp. 219-220.
Vd. anche nota 37. LANCIANI 1882, p. 114 segnala con la consueta
indeterminatezza topografica e cronologica un’officina metallur-
gica sul Viminale (Monte di Giustizia) indiziata dalla presenza di
molti oggetti in metallo.
138
KEMPPAINEN 2012, pp. 239-240, 247; HARRI 2012, p. 259.
139
Inediti.
140
MOCCHEGIANI CARPANO 1982, p. 26.
141
Vd. infra.
142
HOSTETTER, BRANDT 2009, pp. 176, 193; analisi di dettaglio
in ST. CLAIR 2003.
143
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI 1995 e 2012.
144
SAGUÌ 2013, p. 137; PANELLA, ZEGGIO, FERRANDES 2014, p.
190 e nota 101 (Ambiente 3).
145
MORONI 2008.
146
MOCCHEGIANI CARPANO 1982, p. 26.
147
DELFINO, MINNITI 2005.
148
CHOYKE 2009; CHOYKE 2012.
132
110
CLEMENTINA PANELLA
talli 149 dallo scavo di una delle tabernae (vano 4),
identificata con la bottega di un fabbro, sottostante
la rampa (le supposte scalae Anulariae) di collegamento tra area di Vesta e il Palatino (fine I-inizi
II secolo) 150.
Le ossa utilizzate sono in genere quelle bovine, facilmente recuperabili nei luoghi di macellazione,
di vendita delle carni e nelle concerie (Foro Boario, Macellum Liviae sull’Esquilino, Macellum Magnum di Nerone sul Celio, ancor prima nel
macellum a nord del Foro e altrove). Non mancano
attestazioni di oggetti ricavati da ossa di cavallo,
di cammello e dalle ossa e dal palco di cervo, mentre la lavorazione dell’avorio è documentata in
quantità molto più limitata, certamente a causa del
valore della materia prima. Le evidenze di cui oggi
disponiamo si concentrano nella valle del Colosseo, sul versante orientale e nord-orientale del Palatino, sul Celio (Basilica Hilariana) 151, sul
versante orientale del Gianicolo 152 e nell’area del
Campo Marzio 153, benché non sia possibile quasi
mai identificare archeologicamente le officine 154,
ma solo stabilire una loro presumibile prossimità
rispetto alle zone di scarico. La cronologia è difficilmente recuperabile dai materiali, ma sembra almeno per il settore Palatino/Colosseo e nella
Basilica Hilariana (fino a tutto il V secolo) di
lunga durata all’interno dell’età imperiale (e prima?
non disponiamo di alcun dato).
istallata a circa 1,5 km da Porta Maggiore, tra le vie Tiburtina e Prenestina, allineata ad un adiacente tratto della
via Collatina antica, accanto a una villa con ninfeo e a
una necropoli 156. L’impianto, il più grande di Roma e
il più grande finora restituito dall’antichità, comprende
nei suoi 1000 m2 97 di spazi di lavoro costituiti da piccole celle quadrangolari nelle quali erano inseriti bacini
circolari in terracotta (‘tinozze-pigiatoi’) destinati al lavoro delle pelle o dei tessuti o delle lane, anfore per la
conservazione delle sostanze necessarie alle lavorazioni,
tre grandi vasche rivestite in cocciopesto comunicanti
tramite tubuli di terracotta, un canale di deflusso dell’acqua e un’area di 450 m2 allestita con 44 dolia. È la
più impressionante evidenza di ciò che dovevano essere le grandi fabbriche del suburbio di Roma.
Di quartiere è invece la fullonica rinvenuta nell’isolato ad est dell’esedra della Crypta Balbi nel 2014,
datata al II secolo 157; lo stesso carattere potrebbe avere
il piccolo impianto (tre vasche e una canaletta) sottostante il battistero della chiesa di S. Crisogono preesistente alla sua costruzione 158 o il piccolo impianto del
II secolo rinvenuto nei pressi di via delle Sette Sale sull’Oppio 159, mentre più consistente, ma con la stessa difficoltà di interpretazione (fullonica, conceria?) è il
ritrovamento di otto vasche sotto la chiesa di S. Cecilia (fine II secolo?) 160.
Un caso particolare: la Basilica Hilariana
Concia delle pelli-tintura/lavaggio dei panni. Spettacolare è il ritrovamento nel 2006-2007 a Casal Bertone di una conceria (officina coriarorum) o
tintoria-lavanderia (fullonica) 155 della metà del II secolo
Una situazione che necessita di un commento è
quella emersa dallo scavo della Basilica Hilariana sul
Celio, sede dal II secolo del collegio dei dendrophori
addetti al culto di Cibele 161. In questo edificio sono stati
distinti vani destinati alle riunioni collegiali e al culto
e vani di servizio (Ambienti XII, XIII, XIV), all’interno
dei quali già dalla prima metà/metà del III secolo (Fase
Vd. supra.
Vd. supra, nota 138.
151
Vd. infra.
152
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI 2012; nei pressi di S. Maria
in Trastevere si suppone che vi fosse la sede del corpus degli eborarii et citriarii (CIL VI, 33885).
153
CHOYKE 2012.
154
L’unica eccezione viene dalla Basilica Hilariana e forse da
uno dei vani citati nell’area delle Curiae Veteres (vd. supra e nota
144). Tracce di lavorazione dell’osso anche dalla taberna XI del
Foro di Cesare, ma da stratigrafie del V secolo (DELFINO, DE LUCA,
MINNITI et alii 2013). Senza datazione e senza precisa localizzazione
sono gli scarti di ossi lavorati nei riempimenti rinvenuti nello scavo
di villa Patrizi sulla Nomentana (LANCIANI, GATTI 1886, p. 82).
155
La disposizione degli ambienti trova confronto con le due di-
verse tipologie di officine, ma la suddivisione degli spazi di lavoro
potrebbe suggerire che l’impianto svolgesse entrambe le funzioni.
156
Comunicazione di A. Caspio e S. Musco al Convegno, Ricerche in corso sui magazzini romani. Roma-Ostia-Portus, Roma, 1315 aprile 2011 (http://www.entrepots-anr.efa.gr/); vd. anche MUSCO,
CATALANO, CASPIO et alii 2008, pp. 36-37; BRUN 2014 p. 466.
157
www.archeoroma.beniculturali.it/evento/nuove-scopertecrypta-balbi. Più spettacolare è invece sempre nello stesso quartiere
il ritrovamento un’officina metallurgica del VI secolo d.C.: www.archeologia.beniculturali.it
158
CECCHELLI 1999, pp. 237-238.
159
ASTOLFI 1989-1990.
160
JORDAN, HÜLSEN I, 3, pp. 637-638. Fullones sono segnalati
sull’Esquilino in CIL VI, 266-268 (vd. Tran 2007).
161
PALAZZO, PAVOLINI 2013, e in questo volume.
Attività di servizio
149
150
ROMA IMPERIALE COME CENTRO PRODUTTIVO: LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE
111
3), e più intensamente nella seconda metà del III/prima
metà del IV secolo (Fase 4), è stata trovata traccia di
lavorazioni relative a diversi tipi di materiale, insieme
a vasche in cocciopesto, piani di lavorazione, condutture, alloggiamenti per piccole fornaci 162. Le attività artigianali sono testimoniate fino alla metà del V secolo
(Fase 5), occupando ora anche gli spazi di rappresentanza e di culto, abbandonati in seguito alla dismissione
del collegio. Strutture, manufatti, scarti e residui di fusione hanno consentito di individuare alcuni cicli produttivi: preparazione di materiali coloranti (per
tessuti?) 163, lavorazione di masse a base vetrosa 164, fusione di metalli (indiziata da ceramiche utilizzate come
crogioli e scorie in bronzo), fabbricazione di oggetti in
osso e in minor misura in avorio (aghi crinali finiti e
semilavorati, dadi da gioco, pedine) 165. Si tratta dell’unico esempio certo di cui si dispone per Roma dell’inserimento in un unico complesso, per altro di diversa
destinazione, e in pieno centro urbano, di diversificate
officine 166. In verità il fatto che nell’edificio si fabbricassero o si trasformassero generi di consumo potrebbe
non stupire a causa della natura del corpus dei dendrofori che, oltre a finalità associative e religiose, ricopriva
anche un carattere artigianale 167. Ma della lavorazione
del legno a cui il collegio era preposto non v’è traccia,
né vi è traccia di eventuali attività produttive dei due
altri organismi di mestiere con cui esso risulta frequentemente associato (i fabri tignarii – essenzialmente
costruttori, e i centonarii – fabbricanti di pezze cucite
insieme). L’ipotesi pertanto prospettata da C. Pavolini
è che i dendrofori possano aver dato semplicemente i
locali in affitto, anche separatamente, ad artigiani di varia
specializzazione, ricevendone un’adeguata rendita e utilizzando in tal modo anche a fini economici il complesso
immobiliare di loro proprietà 168. Comunque sia, questo
ritrovamento fornisce la prova dell’esistenza di insiemi
di manifatture anche specializzate spettanti al piccolo
ed estremamente diffuso artigianato urbano, attivo anche
in strutture nelle quali non ci saremmo aspettati di trovarne testimonianza. Viene in mente che possa trattarsi
di un genere di botteghe (più che officine) raggruppate
con servizi in comune.
Quando è stato possibile si è cercato di introdurre
nel discorso una gerarchia degli impianti conservati o
ipotizzabili, ma il tentativo si è scontrato con una documentazione insufficiente. Tuttavia, tra le produzioni
che hanno restituito un qualche tipo di evidenza, escludendo le fabbriche di laterizi (le tante documentate attraverso i bolli) che rappresentano un unicum
determinato dall’ampiezza della domanda, mi sembra
che abbiano un carattere più spiccatamente manifatturiero le officine di ceramica di Prima Porta/La Celsa (III secolo), quella delle lucerne degli Oppii sul Gianicolo
(I-II secolo) e la conceria/tintoria di Casal Bertone (II
secolo). Un artigianato di nicchia di breve durata sembra quello che realizza vasellame e suppellettile in ceramica invetriata (via Sacchi, II secolo; Nuovo Mercato
Testaccio, ante inizi del II secolo).
Diffusa in città e di lunga durata è la lavorazione dell’osso. Ho tuttavia l’impressione che la concentrazione
delle testimonianze in determinati settori urbani derivi
piuttosto che da un’effettiva zonizzazione di questo tipo
di manifattura (piazza del Colosseo/Palatino, Trastevere), dall’attenzione con cui sono stati scavati in anni
recenti i contesti (è un caso che tutte le evidenze provengano da indagini stratigrafiche?). Sembrerebbe perciò che alla lavorazione della materia di origine animale
ci si applicasse un po’ ovunque, dal momento che non
richiedeva impianti particolari, ma acqua bollente per
ammorbidire e rendere modellabile le ossa e pochi strumenti di lavoro 169. Scarichi come quello del cosiddetto
Santuario Siriaco e di via Sacchi, ove gli scarti di osso
lavorato si mescolano a quelli del metallo, dei vetri, dell’invetriata, o la situazione riscontrata nella Basilica Hilariana, ove in alcuni vani di servizio si producevano
coloranti, oggetti in metallo, in vetro e in osso, potrebbero indicare che la trasformazione di questo materiale
in manufatti si sia appoggiata talvolta ad officine che
richiedevano strutture più complesse, sfruttandone le attrezzature.
Ibidem, pp. 67, 76, 89-92.
163
PAVOLINI 2013, p. 483, passim.
164
ADAMO 2013, p. 248 (scarti, scorie, manufatti semilavorati,
pani di vetro); PAVOLINI 2013, p. 481 e nota 445.
165
Analisi di laboratorio in FERRO, RAPINESI 2013; studio degli
aghi crinali in PARENTI 2013.
166
Forse a più officine in un stesso contesto potrebbero riman-
dare i ritrovamenti di via Dandolo, ma i resti dei diversi scarti (metallo, vetro, ceramica) si relazionano a scarichi mescolati insieme e
non localizzabili.
167
PAVOLINI 2013, pp. 59, 447-448, nota 198.
168
Ibidem, pp. 480-484. Il fenomeno è analizzato per alcuni edifici di Ostia da MAR 1996; MAR 2001.
169
MACGREGOR 1985, pp. 63-67; per gli spilloni, BIANCHI 1995,
pp. 100-101; BIANCHI 2007.
162
Per concludere
112
CLEMENTINA PANELLA
Differente è il caso della lavorazione dell’avorio,
molto meno documentata tra gli scarti 170, che, per il costo
della materia prima e per il tipo di oggetti realizzati,
potrebbe essere stata appannaggio di un artigianato di
più elevato livello. Eborarii e citrarii – intagliatori di
avorio e di legni pregiati – sono attestati da un’iscrizione in Trastevere 171, mentre un gruppo di iscrizioni
funerarie di età augustea o giulio-claudia, rinvenute nei
pressi dell’antica Via Salaria, a ridosso delle Mura Aureliane, appartenenti a liberti specialisti nell’intaglio
dell’avorio (eborarii ab Hercule Primigenio) 172, consente di individuare un’altra area fortemente caratterizzata dalla presenza di un’attività artigianale collegata
alla lavorazione di questo materiale.
nali urbani, con conseguente sviluppo urbanistico (mai
monumentale) e demografico (la cui componente multietnica è ampiamente nota) e con la nascita di infrastrutture di stoccaggio (cellae vinarie) e di prima
lavorazione delle merci provenienti dal nuovo scalo
ostiense 174. Il paesaggio si arricchisce forse già dal III
secolo dei mulini ad acqua per la macinazione del
grano 175. La documentazione artigianale e manifatturiera, a cui occorre aggiungere anche quella dei laterizi 176, si iscrive in questo quadro topografico, sociale
ed economico.
Per quanto riguarda un’eventuale vocazione territoriale dell’universo produttivo urbano, escludendo ancora
una volta le officine di laterizi delocalizzate rispetto alle
città, tre sono i quartieri che appaiono più interessati
dai ritrovamenti archeologici. Per l’epoca più antica
(età arcaica e media e tarda Repubblica) l’Esquilino, per
l’età augustea e imperiale il Celio e la zona del Trastevere dal Gianicolo al Vaticano. In quest’ambito è la riva
destra del Tevere che ha restituito il maggior numero
di tracce di attività artigianali (ceramica, vetro, invetriata, metallo); ad esse si aggiungono le testimonianze
delle fonti soprattutto epigrafiche, che indicano la presenza di lavorazioni pregiate dei cesellatori e intagliatori, ma anche inquinanti (concerie e artigianato del
cuoio) 173. Della disponibilità di cave di argilla si è già
detto, ma la giustificazione di questa concentrazione di
attività è nel carattere di quel territorio, inteso per secoli come un’area di margine, in bilico tra campagna e
città, tra spazi per i vivi e luoghi dei morti (caratteristiche queste che condivide con l’Esquilino di età arcaica e repubblicana), tra molto poveri e molto ricchi,
tra umili orti e fastosi giardini (gli horti di Cesare, di
Agrippina, di Domizia). Annessa all’amministrazione
dell’Urbe solo da Augusto come XIV regio, questa
parte di Roma, lontana dal centro, ma collocata di fronte
alle grandi istallazioni della riva sinistra del Tevere, diventa, soprattutto in seguito alla costruzione dei porti
di Claudio e di Traiano, uno dei più importanti termi-
Quasi tutte le officine o presunte tali sono datate o
databili nel I e II secolo, mentre il III secolo, che pure
vede una stabilità demografica e in riferimento alla storia urbanistica ed architettonica grandi operazioni monumentali (Terme di Caracalla, interventi nei palazzi
imperiali, Terme Alessandrine, Mura Aureliane, Terme
di Diocleziano) appare privo di significativi ritrovamenti. Per quanto abbia cercato di capire le ragioni di
questo secolo ‘fantasma’, non ho trovato spiegazioni
convincenti. Certo è che nelle stratigrafie urbane prevalgono, in riferimento alla ceramica, le importazioni
di beni d’uso dall’esterno (soprattutto dall’Africa Proconsolare), ma sono pur sempre presenti anche ceramiche comuni, da fuoco, lucerne, vetri di presumibile
o certa produzione ‘locale’.
La sproporzione infine in termini quantitativi e qualitativi tra i dati dell’età imperiale e quelli di età tardoantica (a partire dal V secolo; ‘fantasma’ è per certi versi
anche il IV secolo, se non per le officine vetrarie che
non sappiamo localizzare), si spiega sia con una maggiore attenzione rivolta oggi allo scavo, sia con la storia della città: l’abbandono generalizzato di alcuni
grandi settori urbani e la rovina di edifici e monumenti
nel centro cittadino determinano il reimpiego delle strutture ormai in disuso, ma con servizi ancora funzionanti
(fogne, strade), ai quali si aggiunge la prossimità delle
materie prime (metallo e vetro da rifondere, marmo da
riciclare) e la vicinanza con i consumatori nella dimensione via via più ridotta dell’abitato. Anche sul Palatino nella fase più tarda del sito (V e VI secolo)
occupato per secoli dalle Curiae Veteres è venuto alla
La percentuale di spilloni in avorio rispetto a quella in osso
negli ambienti di servizio della Basilica Hilariana è inferiore al 10%:
PALAZZO, PAVOLINI 2013, p. 289.
171
ILS 7214; commento su alcune iscrizioni in TASSINI 1994. Un
eborarius è anche M. Consius Cerdo, sulla cui ara/ossuario di età
augustea compare un elefante che trasporta ceste con zanne di avorio (CIL VI, 16077, dalla via Appia).
172
Sulla localizzazione del luogo di culto, vd. supra, nota 81.
Sulle iscrizioni, CHIOFFI 1996.
173
JORDAN, HÜLSEN I, 3, pp. 638-639; LOANE 1938, p. 78; MOREL
1987, p. 131, nota 16 con ulteriore bibliografia.
174
Fonti e bibliografia in AZZENA 2010, in particolare pp. 8-13.
175
COARELLI 1987 (nell’età di Severo Alessandro).
176
Vd. supra e nota 64.
170
ROMA IMPERIALE COME CENTRO PRODUTTIVO: LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE
luce un piccolo impianto metallurgico, forse una bottega di fabbro 177, che trova puntuali confronti con le
strutture della taberna XI del Foro di Cesare e con
quelle rinvenute a piazza Venezia e nel cosiddetto Athenaeum 178, mentre un certo numero di crogioli e scorie
metalliche è stato raccolto nell’area delle cosiddette
Terme di Elagabalo 179, in buona parte riportati in superficie rispetto alla loro giacitura originaria (VI-VII secolo) dalle spoliazioni basso-medievali. Continuano ad
essere presenti nello scavo del Palatino nord-orientale
(area delle Curiae Veteres) oggetti in osso e in avorio
di qualche pregio nelle stratigrafie del IV e del V secolo 180, da ricollegare forse all’attività ancora in atto,
come si è detto, nella o nei pressi della vicina domus
con ‘aula ad abside’, o nella stessa area del santuario.
Ma con questi ritrovamenti si entra in un orizzonte cronologico su cui altri, in questo volume, interverranno.
Bibliografia
ADAMO 2013 = M. ADAMO, I reperti vitrei, in PAVOLINI, PALAZZO 2013, pp. 248-249.
ANDREAU 2001 = J. ANDREAU, Rome capitale de l’empire, la
vie économique, in Pallas, 55, 2001, pp. 303-317.
ANDREAU 2009 = J. ANDREAU, Les briques et les tuiles de la
région de Rome et les contrats de locatio-condutio, in C.
CASCIONE, C. MASI DORIA (a cura di), Fides Humanitas
Ius, Napoli 2009, pp. 65-82.
ANSELMINO 1981 = L. ANSELMINO, Le antefisse fittili dal I
a.C. al II d.C., in SRPS, II, pp. 209-216.
ARGENTO, GALLONE 2006 = A. ARGENTO, A. GALLONE, Il quartiere servile, in CARANDINI 2006, pp. 159-189.
ASTOLFI 1989-1990 = F. ASTOLFI, La struttura circolare e la
fullonica, in BCom, 93, 1989-1990, pp. 59-64.
ASTOLFI 1995 = F. ASTOLFI, s.v. Figlinae, in LTUR, II, Roma
1995, pp. 252-253.
ASTOLFI, CORDISCHI, ATTILIA 1990 = F. ASTOLFI, L. CORDISCHI, L. ATTILIA, Colle Oppio. Via del Monte Oppio-Via
delle Terme di Traiano.Comunicazione preliminare, in
BA, 1-2, 1990, pp. 176-184.
Atlante di Roma antica = A. CARANDINI, P. CARAFA (a cura
di), Atlante di Roma antica. Biografia e ritratti della città,
I-II, Milano 2012.
ATTILIA 2008 = L. ATTILIA, La topografia antica dell’area sulla
base delle fonti documentarie e dei dati archeologici, in
FILIPPI 2008, pp. 2-37.
AUBERT 2005 = J.-J. AUBERT, L’estampillages des briques et
FERRANDES 2013, pp. 129-130.
DELFINO, DE LUCA, MINNITI et alii 2013, pp. 96-103, 108115;124-127; SERLORENZI, SAGUÌ 2008; SERLORENZI 2010; SERLORENZI, EGIDI 2013.
179
SAGUÌ 2013, p. 151.
180
SCHWARZ 2006.
177
178
113
des tuiles: une explication juridique fondée sur une approche globale, in BRUUN 2005, pp. 53-59.
AZZENA 2010 = G. AZZENA, Il Trastevere in età romana, in
L. ERMINI PANI, C. TRAVAGLINI (a cura di), Trastevere.
Un’analisi di lungo periodo. I. Atti del Convegno di Studi
(Roma, 13-14 marzo 2008), Roma 2010, pp. 1-33.
BACCHELLI, BARBERA, PASQUALUCCI 1995 = B. BACCHELLI,
M. BARBERA, R. PASQUALUCCI, Nuove scoperte sulla provenienza dei pannelli in opus sectile vitreo della Collezione Gorga, in Atti del II Colloquio dell’Associazione
Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico
(Roma, 5-7 dicembre 1994), Bordighera 1995, pp. 447466.
BAROSSO 1940 = M. BAROSSO, Le costruzioni sottostanti la
Basilica Massenziana e la Velia, in C. GALASSI PALUZZI
(a cura di), Atti del V Congresso Nazionale di Studi Romani, II, Roma 1940, pp. 58-62.
BÉAL, GOYON 2002 = J.-C. BÉAL, J.-C. GOYON (a cura di),
Les artisans dans la ville antique, Lyon 2002.
BEDINI 1990 = A. BEDINI, Laurentina, Acqua Acetosa, in La
grande Roma dei Tarquini. Catalogo della mostra (Roma,
12 giugno-30 settembre 1990), Roma 1990, pp. 171-177.
BIANCHI 1995 = C. BIANCHI, Spilloni in osso di età romana.
Problematiche generali e rinvenimenti in Lombardia, Milano 1995.
BIANCHI 2007 = C. BIANCHI, Strumenti e tecniche di lavorazione dell’avorio e dell’osso, in M. DAVID (a cura di), Eburnea diptycha. I dittici d’avorio tra antichità e medioevo,
Bari 2007, pp. 349-385.
BOUCHERON, BROISE, THÉBERT 2000 = P. BOUCHERON, H.
BROISE, Y. THÉBERT (a cura di), La brique antique et médiévale. Production et commercialisation d’un matériau.
Actes du colloque international (Saint-Cloud, 16-18 novembre 1995), Roma 2000.
BRUN 2014 = J.-P. BRUN, La arqueología del artesanado en
elMediterráneo occidental: datos, lagunas y perspectivas,
in M. BUSTAMANTE ÁLVAREZ, D. BERNAL CASASOLA (a cura
di), Artificesidoneos. Artesanos, talleres y manufacturas
en Hispania. Reunión científica (Mérida, 25-26 de octubre 2012), Mérida 2014, pp. 465-475.
BRUUN 2005 = CH. BRUUN (a cura di), Interpretare i bolli laterizi dei Roma e della valle del Tevere: produzione, storia economica e topografica, Roma 2005.
BURNETT 2001 =A. BURNETT, The invisibility of Roman imperial mints, in I luoghi della moneta. Le sedi delle zecche dall’antichità all’età moderna. Atti del Convegno
Internazionale (Milano, 22-23 ottobre 1999), Milano
2001, pp. 41-48.
CAMILLI 2006 = L. CAMILLI, s.v. Naevianae (figlinae), Naeviana (tegula), in LTURS, IV, Roma 2006, p. 81.
CAMPUS 1982 = L. CAMPUS, I vetri del Museo Nazionale Romano e la produzione del vetro a Roma nella tarda Repubblica, in Roma repubblicana fra il 509 e il 270 a.C.,
Roma 1982, pp. 125-128.
CARANDINI 1981 = A. CARANDINI, Sviluppo e crisi delle manifatture rurali e urbane, in SRPS, II, pp. 249-260.
CARANDINI 1986 = A. CARANDINI, Il mondo della tarda antichità visto attraverso le merci, in SRIT, III, pp. 3-19
CARANDINI 2006 = A. CARANDINI (a cura di), La fattoria e la
villa dell’Auditorium, Roma 2006.
CARANDINI, MINARDI 2007 = A. CARANDINI, M. MINARDI, La
casa privata di Servio Tullio e la sua Fortuna, in Workshop di ArchCl, 4, 2007, pp. 17-52.
114
CLEMENTINA PANELLA
CARBONARA, MESSINEO 1991-1992a = CARBONARA, G. MESSINEO, La Celsa (circ. XX), in BCom, 84, 1991-1992, pp.
179-184.
CARBONARA, MESSINEO 1991-1992b = CARBONARA, G. MESSINEO, Via Nomentana. S. Alessandro (circ. IV), in BCom,
94, 1991-1992, pp. 118-155.
CARRARA 2012 = M. CARRARA, Patinarum paludes. Scarti di
“Graue Platten” e relativa fornace presso La Celsa
(Roma), in BdA on line, 3, 3-4, 2012, pp. 1-27.
CASERTA 2010 = E. CASERTA, Mosaici e pavimenti in opus
sectile nella villa di Lucio Vero sulla Via Cassia a Roma.
Indagini archeologiche negli anni 2005-2009, in Atti del
XV Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e
la Conservazione del Mosaico (Aquileia, 4-7 febbraio
2009), Tivoli 2010, pp. 467-478.
CECCHELLI 1999 = M. CECCHELLI, Dati da scavi recenti di
monumenti cristiani, in MEFRA, 111, 1999, pp. 127-251.
CHARDRON-PICAULT 2010 = P. CHARDRON-PICAULT (a cura di),
Aspects de l’artisanat en milieu urbain: Gaule et Occident romain. Actes du Colloque (Autun, 20-22 septembre
2007), Dijon 2010.
CHIOFFI 1996 = L. CHIOFFI, s.v. Hercules Primigenius, in
LTUR, III, Roma 1996, p. 21.
CHOYKE 2009 = A.M. CHOYKE, Cut to fit. Roman period and
Medieval Bone Workshop debris from urban areas, in L.
BARTOSIEWICZ, E. GÁL, I. KOVÁTS (a cura di), Skeletons
from the Cupboard. Selected Studies from the Visegrád
Meetings of Hungarian Archaeozoologists 2002-2009,
Budapest 2009, pp. 235-250.
CHOYKE 2012 = A.M. CHOYKE, Bone workshop from the area
of the church of San Lorenzo in Lucina, in O. BRANDT (a
cura di), San Lorenzo in Lucina. The transformations of
a Roman quarter, Stockholm 2012, pp. 335-346.
CIMA 1986 = M. CIMA (a cura di), Le tranquille dimore degli
dei. La residenza imperiale degli Horti Lamiani, Venezia
1986.
COARELLI 1987 = F. COARELLI, La situazione edilizia di Roma
sotto Severo Alessandro, in L’Urbs. pp. 429-456.
COARELLI 1994 = F. COARELLI, Moneta. Le officine della
zecca di Roma tra Repubblica e Impero, in AnnIstItNum,
38-41, 1994, pp. 23-66.
COARELLI 1996 = F. COARELLI, La cultura artistica a Roma
in età repubblicana, in F. COARELLI, Revixit Ars, Roma
1996, pp. 15-84.
COARELLI 2001 = F. COARELLI, Il sepolcro e la casa di Servio Tullio, in Eutopia, n.s. I, 2, 2001, pp. 3-43.
COARELLI 2014 = F. COARELLI, Collis. Il Quirinale e il Viminale nell’antichità, Roma 2014.
COZZO 1936 = G. COZZO, Una industria nella Roma imperiale. La corporazione dei figuli e i bolli doliari, in MemLinc, ser. VI, V, 1936, pp. 233-366.
DE FRANCESCHINI 2005 = M. DE FRANCESCHINI, Ville dell’agro
romano, Roma 2005.
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI 1995 = J. DE GROSSI MAZZORIN, C. MINNITI, Gli scavi nell’area della Meta Sudans
(I secolo d.C.): l’industria su osso, in Atti del I Convegno Nazionale di Archeozoologia (Rovigo, 5-7 marzo
1993), I, Rovigo 1995, pp. 371-374 (Padusa Quaderni,
1).
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI 2012 = J. DE GROSSI MAZZORIN, C. MINNITI, La lavorazione dell’osso e dell’avorio nella Roma antica, in Atti del VI Congresso
Internazionale di Archeozoologia (Parco dell’Orecchiella,
San Romano in Garfagnana-Lucca, 21-24 maggio 2009),
Lucca 2012, pp. 413-417.
DELAINE 2002 = J. DELAINE, Building activity in Ostia in the
second century A.D, in CH. BRUN, A. GALLINA ZEVI (a
cura di), Ostia e Portus nelle loro relazioni con Roma.
Atti del Convegno all’Institutum Romanum Finlandiae
(Roma, 3-4 dicembre 1999), in ActaInstRomFin, 27,
Roma 2002, pp. 41-101.
DELFINO, MINNITI 2005 = A. DELFINO, C. MINNITI, Oggetti in
osso, avorio e pasta vitrea dal Cuneo XXXIII dell’Anfiteatro Flavio. I resti ossei animali dal Cuneo XXXIII dell’Anfiteatro Flavio, in BCom, 106, 2005, pp. 287-293.
DELFINO, DE LUCA, MINNITI et alii 2013 = A. DELFINO, I. DE
LUCA, C. MINNITI, M. MUNZI, S. ZAMPINI, Lo scavo di una
fornace metallurgica nella taberna XI del Foro di Cesare,
in M. CECI (a cura di), Contesti ceramici dai fori imperiali, Oxford 2013, pp. 93-127 (BAR International Series,
2455).
DESBAT 2003 = A. DESBAT, Les verres des fouilles du pseudosanctuaire de Cybèle à Lyon, in D. FOY, M.D. NENNA (a
cura di), Échanges et commerce du verre dans le monde
antique. Actes du Colloque de l’AFAV (Aix-en-Provence
et Marseille, 7-9 juin 2001), Aix-en Provence 2003, pp.
397-403.
DI GIUSEPPE 2006a = H. DI GIUSEPPE, I reperti, in CARANDINI 2006, pp. 201-211.
DI GIUSEPPE 2006b = H. DI GIUSEPPE, Periodi 3 e 4 (fasi 12), in CARANDINI 2006, pp. 375-402.
DI GIUSEPPE 2012 = H. DI GIUSEPPE, Black-Gloss Ware in
Italy. Production management and local histories, Oxford
2012 (BAR International Series, 2335).
DI GIUSEPPE, BOUSQUET, ZAMPINI 2008 = H. DI GIUSEPPE, A.
BOUSQUET, S. ZAMPINI, Produzione, circolazione e uso
della ceramica lungo il Tevere in epoca repubblicana, in
F. COARELLI, H. PATTERSON (a cura di), Mercator Placidissimus. The Tiber Valley in Antiquity. New Research in
the Upper and Middle River Valley, Roma 2008, pp. 587619.
DRESSEL 1978 = H. DRESSEL, Saggi sull’instrumentum romano, Perugia 1978 (ed. anastatica di H. DRESSEL, La suppellettile dell’antichissima necropoli esquilina, in AnnInst,
52, 1880, pp. 265-342).
FERRANDES 2006 = A.F. FERRANDES, Produzioni stampigliate
e figurate in area etrusco-laziale tra fine IV e III secolo
a.C. Nuove riflessioni alla luce di vecchi contesti, in
ArchCl, 57, 2006, pp. 115-174.
FERRANDES 2008 = A.F. FERRANDES, Produzioni ceramiche
a Roma tra IV e III secolo a.C. Nuovi dati, in ReiCretActa, 40, 2008, pp. 363-372.
FERRANDES 2013 = A.F. FERRANDES, La media e tarda età
imperiale, in PANELLA 2013, pp. 125-131.
FERRANDES 2014 = A.F. FERRANDES, Circolazione ceramica
e approvvigionamento urbano a Roma nel I secolo a.C.
Nuovi dati dall’area degli Horti Lamiani, in ReiCretActa,
43, 2014, pp. 353-366.
FERRO, RAPINESI 2013 = D. FERRO, I.A. RAPINESI, Indagini
sulla destinazione d’uso degli ambienti XI, XII, XIII, in
PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 283-288.
FILIPPI 2008 = F. FILIPPI (a cura di), Horti et sordes. Uno scavo
alle falde del Gianicolo, Roma 2008.
FILIPPI, STANCO 2005 = G. FILIPPI, E.A. STANCO, Topografia
e toponomastica della produzione laterizia della valle del
Tevere: l’Umbria e la Sabina tra Tuder e Crustumerium;
ROMA IMPERIALE COME CENTRO PRODUTTIVO: LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE
l’Etruria tra Volsinii e Lucus Feroniae, in BRUUN 2005,
pp. 121-199.
FONTAINE, SATRE, TEKKI 2011= S. FONTAINE, S. SATRE, A.
TEKKI (a cura di), La ville au quotidien. Regards croisés
sur l’habitat et l’artisanat antiques (Afrique du Nord,
Gaule, Italie). Actes du colloque international (Aix-enProvence, 23-24 novembre 2007), Aix-en-Provence 2011.
FOY 2005 = D. FOY, Une production de bols moulés à Beyrouth à la fin de l’époque hellénistique et le commerce
de ces verres en Méditerranée occidentale, in JGS, 47,
2005, pp. 11-35.
FUNICIELLO 1995 = R. FUNICIELLO (a cura di), La geologia di
Roma: il centro Storico. Memorie descrittive della carta
geologica d’Italia, L, Roma 1995.
GASPERONI 2003 = T. GASPERONI, Le fornaci dei Domitii. Ricerche topografiche a Mugnano in Teverina, Viterbo 2003.
GASPERONI 2005 = T. GASPERONI, Nuove acquisizioni dai
praedia dei Domitii nella valle del Fosso del Rio, in
BRUUN 2005, pp. 103-120.
GASPERONI 2010 = T. GASPERONI, Mugnano in Teverina, località Rota Rio. Recenti indagini su fornaci di opus doliare. Relazione preliminare, in Archeologia nella Tuscia.
Atti dell’Incontro di Studio (Viterbo, 2 marzo 2007), Viterbo 2010, pp. 175-185.
GASPERONI, SCARDOZZI 2010 = T. GASPERONI, G. SCARDOZZI,
Bomarzo, Mugnano, Bassano in Teverina, Carta Archeologica d’Italia. Contributi, Viterbo 2010.
GATTI 1925 = E. GATTI, Notizie di recenti trovamenti di antichità in Roma e nel Suburbio, in BCom, 53, 1925, pp.
271-304.
GIANFROTTA 2015 = P.A. GIANFROTTA, Laterizi e navi annonarie, in SPANU 2015, pp. 111-133.
GIANNICHEDDA 2006 = E. GIANNICHEDDA, Uomini e cose. Appunti di archeologia, Bari 2006.
GLIOZZO 2005 = E. GLIOZZO, La diffusione dell’opus doliare
urbano nell’Etruria romana. Rapporti tra produzione urbana e municipale, in BRUUN 2005, pp. 201-212.
GLIOZZO, FILIPPI 2005 = E. GLIOZZO, G. FILIPPI, Archeologia
e archeometria della produzione doliare bollata urbana.
Ulteriori dati e riflessioni, in BRUUN 2005, pp. 229-247.
GLIOZZO et alii 2015 = E. GLIOZZO, B. LEPRI, L. SAGUÌ, I.
MEMMI, Glass ingots, raw glass chunks, glass wastes and
vessels from fifth century AD Palatine Hill (Rome, Italy),
in Archaeological and Anthropological Sciences, 7, 2015,
pp. 1-17.
GRAHAM 2006 = S. GRAHAM, Ex Figlinis. The Network Dynamics of the Tiber Valley Brick Industry in the Hinterland of Rome, Oxford 2006 (BAR International Series,
1468).
HARRI 2012 = L. HARRI, Gemme in pasta vitrea e pietra dura;
altri materiali in pasta vitrea. Ipotesi di una bottega tardorepubblicana nell’area del Lacus Iuturnae, in STEINBY
2012b, pp. 253-297.
HAÜBER 1986 = CH. HAÜBER, I vecchi ritrovamenti prima del
1870. I nuovi ritrovamenti dopo il 1870, in CIMA 2006,
pp. 167-200.
HELEN 1975 = T. HELEN, Organization of Roman Brick Production in the First and Second Centuries A.D. An interpretation of Roman Brick Stamps, Helsinki 1975.
HOLLERAN 2012 = C. HOLLERAN, Shopping in ancient Rome.
The retail trade in the Late Republic and the Principate,
Oxford 2012.
115
HOSTETTER, BRANDT 2009 = HOSTETTER, J.R. BRANDT, Palatine East Excavations. 1. Stratigraphy and Architecture,
Roma 2009.
JORDAN, HÜLSEN I, 3 = H. JORDAN, CH. HÜLSEN, Topographie der Stadt Rom in Alterthum, I, 3, Berlin 1907.
KAHANE 1977 = A.M. KAHANE, South and west of La Storta,
in BSR, 45, 1977, pp. 139-190.
KEMPPAINEN 2012 = T. KEMPPAINEN, Saggio M, in STEINBY
2012a, pp. 233-254.
LANCIANI 1877 = R. LANCIANI, Miscellanea epigrafica, in
BCom, 5, 1877, pp. 161-183.
LANCIANI 1882 = R. LANCIANI, in NSc, 1882, pp. 113-114.
LANCIANI 1886 = R. LANCIANI, Roma. Note del comm. R. Lanciani, in NSc, 1886, p. 208.
LANCIANI 1891 = R. LANCIAN, Miscellanea topografica, in
BCom, 19, 1891, pp. 18-36.
LANCIANI 1923 = R. LANCIANI, Studi d’artisti nella Roma antica, in BCom, 50, 1923, pp. 3-12.
LANCIANI, GATTI 1886 = R. LANCIANI, G. GATTI, Trovamenti
riguardanti la topografia e la epigrafia urbana, in BCom,
14, 1886, p. 82.
LAZZERETTI, PALLECCHI 2005 = LAZZERETTI, S. PALLECCHI, Le
figlinae “polivalenti”: la produzione di dolia e di mortaria bollati, in BRUUN 2005, pp. 213-227.
LE GALL 1977 = J. LE GALL, Rome, ville de fainéants?, in
REL, 49, 1971, pp. 266-277.
LEONE, PALOMBI, WALKER 2007 = A. LEONE, D. PALOMBI, S.
WALKER (a cura di), Res bene gestae. Ricerche di storia
urbana su Roma antica in onore di Eva Margareta
Steinby, Roma 2007.
LEVEAU 1985 = PH. LEVEAU (a cura di), L’origine des richesses
depensées dans la ville antique, Aix-en-Provence 1985.
LIVERANI 1988 = P. LIVERANI, Le proprietà private nell’area
lateranense fino all’età di Costantino, in MEFRA, 100,
1988, pp. 891-915.
LOANE 1938 = H.J. LOANE, Industry and commerce of the city
of Rome (50 B.C.-200 A.D.), Baltimore 1938.
LO CASCIO 2005 = E. LO CASCIO, La concentrazione delle figlinae nella proprietà imperiale, in BRUUN 2005, pp. 95102.
LTUR = Lexicon Topographicum Urbis Romae, Roma 19932000.
LTURS = Lexicon Topographicum Urbis Romae. Suburbium,
Roma 2001-2008.
L’Urbs = L’Urbs. Espace urbain et histoire (Ier siècle av. J.C. - IIIe siècle ap. J.-C.). Actes du Colloque International (Roma, 8-12 mai 1985), Roma 1987 (CEFR, 98).
MACGREGOR 1985 = A MACGREGOR, Bone, antler, ivory, and
horn. The technology of skeletal materials since the
Roman period, London 1985.
MAESTRIPIERI, CECI 1990 = D. MAESTRIPIERI, M. CECI, Gli
Oppi. Una famiglia di fabbricanti urbani di lucerne, in
JRA, 3, 1990, pp. 119-132.
MAISCHBERGER 1997 = M. MAISCHBERGER, Marmor in Rom.
Anlieferung, Lager-und Werkplätze in der Kaiserzeit,
Wiesbaden 1997 (Palilia, 1).
MANACORDA 1979 = D. MANACORDA, Un’officina lapidaria
sulla Via Appia. Studio archeologico sull’epigrafia sepolcrale d’età giulio-claudia in Roma, Roma 1979.
MANACORDA 2000 = D. MANACORDA, I diversi significati dei
bolli laterizi. Appunti e riflessioni, in BOUCHERON, BROISE,
THÉBERT 2000, pp. 127-159.
116
CLEMENTINA PANELLA
MANACORDA 2007 = D. MANACORDA, Il Laterano e la produzione ceramica a Roma. Aspetti del paesaggio urbano,
in LEONE, PALOMBI, WALKER 2007, pp. 195-204.
MANNONI, GIANNICHEDDA 1996 = T. MANNONI, E. GIANNICHEDDA, Archeologia della produzione, Torino 1996.
MAR 1996 = R. MAR, Santuarios y inversion immobiliria en
la urbanistica ostiense del siglo II, in A. GALLINA ZEVI,
A. CLARIDGE (a cura di), Roman Ostia ‘Revisited’, Roma
1996, pp. 115-164.
MAR 2001 = R. MAR, El santuario de Serapis en Ostia, Tarragona 2001.
MARIANI 1896 = L. MARIANI, I resti di Roma primitiva, in
BCom, 21, 1896, pp. 5-60.
MESSINEO, PETRACCA, VIGNA 1984 = G. MESSINEO, L. PETRACCA, M.L. VIGNA, Fornaci romane in località Ospedaletto Annunziata (circ. XX), in BCom, 89, 1984, pp.
192-194.
MESSINEO, PETRACCA, VIGNA 1985 = G. MESSINEO, L. PETRACCA, M.L. VIGNA, Via Cassia, km 11. Località Casale
Ghella (circ. XX), in BCom, 90, 1985, pp. 177-184.
MESSINEO 1991 = G. MESSINEO, La Via Flaminia da Porta
del Popolo a Malborghetto, Roma 1991.
Misurare la terra = AA.VV., Misurare la terra: centuriazione
e coloni nel mondo romano. Città, agricoltura, commercio: materiali da Roma e dal suburbio, Roma 1985.
MOCCHEGIANI CARPANO 1977 = C. MOCCHEGIANI CARPANO,
Intervento sulle relazioni, in L’instrumentum domesticum
di Ercolano e Pompei nella prima età imperiale, Quaderni
di Cultura Materiale, 1, Roma 1977, pp. 172-173.
MOCCHEGIANI CARPANO 1982 = C. MOCCHEGIANI CARPANO,
Considerazioni sul versante orientale del Gianicolo, in
M. MELE, C. MOCCHEGIANI CARPANO (a cura di), L’area
del “santuario siriaco” sul Gianicolo. Problemi archeologici e storico-religiosi, Roma 1982, pp. 25-35.
MOREL 1981a = J.-P. MOREL, La produzione della ceramica
campana, in SRPS, II, pp. 81-97.
MOREL 1981b = J.-P. MOREL, La Céramique Campanienne.
I. Les formes, Roma 1981.
MOREL 1985a = J.-P. MOREL, La ceramica e le altre merci
d’accompagno nel commercio da e per Roma in età repubblicana, in Misurare la terra, pp. 172-179.
MOREL 1985b = J.-P. MOREL, La manufacture, moyen d’enrichissement dans l’Italie romaine?, in LEVEAU 1985, pp.
87-111.
MOREL 1987 = J.-P. MOREL, La topographie de l’artisanat et
du commerce dans la Rome antique, in L’Urbs, pp. 127155.
MOREL 1989 = J.-P. MOREL, L’artigiano, in A. GIARDINA (a
cura di), L’uomo romano, Roma-Bari 1989, pp. 233-268.
MOREL 1990 = J.-P. MOREL, L’artigiano e gli artigiani, in G.
CLEMENTE, F. COARELLI, E. GABBA (a cura di), Storia di
Roma, II, Torino 1990, pp. 143-158.
MOREL 2001 = J.-P. MOREL, Artisanat et manufacture à Rome
(Ier siècle av. n.è - IIe siècle de n.è), in Pallas, 55, 2001,
pp. 243-263.
MOREL 2009 = J.-P. MOREL, Entre agricolture et artisanat:
regardscroiséssur l’économie de l’Italie tardo-republicaine, in J. CARLSEN, E. LO CASCIO (a cura di), Agricoltura e scambi nell’Italia tardo-repubblicana, Bari 2009,
pp. 63-90.
MOREL 2010 = J.-P. MOREL, Topographie de l’artisanat et
organisation du travail en Gaule méridionale et en Mé-
diterranée occidentale jusqu’au début de l’Empire, in
CHARDRON-PICAULT 2010, pp. 135-146.
MOREL 2011 = J.-P. MOREL, Habitat et artisanat: quelques
impressions finales, in FONTAINE, SATRE, TEKKI 2011, pp.
233-241.
MORONI 2008 = M.T. MORONI, L’instrumentum in osso e metallo, in FILIPPI 2008, pp. 387-405.
MUSCO, CATALANO, CASPIO et alii 2008 = S. MUSCO, P. CATALANO, A. CASPIO, W. PANTANO, K. KILLGROVE, Le complexe archéologique de Casal Bertone, in DossAParis,
330, 2008, pp. 32-39.
NIJBOER 1998 = A.J. NIJBOER, From household production to
workshops. Archaeological evidence for economic transformations, pre-monetary exchange and urbanisation in
central Italy from 800 to 400 B.C., Groningen 1998.
NONNIS 2005 = D. NONNIS, Un recinto sepolcrale dei Gaii
Naevii sulla via Latina, in G. CRESCI MARRONE, M. TIRELLI (a cura di), ‘Terminavit sepulcrum’. I recinti funerari nelle necropoli di Altino. Atti del convegno (Venezia,
3-4 dicembre 2003), Roma 2005, pp. 127-135.
NONNIS c.s.= D. NONNIS, Le attività artigianali, in A. MARCONE (a cura di), La storia del Lavoro in Italia, I. La storia del lavoro in età romana, Roma c.s.
NONNIS 2015 = D. NONNIS, Appunti sull’epigrafia doliare del
Lazio repubblicano, in SPANU 2015, pp. 183-198.
OLCESE 2003 = G. OLCESE, Ceramiche comuni a Roma e in
area romana: produzione, circolazione, tecnologia (tarda
età repubblicana-prima età imperiale), Mantova 2003.
OLCESE 2011-2012 = G. OLCESE, Atlante dei siti di produzione ceramica, Roma 2011-2012.
Ostia VI = C. PANELLA, G. RIZZO, Ostia VI. Le Terme del
Nuotatore, Roma 2014.
PALAZZO, PAVOLINI 2013 = P. PALAZZO, C. PAVOLINI (a cura
di), Gli dèi propizi. La Basilica Hilariana nel contesto dello
scavo dell’Ospedale Militare Celio (1987-2000), Roma
2013.
PALLECCHI 2002 = S. PALLECCHI, I mortaria di produzione centro-italica. Corpus dei bolli, Roma 2002.
PALMER 1976-1977 = R.E.A. PALMER, Vici Luccei in the
Forum Boarium and some Lucceii in Rome, in BCom, 85,
1976-1977, pp. 135-161.
PALOMBI 1997 = D. PALOMBI, Tra Palatino ed Esquilino.
Velia, Carinae, Fagutal, Roma 1997 (RIASA, Suppl. 1).
PANCIERA 1970 = S. PANCIERA, Negotiantes de Sacra Via, in
ArchCl, 22, 1970, pp. 131-138.
PANCIERA 1987 = S. PANCIERA, Un altro aurifex de Sacra Via.
Ancora tra epigrafia e topografia, in L’Urbs, pp. 85-86.
PANCIERA 2006 = S. PANCIERA, Epigrafi, Epigrafia, Epigrafisti, I-III, Roma 2006.
PANELLA 2010 = C. PANELLA, Roma, il suburbio e l’Italia in
età medio e tardo-repubblicana. Cultura materiale. territori, economie, in Facta, 4, 2010, pp. 11-123.
PANELLA 2011 = C. PANELLA, I Segni del Potere. Realtà e immaginario della sovranità nella Roma imperiale, Bari
2011.
PANELLA 2013 = C. PANELLA (a cura di), Scavare nel centro
di Roma. Storie Uomini Paesaggi, Roma 2013.
PANELLA, ZEGGIO, FERRANDES 2014 = C. PANELLA, S. ZEGGIO, A.F. FERRANDES, Lo scavo delle pendici nord-orientali del Palatino tra dati acquisiti e nuove evidenze, in
ScAnt, 20, 1, 2014, pp. 159-210.
PAPI 1999 = E. PAPI, La topografia del quartiere tra la fine
ROMA IMPERIALE COME CENTRO PRODUTTIVO: LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE
del III secolo a.C. e il 64 d.C., in Palatium e Sacra Via.
II. L’età tardo-repubblicana e la prima età imperiale (fine
III secolo a.C.-64 d.C.), in BA, 59-60, 1999 [2005], pp.
199-224.
PAPI 2002 = E. PAPI, La turba impia. Artigiani e commercianti del Foro Romano e dintorni. I secolo a.C.-64 d.C.,
in JRA, 15, 2002, pp. 45-62.
PAPI 2013 = E. PAPI, Roma magna taberna. Economia della
produzione e distribuzione nell’Urbe. Recensione a HOLLERAN 2012, in JRA, 26, 2013, pp. 561-564.
PARENTI 2013 = PARENTI, Gli spilloni in osso e in avorio: tipologie e dati sulla probabile fabbricazione in situ, in PAVOLINI, PALAZZO 2013, pp. 289-295.
PAVOLINI 1976-1977 = C. PAVOLINI, Una produzione italica
di lucerne: le Vogelkopflampen ad ansa trasversale, in
BCom, 85, 1976-1977 [1980], pp. 45-134.
PAVOLINI 1981 = C. PAVOLINI, Le lucerne nell’Italia romana,
in SRPS, II, pp. 139-184.
PAVOLINI 2013 = C. PAVOLINI, Gli dei, gli imperatori, i dendrofori, il quartiere, in PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 425504.
PEACOCK 1982 = D.P.S. PEACOCK, Roman Pottery in the
Roman world: an ethnoarchaeological approach, LondonNew York 1982.
PENSABENE 1981 = P. PENSABENE, Nota sullo studio di lavorazione e la tipologia dei sarcofagi a ghirlande microasiatici esportati in Occidente, in DialA, 3, 1, pp. 85-108.
PENSABENE 1986 = P. PENSABENE, La decorazione architettonica, l’impiego del marmo e l’importazione dei manufatti orientali a Roma, in Italia e in Africa (II-VI secolo),
in SRIT, III, pp. 285-301.
PENSABENE 2013 = P. PENSABENE, I marmi di Roma antica,
Roma 2013.
PETRACCA, VIGNA 1985 = L. PETRACCA, L.M. VIGNA, Le fornaci di Roma e del suburbio, in Misurare la terra, pp.
131-137.
PETRIANNI 2003 = A. PETRIANNI, Il vasellame a matrice della
prima età imperiale. Collezione Gorga. 1. Vetri, Firenze2003.
PORCARI, CONTINO, LUCCERINI et alii 2010 = B. PORCARI, A.
CONTINO, F. LUCCERINI et alii, Scarti di produzione di ceramica invetriata dallo scavo del Nuovo Mercato Testaccio a Roma. Soprintendenza speciale per i Beni
archeologici di Roma, in ReiCretActa, 41, 2010, pp. 303312.
POTTER, REYNOLDS, WALKER 1999 = T.W. POTTER, J.M. REYNOLDS, S. WALKER, The Roman Road Station of Aquaviva,
Southern Etruria, in BSR, 67, 1999, pp. 199-232.
PUCCI 1986 = G. PUCCI, Artigianato e territorio: le officine
ceramiche galliche, in SRIT, III, pp. 703-711.
PUPPO 2008 = P. PUPPO, Lucerne, in FILIPPI 2008, pp. 177196.
QUILICI 1974 = L. QUILICI, Collatia, Forma Italiae, Regio I,
10, Roma 1974.
QUILICI, QUILICI GIGLI 1986 = L. QUILICI, S. QUILICI GIGLI,
Fidenae, Latium Vetus, 5, Roma 1986.
REA 2011 = R. REA (a cura di), Cantieristica archeologica e
opere pubbliche. La Linea C della metropolitana di Roma.
Tratta 4, stazioni San Giovanni, Lodi. Indagini 20102011, Milano 2011.
RICCIOTTI 1973 = D. RICCIOTTI, Arule, in Roma medio-re-
117
pubblicana. Aspetti culturali di Roma e del Lazio tra IV
e III secolo a.C., Roma 1973, pp. 72-96.
SAGUÌ 2005 = L. SAGUÌ, La villa di Lucio Vero sulla Via Clodia e le sue decorazioni in vetro, in Emergenze storicoarcheologiche di un settore del suburbio di Roma. La
Tenuta dell’Acqua Traversa. Atti della Giornata di studio (Roma, 7 giugno 2003), Roma 2005, pp. 211-227.
SAGUÌ 2013 = L. SAGUÌ, Area delle “Terme di Elagabalo”:
tre millenni di storia alle pendici del Palatino, in PANELLA
2013, pp. 133-151.
SANGRISO 2009 = P. SANGRISO, I collegi professionali e la
loro valenza economica. Il caso dei figuli, in StClOr, 55,
2009 [2011], pp. 91-136.
SANTA MARIA SCRINARI 1983 = V. SANTA MARIA SCRINARI, Il
Laterano e le fornaci di epoca imperiale, in Città e architettura nella Roma imperiale. Atti del seminario del
27 ottobre 1981 nel 25° anniversario dell’Accademia di
Danimarca, Odense 1983, pp. 203-218 (ARID, Suppl. X).
SANTA MARIA SCRINARI 1995 = V. SANTA MARIA SCRINARI, Il
Laterano imperiale. II. Dagli Horti Domitiae alla cappella cristiana, Città del Vaticano 1995.
SCHWARZ 2006 = C. SCHWARZ, Scavo delle pendici nordorientali del Palatino (Regio X). avorio e osso lavorato,
in M.A. TOMEI (a cura di), Roma. Memorie dal sottosuolo.
Ritrovamenti archeologici 1980/2006, Milano 2006, pp.
83-84.
SCARDOZZI 2015 = G. SCARDOZZI, Prima dei Domitii (e delle
grandi produzioni dell’Etruria tiberina), in SPANU 2015,
pp. 199-227.
SEBASTIANI, SERLORENZI 2008 = R. SEBASTIANI, M. SERLORENZI (a cura di), Il progetto del Nuovo Mercato di Testaccio, in Workshop di ArchCl, 5, 2008, pp. 137-171.
SEPIO, STEINBY 2012 = D. SEPIO, M.E. STEINBY, Saggio GVano 12, in STEINBY 2012a, pp. 168-185.
SERLORENZI 2010 = M. SERLORENZI, Le testimonianze medievali nei cantieri di Piazza Venezia, in R. EGIDI, F. FILIPPI, S. MARTONE (a cura di), Archeologia e infrastrutture.
Il tracciato fondamentale della linea C della metropolitana di Roma: prime indagini archeologiche, Roma 2010
(BdA, volume speciale, 2010), pp. 131-170.
SERLORENZI, EGIDI 2013 = M. SERLORENZI, R. EGIDI, L’Athenaeum di Adriano. Storia di un edificio dalla fondazione
al XVII secolo. Note conclusive, in BdA on line, 4, 2, 2013,
pp. 192-198.
SERLORENZI, SAGUÌ 2008 = M. SERLORENZI, L. SAGUÌ (a cura
di), Roma. Piazza Venezia. L’indagine archeologica per
la realizzazione della metropolitana. Le fasi medievali e
moderne, in AMediev, 35, 2008, pp. 175-198.
SETÄLÄ 1977 = P. SETÄLÄ, Private domini in Roman brick
stamps of the Empire: a historical and prosopographical
study of landowners in the district of Rome, Helsinki
1977 (ActaInstRomFin, 9, 2).
SPANU 2015 = M. SPANU (a cura di), Opus Doliare Tiberinum. Atti delle Giornate di Studio (Viterbo, 25-26 ottobre 2012), Viterbo 2015 (Daidalos, 15).
SRPS = A. GIARDINA, A. SCHIAVONE (a cura di), Società Romana e Produzione Schiavistica, I-III, Roma-Bari 1981.
SRIT = A. GIARDINA (a cura di), Società Romana e Impero
Tardoantico, I-IV, Roma-Bari 1986.
STANCO 2004 = E.A. STANCO, La ceramica a vernice nera
della stipe di Lucus Feroniae, analisi preliminare, in
BCom, 105, 2004, pp. 29-46.
STANCO 2009 = E.A. STANCO, La seriazione cronologica della
118
CLEMENTINA PANELLA
ceramica a vernice nera etrusco-laziale, in V. JOLIVET, C.
PAVOLINI, M.A. TOMEI, R. VOLPE (a cura di), Suburbium,
II. Il suburbio di Roma dalla fine dell’età monarchica alla
nascita del sistema delle ville (V-I secolo a.C.). Atti delle
Giornate di studio (Roma, 16 ottobre e 3 novembre 2004
e 17-18 febbraio 2005), Roma 2009, pp. 157-193 (CEFR,
419).
ST. CLAIR 2003 = A. ST. CLAIR, Carving as Craft. Palatine
East and the Greco-Roman Bone and Ivory Carving Tradition, Baltimore-London 2003.
STEINBY 1974-1975 = M.E. STEINBY, La cronologia delle «figlinae» doliari urbane dalla fine dell’età repubblicana fino
all’inizio del III sec., in BCom, 84, 1974-1975 [1977], pp.
7-132.
STEINBY 1978 = M.E. STEINBY, Ziegelstempel von Rom und
Umgebung, in RE, Suppl. XV, 1978, coll. 1489-1531.
STEINBY 1981 = M.E. STEINBY, La diffusione dell’opus doliare urbano, in SRPS, II, pp. 237-245.
STEINBY 1993 = M.E. STEINBY, L’organizzazione produttiva
dei laterizi. Un modello interpretativo per l’instrumentum in genere?, in W.V. HARRIS (a cura di), The Inscribed Economy. Production and distribution in the Roman
empire in the light of instrumentum domesticum. Proceedings of a conference held at the Roman Academy in
Rome (Roma, 10-11 January 1992), Ann Arbor 1993, pp.
139-143 (JRA, Suppl. 5).
STEINBY 2012a = M.E. STEINBY (a cura di), Lacus Iuturnae.
II. Saggi degli anni 1982-1985, 1, Roma 2012.
STEINBY 2012b = M.E. STEINBY (a cura di), Lacus Iuturnae.
II. Saggi degli anni 1982-1985, 2, Roma 2012.
STERNINI 1995 = M. STERNINI, La fenice di sabbia. Storia e
tecnologia del vetro antico, Bari 1995.
STORCHI MARINO 1972 = A. STORCHI MARINO, La tradizione
plutarchea sui collegia opificum di Numa, in Annali dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, 3, 1972, pp. 1-53.
STORCHI MARINO 1973-1974 = A. STORCHI MARINO, Le notizie
pliniane sui collegia opificum di età arcaica, in AnnNap,
16, n.s. 4, 1973-1974, pp. 19-36.
STORCHI MARINO 1979 = A. STORCHI MARINO, Artigiani e rituali religiosi nella Roma arcaica, in RendNap, 54, 1979,
pp. 333-357.
STORCHI MARINO 1999 = S. STORCHI MARINO, Numa e Pita-
gora.Sapientia constituendae civitatis, Napoli 1999.
TAGLIETTI 2015 = F. TAGLIETTI, Dolia e coperchi di dolia: problematici assortimenti, in SPANU 2015, pp. 267-291.
TASSINI 1994 = P. TASSINI, Produzione e vendita di alcune
merci di lusso a Roma, in Epigrafia della produzione e
della distribuzione. Actes de la VIIe Rencontre franco-italienne sur l’épigraphie du monde romain (Roma, 5-6 giugno 1992), Roma 1994, pp. 687-695.
THÉBERT 2000 = Y. THÉBERT, Transport à grande distance et
magasinage de briques dans l’Empire romain. Quelques remarques sur les relations entre production et consummation, in BOUCHERON, BROISE, THÉBERT 2000, pp. 341-356.
TORTORICI 1991 = E. TORTORICI, Argiletum. Commercio, speculazione edilizia e lotta politica dall’analisi topografica
di un quartiere di Roma di età repubblicana, Roma 1991
(BCom, Suppl. 1).
TORTORELLA 1981 = S. TORTORELLA, Le lastre Campana, in
SRPR, II, pp. 217-235.
TRAINA 2000 = G. TRAINA, I mestieri, in A. GIARDINA (a cura
di), Storia di Roma dall’antichità a oggi. Roma antica,
Roma-Bari 2000, pp. 113-131.
TRAN 2007 = N. TRAN, Le «procès des foulons». L’occupation litigieuse d’un espace vicinal par des artisans romains, in MEFRA, 119, pp. 597-611.
TREGGIARI 1980 = S. TREGGIARI, Urban labour in Rome:
«mercennarii» and «tabernarii», in P. GARNSEY (a cura
di), Non-slave labour in the Greco-Roman world, Cambridge 1980, pp. 48-64.
VENTRIGLIA 1971 = U. VENTRIGLIA, La geologia della città
di Roma, Roma 1971.
VISCONTI 1887 = C.L. VISCONTI, Trovamenti di oggetti d’arte
e di antichità figurata, in BCom, 15, 1887, pp. 166-172,
192-200.
WALZING 1895-1900 = J.-P. WALZING, Étude historique sur
les corporations professionnelles chez les Romains depuis
les origines jusqu’à la chute de l’Empire d’Occident, IIV, Louvain 1895-1900.
ZUCCA 1987 = R. ZUCCA, L’opus doliare in Africa ed in Sardinia, in L’Africa Romana. Atti del IV Convegno di studio (Sassari, 12-14 dicembre 1986), Sassari 1987, pp.
659-676 (Pubblicazioni del Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari, 8, 2).
LE ATTIVITÀ ARTIGIANALI NELLA ROMA DI ETÀ IMPERIALE:
FONTI LETTERARIE E FONTI EPIGRAFICHE
Filippo Coarelli
Il tema che mi è stato proposto presenta grandi difficoltà: in effetti, la letteratura antica, come è noto, è
scarsamente interessata all’economia in generale, e alla
produzione in particolare. Inoltre, i documenti disponibili – quasi esclusivamente di carattere epigrafico –
sono assai più numerosi e significativi per quanto riguarda il campo della distribuzione, e soprattutto del
commercio, piuttosto che per quello della manifattura
e dell’artigianato. Basterà qui ricordare la ricca serie di
iscrizioni funerarie di commercianti 1, databili quasi
tutte tra la tarda repubblica e il primo impero, con precise indicazioni topografiche (circa 200), che permettono anche di ricostruire la posizione topografica delle
singole tabernae e di documentarne il progressivo spostamento, dal centro alla periferia, e la trasformazione
da imprese di carattere individuale a veri e propri complessi commerciali (macella e horrea).
Va sottolineato, a questo proposito, che è talvolta difficile riconoscere l’attività precisa (artigianale o commerciale) di molti di questi operatori. Morel 2 si
domanda cos’era esattamente un pistor, un vestiarius,
un librarius, un argentarius: artigiano, commerciante o
ambedue le cose?
Tutti i dati sono stati raccolti da Jean-Paul Morel in
un articolo fondamentale, pubblicato nel 1987 3, e sarebbe difficile fare meglio, anche aggiungendo i pochi
dati apparsi in seguito. È inoltre evidente che una ricerca del genere, per progredire, non può che basarsi
sull’archeologia, l’unica che permetta di accumulare
serie di dati omogenei e di elaborarli in estensione e
profondità.
PANCIERA 1970.
MOREL 1987, pp. 128 ss.
3
MOREL 1987.
Restando entro i limiti che mi sono stati assegnati,
è possibile solo procedere ad alcuni sondaggi parziali,
fortemente condizionati dall’inevitabile frammentarietà
dei dati a disposizione, e che tra l’altro non sono neanche nuovi, poiché li ho trattati in altre sedi, anche se
per lo più di difficile accesso: almeno da questo punto
di vista, spero che questo contributo possa presentare
qualche utilità nell’occasione presente.
Il settore meglio documentato a Roma delle attività
produttive è quello connesso con l’edilizia: basti pensare all’importanza che presenta l’uso di bollare i mattoni, sul quale si sono esercitati in particolare, dopo il
lavoro pionieristico di H. Bloch 4, gli studiosi finlandesi 5.
Del resto, si tratta di un settore che è difficile classificare: si tratta di epigrafia o di archeologia? Probabilmente di ambedue, ma questo davvero mi sembra la cosa
meno importante. Trattandosi di un settore molto ben
studiato, mi limiterò a una piccola nota a proposito dei
grandi depositi di laterizi esistenti a Roma.
Accennerò prima, ma solo di passata, a un argomento
del tutto trascurato, che riguarda un’attività costruttiva
particolare, quella navale, che ha avuto una lunghissima
storia, rimasta quasi del tutto sconosciuta prima dei
grandi scavi subacquei moderni. Mi riferisco però a una
fase molto più antica, alla costruzione delle prime grandi
flotte militari romane al momento della prima guerra
punica, documentata quasi esclusivamente da un celebre testo di Polibio 6, che però non ci indica (forse perché era universalmente noto) il luogo dove si trovavano
queste officine navali, senza dubbio di dimensioni grandiose. È un poeta quasi contemporaneo ai fatti, Ennio,
1
4
2
5
6
BLOCH 1947.
Soprattutto Margareta Steynby: STEINBY 1978.
Pol. 1, 21, 1-2.
120
FILIPPO COARELLI
che in un frammento superstite degli Annales 7 risolve
il problema, menzionando il textrinum navibus longis
(e cioè l’arsenale) e indicandocene la localizzazione nel
Campo Marzio. La fortunata scoperta di vari rostri appartenenti alle navi affondate nel corso della battaglia
delle Egadi (242 a.C.) 8, che concluse la prima guerra
punica, dimostra che il controllo dei lavori per la costruzione della flotta era stata affidata ai nuovi questori,
introdotti pochi anni prima.
La presenza nella città di figlinae impegnate nella
fabbricazione di materiale laterizio destinato agli edifici urbani (dalle tegole alle terrecotte architettoniche)
è attestatata fin dal periodo arcaico. Almeno alcune di
esse si trovavano sull’Esquilino, come testimonia Varrone in un testo famoso, quello relativo agli Argei, basato su un documento pontificale senza dubbio di età
arcaica, ma che nella redazione che ci resta non sembra anteriore al IV secolo a.C. 9. Anche Festo ricorda
un ‘figulo della regione Esquilina’ 10. Ora, gli scavi realizzati sul colle alla fine dell’800 hanno rivelato, in corrispondenza dello sbocco di via dello Statuto su via
Merulana, un grande scarico di fornace di età repubblicana piuttosto antica, parzialmente pubblicato da
Dressel 11. Tra gli oggetti rinvenuti si distingue un
gruppo con iscrizioni incise prima della cottura, identificabili come strumenti destinati alla lavorazione dell’argilla, dove appaiono nomi degli operai della figlina:
per ben cinque volte vediamo ritornare lo stesso nome,
Sextius. Si tratta di oggetti databili tra la metà del IV e
la metà del III secolo a.C., che ci permettono di identificare in un membro della plebea gens Sextia il proprietario dell’officina 12. Ora, uno dei primi personaggi
della gens che conosciamo è C. Sextius Sextinus Lateranus, il celebre tribuno della plebe che, tra il 376 e il
367, insieme a C. Licinius Stolo, è autore delle leges
Liciniae Sextiae, che equipararono politicamente i plebei ai patrizi. Un rapporto con il proprietario delle figlinae è suggerito con forza dal cognomen Lateranus,
che la famiglia conserverà fino al periodo imperiale. Si
tratta di un aggettivo indubbiamente derivato da later,
mattone: in un’epoca così antica, un cognomen del ge-
Enn., in Serv., Aen. 11, 326; COARELLI 1997, pp. 354-356.
Si veda COARELLI 2014b; PRAG 2014.
9
Varro, ling. 5, 50, 3.
10
Fest., p. 468 L.
11
DRESSEL 1880.
12
COARELLI 1996, pp. 40 ss.
13
MOREL 1969.
7
8
nere non può che essere legato a una particolare caratteristica del suo detentore, che quindi dovette essere proprietario di figlinae.
A questo proposito, è quasi inutile ricordare che la
prima delle grandi serie di ceramiche a vernice nera,
l’‘Atelier des petites estampilles’, identificato da
Morel 13, venne prodotto a Roma o nei suoi immediati
dintorni a partire dalla fine del IV secolo a.C. Poco
prima era stata fabbricata a Roma, come indica l’iscrizione, la più bella delle ciste dette ‘prenestine’, la cista
Ficoroni 14. La recente scoperta, presso Cassino, di una
spada databile all’inizio del III secolo 15, in cui è ageminata un’iscrizione dalla quale risulta che l’oggetto (un
prodotto di lusso, appartenuto certamente a un ufficiale
romano) era stato fabbricato a Roma. Ciò pone tra l’altro un problema per ora insolubile: dove erano le officine, senza dubbio numerosissime, che provvedevano
a fornire di armi e di molto altro quello che era forse il
mercato più ampio allora esistente, l’esercito romano? 16.
Passando a un periodo più vicino, vorrei rapidamente trattare un caso che mostra come molti membri
dell’aristocrazia senatoria romana manifestassero, fin
dalla fine della repubblica e dall’inizio dell’impero, un
grande interesse per la produzione di laterizi: si tratta
di un fatto ben noto, che portò, nel corso della media
età imperiale, a un progressivo concentrarsi di tale produzione nelle mani dell’imperatore, fino a divenire un
vero e proprio monopolio con Marco Aurelio 17.
Si tratta delle notissime lastre Campana scoperte
nella casa di Augusto durante gli scavi di Gianfilippo
Carettoni, tra le quali spicca quella con la lotta tra Ercole e Apollo per il possesso del tripode delfico 18. Sappiamo ormai che queste splendide terrecotte non
appartenevano alla decorazione del tempio di Apollo,
ma erano destinate ad essere inserite nell’ampliamento
della casa di Augusto, avviato nel 36 a.C. 19.
Ora, una serie di lastre derivate dalle stesse matrici,
apparentemente più fresche, è stata scoperta durante la
costruzione del Museo del Risorgimento: esse provengono dunque da un edificio situato alle spalle del tempio di Venere Genitrice, che per motivi che ho già
DOHRN 1972.
SACCO, TONDO, NICOSIA 2012.
16
Per un’ipotesi che identifica alcune di queste a Fregellae,
cfr. COLASANTI 1928; COARELLI 1998, pp. 43 ss.
17
BLOCH 1947; STEINBY 1978.
18
STRAZZULLA 1990.
19
IACOPI, TEDONE 2006, p. 367; COARELLI 2012, p. 365.
14
15
LE ATTIVITÀ ARTIGIANALI NELLA ROMA DI ETÀ IMPERIALE: FONTI LETTERARIE E FONTI EPIGRAFICHE
121
esposti altrove 20, non può essere che l’Atrium Libertatis, ricostruito in forme monumentali da Asinio Pollione
a partire dal 39 a.C.. Si deve aggiungere che nella casa
di Augusto e nel tempio di Apollo sono apparse tegole
bollate con il nome di un Cosconius, che aveva lavorato nelle figlinae di Asinio Pollione: e cioè dello stesso
console del 40, che aveva ricostruito l’Atrium Libertatis. Il terzo elemento che permette di completare il discorso si ricava da un vecchissimo articolo di de Rossi,
del 1873 21, che identificò ai piedi del colle di Tuscolo,
in base ad alcune iscrizioni, la villa di Asinio Pollione,
che vi morì all’età di 80 anni 22. Nella stessa zona si trovano importanti cave di argilla e scarichi di officine laterizie. La conclusione evidente è che il console del 40
a.C. produceva nella sua villa suburbana non solo le terrecotte decorate, che venivano vendute a personalità prestigiose, come Augusto, ma anche laterizi e tegole, che
dovevano costituire una parte non secondaria delle sue
fortune economiche.
Un argomento che esporrò brevemente si basa su un
frammento della Forma urbis Severiana rimasto a lungo
inspiegato, la cui parte perduta è nota da un disegno 23.
Vi si scorge un ampio spazio vuoto, occupato in basso
da due locali di pianta rettangolare allungata. Al centro
dell’area libera si legge con sicurezza: NAVALEMFER.
Le correzioni proposte, ad esempio da Hülsen 24, NAVALE INFERIVS, non reggono davanti a un testo così
chiaro, anche se certamente incompleto a destra. L’altezza molto ridotta della lastra (37 cm) permette di collocarla alla sommità della forma marmorea, dove si
trovavano anche il Mutatorium e l’Area Radicaria, localizzati in un’area immediatamente a sud del Circo
Massimo. Il nostro edificio doveva pertanto trovarsi tra
questo punto e la via Ostiensis, lungo le pendici orientali del Piccolo Aventino.
Penso che tutto ciò permetta l’identificazione con un
navale, del tipo di quello menzionato in un mattone proveniente dalla Pannonia, in cui si parla di navalia nel
senso di ‘depositi di mattoni’ 25. In effetti, questi stessi
edifici altre volte sono designati con il termine analogo
di portus: la più importante di queste installazioni a
Roma era il portus Licini, che resta in uso fino a Teodorico 26. Ciò permette di sciogliere in modo soddisfacente l’iscrizione con Navale M(arci) Ferocis, e di
attribuire il complesso (forse un magazzino, tegularium) con adiacenti figlinae a Cn. Pompeius Ferox Licinianus, console suffetto nel 98 27.
Passando a un altro argomento, vorrei ricordare brevemente la grande attività, strettamente connessa con
l’edilizia, di marmorari e scultori, che aveva luogo in
due zone della città, situate agli estremi opposti, meridionale e settentrionale: nei pressi cioè dei due porti principali di Roma, che in seguito furono sostituiti da Ripa
Grande e Ripetta. Questo argomento è stato recentemente trattato molto bene da Martin Maischberger 28,
ciò che mi consentirà di abbreviare il discorso.
Probabilmente il centro principale di questa attività
va identificato nella zona nord-occidentale del Campo
Marzio, dove in varie epoche ne vennero rinvenute
tracce inequivoche 29. Maischberger ha redatto un’accurata serie di schede dei vari ritrovamenti (più di
cento), per i quali però, per la natura e l’epoca delle scoperte, non disponiamo di alcun dato stratigrafico, ciò
che sarebbe di grande importanza per riconoscere le varie
fasi di questa attività, che si prolungò certamente fino
al medioevo. L’unico punto su cui sono in disaccordo
con l’autore è la sua esitazione nel riconoscere l’esistenza nell’area di una vera e propria Statio marmorum
(come ritenevano gli autori ottocenteschi, tra i quali Lanciani) 30, nonostante le esplicite testimonianze epigrafiche, che segnalano la presenza in prossimità di S.
Apollinare 31 (nel 1735 o 37) di una fistula di piombo
con l’indicazione IMP. ANTONINI AVG. PII STATIONIS PATRIMONII SUB CURA DIOSCVRI; va menzionata a questo proposito anche un’iscrizione scoperta in
Parione 32, con la dedica a Iuppiter Optimus Maximus
da parte di un Semnus, optio tabellariorum stationis marmorum. Conosciamo inoltre un M. Ulpius Martialis
Aug. lib. (evidentemente di Traiano) a marmoribus 33 e
un M. Ulpius Aug. lib. Restitutus (ancora un liberto di
COARELLI 1984, pp. 130, 136.
DE ROSSI 1873.
22
Hier., chron. a. Abr. 2020: 758 = 5 d.C.
23
CARETTONI, COLINI, COZZA et alii 1960, pp. 60 ss.; COARELLI
1997, pp. 359-361.
24
HÜLSEN 1896, pp. 246-258.
25
EphEp II, p. 434, n. 927.
26
STEINBY 1978, c. 1512; L. CAMILLI, s.v. Port(us) Lic(inii), in
LTUR IV, 1999, p. 154.
PIR 2, Pompeius 606.
MAISCHBERGER1997.
29
LANCIANI 1891, pp. 34-36; MAISCHBERGER 1997, pp. 139141.
30
Ibidem.
31
CIL XV, 7315.
32
CIL VI, 410.
33
CIL VI, 8483.
20
21
27
28
122
FILIPPO COARELLI
Traiano) praepositus ex statione marmorum 34. La ragione di tali dubbi è il significato del termine statio, che
secondo Bruun 35 non indicherebbe la sede fisica di un
ufficio pubblico: una posizione a mio avviso del tutto
aberrante.
Il dato più notevole di questa funzione dell’area,
emerso recentemente, è la presenza sul pavimento antico di lastre di travertino, a sud del Mausoleo di Augusto, di una serie di linee incise, che riproducono la
metà di un grande frontone, da identificare senza alcun
dubbio con quello del Pantheon 36. Disegni del tutto analoghi, ancora visibili nell’area circostante all’Anfiteatro Campano 37, riproducono a terra la forma delle arcate
del recinto esterno dell’edificio: esse erano senza dubbio destinate agli scalpellini che dovevano realizzare i
vari elementi architettonici.
Nel nostro caso, ciò significa due cose precise: che
il luogo di sbarco dei blocchi marmorei destinati alla
costruzione del Pantheon era situato in coincidenza dell’antico porto fluviale (in seguito Ripetta); inoltre, che
la lavorazione degli elementi architettonici marmorei di
grandi dimensioni aveva luogo in genere nella stessa
area.
Una breve esposizione merita anche un altro argomento: cioè, la posizione delle officine che, per il loro
carattere inquinante, non potevano trovarsi nel centro
della città. Conosciamo la risposta in almeno tre casi:
le officine del minio, quelle del cuoio e quelle del
piombo.
Nel primo caso, dobbiamo a Vitruvio 38 la notizia che
il minio, la cui materia prima proveniva dalla Spagna,
era prodotto in un’area del Quirinale compresa tra il tempio di Flora e il tempio di Quirino. Già Hülsen 39 dimostrò, contro Lanciani e altri studiosi 40, che non poteva
trattarsi di una zona situata all’interno delle mura, sulla
sommità del Quirinale, ma certamente ai piedi del colle,
dove tra l’altro l’aqua Sallustiana poteva fornire le
grandi quantità d’acqua necessarie. La posizione del tempio di Flora va identificata con una zona esterna alle
mura serviane, più o meno in coincidenza con la piaz-
zetta Scanderbeg 41: le officine dovevano trovarsi dunque sul lato nord del colle, lungo l’attuale via del Tritone, più o meno tra la fontana di Trevi e piazza
Barberini (dove, contrariamente all’ipotesi di Carandini 42, che lo localizza nei giardini del Quirinale, si trovava certamente il tempio di Quirino) 43. Per una certa
vischiosità dei nostri studi, si ritiene che le officine restassero sempre nella stessa zona: ma ciò è certamente
escluso dal fatto che (come dimostrano gli scavi di Elisa
Lissi Caronna 44 nella zona di via dei Maroniti e la recente collocazione nella stessa zona, da parte di Pierluigi Tucci 45, di un frammento della Forma urbis
Severiana) tutta quest’area, certamente libera da edifici
all’epoca di Vitruvio (cioè tra Cesare e l’inizio del periodo augusteo) venne intensamente urbanizzata nel II
secolo d.C.: di conseguenza, le officine del minio dovettero trasferirsi altrove, più lontano dal centro abitato.
Conosciamo per via epigrafica (e forse anche archeologica, se gli edifici sotto santa Cecilia in Trastevere fanno davvero parte dei coraria Septimiana, come
oggi si tende ad escludere) 46 la posizione delle officine
del cuoio, anch’esse altamente inquinanti e situate per
questo in un’area marginale e poco urbanizzata del Trastevere. Un’analoga indicazione ci è fornita da un’iscrizione funeraria di un certo C. Iulius Thallus, probabile
liberto imperiale 47 qui egit officinas plumbarias Transtiberina (regione) et trigari, prima di diventare un funzionario della Moneta. Sappiamo così dove venivano
realizzate le fistule acquarie, di cui tanti esemplari ci
sono conservati.
Un caso privilegiato è quello della Moneta, del quale
è possibile identificare con sicurezza tanto la sede repubblicana, utilizzata fino a Domiziano, che si trovava
sull’Arx, come pure la sede successiva, situata nella regio
III. La prima inizia la sua attività fin dal 269 a.C. quando
venne coniata la prima moneta d’argento romana, il quadrigato 48. La seconda, per motivi che sarebbe qui troppo
lungo esporre, va identificata con l’edificio sotto S.
Clemente 49. Comunque, tra i motivi di questa identificazione (oltre a un frammento perduto della pianta mar-
SAGUÌ, MANACORDA 1995, pp. 121-123.
BRUUN 1989.
36
HASELBERGER 1994.
37
GOLVIN 1988, p. 204, nota 418.
38
Vitr. 7, 9, 4.
39
HÜLSEN 1894, p. 409.
40
E. PAPI, s.v. Officinae Miniariae, in LTUR III, Roma 1996,
pp. 360-361.
41
COARELLI 2014 a, pp. 76-78.
CARANDINI 2007.
COARELLI 2014 a, pp. 43-112.
44
LISSI CARONNA 1985.
45
TUCCI 1996.
46
A. PRONTI, s.v. Coraria Septimiana, in LTUR I, Roma 1993,
pp. 322-323.
47
CIL VI, 8461; ILS 1637.
48
COARELLI 2013, pp. 57-82.
49
COARELLI 1994; COARELLI 2013, pp. 149-184.
34
35
42
43
LE ATTIVITÀ ARTIGIANALI NELLA ROMA DI ETÀ IMPERIALE: FONTI LETTERARIE E FONTI EPIGRAFICHE
morea severiana che rappresenta l’edificio) è una serie
numerosa di iscrizioni, scoperte davanti o all’interno
della chiesa. Le più importanti sono tre grandi cippi dedicati ad Apollo Augustus, a Fortuna Augusta e ad Hercules Augustus il 28 gennaio del 115, sotto Traiano 50,
da un Felix Aug. l. optio et exactor argenti aeris, insieme agli officinatores, signatores, suppostores e malliatores della Moneta Caesaris nostri. L’edificio sotto
S. Clemente (che misura circa 2000 m2) comprendeva
un grande cortile centrale, dove si trovava probabilmente
una grande vasca, chiuso tutt’intorno da una serie di ambienti identici sui lati lunghi, più piccoli sul lato minore
conservato: si può così riconoscere una precisa scansione in quattro settori, ognuno costituito da cinque ambienti.
Le iscrizioni ci forniscono certamente il numero totale degli operai che lavoravano nella moneta: 17 signatores (12 liberti e 5 schiavi), 11 suppostores (7 liberti
e 4 schiavi), 38 malliatores (11 liberti e 27 schiavi). I
signatores dovrebbero essere gli artigiani specializzati
nella realizzazione dei coni, certamente l’élite del personale (come appare dal numero elevato di liberti). Al
capo opposto della gerarchia sono i malliatores (i ‘martellatori’), personale di fatica poco specializzati, tra i
quali prevalgono gli schiavi. Una posizione intermedia
occupano i suppostores, gli operai incaricati di scaldare
il tondello e tenerlo con le pinze al momento della coniatura. Il numero rilevante dei malliatores si spiega
senza dubbio con la durezza del lavoro, che doveva richiedere frequenti turni.
Nel complesso, il personale della Moneta sembra costituito da un optio exactor, da un optio e da 91 operai,
che dovevano essere divisi in una decina di squadre, in
ognuna delle quali un suppostor doveva essere coadiuvato da tre malliatores. Si potrebbe in conclusione proporre una suddivisione del genere:
Moneta auraria: 1 officina; 6 officinatores (un suppostor, due signatores, 3 malliatores);
Moneta argentaria: 4 officinae: 19 officinatores (4
suppostores, 6 signatores, 14 malliatores);
Moneta aeraria: 12 officinae: 66 officinatores (11
suppostores, 17 signatores, 38 malliatores).
In complesso, 16 o 17 officinae, che potrebbero agevolmente trovar posto nei venti ambienti dell’edificio
sotto S. Clemente, mentre gli altri potevano servire per
50
CIL VI, 42-44.
123
la lavorazione dei conii e per la flatura (che poteva aver
luogo nel cortile centrale, dove era la vasca probabilmente utilizzata per raffreddare i tondelli fusi).
Bibliografia
BLOCH 1947 = H. BLOCH, I bolli laterizi e la storia dell’edilizia romana, Roma 1947.
BRUUN 1989 = Ch. BRUUN, Statio aquarum, in M. STEINBY
(a cura di), Lacus Iuturnae I, Roma 1989, pp. 127-147.
BRUUN 1991 = Ch. BRUUN, The Water-Supply of Ancient
Rome. A Study of Roman Imperial Administration, Helsinki 1991.
CARANDINI 2007= A. CARANDINI, Cercando Quirino, Roma
2007.
CARETTONI, COLINI, COZZA et alii 1960 = G. CARETTONI,
A.M. COLINI, L. COZZA, G. GATTI, La pianta mermorea
di Roma antica, Roma 1960.
COARELLI 1984 = F. COARELLI, Roma sepolta, Roma 1984.
COARELLI 1994 = F. COARELLI, Moneta. Le officine della
zecca di Roma tra repubblica e impero, in AnnIstItNum,
38-41, 1994, pp. 23-65.
COARELLI 1996 = F. COARELLI, Revixit Ars, Roma 1996.
COARELLI 1997 = F. COARELLI, Il Campo Marzio. Dalle origini alla fine della repubblica, Roma 1997.
COARELLI 1998 = F. COARELLI, La storia e lo scavo, in Fregellae I. Le fonti, la storia, il territorio, Roma 1998, pp.
29-69.
COARELLI 2012 = F. COARELLI, Palatium. Il Palatino dalle
origini all’Impero, Roma 2012.
COARELLI 2013 = F. COARELLI, Argentum signatum. L’origine della moneta d’argento a Roma, Roma 2013.
COARELLI 2014a = F. COARELLI, Collis. Il Quirinale e il Viminale nell’antichità, Roma 2014.
COARELLI 2014b = F. COARELLI, I quaestores classici e la battaglia delle Egadi, in Hoc quoque laboris praemium.
Scritti in onore di G. Bandelli, Trieste 2014, pp. 99-114.
COLASANTI 1928 = G. COLASANTI, I cercatori di ferro, Roma
1928.
DE ROSSI 1873 = G. B. DE ROSSI, Ricerche archeologiche e
topografiche nel Monte Albano e nel territorio tusculano,
in AdI, 45, 1873, pp. 162-221.
DOHRN 1972 = T. DOHRN, Die Ficoronische Ciste, Berlin 1972.
DRESSEL 1880 = H. DRESSEL, La suppellettile dell’antichissima necropoli esquilina 2. Le stoviglie lettrerate, in AdI,
52, 1880, pp. 265-342.
HASELBERGER 1994 = L. HASELBERGER, Ein Giebelriss der
Vorhalle der Pantheon. Die Werkrisse von dem Augustusmausoleum, in RM, 101, 1994, pp. 279-308.
HÜLSEN 1894 = CH. HÜLSEN, Zur Topographie der Quirinals,
in RhM, 49, 1894, pp. 379-432.
HÜLSEN 1896 = CH. HÜLSEN, Il Foro Boario e le sue adiacenze nell’antichità, in DissPontAcc, s. II, 6, 1896, pp.
231-275.
IACOPI, TEDONE 2006 = I. IACOPI, G. TEDONE, Bibliotheca e
Porticus ad Apollinis, in RM, 112, 2006, pp. 351-375.
LANCIANI 1891 = R. LANCIANI, Officina marmoraria della regione XIII, in BCom, 19, 1891, pp. 23-36.
LISSI CARONNA 1985 = E. LISSI CARONNA, Un complesso edi-
124
FILIPPO COARELLI
lizio tra via in Arcioni, via dei Maroniti e vicolo dei Maroniti, in A.M. BIETTI SESTIERI (a cura di), Roma: archeologia nel centro, II, Roma 1985, pp. 360-365.
MAISCHBERGER 1997 = M. MAISCHBERGER, Marmor in Rom,
Wiesbaden 1997.
MOREL1987 = J.P. MOREL, La topograhie de l’artisanat et du
commerce dans la Rome antique, in L’Urbs. Espace urbain et histoire. Ier siècle av. J.-C. - III siècle après J.-C.,
Rome 1987, pp. 127-155.
MOREL 1973 = J.P. MOREL, L’atelier des petites estampilles,
in MEFRA, 81, 1973, pp. 59-117.
PANCIERA 1970 = S. PANCIERA, Tra epigrafia e topografia, in
ArchCl, 22, 1970, pp. 131-138.
PRAG 2014= J.R.W. PRAG, Bronze rostra from the Egadi Islands off NW Sicily: the Latin inscriptions, in JRA, 27,
2014, pp. 33-59.
SACCO, TONDO, NICOSIA 2012 = D. SACCO, M. TONDO, E. NICOSIA, Materiale votivo e forme di culto. La spada di S.
Vittore, in G. GHINI, Z. MARI (a cura di), Lazio e Sabina
9, Atti del Convegno, Nono Incontro di Studi sul Lazio e
la Sabina (Roma, 27-29 marzo 2012), Roma 2013, pp.
483-485.
SAGUÌ, MANACORDA 1995 = L. SAGUÌ, D. MANACORDA, L’esedra della Crypta Balbi e il monastero di S. Lorenzo in
Pallacinis, in QuadAEI, 12, 1, 1995, pp. 121-134.
STEINBY 1978 = M. STEINBY, Ziegestempel von Rom und Umgebung, in RE, suppl. XV, 1978, cc. 1489-1531.
STRAZZULLA 1990 = M.J. STRAZZULLA, Il principato di Apollo,
Roma 1990.
TUCCI 1996 = P.L. TUCCI, Tra il Quirinale e l’Acquedotto Vergine sulla pianta marmorea Severiana= i frammenti 538
a-o, in AnalRom, 23, 1996, pp. 21-33.
EVIDENZE DI ATTIVITÀ PRODUTTIVE
DAI GRANDI CANTIERI DI SCAVO
THE EVIDENCES OF PRODUCTIVE ACTIVITIES
FROM RELEVANT ARCHAEOLOGICAL EXCAVATIONS
L’ISOLATO DELLA CRYPTA BALBI
Laura Vendittelli, Marco Ricci
Le attività produttive documentate dagli scavi
L’isolato della Crypta Balbi è certo uno dei siti in
cui più ampiamente gli scavi hanno messo il luce tracce
di attività produttive dall’età tardoantica all’età moderna e, particolarmente rilevante, la documentazione
delle attività produttive da porsi nella fase tardoantica.
Qui si intende dare una breve sintesi topografica dei
rinvenimenti nel complesso riferibili alle suddette attività (fig. 1 e tav. 00).
Gli scavi, ben lungi dall’essere completati, nell’area
hanno messo in luce una serie di attività produttive in
età tardoantica nell’esedra, sul lato est del portico, e nel
quartiere di isolati antichi a est del portico, in particolare negli edifici di II secolo portati in luce a sud-est
dell’esedra. Si tratta, di officine metallurgiche e/o vetrarie che producevano una vasta gamma di beni di
lusso legati all’abbigliamento, alla decorazione etc. 1.
L’esedra, che si apriva sul lato est del portico, dal II secolo ristrutturata come latrina e separata dal portico con
un muro diametrale, si è ormai appurato che nel corso
del III-IV secolo è funzionalmente connessa con gli ambienti a piano terra degli edifici antichi addossatisi al
lato sud-est del portico dall’età traianea-adrianea 2. In
età tardoantica sembra continuare l’unitarietà funzionale
tra l’area dell’esedra e gli ambienti a sud-est di essa.
Nell’esedra sono stati rinvenuti i resti di un forno per
la produzione del vetro 3. Essi sono stati datati alla seconda metà-fine del V secolo 4. Gli scavi recenti negli
edifici a sud-est dell’esedra hanno messo in luce un im-
Cfr. RICCI, infra, pp. 00.
2
Cfr. VENDITTELLI 2014, pp. 49-60.
3
Cfr. l’intervento di L. Saguì in questo volume.
1
pianto per produzioni metallurgiche. Gli scavi hanno portato in luce ambienti di due edifici affacciati (uno a sud
e uno a nord) su un cortile pavimentato con il basolato,
delimitato da due archi a est e ovest, che prosegue con
un percorso agibile ma coperto da edifici, e pavimentato in opus spicatum (figg. 2-4). La sistemazione del
basolato rinvenuto è da porsi alla metà del V secolo
quando si cerca anche di risistemare la copertura della
fogna sottostante usando anfore coeve 5.
Negli ultimi due ambienti dell’edificio nord, affacciati su questo cortile, sono stati rinvenuti due forni,
uno laterizio e uno in pietra lavica pertinenti ad un’officina che ha lavorato fino alla fine del VI secolo, e comunque tutti gli ambienti a piano terra degli edifici fino
ad ora scavati saranno abbandonati, e riempiti di macerie a seguito del crollo delle volte, all’inizio del VII
secolo. Del resto, sempre negli edifici ad est dell’esedra, rappresentati dalla Forma urbis marmorea, deve
ricondursi anche l’officina cui appartengono i materiali
e gli scarti che in gran quantità sono stati rinvenuti nel
deposito di fine VII secolo dell’esedra e che oggi sono
illustrati nel museo della Crypta Balbi 6. Sin dall’inizio la formazione del deposito aveva indotto a ritenere
che il butto fosse avvenuto dall’area a nord-est dell’esedra. Oggi saggi di scavo condotti nelle cantine a
nord dell’esedra e che hanno documentato l’angolo di
un portichetto da riconoscere in quello raffigurato nella
Forma urbis marmorea non hanno rivelato tracce di attività produttive per produzioni metallurgiche e/o vetrarie, che dunque, probabilmente, vanno poste tra
4
Cfr. SAGUÌ 1993, pp. 409-418; SAGUÌ, MANACORDA 1995, pp.
121-129.
5
Cfr. VENDITTELLI 2014, pp. 49-59.
6
Cfr. RICCI 2001b, pp. 331-428.
Fig. 1. - Crypta Balbi. Pianta archeologica aggiornata. In evidenza in grigio le strutture antiche (I-II secolo); le strutture tardoantiche (IVVII secolo); e le strutture medievali della chiesa di Santa Maria domine Rose ( XII-XIV secolo): vedi anche tav. 00.
questa area e quella già portata in luce a sud-est. L’officina di cui al deposito di fine VII secolo dell’esedra,
peraltro, era stata messa in connessione come pertinenza
del Monastero di S. Lorenzo in Pallacinis da ubicarsi
più o meno in corrispondenza della attuale chiesa di S.
Stanislao dei Polacchi sul lato nord del complesso della
Crypta Balbi 7. I recenti ritrovamenti di un’officina, in
parte coeva, a sud-est dell’esedra in ambienti apparentemente non riferibili immediatamente al monastero,
7
Cfr. SAGUÌ, MANACORDA 1995, pp. 121-129.
L’ISOLATO DELLA CRYPTA BALBI
Fig. 2. - Edifici a sud-est dell’esedra. Pianta degli edifici a nord e sud del cortile.
Fig. 3. - Edifici a sud-est dell’esedra. Sezione ovest-est sul cortile.
129
LAURA VENDITTELLI - MARCO RICCI
potrebbero cambiare la prospettiva circa la pertinenza al monastero o comunque potrebbero ampliare l’area di eventuale pertinenza e/o controllo da
parte del monastero.
Due notazioni di carattere topografico
Fig. 4. - Edifici a sud-est dell’esedra, visuale da ovest.
Due notazioni di carattere topografico sembrano
potersi fare allo stato attuale delle ricerche nell’isolato.
Gli scavi hanno documentato che le attività di of-
Fig. 5. - Posizionamento della Forma urbis marmorea sulla pianta dell’area in scala 1:307: vedi anche tav. 00.
L’ISOLATO DELLA CRYPTA BALBI
ficine in età tardoantica sembrano mancare sul fronte
nord del portico dove in età imperiale esisteva una struttura di servizio tra due edifici pubblici: la cisterna coperta a volta organizzata in età domizianea, subito dopo
l’incendio dell’80, tra il muro perimetrale nord della
Crypta Balbi e il muro perimetrale sud della Porticus
Minucia (fig. 5 e tav. 00) 8. E se anche già dal IV secolo nel braccio nord della Crypta muretti paralleli e
buchi per pali sul pavimento d’età imperiale attestano
una diversa divisione dello spazio, non sono state rinvenute tracce di attività produttive 9. Tracce di attività
produttive mancano anche nell’area dell’antica cisterna.
Esse sembrano attestarsi dunque nell’esedra e negli isolati a ridosso di essa sul lato est. Anche negli ambienti
addossati all’esterno del muro perimetrale sud della
Crypta sono attestate attività produttive in età altomedievale; sono state rinvenute tracce di attività metallurgica e/o vetraria attestate dal rinvenimento di
frammenti di crogioli 10.
Riguardo alla possibilità di un perpetuarsi di una
tradizione di attività di epoca classica negli isolati circostanti la Crypta l’unica attività ascrivibile ad epoca
imperiale per ora attestata dagli scavi è un piccolo impianto di fullonica recentemente portato in luce, che
sembra sia stato in attività nel corso del II secolo. Il
piccolo impianto è documentato nell’ambiente immediatamente a est del cortile basolato, sul lato nord. È
ovvio mettere in relazione questo impianto con la latrina funzionante nello stesso periodo nell’esedra della
Crypta distante non più di venti metri. La fullonica
sembra sia stata in uso pochi decenni. Già negli ultimi
decenni del II-inizi del III secolo le vasche per l’acqua sono usate per lo scarico di vasellame rotto, soprattutto anfore, e nello scarico sono stati trovati i
frammenti del cratere invetriato, databile al I-II secolo,
probabilmente pertinente al culto che si svolgeva nell’ambiente adiacente a est.
Le strutture della fullonica sono ormai interrate
quando nell’ambiente sono documentate tracce di una
frequentazione (un focolare, tracce di pasti, vasellame
da mensa e da dispensa) databile, ad un primo esame,
alla fine del V-inizi del VI secolo (fig. 6 e tav. 00).
Tracce di attività metallurgiche da mettere in relazione
con i vicini forni, sono attestate anche nell’ambiente immediatamente a est della fullonica. A est della fullonica
VENDITTELLI 2014, p. 11.
Cfr. VENDITTELLI 2004, pp. 222-230.
10
Cfr. il contributo di L. Saguì in questo volume.
il passaggio nord-sud già coperto da una volta poggiante
su un muro addossato all’edificio di cui si è messo in
luce l’angolo sud-ovest, viene chiuso tamponando l’arco
a nord. Nell’ambiente così ricavato nel corso del II secolo si istalla un sacello dedicato a varie divinità di tradizione greca e orientale tra cui Diana, Meleagro,
Afrodite di Afrodisia, Dioniso, di cui si è ritrovata una
maschera, Iside e una testa maschile forse riferibile ad
Eracle. Le statuette delle divinità erano poste su un altare-bancone su arco ribassato con il piano in laterizio
che sta sopra una vaschetta foderata di cocciopesto e delimitata da un cordolo. Nell’angolo ovest una caditoia
nel pavimento permetteva lo scolo dell’acqua. Davanti,
due muretti che lasciano un’apertura centrale davanti all’altare, provvista di soglia, forse in marmo. Davanti all’apertura rimane, nel pavimento, la traccia di un podio
quadrangolare forse in cocciopesto intonacato, con funzione di altare, oppure la traccia documenta l’eventuale
l’alloggiamento di un’ara marmorea (fig. 7). Sulla parete est dell’ambiente tracce di una nicchia intonacata
che forse ne aveva una corrispondente sulla parete opposta. Come l’ambiente della fullonica, infatti, anche il
sacello, una volta in disuso, è ancora frequentato nella
seconda metà del VI-inizi del VII secolo. Nello strato di
abbandono, di questa fase, sono state rinvenute presso
l’altare le statuette delle divinità che evidentemente ancora erano abbandonate nell’area. E a questa fase tardoantica appartiene la sistemazione dei capitelli e del
frammento di travertino posti come piani d’appoggio vicino a focolari, di cui si vedono le tracce annerite sui
muri, forse per cucinare e, soprattutto, per le attività metallurgiche da connettersi con la vicina officina (fig. 8).
Sono state trovate, infatti, ossa di animali, frammenti di
vasellame da cucina e da dispensa, ma anche frammenti
di crogioli 11.
L’attività delle calcare
Tra la fine dell’VIII e gli inizi del IX secolo è documentata l’attività di una calcara all’interno dell’esedra, sul lato nord (fig. 5, A) 12. Sembra difficile
mettere in relazione tale attività di età carolingia con
gli impianti d’età moderna rinvenuti. L’attività dei calcarari è attestata nell’area in età moderna fino alla fine
8
9
131
11
12
Cfr. infra, pp. 00.
Cfr. MANACORDA 2001, pp. 49 ss.
Fig. 6. - Crypta Balbi. Pianta con l’indicazione delle calcare rinvenute: vedi anche tav. 00.
del XVI secolo. In particolare negli scavi sono state
rinvenute tracce della calcara databile già nel XV secolo da dove proviene un frammento marmoreo della
Forma urbis (fig. 5, 1) 13; la grande calcara sul lato est
del portico, vicinissima a quella altomedievale, datata
al 1579 e la calcara rinvenuta nelle cantine a nord del-
l’esedra: la calcara dei Polacchi (fig. 5, 3) a testimonianza dell’attività delle calcare nella zona detta appunto Calcarario.
13
Cfr. MANACORDA 2002, pp. 693-715.
L’ISOLATO DELLA CRYPTA BALBI
133
L’età medievale
Tracce di attività produttive legate alla metallurgia
sono documentate nell’area meridionale dell’esedra in
età medievale 14, mentre dagli scavi non si hanno tracce
per ora circa le attività produttive nel complesso attestate dai documenti d’archivio: la produzione delle funi
e dei panni 15.
(L.V.)
Le officine
Tra le varie strutture rinvenute negli scavi degli ultimi anni nell’area sud-est della Crypta Balbi, l’area produttiva appare tra le più interessanti e ricca di
implicazioni (fig. 9) 16. Quest’area si impianta nei due
ambienti più orientali del fronte nord del vicolo/cortile
pavimentato in basoli e in uno degli ambienti più orientali sinora indagati.
Nell’ambiente occidentale (figg. 10-11 e tav. 00), una
volta chiuse le porte che lo mettevano in comunicazione con la sala verso ovest e con il vicolo/cortile verso sud,
Cfr. SAGUÌ 1990b, pp. 60-61.
Cfr. MANACORDA 2001, p. 78, fig.88; pp. 81 ss.
16
I rilievi sono di Monica Cola, le foto si devono a Zeno
Colatoni, mentre i disegni sono di chi scrive.
14
15
Fig. 7. - Sacello a est della fullonica. Particolare dell’altare.
Fig. 8. - Sacello a est della fullonica durante lo scavo. Fase fine VI-inizi VII secolo.
134
LAURA VENDITTELLI - MARCO RICCI
alto circa cm 75. Il basamento, circolare
a est, nell’angolo sud-ovest si presenta rettilineo e crea un piano rivestito di malta che
prosegue sino al piano interno della struttura. Di questo, probabilmente in materiale
refrattario o in pietra resistente al calore rimane ben visibile l’impronta. Sul basamento poggia la volta circolare del diametro di circa cm 240 (fig. 12), realizzata
a corsi orizzontali con paramento interno
in laterizi e nucleo in materiale misto. Nel
basamento non erano previste aperture
mentre nella parte alta nella zona del pianetto nell’angolo sud-ovest si apriva la bocca principale di alimentazione e sulla
base dei confronti è molto probabile che
il pianetto fosse funzionale all’appoggio
dei mantici. Una o più probabilmente
due bocche piccole per il passaggio dei crogioli dovevano essere presenti nella parte frontale della volta e di una di esse semFig. 9. - Planimetria dell’area delle fornaci.
bra leggersi lo stipite orientale.
La fornace appare praticamente identica ad una illustrata nel libro di Vannuccio Biringuccio (fig. 13) 17 per la raffinazione dell’argento e appartiene alla
variegata tipologia dei forni a riverbero per
metalli. Dal testo del Biringuccio 18, sappiamo che per questi forni, restando fissi
gli elementi base, ogni costruttore variava i dettagli a seconda dei materiali e delle esigenze. Il forno sembrerebbe ad oggi
un unicum per dimensione e conservazione
per quest’epoca.
Nell’ambiente orientale (figg. 9, 14)
connesso e collegato al primo troviamo nell’angolo nord-ovest l’area di preparazione del combustibile individuata da lastre
di marmo e pietra collocate sulla pavimentazione e da evidenti resti di carbone
e ossa semicalcinate normalmente usate per
alzare il calore. Al centro dell’ambiente legFig. 10. - Sezione dell’area delle fornaci con ricostruzione del volume della fornace
grande.
germente spostata verso est è collocata una
struttura in pietra lavica con rincalzo alla
venne aperta o allargata la comunicazione verso est e venbase di laterizi e terra. Nell’angolo sud orientale delne costruita in tutta la parte settentrionale una grande forl’ambiente è attribuibile a questo allestimento una vanace circolare con basamento in opera listata abbastanschetta bassa pavimentata in bipedali probabilmente funza regolare a due corsi di laterizi alternati a uno di tufelli
17
BIRINGUCCIO 1540, carta 58r.
18
BIRINGUCCIO 1540, carte 55v-59r.
Fig. 11. - Vista della fornace grande.
Fig. 13. - Fornace dal Vannuccio Biringuccio.
Fig. 14. - Vista dell’ambiente della fornace piccola.
Fig. 12. - Sezione ricostruttiva della fornace grande.
zionale al raffreddamento di strumenti. Per quanto a prima vista la struttura in pietra (fig. 15) sembrerebbe una
macina riusata, essa non corrisponde ai tipi noti e manca del foro passante per il passaggio del grano, comunque sia appare chiaro che essa venne impiegata come forno per crogioli. Nella parte bassa presenta un’ampia bocca
arcuata e una serie di fori interpretabili come fori di inserimento per i mantici. Due fori, probabilmente con la
stessa funzione sono presenti anche nella parte alta più
rifinita internamente e con un grosso quadrello di ferro
al centro. Come detto essa è interpretabile come forno per
crogioli e corrisponde nei principi base ai vari tipi illustrati nel Vannuccio Biringuccio (fig. 16) 19.
Una terza area di lavorazione, con caratteristiche più
19
BIRINGUCCIO 1540, carte 105r-106v.
Fig. 15. - Viste della fornace in pietra lavica.
136
LAURA VENDITTELLI - MARCO RICCI
Fig. 17. - Tegame in ceramica da cucina con deformazioni e schizzi
di bronzo.
Fig. 16. - Tipi di piccole fornaci dal Vannuccio Biringuccio.
labili è stata individuata dell’ambiente precedentemente
occupato da un sacello di culto. All’interno dell’ambiente è stata individuata una zona nella quale furono
collocati due capitelli e altri elementi lapidei a creare
un’area di lavoro 20. In questa zona sono state rinvenute
varie scorie di lavorazione (fig. 20) oltre ad un frammento di pane di bronzo (figg. 23-24) all’interno di uno
20
Cfr. supra, pp. 00.
Fig. 18. - Olla in ceramica da cucina con deformazioni, reificazioni,
vetrificazioni e schizzi di bronzo.
strato caratterizzato da argilla in parte concotta, carboni, ossa animali, frammenti di crogioli e un notevole
numero di frammenti pertinenti ad almeno trenta contenitori in ceramica da cucina. Alcuni di questi presentano
sull’orlo deformazioni, zone greificate o vetrificate e
schizzi di metallo sulle pareti interne interpretabili come
segni di una ricottura parziale degli stessi (figg. 17-18).
Questo dettaglio appare interpretabile come un uso de-
L’ISOLATO DELLA CRYPTA BALBI
137
Fig. 19. - Colature di bronzo e scoria spugnosa.
Fig. 21. - Vista interna ed esterna di frammenti di
crogiolo.
Tra i materiali rinvenuti negli strati connessi alle strutture negli ambienti principali
spicca la presenza di gocce di fusione in
bronzo variabili dai 5 ai 50 grammi e di scorie (fig. 19), anche se in numero limitato,
ma va detto che il battuto dell’ambiente
della fornace grande è stato solo esposto e
non scavato. Un paio di gocce di vetro non
permettono di affermare che assieme ai metalli il grande forno venisse impiegato
anche per la lavorazione del vetro anche se
Fig. 20. - Colature di bronzo e sulla destra crogioli con scoria spugnosa.
rimane possibile. Rilevante è la presenza di
crogioli in ceramica refrattaria piuttosto
gli stessi o almeno di buona parte di essi come contenigrandi, tra i cm 10 e i 15 di diametro, con tracce di
tori impiegati per la fusione a catino di metalli scelti
bronzo (fig. 21) dei quali uno quasi intero realizzato al
molto probabilmente per la loro refrattarietà. Questo
tornio come gli altri ma con camicia interna plasmata
tipo di fusione illustrata da Vannuccio Biriguccio (fig.
a mano con un materiale refrattario più fine e spugnoso
16) avveniva posizionando il crogiolo all’interno di un
(fig. 22).
contenitore riempito di carbone che veniva portato ad
Particolare è un frammento di pane di bronzo del peso
alta temperatura con l’ausilio del mantice. La temperadi grammi 115 che presenta un listello rilevato, impronta
tura di fusione che superava i 1000 gradi portava ad una
di una scanalatura nella forma forse un segno di limite
ricottura dei vasi soprattutto nella zona dell’orlo. Quedel pane (fig. 15). Questa scanalatura permette di iposto sistema impiegato per la fusione di piccole quantità
tizzarne la ricostruzione (fig. 16) dalla quale si evince
di metallo permetteva un risparmio del carburante e apcome il pane circolare dovrebbe aver avuto la dimenpare ausiliario alle altre aree destinate alla fusione di
sione di circa un piede ed un peso tra i 4,5 e i 5 kg. corquantità di metallo più ingenti.
rispondente a 15 libbre circa. Un segno di trancia sul
138
LAURA VENDITTELLI - MARCO RICCI
Fig. 22. - Viste e sezione di un crogiolo con camicia esterna e scoria spugnosa.
Fig. 23. - Viste di un frammento di pane di bronzo.
Fig. 24. - Ricostruzione del pane di bronzo.
bordo è forse indice di aggiustamenti del
peso. Il pane ci dimostra come nell’officina
si lavorassero lingotti di metallo semilavorato oltre probabilmente a fondere rottami
di metallo. Un peso da bilancia in piombo
sembra anch’esso connesso all’attività dell’officina (fig. 25). Lamine e prodotti in lavorazione attestano oltre alla fusione la
laminatura, lo sbalzo e la battitura (fig. 26).
Tra i materiali finiti o in corso di lavorazione spicca una fibbia ben databile intorno alla metà del VI secolo (fig. 27) oltre
all’attestazione di spilli da acconciatura o
ferma mantello, un ago da cucito (fig. 28)
e un anello digitale in lamina con croce (fig.
29). La lavorazione dell’osso è attestata da
bambole (fig. 31), placchette, aghi, spargi
profumo (fig. 30), e un piccolo pendente a
forma di cinghiale (fig. 32).
Nel complesso gli ambienti sono chiaramente interpretabili come area di lavorazione a caldo di una più vasta officina che
doveva comprendere altri ambienti per le
altre lavorazioni. Date le dimensioni si
tratta comunque di un complesso produttivo con caratteristiche più da industria che
da bottega artigiana. L’allestimento degli
ambienti appare databile sulla base dei ma-
L’ISOLATO DELLA CRYPTA BALBI
139
Fig. 25. - Peso da bilancia in piombo.
Fig. 27. - Fibbia in bronzo.
Fig. 26. - Lamine e scarti di lavorazione in bronzo.
teriali intorno alla metà del VI secolo e la fine del loro
uso è da attribuire agli inizi del secolo successivo
quando il complesso in cui erano collocati, probabilmente precario dal punto di vista statico, venne abbandonato e demolito. Colpisce la totale mancanza di
strumenti di lavorazione oltre che di matrici o altro che
fosse reimpiegabile. Questo sembra indizio di come
l’officina si sia spostata in questo periodo forse nelle
immediate vicinanze dopo l’asportazione di tutto il materiale utile. Appare possibile che l’officina rinvenuta
altro non rappresenti che una prima sede del grande atelier i cui scarti sono stati rinvenuti a pochi metri di distanza gettati da edifici posti a pochi metri a nord di
questi 21. L’inizio dell’attività intorno alla metà del secolo spiegherebbe anche la presenza tra i materiali del
grande deposito rinvenuto nell’esedra di matrici e semilavorati di tipi collocabili cronologicamente nella seconda metà del VI secolo forse semplicemente spostati
dalla sede primitiva.
L’atelier nel suo insieme è comunque a tutt’oggi uno
dei più articolati centri per la produzione di merci di
lusso e la sua nascita ben si inquadra nella riorganizzazione generale conseguente alle guerre greco-gotiche
in un quartiere la cui vocazione produttiva almeno nella
prima età imperiale ci è documentata dalle fonti e in un
area nella quale in un periodo di pochi anni precedente
sono già attestati forni per la lavorazione del vetro 22.
21
22
Cfr. ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, pp. 331-428.
Cfr. intervento di L. Saguì in questo volume.
140
LAURA VENDITTELLI - MARCO RICCI
Fig. 28. - Spilli, spilloni e ago in bronzo.
Fig. 31. - Bambole in osso.
Fig. 29. - Anello digitale in lamina di bronzo.
Fig. 32. - Pendente a forma di cinghiale in osso.
Fig. 30. - Frammenti di oggetti in osso.
La produzione romana di queste merci si inserisce
appieno nel quadro generale delle produzioni della
prima età bizantina con varianti minime soprattutto di
decorazione rispetto a quanto veniva prodotto nei grandi
atelier di Costantinopoli e delle altre grandi città dell’impero 23.
23
Cfr. RICCI 2001a, pp. 79-87; RICCI 2012, pp. 1-16.
L’ISOLATO DELLA CRYPTA BALBI
Rimane da capire quanto l’atelier fosse autonomo o
sottoposto, come appare più probabile, al controllo di autorità delegate dall’impero bizantino a questa funzione.
La presenza di una qualche autorità di controllo è individuabile nelle bulle da documento rinvenute nei depositi
dell’esedra 24 e rimane come la più probabile l’ipotesi che
questa autorità fosse il monastero di San Lorenzo forse
demandato a questa funzione dall’autorità pontificia.
Se appare abbastanza certo dai materiali che le produzioni dell’atelier siano proseguite sino almeno alla
metà dell’VIII secolo dopo questo periodo esso sembra
non più operante e le tracce di attività produttive si fanno
più labili. Non si può escludere che i mutamenti politici
intervenuti tra la seconda metà dell’VIII secolo e gli inizi
del secolo successivo abbiano portato ad una riorganizzazione della produzione delle merci di lusso che passa
da grandi atelier concentrati e probabilmente controllati
dall’autorità a un sistema di piccole botteghe diffuse specializzate in pochi prodotti come sembra essere il caso
del gemmario del Vico Jugario 25. Nella area della Crypta
bisogna arrivare alla seconda metà del XII secolo per ritrovare nell’esedra antica grandi quantità di scarichi di
scorie testimonianza certa di attività di lavorazione del
bronzo di una certa entità le cui strutture dovevano trovarsi nelle sue adiacenze 26. Questi assieme a materiali
legati alla produzione di manufatti in metallo e osso rinvenuti negli strati tra XII e XIV secolo 27, oltre alle testimonianze di lavorazione del vetro 28 sembrerebbero
indicare per il basso medioevo una vocazione produttiva
del quartiere che si estendeva a nord e a sud della Crypta
forse da interpretare come evidenza di botteghe artigianali collocate ai margini dell’area del grande mercato alle
pendici del Campidoglio che caratterizzò questa zona della
città per gran parte del medioevo.
(M.R.)
24
Cfr. Sigilli e bolle in ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001,
pp. 257-265.
25
Cfr. Foro Romano - Vico Jugario in ARENA, DELOGU, PAROLI
et alii 2001, pp. 587-589.
141
Bibliografia
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001 = M.S. ARENA, P. DELOGU, L. PAROLI, M. RICCI, L. SAGUÌ, L. VENDITTELLI (a
cura di), Roma dall’Antichità al Medioevo. Archeologia
e storia nel Museo Nazionale Romano Crypta Balbi,
Roma 2001.
MANACORDA 2001 = D. MANACORDA, Crypta Balbi. Archeologia e storia di un paesaggio urbano, Milano 2001.
MANACORDA 2002 = D. MANACORDA, Un nuovo frammento
della Forma urbis e le calcare romane del Cinquecento
nell’area della Crypta Balbi, in MEFRA, 114, 2002, pp.
693-715.
RICCI 2001a = M. RICCI, La produzione di merci di lusso e
di prestigio a Roma da Giustiniano a Carlomagno, in
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, pp. 79-87.
RICCI 2001b = M. RICCI, Produzioni di lusso a Roma da Giustiniano I (527-565) a Giustiniano II (685-695): l’atelier
della Crypta Balbi e i materiali delle collezioni storiche,
in ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, pp. 331-428.
RICCI 2012 = M. RICCI, Rome-Byzantium Affinity and Difference in the Production of Luxury Goods, in B. BÖHLENDORF-ARSLAN, A. RICCI (a cura di), Byzantine small finds
in archaelogical context, in Byzas, 15, 2012, pp. 1-16.
SAGUÌ 1990a = L. SAGUÌ (a cura di), L’esedra della Crypta
Balbi nel medioevo (XI-XV secolo), Firenze 1990.
SAGUÌ 1990b = L. SAGUÌ, Lo scavo, in SAGUÌ 1990a, pp. 60
ss.
SAGUÌ 1993 = L. SAGUÌ, Crypta Balbi (Roma): conclusione
delle indagini archeologiche nell’esedra del monumento
romano. Relazione preliminare, in AMediev, 20, 1993, pp.
409-418.
SAGUÌ, MANACORDA 1995 = L. SAGUÌ, D. MANACORDA, L’esedra della Crypta Balbi e il Monastero di S. Lorenzo in
Pallacinis, in QuadAEI, 12, 1, 1995, pp. 121-134.
BIRINGUCCIO 1540 = V. BIRINGUCCIO, De la pirotecnia, Libri
X, Venezia 1540.
VENDITTELLI 2004 = L. VENDITTELLI, Roma dall’Antichità al
Medioevo, II. Contesti tardo antichi e altomedievali, Milano 2004.
VENDITTELLI 2014 = L. VENDITTELLI, Il quartiere antico a est
della Crypta Balbi, in L. VENDITTELLI (a cura di), Crypta
Balbi. Guida, Milano 2014, pp. 49-60.
Cfr. SAGUÌ 1990a, pp. 56-60, 603-604.
Vedi SAGUÌ 1990, pp. 53-552.
28
Cfr. l’intervento di L. Saguì in questo volume.
26
27
FORI IMPERIALI
TESTIMONIANZE DI ATTIVITÀ PRODUTTIVE MEDIEVALI
Roberto Meneghini
I grandi interventi di scavo realizzati nei Fori Imperiali dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali tra il 1991 e il 2008 hanno fornito un ricco repertorio
di nuovi dati riguardanti il Medioevo che costituiscono,
in certi casi, delle vere e proprie novità per questo periodo a Roma.
Seguendo un ordine cronologico incontriamo per
primo il contesto scavato nel templum Pacis che ci offre
la testimonianza di una occupazione dell’area centrale
scoperta del complesso, dall’inizio del IV secolo, da
parte di un agglomerato produttivo (figg. 1-3) 1.
L’interpretazione prevalente di tale agglomerato, ben
datato agli anni di Massenzio grazie alla presenza di un
grande numero di bipedali bollati nuovi, appena posti
in opera, è quella di un dislocamento degli horrea Piperitaria, dall’area ove questi erano precedentemente
insediati e che era stata occupata dalla basilica Nova,
al Foro della Pace.
Si tratta di piccoli edifici in muratura, in un caso muniti di vasche, nei quali si dovevano svolgere tutte le
operazioni di lavaggio, raffinazione, stoccaggio e non
sappiamo se anche di smercio delle spezie, che ebbero
una vita di circa due secoli dato che la loro obliterazione è databile stratigraficamente all’inizio del VI secolo. Le strutture distrussero gli euripi che decoravano
la piazza del Foro e vi si sovrapposero oltre a distribuirsi attorno a un’area centrale munita di fontana e pavimentata a bipedali (fig. 1).
Non doveva trattarsi di costruzioni sviluppate in elevato per più del pianterreno, vista l’assenza di fondazioni,
ma gli edifici utilitari recuperarono parte della decorazione
marmorea del templum Pacis, come le tegole marmoree
1
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007, pp. 115-117;
NEGHINI 2009, pp. 197-199; CORSARO 2014, p. 261. L’analisi
MEdell’agglomerato tardoantico è tuttora in corso a cura di Monica Ceci
che coprivano i tetti dei portici, fornendo la precisa indicazione di una precoce e consistente fase di destrutturazione di questi ultimi. A riprova dell’intervento di spoliazione e dello stato di degrado dei portici vi è la scoperta
di uno spesso strato di cocciopesto steso contemporaneamente alla fondazione dell’agglomerato in sostituzione
del pavimento marmoreo del portico occidentale. Questo accorgimento lascia pensare che anche qui dovevano ormai svolgersi attività analoghe a quelle che si effettuavano negli edifici di fortuna della piazza dove il ciclo
produttivo prevedeva un abbondante uso di acqua.
Non è stata ancora affrontata l’analisi dei rapporti
tra questo agglomerato, che mutò le funzioni della
piazza e dei portici del Foro, e le altre parti del complesso che erano certamente ancora in uso (l’aula di
culto, la bibliotheca Pacis, l’aula della Forma Urbis),
ma il suo aspetto non doveva discostarsi da quello di
molti altri mercati e opifici insediati all’interno di antichi complessi monumentali come quello nell’arena
dell’anfiteatro di Lucca dove ancora persisteva agli inizi
del Novecento (fig. 4) o come un altro che si inserì, sempre nel IV-V secolo d.C., all’interno del cortile degli horrea Agrippiana presso S. Teodoro 2.
È certo che quando Costanzo II si recò a Roma, nel
357 d.C., fu accompagnato, come ci dice Ammiano
Marcellino, in visita presso i maggiori monumenti della
città tra i quali vi era anche il templum Pacis, ormai
detto forum Pacis forse proprio a causa della sua nuova
identità commerciale 3.
È difficile per noi immaginare quanto potesse allora
risultare singolare la commistione fra le casupole che
avevano invaso la piazza e i portici e la monumentalità
e Riccardo Santangeli Valenzani.
2
ASTOLFI, GUIDOBALDI, PRONTI 1978.
3
Amm. Marc. Rer. Gest. XVI, 10, 14.
Fig. 1. - Templum Pacis. Scavi 1998-2000. Planimetria di fine scavo. Area B. In grigio scuro sono evidenziate le strutture relative all’agglomerato produttivo di età massenziana (disegno e rilievo Coop. Arkaia con modifiche dell’AUTORE).
del luogo che era ancora tanto forte da impressionare il
sovrano in visita.
Questo del Foro della Pace è comunque il primo
caso documentato di un cambiamento radicale di funzioni almeno di un settore di uno dei Fori Imperiali:
da complessi monumentali dedicati perlopiù all’amministrazione della giustizia e all’auto-celebrazione
delle famiglie imperiali e della loro politica a sede di
attività produttive.
Mentre l’opificio del Foro della Pace era in funzione
ormai da un secolo e mezzo anche in quello di Cesare
compaiono tracce di attività produttive intorno alla
metà del V. Gli scavi recenti hanno, infatti, evidenziato
la presenza, nella taberna XI, di una fornace metallurgica che risulta attiva proprio negli anni centrali di
quel secolo e che era forse affiancata da una officina per
la lavorazione dell’osso della quale sono stati trovati gli
Fig. 2. - Templum Pacis. Scavi 1998-2000. Ambiente semisotterraneo di età massenziana (Archivio Ufficio Fori Imperiali).
FORI IMPERIALI. TESTIMONIANZE DI ATTIVITÀ PRODUTTIVE MEDIEVALI
145
scarti nella adiacente taberna
X (figg. 5-6 e tav. 00) 4.
Anche in questo caso, analogamente al Foro della Pace,
deve probabilmente ancora essere affrontato il problema del
rapporto tra queste attività produttive e le strutture ufficiali
forse ancora funzionanti nel
Foro di Cesare come il Secretarium Senatus, istituito alla fine
del IV secolo da Virio Nicomaco
Flaviano il Giovane e che la tradizione degli studi colloca nella
vicina taberna XV o come la
stessa Curia Senatus i cui accessi si trovavano in fondo al
portico sul quale tutti questi ambienti si aprivano (fig. 5).
Non vi sono d’altra parte
tracce di una consistente attività
Fig. 3. - Templum Pacis. Veduta ricostruttiva dell’agglomerato produttivo di età massenziana indi spoliazione del Foro prima
sediato nell’area centrale, scoperta del complesso (R. Meneghini/Inklink).
dell’VIII secolo 5 e nulla osta
dunque alla possibilità di una effettiva, benché per noi singolare,
convivenza tra le officine, il senato e il tribunale della quale ci
sfuggono però le modalità di attuazione.
Poco tempo dopo, alla fine
del V o all’inizio del VI secolo,
comincia il capitolo delle massicce demolizioni dei diversi
edifici che compongono i Fori a
partire dal Tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto.
Qui infatti un aristocratico di
nome Decio, probabilmente Cecina Mavorzio Basilio Decio,
console nel 486, praefectus urbi
e al pretorio citato da Cassiodoro come ancora pienamente
Fig. 4. - Lucca. Veduta degli inizi del XX secolo con il mercato che occupava l’area dell’arena
attivo nel 510, realizza la dedell’antico anfiteatro.
strutturazione della peristasi e,
forse, anche dell’elevato della cella e appone la sua
firma, incisa sulla superficie di appoggio di un rocchio
4
CORSARO, DELFINO, DE LUCA et alii 2013; DELFINO, DE
LUCA, MINNITI et alii 2013.
di colonna, sotto forma di una breve iscrizione di pro5
MENEGHINI 2010, in particolare vd. p. 511.
prietà con il suo nome al genitivo: pat(rici) Deci (fig. 7) 6.
6
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 1996, pp. 78-81; MENEÈ possibile che il materiale da costruzione, ottenuto
GHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004, pp. 170-180; MENEGHINI, SANdalla demolizione dell’edificio e considerato di proTANGELI VALENZANI 2007, p. 118; MENEGHINI 2009, p. 197.
146
ROBERTO MENEGHINI
razza Domizianea, oggi meglio
nota come Casa dei Cavalieri di
Malta, è stata individuata e scavata, nel 1997, una calcara realizzata tagliando il pavimento
romano e la fogna sottostante i
cui tratti contrapposti vennero
utilizzati come praefurnia 7. Per
il Foro di Traiano non si tratta
ancora della demolizione definitiva ma la presenza della calcara mostra il sicuro inizio della
spoliazione limitata, per il momento, ad alcune parti della decorazione
marmorea
che
vengono utilizzate per la trasformazione in calce.
Forse l’intera questione della
demolizione delle fabbriche dei
Fori Imperiali finalizzata al reFig. 5. - Foro di Cesare. Planimetria generale ricostruttiva del monumento dopo il rifacimento di
età tetrarchica. Le tabernae X-XI, sul fondo del portico occidentale, sono quelle recentemente scacupero dei materiali da costruvate. Nella taberna XV si colloca tradizionalmente il Secretarium Senatus (R. Meneghini).
zione deve essere esaminata da
un punto di vista più generale
poiché costituì, probabilmente,
la maggiore e più consistente attività produttiva che per l’intero
Medioevo si svolse in quest’area. Essa, infatti, implicava
la partecipazione di una manodopera quanto mai variegata per
la fornitura del prodotto finito
che era diversificato poiché si
poteva trattare di calce, di laterizi da reimpiegare o di marmi
colorati da riutilizzare per pavimenti pregiati o di metalli come
il ferro, il bronzo e il piombo,
derivati dalle grappe di giunzione tra i blocchi di marmo,
tufo e travertino, a loro volta
Fig. 6. - Foro di Cesare. Taberna XI. Pianta di scavo con la fornace metallurgica attiva intorno alla
oggetto di spoliazione e riuso.
metà del V secolo d.C. (disegno e rilievo P. Specchio, L. Volpe, V. Di Cola).
Ognuna di queste categorie
prietà della massima autorità cittadina, sia stato inviato
di materiali prevedeva l’intervento di operatori più o
a Ravenna per i cantieri teodericiani mentre il tempio
meno specializzati senza contare la ricaduta di tale atperse il suo elevato e quando nel IX o X secolo vi si
tività su quello che oggi chiameremmo ‘indotto’.
insediarono i monaci basiliani il suo aspetto non doveva
Per completare il ciclo produttivo, infatti, oltre ai
differire molto da quello odierno (fig. 8).
semplici cavatori, doveva necessariamente esservi il
Tra la fine del VII e l’inizio dell’VIII secolo si incontra una nuova testimonianza di questa attività di
spoliazione anche negli ambienti meridionali del Foro
7
di Traiano dove, in una sala absidata alla base della TerMENEGHINI 1998.
FORI IMPERIALI. TESTIMONIANZE DI ATTIVITÀ PRODUTTIVE MEDIEVALI
147
concorso di numerose altre figure come: calcarari, marmorari,
tagliapietre, fonditori e carrettieri.
Ma si tratta di un’attività che,
in definitiva, ha coinvolto l’intera Roma per tutto il Medioevo
durante il quale essa si è come
autoalimentata, sotto il segno del
riuso, sfruttando quella vera e
propria ‘cava’ di materiali da costruzione che era la città dell’età
classica.
D’ora in poi, nell’area dei
Fori, comincia la massiccia e sistematica demolizione di ampi
settori dei diversi complessi a
partire dal Foro di Cesare nel
quale, dall’inizio dell’VIII se- Fig. 7. - Foro di Augusto. Veduta aerea con individuazione del rocchio di colonna sul quale è incolo, viene asportata una larga cisa l’iscrizione del patricius Decius (foto VVFF di Roma; elaborazione R. Meneghini).
parte della pavimentazione in
travertino dell’area centrale scoperta. Non si tratta di una
spoliazione totale e nella zona privata del lastricato sorge
un’area coltivata che si evolve da orto a frutteto e vigna
e che, nel X secolo, viene sostituita da un agglomerato
di domus terrinee 8.
Di particolare interesse è la produzione agricola di
questo non piccolo appezzamento, rimesso in luce per
circa m2 1000 e che nel suo periodo di maggiore attività può essere arrivato a fornire derrate sufficienti per
l’alimentazione di una comunità di alcune decine di persone le quali potevano corrispondere agli assistiti o al
personale della diaconia di S. Adriano in Tribus Fatis,
insediata nella adiacente curia Senatus almeno a partire dall’VIII secolo.
Il IX secolo vede un incremento dell’attività di spoliazione sui Fori con la completa rimozione del lastricato del Foro di Traiano e di quello di Augusto.
La piazza del complesso traianeo, in particolare, ha
mostrato tracce di interventi di restauro, realizzati fino
alla prima metà del IX secolo, sotto forma di acciottolati battuti per colmare le lacune fra le lastre del pavimento ormai in opera da più di sette secoli.
Alla metà o all’inizio della seconda metà dello stesso
Fig. 8. - Foro di Augusto. Veduta ricostruttiva del monastero di S.
Basilio e del tempio di Marte Ultore nel X secolo (R. Meneghini,
secolo è invece databile la totale asportazione del lastriR. Santangeli Valenzani/Inklink).
cato costituito da più di tremila lastroni di marmo bianco
lunense per un volume complessivo di circa m3 1300.
La repentina spoliazione della pavimentazione del
Foro di Traiano può aver fornito più di m3 780 ovvero
8
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004, pp. 45-46, 127-129,
1900 tonnellate di calce, dopo la cottura nelle calcare,
178-179; MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007, pp. 144-150.
148
ROBERTO MENEGHINI
mati, probabilmente in tondi pavimentali e in blocchi squadrati
pronti per il taglio, mediante la
scalpellatura delle alette delle
scanalature che sono state ritrovate in gran numero (fig. 9,
B) 13.
Da allora in poi l’area dell’antico templum Pacis venne
convertita, almeno in uno degli
ampi settori scavati, in un vasto
campo coltivato mediante il riporto di un migliaio di m3 di
terra, arginato da un muro in
opera quadrata con blocchi proFig. 9. - A: nuovi frammenti della Forma Urbis severiana rinvenuti negli scavi recenti del temvenienti anch’essi da attività di
plum Pacis. B: alette scalpellate di scanalature di pilastri o colonne da 50 piedi romani rinvenute
spoliazione 14.
negli scavi (R. Meneghini).
Per tutto il basso Medioevo
tenendo conto di un decadimento medio del materiale
l’area dei Fori rimase poi sepolta sotto potenti interri sui
di partenza di circa il 40%.
quali si stabilirono i grandi orti di S. Basilio, di S.
È stato già notato come questa quantità di legante
Adriano, di S. Urbano e dei SS. Cosma e Damiano con
sia decisamente fuori misura e da collegare forse con
due sole isole di abitato corrispondenti agli antichi Fori
una impresa edilizia di grande portata come la costrudi Traiano e di Nerva, ben visibile quest’ultimo nel cezione delle mura della civitas Leoniana avviata proprio
lebre panorama quattrocentesco del Codex Escurialenin quegli anni da papa Leone IV, tra l’847 e l’855 9.
sis (fig. 10).
Anche nel Foro di Augusto, forse in questi stessi anni
La vera e propria isola di case, con fortificazioni fae comunque sino al X secolo, viene asportato il lastricenti capo alla Torre dei Conti, nacque nel IX secolo
cato, almeno nella porzione della piazza scavata fra il
come raggruppamento di abitazioni aristocratiche e
2004 e il 2006, e ci si può forse domandare se anche
verso la fine del medioevo fu detta fundicus macellotale destrutturazione non sia da collegare alla precerum de Archanoè a causa della presenza di botteghe pardente 10.
zialmente adibite allo spaccio di carni 15.
Nel Foro della Pace, sempre nel IX secolo, si imGli scavi recenti hanno permesso di recuperare le
pianta un cantiere di demolizione e recupero dei matetracce di questa attività sotto forma di grandi quantità
riali marmorei la cui presenza era già stata ipotizzata
di ossa, ove predominano quelle di cavallo, con evidenti
da Santangeli Valenzani sulla base dello studio dei framsegni di macellazione, scaricate all’interno di grandi
11
menti della Forma Urbis ritrovati di recente . In effosse scavate nelle aree adiacenti alle case 16.
fetti, come sembrano dimostrare anche gli ulteriori
Tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento,
nuovi esemplari della pianta marmorea da poco reculungo il limite meridionale dell’abitato sul Foro di Traperati negli scavi, risulta evidente la loro trasformazione
iano, sorsero alcune botteghe di vasai che finora ci erano
12
in laterizi triangolari o sub-triangolari (fig. 9, A) .
note solo attraverso le fonti notarili e la cui presenza è
Anche le grandi colonne e i pilastri d’anta da 50
stata individuata grazie alle ricerche archivistiche di Paolo
piedi romani, scanalati e pertinenti alla fila interna della
Güll 17. Doveva trattarsi di due o forse tre laboratori che,
facciata dell’aula di culto di Pax, furono allora trasfornon a caso, si erano posizionati lungo il margine del quar-
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004, p. 183.
10
I segni dell’asportazione delle lastre di pavimentazione della
piazza del Foro di Augusto erano tutti sigillati da strati databili nell’ambito del X secolo, vedi MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI
2010, pp. 144 ss.
11
SANTANGELI VALENZANI 2006.
9
12
13
14
15
16
17
MENEGHINI 2014.
COLETTA, MAISTO 2014, in particolare vd. pp. 309-310.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004, pp. 211-212.
LANCIANI 1901, pp. 31-42.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007, pp. 138-139.
GÜLL 2003, pp. 62-63.
Fig. 10. - Veduta del settore meridionale dei Fori Imperiali, alla fine del secolo XV, dal Codex Escurialensis. Al centro dell’immagine e verso
destra è visibile il nucleo di abitato insediato lungo l’area dell’antico Foro di Nerva.
Fig. 11. - Area del Foro di Traiano. Scavi 1998-2000. Planimetria generale dell’isolato con il convento e chiesa di S. Urbano. In nero: le strutture dell’originario edificio duecentesco. In grigio: le strutture relative
alle case con bottega di un vasaio della fine del XV-inizi del XVI secolo obliterate dal giardino XX. Al tratto: murature del convento seicentesco di S. Urbano. F = fornace per maioliche ricavata all’interno di
una precedente fornace circolare.
tiere, confinante con gli orti di S. Basilio e di S. Urbano,
poiché quella del vasaio era considerata una professione
altamente inquinante tanto che alcune attività legate al
ciclo produttivo andavano svolte a una certa distanza dall’abitato, come l’incenerimento della feccia necessaria alla
composizione del marzacotto, i cui fumi erano talmente
mefitici che, stando a Cipriano Piccolpasso, potevano far:
« […] spregniare le donne gravide […] » 18.
Le indagini archeologiche recenti hanno permesso
di recuperare resti consistenti di una di queste officine,
sepolti sotto il seicentesco giardino del convento di S.
Urbano, sotto forma di due abitazioni bassomedievali
rase al suolo una delle quali doveva fungere da laboratorio ed era munita di una fornace per la cottura delle
maioliche ricavata, tra la fine del XV e l’inizio del XVI
secolo, all’interno di un precedente forno circolare risalente al pieno XV (fig. 11) 19.
18
19
PICCOLPASSO 1857, II, p. 00.
MENEGHINI 1999; MENEGHINI 2009, pp. 231-236.
150
ROBERTO MENEGHINI
Gli scavi hanno evidenziato anche la presenza, nel
complesso produttivo, di una base per tornio e di un deposito di argilla già sgrassata e pronta all’uso.
Grazie ai documenti d’archivio è stato possibile
anche dare un nome all’artigiano che conduceva l’atelier e che si chiamava Giovanni Boni, immigrato a
Roma dalla lontana Brescia, forse verso il 1480, e morto
in urbe intorno al 1520.
Il ritrovamento di due grandi ‘butti’ di maioliche, databili agli ultimi anni del Quattrocento e ai primissimi
del Cinquecento, si connette all’attività di questo vasaio e degli altri che si trovavano nell’area e ci offre un
panorama pressoché completo delle produzioni ceramiche romane di questo periodo a cavallo tra il Medioevo e il Rinascimento 20. Si tratta di maioliche a
diversi stadi di lavorazione, per una tonnellata circa, che
non contribuiscono solo a chiarire le varie fasi del ciclo
produttivo ma aprono anche una inattesa finestra sulle
attività quotidiane dell’atelier.
Sui frammenti di biscotto appaiono, infatti, gli
schizzi dei pittori di bottega con un repertorio di immagini che va oltre quello ufficiale.
Al posto della carta qui si utilizzava il biscotto, per
delineare rapidi ma incisivi ritratti dei compagni di lavoro 21 o per tracciare inventari ‘figurati’ dei recipienti
prodotti 22, e l’argilla fresca delle forme appena tornite
per incidere computi e cifre 23.
In un’epoca in cui non esisteva la riproducibilità tecnica delle immagini e degli oggetti l’unico modo per
fissare per sempre la figura di un animaletto o di una
moneta era, per i nostri vasai, quello di utilizzare l’argilla come risulta dai calchi del corpicino di una lucertola 24 e di una medaglia di Maddalena Gonzaga 25.
Gli scavi hanno anche mostrato l’altissimo grado di
inquinamento prodotto da queste botteghe, non tanto dal
punto di vista dei fumi emessi quanto da quello della
indistruttibilità e non degradabilità degli scarti prodotti.
Frammenti di biscotto e di maioliche mal cotte sono,
infatti, stati ritrovati pressoché ovunque, a migliaia,
nelle sequenze stratigrafiche post-quattro e cinquecentesche e uno dei due butti, quello più antico, era costituito dal riempimento di un profondo scavo fatto per
MENEGHINI 1999; MENEGHINI 2006.
MENEGHINI 2001, tav. VIII a.
22
MENEGHINI 2009, fig. 317, p. 236.
23
MENEGHINI 2006, fig.11, p. 136.
24
MENEGHINI 2006, fig.10, p. 136.
25
MENEGHINI 2006, fig.15, p. 138.
26
MENEGHINI 2006, p. 137.
27
MAZZUCATO 1986.
20
21
sottofondare lo spigolo orientale dell’edificio di S. Urbano 26.
Gli scarti di fabbricazione di un vasaio invadevano
dunque letteralmente lo spazio circostante e per liberarsene, almeno in parte, bisognava addirittura seppellirli.
Con l’urbanizzazione dell’area dei Fori Imperiali, voluta e realizzata dal cardinale Michele Bonelli, e la nascita del quartiere Alessandrino, alla fine del
Cinquecento, i vasai furono costretti a spostarsi ancora
ai limiti dell’abitato che ora si trovava presso la torre
dei Conti. Qui continuarono a produrre sino all’inizio
del Seicento, come dimostrano gli scavi realizzati nella
zona di Largo Corrado Ricci negli anni Ottanta dello
scorso secolo 27.
Il resto è storia recente e riguarda le vicende moderne del quartiere demolito nel 1932 per l’apertura di
via dell’Impero.
Bibliografia
AA.VV. 1986 = AA. VV., Archeologia nel Centro
Storico. Apporti antichi e moderni di arte e cultura dal Foro della Pace, Roma 1986.
ASTOLFI, GUIDOBALDI, PRONTI 1978 = F. ASTOLFI,
F. GUIDOBALDI, A. PRONTI, Horrea Agrippiana,
in ArchCl, 30, 1978, pp. 31-106.
CECI 2013 = M. CECI (a cura di), Contesti ceramici
dai Fori Imperiali, Oxford 2013 (BAR 2455).
COLETTA, MAISTO 2014 = A. COLETTA, P. MAISTO,
Il settore meridionale del templum Pacis, in MENEGHINI, REA 2014, pp. 307-312.
CORSARO 2014 = A. CORSARO, Gli scavi della Sovrintendenza Capitolina (1998-2000 e 20042006): il settore nord-occidentale del templum
Pacis, in MENEGHINI, REA 2014, pp. 258-266.
CORSARO, DELFINO, DE LUCA et alii 2013 = A.
CORSARO, A. DELFINO, I. DE LUCA, R. MENEGHINI, Nuovi dati archeologici per la storia del
Foro di Cesare tra la fine del IV e la metà del
V secolo, in LIPPS, MACHADO, VON RUMMEL
2013, pp. 123-136.
DELFINO, DE LUCA, MINNITI et alii 2013 = A. DELFINO, I. DE LUCA, C. MINNITI, M. MUNZI, S. ZAMPINI, Lo scavo di una fornace metallurgica nella
taberna XI del Foro di Cesare (con appendice
di A. Pernella, U. Santamaria, M. Munzi), in
CECI 2013, pp. 93-127.
GÜLL 2003 = P. GÜLL, L’industrie du quotidien: production et consommation de la céramique à
Rome entre XIV et XVI siècle, Roma 2003.
FORI IMPERIALI. TESTIMONIANZE DI ATTIVITÀ PRODUTTIVE MEDIEVALI
LANCIANI 1901 = R. LANCIANI, Le escavazioni del
Foro, in BCom, 29, 1901, pp. 20-51.
LIPPS, MACHADO, VON RUMMEL 2013 = J. LIPPS,
C. MACHADO, PH. VON RUMMEL (a cura di), The
Sack of Rome in 410 AD. The Event, Its Context and Its Impact, Wiesbaden 2013 (Palilia,
28).
MAZZUCATO 1986 = O. MAZZUCATO, La bottega di
un vasaio della fine del XVI secolo, in AA.VV.
1986, pp. 88-150.
MENEGHINI 1998 = R. MENEGHINI, Roma. Nuovi dati
sul medioevo al Foro e ai Mercati di Traiano,
in AMediev, 25, 1998, pp. 127-141.
MENEGHINI 1999 = R. MENEGHINI, Roma – Interventi per il Giubileo del 2000. Scavo del monastero di S. Urbano al Foro di Traiano, in
AMediev, 26, 1999, pp. 43-66.
MENEGHINI 2001 = R. MENEGHINI, Il Foro di Traiano nel medioevo, in MEFRM, 113, 2001, pp.
149-172.
MENEGHINI 2006 = R. MENEGHINI, L’attività delle
officine ceramiche nell’area del Foro di Traiano,
fra il XV e il XVI secolo, attraverso i dati archeologici più recenti, in MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2006b, pp. 127-143.
MENEGHINI 2009 = R. MENEGHINI, I Fori Imperiali
e i Mercati di Traiano. Storia e descrizione dei
monumenti alla luce degli studi e degli scavi recenti, Roma 2009.
MENEGHINI 2010 = R. MENEGHINI, La trasformazione dello spazio architettonico del Foro di Cesare nella tarda antichità, in Palilia, 16, 2010,
pp. 503-512.
MENEGHINI 2014 = R. MENEGHINI, La Forma Urbis
severiana. Storia e nuove scoperte, in MENEGHINI, REA 2014, pp. 327-336.
MENEGHINI, REA 2014 = R. MENEGHINI, R. REA (a
151
cura di), La biblioteca infinita. I luoghi del sapere nel mondo antico, Milano 2014.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 1996 = R. MENEGHINI, R. SANTANGELI VALENZANI, Episodi di
trasformazione del paesaggio urbano nella
Roma altomedievale attraverso l’analisi di due
contesti: un isolato in piazza dei Cinquecento e
l’area dei Fori Imperiali, in AMediev, 23, 1996,
pp. 53-99.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004 = R. MENEGHINI, R. SANTANGELI VALENZANI, Roma nell’altomedioevo. Topografia e urbanistica della
città dal V al X secolo, Roma 2004.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2006a = R.
MENEGHINI, R. SANTANGELI VALENZANI (a cura
di), Formae Urbis Romae. Nuovi frammenti di
piante marmoree dallo scavo dei Fori Imperiali, Roma 2006.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2006b = R.
MENEGHINI, R. SANTANGELI VALENZANI (a cura
di), Roma. Lo scavo dei Fori Imperiali 19952000. I contesti ceramici, Roma 2006.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007 = R. MENEGHINI, R. SANTANGELI VALENZANI, I Fori Imperiali. Gli scavi del Comune di Roma
(1991-2007), Roma 2007.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2010 = R. MENEGHINI, R. SANTANGELI VALENZANI (a cura di),
Scavi dei Fori Imperiali. Il Foro di Augusto L’area centrale, Roma 2010.
PICCOLPASSO 1857 = C. PICCOLPASSO, Li tre libri
dell’arte del vasaio, Roma 1857.
SANTANGELI VALENZANI 2006 = R. SANTANGELI VALENZANI, Distruzione e dispersione della Forma
Urbis severiana alla luce dei dati archeologici,
in MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2006a,
pp. 53-59.
PASSEGGIANDO NELLA PRODUZIONE:
UN EXCURSUS DIACRONICO (VI-XIV SECOLO) ATTRAVERSO GLI INDICATORI
DELLA PRODUZIONE, PROVENIENTI DAGLI SCAVI DELLA METRO C
(PIAZZA VENEZIA, PIAZZA MADONNA DI LORETO, VIA CESARE BATTISTI)
Mirella Serlorenzi, Giovanni Ricci
Premessa
Le indagini archeologiche condotte in occasione della
progettazione della nuova linea C della metropolitana di
Roma rappresentano per chi voglia approfondire alcune
tematiche legate all’archeologia della produzione, un
osservatorio per certi versi privilegiato. È stato infatti
possibile investigare in profondità ampi settori della città
e del suburbio 1. Ciò ha consentito di recuperare sequenze stratigrafiche di lungo periodo con cui difficilmente si ha l’opportunità di confrontarsi se non in ambito
urbano. La mancanza di fondi e le difficoltà pratiche di
interventi nel cuore della città hanno in questi ultimi anni
fortemente condizionato la ricerca archeologica, limitandone sensibilmente la reale potenzialità di espressione.
Sempre più rari sono, infatti, gli scavi che interessano
superfici arealmente consistenti ed in cui è possibile
analizzare l’intero sviluppo della stratificazione. Cantieri
come la Crypta Balbi, la Meta Sudans o le pendici settentrionali del Palatino, solo per citare gli esempi più importanti, sarebbero oggi impossibili da realizzare con
denaro pubblico precludendo dunque alla ricerca di continuare a crescere. La quotidianità è invece rappresentata dai cosiddetti ‘scavi di emergenza’: interventi che,
pur producendo una straordinaria messe di dati per altro
poco standardizzati, sono indotti da esigenze tutt’altro
che archeologiche 2. Si tratta infatti di indagini frutto di
attività connesse a nuove pianificazioni urbanistiche e
quindi fortemente condizionate per ciò che concerne
forma e dimensioni dello scavo. In varie situazioni tuttavia gli scavi legati alla nuova metropolitana di Roma,
pur rientrando nella categoria degli scavi preventivi,
hanno costituito un’eccezione sulle modalità dello svolgimento delle indagini. La straordinarietà dei ritrovamenti
ha imposto, infatti, un sensibile allargamento dell’area
di intervento trasformandoli in veri e propri cantieri
scientifici ove si è riusciti a conciliare la crescita della
città moderna con la conoscenza del sottosuolo. Il considerevole ingombro delle stazioni e l’elevato numero
dei pozzi di ventilazione, nonché la necessità di raggiungere quote di imposta collocate all’interno della
stratificazione geologica, hanno reso possibile investigare l’intera sequenza archeologica.
I diversi cantieri qui presi in esame hanno pertanto
restituito interessanti spaccati diacronici non solo per
l’argomento trattato in questa sede ma anche, più in generale, per ciò che concerne l’evoluzione della città.
Relativamente al tema del convegno si è scelto di
presentare, sistemati in ordine cronologico, i dati sugli
indicatori della produzione rinvenuti nei cantieri di
piazza Venezia, piazza della Madonna di Loreto e via
Cesare Battisti (fig. 1). Il periodo interessato è compreso
tra VI e XIV secolo, con uno iato tra la seconda metà
del IX e l’XI secolo: periodo per il quale non si hanno
evidenze di carattere specificatamente produttivo, ad eccezione delle attività di ruberia volte al recupero di materiale da costruzione. All’interno di questa ampia
tornata temporale si cercherà di porre in risalto i caratteri distintivi che di volta in volta vengono a contrassegnare le attività produttive qui di seguito descritte,
prestando particolare attenzione al contesto in cui si collocano, alla loro finalità e, laddove possibile, all’orga-
1
Per le prime notizie sugli scavi legati alla Metro C cfr. EGIDI,
FILIPPI, MARTONE 2010.
2
Proprio per questa ragione Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma
ha avviato a partire dal 2007 un webgis che ha la finalità principale
di omogeneizzare i dati della ricerca archeologica e renderli disponibili in rete, si veda in proposito SERLORENZI 2011 e SERLORENZI,
JOVINE 2013.
154
MIRELLA SERLORENZI - GIOVANNI RICCI
terne parallele, sono state documentate alcune fornaci volte alla
produzione di oggetti (semilavorati e prodotti finiti) in lega di
rame (fig. 2) 4. Particolarmente
ben conservato è l’impianto messo in luce nell’ambiente 4. L’installazione occupa la metà occidentale del vano, corrispondente
allo spazio collocato in prossimità
dell’ingresso aperto sulla viabilità principale. Nell’ambito dell’attività dell’officina è stato possibile riconoscere due distinte fasi
di utilizzo tra loro stratigraficamente separate. Ad un primo
momento appartengono quattro
fosse circolari realizzate all’interno di un contesto stratigrafico
caratterizzato in superficie da
una notevole dispersione di frammenti metallici in ferro e lega di
rame, unitamente ad una discreta quantità di reperti ossei animali
(fig. 2, A). Le fosse hanno dimensioni estremamente contenute (diametro compreso tra cm
30 e 50, profondità entro cm 30),
Fig. 1. - Posizionamento delle aree di indagine su Google Maps (elaborazione S. PICCIOLA).
pareti dal profilo verticale con
nizzazione del lavoro che esse sottendono. Trattandosi
evidenti tracce di esposizione al calore e fondo sia concavo
di evidenze già ampiamente analizzate nel dettaglio in
che piano. Alcuni elementi interni consentono di riconoprecedenti contributi 3, ci si limiterà in questa sede a tratscere in almeno due di esse esemplari di fornaci del tipo
teggiarne sommariamente gli aspetti stratigrafici apbasso fuoco a pozzetto. Entrambe le cavità hanno il fonprofondendo, invece, il tema di questo convegno.
do caratterizzato da un’accesa colorazione verdastra, residuo della deposizione del minerale di rame avvenuta durante le fasi di cottura. La presenza inoltre di due piccoli
VI-inizi VIII secolo: gli impianti metallurgici di piazza
fori circolari (diametro cm 10) in prossimità di una delle
Venezia e piazza della Madonna di Loreto
pareti potrebbe forse attenere al sistema di ventilazione adoperato. Caratteristiche morfologiche differenti presenta inRiferibili a questo periodo sono i contesti legati ad
vece la terza fossa posta in prossimità della parete settenattività metallurgiche messi in luce in due aree di rintrionale del vano. In questo caso l’incisione si caratterizza
venimento riguardanti i cantieri di piazza Venezia e
per l’assenza del foro per l’alloggiamento del sostegno del
piazza della Madonna di Loreto.
mantice e per la maggiore profondità di una parte del fonA piazza Venezia, in due tabernae che compongono pardo. Simili connotati, unitamente all’elevato grado di vete di un più ampio isolato di II-III sec d.C., situato in aftrificazione delle pareti, hanno fatto supporre che l’invafaccio sulla via Flaminia ed organizzato su percorrenze inso fosse destinato a ricevere il minerale ormai fluidificato 5.
3
SERLORENZI, SAGUÌ 2008, pp. 175-198; SERLORENZI 2010, pp.
131-164; SERLORENZI c.s.; SERLORENZI, EGIDI 2013, pp. 1-218.
4
Lo scavo dell’officina di piazza Venezia è stato coordinato da
Carla Ninel Pischedda della Cooperativa Parsifal. Per la puntuale
descrizione del contesto stratigrafico si vedano: FAILLI, PISCHEDDA
2008, pp. 182-184; PISCHEDDA 2010; SERLORENZI 2010, pp. 133-139;
SERLORENZI 2013, pp. 74-81.
5
MANNONI, GIANNICHEDDA 1996, fig. 40, p. 182.
UN EXCURSUS DIACRONICO (VI-XIV SEC.) ATTRAVERSO GLI INDICATORI DELLA PRODUZIONE, PROVENIENTI DAGLI SCAVI DELLA METRO C
155
Fig. 2. - Planimetria dell’officina scoperta a piazza Venezia. A) particolare della prima fase dell’attività metallurgica all’interno dell’ambiente 4; B) particolare della seconda fase (rielaborazione S. PICCIOLA da SERLORENZI, SAGUÌ 2008, fig. 9). (pagina intera)
156
MIRELLA SERLORENZI - GIOVANNI RICCI
Nel riempimento erano inoltre presenti, oltre a scorie metalliche e piccole quantità di carbone, un lingotto, tre lamine in lega di rame e due chiodini: elementi questi ultimi che potrebbero provenire dalle attività di pulizia
connesse alla dismissione di questa fase dell’officina (fig.
3). In prossimità dell’ingresso della taberna si situa infine la quarta fossa, le cui caratteristiche farebbero pensare ad una destinazione d’uso non compatibile con una fornace: fondo e pareti non recano tracce di esposizione al
calore né si ritrovano elementi riconducibili alla presenza di un mantice. La cavità poteva pertanto servire a contenere gli scarti delle lavorazioni qui raccolti in seguito alle
periodiche pulizie dell’officina. Lo strato di riempimento ha restituito inoltre numerosi chiodi a testa tonda, due
lamine di rame, un lingotto e nove monete di bronzo.
Ad un secondo ciclo produttivo sono, invece, attribuite le sei fosse realizzate immediatamente al di sopra
della precedente sistemazione, quattro delle quali sono
inserite all’interno di una più ampia incisione (fig. 2,
B). Tipologicamente continuano ad essere attestate in
questa fase sia le fornaci a pozzetto (tre esemplari) sia
la fossa per la raccolta del metallo fluidificato, a cui si
aggiungono ora due ulteriori elementi, rispettivamente
pertinenti agli alloggiamenti di un’incudine e di una forgia. Nel primo caso si tratta di un’incisione a sezione
troncoconica rovesciata con fondo piuttosto profondo e
stretto. Le pareti non recano tracce di fuoco ed al suo
interno non sono state rinvenute scorie. Come sede di
una forgia è stata invece interpretata la cavità di forma
circolare, pareti verticali e profondità contenuta, situata
subito a nord della presunta ubicazione dell’incudine.
In essa si conservano tracce del rivestimento termotrasformato in sabbia e argilla.
Pertinente alla stessa attività è la fornace collocata
nel corridoio 7 e gli strati individuati nei vani 1-2 (fig.
2). Nel primo caso si tratta ancora una volta di una fossa
circolare riempita con cenere, scorie ed elementi provenienti dalla demolizione delle pareti fuori terra del
forno. Nel secondo caso invece si è in presenza di livelli nerastri esito delle periodiche pulizie effettuate all’interno degli spazi occupati dalle fucine. Nel corpo di
questi depositi è stato rinvenuto un congruo numero di
monete di bronzo inquadrabili tra V e VI secolo, la cui
relazione con il contesto metallurgico è ancora da esplorare compiutamente 6.
L’esame del materiale ceramico contenuto nei livelli
connessi all’impianto metallurgico rimanda ad un orizzonte cronologico di prima metà VI secolo; alla seconda
metà di esso risalgono invece i reperti contenuti negli
strati connessi alla successiva riconversione dell’area per
scopi funerari ed anche abitativi 7.
Le dimensioni estremamente contenute delle fornaci
lasciano presupporre che in esse venissero prodotti oggetti finiti o semilavorati di piccole dimensioni, come testimonierebbero il lingotto, le tre lamine in lega di rame
e forse anche i chiodini rinvenuti nel riempimento di uno
dei forni, oggetti che verosimilmente sono stati ottenuti
attraverso operazioni di ‘riciclaggio’, piuttosto che tramite la fusione di minerale reperito allo stato puro. Considerata, infatti, la congerie temporale in cui si colloca
questa attività appare plausibile proporre che gran parte
di questi ateliers fossero centri di raccolta e trasformazione di metallo proveniente da edifici spogliati. In quest’ottica andrebbe forse considerata la consistente
presenza dei numerari di bronzo rinvenuti negli strati di
pulizia, se si esclude che essi siano stati casualmente smarriti durante le transazioni economiche qui effettuate 8.
L’inserimento di officine all’interno delle più antiche tabernae sembrerebbe continuare ancora nel VI secolo la vocazione artigianale-commerciale di questi
spazi, d’altro canto la diretta connessione dei luoghi di
produzione alla via Flaminia permetteva la vendita diretta di ciò che in esse veniva realizzato. Si può inoltre
ipotizzare che tali officine fossero gestite da soggetti privati considerato che occupano superfici piuttosto mo-
6
Novantasei nummi provengono dalle stratigrafie documentate nel vano 1 e diciassette dai depositi messi in luce nell’ambiente 2.
7
Per quanto concerne la sistemazione dell’area nella seconda metà
del VI secolo si veda: FAILLI, TRAVERSI 2008, pp. 184-185.
8
Un contesto analogo è stato rinvenuto negli scavi della Basilica Giulia. Qui la consistente presenza di monete in depositi
connessi ad impianti metallurgici è stata spiegata con pratiche legate alla rifusione, a tal proposito si veda MAETZKE 1991, pp. 8485.
Fig. 3. - Riproduzione di un lingotto rinvenuto all’interno dell’officina scoperta a piazza Venezia (foto SS-COL).
Fig. 4. - Planimetria dell’officina metallurgica scoperta a piazza della Madonna di Loreto (elaborazione A. AVERINI Cooperativa Archeologia).
deste, nel caso qui esaminato la bottega e/o botteghe
coprono un’area totale di circa 50 m², ed implicano
un’organizzazione del lavoro non particolarmente sofisticata; si insediano, infine, all’interno di un’insula, edificio privato con funzione abitativa.
La situazione documentata a piazza Venezia appare
inoltre perfettamente in linea con quanto recentemente
emerso in numerosi scavi urbani: si pensi ad esempio
alle officine individuate nello scavo della Basilica Hilariana 9, o a quelle rinvenute alle pendici del Palatino 10,
ed infine agli impianti di forgiatura riconosciuti nell’area
di Sant’Omobono 11, solo per citare i ritrovamenti più
recenti. D’altro canto la sensibilità ed anche la maggiore
attenzione rivolta a partire dagli anni Ottanta verso questa tipologia di contesti ha permesso di riconoscerne appieno la reale significatività ed assegnare loro un ruolo
di primo piano nell’ambito degli elementi maggior-
mente caratterizzanti il nuovo volto della città tra tardoantico e altomedievo 12.
Completamente differente è la situazione messa in
luce nel vicino cantiere di piazza della Madonna di Loreto, dove a partire dalla metà/seconda metà del VI secolo all’interno dei due auditoria di età adrianea ritenuti
parte del complesso dell’Athenaeum fatto costruire dall’imperatore nel 135 d.C., si impianta un’estesa officina
destinata principalmente alla lavorazione delle leghe di
rame (fig. 4) 13.
PALAZZO 2013, p. 76; PAVOLINI 2013, pp. 480-484.
Comunicazione personale di Clementina Panella e Lucia Saguì.
11
CECI c.s.
12
Sulle tematiche legate alle diverse dinamiche della città tra tardoantico e altomedioevo si veda PAROLI, DELOGU 1993.
13
L’officina che occupa l’aula meridionale è stata messa in luce
solo parzialmente, l’impianto insediatosi invece nell’aula centrale
è stato esposto integralmente. Sul contesto stratigrafico in cui si col9
10
Fig. 5. - N Tipologie delle fornaci presenti nell’officina scoperta a piazza della Madonna di Loreto (elaborazione A. AVERINI Cooperativa Archeologia).
UN EXCURSUS DIACRONICO (VI-XIV SEC.) ATTRAVERSO GLI INDICATORI DELLA PRODUZIONE, PROVENIENTI DAGLI SCAVI DELLA METRO C
159
Dal punto di vista tecnologico e relativamente alle
fornaci va osservata la ricca
varietà e le differenti tipologie costruttive: a pozzetto,
a catasta, a camino ed a riverbero. Di esse, ad eccezione di un caso soltanto, si
conservano unicamente le
parti interrate relative cioè
all’invaso destinato ad accogliere combustibile, fondente e materia prima. Nella prima categoria rientrano
fosse circolari ed occasionalmente rettangolari di profondità compresa tra cm 2530 ed ampiezza intorno a cm
50. Hanno pareti dal profilo
verticale e fondo piano. In
alcuni casi, oltre ad evidenti tracce di esposizione al calore, si conserva parte del rivestimento interno in limo
rubefatto (fig. 5) 14. Numericamente rientrano in questo raggruppamento ventisei
esemplari, di cui quattordici situati nell’aula meridionale e dodici nella sala cenFig. 6. - Riproduzioni di: a) scoria interna; b) scoria colata; c) cucchiaino in lega di rame; d) ingresso
trale. A livello distributivo del mantice; e) ricostruzione del piano di una fornace a riverbero; f) lastra di marmo con foro per l’insembrerebbe che lo spazio gresso del mantice, rinvenuti nell’officina scoperta a piazza della Madonna di Loreto (foto SS-COL).
inferiore compreso tra le
cessivi strati di obliterazione, in cui è stato praticato un
due gradonate sia stato preferito per l’installazione dei forforo delle dimensioni compatibili con alcuni esemplari
ni; solo quattro di essi occupano, infatti, la sommità delin argilla scorificata di ingressi di ‘tuyère’ (fig. 6, d, f).
le scalinate collocate nell’aula centrale. Le fornaci a caDi questa tipologia di forno sono attestati dodici esemtasta, derivazione diretta dei forni a pozzetto, si
plari, quattro nella sala meridionale e otto in quella cencompongono invece di una cavità di forma circolare amtrale. Anche in questo caso gli antichi spazi pavimentapia e profonda cm 50, completata su un lato da due inli parrebbero costituire le superfici più idonee ad ospitarli,
cassi rettangolari simmetrici alquanto superficiali. Quevisto che in solo quattro casi si è preferito optare per l’area
sti ultimi sono destinati a ricevere una lastra posta di taglio
occupata dalle gradonate. Ad un terzo raggruppamento
per proteggere il mantice, del quale in almeno due casi
appartengono i tagli identificabili con fornaci a camino.
si conservano le impronte in negativo (fig. 5) 15. Al sistema
Si tratta di strutture che rappresentano un’evoluzione dei
di protezione del mantice va invece ricondotto un framforni a cupola, in cui la porzione in elevato viene ad asmento di pavimentazione marmorea, rinvenuto nei suc-
loca l’officina rinvenuta a piazza della Madonna di Loreto si vedano: SERLORENZI 2010, pp. 145-146; RICCI 2010; RICCI 2013, pp.
30-35; SERLORENZI, RICCI, c.s. Per ciò che concerne l’edificio di età
adrianea: EGIDI 2010, pp. 107-116; EGIDI 2013, pp. 3-16; RICCI 2013,
pp. 23-29.
14
Non si può tuttavia escludere che in alcune si debbano riconoscere le cavità destinate a contenere il metallo ormai fluidificato,
come peraltro documentato nella limitrofa officina messa in luce
nel cantiere di piazza Venezia.
15
CIMA 1991, p. 116.
160
MIRELLA SERLORENZI - GIOVANNI RICCI
sumere una forma cilindrica slanciata, di altezza superiore
al metro e mezzo, protetta esternamente da un’intelaiatura lignea 16. Di simili apprestamenti si conservano le fosse circolari (ampiezza e profondità cm 50) destinate a contenere combustibile e materiale da fondere unitamente ai
fori atti a sostenere l’architettura lignea. Questi ultimi, del
diametro di cm 5, si dispongono a coronamento della cavità centrale (fig. 5). In tale categoria rientrano unicamente
due esemplari, rispettivamente situati nello spazio compreso tra le scalinate sia dell’aula centrale che della sala
meridionale. Due sono anche le incisioni riconducibili a
fornaci a riverbero, collocate sempre nelle zone pavimentali di entrambe le aule 17. Si tratta in questo caso di
fosse caratterizzate da una forma a ‘8’, in cui è presente un catino ribassato (camera di combustione) ed una cavità superficiale dal fondo piatto posta poco al di sotto
del livello di calpestio (fig. 5). In essa, o per meglio dire
su appositi piani in argilla refrattaria collocati al suo interno, dovevano essere alloggiati i crogiuoli in cui veniva fuso il metallo semiprodotto o affinata la metallina 18
(fig. 6, e). L’esemplare situato nella sala meridionale è
l’unico a conservare, oltre alla porzione ‘interrata’, parte dell’elevato costruito con materiale eterogeneo (laterizi, frammenti di marmo e tufo) e di reimpiego adoperando come legante del limo argilloso.
Più problematico è invece stabilire la destinazione
d’uso delle numerose cavità prive di tracce di esposizione al calore. È probabile che in esse vadano riconosciuti alloggiamenti destinati ad ospitare incudini,
contenitori per liquidi o altro tipo di materiale, e fosse
per il raffreddamento del prodotto lavorato o semilavorato. Queste, non a caso, si concentrano prevalentemente nello spazio delle gradonate, quasi ad indicare
che i gradini abbiano offerto pratiche sedute per gli artigiani in alcune fasi di lavorazione (fig. 7).
Dal punto di vista stratigrafico i tagli individuati
(circa sessanta nell’aula centrale e quaranta nella porzione scavata della sala meridionale), indipendentemente dalla loro funzione, giacciono indistintamente su
di una medesima superficie rappresentata dal conglomerato cementizio delle gradonate e dalla preparazione
pavimentale delle aule adrianee. Non è stato possibile,
16
Un confronto puntuale proviene dall’impianto siderurgico altomedievale di Boécourt, a riguardo cfr. ESCHENLOHR, SERNEELS 1991.
17
LOWE, MASON 1987, pp. 85-86; NERI 2006, p. 153.
18
Numerosi frammenti relativi ad originari piani in argilla refrattaria sono stati rinvenuti nello strato di distruzione delle fornaci.
La ricomposizione di tali elementi si deve all’attento studio archeometallurgico condotto dall’équipe dell’Università di Chieti coordinata da V. la Salvia.
dunque, stabilire un’eventuale seriazione stratigrafica al
loro interno, che ragionevolmente dovette esserci considerato l’elevato numero e la contiguità spaziale delle
fornaci, a volte confinanti, le quali logisticamente non
avrebbero potuto funzionare simultaneamente.
Va comunque sottolineata la coesistenza di impianti
afferenti a diverse tipologie, i quali indurrebbero a ricostruire processi di lavorazione alquanto articolati suggeriti anche dalle analisi chimiche condotte su una
grande quantità di scorie e sui pochi oggetti metallici
(barrette e lingotti) rinvenuti 19. Le scorie si possono suddividere in due raggruppamenti principali: quelle colate
all’esterno della fornace e quelle interne ad esse. Le
prime, numericamente poco attestate, sono caratterizzate da una superficie liscia e vetrificata di colore verde
o rosso bruno, struttura interna compatta e segni più o
meno evidenti di scorrimento (fig. 6, b). Sono riconducibili sia al processo di alligazione del bronzo piombifero sia al processo di raffinamento e purificazione di
rame metallico dalle impurità.
Le scorie interne, che rappresentano la maggioranza
di questa tipologia di materiale, hanno invece forma irregolare ed un aspetto eterogeneo con frequenti inclusi
di cenere e carbone ed appaiono legate alla lavorazione
del rame (fig. 6, a).
Sono state individuate anche alcune scorie a calotta,
tipiche del ciclo della lavorazione del ferro. Queste ultime potrebbero forse indicare la presenza, nell’ambito
dell’officina, di una forgia in cui venivano prodotti e/o
riparati gli strumenti di lavoro, a meno di non volerle
considerare come semplice fondente.
Estremamente esiguo è invece il numero degli oggetti metallici rinvenuti, raggruppabili in nove tipologie aventi ciascuna le seguenti caratteristiche 20:
a) artefatto in rame di forma circolare e sezione ovale,
la cui superficie presenta un forte arricchimento in
cloro e piccole inclusioni di argento metallico;
b) barretta di rame metallico con inclusioni di solfuro di
rame. Ha forma piatta e allungata delle dimensioni di
cm 4 di lunghezza, cm 1 di larghezza e mm 2-3 di spessore. Le inclusioni di solfuro di rame sono allungate
19
Per un’ampia trattazione sugli aspetti archeometallurgici si vedano: LA SALVIA, IACONE 2010, pp. 165-166; ANTONELLI, IACONE,
PROSPERI et alii 2013 pp. 95-112; LA SALVIA, ANGUILANO c.s.; ANGUILANO, LA SALVIA, ANTONELLI et alii c.s.; ed in particolare La Salvia in questo stesso volume.
20
Per quanto concerne le immagini dei manufatti descritti ai punti
a-i si veda infra La Salvia figg.000.
UN EXCURSUS DIACRONICO (VI-XIV SEC.) ATTRAVERSO GLI INDICATORI DELLA PRODUZIONE, PROVENIENTI DAGLI SCAVI DELLA METRO C
161
nel senso della lunghezza dell’oggetto, testimoniando così un processo
di martellatura. Lo studio
della superficie ha indicato anche in questo caso
la presenza di argento
associato a cloro;
c) barretta di rame con inclusioni di solfuri a composizione mista. In associazione al rame si
trovano anche ferro, argento e antimonio;
d) piccoli lingotti di bronzo
piombifero;
e) lingotto bronzifero con
tracce di piombo;
f) lingotto di ferro con strut- Fig. 7. - Ricostruzione dell’interno dell’officina scoperta a piazza della Madonna di Loreto (direzione
tura perlitica e inclusio- scientifica M. Serlorenzi, elaborazione Studio Inklink): vedi anche tav. 00.
ni di piombo;
delle leghe di rame ed in alcuni casi all’argentatura sug) frammento metallico la cui composizione chimica è
perficiale delle stesse. Particolarmente rilevante è il
conforme alle scorie di alligazione sopra descritte. Sulprocesso connesso alla produzione di semilavorati in lega
la superficie di esso, in connessione con rame, piomdi bronzo piombifero ed alla loro eventuale rilavorabo e stagno, sono state rinvenute anche gocce con alta
zione. I tre componenti di questa lega sono appunto:
concentrazione di argento. Ciò indicherebbe che il prorame, stagno e piombo. Il primo sembra derivare dal ricesso di argentatura veniva effettuato su tipi di metalli
ciclo di manufatti in rame e bronzo, alcuni dei quali forse
diversi e non solo su artefatti in rame;
presenti in origine all’interno delle antiche aule adriah) frammento di piombo con tracce di argento;
nee 22 e comunque provenienti da attività di spoglio; il
i) frammenti di piombo privi di contaminazioni di altri
secondo viene aggiunto nella lega come cassiterite ed in
metalli. Resta ancora da verificare se questo materiale
misura minore dal ‘bronzo riciclato’; il piombo infine
possa derivare dalla riduzione del litargirio dopo la coppotrebbe derivare dalla riduzione del litargirio ottenuto
pellazione del piombo argentifero; anche se al momento
durante la coppellazione. Come già anticipato, non si è
non sono stati analizzati campioni che possano fornire
tuttavia certi se quest’ultima lavorazione venisse svolta
prove dirette circa l’espletamento in situ del proces21
in situ anche se la presenza di fornaci a riverbero, uniso di coppellazione .
tamente al rinvenimento di pianetti di cottura in argilla
refrattaria – indicatori di una lavorazione a crogiuolo –
Come strumento di lavoro va infine considerato il
lascerebbero aperta questa possibilità.
cucchiaino in lega di rame presente tra i reperti conteIl paesaggio di entrambe le aule viene inoltre ad esnuti nel livello di dismissione dell’officina (fig. 6, c),
sere implementato da ulteriori punti di fuoco e zone con
forse adoperato come dosatore di metallo all’interno
accumuli di carbone, testimonianze forse di aree utilizdella catena produttiva.
zate per lavorazioni diverse ma comunque sempre leDa quanto sopra esposto sembrerebbe abbastanza
gate all’attività metallurgica.
chiaro che nella fucina avvenissero processi metallurDifferente è invece la contemporanea sistemazione
gici diversificati prevalentemente legati alla lavorazione
Processo di preparazione dell’argento consistente nel trattare,
in ambiente ossidante, in forni detti a coppella, il piombo argentifero. Per effetto dell’aria introdotta nella fornace, il piombo liquido
21
si ossida a litargirio, che in parte viene eliminato all’esterno ed in
parte è assorbito dalla suola del forno stesso.
22
Forse in quest’ottica è da considerare la totale asportazione
delle grappe di ancoraggio del rivestimento marmoreo parietale.
del corridoio e del vano situato all’estremità occidentale di esso, entrambi
collocati a sud dell’aula
centrale (fig. 4). In questi
spazi trovano rispettivamente posto un pozzo alimentato da una fistula
plumbea (l’acqua è un elemento fondamentale per lo
svolgimento del ciclo produttivo impiantato nella
contigua aula gradonata)
ed il settore adibito alla miscelazione del legante adoperato nella costruzione
delle attigue fornaci come
testimoniato da due lunghe
incisioni parallele e da altrettante fosse riempite con
strati di limo e argilla.
Fig. 8. - Veduta al di sotto dell’unità di crollo dello strato di dismissione dell’officina scoperta a piazza
della Madonna di Loreto (foto SS-COL): vedi anche tav. 00.
Le caratteristiche costitutive dei diversi contesti
messi in luce e la loro collocazione topografica consentono di cogliere la destinazione d’uso assunta in
questo periodo dai vari settori del complesso adrianeo.
Nello schema riprodotto a fig. 4 si può infatti osservare
come le officine occupino entrambe le aule: qui si concentrano le fornaci ed è appunto in questi spazi che avevano luogo i processi di cottura e forgiatura. Nella
stanza situata all’estremità occidentale del corridoio va
invece individuata l’area di stoccaggio del materiale per
la costruzione delle fornaci, in particolare del legante
adoperato nella loro realizzazione; nel corridoio vero e
proprio, ora volutamente separato e protetto dall’ingresso al monumento mediante un tramezzo realizzato
con materiale di reimpiego, si può infine riconoscere il
luogo di immagazzinamento del prodotto finito o semilavorato, come sembrano indicare i metalli lavorati
assimilabili a lingotti qui rinvenuti.
L’inizio di questa intensa attività artigianale si colloca in un arco cronologico racchiuso entro il VI secolo, probabilmente alla metà o addirittura nella seconda
metà di esso, come sembrerebbero suggerire i dati provenienti dallo studio del materiale ceramico contenuto
nelle stratigrafie connesse all’impianto delle fornaci 23.
A ciò si aggiunga che l’ultima attestazione dell’originaria destinazione d’uso delle sale come auditoria ci riFig. 9. - Planimetria ricostruttiva delle aree occupate dall’officina
scoperta a piazza della Madonna di Loreto (elaborazione A. AVERINI Cooperativa Archeologia).
23
DE LUCA c.s.
UN EXCURSUS DIACRONICO (VI-XIV SEC.) ATTRAVERSO GLI INDICATORI DELLA PRODUZIONE, PROVENIENTI DAGLI SCAVI DELLA METRO C
163
manda agli anni finali del V secolo 24. Tra la fine del
VII e la prima metà dell’VIII secolo si data, invece, la
dismissione dell’impianto metallurgico. Le fornaci vengono intenzionalmente distrutte e sepolte da un ingente
riporto artificiale formato dai materiali non riciclabili
dell’officina. Tale deposito è caratterizzato da strati di
colore nero al cui interno sono presenti elementi termotrasformati, scorie di fusione, frammenti di marmo,
frammenti di ossa animali dal colore verdastro e reperti
ceramici (fig. 8 e tav. 00). Trattandosi di un accumulo
volontario e non di naturale dispersione dovuta al ciclo
produttivo, si è cancellata qualunque relazione e/o associazione diretta tra le diverse tipologie di scorie e le
differenti fornaci dell’officina.
Il panorama sopra delineato rappresenta per certi
versi un unicum nel coevo paesaggio romano. Siamo
infatti di fronte ad un impianto fuori scala per le sue dimensioni (circa 800 m2 di superficie sinora investigata
che però raggiunge i 3400 m2 se ad essa aggiungiamo
le zone adiacenti ancora da indagare) 25 in cui, anche se
non simultaneamente, sono messi in opera una quarantina di forni caratterizzati a livello strutturale da una evidente diversificazione tipologica e presumibilmente
anche funzionale (fig. 9). Se a ciò aggiungiamo l’esistenza in loco di articolati processi produttivi legati alla
lavorazione del rame, delle sue leghe e del ferro, appare ragionevole ipotizzare che ci si trovi in presenza
di un’attività su larga scala in grado di gestire una catena produttiva assai elaborata che viene ad occupare
un precedente spazio pubblico di grande rilevanza culturale. La configurazione architettonica dell’impianto
rinvenuto a piazza della Madonna di Loreto si caratterizza inoltre per un’accessibilità controllata degli spazi
deputati alla lavorazione dei metalli. Le antiche aule
adrianee presentano, infatti, ingressi separati che non si
affacciano direttamente all’esterno e che in questa fase
vengono ulteriormente salvaguardati da setti murari di
nuova costruzione. La protezione del luogo era infine
assicurata dall’assenza di finestre nella parte inferiore
delle sale: eventuali aperture collocate nei lunotti delle
volte dovevano presumibilmente trovarsi ad oltre dieci
metri di altezza.
Sembra quindi che il tipo di lavorazione effettuata al
suo interno dovesse richiedere un controllo costante per
garantire la sicurezza dei manufatti che in esso venivano
prodotti. Le ridotte dimensioni delle fornaci rendono
inoltre verosimile che da esse venissero estratti oggetti
finiti o semilavorati di piccole proporzioni. Si sono rinvenute, infatti, unicamente barrette di rame con tracce di
argentatura superficiale, lingotti di bronzo piombifero e
di ferro che, se non commercializzati direttamente, potevano forse essere utilizzati per produrre oggetti di qualità o comunque dal forte valore simbolico considerato
che il metallo utilizzato di per sé non aveva particolare
pregio. Alla luce di questi elementi è stato ipotizzato che
nell’officina di piazza della Madonna di Loreto si realizzassero tondelli monetali e oggetti onorifici, come
già precedentemente proposto ed accolto anche in questa sede congressuale 26. Seguendo questa interpretazione, assumerebbe quindi un preciso significato la
minuziosa attività di pulizia che ha interessato l’impianto prima della sua definitiva dismissione così da recuperare tutto ciò che aveva ‘valore’ e che era di
pertinenza ‘statale’, come ad esempio gli strumenti di lavoro, ma soprattutto il metallo monetale e eventualmente i conii che dovevano essere messi al sicuro per
evitare contraffazioni. Un ulteriore elemento a favore
dell’interpretazione del complesso come zecca enea è offerto anche dalla cronologia dell’impianto: nascita/vita/
morte dell’attività avvengono nel momento in cui Giustiniano assegna a Roma la funzione di battere moneta
di bronzo per l’Italia Suburbicaria. In ogni caso, in questa fucina non si vuole forzatamente riconoscere il luogo
della coniazione – di fatto i conii non sono stati rinvenuti
– ma più plausibilmente l’area di produzione del metallo
monetale.
Occorre tuttavia rammentare che quanto posto in luce
non rappresenta un’unità in sé conchiusa, ma unicamente
una porzione di un più ampio insieme architettonico i
cui contorni sono ancora da delineare. Alle due aule scoperte a piazza della Madonna di Loreto vanno infatti
aggiunte sul lato settentrionale una terza sala parzialmente esposta da Gatti agli inizi del ‘900 durante l’edificazione del palazzo delle Assicurazioni Generali di
Venezia, i piani superiori delle stesse aule, e sul versante meridionale le ampie porzioni di un vasto ambiente
24
EGIDI 2010, pp. 117-118; RICCI 2013, pp. 29-30. Sulle basi
iscritte si veda in particolare: ORLANDI 2010, pp. 124-127; ORLANDI
2013, pp. 45-52.
25
Occorre però sottolineare che dei 3400 m², esclusi gli 800 m²
delle due aule indagate, sono probabili i 400 m² della terza aula sotto
il palazzo delle Assicurazioni Generali di Venezia, mentre altamente indicativi sono i restanti 2200 m² dell’edificio intravisto in
parte in occasione della demolizione di palazzo Desideri. A queste
superfici andrebbero comunque aggiunti i 1200 m² dei piani superiori dei tre auditoria.
26
SERLORENZI c.s., ed in particolare per le problematiche della
zecca di Roma si veda MARANI c.s. Su quest’ultima tematica si veda
anche quanto riportato da A. ROVELLI in questo stesso volume.
164
MIRELLA SERLORENZI - GIOVANNI RICCI
sta ad m 1,75 di altezza dal
fondo. Le pareti mostrano
segni di rifacimenti connessi ad un prolungato utilizzo,
come per altro testimoniato
anche dai molteplici strati di
vetrificazione. Allestimento,
uso e distruzione della calcara
si collocano in un arco cronologico ristretto, complessivamente inquadrabile nell’ambito dell’VIII secolo. La
struttura viene, infatti, ricavata incidendo precedenti livelli di VII secolo; un frammento di ceramica sovradipinta a bande rosse di VIII
secolo è stato invece rinvenuto all’interno della parete
della camera di combustione;
allo stesso periodo rimandano infine i reperti contenuti
negli scarichi domestici che
obliterano la fornace.
Tipologicamente si è di
fronte
ad una calcara del
Fig. 10. - Planimetria, sezione e presa fotografica della calcara scoperta a piazza Venezia (rielaborazione di S. PICCIOLA da SERLORENZI, SAGUÌ 2008, fig. 12).
tutto simile ai coevi impianti
documentati nel Foro di Traemerso nel 1937 in occasione della demolizione di paiano 29 ed alle pendici settentrionali del Palatino 30, nonlazzo Desideri (fig. 9) 27. In esse potrebbero così celarsi
ché a quella di poco posteriore messa in luce nell’esedra
gli indicatori utili a connotare esaustivamente la fundella Crypta Balbi 31. La collocazione dell’ impianto
zione dell’impianto scoperto.
nell’ambito di un complesso architettonico ancora parzialmente funzionante apre tuttavia il campo ad una serie di considerazioni legate in primo luogo alla
VIII secolo: la calcara di Piazza Venezia
definizione del contesto produttivo. L’equazione calcara-area di cantiere o anche calcara-cantiere di spoglio
Il sito di piazza Venezia restituisce per l’VIII secolo
sembrerebbe non riguardare il nostro impianto. Nel
un nuovo e differente indicatore della produzione. Alprimo caso, infatti, ci si dovrebbe trovare in uno spazio
l’interno del complesso commerciale scoperto a piazza
aperto, privo cioè di edifici in uso, ove poter impiantare
Venezia si impianta nel corridoio retrostante le tabernae
e allestire il nuovo cantiere costruttivo. Nel secondo
prospicienti la via Flaminia una fornace da calce (fig. 10) 28.
caso, invece, la fornace dovrebbe collocarsi all’interno
Della struttura, parzialmente compromessa dalla coo in prossimità di complessi monumentali, per loro nastruzione di successive cantine rinascimentali, si conserva
tura ricchi di materiale calcinabile. Nel caso qui esamila camera di combustione dotata di un’evidente risega ponato, la calcara si colloca invece in un contesto
Sui risultati degli scavi condotti per la costruzione del palazzo
delle Assicurazioni Generali di Venezia: GATTI 1902a, pp. 285-291;
GATTI 1902b, p. 555; GATTI 1902c, pp. 627-628; GATTI 1903a, pp.
365-369; GATTI 1903b, pp. 276-282; GATTI 1903c, pp. 120-121;
GATTI 1903d, pp. 199-200; GATTI 1903e, p. 226; GATTI 1903f, pp.
510-511; GATTI 1903g, p. 602; GATTI 1904a, pp. 83-84; GATTI
27
1904b, pp. 153-157. Sui ritrovamenti avvenuti in occasione della
demolizione di palazzo Desideri: LA CAVA 1933, pp. 253-258.
28
LAUDATO, SAVIANE 2008, pp. 185-186.
29
MENEGHINI 1998, pp.127-141.
30
SERLORENZI 1992, pp. 399-401.
31
SAGUÌ 1986, pp. 345-355.
UN EXCURSUS DIACRONICO (VI-XIV SEC.) ATTRAVERSO GLI INDICATORI DELLA PRODUZIONE, PROVENIENTI DAGLI SCAVI DELLA METRO C
urbanizzato ed ancora parzialmente vitale, difficilmente
quindi rapportabile a spazi liberi da edificare o ad una potenziale cava di materiale
calcinabile. Pertanto l’impianto di piazza Venezia potrebbe testimoniare un’attività
economica finalizzata specificatamente alla produzione e
vendita di calce secondo un
modello delineato ad esempio per la vicina area del Calcarario 32, anche se non si può
del tutto escludere, visto anche il breve lasso di tempo in
cui la fornace ha funzionato,
che possa essersi trattato di
un allestimento temporaneo,
legato forse a qualche ristrutturazione puntuale non più accertabile archeologicamente.
Fig. 11. - Veduta dello strato di cenere (US 48) rinvenuto nella trincea B1 di via Cesare Battisti (foto
SS-COL).
VIII - prima metà del IX secolo: via Cesare Battisti
Il contesto stratigrafico di via Cesare Battisti attiene
ad una attività produttiva al momento non ancora pienamente chiarita, inquadrabile tra l’VIII-prima metà del
IX secolo (fig. 11) 33. Lungo questa arteria stradale, in
prossimità di piazza Santi Apostoli, sono state aperte
due distinte ma contigue trincee di scavo rispettivamente denominate B1 e B2 (fig. 1). Al loro interno sono
emerse murature in opera laterizia e, nel sondaggio B2,
piani pavimentali in mosaico ed opus sectile, riconducibili ad una domus tardoantica. Ragioni di sicurezza
hanno interrotto lo scavo nella trincea B1 all’esposizione
di lacunosi livelli di epoca altomedievale, caratterizzati
da depositi estremamente selezionati di cenere con carboni e noduli di calce. Trattandosi di un accumulo volontario e non derivante da semplice combustione si è
pensato, considerata la peculiarità costitutiva del contesto, ad un suo impiego a fini artigianali. La cenere di
alcune piante, come ad esempio la salicornia, era adoperata nel medioevo come fondente nella lavorazione
MANACORDA, MARAZZI, ZANINI 1994, pp. 653-654.
33
LAUDATO 2008, p. 188; SERLORENZI 2010, p. 143.
32
165
del vetro 34. D’altro canto la sua composizione chimica
ne ha inoltre facilitato l’impiego sia in ambito tessile
sia per fini agricoli. La presenza, infatti, di carbonato
di potassio, derivante dalla combustione del legno, rende
la cenere uno degli elementi utilizzati nella fabbricazione di saponi o per candeggiare i panni, così come gli
ossidi di sodio, calcio e magnesio ne consentono l’adozione come fertilizzante per agevolare la crescita delle
piante da orto 35.
Purtroppo la limitatezza dell’area di scavo e la scarsa
conservazione della stratigrafia altomedievale non permettono di aggiungere ulteriori dettagli. Tale deposito
viene coperto da livelli di frequentazione contenenti reperti ceramici di seconda metà IX-inizi X secolo.
Fine IX-X secolo: i cunicoli e le fosse di spoliazione di
Piazza Venezia
Tra la fine del IX e il X secolo nell’insula di Piazza
Venezia si leggono tracce indirette di attività produttive;
34
Per l’impiego della cenere come fondente nella lavorazione
del vetro STIAFFINI 1999, pp. 7-12.
35
TARDIO 2011, p. 6.
166
MIRELLA SERLORENZI - GIOVANNI RICCI
Della calcara 1 si conservano
unicamente parte delle pareti
settentrionale e meridionale
della camera di combustione, perché successivamente sostituita dalla calcara
2 che ha una forma circolare
del diametro interno di due
metri (fig. 12). Di essa oltre
alla camera di combustione,
sono perfettamente leggibili
sia la risega su cui veniva
appoggiato il materiale da
calcinare sia l’imboccatura
del prefurnio. Quest’ultima
viene ad essere collocata sul
lato occidentale del forno all’altezza della risega. In assenza di rapporti stratigrafici
Fig. 12. - Planimetria e foto delle calcare scoperte a piazza della Madonna di Loreto (elaborazione A.
diretti non è invece possiAVERINI Cooperativa Archeologia, fotografie E. MONTI).
bile stabilire in quale modopo il crollo definitivo, in seguito al terremoto
mento sia da collocare l’allestimento della calcara 3, se
dell’847, l’edificio viene infatti definitivamente abbancioè contestualmente all’uso del forno 1 o della fornace
donato e non vi sono più tracce di rioccupazione fino
2, oppure anteriormente od anche posteriormente ad enal pieno medioevo. In questo periodo vengono realiztrambi. Quale che sia la sequenza di realizzazione, anche
zate fosse e cunicoli di spoliazione che interessano tutto
in questo caso dell’impianto, collocato nell’angolo nordlo scavo ad eccezione della parte centrale della strada.
est dell’antica aula adrianea, è agevolmente percepibile
Questi ultimi sono realizzati all’interno e all’esterno dei
la sagoma circolare della camera di combustione. Strati
vani, venendosi a collocare prevalentemente lungo i
di cenere e carbone con sovrapposti livelli di calce e remuri forse per poter intercettare materiale particolare
sidui di lavorazione rinvenuti sul fondo delle tre calquale il travertino presente spesso in fondazione nelle
care costituiscono infine le tracce materiali dell’ultima
angolate degli edifici. Sulle strutture in elevato l’atticottura.
vità è invece volta al recupero dei laterizi delle cortine
Il rinvenimento all’interno delle pareti della calcara
murarie.
2 di frammenti di ceramica a vetrina sparsa di XII secolo, unitamente alla presenza di materiali di seconda
metà XIII-inizi XIV secolo negli strati di obliterazione,
XII-XIII secolo: le calcare di piazza della Madonna di
consentono di circoscrivere questa fase produttiva in un
Loreto
ambito cronologico compreso tra il XII e la prima metà
del XIII secolo. A livello costruttivo le tre fornaci scoNel cantiere di piazza della Madonna di Loreto alperte a piazza della Madonna di Loreto non mostrano
l’interno degli strati di crollo delle antiche aule adriasostanziali differenze con la più antica installazione rinnee, esito del devastante terremoto che nell’847-848
venuta nel cantiere di piazza Venezia, radicalmente dicausò ingenti danni in varie zone della città producendo
verso è però il contesto topografico nel quale si
36
impressionanti accumuli di macerie , vengono realizpongono. Si tratta in questo caso di un’area di cantiere
zate tre calcare (nn. 1-3 nella planimetria a fig. 12) 37.
libera da edifici e prossima alle zone ove si impianta il
Le fornaci si collocano all’interno dell’aula centrale.
nuovo tessuto urbano basso medievale, come hanno di-
36
GALADINI, FALCUCCI 2010, pp. 166-169; GALADINI, RICCI, FALet alii 2013, pp. 139-162; GALADINI, RICCI, FALCUCCI et alii
CUCCI
c.s.
37
COISSON, RICCI 2008, pp. 192-193; SERLORENZI 2010, pp. 149150; RICCI 2013, pp. 86-88.
UN EXCURSUS DIACRONICO (VI-XIV SEC.) ATTRAVERSO GLI INDICATORI DELLA PRODUZIONE, PROVENIENTI DAGLI SCAVI DELLA METRO C
167
mostrato le ricerche di piazza Venezia e del Foro di Traiano 38. Le limitazioni imposte allo scavo hanno tuttavia consentito di esporre solo alcuni degli elementi
dell’intero contesto, presumibilmente nelle vicinanze andranno invece ricercate le altre testimonianze di cantiere, come ad esempio le zone di stoccaggio e
preparazione dei materiali edilizi.
XIV secolo: la fornace da vetro di Piazza Venezia
Gli indicatori ascrivibili a questo periodo interessano
unicamente il sito di piazza Venezia. Si tratta dei resti
estremamente lacunosi di un impianto per la produzione del vetro, testimoniato da una struttura circolare
in blocchetti di tufo e laterizi utilizzando l’argilla come
legante. Le tracce di termotrasformazione riscontrate sul
fondo e sulle pareti stanno ad indicare una prolungata
esposizione a fonti di calore. In associazione con tale
installazione sono state rinvenute scorie, provini, colaticci e frammenti di crogioli; tutti elementi riconducibili alle ultime fasi di attività del ciclo produttivo (fig.
13). In prossimità della fornace sono stati inoltre messi
in luce degli accumuli di sabbia contenenti numerose
tessere musive in vetro ed interpretabili forse come materiali destinati al riciclaggio per la preparazione di una
nuova miscela vetrificabile 39. Le pesanti asportazioni
causate dalla costruzione delle cantine dei palazzi rinascimentali hanno quasi totalmente cancellato la stratigrafia contestuale e dunque le labili tracce riscontrate
non permettono, anche in questo caso, una ricostruzione puntuale dell’impianto produttivo.
Conclusioni
Dagli scavi qui analizzati emerge un quadro articolato che, di volta in volta, offre interessanti spunti di riflessione sia in termini di logiche produttive, sia
relativamente al contesto in cui esse vengono svolte; tuttavia la frammentarietà dei dati e l’impossibilità di metterli in relazione all’interno di un contesto areale ampio
impedisce di comprendere le reali dinamiche urbanistiche, sociali e produttive che ad esse sottendono. Oc38
Per ciò che attiene l’assetto bassomedievale dell’area di piazza
Venezia, cfr. SERLORENZI 2013, pp. 13-17. Riguardo, invece, la zona
del Foro di Traiano si veda MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007,
pp. 154-155.
39
CASIERI, PISCHEDDA 2008, p. 191. Per ciò che attiene la pro-
Fig. 13. - Indicatori della produzione vetraria rinvenuti nel cantiere
di piazza Venezia (foto SS-COL).
corre infatti cautela nel generalizzare o enfatizzare fenomeni che potrebbero, viceversa, essere circoscritti e
non avere rispondenza con il quadro socio economico
del periodo storico di riferimento. Queste prime indicazioni andranno quindi considerate come semplici
spunti di riflessione da integrare in futuro con i dati derivanti da nuove indagini.
L’arco temporale meglio rappresentato dagli scavi
della metropolitana riguarda il VI e il VII secolo, periodo tra l’altro ben conosciuto grazie agli studi sulla
ceramica, ma anche su altri tipi di merci, come ad esempio i prodotti di lusso, che dimostrano come alla fine
del VII secolo la circolazione delle merci nel Mediterraneo era ancora consistente e ben organizzata e, soprattutto, come Roma rappresenti per l’occidente il
grande polo di produzione del materiale di lusso, essenziale alle aristocrazie per porre in evidenza il proprio status 40.
Tale centralità si può leggere anche negli articolati
processi tecnologici messi in atto a piazza della Madonna
di Loreto per la produzione di leghe di rame; l’im-
duzione del vetro e le tipologie di officine vetrarie: SAGUÌ 1993a,
pp. 409-418; SAGUÌ 1993b, pp. 113-136; MENDERA 1999, pp. 217225; STIAFFINI 1999.
40
RICCI 2001, pp. 79-87; SAGUÌ 2001, pp. 62-68.
168
MIRELLA SERLORENZI - GIOVANNI RICCI
pianto, infatti, per dimensioni, articolazione delle tipologie di fornaci e durata di attività (più o meno centocinquanta anni) non trova al momento situazioni
comparabili nel coevo panorama della città. Di esso sono
già state illustrate le motivazioni che porterebbero a riconoscervi la zecca bizantina o comunque un luogo
adibito ad assolvere parte di questa filiera produttiva.
Pertanto, è abbastanza evidente che, se questo tipo di
produzione dipendeva direttamente dall’autorità statale,
la tecnologia utilizzata avrebbe dovuto essere la migliore
allora esistente.
La straordinaria varietà di fornaci e la specializzazione di alcuni processi produttivi, così come desunti
dalle analisi chimiche condotte sulle scorie e sui pochi
metalli rinvenuti, costituisce un eloquente esempio di
una conoscenza tecnologica complessa in grado di gestire differenti stadi di lavorazione, operando soluzioni
tutt’altro che elementari 41. Pur nell’assenza di oggetti
finiti, l’articolazione delle lavorazioni in atto e la diversificazione delle fornaci porterebbero a riconoscervi
un laboratorio destinato, oltre che a pratiche connesse
alla monetazione, anche alla produzione di beni suntuari:
attività che, come già sottolineato da L. Cracco Ruggini, potevano aver luogo simultaneamente o a fasi alternate all’interno del medesimo complesso 42.
Nel caso dell’impianto rinvenuto a Piazza Venezia
si è invece in presenza di una modesta bottega dedita
alla produzione di oggetti di piccolo taglio, almeno a
giudicare dalle dimensioni delle fornaci poste in luce.
Queste ultime, inoltre, appartengono ad un’unica tipologia rappresentata da forni a pozzetto. La strutturazione
interna dell’’atelier’ presenta, poi, una stretta vicinanza
tra aree destinate alla lavorazione e forse anche alla vendita e zone adibite, invece, all’accumulo dei rifiuti prodotti. Cronologicamente, infine, l’attività dell’officina
si esaurisce nell’arco di due generazioni.
Più problematico è, invece, definire il grado di specializzazione espresso da questa officina anche perché
non sono state al momento effettuate analisi sulle scorie né si conosce con precisione la gamma degli oggetti
da essa prodotti. Il mancato rinvenimento dei manufatti,
unitamente all’assenza di dati provenienti da analisi archeometriche, induce ad una maggiore cautela nell’identificare il sostrato sociale verso cui era rivolto il
prodotto finito. In altre parole, è difficile stabilire se nell’officina si realizzassero oggetti di lusso o, viceversa,
beni di uso quotidiano; anche se la non particolare complessità dell’impianto farebbe propendere per la seconda soluzione. A tal proposito è utile, forse,
rammentare che all’interno di una delle cavità sono stati
rinvenuti numerosi chiodi identificati dagli scavatori
come uno dei probabili prodotti dell’officina 43. Non andrebbe tuttavia esclusa l’ipotesi che essi potessero far
parte integrante di manufatti maggiormente elaborati,
come ad esempio cofanetti. I chiodi potrebbero essere
stati così impiegati per fissare su di essi decorazioni
bronzee. In alternativa è anche plausibile supporre che
nell’officina si realizzassero solo piccoli lingotti, destinati al commercio, ottenuti attraverso operazioni di riciclaggio del materiale di spoglio. Quest’ultima chiave
di lettura, se confermata, metterebbe in evidenza una
specializzazione nella produzione, segno tangibile di un
sistema economico in grado di superare il semplice binomio produzione-consumo.
Fatte salve le innegabili differenze tra le due attività,
sottolineate anche da una non omogenea ‘longevità’, esistono tuttavia elementi in comune che consentono di delineare alcuni aspetti del paesaggio urbano in cui
vengono a collocarsi. Come già ampiamente descritto
nelle pagine precedenti, entrambe le officine riutilizzano
edifici di epoca imperiale di cui sono sostanzialmente
rispettati gli antichi piani di calpestio. Si tratta, dunque,
di costruzioni che, pur avendo perso (come nel caso delle
aule adrianee) l’originaria destinazione d’uso ed essendo state sottoposte ad una parziale spoliazione degli
arredi parietali e pavimentali, mantengono pressoché
inalterate le loro principali caratteristiche strutturali. Se,
dunque, da un lato, nel VI secolo si registra ancora una
sostanziale tenuta del tessuto urbanistico di questa porzione di città, testimoniata anche dal mantenimento dei
percorsi stradali, esistono parallelamente alcuni indicatori che chiariscono come altre parti della città siano,
viceversa, in crisi 44. Tale limite non sempre è così netto
e preciso, pertanto, è spesso possibile imbattersi in una
commistione funzionale anche all’interno di un medesimo fabbricato, come emblematicamente dimostra la
situazione documentata in piazza Venezia, dove si registra una contiguità tra spazi di lavoro/vendita e zone
adibite allo smaltimento dei rifiuti.
Processi simili si riscontrano per lo stesso periodo
nell’area dei fori imperiali e, in particolare, nel Foro di
Augusto, dove già a partire dalla fine del V - inizi VI
43
Si veda il contributo di V. La Salvia nel medesimo volume.
42
CRACCO RUGGINI 2001, p. 170.
41
44
ROLI
FAILLI, PISCHEDDA 2008, p. 183.
Per una panoramica sulla Roma di VI-VII secolo si veda PA2004, pp. 19-27.
UN EXCURSUS DIACRONICO (VI-XIV SEC.) ATTRAVERSO GLI INDICATORI DELLA PRODUZIONE, PROVENIENTI DAGLI SCAVI DELLA METRO C
169
secolo inizia una irreversibile destrutturazione, riflesso,
come già da più parti evidenziato, di un adattamento
della città sia ai mutati bisogni della popolazione, sia
alla reale disponibilità di risorse economiche 45.
Al di là delle numerose questioni ancora irrisolte, si
è, comunque, in presenza di impianti strutturati che a
pieno titolo sono testimonianza di una realtà urbana in
grado di esprimere ancora nel VI e per tutto il VII secolo una domanda articolata cui le officine di piazza Venezia e Madonna di Loreto erano chiamate in parte a
soddisfare. Allargando, ora, l’angolo di visuale alle zone
limitrofe si può notare come vi sia una concentrazione
di impianti metallurgici nelle immediate vicinanze delle
antiche piazze forensi, di cui i contesti messi in luce nel
foro di Cesare 46, all’interno del palazzo della Provincia 47, alla Crypta Balbi 48 e nell’area sacra di Sant’Omobono 49, anche se non perfettamente allineati
cronologicamente, rappresentano eloquenti testimonianze.
Incompletezza e distorsione, tratti peculiari della ricerca archeologica, inducono, tuttavia, ad osservare una
certa cautela nell’identificare all’interno della città precisi ambiti topografici destinati a queste attività. Il proliferare di fornaci ‘nell’area centrale’ potrebbe essere non
solo il riflesso di una plausibile pianificazione urbana,
ma dipendere anche da una non omogenea conoscenza
del sottosuolo e da un’accessibilità dei dati tutt’altro che
immediata; fattori questi che possono introdurre variabili significative in grado di ridimensionare l’eventuale
‘settorializzazione’ degli ateliers metallurgici.
A riflessioni diverse induce invece il rinvenimento
della calcara di VIII secolo nel cantiere di piazza Venezia. La fornace è collocata nel corridoio retrostante
le tabernae che affacciano sulla via Flaminia, nell’ambito comunque di un fabbricato che, seppur parzialmente
deteriorato, risulta ancora essere in uso. Si è in uno spazio, quindi, che, per sua natura, non offre disponibilità
di materiale da calcinare, ma che potrebbe indirettamente
conferire all’attività svolta un particolare significato. Impiantare un forno per la produzione di calce in un luogo
privo della materia prima e che mantiene un carattere
abitativo-commerciale implica verosimilmente un’organizzazione della filiera produttiva diversa da quanto
previsto, ad esempio, nei cantieri di spolio in cui luogo
di produzione e area di reperimento sono pressoché
coincidenti. A quest’ultima tipologia afferiscono, come
già ricordato, le calcare documentate nel foro di Traiano, alle pendici settentrionali del Palatino e nell’esedra della Crypta Balbi, tutte situazioni in cui la durata
dell’attività può dipendere, oltre che da fattori esterni,
come ad esempio i diritti di concessione, anche dall’esaurimento in loco della materia prima 50. In piazza
Venezia, la netta separazione tra luogo di produzione e
bacino di approvvigionamento porterebbe invece ad inquadrare questa realtà in un differente ambito tipologico che è quello dello smercio della calce ivi prodotta,
lasciando così intravedere anche per questo periodo
l’esistenza di un’articolata organizzazione economica.
Un analogo grado di ‘complessità’ sembrerebbe derivare inoltre dal contesto produttivo di via Cesare Battisti, anche se le labili tracce inducono ad osservare
maggiore cautela. Ciononostante il ritrovamento di accumuli estremamente selezionati di cenere risalenti all’VIII - prima metà del IX secolo, ha fatto ipotizzare
un loro utilizzo nell’ambito di diverse attività artigianali. La sorprendente quantità di tale materiale (circa
m3 4) farebbe dunque pensare al superamento del binomio produzione/consumo nello stesso luogo. La cenere, infatti, potrebbe essere stata prodotta altrove ed
aver trovato in questi spazi solo l’area di stoccaggio e
vendita.
Purtroppo l’esiguità del campione a disposizione
non consente di avanzare considerazioni maggiormente
circostanziate, ma sottolinea l’importanza di rilevare nell’ambito delle attività di scavo anche le tracce apparentemente insignificanti che possono contribuire a
ricomporre il variegato mosaico della produzione.
Nonostante si tratti in entrambi i casi di indicazioni
estremamente puntuali, la loro attestazione potrebbe
concorrere a rafforzare quel clima di rinnovato impegno edilizio che tra fine VIII-prima metà del IX secolo
sembrerebbe investire in forme e modalità differenti le
zone centrali della città, ritessendone l’ordito urbanistico.
Si pensi ad esempio alla creazione nel Foro di Cesare
di grandi orti urbani con annesse strutture di servizio in
legno, o alla lottizzazione del Foro di Nerva in cui
domus solarate si accompagnano a frutteti ed orti lungo
un percorso acciottolato che attraversa trasversalmente
DELOGU 2001, pp. 3-18.
DELFINO, DE LUCA, MINNITI et alii 2013.
47
Comunicazione personale di Paola Baldassarri
48
Cfr. il contributo di L. Vendittelli e M. Ricci in questo stesso
volume.
CECI c.s.
Sul significato delle calcare e del recupero di materiali antichi nell’ambito dell’attività edilizia della città si veda l’intervento
di R. Santangeli Valenzani in questo volume. Sulle calcare in generale, vd., da ultimo, TRAINA 2013.
45
46
49
50
170
MIRELLA SERLORENZI - GIOVANNI RICCI
l’antico spazio forense, solo per citare i casi più importanti attestati nelle vicinanze 51.
L’impulso costruttivo dato dalla cosiddetta rinascita
carolingia, esito di mutate condizioni politiche e di
nuove relazioni economiche, parrebbe subire nei contesti qui presi in esame una battuta d’arresto alla metà
del IX secolo, anche a causa dei drastici esiti del terremoto dell’847/48 che in questo settore della città provocarono una sensibile alterazione del paesaggio. A
partire da questo periodo e sino a tutto l’XI secolo, infatti, non si hanno nei cantieri analizzati segni di rinascita. Valutare l’impatto che fenomeni di ordine naturale
possono aver avuto nel determinare di volta in volta la
fisionomia di una città è tematica che esula dal presente
contributo; si può, tuttavia, constatare come intorno alla
metà del IX secolo il paesaggio dell’area centrale di
Roma doveva presentarsi molto difforme dal punto di
vista altimetrico, connotato da zone sensibilmente elevate dovute alle macerie non rimosse degli edifici crollati, alternate a settori piuttosto depressi, alcuni dei quali
soggetti a fenomeni di impaludamento, dove era più facile impiantare nuove costruzioni. Solo quando, con la
piena età medievale, vennero progressivamente appianati questi dislivelli, si riscontrano nuovamente indicatori di produzione nei siti investigati.
Tra X e XII secolo, la città vive un grande incremento sia dal punto di vista urbano, testimoniato dall’andamento in crescita del mercato immobiliare
ricostruibile dai documenti di compravendita o di affitto, sia dalle relazioni socio-economiche che caratterizzano la vita cittadina in questo arco cronologico 52.
A questo proposito è utile menzionare la massiccia presenza di artigiani che si organizzano in scholae a partire dall’anno Mille. In questo periodo, tuttavia, l’area
di piazza Venezia non restituisce testimonianze archeologiche evidenti ad eccezione dei cunicoli e delle
attività di ruberia dei materiali da costruzione che testimoniano comunque il loro riutilizzo in nuovi cantieri
edilizi 53.
Nel XII-XIII secolo si collocano le tre calcare scavate all’interno degli strati di crollo delle aule adrianee
scoperte nel cantiere di piazza della Madonna di Loreto. In questo caso però il contesto di rinvenimento è
radicalmente differente da quello offerto secoli prima
MENEGHINI 2009, pp. 201-203.
52
HUBERT 1990; WICHKAM 2013.
53
A tale proposito si veda il contributo di R. Santangeli Valenzani in questo stesso volume.
54
Si veda il contributo di J.-C. Maire Viguer in questo stesso volume.
51
dalla fornace messa in luce nel sito di piazza Venezia.
I forni da calce sono collocati in un’area libera da costruzioni e prossima all’attuale piazza Venezia e al Foro
di Traiano, in cui si assiste proprio in questo periodo
all’edificazione di numerose unità abitative, di cui, oltre
alle testimonianze archeologiche, resta ampia traccia
nella documentazione scritta. Probabilmente, le fornaci
in questione possono aver soddisfatto in parte il fabbisogno di calce necessario alla realizzazione di questi
complessi; il luogo di rinvenimento pertanto va identificato come una delle aree di cantiere in cui si approntò
il materiale necessario alla costruzione dei nuovi caseggiati bassomedievali.
È evidente che, a partire da questo periodo, in cui la
documentazione storica è piuttosto puntuale ed abbondante, lo scopo degli indicatori archeologici sia quello
di chiarire, con maggior precisione e dettaglio, l’organizzazione materiale e pratica delle diverse attività artigianali e del contesto produttivo, fornendo così un
ulteriore contributo alla lettura integrale di questo periodo.
Nel XIV secolo le attività produttive vengono nuovamente ad interessare il sito di piazza Venezia, come
documentato dalla comparsa di un laboratorio per la produzione del vetro allestito all’interno di una delle precedenti abitazioni d’età medievale.
Roma ha ormai assunto i connotati tipici delle altre
città medievali senza, tuttavia, rinunciare mai integralmente al legame con la città classica che in vari modi
viene ricordata e riproposta. La floridezza dei commerci eleva il livello sociale degli artigiani che possiedono strumenti per svolgere un lavoro autonomo e
godono, in molti casi, di una certa agiatezza che li vede
proprietari di una o più abitazioni 54.
Parrebbe dunque che la città, anche quando tra la fine
del VII e l’VIII secolo vive momenti di crisi profonda
(e la produzione è forse più orientata verso il consumo
quotidiano), ha sempre conservato, per diverse ragioni,
la sua natura urbana e una organizzazione cittadina
volta a rispondere a bisogni culturali e commerciali
complessi e sofisticati.
Bibliografia
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001 = M.S. ARENA, P. DELOGU, L. PAROLI, M. RICCI, L. SAGUÌ, L. VENDITTELLI (a
cura di), Roma dall’Antichità al Medioevo. Archeologia
e storia nel Museo Nazionale Romano Crypta Balbi,
Roma 2001.
MANACORDA 2001 = D. MANACORDA, Crypta Balbi. Archeologia e storia di un paesaggio urbano, Milano 2001.
UN EXCURSUS DIACRONICO (VI-XIV SEC.) ATTRAVERSO GLI INDICATORI DELLA PRODUZIONE, PROVENIENTI DAGLI SCAVI DELLA METRO C
MANACORDA 2002 = D. MANACORDA, Un nuovo frammento
della Forma urbis e le calcare romane del Cinquecento
nell’area della Crypta Balbi, in MEFRA, 114, 2002, pp.
693-715.
RICCI 2001a = M. RICCI, La produzione di merci di lusso e
di prestigio a Roma da Giustiniano a Carlomagno, in
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, pp. 79-87.
RICCI 2001b = M. RICCI, Produzioni di lusso a Roma da Giustiniano I (527-565) a Giustiniano II (685-695): l’atelier
della Crypta Balbi e i materiali delle collezioni storiche,
in ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, pp. 331-428.
RICCI 2012 = M. RICCI, Rome-Byzantium Affinity and Difference in the Production of Luxury Goods, in B. BÖHLENDORF-ARSLAN, A. RICCI (a cura di), Byzantine small finds
in archaelogical context, in Byzas, 15, 2012, pp. 1-16.
SAGUÌ 1990a = L. SAGUÌ (a cura di), L’esedra della Crypta
Balbi nel medioevo (XI-XV secolo), Firenze 1990.
171
SAGUÌ 1990b = L. SAGUÌ, Lo scavo, in SAGUÌ 1990a, pp. 60
ss.
SAGUÌ 1993 = L. SAGUÌ, Crypta Balbi (Roma): conclusione
delle indagini archeologiche nell’esedra del monumento
romano. Relazione preliminare, in AMediev, 20, 1993, pp.
409-418.
SAGUÌ, MANACORDA 1995 = L. SAGUÌ, D. MANACORDA, L’esedra della Crypta Balbi e il Monastero di S. Lorenzo in
Pallacinis, in QuadAEI, 12, 1, 1995, pp. 121-134.
BIRINGUCCIO 1540 = V. BIRINGUCCIO, De la pirotecnia, Libri
X, Venezia 1540.
VENDITTELLI 2004 = L. VENDITTELLI, Roma dall’Antichità al
Medioevo, II. Contesti tardo antichi e altomedievali, Milano 2004.
VENDITTELLI 2014 = L. VENDITTELLI, Il quartiere antico a est
della Crypta Balbi, in L. VENDITTELLI (a cura di), Crypta
Balbi. Guida, Milano 2014, pp. 49-60.
PRODUZIONI ARTIGIANALI NELLA BASILICA HILARIANA
SUL CELIO FRA TARDA ANTICHITÀ E ALTO MEDIOEVO
Maria Elena Calabria, Daniela Ferro, Paola Palazzo, Marina Parenti, Tamara Patilli,
Carlo Pavolini, Ida Anna Rapinesi, Lucia Saguì
Introduzione
La pubblicazione definitiva degli scavi della Basilica Hilariana nell’Ospedale Militare Celio, apparsa
pochi mesi prima del convegno su ‘L’archeologia della
produzione a Roma’ 1, ci esime dal riproporre qui un inquadramento generale dell’edificio e della sua vicenda
edilizia, stratigrafica e storico-religiosa. Tuttavia, per
mera comodità si può riprodurre (fig. 1) uno stralcio della
planimetria della sommità del colle, planimetria già
edita in precedenza, ma ripubblicata con leggere modifiche in quel volume 2. È doveroso avvertire che, per
ciò che riguarda la Basilica (Saggio III), si tratta di una
pianta cumulativa di fine scavo delle sole murature, le
quali appartengono quindi a fasi diverse, e non hanno
necessariamente ‘convissuto’ le une con le altre.
Detto questo, anche per l’estrema ristrettezza dello
spazio disponibile tratteremo solo delle fasi nelle quali
sono maggiormente presenti quelle realtà materiali che
rinviano con certezza ad attività manifatturiere, che si
tratti sia di strutture e di elementi stratigrafici ‘orizzontali’ ad esse collegate (strati, pavimenti, battuti,
ecc.), sia di interri e scarichi contenenti scarti di lavorazione e altri indicatori di produzione. Questi ultimi
saranno un po’ più ampiamente discussi nelle sezioni
che seguono, suddivisi per classi di materiali e per tipologie di reperti.
È noto che l’edificio quale oggi lo vediamo (sia pure
mal conservato), a partire dalla sua fase d’impianto dell’età di Antonino Pio 3 fu destinato a fungere da schola
collegiale della confraternita dei dendrophori, addetti al
culto della Magna Mater e – in modo particolare – di
Attis 4. Elementi di carattere religioso vennero quindi
introdotti, con ogni probabilità, nell’assetto architettonico del pianterreno (la sola parte della Basilica che ci
sia nota), accanto agli spazi destinati alla vita del collegio, alla rappresentanza, alle attività di servizio: ma
– per i motivi di cui sopra – non è il caso di diffondersi
nuovamente su questi dati, già ampiamente divulgati.
Venendo invece alle cose che ci interessano più direttamente, la Fase 3 – databile attorno alla prima metà
del III secolo 5 – vide l’inserimento, nei vani Sud-Est
della Basilica (che nell’impianto antonino originario
avevano avuto la funzione di ambienti e corridoi di servizio), di installazioni palesemente funzionali ad attività artigianali (figg. 2-3 e tav. 00). Si tratta di
alloggiamenti per fistulae (e ci sono resti di vasche, che
confermano la consistente presenza di apprestamenti
idraulici); di strutture realizzate nell’Ambiente XIII,
con muretti laterizi e piano di cocciopesto; di dolia defossa nei pavimenti.
Non deve sorprendere la presenza di simili impianti
artigianali 6 in una sede associativa di una corporazione
a carattere cultuale come i dendrofori. Va detto infatti che
PALAZZO, PAVOLINI 2013.
Ibidem, pianta a p. 12.
3
Fase 2. Prescindiamo qui dalla Fase 1, databile con probabilità
all’epoca giulio-claudia e nella quale si ipotizza l’esistenza di una
prima schola dei dendrofori (v. ibidem, pp. 52-57, 431-35).
4
Per le sicure prove in tal senso, v. ibidem, pp. 20-27, 57-67,
443-54 (e passim).
5
Ibidem, pp. 67-72, 475-77. Può sembrare strano che in un convegno dedicato ai secoli V-XV noi prendiamo le mosse da testimonianze che risalgono al III, ma era difficile evitarlo: come vedremo,
infatti, le attestazioni di attività manifatturiere nel nostro edificio risultano cronologicamente scaglionate – sia pure con alcune interruzioni, o lacune di evidenza – dalla fase in esame fino alla metà
del V secolo almeno, e ciò anche per quel che riguarda i beni prodotti, o parte di essi.
6
Dei quali, per questa fase, non siamo in grado di individuare i
prodotti, per l’inesistenza – o la difficoltà di individuazione – di quei
reperti di natura ‘tecnologica’ che permetteranno invece di farsi un quadro abbastanza preciso delle lavorazioni databili nelle fasi 4 e 5 (infra,
pp. 00). E la cosa si spiega, perché le installazioni della Fase 3 furono
oggetto di spoliazioni (descritte subito sotto); in ogni caso non sem-
1
2
174
M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
Fig. 1. - Pianta della Basilica Hilariana (Saggio III) e dei rinvenimenti archeologici
circostanti nell’Ospedale Militare Celio (da Palazzo, Pavolini 2013).
questi ultimi avevano conservato il loro
probabile, precedente carattere di collegio
di boscaioli, lavoratori forestali, commercianti del legno 7, etc., anche dopo essere
stati ufficialmente costituiti – dall’imperatore Claudio – in confraternita di addetti al culto di Attis e del pino sacro a
questo dio, momento che sembra anche
aver coinciso con l’assunzione della
nuova denominazione grecizzante di dendrophori 8. Ma, anche al di là delle connotazioni peculiari di tale collegio, sono in
realtà frequenti – in età romana – i casi di
templi e santuari che facevano fronte alle
proprie spese anche mediante le rendite
derivanti da attività economiche (investimenti immobiliari, manifattura, piccolo
commercio, etc.), o gestendole diretta-
Fig. 2. - Basilica Hilariana, pianta della Fase 3 (da Palazzo, Pavolini 2013).
brano essere documentati, nel perimetro dello scavo, consistenti strati
di scarico riferibili all’attività di questa ‘prima ondata’ di officine.
7
Verosimilmente col nome di lignarii (AURIGEMMA 1910).
8
È naturalmente impossibile scendere qui in dettagli, anche a
proposito della complessa problematica storica che fa da sfondo a
questi processi, ma (oltre al classico GRAILLOT 1912, pp. 266-68)
vd. più di recente DIOSONO 2008a, DIOSONO 2008b, pp. 81-83, e PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 429-31 e nota 47.
PRODUZIONI ARTIGIANALI NELLA BASILICA HILARIANA SUL CELIO FRA TARDA ANTICHITÀ E ALTO MEDIOEVO
175
mente, o più spesso affittando a soggetti
‘terzi’ i relativi locali: basti pensare a
Ostia, città per la quale abbiamo sicure
evidenze in merito 9, accanto a ipotesi
meno facilmente dimostrabili, ma comunque interessanti 10.
Nella Fase 4a (verso la metà del III secolo) 11 le attività nei vani sud-est proseguono, ma in tale periodo sono
documentati solo interventi di momentanea spoliazione (ci sono fosse di asportazione dei manufatti preesistenti), ai fini
di una qualche ristrutturazione degli impianti artigianali. Questa, infatti, si verifica senza soluzione di continuità, a
cominciare da nuovi livellamenti della
quota di calpestio, databili nel corso della Fig. 3. - Basilica Hilariana, Fase 3, Amb. XIII. Resti di struttura con muretti laterizi e
piano di cocciopesto (da Palazzo, Pavolini 2013).
stessa fase.
Nella Fase 4b, databile con probabici interessa, ma a monte c’è un decisivo evento che qui
lità – limitatamente alle Attività che ci interessano – entro
mi è possibile solo ricordare di sfuggita: la costituzione
la seconda metà del III secolo (figg. 4-5 e tav. 00) 12, si
imperiale del 415, con cui Onorio requisisce i beni dei
ha, negli stessi settori sud-orientali del pianterreno,
dendrofori (e di altri organismi cultuali pagani). Al di
quella che potremmo chiamare una ‘seconda ondata’ di
là delle rilevanti implicazioni storiche del provvediimpianti a carattere manifatturiero. Sono attestate ad
mento 15, ciò vuol dire che da questo momento in poi
esempio nuove vasche rivestite di cocciopesto idraulico
la Basilica Hilariana non è certamente più tale: in altre
(nell’ex-corridoio XI, che ormai va definito così, perparole, non è più la sede dei dendrophori intesi come
ché non è ovviamente più percorribile come spazio di
collegio religioso, né è più un luogo nel quale fosse perdisimpegno), mentre nell’Ambiente XIV sono attestati
messo svolgere riti in onore di Cibele e Attis.
livelli con tracce di combustione e di lavorazione e una
L’editto onoriano prevede un trasferimento degli impiccola fornace in una fossa (US 5237), a sua volta rimobili delle confraternite disciolte al demanio imperiale:
cavata entro una precedente vasca. È questa la prima
possiamo solo vagamente immaginare che – nel caso spedelle fasi per le quali disponiamo anche di dati di lacifico – a questo atto abbia fatto seguito una locazione
boratorio riguardo ai materiali che venivano prodotti 13.
di parte degli spazi a nuovi soggetti privati 16, ma non abVa tenuto ben presente che, in base a tutti gli elementi
biamo alcuna prova di ciò, né di chi potesse trattarsi, né
a noi noti, in tale periodo l’edificio è ancora saldamente
delle modalità giuridiche concrete di tale eventuale affiin mano ai dendrofori come loro schola di riunione e
damento. La sola cosa sicura è che le trasformazioni che
di culto (e, per inciso, tale situazione non sembra camriscontriamo in questa fase nell’edificio furono operate
biare fino alla fine del IV secolo, se non agli inizi del
– ancora una volta – per finalità manifatturiere, ma in un
V).
quadro profondamente diverso dal passato.
In seguito, però, le cose mutano radicalmente. La
In sintesi, si verifica una sorta di inversione delle deFase 5, ben databile nei decenni centrali del V secolo 14,
stinazioni d’uso, per la quale alcuni vani dell’ala sud
mostra infatti nuovi sviluppi dal punto di vista che qui
Cfr., per fare un solo esempio, il caso dell’edificio di culto degli
stuppatores (HERMANSEN 1982).
10
MAR 1996.
11
PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 73-75, e – sulla Fase 4 nel suo
insieme (4a e 4b), con le connesse realtà di natura manifatturiera –
pp. 478-484.
12
PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 76-82.
9
13
Vd. infra la sezione del presente contributo che si deve a Daniela Ferro e Ida Anna Rapinesi.
14
PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 89-94, 484-86.
15
Ibidem, pp. 486-89.
16
L’ipotesi che si trattasse sempre dei dendrofori, ma ora come
mera corporazione di mestiere (e non più anche religiosa), è possibile, ma molto incerta e non dimostrabile: viene più ampiamente
discussa ibidem, pp. 488 s.
176
M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
Fig. 4. - Basilica Hilariana, pianta della Fase 4b (da Palazzo, Pavolini 2013).
(già probabili salette di rappresentanza del collegio) 17
diventano ora sedi di piccole installazioni artigianali:
per riprendere la metafora già utilizzata nei capoversi
che precedono, potremmo chiamarla la ‘terza (e ultima)
17
Erano state create nella Fase 3 (cfr. ibidem, pp. 67-70, 476 s.),
come risultato del frazionamento dello spazio unico – scandito da
pilastri – che nell’impianto originario della Basilica (Fase 2) aveva
costituito una probabile aula o ‘loggia’ di riunione dei dendrofori.
PRODUZIONI ARTIGIANALI NELLA BASILICA HILARIANA SUL CELIO
ondata’ degli interventi edilizi a carattere manifatturiero (fig. 6 e tav. 00). Abbiamo ad esempio, nell’Ambiente VII, la probabile impronta di un forno circolare
(fig. 7) e i resti di una vasca con rivestimento idraulico,
che venne realizzata sopra le pavimentazioni musive precedenti; nell’Ambiente IX, l’impronta di un’altra vasca
che poi, in una fase ancora successiva, verrà rimossa,
e inoltre – nei diversi spazi – lacerti di cocciopesto, piani
di lavorazione con residui di calce.
Viceversa, quei vani del settore sud-orientale – già
locali di servizio – che a partire dal III secolo erano stati
adibiti a scopi manifatturieri, come sappiamo, diventano
ora spazi di scarico e di sgombero dei rifiuti e degli scarti
delle officine appena descritte.
Anche per questa Fase 5, come per la precedente,
disponiamo di alcuni dati sugli ‘indicatori di produzione’
(stavolta nel senso dei reperti mobili), dati desumibili
dalle analisi di laboratorio condotte da Ferro e Rapinesi
e dalle osservazioni di M. Parenti e L. Saguì 18.
18
Su tutto questo cfr., infra, i contributi delle autrici citate, ma
anche le brevi considerazioni esposte subito sotto, alla fine della
presente introduzione.
Fig. 5. - Basilica Hilariana, Fase 4b, Amb. XIV. Fornace ricavata
all’interno di una vasca preesistente (da Palazzo, Pavolini 2013).
Fig. 6. - Basilica Hilariana, pianta della Fase 5 (da Palazzo, Pavolini 2013).
178
M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
il pozzo di scarico citato è l’unica
attestazione stratigrafica individuata dallo scavo entro il perimetro dell’edificio.
Questo discorso vale, del resto,
anche per il rimanente materiale
ceramico della fossa 5334 (sicuramente non di scarto), brevemente descritto nello stesso
contributo. Sia per l’ipotetica zona
di produzione, sia per l’insediamento nel quale venivano comunque utilizzati i vasi di IX-XI
secolo da noi rinvenuti, si potrebbe pensare all’esistenza di ridotte comunità raccolte intorno
alle grandi fondazioni cristiane –
ecclesiali e monastiche – sorte nel
frattempo in questo settore del
Fig. 7. - Basilica Hilariana, Fase 5, Amb. VII. Impronta di probabile forno circolare entro un
Celio, e in tal caso la direzione più
piano pavimentale preesistente (da Palazzo, Pavolini 2013).
probabile verso la quale rivolgersi
Non ci si occuperà nel dettaglio della Fase 6 e di
sembra quella dei non lontani SS. Quattro Coronati 22.
quelle successive 19, con le quali la lunga vicenda produttiva
Si tratta però di supposizioni per ora molto incerte.
che abbiamo fin qui seguito giunge ad un termine, e nel
Facendo un passo indietro, e tornando al periodo
pianterreno della ex Basilica non c’è più nessuna traccia
compreso fra la seconda metà del III e il pieno V sedi impianti del genere. Infatti le fasi citate comprendono
colo, se ci basiamo sui contributi di D. Ferro e I. Rascarichi e interri che si formano entro la seconda metà del
pinesi, di M. Parenti e di L. Saguì 23 possiamo ipotizzare
VI secolo, alcuni ultimi interventi edilizi eseguiti con tecche almeno alcune produzioni si siano svolte nel nostro
niche molto rudimentali e finalizzati alla precaria rioccuedificio in un quadro di continuità, o che – se momenpazione abitativa di parte degli spazi, isolati episodi di
taneamente interrotte – siano state poi riprese, nonostante
seppellimento e – come esito finale – il crollo delle muil probabile variare nel tempo dei soggetti che erano adrature dell’edificio, agli inizi del VII secolo.
detti a tali lavorazioni.
Un’ultima manifestazione di vita e forse di attività
Questo si nota seguendo l’ordine cronologico delle
artigianale, sporadica e isolata, si avrà poi con il pozzo
fasi, in modo ‘trasversale’ rispetto alle classi dei matedi scarico contenente ceramica del IX-XI secolo (Fase
riali rinvenuti. Nella Fase 4a, allorché sappiamo che sono
9) 20. Le autrici avanzano in forma dubitativa l’ipotesi
documentati – riguardo alla stratigrafia ‘orizzontale’ –
che – nell’ambito di questo rinvenimento – alcuni requasi solo interri per livellamenti, non abbiamo molte
perti possano essere considerati scarti di lavorazione 21,
testimonianze di natura ‘tecnologica’. Quanto ai vetri 24,
e aggiungono che l’area dove si svolgevano tali evenc’è molto poco, e anche di interpretazione incerta, mentuali processi produttivi non può essere al momento identre un’eccezione è rappresentata dagli aghi crinali, dei
tificata. Essa doveva semmai trovarsi nei pressi della
quali si ipotizza una lavorazione nei vani ex di servizio
ex Basilica Hilariana, ma esternamente ad essa, poiché
del settore sud-est della Basilica 25. Dalle tabelle e dagli
PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 121-160, 489-92.
20
Ibidem, pp. 160-165 (si tratta dell’Attività 28, costituita dalla
fossa US 5334 e dal suo riempimento, US 5335). Il materiale è stato
esaminato da M. E. Calabria e T. Patilli per cui infra, pp. 00.
21
Per le motivazioni, vd. infra, pp. 00.
22
Su tutto questo cfr., un po’ più ampiamente, PALAZZO, PAVOLINI 2013, p. 504.
23
Cfr. infra, pp. 00.
19
Vd. infra il contributo di Lucia Saguì, pp. 00.
Vd. infra, pp. 00, per le motivazioni dell’ipotesi (che si estende
anche ad altri manufatti in osso o in avorio quali gli elementi rettangolari per possibili cornicette: cfr. PALAZZO, PAVOLINI, fig. 11).
Alle considerazioni ivi esposte va aggiunto l’alto numero globale
degli esemplari rinvenuti (ben 189), difficilmente spiegabile se non
pensando ad una fabbricazione in loco, visto che si tratta di oggetti
per la cosmesi femminile e che il contesto dello scavo non rinvia
ad un complesso abitativo.
24
25
PRODUZIONI ARTIGIANALI NELLA BASILICA HILARIANA SUL CELIO FRA TARDA ANTICHITÀ E ALTO MEDIOEVO
179
istogrammi inseriti nel contributo di Marina Parenti si
desume, infatti, che un numero consistente di spilloni
in osso è stato rinvenuto nei livelli della Fase 4a: non
è escluso che tali reperti vadano interpretati come residui delle prime installazioni artigianali, appartenenti
alla Fase 3, installazioni che sembrano invece assenti
nella Fase 4a 26.
Gli indicatori di produzione si infittiscono in modo
molto rilevante quando si passa alla Fase 4b (seconda
metà del III secolo), e ciò appare logico, poiché si
tratta del periodo al quale risale la ‘seconda ondata’
degli impianti artigianali 27. Ad un’attestazione di aghi
crinali numericamente molto maggiore di quella della
fase precedente 28 si aggiungono la maggior parte dei
reperti ‘tecnologici’ studiati da Daniela Ferro e Ida
Anna Rapinesi. Stratigraficamente essi appaiono concentrati, esclusivamente o quasi, nell’Attività 14, topograficamente negli ambienti XIII e XIV del settore
sud-orientale del pianterreno, e rinviano ad attività metallurgiche (crogioli, scorie, residui di processi fusori,
etc.) e alla produzione di coloranti e pigmenti, da usare
sia in pittura 29, sia nei procedimenti di fabbricazione
del vetro 30.
Nella Fase 5, risalente alla metà del V secolo, gli indicatori di produzione non scompaiono certo (siamo in
corrispondenza della citata ‘terza ondata’ degli impianti
manifatturieri): essi sembrano però diminuire quantitativamente, anche in misura notevole. Le campionature
dovute a Daniela Ferro e Ida Anna Rapinesi annove-
rano, per questo periodo, ancora tracce della lavorazione
dei coloranti, ma per il resto quasi solo frammenti di
lastre di colore verde, caratterizzate da elementi tipici
della composizione di masse di natura vetrosa (Ambiente
XII, Attività 18). Peraltro Lucia Saguì, inquadrando con
opportuna prudenza 31 le informazioni relative alla produzione di vetri nel nostro edificio e nei suoi dintorni
(una circostanza che, da molti indizi convergenti, appare comunque probabile), per la Fase 5 si concentra
soprattutto sulla grande quantità di tessere vitree di mosaico qui rinvenute, sviluppando un’interessante ipotesi
di connessione con la coeva costruzione della vicina basilica di S. Stefano Rotondo.
Stando così le cose, l’altra attività che con forte
verosimiglianza sembra proseguire nel V secolo è
quella della produzione di aghi crinali in osso 32: il
buon numero di esemplari attestati fa pensare che si
tratti di manufatti ‘in fase’ e non di residui 33, e che
alcuni tipi di spilloni venissero tuttora fabbricati nella
ex Basilica.
Con tutte le cautele del caso, si può concludere – come
del resto già accennato, ma ora con maggior cognizione
di causa – in favore di una continuità o di una ripresa di
almeno alcune produzioni, che sembrano documentate sia
nelle fasi in cui la Basilica era ancora la schola collegiale
dei dendrofori, sia nel periodo in cui i beni di questi ultimi erano stati requisiti e la destinazione d’uso dell’immobile era cambiata.
(P.P.,C.P.)
Su tutto questo, vd. supra, pp. 00.
Cfr. supra, pp. 00.
28
È utile, a questo punto, rinviare al grafico 1 che correda il testo
di M. Parenti. L’istogramma deriva da una rielaborazione dei dati
forniti dall’autrice e prende in considerazione solo i tipi di aghi che,
in almeno una delle fasi, risultavano rappresentati da più di due esemplari. Un primo esito dell’esperimento è forse scontato: i tipi maggiormente presenti sono quelli di più semplice e standardizzata
lavorazione, cioè quelli a testa rotonda o ovoidale. Meno ovvio un
altro dato: la variante tipologica più attestata in assoluto, a testa ovoidale piccola e bassa (Tipo 8), è proprio quella i cui esemplari apparivano – in parecchi casi – non perfettamente levigati e con la
testa intagliata in modo grezzo (cfr. anche Parenti in PALAZZO, PAVOLINI 2013, p. 294). Si tratta di una morfologia molto diffusa in
generale, spesso prescelta – per la sua semplicità – da artigiani non
specializzati e probabilmente prodotta a livello locale, come è quasi
certo nel nostro caso.
29
Viene da chiedersi se simili sostanze fossero utilizzate anche
nel corso delle ristrutturazioni edilizie che a più riprese coinvolsero
la Basilica stessa, e che certamente compresero decorazioni o ridecorazioni pittoriche (ve ne furono, in particolare, proprio nella Fase
4b in esame: cfr. ibidem, p. 76). La cosa è probabile, ma è anche
verosimile che le sostanze coloranti – così come gli altri manufatti
prodotti nell’edificio – venissero vendute nelle botteghe forse di proprietà dei dendrofori (supra, pp. 00), ad uso degli abitanti del quartiere circostante.
30
Può sorprendere la presenza di artigiani dell’osso e dell’avorio, dei metalli, dei coloranti, forse del vetro, in periodi (le
fasi 3 e 4) nei quali – come sappiamo – la Basilica era saldamente
in mano ai dendrofori, che sul versante ‘professionale’ erano semmai degli specialisti del legno. E non hanno nulla a che fare con
questo discorso i numerosi frammenti di legno, combusti o meno,
rivelati dalle analisi di laboratorio (vd. Ferro e Rapinesi, infra, pp.
00), perché l’uso del fuoco era necessario nel corso di tutte le lavorazioni citate. La spiegazione è un’altra, e ci rimanda all’’alleanza’, ben nota dalle fonti, fra i dendrofori e altri organismi
collegiali, anche a carattere artigianale (questione più ampiamente
trattata PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 481-84), o forse – più semplicemente – al fatto che i locali ex di servizio della Basilica potevano venir concessi in affitto ad altri e autonomi soggetti, come
già accennato.
31
E riprendendo – e in alcuni casi discutendo – i dati e le conclusioni edite da Maria Adamo (ibidem, pp. 83-86, 111-17, 142-44,
248 s.), della quale non è stato possibile includere un contributo nei
presenti Atti.
32
Cfr. infra, pp. 00, con particolare riguardo alle tabelle e al grafico 1.
33
Il che invece è praticamente certo per i pochissimi aghi documentati nella Fase 6, allorché, come si è già detto, l’edificio era in
corso di dismissione e di spoliazione e non era più sede di officine
artigianali.
26
27
180
M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
Produzioni manifatturiere negli ambienti di servizio
della Basilica Hilariana
Il rinvenimento negli ambienti di servizio basilicali
denominati XII, XIII e XIV di vasche in cocciopesto
e di un piano di lavorazione con tracce di combustione
ha dato luogo ad una indagine conoscitiva, destinata a
caratterizzare i diversi materiali messi in luce e porli
in relazione alle attività produttive. Durante la prima
fase del lavoro è stata eseguita direttamente sul deposito archeologico, all’interno di tutti e tre gli ambienti,
una campionatura dei materiali oggetto dell’indagine,
da cui sono stati selezionati quarantasei prelievi, perlopiù provenienti dall’Ambiente XIV. In esso sono state
differenziate alcune aree per la localizzazione dei prelievi, identificate con le lettere A, B, C, D, E, F, G (fig.
8).
Secondo il criterio di campionamento adottato, sono
state prelevate sostanze sia dai sedimenti che per colore e morfologia presentavano caratteristiche nettamente differenti dalla terra di scavo, sia dai reperti
mobili rinvenuti in questi ambienti, successivamente rimossi e conservati presso il deposito provvisorio all’interno dell’Ospedale Militare Celio, denominato
Antiquarium nelle tabelle che seguono. Tutte le sostanze
prelevate sono state preliminarmente osservate al microscopio ottico, per effettuare una ulteriore microcampionatura in base alla omogeneità dei materiali
componenti e quindi individuare le tecniche specifiche
di analisi a cui sottoporle.
L’utilizzo di tecniche analitiche basate su differenti
metodi ha permesso di fare confronti e/o integrazioni
per la definizione della composizione dei singoli materiali, evidenziando così un ottimo accordo tra dati ricavati da strumentazioni differenti:
- analisi diffrattometrica ai raggi X di polveri per campioni microcristallini (XRD)
- microscopia a scansione elettronica (SEM) per l’evidenziazione delle caratteristiche morfologiche
- microanalisi elettronica a dispersione di energia, per
analisi qualitativa e quantitativa degli elementi (EDS).
Le molteplici attività produttive praticate sono state
attestate dai risultati analitici e articolate nei diversi
ambienti.
Ambiente XII
In questo ambiente, nella Fase 5, Attività 18, US
5021, nell’area denominata in fig. 8 sono state osser-
Fig. 8. - Basilica Hilariana. Pianta degli Ambienti XII, XII, XIV,
con localizzazione dei prelievi.
vate le maggiori concentrazioni di parti vetrose, oltre a
recipienti fittili in diverso stato di conservazione contenenti residui di sostanze (tab. 1).
Campioni nn. 1, 2, 3: i residui prelevati all’interno
di recipienti fittili – due pareti di anfore non meglio specificabili e uno spatheion – sono costituiti da sostanze
di natura cristallina quali quarzo, calcite, analcime,
diopside, muscovite, con le quali si ipotizza venisse preparato una sorta di composto base per la preparazione
di colori; nello specifico, la calcite era usata come componente per l’impasto e il quarzo per conferire ad esso
brillantezza.
Campione n. 26: frammenti di lastre di colore verde,
molto decoese, caratterizzate alla microsonda dalla presenza di elementi quali silicio, calcio, alluminio, manganese, sodio, potassio, tipici della composizione delle
masse di natura vetrosa, dato quest’ultimo confermato
dall’assenza di esiti all’analisi XRD, propria di sostanze
di natura amorfa.
DESCRIZIONE
CAMPIONI
AMBIENTE
PRELIEVO
PRELEVATI
CONTENUTO
1
SPATHEION
COMPOSIZIONI MEDIE
CARATTERIZZAZIONE
Micronalisi EDS in ossidi
SPECIE MINERALOGICHE
(% in peso)
Diffrazione X (*)
Qz, Ca, An. Diop. Musc.
XII
Antiquarium
2
CONTENUTO ANFORA
XII
Antiquarium
Qz, Ca, An. Diop. Musc.
3
CONTENUTO ANFORA
XII
Antiquarium
Qz, Ca, An. Diop. Musc.
SiO2 (77), Al2O3 (12),
26
LASTRA VERDE
XII
MgO(1.5), FeO
Antiquarium
(0.7),CaO (5), Na2O (2),
K2O (1.8)
Tabella 1
Ambiente XIII
In questo ambiente, nella Fase 4b, Attività 14, US
5054, nell’area denominata in fig. 8 sono stati individuati reperti con superficie porosa e evidenti esiti di
sbollitura, identificati alle analisi come scorie metalliche (campione n. 4, fig. 9), parti di crogiolo con scorie
(n. 5), tondelli metallici (n. 6), tutti con tracce residue
di processi fusori di leghe a base di rame, con la presenza di ossidi e cristallizzazioni caratteristiche (tab. 2).
La testimonianza di una attività che includeva processi
termici è data dal ritrovamento di residui carboniosi nei
campioni n. 8, n. 9 e n. 10, ancora presenti sulle pareti
interne di recipienti fittili, mentre il campione n. 11 si
riferisce ad un materiale ceramico.
Fig. 9. - Basilica Hilariana, Ambiente XIII: scoria metallica da fusione (in tabella, campione n. 4).
Ambiente XIV
Sono stati trovati qui reperti fittili di diversa dimensione e forma contenenti terre lavorate, mentre altri, con
il fondo arrotondato tipico dei crogioli, mostrano ancora
segni di processi fusori per metalli. Infine alcuni materiali eterogenei sono stati rinvenuti nella Fase 4b, Attività
14, US 5234, soprattutto nell’area denominata A: vetri,
ossa di animali, legni combusti e piccoli oggetti finiti in
osso, quali aghi crinali, pedine, dadi da gioco 34.
Nell’area di campionatura della zona D, Attività 14,
US 5234, sono stati prelevati da frammenti di ceramica
alcuni depositi (campioni nn. 16-18, fig. 10; tab. 3), risultati essere composti soprattutto da ossidi di vari elementi, quali silicio, ferro, manganese, rame, alluminio,
calcio e potassio; la loro composizione e struttura può es-
34
V. infra, in questi stessi Atti, il contributo di M. Parenti).
Fig. 10. - Basilica Hilariana, Ambiente XIV: fondo di recipiente
fittile con deposito di terre colorate e sostanze vetrificate (in tabella,
campione n. 18).
DESCRIZIONE
CAMPIONI
PRELEVATI
PRELIEVO
COMPOSIZIONI MEDIE
Micronalisi EDS in ossidi
(% in peso)
XIII
Antiquarium
verde: CuO (68), SiO2 (20),
Al2O3 (7), CaO (5)
marrone: CuO (53), SiO2 (27),
Al2O3 (7), CaO (13)
XIII
Antiquarium
verde: CuO (84.8), SiO2 (15.2);
marrone: CuO (13), SiO2 (67), SnO2 (20)
DUE TONDELLI
METALLICI
XIII
Antiquarium
verde: CuO (50), SiO2 (6),
CaO (10), P2O5 (34)
marrone: CuO (42.3), PbO (57.7)
MATERIALE
INTERNO
GRANDI
CONTENITORI
XIII
Antiquarium
FRAMMENTO
FITTILE
XIII
Antiquarium
Carbone
9
FRAMMENTO
FITTILE
XIII
Antiquarium
Carbone
XIII
Antiquarium
Carbone
10
PRELIEVO DA
FRAMMENTO
FITTILE A
FORMA
TRAPEZOIDALE
11
PICCOLE MASSE
NERE
XIII
Antiquarium
4
SCORIE
5
PARTI DI
CROGIOLO CON
SCORIE
6
7
8
AMBIENTE
RESIDUI
ORGANICI
CARATTERIZZAZIONE
SPECIE
MINERALOGICHE
Diffrazione X
Qz, Ca, Feld. CuO, An,
SnO2
Qz, Ca, An, SnO2, Ap,
Carbonati .Pl, Diop.
(*) Legenda: An = analcime; Ap: apatite; Ca = calcite; Diop = Diopside; Feld = feldspati; Hem: ematite; Il l= illite; Leu = leucocite; Musc =
muscovite; Qz = quarzo
Tabella 2
DESCRIZIONE
CAMPIONI
PRELEVATI
AMBIENTE
PRELIEVO
16
RESIDUI PRELEVATI
DA FONDO REPERTO
FITTILE
XIV
D
verde: SiO2 50, CuO 32, CaO 14; Al2O3 4
marrone: SiO2 64, CuO 11 Al2O3 11, Na2O 9, MgO 5
17
RESIDUO PRELEVATO
DA FRAMMENTO DI
MANICO FITTILE
XIV
D
SiO2 37.45, Al2O3 10.47, FeO 7.89, Mg O 2.39,
CaO 12.99, Na2O 0.37, K2O 0.64, CuO 17.32 PbO 8.00
18
FRAMMENTO FITTILE
CON TRACCE
VETRIFICATE
XIV
D
COMPOSIZIONI MEDIE
Micronalisi EDS in ossidi
(% in peso)
chiara: SiO2 60.81,Al2O3 13.09, FeO 5.97, MgO 2.76, CaO 8.60, Na2O 3.42,
K2O 1.94, CuO 1.55, PbO 1.88
scura: SiO2 = 53.85, Al2O3 12.30, FeO 4.42, MgO 3.14, CaO 19.02, Na2O
2.63, K2O 1.30, CuO 1.47, PbO 1.54
(*) Legenda: An = analcime; Ap: apatite; Ca = calcite; Diop = Diopside; Feld = feldspati; Hem: ematite;
Ill = illite; Leu = leucocite; Musc = muscovite; Qz = quarzo.
Tabella 3
PRODUZIONI ARTIGIANALI NELLA BASILICA HILARIANA SUL CELIO FRA TARDA ANTICHITÀ E ALTO MEDIOEVO
DESCRIZIONE
CAMPIONI
PRELEVATI
COMPOSIZIONI
MEDIE
Micronalisi EDS
in ossidi
(% in peso)
CARATTERIZZAZIONE
SPECIE MINERALOGICHE
Diffrazione X
AMBIENTE
PRELIEVO
XIV
In situ,
area E
Carboni
di legno
In situ,
area E
Carboni
di legno
19
CARBONCINI +
TERRA COLORE
VERDASTRO
20
FRAMMENTI
LIGNEI
21
FRAMMENTI
COMBUSTI CON
COLORAZIONE
VERDE
XIV
In situ,
area E
Carboni
di legno
22
FRAMMENTI
COMBUSTI
XIV
In situ,
area E
Carboni
di legno
23
FIBRE
XIV
Antiquarium
31
FRAMMENTI
LIGNEI CON
DEPOSITO DI
COLORE VERDE
BRILLANTE
XIV
In situ,
area E
32
FIBRE COLORE
VERDE CHIARO
XIV
In situ,
area E
FIBRE DI
COLORE BRUNO
XIV
In situ,
area E
CaO (33) CuO
(20), P2O5(40),
FeO(7)
Fibre legnose
incombuste
FRAMMENTI
FITTILI CON
RESTI VEGETALI
E FIBROSI
XIV
In situ,
area E
CaO (70), P2O5
(23) FeO (7)
Fibre legnose
incombuste
36
37
XIV
CuO (48), CaO
(32), P2O5 (20)
183
Qz, Ca, Feld.
Fibre legnose
incombuste
Fibre legnose
incombuste
Tabella 4
sere riferibile a coloranti misti a sostanze vetrose, ossia
pigmenti per l’uso sia in pittura che nella produzione vetraria.
Inoltre in questo ambiente, nella zona identificata
con E, sono molto abbondanti nell’area di campionamento residui di combustione, come carboni di legno
(tab. 4). All’interno di questa area si trovava anche un
pozzetto (US 5237, Attività 14, Fase 4b), ove sono stati
rinvenuti resti vegetali (nn. 36, 37) ed una consistente
quantità di depositi di colore verde (n. 31), risultati essere costituiti da composti del rame, impiegati probabilmente come coloranti.
Sempre da quest’area, inoltre, provengono modeste quantità di residui di terre colorate, che alla os-
184
M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
servazione al SEM-EDS si presentano omogenei per
composizione e granulometria, caratteristiche che rimandano ad un processo di lavorazione per macinazione. Si tratta dei materiali campionati con i nn. 24
e 34, costituiti da ossido di ferro (giallo-rosso), e n.
38, da ossido di manganese (bruno).
Particolare infine è il rinvenimento di notevoli
quantità di valve di ostriche, probabilmente destinate
alla macinazione e alla miscelazione con pigmenti, per
aumentarne la brillantezza.
Si può presumere quindi che all’interno dello stesso
ambiente si potessero produrre autonomamente sostanze con funzione di coloranti.
Nel settore denominato F, infine, è stato individuato
un piano di focolare (US 5239, Fase 4b, Attività 14)
sul quale si era compattata una massa costituita da
quarzo, calcio, silicati e fosfati (campioni nn. 43, 45).
In base ai risultati descritti è possibile formulare
l’ipotesi che all’interno dei tre ambienti, nel corso
della loro occupazione (e in particolare nelle Fasi 4 e
5) fossero esercitate attività di officine, attinenti a
varie produzioni: preparazioni di materiali coloranti,
lavorazioni di masse a base vetrosa, fusione di metalli,
testimoniata quest’ultima dalla presenza di frammenti
fittili probabilmente impiegati come crogioli, associati
a residui di fusione e ad una quantità relativamente
grande di scorie di bronzo 35. Infine il ritrovamento 36
di una notevole quantità di aghi crinali in osso e di un
piccolo numero di pedine e di dadi rimanderebbe alla
produzione di un laboratorio per la lavorazione di materiali in osso.
Sempre dall’Ambiente XIV, zona E, proviene un
campione, identificato con il n. 38, di cui si presenta
come esempio il procedimento analitico adottato per
il riconoscimento degli elementi presenti in microaree. Si possono distinguere dei corpuscoli più chiari
di ossido di piombo nella matrice dei composti del
rame. Gli ossidi di rame possono essere introdotti nel
vetro fuso come qualsiasi composto mineralogico,
anche se gli ossidi e i carbonati sono i più usuali in
condizioni ossidanti: gli ossidi di rame colorano il
vetro di blu/verde, a seconda di quali altri modificatori di reticolo siano presenti. Con l’ossido di piombo,
Si tratta delle scorie descritte supra, Ambiente XIII, pp. 00.
36
Vd. il citato contributo di M. Parenti.
37
Sono state utilizzate essenzialmente le suddivisioni proposte
da Béal e dalla Bianchi. Il presente contributo è una rielaborazione
della ricerca già edita dalla scrivente in PALAZZO, PAVOLINI 2013,
pp. 289-295.
35
l’ossido di rame impartisce al vetro una colorazione
verde, con sodio o potassio il colore sarà blu.
(D.F., I.A.R.)
Attività artigianali nel settore meridionale della Basilica Hilariana: gli spilloni in osso e avorio
Negli scavi eseguiti nel settore meridionale della
Basilica Hilariana (1997-1998) sono stati rinvenuti numerosi aghi crinali in osso e avorio (circa 189), dei quali
meno della metà risulta perfettamente conservato: per
il resto si tratta di aghi frammentari, alcuni ancora grezzi
e con tracce di combustione.
Lo studio tipologico di questi spilloni 37 è stato svolto
in modo complementare alla loro contestualizzazione
stratigrafica: sono stati, infatti, analizzati e utilizzati i
lavori sulla stratigrafia e lo studio di tutti gli altri materiali rinvenuti nello scavo 38.
Negli stessi contesti sono stati ritrovati anche altri
sporadici oggetti in osso, tra i quali cucchiaini, spatoline, manici ed elementi decorativi come 4 bacchette scanalate, a sezione quadrangolare, forse elementi non
finiti per piccole cornici (fig. 11). Tutti questi oggetti
risultano di particolare interesse nell’ipotesi che, nel citato settore della Basilica, esistessero ambienti nei quali
venivano prodotti questo tipo di manufatti.
Contestualizzazione stratigrafica
Un discreto numero di spilloni (circa 52) sono stati
rinvenuti negli strati che obliterarono il vano di accesso
al praefurnium (Ambiente VI), e che testimoniano di
un livellamento dei piani di calpestio e di una diversa
destinazione d’uso di alcuni ambienti della parte sud
della Basilica (Fase 4a) 39.
Ad un periodo immediatamente successivo sono
ascrivibili il maggior numero di spilloni (circa 130), rinvenuti negli ambienti XIII e XIV (settore sud-orientale),
negli strati che testimoniano di nuove attività produttive 40. Ciò si può dedurre dallo studio dei materiali ritrovati negli strati di interro che segnarono il definitivo
abbandono dei suddetti ambienti.
Infine, alla seconda metà del VI secolo 41 sono attriPALAZZO, PAVOLIN I 2013, passim.
Cfr. ibidem, p. 75 e nota 84 (metà III secolo), e in questi stessi
Atti, supra, il contributo di P. Palazzo e C. Pavolini.
40
Cfr. supra, pp. 00: Fasi 4b e 5, seconda metà del III-metà del
V secolo.
41
Cfr. supra, pp. 00: Fase 6.
38
39
PRODUZIONI ARTIGIANALI NELLA BASILICA HILARIANA SUL CELIO FRA TARDA ANTICHITÀ E ALTO MEDIOEVO
185
Fig. 13. - Aghi crinali, tipi 6 e 13.
Fig. 11. - Sopra, elementi in osso per possibili cornicette; sotto, aghi
crinali frammentari e (a destra) manico frammentario in osso.
buibili un esiguo numero di spilloni (circa 19), rinvenuti nell’Ambiente X: essi attesterebbero ancora l’esistenza di attività produttive, che fin dalla Fase 5 erano
state, però, spostate nei vani centrali della metà meridionale della Basilica.
Tipologia
Dai confronti tipologici si deduce che la maggior
parte degli spilloni rinvenuti appartiene al tipo con testa ovoidale (Tipo Béal A XX, 8), che è presente in
numerose varianti: quella maggiormente attestata presenta la sommità piccola e bassa (fig. 12) 42: si tratta
di aghi molto diffusi, semplici da realizzare, anche da
artigiani poco specializzati. Discreto è anche il numero di quelli con alta testa ovoidale e sommità appuntita (‘a oliva allungata’) o solo lievemente appuntita
(fig. 13) 43; numericamente più esigui gli esemplari
con testa ovoidale e sommità piatta 44 e quelli tipo II/1
di Birò 45.
Tra gli spilloni rinvenuti, ve ne sono alcuni a testa
Fig. 12. - Aghi crinali, tipo 8.
42
BIRÒ 1987, p. 181, fig. 17, n. 97: type VII; BIANCHI 1995, nn.
17, 20, 39, pp. 60-61.
43
BÉAL 1987, p. 197, n. 372e; BIANCHI 1995, n.68, p. 64; BIRÒ
1987: type I/1; BIANCHI 1995, nn. 71, 101, p. 59.
44
BÉAL 1987, p. 187, n. 372f; BIRÒ 1987: type V; BIANCHI 1995,
n. 117, p. 66.
45
BIRÒ 1987: type II/1; BIANCHI 1995, n. 74, p. 65.
186
M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
Fig. 14. - Aghi crinali, tipo 4.
Fig. 16. - Aghi crinali, tipo 11.
sferica (tipo Béal A XX, 7; fig. 14), un’altra tipologia
molto diffusa nel mondo romano 46, come anche quelli
a testa conica (fig. 15) 47.
Pochi sono gli esemplari riferibili ad altre tipologie:
due spilloni con testa indistinta dallo stelo (tipo Béal A
XX, 2), nelle due varianti (a e b), con sommità piatta
ed a forma di basso cono 48. Tre sono gli esemplari con
testa cilindrica (fig. 16) 49. Vi sono poi uno spillone con
sommità a forma sferica e tre solchi incisi nella parte
superiore dello stelo (Béal A XX, 13) 50; un esemplare
che potrebbe essere confrontato con gli aghi a testa figurata (Béal A XXI, 8) 51; e infine uno spillone a testa
piriforme e parte superiore dello stelo decorata con tre
solchi ed un collarino 52.
Cronologia
Fig. 15. - Aghi crinali, tipo 5.
Le tipologie degli spilloni (tab. 5; grafici 1-2) rinvenuti nella Basilica Hilariana confermano, in gran
parte, le datazioni che ad esse sono state fin qui attribuite dagli studiosi.
Si tratta di tipologie diffuse soprattutto dalla media
BÉAL 1983, A XX, 7; BIANCHI 1995, nn. 29, 35, p. 56.
BÉAL 1983, pp. 187-188; BIANCHI 1995, n. 70, p. 54.
48
BÉAL 1983, A XX, 2, varianti a e b; BIANCHI 1995, n. 90, p.
49 e n. 33, p. 49.
49
BIANCHI 1995, nn. 76, 102, p. 67; BIRÒ 1987, p. 181, fig. 17,
n. 94: type IV.
BÉAL 1983, p. 202; BIANCHI 1995, n. 32, p. 53.
BÉAL 1983, pp. 228-229; BIANCHI 1995, n. 67, p. 83.
52
BÉAL 1987, pp. 197-198, n. 373; BIANCHI 1995, n. 46, p.68: il
collarino presente in questo esemplare risulta più pronunciato rispetto
a quello in esame, rinvenuto nella Basilica Hilariana.
46
47
50
51
PRODUZIONI ARTIGIANALI NELLA BASILICA HILARIANA SUL CELIO FRA TARDA ANTICHITÀ E ALTO MEDIOEVO
TIPI
INDIVIDUATI
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo
(ALICU-NEMES 1982,
tipo c: II secolo d.C.;
BÉAL 1983, A XX, 2,
variante b; BIANCHI
1995, n. 90, p. 49).
(ALICU-NEMES 1982,
tipo b: III secolo d.C.;
BÉAL 1983, A XX, 2,
variante a; BIANCHI
1995, n. 33, p. 49).
(BÉAL 1983, A XX, 13;
BIANCHI 1995, n. 32, p.
53).
I-IV sec. d.C.
I-IV sec. d.C.
I-III/IV sec. d.C.
Fine Iinizi V sec. d.C.
TIPO 2
TIPO 3
TIPO 4
TIPO 1
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo, a
forma di calotta sferica
Spilloni con testa sferica
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo
(BÉAL 1983, A XX, 7;
BIANCHI 1995, nn. 29,
35, p. 56).
CONTESTI STRATIGRAFICI
Fase 4a, Attività 12
metà III secolo d.C.
Fase 4a, Attività 13
metà III secolo d.C.
Fase 4b, Attività 14 seconda
metà III secolo d.C.
Fase 5, Attività 19
metà V secolo d.C.
TIPI
INDIVIDUATI
1
1
1
1
5
1
6
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo
(ALICU-NEMES 1982,
tipo c: II secolo d.C.;
BÉAL 1983, A XX, 2,
variante b; BIANCHI
1995, n. 90, p. 49).
(ALICU-NEMES 1982,
tipo b: III secolo d.C.;
BÉAL 1983, A XX, 2,
variante a; BIANCHI
1995, n. 33, p. 49).
(BÉAL 1983, A XX, 13;
BIANCHI 1995, n. 32, p.
53).
I-IV sec. d.C.
I-IV sec. d.C.
I-III/IV sec. d.C.
Fine Iinizi V sec. d.C.
TIPO 2
TIPO 3
TIPO 4
TIPO 1
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo, a
forma di calotta sferica
Spilloni con testa sferica
(BÉAL 1983, A XX, 7;
BIANCHI 1995, nn. 29,
35, p. 56).
CONTESTI STRATIGRAFICI
Fase 4a, Attività 12
metà III secolo d.C.
Fase 4a, Attività 13
metà III secolo d.C.
Fase 4b, Attività 14 seconda
metà III secolo d.C.
Fase 5, Attività 19
metà V secolo d.C.
TIPI
INDIVIDUATI
1
1
1
1
5
1
6
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo, a
forma di calotta sferica
Spilloni con testa sferica
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo
(ALICU-NEMES 1982,
tipo c: II secolo d.C.;
BÉAL 1983, A XX, 2,
variante b; BIANCHI
1995, n. 90, p. 49).
(ALICU-NEMES 1982,
tipo b: III secolo d.C.;
BÉAL 1983, A XX, 2,
variante a; BIANCHI
1995, n. 33, p. 49).
(BÉAL 1983, A XX, 13;
BIANCHI 1995, n. 32, p.
53).
I-IV sec. d.C.
I-IV sec. d.C.
I-III/IV sec. d.C.
Fine Iinizi V sec. d.C.
TIPO 2
TIPO 3
TIPO 4
TIPO 1
(BÉAL 1983, A XX, 7;
BIANCHI 1995, nn. 29,
35, p. 56).
CONTESTI STRATIGRAFICI
Fase 4a, Attività 12
metà III secolo d.C.
Fase 4a, Attività 13
metà III secolo d.C.
Fase 4b, Attività 14 seconda
metà III secolo d.C.
Fase 5, Attività 19
metà V secolo d.C.
1
1
1
1
5
1
Tabella 5. Contestualizzazione stratigrafica e quantificazione di tutti i tipi
6
187
188
M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
Grafico 1. Contestualizzazione stratigrafica e quantificazione dei tipi maggiormente attestati (rielaborazione di P. Palazzo e C. Pavolini dei dati forniti da M. Parenti).
Grafico 2. Presenze numeriche di tutti i tipi individuati in tutte le fasi stratigrafiche.
alla tarda età imperiale, come i diversi tipi di spilloni a
testa ovoidale (II-IV secolo d.C.): quelli rinvenuti nella
Basilica sono presenti soprattutto in contesti di III-IV
secolo, ma non mancano attestazioni, seppure esigue,
negli strati di abbandono delle attività lavorative impiantate negli ambienti sud-orientali (V secolo d.C.). Di
questa morfologia, l’unico tipo attestato nella Basilica,
quello cosiddetto ‘a oliva allungata’ 53, nella Basilica è
presente anche in contesti della metà del III secolo d.C.,
mentre finora risultava bibliograficamente attestato dal
IV secolo in poi.
53
Cfr. supra, pp. 00.
Gli spilloni a testa sferica costituiscono una tipologia molto diffusa nel mondo romano, attestati dalla fine
del I al V secolo d.C.: nella stratigrafia della Basilica
sono presenti nei grossi strati di scarico di V secolo d.C.
Gli aghi crinali a testa conica sono piuttosto diffusi
a partire dal II secolo d.C., ma attestati soprattutto dal
III-IV secolo: nella stratigrafia della Basilica questi manufatti sono stati rinvenuti in contesti che confermano
tale datazione, ma anche in uno strato di obliterazione
di V secolo.
Gli aghi con testa indistinta dallo stelo sono generalmente attestati in livelli di metà III secolo, ma nella
Basilica è presente anche un residuo in un contesto di
V secolo.
PRODUZIONI ARTIGIANALI NELLA BASILICA HILARIANA SUL CELIO FRA TARDA ANTICHITÀ E ALTO MEDIOEVO
189
Anche quelli con testa cilindrica, attestati dal III secolo al tardo impero, qui sono presenti in strati di IIIIV secolo e di V secolo.
Infine, gli esemplari del tipo Béal A XXI, 8, datati
al I-V secolo, sono stati rinvenuti in contesti di V secolo; il tipo Béal A XX, 13, diffuso dal I, ma soprattutto attestato dal III-IV secolo, è documentato in uno
strato di metà III secolo; un esemplare di spillone a
testa piriforme e parte superiore dello stelo decorata
da tre solchi e un collarino, riferibile ad un tipo attestato in età tardo imperiale, è qui presente in una US
di V secolo.
(M.P.)
Possibili indicatori di una produzione vetraria
La lavorazione del vetro potrebbe inserirsi coerentemente tra le diverse attività produttive documentate
nella Basilica Hilariana nel corso della Fase 4 e, soprattutto, nella fase successiva, che vede la dismissione
dell’edificio come sede collegiale dei dendrofori e luogo
di culto delle divinità anatoliche, contestualmente alla
ristrutturazione e alla più ampia diffusione di attività artigianali.
Una revisione dei materiali considerati nella recente
pubblicazione dello scavo come indicatori di produzione vetraria invita tuttavia alla prudenza.
Per quanto riguarda la Fase 4a, i reperti considerati
significativi in questo senso sono infatti limitati ad ‘una
piccola massa vitrea informe e schiumosa identificabile
molto probabilmente come scoria’ e ad ‘uno scarto di
lavorazione di bottiglia con orlo e ansa deformati e ripiegati su se stessi’ 54. In particolare, nel caso del secondo frammento potrebbe trattarsi semplicemente di
un esemplare deformato dal calore.
Maggiore interesse presentano i reperti della Fase
5, costituiti in assoluta maggioranza da tessere di mosaico. Si tratta infatti di ben 3866 tessere di colori diversi, opache e traslucide, su un complesso di 4090
frammenti vitrei 55. In presenza di resti di stucco ancora aderenti e di altri indicatori di produzione si potrebbe pensare a materiale di recupero, da riutilizzare
nell’amalgama. È questa l’ipotesi formulata, ad esempio, nel caso delle tessere di mosaico rinvenute nei
depositi di VII e di VIII secolo nell’esedra della
54
55
M. Adamo in PALAZZO, PAVOLINI 2013, p. 84.
M. Adamo, ibidem, p. 113 e p. 117, tabella 1.
Fig. 17. - Basilica Hilariana. Pane di vetro dalla Fase 6 (residuo?).
Crypta Balbi 56 Sulle tessere vitree in esame non sono
stati tuttavia individuati resti di altra natura, se non
quelli di una notevole corrosione, e gli strati di questo periodo non hanno restituito indicatori di produzione vetraria. Bisogna inoltre osservare che non tutte
le tessere sono di forma cubica o parallelepipeda: in
alcuni casi potrebbe trattarsi di schegge o di scarti risultanti dal taglio.
Tra i reperti, molti dei quali residuali, rinvenuti negli
interri della Fase 6, che segna la cessazione di ogni forma
di attività artigianale, spicca tuttavia un pane di vetro
dello spessore di circa cm 2, di colore rosso scuro, privo
dei bordi originari (fig. 17). Le striature verdastre, apparentemente nere, visibili in sezione, sono dovute al
rame usato per la realizzazione di questo colore, che richiedeva conoscenze molto specializzate 57. Lastre di
questo tipo, in genere discoidali (francese galettes, inglese glass cakes), rappresentano prodotti semi-finiti uti-
56
57
SAGUÌ 2001, in particolare pp. 307-308; SAGUÌ, MIRTI 2003.
FREESTONE, STAPLETON, RIGBY 2003.
190
M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
Fig. 18. - Basilica Hilariana. ‘Goccia’ di aspetto vetroso dalla Fase
6 (residuo?).
Fig. 19. - Domus di Gaudentius nell’Ospedale Militare Celio. Frammento di vetro grezzo.
lizzati soprattutto dai mosaicisti: esse venivano infatti
impiegate per la produzione di tessere di mosaico, che
si ottenevano mediante la loro percussione. La realizzazione delle tessere si svolgeva in genere direttamente
nei cantieri che ne prevedevano l’impiego o in prossimità di essi, come indica l’associazione di lastre e di
tessere musive in edifici di alto livello ed in contesti diversi 58.
Degli altri 4 frammenti pertinenti alla Fase 6, illustrati e considerati indicatori di produzione da M.
Adamo 59, solo quello in basso a sinistra (una goccia dall’aspetto vetroso: qui fig. 18) può forse essere considerato tale.
Poiché però non possiamo escludere che il citato pane
di vetro rinvenuto – verosimilmente come residuo – negli
strati della Fase 6 sia da associare alle numerosissime
tessere di mosaico della fase precedente, è possibile ipotizzare che tra le diverse attività artigianali attestate nel
complesso figurasse anche la produzione di tessere musive in vetro. Spingersi oltre nelle congetture sarebbe
davvero azzardato, ma non possiamo fare a meno di
chiederci se la vicinanza topografica con la chiesa di
Santo Stefano Rotondo, e la coincidenza cronologica tra
le attività svolte nei decenni centrali del V secolo nell’area un tempo occupata dalla Basilica Hilariana e la
costruzione della chiesa stessa 60, rappresentino qualcosa
di più di una semplice suggestione, secondo la quale almeno alcuni artigiani attivi sul nostro sito avrebbero potuto essere impegnati nel grande cantiere dell’edificio
ecclesiastico. Che la decorazione originaria della chiesa
prevedesse anche mosaici parietali in vetro è del resto
molto plausibile, anche se non sappiamo a quale fase
si riferissero le «molte tessere di vetro colorato di mosaico parietale» rinvenute negli strati di età carolingia
che riempirono il canale circolare all’esterno dell’edificio 61.
Segnaliamo, infine, un indicatore di produzione interessante, non pubblicato nel volume sugli scavi della
Basilica Hilariana in quanto proveniente da strati di
abbandono della vicina domus di Gaudentius. Si tratta
di un grosso frammento di vetro grezzo (cm 12 x 9
circa), di colore ametista (fig. 19). Pur sottolineando
da un lato che la presenza di blocchi di vetro grezzo
non è assolutamente sufficiente, in assenza di altre testimonianze, ad identificare un sito produttore, dall’altro che nulla possiamo dire della provenienza e
datazione originarie del reperto, un suo riferimento al
contesto delle attività artigianali qui illustrate non è da
escludere a priori.
(L.S.)
58
59
FOY 2008, con bibliografia.
In PALAZZO, PAVOLINI 2013, p. 142, fig. 198.
60
61
BRANDENBURG 2004, con ampia bibliografia.
Cfr. ibidem, p. 502.
PRODUZIONI ARTIGIANALI NELLA BASILICA HILARIANA SUL CELIO FRA TARDA ANTICHITÀ E ALTO MEDIOEVO
191
Fig. 20. - Basilica Hilariana, Fase 9, US 5335. Tipi ceramici dei secoli IX-XI.
Il materiale ceramico medievale della fossa 5334
Il materiale ceramico ritrovato all’interno della fossa
individuata nell’Ambiente XXIII della Basilica Hilariana era costituito da un riempimento unitario (US
5335, Fase 9) databile tra il IX e l’XI secolo 62.
62
Tra i frammenti recuperati (257 frammenti) sono
state riconosciute 6 classi ceramiche, con una prevalenza
della ceramica comune da cucina (40%) affiancata dalla
ceramica acroma depurata (35%), e solo per queste due
classi è stato possibile individuare alcune forme diagnostiche.
Cfr. M. E. Calabria, T. Patilli in PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 161-165.
192
M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
Le olle in ceramica da cucina si caratterizzano per
il corpo globulare oppure ovoide con orlo estroflesso
(fig. 20,1-4) 63, in alcuni casi con un gradino interno (fig.
20, 5-7) 64 oppure con collo breve (fig. 21, 7-9) 65.
Le forme in ceramica acroma depurata, utilizzate per
la mensa o la dispensa, sono anch’esse per lo più costituite da olle a orlo estroflesso, il più delle volte leggermente ingrossato (fig. 20, 13-15), e corpo tendenzialmente ovoide o globulare 66. A questa stessa classe appartiene un’anforetta biansata ad alto collo leggermente
rientrante, quasi del tutto integra (fig. 21, 7-10), decorata
a pettine con fasce di linee che delimitano gruppi di piccoli tratti 67.
Il materiale invetriato è rappresentato da frammenti
a vetrina pesante (9%) con decorazione a pinoli, rivestiti prevalentemente da una vetrina che va dai toni del
verde oliva a quelli del giallo intenso. Sono stati riconosciuti due frammenti di brocche ad alto collo e orlo
verticale (fig. 20, 11) segnate esternamente da scanalature e databili tra la fine del IX e il X secolo 68, e alcuni esemplari di fondi, probabilmente scarti di
lavorazione, convessi, con decorazione incisa a onda.
Solo il 2% del contesto è rappresentato da frammenti
con una vetrina marrone piuttosto scadente; è stata riconosciuta solo un’olla con orlo ingrossato a sezione
lenticolare e profilo curvilineo, confrontabile con una
forma simile rinvenuta a Porto e databile al VII secolo
(fig. 20, 12) 69.
La vetrina sparsa (3%) è rappresentata esclusivamente da piccoli frammenti che non offrono informazioni utili da un punto di vista diagnostico. I frammenti
di anfore costituivano l’11% del materiale, ma anche
per questi non è stato possibile risalire al tipo e alla relativa datazione.
L’esame dei materiali evidenzia un contesto cronologicamente omogeneo con forme piuttosto comuni nel
panorama romano altomedievale.
Alcuni difetti morfologici riscontrati su fondi convessi di olla in ceramica a vetrina pesante (fig. 21), la
mancanza di rivestimento vetroso su forme notoriamente invetriate 70, e tracce di vetrina occasionale su
forme in ceramica comune lasciano supporre che tra il
complesso del materiale ceramico proveniente dalla
fossa 5334 ci siano materiali di scarto provenienti da
un’ipotetica zona di produzione situata nei pressi dell’area e non ancora identificata.
(M.E.C., T. P.)
Per i confronti si veda MANACORDA 1985, p. 176, n. 6; PAT1991, p. 123, fig. 24, n. 11.
64
PAROLI, VENDITTELLI 2004, p. 511, tav. II, 21 e p. 514, n. 41.
65
MANACORDA 1985, p. 179, n. 62; ARENA, DELOGU, PAROLI et
alii 2001, p. 579, V.4.5; PAROLI, VENDITTELLI 2004, p. 514, n. 42.
66
RICCI 1998, p. 39, fig. 4.6; ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001,
p. 522, IV. 6. 51.
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, p. 561, V.1.6.
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, p. 578, IV.2.
69
PAROLI, VENDITTELLI 2004, p. 447, n. 32.
70
Tra i frammenti con decorazione a pinoli sono emersi due esemplari completamente privi di vetrina (fig. 22): si tratta di un frammento di parete riconducibile a una brocca e di un orlo di
scaldavivande o coperchio.
Fig. 21. - Basilica Hilariana, Fase 9, US 5335. Fondo di olla in ceramica a vetrina pesante.
Fig. 22. - Basilica Hilariana, Fase 9, US 5335. Frammenti con decorazione a pinoli, privi di vetrina.
63
TERSON
67
68
PRODUZIONI ARTIGIANALI NELLA BASILICA HILARIANA SUL CELIO FRA TARDA ANTICHITÀ E ALTO MEDIOEVO
Bibliografia
ALICU, NEMES 1982 = D. ALICU, E. NEMES, Obiecte de os descoperite la Ulpia Traiana Sarmizegetusa, in ActaMusNapoca, 19, 1982, pp. 345-56.
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001 = M.S. ARENA, P. DELOGU, L. PAROLI et alii (a cura di), Roma dall’antichità
al medioevo. Archeologia e storia nel Museo Nazionale
Romano della Crypta Balbi, Roma 2001.
AURIGEMMA 1910 = S. AURIGEMMA, Dendrophori, in Dizionario Epigrafico, II, 2, Spoleto 1910, pp. 1671-1705.
BÉAL 1983 = J.-C. BÉAL, Catalogue des objets de tabletterie
du Musée de la civilisation gallo-romaine de Lyon, Lyon
1983.
BÉAL 1987 = J.-C. BÉAL, Le vêtement et la parure in Autun
Augustodunum, capitale des Eduens, Autun 1987.
BIANCHI 1995 = C. BIANCHI, Spilloni in osso di età romana,
Cernusco sul Naviglio 1995.
BIRÒ 1987 = M. T. BIRÒ, Bone carvings from Brigetio in the
collection of the collection of the Hungarian National Museum, in ActaArchHung, 39, 1987, pp. 153-92.
BRANDENBURG 2004 = H. BRANDENBURG, Santo Stefano Rotondo sul Celio, l’ultimo edificio monumentale di Roma
fra antichità e medioevo, in PAROLI, VENDITTELLI 2004,
pp. 480-505.
DIOSONO 2008a = F. DIOSONO, Il commercio del legname
sul fiume Tevere, in F. COARELLI, H. PATTERSON (a cura
di), Mercator placidissimus. The Tiber Valley in Antiquity. New research in the upper and middle river valley (Roma, 27-28 February 2004), Roma 2008, pp.
257-76.
DIOSONO 2008b = F. DIOSONO, Il legno. Produzione e commercio, Roma 2008.
FOY 2008 = D. FOY, Les Revêtements muraux en verre à la
fin de l’Antiquité: Quelques témoignages en Gaule méridionale, in JGS, 50, 2008, pp. 51-65.
FREESTONE, STAPLETON, RIGBY 2003 = I.C. FREESTONE, C.P.
STAPLETON, V. RIGBY, The production of red glass and
enamel in the Late Iron Age, Roman and Byzantine periods, in C. ENTWISTLE (a cura di), Through a Glass Brightly. Studies in Byzantine and Medieval Art and
193
Archaeology Presented to David Buckton, Oxford 2003,
pp. 142-154.
GRAILLOT 1912 = H. GRAILLOT, Le culte de Cybèle Mère des
dieux à Rome et dans l’Empire romain, Paris 1912.
HERMANSEN 1982 = G. HERMANSEN, Ostia. Aspects of Roman
city life, Edmonton 1982.
MANACORDA 1985 = D. MANACORDA (a cura di), Archeologia urbana a Roma: il progetto della Crypta Balbi. 3. Il
giardino del Conservatorio di S. Caterina della Rosa, Firenze 1985.
MAR 1996 = R. MAR, Santuarios y inversion immobiliaria
en la urbanistica ostiense del siglo II, in A. GALLINA
ZEVI, A. CLARIDGE (a cura di), “Roman Ostia” revisited.
Archaelogical and Historical Papers in Memory of Russell Meiggs (Roma, 3-5 ottobre 1992), Roma 1996, pp.
115-64.
PALAZZO, PAVOLINI 2013 = P. PALAZZO, C. PAVOLINI (a cura
di), Gli dèi propizi. La Basilica Hilariana nel contesto dello
scavo dell’Ospedale Militare Celio (1987-2000), Roma
2013.
PAROLI, VENDITTELLI 2004 = L. PAROLI, L. VENDITTELLI (a
cura di), Roma dall’antichità al medioevo. II. Contesti tardoantichi e altomedievali, Milano 2004.
PATTERSON 1991 = H. PATTERSON, The Early Medieval and
Medieval Pottery from S. Cornelia, in N. CHRISTIE (a cura
di), Three South Etrurian Churches: S. Cornelia, S. Rufina and S. Liberato, London 1991, pp. 120-136.
RICCI 1998 = M. RICCI, Appunti per una storia della produzione e del consumo della ceramica da cucina a Roma
nel medioevo, in E. DE MINICIS (a cura di), Le ceramiche
di Roma e del Lazio in età medievale e moderna. Atti del
III Convegno di studi (Roma, 19-20 aprile 1996), Roma
1998, pp. 34-42.
SAGUÌ 2001 = L. SAGUÌ, Vetro, in ARENA, DELOGU, PAROLI et
alii 2001, pp. 307-322.
SAGUÌ, MIRTI 2003 = L. SAGUÌ, P. MIRTI, Produzioni di vetro
a Roma nell’alto medioevo: dati archeologici e archeometrici, in D. FOY, M.-D. NENNA (a cura di), Échanges et
commerce du verre dans le monde antique. Actes du (quatrième)colloque de l’Association Française pour l’Archéologie du Verre (Aix-en-Provence et Marseille, 7-9 juin
2001), Montagnac 2003, pp. 87-92.
DALLA VILLA AL CASALE:
ATTIVITÀ PRODUTTIVE NELLA VILLA DEI QUINTILI
Rita Paris, Riccardo Frontoni, Giuliana Galli, Carmela Lalli
La villa dei Quintili è sorta sul promontorio naturale formato dalla colata lavica di Capo di Bove proveniente dai Colli Albani, la stessa sulla quale fu
costruita la via Appia Antica (fig. 1) 1.
È situata tra questa e l’antica via Latina, al V miglio, all’altezza dei due tumuli attribuiti agli Orazi e ai
Curiazi, luogo dell’antica bonifica denominata fossae
cluiliae ai confini dell’ager romanus, territorio dove sarebbero state combattute antiche battaglie: qui la via
Appia traccia una curva di ‘rispetto’.
L’acquisizione da parte della Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e
l’Area Archeologica di Roma nel 1985 ha permesso
la realizzazione di tre campagne di scavo, tra 1998 e
2010, che, oltre ad ampliare estensivamente l’area archeologica, hanno prodotto una notevole raccolta di
dati per questo sito della campagna romana, a sud di
Roma 2.
Le fasi edilizie evidenziate all’interno del complesso
mostrano la continuità d’uso della residenza che da privata diventa di proprietà imperiale sotto Commodo 3, e
poi nuovamente privata con la trasformazione in casale,
continuità evidenziata anche dalla tabella della periodizzazione in cui la ricostruzione di alcune parti della
villa è stata associata alle notizie che hanno registrato
gli eventi sismici notevoli avvenuti Roma a partire dal
II secolo fino ad età moderna.
La seriazione stratigrafica, nella quasi totalità dell’area indagata della villa, risulta fortemente com-
Fig.1. - Veduta generale della villa dei Quintili (foto R. Frontoni).
Si ringraziano, oltre alla preziosa Lucia Saguì, anche Barbara
Lepri, Paola Santopadre e Marco Verità con i quali sono state intraprese discussioni e confronti costruttivi sull’argomento, in particolare sul forno da vetro. La proprietà delle foto e dei grafici, dove
non è diversamente indicato, è della Soprintendenza Speciale per
il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di
Roma.
Cfr. PARIS 2000, pp. 5-9 e FRONTONI, GALLI 2012, pp. 9-18 e
pp. 29-31.
2
Sulle campagne di scavo vedi FRONTONI, GALLI, LALLI et alii
2006, pp. 279-294 e FRONTONI, GALLI, PARIS 2010.
3
A seguito della soppressione dei fratelli Quintili nel 182 d.C.
per mano dell’imperatore Commodo. Per la storia dei fratelli Quintili vedi anche RICCI 1998 e PARIS 2000, pp. 21-23.
1
196
RITA PARIS, RICCARDO FRONTONI, GIULIANA GALLI, CARMELA LALLI
promessa sia dai continui scavi clandestini, di cui numerose fosse di spoliazione praticate negli interri degli
ambienti per il recupero dei rivestimenti
marmorei e delle opere d’arte, sia dagli
scavi antiquari sette-ottocenteschi, sotto
papa Pio VI e la famiglia Torlonia, nonché dagli scavi agricoli degli inizi del
‘900 realizzati con aratri fortemente invasivi (ripper) 4.
Già Luigi Canina 5 alla metà dell’Ottocento aveva osservato molti degli edifici portati nuovamente alla luce con le tre
campagne di scavo, disegnandone la planimetria: si è scavato, dunque, nel terreno
di riporto degli scavi precedenti trovando
spesso materiali di cronologia eterogenea
e non in fase. Solamente i crolli delle
strutture murarie, spesso danneggiate dai
terremoti, hanno sigillato e mantenuto intatte le stratigrafie all’interno degli ambienti.
La periodizzazione delle fasi della
villa, associata dunque allo studio dei terremoti a Roma 6, ha permesso di realizzare un quadro sinottico interessante,
ancora in corso di elaborazione, avvalorato dalla cronologia dei reperti rinvenuti
(tab. 1).
Il posizionamento in planimetria dei
numerosi indicatori del riuso/riutilizzo
dei materiali ritrovati nella villa (fig. 2
e tav. 00), dà la misura della vastità della
rifunzionalizzazione (riperimetrazioni di
ambienti, riutilizzo, reimpiego, etc.) e
l’ampiezza della forchetta cronologica:
già a partire dai primi decenni del II secolo fino a tutto il IV segnaliamo un’intensa attività di riutilizzo e quindi di
riproduzione, in quello che si potrebbe
definire un cantiere continuo 7.
Per quanto riguarda l’età romana im-
Cfr. introduzione storica in PARIS 2000.
CANINA 1856.
6
Per i terremoti vedi: LANCIANI 1917; GUIDOBONI 1989; DE VIVO 1992 e GALLI, MOLIN, SCAROINA 2007-2008.
7
Per la continua attività di cantiere nella villa,
vd. FRONTONI 2000, pp. 42-7.
4
5
©
DALLA VILLA AL CASALE: ATTIVITÀ PRODUTTIVE NELLA VILLA DEI QUINTILI
197
periale sono stati recuperati alcuni scalpelli in ferro (fig. 3), negli strati di preparazione pavimentale degli ambienti di
rappresentanza, ed evidenziati accumuli di
materiale edilizio come scaglie di lavorazione del marmo, tritume laterizio e tessere
di mosaico negli ambienti di servizio ipogei. Notevoli i rinvenimenti di un deposito
di grassello di calce ancora fresco, stipato
in un sottoscala della sala ottagonale di
metri 4 x 2 per un’altezza di circa metro
1,5 (fig. 4) e di alcune fosse di spegnimento
della calce 8.
In un ambiente sotterraneo, sotto alla
residenza privata, è stato riportato alla
luce il cosiddetto ‘angolo del pittore’ con
ollette contenenti pigmenti colorati per la
realizzazione degli intonaci dipinti (fig.
5).
Dovendo, però, rientrare nel range cronologico compreso tra V e XV secolo, tema
del convegno, si presentano in questa sede
gli indicatori principali e più evidenti, con
l’intenzione di fornire una serie di dati che
permettano di perseguire l’obiettivo dell’archeologia della produzione, cioè «ricostruire le condizioni di lavoro e cercare di
riconoscere il processo culturale connesso»
come espresso direttamente da Giannichedda e Mannoni 9.
In qualche caso, ai fini di una ricerca
archeologica completa tesa alla comprensione del processo tecnologico, sono state
disposte le analisi archeometriche, premessa necessaria al lavoro dell’archeologo
sperimentale, grazie alla convenzione tra
Soprintendenza Speciale per il Colosseo,
il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma e le Università di Catania e della Calabria, Dipartimento
Scienze della Terra 10.
Di seguito saranno analizzati un forno
FRONTONI, GALLI 2010, pp. 66-70.
Secondo quanto espresso da Giannichedda e
Mannoni, in GIANNICHEDDA, MANNONI 2003.
10
Si ringraziano Antonio Pezzino, Mauro Francesco La Russa, Cristina Maria Belfiore e Giusy Fichera dell’Università di Catania e della Calabria
(cfr. BELFIORE, FICHERA, LA RUSSA et alii 2015, pp.
269-296).
8
9
Tabella 1
Fig. 2. - Planimetria generale della villa con la localizzazione degli indicatori all’interno delle fasi edilizie, evidenziate per grossi
blocchi costruttivi (rilievo studio M.C.M. s.r.l.).
Fig. 3. - Scalpello in ferro ritrovato negli strati di riempimento sotto
il livello pavimentale, in un ambiente dell’area di rappresentanza
(foto S. Castellani).
Fig. 4. - Deposito di grassello di calce da uno degli ambienti di servizio sotto la sala ottagonale nell’area di rappresentanza della villa
(foto R. Frontoni).
da vetro e due calcare per l’area centrale (R-L-G) e due
accumuli di materiale lapideo di spoliazione e una fullonica per il grande ninfeo (H).
Fig. 5. - Ollette con resti di pigmento per l’affresco in uno degli
ambienti di servizio ipogei dell’area centrale (foto R. Frontoni).
(R.P., R.F., G.G., C.L.)
DALLA VILLA AL CASALE: ATTIVITÀ PRODUTTIVE NELLA VILLA DEI QUINTILI
199
Il forno da vetro
Lo scavo stratigrafico all’interno del corridoio-rampa di collegamento tra il settore termale (D) e l’area di rappresentanza (R) ha
restituito le vestigia di una fornace di m 1,70
x 3,00 x 0,20-0,90, a due camere consecutive
con tracce di squaglio vetroso, senza più la copertura originaria.
È realizzato, in blocchetti squadrati di tufo
conservati per una sola fila (cm 35-50 x 2030) e in mattoni di recupero, allettati in parte
sopra, e in parte tagliando, il pavimento in mosaico databile ad età adrianea. L’alzato è poggiato sulle lastre di rivestimento della parete
occidentale, lastre sopravvissute così alle spoFig. 6. - Veduta del forno da vetro nel corridoio dell’area termale (foto S. Caliazioni successive all’età romana (fig. 6).
stellani).
A 1,00 metro dalla cresta delle strutture
Tolti gli strati più superficiali, composti da detriti coche si conservano per più di 2 metri dal piano pavistruttivi (malta, laterizi, intonaci dipinti), è stata ripormentale, sotto ad un grande crollo cementizio della
tata alla luce la prima camera più piccola, dotata di
volta di copertura con spesso strato di cocciopesto, è
canale igneo passante sotto i mattoni sesquipedali: l’instata evidenziata una seriazione stratigrafica di cenere
terro era costituito da una terra giallo scuro-marrone con
e di concotti sopra uno strato di disfacimento del moinclusi frammenti di intonaco dipinto della parete e di
saico in pasta vitrea del soffitto che obliterava anche la
marmo da rivestimento. A sud, nella camera attigua, a
struttura ormai distrutta del forno.
pianta quadrangolare più ampia, sono stati evidenziati
Di seguito la descrizione delle principali unità strauno strato con frammenti laterizi 11, ed uno strato di ditigrafiche evidenziate:
sfacimento della malta di preparazione dei mosaici del
soffitto termale con numerose tessere policrome in pasta
- strato ricco di scapoli di basalto in terra organica
vitrea bianche, rosse, e delle tonalità dal verde all’azmolto scura (cm 50 dalla cresta dei muri);
zurro in continuità con l’esterno: lo strato, quindi, si- strato di terreno friabile marrone-rosso, con frammenti
gillava l’abbandono del forno e non costituiva uno
fittili e frammenti di legno combusto (spessore cm 30smontaggio per il riciclaggio delle tessere ai fini della
40);
colorazione del vetro, come è stato ipotizzato in prima
- strato chiaro di disfacimento di intonaci dipinti con
analisi.
tessere di mosaico in pasta vitrea colorata e cumuli
Altro dato da segnalare: per la realizzazione del
di scaglie di vetro verdastre, spessore cm 50-60
forno è stato tagliato superficialmente il mosaico di ri- strato sottile, lente di carboni nero (spessore cm 5-7)
vestimento del pavimentum, le tessere del quale sono
- strato grigio cinereo, friabilissimo, sterile di materiali,
state ritrovate abbondanti nel primo strato di terra a condirettamente poggiato sul pavimento a mosaico (spestatto con il pavimento: quindi il rivestimento era a vista
sore cm 10-50); nell’area del forno ricopre lo strato
e voluta la posizione del forno proprio in questo amdi disfacimento dei laterizi-concotto
biente, evidentemente ancora coperto con soffitto a mo- strato di concotto di laterizi, con tessere di pasta visaico (forse c’era un’apertura per permettere lo sfiato
trea e mosaico in bianco e nero (spessore cm 7/8)
dei fumi) 12. Il rivestimento parietale dell’ambiente,
- strato di frammenti di mattoni sopra il mosaico e nellungo la zoccolatura, in lastre rettangolari di greco
l’area del forno.
11
Un frammento di tegola smarginata riportava il bollo: OPVS
DOLIARE EX FIGLINI/ DOMITIAN MAIORIBVS (con nesso tra
I e B; cfr. CIL XV, I, 168), databile al II secolo inoltrato.
12
Si può pensare che il soffitto fosse già, in parte, crollato oppure ci fosse una finestra lucifera come nei corridoi di servizio poco
distanti.
200
RITA PARIS, RICCARDO FRONTONI, GIULIANA GALLI, CARMELA LALLI
delle materie prime (natron e ceneri vegetali)
ma non si hanno neanche elementi per attribuirlo con sicurezza ai forni per la cottura o,
addirittura, per la soffiatura del vetro. Alcuni
suggestivi frammenti di argilla, ritrovati negli
strati del manufatto, sembrerebbero riportare
l’impronta di una canna da soffio.
Certo è che un vetro così chiaro e trasparente non possa essere riferito ai mercati del
vetro prettamente blu e non abbiamo documentazione sui forni primari che producessero vetro trasparente, in realtà, molto più
prezioso e ricercato 16.
Anche i relitti di navi ci forniscono elementi
importanti che gettano luce sul traffico e i
commerci del vetro sia grezzo sia in forme finite, come per esempio il relitto di Ouest Embiez, isola di Var, lungo le coste francesi, datato
Fig. 7. - Grumi vetrosi dall’accumulo accanto al forno da vetro (foto G. Galli).
tra la fine del II ed il III secolo, il quale trasportava vetro trasparente, decolorato volutascritto, è coperto dal forno che gli si appoggia, dato immente all’antimonio, come il nostro, insieme a forme
portante a livello cronologico relativo: il forno fu cofinite 17. Sarebbe interessante ricostruire la rotta della
struito prima dello smontaggio e del recupero delle
nave des Embiez che ridistribuiva il vetro grezzo dalle
lastre di marmo.
coste del Mediterraneo tra forni primari e secondari.
Le pareti del forno, in particolare quella settentrioLa scelta di un ambiente termale riparato, databile
nale meglio conservata, recano le tracce della fusione
al II secolo, con possibilità di approvvigionamento pridel vetro misto a frammenti fittili, visibili su due livelli
vilegiato di acqua e vie di trasporto della legna, in un
ben distinti, come a segnare due carichi sovrapposti.
sistema già predisposto per il riscaldamento termale ai
Ai piedi del corpo scala, a ridosso del forno, è stato
piedi di una rampa di scale per salire ai piani superiori,
messo in luce un accumulo di scaglie e grumi di vetro,
è interessante.
trasparente e chiaro, misto ad una terra molto friabile.
Il corridoio, nel periodo di utilizzo del forno, non
Alcuni grumi hanno ancora attaccata una sorta di arfungeva più da collegamento tra il settore termale e l’area
gilla rossastra, altri sono porosi e ‘schiumosi’: in base
di rappresentanza-esedra: il lato breve meridionale, inai confronti fatti sembrerebbero frammenti di vetro
fatti, fu chiuso da una struttura muraria ed un piccolo
grezzo accumulati per la seconda cottura, come quelli
ambiente di risulta probabilmente fu utilizzato come de13
del forno di Avenches già attivo nel I secolo (fig. 7) .
posito. Qui sono stati ritrovati uno scalpello, un accuNon sembrerebbe neanche la ‘fritta’ l’hammonitrum
mulo tessere di mosaico in bianco e nero ed un mazzo
pliniano 14, in epoca romana ottenuta tramite cottura in
di chiavi ad anello in ferro.
due fasi successive e in due camere distinte, come nel
Di fronte al manufatto, sul pavimentum in mosaico,
15
nostro, e non in una sola camera come nel Medioevo .
sono visibili cospicue tracce di combustione con molta
Ciò è interessante per cercare di comprendere la funprobabilità connesse alle operazioni di cottura.
zione esatta di tale forno: non si hanno ancora elementi
Tra i ritrovamenti, nel piccolo deposito, una ciotola
sufficienti per escludere il forno primario, forni che
con impasto grossolano di cm 15 di diametro e cm 8 di
però erano distribuiti soprattutto lungo le coste siro-paaltezza, dello spessore di circa cm 1, apoda, contenente
lestinesi e dell’Egitto per un problema di reperimento
un terra rosso-marrone all’interno, interpretata al mo-
Cfr. AMREIN 2001; cfr. VERITÀ 1999, pp. 108-110.
Pl., NHist, l. XXXVI, 66.
15
Cfr. STIAFFINI 1999, pp. 50-51.
16
FOY, JÉZÉGOU 1997, pp. 65-70.
13
14
17
FONTAINE, FOY 2007, p. 253. A p. 260, fig. 27 sono pubblicati
alcuni vetri grezzi simili ai nostri da un relitto ritrovato sulle rive
del fiume Saona a Lione, datato alla seconda metà del III secolo;
vedi anche STERNINI 1995, pp. 128, 133, fig. 210.
DALLA VILLA AL CASALE: ATTIVITÀ PRODUTTIVE NELLA VILLA DEI QUINTILI
201
mento della scoperta come crogiolo: certo il
confronto con altri crogioli simili non toglie il
dubbio su questa interpretazione 18.
La prima fase della cottura, però, poteva
anche non prevedere i crogiuoli e le materie
prime potevano venir gettate direttamente sul
piano di cottura che fungeva da serbatoio: simile funzione è stata ipotizzata per le strutture
di Salona (metà III - inizi IV secolo) e di
Autun (250-350 d.C.).
Per cercare di comprendere meglio, a livello
composizionale, il tipo di vetro, sono stati
messi a confronto i risultati delle analisi archeometriche sia dei grumi vetrosi che avevano
ancora attaccata un’argilla rossastra simile e
la terra rossa della ciotola.
Da questi primi esami sono stati rilevati gli
stessi elementi maggiori, sodio (Na), potassio
(K) e ferro (Fe): nei grumi è stato rilevato il
sodio, in quantità ridotte, e il potassio; nel Fig. 8. - Veduta della calcara del tepidarium ricavata in un ambiente termale (foto
R. Frontoni).
campione del pigmento è stato rilevato il ferro
(Fe) in grandi quantità.
esempio la ormai famosa lucerna a volute della metà
Con l’applicazione di questo tipo di analisi micro
del I secolo d.C. da Voghera (Ferrara) con forno da vetro
morfologica e chimica con uso della microscopia eletromano in bassorilievo 22.
tronica a scansione con sistema a dispersione di enerPer le ricostruzioni ricordiamo il forno da vetro nel
gia (SEM-EDS) si è riusciti a rilevare singolarmente i
De Universo di Rabano Mauro conservata a Montevari componenti, in attesa di analisi più approfondite,
cassino del 1023 ed il forno di Teofilo, artigiano di Coche possano discriminare gli elementi in traccia.
lonia del 1100 ricostruito secondo Theobald a due
In ogni caso la preparazione di questi vetri, dagli
camere contigue 23.
esami effettuati su alcuni campioni, ci riportano alle ti(G.G.)
piche alte percentuali del sodio che distingue i vetri romani da quelli d’epoca successiva 19.
In epoca romana i forni da vetro sono spesso circoLa calcara del tepidarium
lari, raramente rettangolari come questo: un confronto
lo possiamo però fare con un forno rettangolare con picIn un vano del tepidarium, posto nel complesso tercola camera adiacente simile alla nostra, ritrovato ad
male della villa (D-L-E), realizzato in opera laterizia e
Augst (Augusta Raurica) attivo tra la fine del I ed il III
databile tra l’età adrianea e quella severiana, sotto uno
secolo, pubblicato da Fischer nel 2009 20.
spesso strato di detriti costruttivi ed un grande crollo
Da uno dei forni di Augst proviene un frammento di
cementizio della volta di copertura, è stata riportata alla
argilla con impronta, forse, di crogiolo, molto simile ai
luce una fornace da calce (fornax calcaria; fig. 8). Alframmenti provenienti dalle pareti della seconda cacuni frammenti di squaglio che si sono poi rivelati apmera del nostro forno 21.
partenenti alle strutture in mattoni della calcara, ritrovati
Alcune antiche raffigurazioni di forni da vetro agegià dai primi strati, confermano l’ipotesi di una manovolano l’interpretazione dei resti scavati, come per
missione della stratigrafia originaria della quale co18
74.
Molto simili i crogiuoli analizzati in STERNINI 1995, pp. 73-
Fino ad età carolingia il vetro era realizzato utilizzando prodotti sodici, successivamente prodotti potassici.
20
Grazie alla segnalazione di Barbara Lepri, cfr. FISCHER 2009,
pp. 65-66, figg. 61-66.
19
FISCHER 2009, p. 51, fig. 25.
BERETTA, DI PASQUALE 2004, p. 38, fig. 1, ma anche p. 191,
fig. 5.
23
TEOFILO, De Diversis Artibus Libri III, riportato in STERNINI
1995, pp. 50, 57 e 59, fig. 58.
21
22
202
RITA PARIS, RICCARDO FRONTONI, GIULIANA GALLI, CARMELA LALLI
munque si propone la sezione stratigrafica evidenziata
durante lo scavo 24.
A pianta circolare, di m 3 di diametro esterno, è costruita con materiali di recupero come mattoni e frammenti
di cocciopesto, in tre costruzioni concentriche che sembrano, dallo squaglio della superficie, aver funzionato
tutte; l’impianto del manufatto è arrivato a tagliare anche
il piano fondale dell’ipocausto e ha obliterato il forno per
il riscaldamento dell’ambiente termale. L’accensione, da
parte del coctor calcis, doveva avvenire dall’ingresso occidentale verso l’ambiente adiacente messo in evidenza
dalla presenza di un blocco di peperino più grande.
Nel battuto di frequentazione della calcara sono stati
ritrovati frammenti di piatti in maiolica con fasce color
verde e giallo ed altri di catino con decorazione a monticelli con fasce blu cobalto, verde acqua, arancio e celeste tutti databili nell’ambito del XVI secolo, misti a
frammenti di alcuni piccoli crolli cementizi e della decorazione architettonica con molta probabilità appartenente ai piani superiori, come per esempio frammenti di
una balaustra marmorea ed un frammento di terminale
di coppo in terracotta con protome antropomorfa e tralci
vegetali, materiali questi databili tra la fine del II e gli
inizi del III secolo. Il crollo della copertura, a questo punto,
avendo sigillato gli strati di XVI secolo potrebbe essere
stato causato da uno dei due forti terremoti (1646 o 1703)
che distrussero anche alcune arcate del Colosseo come
segnalato dal Lanciani agli inizi del 1900.
Al di sotto di questo strato c’era il crollo dei blocchi squadrati di peperino in media cm 30 x 40 con fori
per grappe, quindi di recupero, che dovevano chiudere
la cupola della calcara, misti ad un terreno friabile ricco
di tessere di mosaico in pasta vitrea del soffitto dell’ambiente termale e qualche altro frammento di balaustra marmorea.
Sotto uno strato carbonioso molto scuro, è stata
messa in luce la calce per un’altezza di circa cm 50,
piuttosto sporca, molto farinosa. Aveva ancora incluso
un frammento di sottocornice con tralci di foglie
d’acanto e calice rovesciato e astragalo con perline e
fuseruole romboidali, datata tra la fine del II e gli inizi
del III secolo 25.
L’ultimo strato scavato, a contatto con la suola del
focolare, molto scuro, era ricco di carboni e resti di combustione (fig. 9) 26.
Il tipo di forno dovrebbe essere di quelli ‘a fuoco
intermittente’, secondo la descrizione di Catone e la classificazione esposta recentemente da Petrella 27, per cui
l’accatastamento delle pietre, scelte con cura, avveniva
per strati: quelle più grandi alla base fino a quelle più
piccole in alto garantendo il passaggio di gas e calore
verso l’alto. All’interno si è conservata una cospicua
quantità di calce e frammenti di marmi incombusti;
esternamente, accatastati negli angoli dell’ambiente,
erano altri marmi pronti per essere bruciati.
I campioni di calce sono stati analizzati, sia in termini di concentrazione di elementi maggiori sia in traccia, e riportati alla formazione del calcare della
Maiolica, proveniente dai Monti Cornicolani a sud-est
di Roma 28. Sebbene costruita in epoca medievale, come
è stato ipotizzato in base ai confronti e alla cronologia
Il manufatto è stato presentato nell’ambito del I Convegno sulla
calce tenutosi a Firenze nel 2008: cfr. FRONTONI, GALLI 2010, pp.
70-72.
25
Cfr. NEU 1972.
26
La seriazione stratigrafica è stata illustrata già nell’ambito
del I Convegno sulla calce, vedi FRONTONI, GALLI 2010, pp. 7172.
27
PETRELLA 2008, p. 34.
28
Colore della calce bianco Munsell 10YR 8/1, piuttosto friabile; cfr. FICHERA 2012, p. 84; FICHERA, BARCA, BELFIORE et alii
2015, pp. 92-93.
Fig. 9. - Veduta della calce all’interno della calcara del tepidarium
(foto G. Galli).
24
DALLA VILLA AL CASALE: ATTIVITÀ PRODUTTIVE NELLA VILLA DEI QUINTILI
203
relativa 29, questa calcara rispetta i dettami già
impartiti da Catone (160 a.C.) nel De Agricoltura XLIV, 38:
- disposizione a nord in un punto riparato dal
vento;
- focolare molto basso e profondo;
- costruzione della parte alta con pietra e mattoni;
- caricamento del forno con pietre bianche non
macchiate.
(G.G.)
La calcara dei carceres
Nei pressi della ‘Grande Cisterna’ (G), situata nella zona più elevata della villa dei
Fig. 10. - Veduta della calcara dei carceres, nell’edificio a torre nei pressi del
Quintili, all’interno di un edificio quadrango- circo (foto R. Frontoni).
lare di modeste dimensioni, è stato scoperto
un secondo forno da calce, obliterato dal crollo
della volta in calcestruzzo della copertura
(figg. 10-11).
L’edificio in cui venne installato l’impianto
produttivo è una costruzione della seconda
metà del II secolo d.C. ben conservata, a due
livelli, con murature perimetrali in opera vittata semplice ad eccezione della cortina meridionale, realizzata in laterizio e decorata
architettonicamente da due lesene che incorniciano l’ingresso principale; doveva far parte
del settore più occidentale dei carceres del
circo della villa, di cui, molto probabilmente,
costituiva una delle due Turres.
Al di sotto dello strato di crollo della volta
a crociera originaria, i cui lacerti sono stati rinvenuti in commistione con frammenti di un rivestimento composto da malta scadente e Fig. 11. Reperti ceramici dallo scavo della calcara dei carceres (foto R. Frontoni).
scapoli tufacei e laterizi di riutilizzo, testimoni
sta alla quota della soglia d’ingresso in peperino, e che
di un rifacimento (o restauro) della copertura in epoca
insieme ad essa è da riferire a questa ultima fase, sigilpiù recente, forse da collegare alla fase di riutilizzo della
lava il contesto d’abbandono dell’impianto produttivo
‘Grande Cisterna’ e degli edifici limitrofi per attività
Nello strato che copriva la pavimentazione e paragricole/d’allevamento in tempi recenti (forse a partire
zialmente
i crolli della volta, rinvenuti numerosi framdal Sei-Settecento, fino all’Ottocento), è riemersa la
menti di maiolica dipinta rinascimentale, assieme ad altri
struttura della calcara già rasata e priva della copertura.
indicatori eterogenei tra cui un nummus radiatus delUn pavimento in grossolano ‘cocciopesto’, che si atte-
29
Probabilmente venne edificata tra VIII e IX secolo: non sono
stati ritrovati oggetti datanti ma in base alla seriazione stratigrafica
e ai confronti con altre calcare ritrovate a Roma, come le fornaci
della Crypta Balbi e di Tor Sapienza, rientrerebbe in tale epoca. Vd.
anche MUSCO 2006, p. 294.
204
RITA PARIS, RICCARDO FRONTONI, GIULIANA GALLI, CARMELA LALLI
l’imperatore Diocleziano (Antoniniano?) con raffigurazione della Concordia Militum, databile al 285 d.C., ma
anche una moneta di Benedetto XIV (1740-1758), con
l’iscrizione BONONIA DOCET e leoncino rampante,
forse mezzo bolognino: commistione di materiali a conferma dello sconvolgimento subito dall’interro.
La calcara è realizzata in blocchi irregolari di peperino e tufo, allettati con terra argillosa (non è chiaro se
la colorazione rossiccia è stata causata dalla temperatura di funzionamento), in forma tendente al circolare,
il diametro è variabile da m 1,85 a m 2,35, per uno spessore medio di cm 50.
Non è stato possibile raggiungere il piede di fondazione della struttura, benché si sia scesi al suo interno
ad una quota più bassa di circa cm 30 rispetto allo spiccato di fondazione della muratura romana (quota assoluta m 82,50 s.l.m.), fino a raggiungere il terreno sterile;
la realizzazione del forno ha intaccato sia il terreno vergine che gli strati di frequentazione romana, fase di cui
non si è rintracciata la pavimentazione. Dalla quota
della risega di fondazione della parete orientale, nell’angolo nord del vano, provengono una pinzetta di
bronzo e un vasetto fittile, oltre a numerosi frammenti
di ceramica d’uso comune. Lo strato che copre all’intorno il circolo della calcara, fino alla quota della sua
rasatura, presumibilmente legato all’attività d’uso dell’impianto, ha restituito ceramica medievale (acroma e
maiolica arcaica) di XIII/XIV secolo, in commistione
con sectilia marmorei da rivestimento di epoca romana.
All’interno della calcara restano alcuni strati di carico,
con blocchi marmorei, residui carboniosi e boli di calce;
rilevante un frammento di trabeazione architettonica in
marmo con decorazioni vegetali a bassorilievo. Su alcuni
blocchi della parete interna, si possono osservare le tracce
dello ‘squaglio’ della parte silicea del peperino. Non è
stata individuata la bocca del forno, probabilmente ubicata ad una quota superiore, non conservata.
Nell’angolo sud dell’ambiente, ad una quota prossima alla cresta superstite del muro della calcara, rinvenuto un accumulo di pietrame e materiali di varia
natura, tra cui massetti pavimentali in cocciopesto, a ridosso dell’angolo ovest è stata individuata una struttura
circolare in blocchi lapidei irregolari disposti per taglio,
mal conservata (poche decine di centimetri in elevato,
solo un filare di blocchi); misura circa m 1,35 di diametro e al suo interno restano accumulati alcuni frammenti marmorei, tra cui un lacerto di fusto (o rocchio)
di colonna in marmo ‘cipollino’, pietrame generico e
lacerti di pavimento a ‘cocciopesto’.
(R.F.)
Due accumuli di materiale lapideo e una fullonica dal
‘Grande Ninfeo’ (H)
Il grande ninfeo della villa, localizzato in prossimità
della via Appia, affaccia, con la sua quinta monumentale, sulla strada antica (fig. 12).
La fontana, costruita in opera listata, fa parte degli
interventi edilizi messi in opera dall’imperatore Commodo (180-192 d.C.) e s’inserisce all’interno del più antico giardino ad ippodromo della prima metà del II
secolo del quale utilizza la superficie dell’esedra.
Attraverso uno dei due ambienti speculari collocati
ai lati della fontana, si accedeva al terminale sud-est,
piriforme, dello xystus.
Tra il 2002 e il 2004 si è svolta un’estesa indagine
archeologica che ha riguardato in particolar modo la porzione di terreno in prossimità del lato nord-est dell’edificio.
La complessa stratigrafia archeologica individuata si
riferiva ad una cronologia piuttosto ampia che comprendeva più di dieci secoli di storia. Gli strati archeologici databili tra la fine del IV e la prima metà del V
secolo, individuati all’interno dello xystus, sono una
rara testimonianza, all’interno della villa, della continuità d’uso degli spazi che hanno subito un evidente
cambiamento nella destinazione d’uso.
Tra il XIII e il XIV secolo gli edifici, più precisamente
ciò che ancora ne rimaneva, sono stati riadattati e in parte
sopraelevati in conseguenza della trasformazione dell’area
in casale, ossia un fondo agricolo dotato molto spesso di
fabbricati funzionali alle attività che vi si svolgevano. La
torre e parte degli edifici annessi, compresa la costruzione
di un piano superiore nella cisterna mediana (P), sono stati
innalzati utilizzando la nota tecnica edilizia ‘a blocchetti
lapidei disposti a filari orizzontali’ di tufo litoide di colore grigio. Nonostante il materiale impiegato sia tutto di
prima scelta, va notato l’utilizzo di frammenti di cornici
architettoniche e di epigrafi monumentali di marmo per
ricavare le mensole che hanno la funzione di sostenere
l’aggetto del breve camminamento che corre lungo il
muro nord-est dell’edificio 30.
In tutto il settore della villa dei Quintili localizzato
in prossimità della via Appia e all’interno dell’area originariamente destinata a giardino, è ancora possibile distinguere gli interventi edilizi che si sono susseguiti dal
30
I risultati della ricerca archeologica e documentaria che riguardano le fasi edilizie medievali riscontrate nell’area del grande
ninfeo della villa dei Quintili sono ampiamente argomentati in LALLI
2013, pp. 151-166.
DALLA VILLA AL CASALE: ATTIVITÀ PRODUTTIVE NELLA VILLA DEI QUINTILI
205
XV fino al XVII secolo. Sono evidenti, in particolar
modo, la trasformazione di parte degli ambienti del ninfeo, l’ampliamento del portico medievale e la fondazione
di alcuni edifici. Un poderoso muro, che corre parallelo
alla strada per poi piegare ad angolo retto all’interno
dell’area occupata dai fabbricati antichi, recinge un’area
nella quale è compresa anche la grande cisterna (G).
Gli eventi che seguono sono legati per lo più agli
scavi del XVII e XVIII secolo finalizzati principalmente al recupero di opere d’arte antiche.
Le evidenze archeologiche ed architettoniche alle
quali si è accennato, seppure costituiscano una sintesi
di quanto rilevato durante le indagini sul campo, attestano la particolare continuità di vita del sito. Tracce di
frequentazione, seppure intervallate da fasi di abbandono
piuttosto estese cronologicamente alle quali consegue
il crollo parziale delle strutture, sono evidenti anche dall’asportazione parziale dei crolli, dalle rasature dei muri,
azioni che testimoniano la volontà di riutilizzare quanto
possibile l’esistente.
La villa è stata dunque una cava di materiale che in
diverse fasi, e con diverse modalità, è stata anche la base
di alcune attività inserite in ‘sistemi di produzione’ che
possiamo solo ipotizzare 31.
La presenza di semilavorati, accumulati e pronti per
essere reimpiegati, costituiscono l’unica testimonianza
dell’esistenza di un’attività che si colloca all’interno del
terminale sud dello xystus tra la seconda metà del IV e
la prima metà del V secolo d.C.
Le indagini archeologiche hanno messo in luce un
doliarum rinvenuto nella fase di abbandono. Eccezionale è stato il ritrovamento, all’interno di uno dei contenitori in situ, di un accumulo di tessere di pasta vitrea
sulle quali è ancora visibile la malta utilizzata per la
posa in opera del materiale. E’ apparso subito evidente
che la grande quantità di tessere accantonata fosse il risultato di un’intensa attività di spoliazione che ha interessato in particolar modo gli elementi decorativi di
rivestimento parietale e pavimentale dei lussuosi ambienti della villa testimoniata anche dal recupero, ad
ovest dell’ambiente, di un deposito, in seconda giacitura, di frammenti di lastre di marmo liscio e modanato,
crustae marmoree provenienti da pannelli di opus sectile parietale, lesene scanalate di marmo africano.
Anche in questo caso sono evidenti su molti frammenti le tracce della malta utilizzata per la posa in opera
dei materiali. Alcune lastre presentano segni e incisioni
per la predisposizione ad un nuovo taglio (fig. 13).
La datazione è suggerita, oltre che dai manufatti ceramici rinvenuti 32, dal ritrovamento di sette monete di
bronzo, coniate tra il 340 e il 388, rinvenute sparse sul
battuto pavimentale 33 e di un tesoretto di monete d’oro,
Presso il Ninfeo, l’usanza di impiegare materiale proveniente
dalla decorazione di altri edifici, e non necessariamente dalla villa
stessa, è stata riscontrata già per il III secolo. La vasca longitudinale disposta lungo il muro che chiude la vasca realizzata all’interno dell’esedra centrale della fontana, ad esempio, è realizzata con
blocchi di marmo che presentano, sul lato non visibile, la tipica decorazione ‘a bucrani’ degli edifici funerari. Le indagini archeologiche hanno evidenziato che il mosaico pavimentale a grandi tessere
policrome, datato alla seconda metà del III secolo, che riveste l’area
antistante la fontana è stato realizzato contemporaneamente alla
vasca (confronta LALLI 2010).
32
In una delle fosse di alloggiamento dei dolia, privata del contenitore, sono stati rinvenuti 5000 frammenti circa di ‘ceramica a
rivestimento rosso’ e di ‘ceramica a rivestimento bruno’ ben documentata in contesti archeologici di IV e V secolo d.C. L’analisi archeometrica in corso su alcuni campioni ceramici potrebbe fornire
ulteriori dati soprattutto in merito alla produzione di questa classe
ceramica.
33
Si tratta di frazioni di monete in bronzo AE 3 e AE 4.
31
Fig. 13. - Alcune lastre di marmo di recupero rinvenute nella US
185 dove sono evidenti le incisioni per la predisposizione al taglio
(foto V. Santoro).
206
RITA PARIS, RICCARDO FRONTONI, GIULIANA GALLI, CARMELA LALLI
datate tra la seconda metà del IV e la prima metà del V
secolo, proveniente dal deposito di marmo 34.
L’insieme ha fornito gli elementi per supporre la presenza di una sistematica ed organizzata attività legata
alla commercializzazione del materiale recuperato favorita dalla vicinanza del luogo alla via Appia.
Alcuni frammenti di grossi blocchi di marmo sono
stati recuperati in prossimità dell’ambiente posto ad
ovest della fontana durante le indagini svolte nel 2004
per la realizzazione di un sistema di drenaggio delle
acque superficiali. Il deposito di materiale, indagato
solo in parte, potrebbe essere pertinente ad una calcara.
Tra il XV secolo e la prima metà del XVI, l’area occupata originariamente dall’ambiente collocato all’estremità sud-est dello xystus, è stata nuovamente
trasformata per ospitare un’attività artigianale di modesta entità. Sono state messe in luce, addossate al muro
curvilineo di età imperiale, tre vasche e due annessi edificati con una tecnica muraria che possiamo definire ‘a
bozze e bozzette di materiale lapideo differente’, in
gran parte di recupero, disposto a filari sub-orizzontali
e legati con malta. L’insieme si attesta ad una quota più
alta di quella del piano di calpestio di età romana interrato dai crolli dei muri antichi e dai livelli di uso medievali.
Due vasche, disposte a sud a ridosso del muro curvilineo dello xystus, presentano il rivestimento interno
costituito da un doppio strato di cocciopesto. Il pavimento di quella superiore (fig. 14, a) ha una forte inclinazione verso il centro della parete nord-est in
direzione di un’apertura segnata da un blocchetto di
marmo di reimpiego. La vasca inferiore, di forma quadrangolare (figg. 14, b; 15) presenta al centro del lato
nord-est una cavità di forma cilindrica che mistura cm
40 di diametro ed è profondo cm 44. Il foro, chiuso sul
fondo, sembra essere adatto per ospitare un contenitore.
Accanto, ad ovest, si trova un discendente in muratura
di forma quadrangolare conservato solo parzialmente,
che collega la vasca più alta ad una terza vaschetta di
forma triangolare (fig. 14, c). Al momento del rinvenimento, quest’ultimo bacino presentava un riempimento
costituito da sabbia di colore giallo e ciottoli di fiume,
posti a contatto sul fondo. Sotto la vasca più alta, è presente un ambiente, originariamente ipogeo, non ancora
indagato. Parallelo al muro perimetrale nord della fon-
tana di età imperiale, correva una canaletta,- della
quale è stata rinvenuta solo la parte inferiore con forte
pendenza in direzione del bacino triangolare presso la
quale confluiva. Il sistema di vasche comunicanti aveva
così due canali di adduzione.
Più ad est si trova un vano di forma quadrangolare
(fig. 14, e) che utilizza un edificio preesistente. Al piano
pavimentale si accedeva tramite due scalinate costituite
ciascuna da quattro gradini, disposte sui lati più lunghi.
Il pavimento dell’ambiente presenta una finitura in cocciopesto piuttosto grossolano che ha una forte inclinazione in direzione del vano circolare annesso, simile ad
un pozzo di m 2,20 circa di diametro, pavimentato con
blocchi squadrati di tufo grigio nel quale si apre una cavità cilindrica, chiusa sul fondo, rivestita anch’essa in
cocciopesto.
Tra i due gruppi di vasche era ancora presente al momento dello scavo, seppure conservata solo in parte, la
pavimentazione (fig. 14, d) costituita da blocchi parallelepipedi regolari di peperino disposti a secco sul battuto di terra. I blocchi erano simili, per lavorazione, a
quelli impiegati per il rivestimento delle scale e del vano
circolare.
Si potrebbe ipotizzare, in assenza di ulteriori informazioni provenienti dai depositi archeologici se non
quelle relative alla cronologia, che l’insieme di vasche
comunicanti funzionasse come fullonica. Nel caso specifico, si propone in questa sede l’ipotesi che si trattasse
di un edificio funzionale allo svolgimento di quelle fasi
preliminari, ma fondamentali, del processo di trasformazione della lana in filato e che riguardavano il lavaggio sgrassante della lana e la successiva reidratazione
della stessa 35. Il procedimento, già descritto da Columella e ben documentato nel tardo Medioevo, prevedeva
l’utilizzo di acqua e materie sgrassanti come la cenere,
l’urina e alcune essenze vegetali. Senza entrare volutamente nel dettaglio del procedimento, è importante sottolineare che gli statuti cittadini e gli atti delle
corporazioni indicano come luoghi idonei le aree suburbane ed extraurbane poiché si trattava di un’operazione particolarmente inquinante 36.
Dopo la pulitura, si provvedeva a reidratare la lana
con oli, in particolare era consigliato l’olio di oliva,
prima di procedere alla cardatura. Il risultato di tale lavorazione era l’’oliazzo’ che veniva riutilizzato per la fi-
Le monete sono state coniate sotto gli imperatori Valentiniano
I (364-375), Valentiniano II (375-392) e Arcadio (395-408) e sono
attualmente esposte nell’Antiquarium della villa dei Quintili.
35
Il procedimento è documentato soprattutto per il tardo medioevo
(D’INCÀ 2012, pp. 525-526).
36
D’INCÀ 2012, p. 525, nota 10.
34
207
c
a
d
b
e
Fig. 14. - La fullonica del XV secolo rinvenuta all’interno del terminale sud dello xystus. a-b-c) sistema di vasche comunicanti; d) pavimento dell’area in blocchi parallelepipedi di peperino; e) vasca
est (foto S. Castellani).
Fig. 15. - Vaschetta con foro cilindrico chiuso sul fondo e rivestito di cocciopesto (foto C. Lalli).
latura o per la produzione di
saponi 37.
Un’altra ipotesi è quella
che l’attività manifatturiera
fosse legata al ciclo produttivo del filato della canapa,
coltivazione piuttosto diffusa
e attestata anche nella nostra
zona come testimoniato dai
documenti del XIII secolo, per
la quale è necessaria però una
lunga macerazione in vasche a
fondo chiuso di grandi dimensioni poste generalmente
in prossimità di corsi d’acqua.
Si tratta soltanto di un’ipotesi che ad oggi non trova ancora un adeguato supporto
nella ricerca d’archivio.
In breve, dalla ricerca documentaria svolta negli ultimi
anni sulle tenute dislocate
nella porzione di territorio
compresa tra il IV e il V miglio della via Appia è emersa
la presenza, tra la fine del XIII
secolo e la prima metà del
XIV secolo, di due casalia
piuttosto estesi 38, il casale Statuarium di proprietà del monastero di S. Maria Nova, e il
casale Giovici appartenuto
37
Le trasformazioni del processo
produttivo che l’arte della lana conosce a Roma fra il XIV e il XV secolo risulta chiaro dalla lettura di
alcuni documenti notarili e degli Statuti delle arti dei merciai e della
lana. A questo proposito, la Ait (AIT
2005) nota che soprattutto con Martino V (1417-1431), che abolisce la
tassa di immatricolazione e la limitazione dell’importazione di panni
di lana a Roma, si sviluppa una
nuova forma di organizzazione manifatturiera romana che possiamo
definire «manifattura decentrata» e
che prevedeva, anche a causa dell’accresciuta domanda, la produzione locale della materia prima
(vedi anche AMMANNATI 2012, p. 8).
38
Per approfondire l’argomento
sui passaggi di proprietà dei vari casali si rinvia a LALLI 2013, pp. 00.
208
RITA PARIS, RICCARDO FRONTONI, GIULIANA GALLI, CARMELA LALLI
alla famiglia Savelli e donato al monastero di S. Paolo
ad Albano dal cardinale Giacomo Savelli, futuro papa
Onorio IV (1285-1287) nel 1282 39. Alla fine del XIV secolo una parte del casale Giovici è stata incorporata nel
casale del giudice Angeli Petri Mactei de regione Campitelli 40. L’altra parte, dopo anni di controversia, sarà acquistata dal monastero di S. Maria Nova entrando così
a far parte della tenuta del casale di S. Maria Nova sulla
via Appia 41. Nel XVI secolo gli eredi di Angelo Pietro
Mattei possiedono anche una parte del casale Statuarium
che venderanno al venerabile Ospedale del SS. Salvatore
ad Sancta Sanctorum 42. Successivamente, nel 1797, il
conte Giovanni Torlonia acquista il casale Statuarium di
proprietà della Confraternita. Riassumendo, è molto probabile che tra il XIV e il XV secolo l’area della villa interessata dalla presenza della fullonica facesse parte di
quella porzione del casale Giovici che entrerà a far parte
del casale Statuarium Statuario degli eredi del giudice
Mattei e ai quali è forse da attribuire la fondazione dell’attività manifatturiera rinvenuta.
(C.L.)
Considerazioni consuntive
Concludiamo questo contributo con alcune considerazioni sulla distribuzione degli indicatori delle attività
produttive all’interno della villa dei Quintili.
Per quanto riguarda le installazioni fisse, che cronologicamente si pongono agli estremi di quanto richiesto in occasione di questo convegno, esse possono
considerarsi la testimonianza di realtà produttive specifiche che permettono di ragionare sulla rifunzionalizzazione prima e sulla trasformazione della villa in casale
poi. Inoltre le fornaci per la produzione della calce, databili al tardo medioevo e al rinascimento, attestano la
presenza di un’attività produttiva legata a quella di spoliazione del materiale, per lo più proveniente dalla villa,
che trova pieno riscontro con quanto emerso dalle in-
UGHELLI 1644-1662, I, coll. 265-267.
Archivio Storico Capitolino, Roma, Archivio Urbano, sez. I,
tomo 785, v. CXXII-r. CXXIII
41
Archivio di Stato di Roma, S. Francesca Romana, busta 5, Tabula instrumentorum regesti A. Monasteri S. M.e Nove de Urbe ab
an 1455 ad annum 1461.
42
Archivio di Stato di Roma, Catasto di tutti i casali del SS. Salvatore ad Sancta Sanctorum, reg. 381.
43
RICCI 1991.
44
Gli scavi svolti dal 1998 in poi sono stati condotti sotto la direzione scientifica della dott.ssa Rita Paris.
39
40
dagini archeologiche seppure, come è stato evidenziato,
con finalità diverse e non sempre legate alla presenza
sul luogo di cantieri edilizi.
Pochi, quasi assenti, i residui di lavorazione, che invece sono presenti in gran quantità nei cantieri attivi in
età imperiale.
Rimane comunque un’ultima osservazione da fare
su una macroscopica assenza di attività nei secoli VIXI. Per quanto riguarda la frequentazione dell’area per
questo periodo, abbiamo alcune testimonianze fornite
da rari e poco rappresentativi frammenti di forum ware
e di ceramica comune acroma, che potrebbero avere la
loro giusta collocazione in relazione alla presenza di alcune attività legate alla fusione di metalli messe in luce
nell’area delle piccole terme (M) durante gli scavi degli
anni ottanta del secolo scorso 43.
Inoltre vale la pena sottolineare che quanto è oggi a
nostra conoscenza riguarda una minima parte dell’esistente visto che le indagini archeologiche sistematiche
hanno interessato una superficie di circa 15.000 m2 su
un totale di 240.000 m2, una percentuale vicina al 6%
che lascia ancora circa un 94% di terreno non ancora
indagato 44.
(R.P., R.F., G.G., C.L.)
Bibliografia
AIT 2005 = I. AIT, Aspetti della produzione dei panni a Roma
nel basso Medioevo, in A. ESPOSITO, L. PALERMO (a cura
di), Economia e società a Roma tra Medioevo e Rinascimento. Studi dedicati ad Arnold Esch, Roma 2005, pp.
33-59.
AMMANNATI 2012 = F. AMMANNATI, «Se non piace loro l’arte,
mutinla in una altra». I «lavoranti» dell’Arte della lana
fiorentina tra XIV e XVI secolo, in Annali di Storia di Firenze, VII, 2012, pp. 5-34.
AMREIN 2001 = H. AMREIN, L’atelier de verriers d’Avenches,
L’artisanat du verre au milieu du 1er siècle après J.C.,
in Cahiers d’archéologie romande, 87, Aventicum XI,
Lausanne 2001.
BELFIORE, FICHERA, LA RUSSA et alii 2015 = M.C. BELFIORE,
G.V. FICHERA, M.F. LA RUSSA, A. PEZZINO, S.A. RUFFOLO,
G. GALLI, D. BARCA, A multidisciplinary approach for the
archaeometric study of pozzolanic aggregate in Roman
mortars: the case of Villa dei Quintili (Rome, Italy), in
Archaeometry, 57, 2, 2015, pp. 269-296.
BERETTA, DI PASQUALE 2004 = M. BERETTA, G. DI PASQUALE,
Vitrum, Il vetro fra arte e scienza nel mondo romano, Firenze 2004.
CANINA 1856 = L. CANINA, Gli edifizi di Roma antica cogniti
per alcune reliquie, V, Roma 1856.
D’INCÀ 2012 = C. D’INCÀ, Lana e olio? Alcune riflessioni sulle
prime fasi di lavorazione della fibbra, in M.S. BUSANA,
P. BASSO (a cura di), La lana nella Cisalpina romana. Economia e società. Studi in onore di Stefania Pesavento Mat-
DALLA VILLA AL CASALE: ATTIVITÀ PRODUTTIVE NELLA VILLA DEI QUINTILI
tioli. Atti del convegno (Padova-Verona, 18-20 maggio
2011), Padova 2012, pp. 523-533.
DE VIVO 1992 = A. DE VIVO, Le parole della scienza. Sul
trattato de terrae motu di Seneca, Salerno 1992.
FICHERA 2012 = G.V. FICHERA, Caratterizzazione e studi
di provenienza delle malte della Villa dei Quintili
(Roma), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Catania 2012.
FICHERA, BARCA, BELFIORE et alii 2015 = G.V. FICHERA, D.
BARCA, C.M. BELFIORE, R. FRONTONI R., G. GALLI, M.F.
LA RUSSA, A. PEZZINO, S.A. RUFFOLO, Limestone Provenance in Roman Lime-Volcanic Ash Mortars from the
Villa dei Quintili, Rome, in Geoarchaeology, 30, 2015,
pp. 79-99.
FISCHER 2009 = A. FISCHER, Vorsicht Glas! Die römischen
Glasmanifakturen von Kaiseraugst, Augst 2009
(Forschungen in Augst, 37).
FONTAINE, FOY 2007 = S.D. FONTAINE, D. FOY, L’épave Ouest
Embiez 1, Var: le commerce maritime du verre brut et
manufacture en Méditerranée occidentale dans l’Antiquité, in RANarb, 40, 2007, pp. 235-265.
FOY, JÉZÉGOU 1997 = D. FOY, M.P. JÉZÉGOU, Une épave chargée de lingots et de vaisselle de verre. Un témognage exceptional du commerce et de la tecnologie du verre en
Méditerranée antique, in Verre, Revue de l’Intsitut du
Verre, 3, 3, 1997, pp. 65-70.
FRONTONI 2000 = R. FRONTONI, Il cantiere antico a Villa dei
Quintili, in Forma Urbis, V, n.7/8, luglio/agosto, Roma
2000, pp. 42-47.
FRONTONI, GALLI 2010 = R. FRONTONI, G. GALLI, Calce e calcara nella villa dei Quintili, in Atti del I Convegno sulla
calce antica (Firenze, 4-5 dicembre 2008), in Arkos,
Scienza e Restauro, 25, Ottobre/Dicembre 2010, pp. 6673.
FRONTONI, GALLI 2012 = R. FRONTONI, G. GALLI, Il complesso
residenziale e le tecniche e le fasi edilizie, in AA.VV.,
Forma Urbis. Roma 1985-2011. Tutela e valorizzazione
della Villa dei Quintili, XVII, 2, febbraio 2012, pp. 7-9;
27-36.
FRONTONI, GALLI, LALLI et alii 2006 = R. FRONTONI, G.
GALLI, C. LALLI, B. PETTINAU, A. ROTONDI, s.v. Quintiliorum praedium, in LTUR Suburbium, IV, Roma 2006,
pp. 279-294.
FRONTONI, GALLI, PARIS 2010 = R. FRONTONI, G. GALLI, R.
PARIS (a cura di), Villa dei Quintili, Milano 2010.
GALLI, MOLIN, SCAROINA 2007-2008 = P. GALLI, D. MOLIN,
L. SCAROINA, Tra fonti storiche e indizi archeologici. Ter-
209
remoti a Roma oltre la soglia del danno, in RIA, 62-63,
2007-2008, pp. 9-32.
GIANNICHEDDA, MANNONI 2003 = E. GIANNICHEDDA, T. MANNONI, Archeologia della produzione, Torino 2003.
GUIDOBONI 1989 = E. GUIDOBONI, I terremoti prima del Mille
in Italia e nell’area Mediterranea, Bologna 1989.
LALLI 2010 = C. LALLI, Il mosaico a grandi tessere policrome
del ninfeo della villa dei Quintili, in C. ANGELELLI, C. SALVETTI (a cura di), Atti del XV colloquio dell’Associazione
italiana per lo studio e la conservazione del mosaico
(Aquileia, 4-7 febbraio 2009), Roma 2010, pp. 439-444.
LALLI 2013 = C. LALLI, Villa dei Quintili. Fasi edilizie medievali nell’area del grande ninfeo sulla via Appia, in Temporis Signa, VIII, 2013, pp. 151-166.
LANCIANI 1917 = R. LANCIANI, Segni di terremoti negli edifizi di Roma antica, in BCom, XLV, 1917, pp. 3-28.
MUSCO 2006 = S. MUSCO, Tra via Tiburtina e l’autostrada
Roma-Napoli. L’attività della Soprintendenza Archeologica di Roma, in A. TOMEI (a cura di), Roma. Memorie
dal sottosuolo. Ritrovamenti archeologici 1980/2006,
Roma 2006, pp. 278-328.
NEU 1972 = S. NEU, Römisches Ornament. Stadrömische Marmorgebälke aus der Zeit von Septimius Severus bis Constantin, Cösfeld 1972.
PARIS 2000 = R. PARIS (a cura di), Via Appia. La Villa dei
Quintili, Venezia 2000.
PETRELLA 2008 = G. PETRELLA, De Calcariis faciendis. Una
proposta metodologica per lo studio delle fornaci da calce
e per il riconoscimento degli indicatori di produzione, in
AArchit, 13, 2008, pp. 29-48.
RICCI 1991 = A. RICCI, La villa dei Quintili sulla via Appia
Antica: riuso e spoliazione, in RACr, 67, 1991, pp. 467469.
RICCI 1998 = A. RICCI (a cura di), La Villa dei Quintili, Roma
1998.
STERNINI 1995 = M. STERNINI, La fenice di sabbia. Storia e
tecnologia del vetro antico, Bari 1995.
STIAFFINI 1999 = D. STIAFFINI, Il vetro nel medioevo. Tecniche strutture manufatti, Roma 1999.
UGHELLI 1644-1662 = F. UGHELLI, Italia Sacra sive De episcopis Italiae et insularum adjiacentium, rebusque ab iis
praeclare gestis deducta serie ad nostram usque aetatem,
Roma 1644-1662.
VERITÀ 1999 = M. VERITÀ, Le sabbie e il vetro, in A. CIARALLO, E. DE CAROLIS (a cura di), Homo Faber. Natura,
scienza e tecnica nell’antica Pompei, Milano 1999, pp.
108-110.
ATTIVITÀ PRODUTTIVE NEI SECOLI V-XV:
RELAZIONI DI SINTESI
REPORTS ON SOME SPECIFIC PRODUCTIVE ACTIVITIES:
V-XV CENTURIES
LA PRODUZIONE DELLA MONETA A ROMA
TRA TARDA ANTICHITÀ E MEDIOEVO.
NOTE SU ALCUNE QUESTIONI APERTE
Alessia Rovelli
Sottolineare l’importanza storica e archeologica dei
temi che ruotano intorno alla produzione della moneta
è superfluo. Gli eterogenei fattori di ordine istituzionale,
politico, economico e tecnico che si sommano nella produzione della moneta, facendone un manufatto del tutto
particolare, sono stati infatti al centro di numerose iniziative di carattere pluridisciplinare. Ricordo, per l’impulso dato a questi aspetti della ricerca, il convegno
organizzato a Oxford nel 1985. Benché dedicato alle zecche bassomedievali, i problemi affrontati avevano una
rilevanza diacronica e rimangono centrali negli studi numismatici 1.
In ambito italiano, è merito di Lucia Travaini aver
dato vita a due progetti sulle orme tracciate a Oxford.
Il convegno «I luoghi della moneta. Le sedi della zecca
dall’antichità all’età moderna», svoltosi a Milano nel
1999, ha fornito l’occasione per mettere ulteriormente
a fuoco diversi temi relativi all’organizzazione del lavoro e delle maestranze, alla funzione dei magistrati,
all’ubicazione delle zecche, al loro eventuale impatto
sugli impianti urbani, ai sempre pressanti problemi di
approvvigionamento non solo dei metalli monetabili e
del combustibile, ma anche dell’acqua, elemento indispensabile in diverse fasi del processo produttivo 2. Gli
atti del convegno milanese costituiscono una sorta di
premessa ai due volumi editi nel 2011 sulle zecche italiane dall’età altomedievale all’Unità 3. Le voci sulle singole zecche, organizzate in sezioni distinte, la prima
relativa alle officine attive in Italia (se ne contano 248),
una seconda dedicata alle zecche localizzate all’estero
MAYHEW, SPUFFORD 1988.
2
TRAVAINI 2001a.
3
TRAVAINI 2011a.
4
COARELLI 2013.
1
(78), ma sotto il controllo di un’autorità italiana (ad
esempio le zecche di alcune colonie genovesi o veneziane), sono precedute da saggi di inquadramento generale sulla storia degli studi, il diritto monetario,
l’attività mineraria, gli aspetti metrologici, le caratteristiche edilizie delle sedi di zecca che a volte, specialmente dal XVI secolo, arrivarono ad avere caratteri di
monumentalità benché, più frequentemente, occupassero
ambienti del tutto anonimi, senza elementi architettonici di pregio. Interessante è allora il confronto con le
zecche temporanee allestite in città assediate, le cosiddette zecche ossidionali, e con le zecche ‘castrensi’
sorte per fare fronte alle necessità di eserciti in movimento. Una sezione inquadra l’attività delle zecche
clandestine.
Bastano questi pochi dati per comprendere quanto i
problemi connessi alla produzione della moneta possano
essere vasti e complessi e il convegno odierno offre l’occasione per riportare l’attenzione su alcune questioni
aperte che riguardano Roma. Parleremo quindi, ancora,
di luoghi della moneta tra tarda antichità e medioevo,
e in particolare della localizzazione della zecca dopo il
declino e l’abbandono di quella imperiale del Celio, potendo oggi contare sulla recentissima sintesi di Filippo
Coarelli 4, e sulle ricerche coordinate da Mirella Serlorenzi sull’officina metallurgica sorta nei locali di quello
che era stato l’Athenaeum di Adriano 5. In ultimo torneremo sullo spinoso problema della chiusura della
zecca di Roma tra la seconda metà del X e la seconda
metà del XII secolo.
5
SERLORENZI, RICCI, DE LUCA c.s., ed in particolare, per quanto
riguarda gli aspetti propriamente numismatici, il contributo di Flavia Marani; si veda inoltre, in questo stesso volume, l’intervento di
Mirella Serlorenzi, che desidero ringraziare per avermi coinvolta nella
ricerca.
214
ALESSIA ROVELLI
Prendere le mosse da una ricerca rivolta in primo
luogo alla monetazione repubblicana, per discutere della
produzione monetaria a Roma in età medievale, potrebbe
apparire una digressione eccessiva ma si tratta di una
premessa necessaria. Nel volume di Coarelli, oltre ad
una nuova analisi sulle prime emissioni argentee romane
vengono riepilogate le vicende delle officine monetarie
di Roma antica, quella repubblicana sul Campidoglio e
quella che la sostituì dopo l’80 d.C. che è stata individuata in un edificio situato sotto la basilica paleocristiana di S. Clemente 6: interpretazione, quest’ultima,
sostenuta e sviluppata a più riprese appunto da Filippo
Coarelli 7.
L’edificio in questione, riportato alla luce in buona
parte tra la metà del XIX secolo e la metà del successivo, ma rilevato e analizzato solo in epoca più recente 8
è una struttura imponente a pianta rettangolare, che si
sviluppava in coincidenza dell’attuale basilica di S. Clemente, incluso il quadriportico, su una presumibile lunghezza di 65-70 metri, e una larghezza accertata di m
29,6 equivalenti a 100 piedi, destinato alla coniazione
nei tre i metalli 9. L’interno si articolava in una serie di
ambienti di dimensioni regolari che si aprivano su un
vasto cortile centrale, richiamando in modo stringente,
come si è ricordato, il frammento 680 della pianta marmorea severiana con la legenda MON 10. Un massiccio
muro perimetrale in opera quadrata, che ben si addice
ad una struttura che, per ovvi motivi, non si voleva fosse
di facile accessibilità, delimitava una superficie agibile
di circa m² 1900-2000 ripartiti tra i m² 800-900 del cortile e i circa 740 degli ambienti coperti. La presenza di
un vano scala indica l’esistenza di un secondo piano,
verosimilmente destinato ad uffici e archivi, che con-
sentiva di raddoppiare la superficie coperta. I pavimenti,
costituiti da semplici battuti o in cementizio, risultano
coerenti con la destinazione d’uso di un edificio prettamente industriale, nonostante l’apparente monumentalità esterna suggerita non solo dall’adozione dell’opera
quadrata, ma anche dai frammenti di un’iscrizione dedicatoria in lettere di bronzo della ipotetica lunghezza
di oltre m 19, riconducibile, analogamente ad altre epigrafi, ad interventi traianei 11.
Come abbiamo accennato, diversi indizi consentono
di circoscrivere al periodo domizianeo, e in ogni caso
all’età flavia, la cronologia dell’edificio 12 la cui costruzione sarebbe riconducibile al trasferimento delle attività di conio dal Campidoglio alla Regio III, dove
ancora i Cataloghi Regionari collocano la Moneta 13.
Anche alcune epigrafi rinvenute a più riprese tra il XVI
e il XVIII secolo in prossimità di S. Clemente, con dediche di vari membri della familia monetalis, rendono
plausibile la proposta che nell’area stessa, e in particolare nell’edificio rinvenuto sotto la basilica, si debba appunto riconoscere la sede della Moneta Caesaris, come
viene nominata in una delle epigrafi traianee 14.
Se questa interpretazione è ampiamente condivisibile nelle sue linee generali, più problematico appare
determinare per quanto tempo la zecca di fondazione
domizianea sia rimasta in funzione nell’edificio che è
stato descritto. Coarelli, in considerazione del fatto che,
intorno alla metà del IV secolo 15, sull’area della Moneta si fosse ormai insediata la basilica paleocristiana
di S. Clemente, individua in quello stesso arco di tempo
la fine delle attività monetali 16. In appoggio a questa
cronologia – e, di fatto, anche all’identificazione del monumento – viene ricordata l’epigrafe di età costantiniana,
6
Tale ipotesi era stata inizialmente avanzata nell’ambito di uno
studio sul complesso di S. Clemente (GUIDOBALDI 1978, p. 30 e nota
86), sulla base di un suggerimento di Emilio Rodríguez-Almeida
(in seguito ripreso in RODRÍGUEZ- ALMEIDA 1981, pp. 63-65). Quest’ultimo aveva, infatti, notato la stretta analogia planimetrica tra
l’edificio di età imperiale esistente sotto la più antica basilica clementina –solo allora rilevato integralmente (GUIDOBALDI 1978, tav.
I) – e quello rappresentato nel frammento n. 680 della forma urbis
severiana con la scritta lacunosa MON, facilmente integrabile come
MON[ETA].
7
COARELLI 1980, pp. 192-195; COARELLI 1994; COARELLI 1996,
pp. 280-281; COARELLI 2013, pp. 168-181.
8
GUIDOBALDI 1978, pp. 17-35; GUIDOBALDI 1992, pp. 21-35, per
la storia degli scavi; pp. 47-69 per la descrizione e l’analisi delle
strutture.
9
Cfr. CIL VI, 42-44.
10
Cfr. supra, nota 6.
11
COARELLI 2013, pp. 149-184 (a p. 173 le ipotesi sulle possibili integrazioni dell’epigrafe dedicatoria traianea). Un primo studio dei frammenti dell’epigrafe, conservata per una lunghezza di m
2,41, è in LAWLOR 1992. Sulla familia monetalis, si veda anche BERNAREGGI 1974.
12
GUIDOBALDI 1992, p. 67; COARELLI 2013, p. 170.
13
VALENTINI, ZUCCHETTI 1940, pp. 95, 167.
14
Le varie epigrafi riconducibili alla Moneta sono riportate in
LANCIANI 1907, p. 152 e COARELLI 1996, pp. 280-281. Lanciani,
tuttavia, sulla base delle notizie relative al rinvenimento di alcune
di queste, ad esempio CIL VI, 42-44 (databili al 115) e 791, preferì collocare la Moneta nell’area subito ad est di S. Clemente ma
oltre l’attuale omonima piazza (LANCIANI 1896, tav. 30; GUIDOBALDI 1992, pp. 61-62, con ampia analisi della bibliografia precedente).
15
Questa data è stata proposta da Guidobaldi, pur se con inevitabili approssimazioni, in base all’analisi comparata delle fonti e delle
strutture esistenti (GUIDOBALDI 1992, pp. 119-122 e 300-311). L’impianto dell’abside e la definitiva strutturazione della chiesa in forma
di basilica absidata appartengono ad una fase di poco successiva,
databile alla fine del IV - primi decenni del V secolo (ibidem, p.
156).
16
COARELLI 2013, p. 176.
LA PRODUZIONE DELLA MONETA A ROMA TRA TARDA ANTICHITÀ E MEDIOEVO. NOTE SU ALCUNE QUESTIONI APERTE
215
in cui si nomina Valerius Pelagius v. e. proc. s(acrae)
m(onetae) u(rbis) 17, che lo studioso ritiene proveniente
«proprio dal quadriportico antistante alla chiesa» 18, ma
la cui pertinenza al complesso di S. Clemente e alla Moneta, a suo tempo suggerita da Lanciani, appare piuttosto incerta 19.
L’interpretazione di Coarelli – che ha suscitato largo
interesse 20 – trova un ulteriore ostacolo, per quanto concerne i destini della struttura che ospitò la Moneta, nella
presenza di una fase edilizia che precede l’installazione
dell’edificio di culto cristiano e che appare caratterizzata da elementi architettonici e decorativi ben diversi
rispetto a quelli che avevano qualificato l’edificio in
opera quadrata, ma a carattere industriale, di età flavia.
Questa nuova costruzione, databile alla seconda metà
del III secolo 21, è stata rilevata e genericamente definita da Guidobaldi come ‘edificio del III secolo’, data
la difficoltà di individuarne precisamente la funzione.
Essa aveva utilizzato i muri in opera quadrata come fondazione e si era sviluppata in corrispondenza del livello
del secondo piano domizianeo, distruggendolo completamente. I nuovi muri, in buona parte ancora esistenti,
sono in laterizio e conservano, pur se soltanto nella parte
inferiore, evidenti resti di intonaco decorato con affreschi che simulano un rivestimento a pannelli marmorei. La planimetria ricavata sulla base dei resti superstiti
mostra un vastissimo ambiente rettangolare, circondato
su tre lati da una sorta di largo corridoio sul quale si
apre verso est, forse con un prospetto a pilastri. Sul lato
sud un lungo muro continuo si apriva in fondo in una
bifora o trifora a colonne 22.
Se è vero che l’insolita planimetria finora delineata
non facilita la comprensione della funzione del cosiddetto ‘edificio del III secolo’, è pur vero che quel che
rimane della decorazione pittorica fa pensare ad un uso
privato, sia abitativo che di rappresentanza, piuttosto che
industriale 23. Ne consegue la difficoltà di fare proseguire le attività di conio nel nuovo edificio del III secolo fino al IV secolo inoltrato, cioè fino a quando si
insediò in esso la prima ecclesia di S Clemente 24 o, detto
altrimenti, di riconoscere la Moneta nell’edificio sottostante in opera quadrata, malgrado l’evidente somiglianza di quest’ultimo con quello indicato come tale
nel frammento 680 della FUR.
Un riesame dei dati archeologici e la parallela verifica di quelli numismatici possono tuttavia fornire gli
elementi utili per circostanziare le fasi di vita e di abbandono delle strutture in esame. È dunque utile riportare l’attenzione sulle principali modifiche strutturali
osservabili nell’edificio in opera quadrata.
Un primo intervento che, malgrado il rialzamento del
livello pavimentale di circa m 0,70, non dovrebbe aver
avuto conseguenze di rilievo sulla sua destinazione
d’uso è rappresentato dalla sostituzione dei pavimenti
in cementizio con un nuovo rivestimento in opus spicatum. La posa in opera dei nuovi pavimenti potrebbe
risalire sia ad una ristrutturazione traianea – suggerita
dalle citate epigrafi del 115 e dalla grande epigrafe dedicatoria riutilizzata, in parte, come architrave della
porta della basilica del XIII secolo 25 – sia, più probabilmente, sulla traccia di alcune emissioni con la legenda
MONETA AVG S C; MONETA AVGVSTI S C; MON
RESTITVTA S C, RESTITVT MON e RESTITVTOR
MON S C, ad Alessandro Severo 26.
CIL VI, 1145.
COARELLI 2013, citazione a p. 176 e, per quanto riguarda l’epigrafe, p. 169.
19
Il Lanciani, sulla base di un’indicazione del Bianchini, considerò come frutto degli interventi condotti nel 1715 sia CIL VI, 1145
che CIL VI, 1146 ritenendole entrambe provenienti da S. Clemente
e pertinenti alla Moneta (LANCIANI 1907, p. 152). In realtà, solo la
seconda epigrafe, databile al 324-337, risulta effettivamente proveniente da S. Clemente («Rep. inter instaurandum titulum S. Clementis
a. 1715») ma, è utile precisare, manca di riferimenti alla Moneta.
Viceversa, per quanto riguarda CIL VI, 1145, databile al 312-324
che, come si è ricordato, tramanda una dedica a Costantino a cura
di Valerius Pelagius, procurator s(acrae) m(onetae) u(rbis) una
cum p(rae) p(ositis) et officinatoribus, il luogo esatto del rinvenimento non viene citato anche se si precisa che appartenne alla collezione del cardinale Alessandro Albani (nipote di Clemente XI, al
quale si deve il rifacimento del quadriportico di S. Clemente nel
1715): cfr. CIL VI, Pars VIII, Fasc. 2, Addenda et corrigenda, con
le indicazioni cronologiche; sul problema in generale cfr. GUIDOBALDI 1992, pp. 61-64, in particolare le note 95-98 dove si nota che
gli scavi del 1715 interessarono oltre al quadriportico anche la strada
antistante e gli accessi esterni. Cadono quindi i presupposti che, in
base a CIL VI, 1145, avevano indotto a protrarre l’attività della Moneta nell’edificio in opera quadrata fino alla piena età costantiniana.
Anche la diversa datazione suggerisce di non mettere in reciproca
relazione i due documenti epigrafici.
20
BURNETT 2001, pp. 41-43 che accoglie l’ipotesi di Coarelli circa
la continuità d’uso dell’edificio in opera quadrata fino al IV secolo;
SERAFIN 2001, p. 31.
21
GUIDOBALDI 1978, pp. 52-64 e tav. IV; GUIDOBALDI 1992, pp.
97-116.
22
GUIDOBALDI 1978, tav. IV; GUIDOBALDI, LALLI, PAGANELLI et
alii 2004.
23
GUIDOBALDI 1992, pp. 114-116.
24
Cfr. supra, nota 15.
25
Per questa ipotesi propende COARELLI 2013, pp. 172-175 che
peraltro non esclude anche quella di un possibile intervento di Alessandro Severo (cfr. ibidem, nota 685).
26
BURNETT 2001, p. 42, citando RIC, IV, 2, nn. 586-589, p. 117
e 600-601, p. 118. RIC, IV, 2, pp. v-vii e 66-67 riconduce erroneamente queste legende a modifiche metrologiche. GUIDOBALDI 1992,
p. 275 accenna ad una vasta ristrutturazione urbanistica della zona
in età severiana.
17
18
216
ALESSIA ROVELLI
Più decisivo appare un successivo intervento, avvenuto nell’ambito di una radicale trasformazione dell’area che portò all’innalzamento dei livelli di calpestio
di oltre quattro metri. È a questa nuova quota, del resto,
che è stato rinvenuto l’edificio databile alla seconda metà
del III secolo che oblitera la precedente struttura in
opera quadrata. Sembra molto probabile vedere nel totale interramento dell’edificio originario le conseguenze
dei violenti scontri scoppiati durante la rivolta dei monetales del 270/271 27. Un riesame degli eventi – che
avrebbero causato 7000 morti e, presumibilmente, rilevanti distruzioni – permette di precisare i destini della
Moneta e conciliare le condivisibili argomentazioni di
Guidobaldi riguardo al succedersi di fasi e destinazioni
d’uso diverse, con l’identificazione del monumento difesa da Coarelli.
Bisogna premettere che con Gallieno e, in seguito,
Claudio II e Quintillo, i monetales (rimane incerto il
ruolo del rationalis Felicissimus e del procurator monetae), approfittando anche della frequente assenza dell’imperatore dalla capitale, avevano dato vita ad una
massiccia produzione di emissioni fraudolente. La zecca
sembra aver funzionato in forma quasi autonoma, gonfiando la circolazione con una massa enorme di moneta
di pessima qualità, ciò che avrebbe contribuito notevolmente alla crisi dell’antoniniano 28.
Un primo tentativo di arginare il fenomeno si deve
a Claudio II che iniziò col trasferire una parte delle maestranze a Milano, per poi sospendere ogni attività della
zecca di Roma all’inizio del 270: non sono attestate
emissioni successive a quella datata Tr P II del dicembre 268 - dicembre 269. La chiusura della zecca non
arrestò, peraltro, il fenomeno delle emissioni fraudolente
che raggiunsero volumi particolarmente elevati con
quelle a nome di Claudio divus (costituiscono il 93%
delle monete a suo nome nel tesoro de La Venera) sollevando, di conseguenza, il problema di stabilire la sede
in cui furono coniate. La rilevante produzione di moneta fraudolenta spiega l’incisività dell’intervento di
Aureliano – anche se il numero dei morti potrebbe avere
valore retorico – e le drastiche misure adottate che portarono al trasferimento del restante personale specializzato nella nuova zecca di Serdica. A Roma la zecca
fu riaperta solo nell’estate del 273, con emissioni inizialmente di modesto volume, frutto del lavoro di cinque e poi sei officine (rispetto alle dodici precedenti) 29.
In definitiva, i dati numismatici appaiono coerenti
con quelli archeologici che, malgrado la frammentarietà,
indicano che nella seconda metà del III secolo l’edificio di tipo industriale, in cui è stata riconosciuta la Moneta di età flavia, convincentemente ricondotto al
frammento della pianta marmorea, sia stato sostituito
da un altro (che precede quello con pianta basilicale) le
cui pareti affrescate e di buon livello qualitativo fanno
pensare fosse destinato ad un uso diverso da quello di
un’officina monetale. Le circostanze appena descritte
suggeriscono che nel 273 la ripresa delle attività di coniazione, dopo alcuni anni di totale interruzione, abbia
avuto luogo in ambienti e spazi diversi - anche se non
lontani - dall’edificio domizianeo che alla fine del III
secolo era stato ormai interrato e sostituito da una costruzione probabilmente di carattere privato, nella quale
in seguito si inserirà il titulus Clementis. Al riguardo si
può osservare che, poiché nell’edificio del III secolo,
impostato sulla struttura domizianea ormai interrata, si
inserirà una chiesa cristiana, esso difficilmente poteva
essere ancora di carattere pubblico: sappiamo infatti
che le chiese e in special modo i tituli come S. Clemente
risultano installati, di norma, in aree o edifici di proprietà privata 30.
A sostegno dell’ipotesi di una contiguità della Moneta domizianea con i nuovi spazi adibiti alla coniazione
è la menzione della Moneta nei citati Cataloghi Regionari che la collocano nella Regio III, subito prima di
Amphitheatrum e Ludus magnus 31, confermandone la
presenza nei paraggi ancora nel IV secolo. In questa prospettiva potrebbe tornare d’attualità anche un’altra ipotesi avanzata da Federico Guidobaldi che, in base a
Lanciani e ad una suggestione di Rodríguez-Almeida,
e per ovviare ai problemi che la presenza dell’edificio
di III sollevava in rapporto all’identificazione della Moneta, ha supposto che la Moneta occupasse più edifici,
«magari anche del tutto analoghi» dal punto di vista
strutturale, in alcuni dei quali continuò a funzionare la
zecca anche dopo i massicci interventi causati dagli incidenti del 270 32.
L’ipotesi è condivisa da GUIDOBALDI 1992, pp. 273-274; COA1994; BURNETT 2001; COARELLI 2013, p. 176.
28
CUBELLI 1992.
29
Ampia e aggiornata analisi in ESTIOT 2004, pp. 59-66.
30
GUIDOBALDI 1989, pp. 383-396.
31
VALENTINI, ZUCCHETTI 1940, pp. 95, 167.
32
GUIDOBALDI 1992, p. 65; RODRÍGUEZ ALMEIDA 1981, p. 65: «non
sarebbe affatto sorprendente che il complesso occupasse diversi
isolati»; contra COARELLI 2013, p. 179 che tende ad escludere la
possibilità di spazi alternativi o annessi al corpo principale della Moneta e prolunga le attività di conio negli ambienti dell’edificio del
III secolo fino all’installazione del luogo di culto cristiano.
27
RELLI
LA PRODUZIONE DELLA MONETA A ROMA TRA TARDA ANTICHITÀ E MEDIOEVO. NOTE SU ALCUNE QUESTIONI APERTE
217
La menzione nei Cataloghi Regionari rimane la fonte
più tarda relativa alla localizzazione della Moneta, in
seguito siamo privi di elementi che ci consentano di individuare con precisione gli spazi ormai destinati alla
zecca, salvo alcuni deboli indizi che potrebbero condurre
ad un edificio non lontano dalla chiesa di S. Gregorio
Magno, alle pendici del Palatino 33. Dobbiamo comunque considerare che le riforme avviate a partire dall’età
tetrarchica, e proseguite nel corso del IV secolo 34, riorganizzarono profondamente l’attività delle zecche portando ad una effettiva separazione, non solo
amministrativa, tra la zecca del comitatus alla quale era
affidata l’emissione di moneta aurea e argentea, e quella
publica preposta all’emissione del bronzo 35. È verosimile che questa riorganizzazione 36, congiunta all’evolversi delle emissioni di bronzo che tenderanno a
tipologie piuttosto semplici e ripetitive, adatte ai tondelli di diametro ben più ridotto di quelli della piena
età imperiale, abbia limitato la necessità di ampi spazi
dedicati alla coniazione. Non si può dunque escludere
che nel corso del IV secolo, se non già alla fine del III,
la zecca di Roma sia diventata ‘mobile’, come sarà in
età medievale e, riprendendo un’espressione di Burnett,
‘invisibile’, analogamente a quanto è stato sovente riscontrato per altre zecche di età imperiale 37. L’assenza
di successivi richiami alla Moneta nella toponomastica
del Celio (e, più in generale, di Roma) 38, richiami che
invece troviamo, seppur non privi di elementi di incertezza, in altri casi come Milano 39 o Ravenna 40 potrebbe
costituire un indizio in tal senso.
Ho ricordato le caratteristiche architettoniche dell’edificio del Celio dato che, congiuntamente ad una
serie di riferimenti nelle fonti scritte, sono state considerate un elemento utile per riconoscere nei resti di un
edificio di grandi dimensioni, situato non lontano dall’area su cui insisteva il Palazzo di Teodorico, la sede
della moneta aurea o moneta palatii ravennate. Altrettanto possiamo dire, tornando a Roma, sui resti di un
grande edificio pubblico riconosciuto come l’Athenaeum di Adriano in cui è stato proposto di localizzare la
zecca (nel nostro caso si tratterebbe della moneta publica) dopo gli interventi che, a partire dal VI secolo,
ne modificarono profondamente la funzione trasformandolo in officina 41. A questa condivisibile ipotesi aggiungo solo qualche dettaglio tenendo presente i risultati
delle analisi metallografiche da cui è possibile dedurre
che vi si lavorassero essenzialmente leghe di rame compatibili con la produzione di monete e di oggetti minuti
di varia natura.
Lellia Cracco Ruggini, intervenendo al citato convegno di Milano, aveva accennato alla possibile contiguità tra generiche manifatture metallurgiche e quelle
più propriamente rivolte alla coniazione 42. Dietro questa promiscuità c’era, ovviamente, una ragione economica poiché, come è noto, le attività di conio non
avevano necessariamente carattere di continuità. Nei periodi in cui non si coniava moneta diventava dunque
economicamente interessante utilizzare le attrezzature
industriali della zecca per produzioni artigianali di diversa natura. Probabilmente, solo per la zecca imperiale
del Celio possiamo pensare ad una attività esclusivamente rivolta alla produzione di moneta, dato che da
essa dipendeva l’approvvigionamento monetario delle
province occidentali, valutabile, secondo alcune stime
del tutto indicative, in 40-50 milioni di monete l’anno,
escluse le emissioni di bronzo 43.
La possibile multifunzionalità spiega anche perché
sia spesso difficile distinguere archeologicamente una
zecca da una semplice fonderia. A Serdica, tracce di produzione monetaria sono state trovate presso il prefurnium di un edificio che era stato un impianto termale
ma dove, verso la fine del III e gli inizi del IV secolo,
furono assemblati oltre kg 181 di metallo in lega di rame
suddivisi in 315 pezzi informi e di dimensioni variabili.
Il principale indizio a favore dell’ipotesi che quegli ambienti fossero stati adibiti anche, se non solo, alla co-
BURNETT 2001, p. 43, nota 19.
34
Su questo vastissimo tema rimangono testi di riferimento KENT
1956; HENDY 1972; HENDY 1985, pp. 371-447; DELMAIRE 1989, pp.
495-525.
35
KENT 1956, p. 201.
36
Con il trasferimento della corte, Roma, sede di una moneta
publica, coniò prevalentemente bronzo anche se a volte, ad esempio durante i lunghi soggiorni di Valentiniano III, ci furono consistenti emissioni auree; sintesi sull’attività delle zecche in RIC, VI,
36-72 e 328-348 (Roma); RIC, VII, pp. 13-24 e 280-295 (Roma);
RIC, VIII, pp. 234-247 (Roma); RIC, X, pp. 23-26 e 31-33 (Roma);
GRIERSON, MAYS 1992, pp. 48-56; 65-66 (Roma).
BURNETT 2001.
La localizzazione del luogo detto Monetariis presso l’altare di
Matidia, suggerita da DELMAIRE 1998, p. 507 sulla base della frammentaria citazione nell’editto di Tarracius Bassus del 374 (CIL VI,
31893 b) appare poco convincente data la notevole lacunosità del
testo.
39
CHIARAVALLE 2001, pp. 247-250.
40
AUGENTI 2005; CIRELLI 2008, pp. 89-90; MORELLI, NOVARA
2007, pp. 163-166 e 177-179; MORELLI 2011, pp. 1052-1055.
41
Si veda la bibliografia citata supra, nota 5.
42
RUGGINI 2001, p. 170.
43
Sui volumi di emissione della zecca cfr. BURNETT 2001, p. 42.
33
37
38
218
ALESSIA ROVELLI
niazione è costituito dal ritrovamento di 21 tondelli dal
diametro e peso compatibili con emissioni coeve. Tenendo conto di questi aspetti, ritengo che, indipendentemente dalle eventuali similitudini architettoniche, le
ipotesi avanzate sull’Athenaeum siano largamente condivisibili.
Rimane comunque aperto il problema di localizzare
la zecca ostrogota, almeno per quanto riguarda le emissioni auree e argentee 44. Altrettanto può dirsi per l’età
bizantina quando, a partire dal regno di Eraclio, la rigida divisione di ruoli tra Ravenna e Roma si affievolì
fino a scomparire a causa di una progressiva regionalizzazione che portò all’apertura di una zecca anche a
Napoli 45.
Rimanendo nel campo delle ipotesi, e sulla base di
quanto è noto per Ravenna e Costantinopoli, il Palatino
sarebbe il candidato favorito. Sia a Ravenna che a Costantinopoli, infatti, la moneta aurea risulta localizzata
dentro o in prossimità del palazzo imperiale, in una netta
separazione, sia funzionale che spaziale, dalla moneta
publica, che a Costantinopoli era nella XII regio e a Ravenna presso una posterula delle mura urbiche 46.
Per quanto riguarda il Palatino, sembra accertato
che il nucleo centrale del palazzo imperiale, restaurato
da Teodorico, continuò ad essere occupato. Le poche
notizie relative al VII secolo concordano nell’indicare
nella Domus augustana la residenza del duca bizantino 47.
Certamente non mancavano spazi adatti all’impianto di
una zecca dato che, come si è detto, non dobbiamo attenderci che l’imponenza della Moneta del Celio si ripeta. Piuttosto dobbiamo considerare che la moneta
aurea era una zecca mobile, al seguito del comitatus che,
verosimilmente, non necessitava di spazi particolari.
Gli ampi volumi dell’edificio del Celio rimangono, con
tutta probabilità, una caratteristica propria della zecca
dell’Urbe nella piena età imperiale quando Roma coniava nei tre metalli e in volumi considerevoli.
Come abbiamo già ricordato, Burnett ha parlato di
‘invisibilità’ delle zecche imperiali e della difficoltà di
distinguerle da semplici forge. Difficoltà che si fa più
acuta nell’alto medioevo in conseguenza dell’accentuata mobilità delle zecche regie, dei mutati ritmi di produzione che portarono a volumi di emissioni ben più
ridotti da parte di monetieri che, per quanto teoricamente
sottoposti al controllo regio, operavano in condizioni più
assimilabili a quelle di singoli artigiani che di pubbliche maestranze. Quest’ultimo fenomeno è più visibile
nell’Inghilterra anglo-sassone e nella Francia merovingia che in Italia, dove si nota la tendenza a fissare le
officine monetarie in luoghi che mantengono, o perlomeno evocano, una funzione pubblica 48. Nel IX secolo,
a Pavia come a Milano, la zecca era nella zona del foro
romano e così è a Verona agli inizi del XII secolo, benché la proprietà dei locali non fosse necessariamente
pubblica 49.
La documentazione più antica relativa ad un edificio acquisito dallo stato per ospitarvi la zecca risale al
1164 quando a Genova il comune comprò l’hospitio di
un giudice. Molte zecche, anche importanti, lavoravano
in ambienti presi in affitto 50. È il caso della zecca ‘vagante’ di Bologna, attiva fin dal 1191, della quale sono
noti numerosi traslochi. La prima sede sembra essere
stata «in casa dei figli di Scannabecco». In seguito, all’inizio del XIII secolo la «domus monete» era parte di
un nucleo di edifici affittati nel 1208, per la durata di
5 anni. Durante la signoria di Taddeo Pepoli (1337-1347)
la zecca si sposta nelle vicinanze della chiesa di Santo
Stefano. Poco dopo, negli anni della signoria viscontea,
tra il 1350 e il 1366, ha sede «in casa di Galeotto de’
Bianchi», nella «cappella» di Santa Tecla. Nel 1377 si
sposta in casa di Giacomo da Ignano. Potremmo continuare l’elenco di abitazioni private che ospitarono la
zecca fino al 1577 quando il Senato acquistò due case
«dove collocare stabilmente la zecca» 51.
‘Vagante’, fin dalle sue origini in età longobarda, fu
anche la zecca di Lucca che tale continuò ad essere nel
XIV secolo quando, dopo la morte di Castruccio, il
Consiglio degli Anziani decise di dare in appalto a privati la sua gestione. Almeno in parte, i numerosi cambi
di sede sono ora noti, e possiamo citarne alcuni esempi.
44
Per un profilo delle emissioni ostrogote, cfr. MEC, pp. 33-37
e 430-434; METLICH 2004, pp. 11-46; ARSLAN 2011, pp. 370-386.
45
In età ostrogota, infatti, erano parzialmente caduti i motivi che
avevano portato a distinguere la moneta aurea da quella publica,
motivi che torneranno in vigore con la Pragmatica Sanctio. Giustiniano riportò a Ravenna, sede della prefettura, la moneta aurea,
lasciando a Roma il compito di approvvigionare di moneta di bronzo
l’Italia suburbicaria: cfr. HENDY 1985, pp. 395-401; HENDY 1988,
pp. 41-45.
46
MORRISSON 2001, pp. 49-58 e bibliografia citata alla nota 34.
AUGENTI 1996, pp. 118-119.
Su questi temi, sotto diverse angolazioni, cfr. LOPEZ 1953, pp.
1-43; MEC, pp. 97-102 e 158-159; BOMPAIRE, DUMAS 2000, p. 385;
METCALF 2001, p. 60; NAISMITH 2012, pp. 128-155; recenti sintesi
sull’Italia in ANTONUCCI 2011a, p. 313; ARSLAN 2011, pp. 394-396.
49
CHIARAVALLE 2001, pp. 247-249; ANTONUCCI 2011a, pp. 312315.
50
SPUFFORD 1988, p. 21; TRAVAINI 2001b, p. 71.
51
BELLOCCHI 2001, pp. 255-258.
47
48
LA PRODUZIONE DELLA MONETA A ROMA TRA TARDA ANTICHITÀ E MEDIOEVO. NOTE SU ALCUNE QUESTIONI APERTE
219
Nel 1345 la zecca era in contrada S. Petri Cigoli; nel
1372 risulta «in loco dicto Arestano»; solo due anni
dopo, nel 1374 sembra trasferita nella bottega di Labruccio di Gilio Cerlotti, incisore dei coni. Nel 1387 si
trova nella contrada «s. Dalmatii». La zecca continua
ad essere gestita da privati anche sotto la signoria di
Paolo Guinigi. Solo dopo la sua caduta la zecca troverà
una sistemazione stabile in quella che era stata una torre
del palazzo dell’Augusta 52.
Anche a Roma le sedi della zecca furono molteplici
e il loro susseguirsi, a partire dalla fine del XIV secolo,
è ormai sufficientemente noto. Alla fine del ‘300, stando
ad alcune fonti del XV e del XVI secolo, la zecca sembra essere stata ai piedi del Campidoglio, nei pressi dell’arco di Settimio Severo e della chiesa di Sant’Adriano,
ovvero della Curia. Nel 1431 Eugenio IV progetta di
trasferirla in Vaticano presso la «campanaria turris». I
lavori continuano con il successore Niccolò V (14471455), e si ha notizia del pagamento di una parte dei
lavori nel 1453. Tuttavia sembra che quei locali non
siano mai stati utilizzati, e si ha viceversa notizia di continui trasferimenti. Non di rado, infatti, in occasione della
stipula di un nuovo appalto (di norma ogni 5 anni) il titolare la trasferiva nella propria casa, o negli immediati
dintorni. Negli anni del breve pontificato di Callisto III
(1455-1458) la zecca era in un palazzo lungo l’attuale
via dei Banchi Vecchi, residenza del cardinale Roderigo Borgia, futuro Alessandro VI. In alcuni casi gli spostamenti appaiono particolarmente ravvicinati, come
durante il pontificato di Paolo II (1464-1471) quando
sono note due diverse sedi. Tra il 1467 e il 1468 la zecca
fu ospitata nella casa di un tale Giovanni Antonio de
Rubeis, nel rione Pigna. A costui la Camera Apostolica
pagava le spese per l’affitto della casa medesima. Intorno al 1471 l’officina monetaria risulta in un palazzetto nella piazza di ponte Sant’Angelo; nel 1502 è di
nuovo nelle vicinanze del Palazzo Borgia 53.
Se poniamo attenzione alle attrezzature necessarie
al funzionamento di una zecca, prima della diffusione
di procedimenti meccanici, si comprende meglio la frequente mobilità che abbiamo appena descritto. Alcuni
inventari, ad esempio quelli relativi a Bologna, sono una
fonte preziosa 54. Poco, e di età più recente, si è conservato per Roma 55, ma non c’è motivo di ritenere che
le attrezzature utilizzate a Roma fossero sostanzialmente diverse da quelle attestate a Bologna, soprattutto
se consideriamo che i monetieri erano spesso itineranti.
Tra gli inventari bolognesi, quello datato al 14 maggio 1200 è particolarmente interessante per la sua precocità e per la precisione della descrizione anche se,
probabilmente, vi troviamo elencati solo gli oggetti di
proprietà pubblica e non quelli in possesso del monetiere. Tra questi si annoverano spesso i fornelli, di ferro
e trasportabili, usati per fondere o scaldare i metalli. È
probabile che anche le bilance non fossero di proprietà
pubblica, non essendo menzionate nell’inventario. Ne
esistevano di diversa portata. Quelle medie, comunque
molto precise, servivano per pesare i metalli che i privati portavano in zecca per trasformarli in moneta, o
anche per pesare i metalli in modo da ottenere la lega
stabilita. Bilance più piccole erano usate dagli aggiustatori per regolare il peso dei tondelli.
Soffermiamoci ora su alcune delle attrezzature menzionate nell’inventario in questione: 230 torselli cioè
punzoni, 42 libbre di ferro, 8 manici di padella, 1 pentola di rame piena di ferro, 10 cesoie, 2 crogioli di ferro
per fondere, 2 manici per crogioli, 1 tenaglia, 2 lime, 1
martello, 4 piccoli magli, 2 recipienti per imbiancare le
monete, 1 grande recipiente di rame, 3 boccali contenenti 7 libbre di rame, 4 padelle, 25 libbre di piombo,
1 piccolo mantice, 1 cassa che conteneva quanto sopra
elencato, 1 lastra di pietra, 1 tavola grande con 2 treppiedi, 42 assi da operaio o da monetiere con cui venivano allestiti i banchi per le operazioni di conio 56. I
banchi erano dunque smontabili.
Il libro della zecca di Firenze ci trasmette un inventario del 1353: casse con serrature, cesoie, martelli,
4 padelle di rame (di cui una rotta), 91 crogioli grandi
e 81 medi, 1 materasso, alcune lampade ad olio. Nel
1356 vengono minuziosamente annotate le spese per la
riparazione del secchio del pozzo annesso alla zecca e
per la pulizia della pietra di paragone utilizzata per testare i fiorini d’oro 57.
Senza voler minimizzare un’attività che richiedeva
indubbie competenze tecniche e che, con tutta probabilità, aveva ripercussioni di vario genere rispetto alle
aree vicine (è ben nota la lettera inviata nel 1350 dal
sindaco di Barcellona al maestro della zecca, che aveva
VANNI 2001, pp. 219-234.
TRAVAINI 2001b, p. 73; ANTONUCCI 2011b, p. 1097.
54
CHIMIENTI 2001, pp. 259-279.
55
ANTONUCCI 2011c, p. 1108.
56
CHIMIENTI 2001, pp. 266-267. Agli strumenti citati nella tra-
slitterazione italiana proposta dall’autore, si aggiungono i seguenti
di più incerta identificazione: «2 talliatorios (grandi cesoie per tagliare le lastre?)», «3 beccorali (?)», «4 ferittos (piccoli attrezzi di
ferro?)».
57
TRAVAINI 2011b, p. 65.
52
53
220
ALESSIA ROVELLI
comprato una casa in una zona residenziale e centrale
della città per trasferirvi la zecca, invitandolo a desistere dato che il rumore avrebbe disturbato gli abitanti
del quartiere) 58, appare chiaro che la produzione di moneta poteva avvenire in spazi attrezzati piuttosto facilmente. A Napoli, nel 1278, per coniare la moneta
introdotta dalla riforma monetaria fu allestita un’officina nelle cucine di Castel Capuano. Nel 1317 la zecca
di Treviso fu data in appalto a un tintore che coniò a
casa 59. Zecche clandestine, che facevano uso di strumenti del tutto analoghi a quelli delle zecche ufficiali,
furono impiantate nei luoghi più disparati; nella diocesi
di Lucca, nel 1233, persino in una chiesa 60.
Tenendo conto anche di questo aspetto, cioè della
relativa facilità a mettere insieme il necessario per coniare moneta, la chiusura della zecca di Roma protrattasi per ben due secoli tra la seconda metà del X secolo
e la seconda metà del XII appare un problema di difficile soluzione tanto più se tentiamo di spiegare il fenomeno monetario nel vitale quadro economico della città
descritto da Chris Wickham 61. Si tratta infatti dell’unica
cesura di tale durata nella storia della zecca di Roma
dall’età repubblicana ad oggi.
In altra sede ho ipotizzato una duplice spiegazione
alla rarità dei rinvenimenti numismatici negli scavi italiani, Roma compresa, tra l’VIII e la seconda metà del
XII secolo. In sostanza, per quanto riguarda il periodo
carolingio, la causa andrebbe cercata nella fragilità economica che rallentava la circolazione di una massa monetaria scarsa, coniata in un numero ridotto di zecche
e costituita da un solo nominale 62. Nel periodo successivo, più propriamente tra la seconda metà del X secolo
e la prima metà del XII, la rarefatta circolazione monetaria potrebbe trovare una parziale spiegazione nell’incapacità delle zecche di fare fronte in modo
adeguato, anche a causa di una ancora insufficiente disponibilità di metallo monetabile, alla crescente richiesta di numerario in un’economia in rapida espansione.
Nel corso del XII secolo, gli sviluppi dell’attività mineraria e la nascita di nuove zecche portarono ad un ra-
pido incremento della massa monetaria chiaramente
percepibile nelle stratigrafie come nelle fonti 63.
Anche partendo dal presupposto che Roma sia stata
un caso a sé, è chiaro che le ipotesi tratteggiate mal si
conciliano con la chiusura della zecca proprio nel momento in cui avrebbe potuto essere approvvigionata facilmente. Apparentemente a Roma circolava una
quantità di moneta giudicata considerevole, che affluiva
in città grazie ai pellegrini, molti dei quali eminenti, o
grazie alla locale prosperità commerciale. Nelle fonti
romane, sottolinea Wickham, non si riscontra il ripetersi di prezzi in moneta sostitutiva, cioè in res valentes che sono invece la norma nelle carte notarili laziali
e in quelle di ampie regioni dell’Italia centrale fino appunto alla seconda metà del XII secolo 64. Le tracce concrete di questa circolazione nell’economia cittadina sono
al momento rarefatte, come lo stesso Wickham osserva,
con l’unica eccezione dei materiali rinvenuti negli scavi
della Confessione di S. Pietro 65 che, tuttavia, è un deposito votivo e come tale va interpretato.
Non metto in discussione la ricostruzione dell’economia urbana tratteggiata da Chris Wickham, ma la soluzione numismatica che propone lascia perplessi, per
una serie di ragioni. Immaginare che la diffusa presenza
di moneta straniera abbia reso inutile la produzione di
moneta locale, al punto da chiudere la zecca, porta a
trascurare il guadagno che il diritto di conio assicurava
all’autorità emittente; guadagno che è stato valutato, per
le zecche carolinge, intorno al 10% 66. Tuttavia l’aspetto
più problematico è rappresentato dall’ipotesi che l’argento affluito a Roma sotto le più svariate forme, ivi
comprese le monete dei pellegrini, venisse trasformato
in lingotti (di che peso e dimensione?) per essere così
reinserito nel circuito cittadino 67.
L’ipotesi nasce in parte dal materiale inedito della
Confessione di S. Pietro, in corso di studio da parte di
un’équipe coordinata da Ermanno Arslan. Si tratta di
un cospicuo numero di esemplari che Serafini non classificò perché spesso ridotti in frammenti o comunque
in cattivo stato di conservazione 68. È utile notare che il
materiale frammentato sia in massima parte proveniente
ANTONUCCI 2011a, pp. 309-320; CRUSAFONT I SABATER 1989,
p. 24, citato in TRAVAINI 2001c, p. 11.
59
TRAVAINI 2011b, pp. 65-70.
60
CONCIONI 1995, p. 47, citato in TRAVAINI 2001, p. 11, nota 16.
61
WICKHAM 2013, pp. 145-220.
62
ROVELLI 2009a; ROVELLI 2009b, ora in ROVELLI 2012a, nn.
VII, XV; ROVELLI 2012b.
63
ROVELLI 2009c, ora in ROVELLI 2012a, n. IX; ROVELLI 2010.
64
WICKHAM 2013, p. 210. Sui pagamenti risolti in res valentes
in area laziale, cfr. ROVELLI 1993, pp. 341-349 e ROVELLI 2009c; su
posizioni diverse, e con riferimento alla regione di Casauria, cfr.
FELLER 1998a, pp. 361-378 e FELLER 1998b, pp. 61-75.
65
SERAFINI 1951.
66
BOMPAIRE 1993, p. 120; NELSON 1995, p. 397.
67
WICKHAM 2013, pp. 214-215.
68
Ringrazio Ermanno Arslan per avermi coinvolta nella ricerca
e per aver reso disponibili i dati.
58
LA PRODUZIONE DELLA MONETA A ROMA TRA TARDA ANTICHITÀ E MEDIOEVO. NOTE SU ALCUNE QUESTIONI APERTE
dall’Europa settentrionale dove ne era ammessa la circolazione 69.
Sotto il profilo giuridico, questa moneta ‘mutilata’
non è più una moneta stricto sensu, deve infatti essere
pesata ad ogni passaggio di mano. In breve, è già un
piccolo lingotto che, date le dimensioni, avrebbe avuto
il vantaggio di fornire quella moneta divisionaria ancora assente nel sistema del denaro di origine carolingia. Fondere questo materiale per farne altri lingotti
invece che nuova moneta (abbiamo visto che era piuttosto semplice organizzare una zecca) mi sembra
un’operazione non funzionale al contesto economico romano che, inoltre, privava l’autorità emittente non solo
dei vantaggi economici derivanti dai diritti di conio, ma
anche di quel formidabile strumento di prestigio che è
la moneta, uno strumento che i papi hanno dimostrato
di saper usare con notevole cognizione di causa fin
dalle emissioni di frazioni argentee della fine del VII
secolo con il monogramma papale 70.
La chiusura della zecca di Roma tra il X e il XII secolo rimane dunque un problema complesso, di difficile soluzione, un vero e proprio busillis in attesa di
risposta.
Bibliografia
ANTONUCCI 2011a = M. ANTONUCCI, Le sedi delle zecche italiane, in TRAVAINI 2011 a, pp. 309-320.
ANTONUCCI 2011b = M. ANTONUCCI, s.v. Roma, sede, in TRAVAINI 2011 a, pp. 1097-1100.
ANTONUCCI 2011c = M. ANTONUCCI, s.v. Roma, Attrezzature
della zecca, in TRAVAINI 2011 a, pp. 1107-1108.
ARSLAN 2011 = E.A. ARSLAN, La produzione della moneta
nell’Italia ostrogota e longobarda, in TRAVAINI 2011 a, pp.
367-413.
AUGENTI 1996 = A. AUGENTI, Il Palatino nel Medioevo (secoli VI-XIII). Archeologia e topografia, Roma 1996.
AUGENTI 2005 = A. AUGENTI, Archeologia e topografia a Ravenna: il Palazzo di Teodorico e la Moneta aurea, in
AMediev, 32, 2005, pp. 7-33.
BELLOCCHI 2001 = L. BELLOCCHI, Bologna: la zecca ‘vagante’,
in TRAVAINI 2001 a, pp. 255-258.
BERNAREGGI 1974 = E. BERNAREGGI, Familia monetalis, in
NumAntCl, 3, 1974, pp. 177-191.
BOYLE, KANE, GUIDOBALDI 1978 = L. BOYLE, E. KANE, F.
GUIDOBALDI (a cura di), Art and Archaeology, Roma 1978
(San Clemente Miscellany, II).
BOMPAIRE 1993 = M. BOMPAIRE, Du solidus d’or au denier
d’argent: genèse de la monnaie médiévale, in P. CONTA-
69
Su questi temi cfr. GRAHAM-CAMPBELL, WILLIAMS 2007 e i diversi contributi in SKRE 2007.
70
Analisi e cronologia in MORRISSON, BARRANDON 1988.
221
S. LEBECQ, J.-L. SARRAZIN (a cura di), L’économie
médiévale, Parigi 1993, pp. 103-133.
BOMPAIRE, DUMAS 2000 = M. BOMPAIRE, F. DUMAS, Numismatique médiévale. Monnaies et documents d’origine
française, Turnhout 2000
BURNETT 2001 = A. BURNETT, The Invisibility of the Roman
Imperial Mints, in TRAVAINI 2001a, pp. 41-48.
CHIARAVALLE 2001 = M. CHIARAVALLE, Le sedi della zecca
di Milano, in TRAVAINI 2001a, pp. 247-254.
CHIMIENTI 2001 = M. CHIMIENTI, La zecca di Bologna, evoluzione degli ambienti e delle attrezzature dedotta da alcuni inventari, in TRAVAINI 2001a, pp. 259-279.
CIRELLI 2008 = E. CIRELLI, Ravenna: archeologia di una città,
Firenze 2008.
COARELLI 1980 = F. COARELLI, Roma, Roma-Bari 1980
(Guide archeologiche Laterza, 6).
COARELLI 1994 = F. COARELLI, Moneta. Le officine della
zecca di Roma tra Repubblica e Impero, in AnnIstNum,
38-41, 1994, pp. 23-65.
COARELLI 1996 = F. COARELLI, S.V. Moneta, M. Caesaris
(Reg. III), in LTUR III, Roma 1996, pp. 280-281.
COARELLI 2013 = F. COARELLI, Argentum signatum. Le origini della moneta d’argento a Roma, Roma 2013.
CONCIONI 1995 = G. CONCIONI, Le coniazioni della zecca lucchese nel secolo XIII, in Rivista di Archeologia, Storia e
Costume, 23, 1995, pp. 35-88.
CRACCO RUGGINI 2001 = L. CRACCO RUGGINI, Considerazioni
a margine, in TRAVAINI 2001a, pp. 169-172.
CRUSAFONT I SABATER = M. CRUSAFONT I SABATER, Barcelona i la moneda catalana, Barcellona 1989.
CUBELLI 1992 = V. CUBELLI, Aureliano imperatore. La rivolta
dei monetieri e la cosiddetta riforma monetaria, Firenze
1992.
DELMAIRE 1989 = R. DELMAIRE, Largesses sacrées et res privata. L’aerarium impérial et son administration du IVe au
VIe siècle, Roma 1989 (Collection de l’École française
de Rome, 121).
ESTIOT 2004 = S. ESTIOT, Monnaies de l’Empire romain,
XII.1 D’Aurélien à Florien (270-276 après J.-C), I, Parigi, Strasburgo 2004.
FELLER 1998a = L. FELLER, Les Abruzzes médiévales. Territoire, économie et société en Italie centrale du IXe au XIIe
siècle, Roma 1998 (Bibliothèque des Écoles françaises
d’Athènes et de Rome, 300).
FELLER 1998b = L. FELLER, Les conditions de la circulation
monétaire dans la périphérie du Royaume d’Italie (Sabine et Abruzzes, IXe-XIIe siècle), in L’argent au Moyen
Âge, XXVIIIe Congrès de la S.H.M.E.S. (Clermont-Ferrand, 30 mai-1er juin 1997), Parigi 1998, pp. 61-75.
GRAHAM-CAMPBELL, WILLIAMS 2007 = J. GRAHAM-CAMPBELL, G. WILLIAMS (a cura di), Silver Economy in the
Viking Age,Walnut Creek 2007.
GRIERSON, MAYS 1992 = P. GRIERSON, M. MAYS, Catalogue
of late Roman Coins in the Dumbarton Oaks Collection
and in the Whittemore Collection. From Arcadius and
Honorius to the Accession of Anastasius, Washington
D.C. 1992.
GUIDOBALDI 1978 = F. GUIDOBALDI, Il complesso archeologico di San Clemente. Risultati degli scavi più recenti e
riesame dei resti archeologici, Roma 1978.
GUIDOBALDI 1989 = F. GUIDOBALDI, L’inserimento delle
chiese titolari di Roma nel tessuto urbano preesistente:
MINE,
222
ALESSIA ROVELLI
osservazioni e implicazioni, in Quaeritur inventus colitur.
Miscellanea in onore di padre Umberto Maria Fasola,
Città del Vaticano 1989 (Studi di antichità cristiana, 40),
pp. 383-396.
GUIDOBALDI 1992 = F. GUIDOBALDI, San Clemente. Gli edifici romani, la basilica paleocristiana e le fasi altomedievali, Roma 1992 (San Clemente Miscellany IV, 1).
GUIDOBALDI, LALLI, PAGANELLI et alii 2004 = F. GUIDOBALDI,
C. LALLI, M. PAGANELLI, C. ANGELELLI, San Clemente.
Gli scavi più recenti (1992-2000), in L. PAROLI, L. VENDITTELLI (a cura di), Roma dall’antichità al medioevo, II,
Contesti tardoantichi e medievali, Roma 2004, pp. 340415.
HENDY 1972 = M.F. HENDY, Aspects of Coin Production and
Fiscal Administration in the Late Roman and Early
Byzantine Period, in NumChron, s. VII, 12, 1972, pp. 117139.
HENDY 1985 = M.F. HENDY, Studies in the Byzantine Monetary Economy c. 300-1450, Cambridge 1985.
HENDY 1988 = M.F. HENDY, From Public to Private: The Western Barbarian Coinages as a Mirror of the Disintegration of Late Roman State Structures, in Viator, 19, 1988,
pp. 29-78.
HENDY 1989 = M.F. HENDY, The Economy, Fiscal Administration and Coinage of Byzantium, Northampton 1989
(Variorum Reprint CS305).
KENT 1956 = J.P.C. KENT, Gold coinage in the later Roman
Empire, in R.A.G. CARSON, C.H.V. SUTHERLAND (a cura
di), Essays in Roman coinage presented to Harold Mattingly, Oxford 1956, pp. 190-204.
LANCIANI 1896 = R. LANCIANI, Forma Urbis, Milano 1896.
LANCIANI 1907 = R. LANCIANI, Storia degli scavi di Roma,
III, Dalla elezione di Giulio III alla morte di Pio IV (7
febbraio 1550-10 dicembre 1565), 2a edizione a cura di
C. Buzzetti, Roma 1990.
LAWLOR 1992 = P. LAWLOR, An Inscription of Trajan in the
XIIth Century Basilica, in GUIDOBALDI 1992, pp. 327-332.
LOPEZ 1953 = R.S. LOPEZ, An Aristocracy of Money in the
Early Middle Ages, in Speculum, 28, 1953, pp. 1-43.
MAYHEW, SPUFFORD 1988 = N. J. MAYHEW, P. SPUFFORD (a
cura di), Later Medieval Mints: Organisation, Administration and Techniques. The Eight Oxford Symposium on
Coinage and Monetary History (Oxford, 1985), Oxford
1988 (BAR, Int. Series, 389).
MEC = P. GRIERSON, M. BLACKBURN, Medieval European
Coinage, I, The Early Middle Ages (5th-10th centuries),
Cambridge 1986.
METCALF 2001 = D.M. METCALF, The premises of early medieval mints: the case of eleventh-century Winchester, in
TRAVAINI 2001a, pp. 59-67.
METLICH 2004 = M.A. METLICH, The Coinage of Ostrogothic
Italy, Londra 2004.
MORELLI 2011 = A.L. MORELLI, Ravenna, in TRAVAINI 2011
a, pp. 1045-1059.
MORELLI, NOVARA 2007 = A.L. MORELLI, P. NOVARA, Sedi di
zecca e monetazione in Ravenna dall’Antichità al tardo
Medioevo, in AttiMemBologna, n.s. 58, 2007, pp. 151-200.
MORRISSON 2001 = C. MORRISSON, Moneta, kharagè, zecca:
les ateliers byzantins et le palais impérial, in TRAVAINI
2001a, pp. 49-58.
MORRISSON 2011 = C. MORRISSON, Le zecche nell’Italia bi-
zantina: un quadro d’insieme, in TRAVAINI 2011a, pp. 415425.
MORRISSON, BARRANDON 1988 = C. MORRISSON, J.-N. BARRANDON, La trouvaille de monnaies d’argent byzantines
de Rome (VIIe-VIIIe siècles): analyses et chronologie, in
RNum, s. VI, 30, 1988, pp. 149-165.
NAISMITH 2012 = R. NAISMITH, Money and Power in AngloSaxon England, Cambridge 2012.
NELSON 1995 = J. L. NELSON, Kingship and Royal Government, in R. MCKITTERICK (a cura di), The New Cambridge
Medieval History, II, c. 700-900, Cambridge 1995, pp.
383-430.
RIC, IV, 2 = H. MATTINGLY, E. A. SYDENHAM, C. H. V.
SUTHERLAND, The Roman Imperial Coinage, IV, 2, Macrinus to Pupienus, Londra 1938.
RIC, VI = C.H.V. SUTHERLAND, The Roman Imperial Coinage,
VI, From Diocletian’s reform (A. D. 294) to the death of
Maximinus (A. D. 313), Londra 1967.
RIC, VII = P.M. BRUUN, The Roman Imperial Coinage, VII,
Constantine and Licinius A. D. 313-337, Londra 1966.
RIC, VII = J.P.C. KENT, The Roman Imperial Coinage, VIII,
The family of Constantine I, A. D. 337-364, Londra 1981.
RIC, X = J.P.C. KENT, The Roman Imperial Coinage, X, The
Divided Empire and the Fall of the Western Parts A.D.
395-491, Londra 1994.
RODRÍGUEZ-ALMEIDA 1981 = E. RODRIGUEZ-ALMEÍDA, Forma
urbis marmorea. Aggiornamento generale 1980, Roma
1981.
ROVELLI 1993 = A. ROVELLI, La moneta nella documentazione altomedievale di Roma e del Lazio, in P. DELOGU,
L. PAROLI (a cura di), La storia di Roma nell’alto medioevo
alla luce dei recenti scavi archeologici (Roma, 1992), Firenze 1993, pp. 333-352.
ROVELLI 2009a = A. ROVELLI, Coins and trade in early medieval Italy, in Early Medieval Europe, 17, 1, 2009, pp.
45-76.
ROVELLI 2009b = A. ROVELLI, Émission monétaire et administration dans le royaume d’Italie. À propos des analyses
des deniers carolingiens du Cabinet des Médailles, in
RNum, 165, 2009, pp. 187-201.
ROVELLI 2009c = A. ROVELLI, Patrimonium Beati Petri. Emissione e circolazione monetaria nel Lazio settentrionale
(XI-XIV secolo, in AnnIstItNum, 55, 2009, pp. 169-192.
ROVELLI 2010 = A. ROVELLI, Nuove zecche e circolazione monetaria tra X e XIII secolo: l’esempio del Lazio e della
Toscana, in AMediev, 37, 2010, pp. 163-170.
ROVELLI 2012a = A. ROVELLI, Coinage and Coin Use in Medieval Italy, Farnham 2012 (Variorum Collected Studies
Series CS 1023).
ROVELLI 2012b = A. ROVELLI, Gold, Silver and Bronze: An
Analysis of Monetary Circulation along the Italian Coasts
(6th-9th centuries), in S. GELICHI, R. HODGES (a cura di),
From one Sea to Another. Trading Places in the European
and Mediterranean Early Middle Ages (Comacchio,
2009), Turnhout 2012, pp. 267-296.
RUGGINI 2001 = L. CRACCO RUGGINI, Considerazioni a margine, in TRAVAINI 2001 a, pp. 169-172.
SERAFIN 2001 = P. SERAFIN, Dove erano le zecche di Roma
repubblicana?, in TRAVAINI 2001 a, pp. 29-40.
SERAFINI 1951 = C. SERAFINI, Appendice numismatica, in B.
M. APOLLONJ GHETTI, A. FERRUA, E. JOSI, E. KIRRRRSCHBAUM, C. SERAFINI, Esplorazioni sotto la Confes-
LA PRODUZIONE DELLA MONETA A ROMA TRA TARDA ANTICHITÀ E MEDIOEVO. NOTE SU ALCUNE QUESTIONI APERTE
sione di San Pietro al Vaticano eseguite negli anni 194049, II, Città del Vaticano 1951, pp. 225-244.
SERLORENZI, RICCI, DE LUCA et alii c.s. = M. SERLORENZI, G.
RICCI, I. DE LUCA, L. ANGUILANO, V. LA SALVIA, F. MARANI, Il contesto archeologico dell’Athenaeum di Adriano
tra tardo antico ed alto medioevo: una possibile zecca di
VI-fine VII/ prima metà VIII secolo?, in G. PARDINI, N.
PARISE (a cura di), Numismatica e Archeologia. Monete,
stratigrafie e contesti. Dati a confronto (Roma, 2011), Oxford c.s (British Archaeological Reports Int. Ser).
SKRE 2007 = D. SKRE (a cura di), Means of Exchange. Dealing with Silver in the Viking Age, Oslo 2007.
SPUFFORD 1988 = P. SPUFFORD, Mint organization in late medieval Europe, in MAYHEW, SPUFFORD 1988, pp. 7-29.
TRAVAINI 2001a = L. TRAVAINI (a cura di), I luoghi della moneta. Le sedi delle zecche dall’Antichità all’Età moderna.
223
Atti del Convegno internazionale (Milano, 1999), Milano
2001.
TRAVAINI 2001b = L. TRAVAINI, Sedi di zecca nell’Italia medievale, in TRAVAINI 2001a, pp. 69-85.
TRAVAINI 2001c = L. TRAVAINI, I luoghi della moneta: storia
di un convegno, in TRAVAINI 2001a, pp. 11-17.
TRAVAINI 2011a = L. TRAVAINI (a cura di), Le zecche italiane
fino all’Unità, I-II, Roma 2011.
TRAVAINI 2011b = L. TRAVAINI, Le zecche italiane, in TRAVAINI 2011 a, pp. 31-126.
VALENTINI, ZUCCHETTI 1940 = R. VALENTINI, G. ZUCCHETTI,
Codice topografico della città di Roma, I, Roma 1940.
VANNI 2001 = F. M. VANNI, Le varie sedi della zecca lucchese dall’epoca longobarda ai Borboni, in TRAVAINI 2001
a, pp. 219-234.
WICKHAM 2013 = C. WICKHAM, Roma medievale. Crisi e sta
LA PRODUZIONE DEL VETRO A ROMA:
CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ FRA TARDOANTICO E ALTOMEDIOEVO
Lucia Saguì, Barbara Lepri
Per affrontare il discorso sulla produzione vetraria a
Roma fra la tarda antichità e il primo medioevo in una
prospettiva più ampia è necessario da un lato conoscere
i dati acquisiti in questo ambito cronologico attraverso
gli studi che vedono all’avanguardia altri paesi, dall’altro
chiarire alcune questioni di metodo.
È fondamentale tenere presente in primo luogo che,
come in altri settori artigianali, la produzione del vetro
nel periodo che qui ci interessa avveniva secondo un
modello tecnologico che differenziava nettamente
l’aspetto della realizzazione della materia prima da
quello della realizzazione degli oggetti. Pochi centri, definiti primari, producevano vetro partendo dalla sabbia
(silice e carbonato di calcio), per la quale era particolarmente adatta e famosa quella presente sulle coste siropalestinesi, e dal fondente minerale (natron=carbonato
di sodio) estratto principalmente dai piccoli laghi egiziani del Wādi el-Natrūn 1. Molti centri, definiti secondari, rifondevano questo semilavorato ricavandone
oggetti. È questo il modello prevalente e del resto coerente, ormai ben noto agli studiosi del vetro antico, che
possiamo desumere dalle scoperte archeologiche degli
ultimi 20 anni e dalle analisi archeometriche che da queste scoperte hanno preso il via 2. Dopo una fase di transizione e di sperimentazione il sistema crolla fra il IX
e il X secolo, quando scompaiono la predominanza del
fondente minerale e il trasporto a lunga distanza del materiale grezzo. Ciò determina un sostanziale cambiamento nell’intera catena operativa della produzione 3.
Nella cessazione degli arrivi di vetro grezzo dall’Oriente
bisogna vedere un segno del declino del grande commercio marittimo; nello stesso periodo il fondente minerale egiziano, non più disponibile per una serie di
motivi sui quali ancora si discute 4, viene sostituito da
un fondente a base di ceneri vegetali, ricavate da piante
diffuse in ambiti geografici diversi; tende quindi a scomparire la separazione tra atelier primari e secondari, perché i forni si strutturano per portare avanti l’intero ciclo
produttivo. Nei primi secoli che vedono questo cambiamento il sistema si fa complesso ed è ancora poco
noto: possiamo dire che la riorganizzazione non avviene
in breve tempo e nei primi secoli del medioevo sembra
di intuire una situazione di autarchia, di tentativi, di sperimentazioni da parte degli artigiani, che si traducono
nella coesistenza di una varietà di ricette e nel ricorso
esasperato al riciclo. Vedremo che cosa si può dire a
proposito di questo periodo per quanto riguarda Roma,
sulla base delle nostre testimonianze. Questa comunque
è la parabola da tenere presente per sostanziare i nostri
discorsi.
Quali sono i centri primari finora noti dalle testimonianze archeologiche nell’ambito del primo millen-
1
Sulle caratteristiche della sabbia siliceo-calcarea e sulle possibili fonti di approvvigionamento, oltre quelle della costa siro-palestinese, si veda HENDERSON 2013, pp. 56-64; sulle caratteristiche
del natron e sulle possibili fonti di approvvigionamento, oltre quella
egiziana, che sembra tuttavia la più importante, ibidem, pp. 51-53;
SHORTLAND, SCHACHNER, FREESTONE et alii 2006.
2
HENDERSON 2013, in particolare pp. 92-97; NENNA 2008, con
bibliografia.
3
HENDERSON 2013, pp. 97-103.
4
La produzione di natron sarebbe stata considerevolmente ridotta
da un aumento della piovosità che avrebbe colpito, intorno all’VIII
secolo, alcune regioni del Sahara (FOY, NENNA 2001, p. 26). Una
diversa ipotesi attribuisce il colpo di grazia nei confronti di una tradizione più che millenaria alla sanguinosa guerra civile ventennale
scatenatasi in Egitto nell’811, dopo la morte del califfo Abbaside
Hārūn al-Rashīd, che per ben 11 anni vide il porto di Alessandria
tagliato fuori da ogni contatto con i vetrai levantini (WHITEHOUSE
2002). In effetti, se i cambiamenti climatici non sembrano giustificare la crisi del natron, a determinarla avrebbero contribuito in
primo luogo gli eventi militari e politici che tra VII e IX secolo sconvolsero l’area del Delta e le regioni vicine, come è ben messo in
luce da SHORTLAND, SCHACHNER, FREESTONE et alii 2006.
226
LUCIA SAGUÌ, BARBARA LEPRI
nio? I più antichi, risalenti
al I-II secolo d.C., si trovano in Egitto; più recenti
e molto numerosi sono
quelli rinvenuti in area
siro-palestinese, datati dall’età tardoantica all’epoca
islamica (IX-X secolo) 5.
Si tratta di forni a vasca,
rettangolari, di grandi dimensioni, capaci di produrre diverse tonnellate di
vetro nel ciclo fusorio, il
cui funzionamento, va sottolineato, implica una straordinaria capacità nella Fig. 1. - Ricostruzione di un forno da vetro tardoantico in base ai dati della Crypta Balbi (da SAGUÌ 2007,
gestione dei processi di p. 219, fig. 4).
combustione. Una volta
primo luogo alla presenza di forni, ma anche di resti di
pronto il vetro, il forno veniva raffreddato e demolito;
lavorazione e di crogioli. Nonostante il numero delle
le masse di vetro erano spaccate e avviate ai centri seofficine vetrarie sia in continuo aumento, la percezione
condari. Il commercio legato all’esportazione del vetro
rispetto a questo artigianato è tuttavia ancora insoddisemilavorato verso i centri secondari fu dunque molto
sfacente e il divario nei confronti delle altre arti del fuoco
intenso nell’antichità, come testimoniano i carichi dei
è grande. La presenza di un luogo di lavorazione non è
relitti, nei quali il vetro grezzo doveva viaggiare come
6
sempre facile da identificare, perché rispetto alle attizavorra , e i sempre più numerosi ritrovamenti nei convità legate alla ceramica e alla metallurgia le tracce sono
testi archeologici di pezzi di vetro informi, risultanti dalla
più labili e gli scarti in genere meno consistenti. Le cause
spaccatura delle grandi masse che riempivano i forni
principali sono le piccole dimensioni delle strutture proprimari. Questi ritrovamenti sono sempre più numerosi
duttive e il ricorso al riciclo che, alimentato da circuiti
perché ora la ricerca archeologica è più attenta: tuttaben organizzati, sembra divenire più intenso, come abvia, come diremo a proposito degli indicatori di probiamo accennato, a partire dall’età tardoantica. Posduzione, un esemplare isolato di vetro grezzo non è
siamo aggiungere che la distinzione tra crogioli
ovviamente sufficiente a denunciare la presenza di
vetrificati in seguito alla lavorazione del vetro o della
un’attività vetraria.
metallurgia non è sempre chiara.
Dove sono i centri secondari e quali sono le caratQuali sono le caratteristiche dei forni dei centri seteristiche dei loro forni?
condari
e, soprattutto, quali sono le loro dimensioni? Si
Le officine secondarie note sono ormai moltissime
tratta di strutture molto modeste, se confrontate con i
e sono distribuite in tutte le province dell’impero. Solo
forni per ceramica (fig. 1) 8. In genere la pianta è cirin Francia, la regione più studiata anche per questo
colare e il diametro è inferiore a 1 metro: la parte più
aspetto, fino al 2010 era stato identificato un centinaio
bassa, che può essere scavata nel terreno, ospita la cadi atelier, dei quali circa 40 appartenenti al periodo
7
mera di combustione, mentre la parte superiore costicompreso tra IV e VII secolo, solo 5 ai secoli VIII-IX .
tuisce la camera di fusione 9; le dimensioni ridotte sono
Per siti di atelier intendiamo siti identificati grazie in
NENNA 2008; NENNA 2012.
Per un censimento dei depositi portuali e dei relitti che testimoniano il commercio di vetro grezzo, oltre a quello del materiale
da riciclare e dei prodotti finiti, si vedano FOY, NENNA 2001, pp.
101-112; FONTAINE, FOY 2007; RADIĆ ROSSI 2012.
7
FOY 2010a, pp. 31-32, fig. 18.
8
Per un quadro esauriente sulla struttura dei forni e sulle carat5
6
teristiche degli atelier secondari in area francese, dall’età preromana
all’VIII-IX secolo, si veda FOY, NENNA 2001, pp. 40-66.
9
Sono note anche strutture di forma rettangolare, ad un solo
livello (FOY 2010a, p. 31 e nota 26), ma si discute ancora sulla
loro funzione nell’ambito del ciclo produttivo: alcuni studiosi ipotizzano che si trattasse di forni per la ‘ricottura’, cioè per il raffreddamento graduale degli oggetti finiti, necessario ad evitare
rotture. Per una diversa interpretazione e per una sintesi della bibliografia in proposito si rimanda a LEPRI, SAGUÌ c.s.
LA PRODUZIONE DEL VETRO A ROMA: CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ FRA TARDOANTICO E ALTOMEDIOEVO
227
dovute al fatto che la loro funzione consisteva semplicemente nella rifusione del
vetro, come abbiamo accennato, e al consumo di combustibile contenuto. Per una lavorazione di questo tipo erano sufficienti
pochissime persone (un solo artigiano lavorava a diretto contatto con la fornace) e
spazi ridotti. Va sottolineata la continuità di
forni di questo tipo: dal I secolo d.C.,
quando si diffonde l’uso del vetro soffiato,
strutture e modi di produzione arcaici sopravvivono ancora, seppure ormai in via di
estinzione, in alcuni paesi orientali, come dimostrano gli studi etnoarcheologici 10. Tutto
sommato, dunque, non è possibile confrontare la produzione del vetro con quella della
ceramica: niente ci fa pensare ad un’organizzazione su vasta scala di quel tipo. Di
produzione a larga scala si può forse parlare, però, a proposito della capacità produttiva di un vetraio che, stando ai confronti
etnografici, avrebbe potuto realizzare più o
meno 100 recipienti al giorno, dunque, tenendo conto dei fermi stagionali, 11.000
ogni anno e 330.000 in 30 anni di lavoro 11,
se era tanto fortunato da vivere abbastanza
facendo quel tipo di lavoro.
Anche il luogo comune secondo il quale
la diffusione della soffiatura avrebbe reso il
vetro un prodotto accessibile a tutti va probabilmente corretto, almeno per quanto riguarda i secoli successivi alla media età
imperiale. Lo studio dell’Edictum de pretiis,
una delle poche fonti disponibili sul vetro,
indica che il prezzo massimo dei recipienti
non decorati, che al contrario di quelli decorati si vendevano a peso, come avviene
ancora nei luoghi in cui sussistono modi di
produzione primitivi, era superiore, ad
esempio, a quello dei contenitori ceramici;
il costo del vetro grezzo era, inoltre, molto
alto in rapporto a quello dei prodotti finiti:
ciò spiegherebbe il ricorso sempre più frequente al riciclo, il solo modo che potesse
consentire un guadagno per l’artigiano 12.
a
b
Fig. 2, a-b. - Distribuzione dei siti che hanno restituito testimonianze di indicatori e
di attività produttive databili tra la tarda antichità e l’alto medioevo in Italia. La pianta
di Roma nella tarda antichità è rielaborata da MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI
2001, pp. 22-23, fig. 1.
10
Si vedano, ad esempio, STERN 1999, pp. 451452, con bibliografia alla nota 40; FISCHER 2008.
11
STERN 1999, p. 456; v. anche FISCHER 2008, pp.
88 ss.
12
STERN 1999, pp. 460 ss.
Cronologia attività vetraria
Tipologia rinvenimento e indicatori di produzione
V-VI
Forno; provini, gocce, filamenti, masserelle, scorie scure spugnose
Trento, via Rosmini-piazza Bellesini
Età tardoantica (entro il VI)
Forno, laterizi con colature vetrose; gocce, filamenti, scorie
Altre attività produttive
Aree di fuoco dalla funzione
incerta
Ambiente destinato ad accogliere
una o più attività artigianali non
determinabili
Attività artigianali su piccola scala
(metalli, osso, granati)
Posizione topografica e spazio occupato
Bibliografia
U
Ambiente riutilizzato come officina
CAVADA, ENDRIZZI 1998, pp. 173-178
U
Villa con ambienti termali (a ridosso della cinta muraria)
CAVADA, ENDRIZZI 1998, pp. 175, 178-179
Insediam.
fortificato
Insediamento fortificato con funzione militare
MAURINA, FIORETTI, ZANDONAI 2013
U
Rioccupazione dello spazio di una domus (insediamento longobardo su
impianto romano)
UBOLDI 1999, pp. 305-307
VI-VII
Grumi e colature di vetro (VI-VII); 2 mezzi pani (forse medievali)
Brescia, S.Giulia
Fine VI-VII
Crogioli in pietra con resti di vetro, masse di vetro staccate dai crogioli, pane di vetro a
calotta, provini, gocce, colature, ritagli, masse spugnose
Leno (BS), Campi S.Giovanni
Età tardoantica (entro il VII)
Pozzetti circolari con pareti concotte; frr. di pietra ollare con colature vetrose, gocce
_
R
_
BREDA 1992-93
Como
Età tardoantica
Frr. di vetro grezzo, alcuni con resti di materiale refrattario interpretati come parte di crogioli
Metallo (crogioli con tracce di
bronzo)
U
Ambienti di età romana riutilizzati (a ridosso della cinta muraria,
presso la Porta Praetoria)
NOBILE DE AGOSTINI 2008
Garlasco (PV)
Età tardoantica-altomedievale
Fossa di scarico con materiali eterogenei, tra i quali frr. in pietra ollare con tracce di
invetriatura, provino, scoria vetrosa
_
R
_
INVERNIZZI, SAVOIA, FACCIOLI et al. 1996
Verona
Età tardoantica-altomedievale
Crogioli, frr. di vetro grezzo, provino, ritagli
_
U
Complesso capitolino abbandonato
ROFFIA 2008, in particolare pp. 497, 514-515; GIUMLIA-MAIR 2008
Invillino (UD)
IV/V-VI
4 forni dei quali uno rettangolare; frr. di pietra ollare forse usati come crogioli, frr. di vetro
grezzo, scarti di lavorazione
Metallo, ceramica (?)
R
Area centrale del sito (insediamento trasformato in castrum nel VI
secolo)
CECCHINI 2008
Sevegliano (UD)
Metà IV-V
Fossa riempita da ceneri e carboni con frr. deformati dal fuoco, grumi e gocciolature, frr.
con difetti di lavorazione (potrebbe trattarsi di un eposodio di incendio)
_
R
_
TERMINI STORTI 1994; BUORA 1998
Grado, Episcopio (GO)
Dalla seconda metà V
2 piccoli forni rettangolari con colature vetrose; "scoria di lavorazione", oggetti mal riusciti o
pronti per essere rifusi
_
Castrum
bizantino
Officina legata alla chiesa di S.Eufemia?
LOPREATO 1988, p. 329; MALAGUTI, RIAVEZ, ASOLATI et al. 2007, pp. 6869, 80-82
Aquileia, Fondo Comelli (UD)
Età tardoantica
Frr. di crogioli, colature, scarti di lavorazione
Bronzo e ferro
U
Area urbana a ridosso delle mura bizantine
BUORA, MANDRUZZATO, VERITA' 2009, pp. 53-54
Torcello (VE)
IX-X
4 forni; crogioli in pietra ollare, scarti di vario tipo
_
Insediam.
bizantino
_
LECIEJEWICZ, TABACZY SKA, TABACZY SKI 1977, p. 89 ss.;
LECIEJEWICZ 2000; VERITA', ZECCHIN 2005
Comacchio (FE)
Seconda metà VII
Insediam.
produtt. e
commerc.
Officina allestita per la lavorazione del metallo e del vetro (non si
esclude che l'ultima fase produttiva dell'officina vetraria sia in relazione
con il cantiere della chiesa)
GELICHI 2009, pp. 12, 30-35
Ferrara
VIII-XII
Ferro (scorie dalla capanna forse
di un fabbro)
Forno circolare per la lavorazione del metallo riutilizzato per il vetro; crogioli in pietra ollare, La lavorazione del ferro sembra
colletti, provini, gocce, ritagli, mestolo in metallo vetrificato
precedere quella del vetro
Frr. di crogioli con vetro aderente, scarti di lavorazione
_
_
_
VERITA', TONINATO 1991
ORTALLI 2000; POLI 2000
CIRELLI, TONTINI 2010
Calderara di Reno (BO), Cave Nord
V-metà VI
Crogioli, frr. di vetro grezzo, "fritte", scarti di lavorazione
Scorie ferrose, gocciolature e
residui di piombo
R
Edificio rustico di età romana riutilizzato per attività artigianali
(l'officina era forse dipendente da una grande villa non lontana)
Classe (RA)
Metà V-VII
Forno; colletti, frr. di vetro grezzo, provini, colature, ritagli
_
U
Strutture su precedente villa romana poi comprese nello spazio
portuale
Ventimiglia (IM)
VI-VII
Crogiolo con vetrificazione interna, frr. di vetro grezzo, "alcuni stadi di lavorazione (del
vetro)"
_
U
Interri dell'aditus orientale del teatro (a ridosso della cinta muraria)
GANDOLFI 1986, p. 297
Luni (SP)
Età tardoantica-altomedievale
Frr. di crogioli con superficie interna vetrificata e colature
_
U
Area del Foro
ROFFIA 1973, coll. 463-464, 482
U
Pubblico: terme di età adrianea, cadute in disuso nella seconda metà
del IV secolo (a ridosso della cinta muraria)
DE MARINIS 1991
Pubblico: terme di un insediamento interpretato come vicus con
funzione di mansio della via Cassia
VALENTI 2012
Firenze, piazza della Signoria
S.Cristina in Caio (SI)
Aiano-Torraccia di Chiusi (SI)
Fornace per laterizi, forse anche
Rubefazione del pavimento, laterizi deformati e coperti da strato vetroso; frr. di vetro
Post seconda metà IV-VII/primi
grezzo, provino, scarti di lavorazione, scorie di fusione, colature, masse di vetro, alcune delle tracce di lavorazione di bronzo e
decenni VIII
ferro
quali sembrano conservare la forma del fondo del crogiolo
Prima metà V
VI-VII
Forno
Piombo (forno)
R
Forno; riciclo di tessere musive e di recipienti vitrei
Piombo, ferro, ceramica (con
fornace), bronzo, oreficeria
R
Villa romana rioccupata
CAVALIERI 2011
KING, POTTER 2008, pp. 295-296
Metà IV-metà VI
Deposito di frr. di vetro probabilmente da riciclare
Metallo, calce, osso, lana, pellame
R
Villa con impianto termale rioccupata da una comunità di villaggio
gravitante forse intorno ad una piccola chiesa
Roma, S.Giovanni in Laterano
II-III secolo (Santa Maria
Scrinari); età tardoantica
(revisione del materiale)
Forno non meglio descritto; cumuli di cenere e carbone; "vasi di coccio con strati di pasta
vitrea semicotta e spesso tagliata per il ricavo di tessere per mosaico" (l'insieme è definito
"bottega del vetraio". Sulla base della revisione del materiale conservato si propone una
datazione in età tardoantica, verosimilmente V-VI secolo)
_
U
Spazio delle strutture imperiali nei "praedia Anniorum" (a ridosso della
cinta muraria).
SANTA MARIA SCRINARI 1995, pp. 243-250
Monte Gelato (VT)
Roma, lungotevere Testaccio
Fine IV-prima metà V
Scarico ricco di vetri e scarti, soprattutto vetri deformati
_
U
Pubblico: magazzini del porto fluviale (a ridosso della cinta muraria)
STERNINI 1989
Roma, pendici NE del Palatino
Metà V
Colletti, pani di vetro, frr. di vetro grezzo, provini, colature, scarti di lavorazione
_
U
Spazio pubblico abbandonato in età tardoantica
SAGUÍ 2009
Roma, Basilica Hilariana
Metà V
Tessere di mosaico probabilmente tagliate sul posto, pane di vetro forse residuo in strati di
VI secolo
Osso
U
Ambienti della Basilica Hilariana riutilizzati per attività produttive
Calabria, Ferro, Palazzo et al. in questo volume
Roma, Crypta Balbi, esedra
Fine V-inizi VI
Forno; crogioli, frr. di vetro grezzo, provini, gocce, scorie
Forse associabile un forno
metallurgico (VI secolo)
U
Spazio pubblico abbandonato in età tardoantica
SAGUÍ 2000
Roma, Meta Sudans
Fine VI-inizi VII
Frr. di vetro grezzo, gocce, colature
_
U
Spazio pubblico abbandonato in età tardoantica
SAGUI' 1993, p. 132
Roma, Terme di Traiano
Metà VII
Frr. di vetro grezzo, provini
Scarti di lavorazione del metallo?
U
Spazio pubblico abbandonato in età tardoantica
CARUSO, PACETTI, SERRA et al. 2010, p. 261, nota 10
Roma, via Marmorata
Età tardoantica
Masse vetrose con materiale refrattario, "resti di fritta", vetri deformati
_
U
Strutture di età imperiale riutilizzate
MUSELLA 2011
Roma, Crypta Balbi, area al centro del
portico
Età tardoantica
Frr. di vetro grezzo, provini, gocce
_
U
Spazio pubblico abbandonato in età tardoantica
Saguì, Lepri infra
LUCIA SAGUÌ, BARBARA LEPRI
Loppio-S.Andrea (TN)
228
Sito
Trento, area Teatro Sociale
Roma, Crypta Balbi, esedra
Fine VII e inizi VIII
Colletto, frr. di vetro grezzo, provini, gocce, ritagli, tessere di mosaico destinate alla rifusione
Produzioni artigianali di carattere
diverso
U
Spazio pubblico abbandonato in età tardoantica, probabilmente di
pertinenza monastica
SAGUÍ, MIRTI 2003
SERLORENZI 2009, pp. 469-470
Età tardoantica-altomedievale
Scorie e scarti di lavorazione
_
U
Officina forse connessa alla chiesa
X
Crogioli
Lavorazione dell'osso (?)
U
_
SAGUÍ 2007, pp. 225-226
Roma, Villa dei Quintilii
Età tardoantica?
Forno rettangolare a bacino con resti di vetro aderenti alle pareti; frr. di vetro grezzo, alcuni
dei quali con materiale refrattario aderente, probabilmente dalle pareti del forno
_
S
Ambiente della villa riutilizzato, contiguo all'area termale
Paris, Frontoni, Galli, et al. in questo volume
Ostia
V
Colletto, vetro grezzo
_
U
Pubblico: Foro della Statua Eroica, Palestra dei Bagni del Foro, Foro
LEPRI, MAGYAR c.s.
V
Forno circolare e forno rettangolare (da raffreddamento?); colletti, frr. di vetro grezzo,
provini
_
U
Area del cosiddetto Macellum e portico della domus dei Pescivendoli
ROTTLOFF 2000
Fine IV-inizi V
Almeno 4 forni a pianta più o meno circolare, dei quali resta l'impronta; scarti di vetro (l'area
artigianale è stata interpretata come offiicna per la produzione di lastrine)
_
R
Villa con impianto termale abbandonata: area adiacente alle terme
BLANCO 2015
LEPRI c.s.
Ostia
Ciampino (RM), Colle Oliva
Villa Magna (FR)
IX-X
Fr. di vetro grezzo (1 fr. di vetro grezzo con resti di crogiolo e 1 provino rinvenuti in strati di
XIII-XIV secolo sono probabilmente residui)
_
R
Area gravitante intorno alla chiesa di S.Pietro (insediamento
altomedievale)
S.Vincenzo al Volturno (IS)
Fine VIII-IX
Forni; crogioli, grande varietà di indicatori
Attività produttive diverse
R
Officina monastica
HODGES, LEPPARD, MITCHELL 2011, p. 129 ss.
Ordona (FG)
Seconda metà IV-metà V
Crogioli, scarti di lavorazione, pane di vetro
_
U
"Domus B", sull'altura prospiciente l'area del Foro: strati di abbandono
GIULIANI, TURCHIANO 2003, p.147 ss.;
GIANNETTI,GLIOZZO,TURCHIANO 2015, in particolare pp. 296-297
Benevento, S.Sofia
Fine VI-inizi VII
Crogioli con resti di vetro, colletti, frr. di vetro grezzo, provini
_
U
Insediamento tardoantico-altomedievale incluso nelle mura
longobarde
LUPIA 1998, pp. 61-70
Napoli, piazza Bovio
Metà-fine VI
Crogioli, colletti, frr. di vetro grezzo, provini, gocce, ritagli, scorie vetrose
Metallo
U
Quartiere artigianale installato nella zona insabbiata del porto romano
DEL VECCHIO 2010; SOGLIANI 2010
Pozzuoli (NA)
III o successivo
Forno; "blocchi di fritta", residui di lavorazione, scorie di vetro
_
U
Complesso termale affacciato su una strada
GIALANELLA 1999
MALPEDE 1999
V-VI
2 fosse collegate da un canale e prive di rivestimento, con vetri forse da riciclare; crogioli,
pani di vetro discoidali, probabilmente per la produzione di tessere
Metallo
U
Insula affacciata su un decumano, in parte riutilizzata per l'installazione
di impianti artigianali
Vibo Valentia, Contrada Crivo di
Parghelia
VI-VII
Lenti di bruciato e carboni; fr. di vetro grezzo, provini, gocce, masse spugnose vetrificate,
scarti
Ferro?
S
Ambiente riutilizzato di una villa, forse dotata di terme
BRUNO 2003
Sofiana (CL)
IV-V?
Forno; frr. di vetro grezzo, scorie, massa informe di vetri fusi
_
R
Pubblico: terme di un insediamento con funzione di statio
ADAMESTEANU 1963, p. 264; NARBONE 2002
Nora (CA)
V-VI?
Forno con residui di vetro fuso (identificazione come forno da vetro incerta)
Presso un'area artigianale
U
Presso il teatro
GIANNATTASIO 1996
Pontecagnano (SA)
Tab. 1. Siti italiani che hanno restituito testimonianze di indicatori e di attività produttive databili tra la tarda antichità e l’alto medioevo (Posizione topografica: U = urbana; S = suburbana; R = rurale).
Fig. 3. - Indicatori di produzione: ‘colletti’.
229
Nei campioni di VIII secolo della Crypta Balbi le analisi indicano che il riciclo è superiore rispetto al secolo precedente 13: questo dato potrebbe essere molto
significativo, e ancor più sembra esserlo l’assenza praticamente totale di vetri nel IX e X secolo, contro
quantità enormi di ceramica rinvenute nelle stratificazioni di questo periodo: forse il riciclo era divenuto
così radicale da non lasciare ormai che qualche isolata testimonianza. Stando comunque sempre all’Edictum de pretiis e ai confronti con la ceramica, si
è calcolato che i contenitori in vetro del peso di una
libra (grammi 327.45) costassero 10 volte in più rispetto a quelli in ceramica di capacità equivalente e
che il prezzo di uno o due recipienti (a seconda del
peso, che poteva variare grosso modo dai grammi 150
ai 350) corrispondesse più o meno alla paga giornaliera di un lavoratore non specializzato 14. Considerando da un lato le spese di acquisto della materia
grezza, oltre a quelle del combustibile e delle attrezzature necessarie alla gestione dell’attività, dall’altro
lo scarso ricavo delle vendite, ci si chiede se i vetrai
potessero essere artigiani indipendenti. La documentazione di questo periodo fa riferimento sia a piccoli
imprenditori indipendenti, sia ad associazioni di vetrai (papiri di Ossirinco, prima metà del IV secolo) e,
a diversi secoli di distanza, ad artigiani piccoli im-
14
13
MIRTI, DAVIT, GULMINI et alii 2001; più in generale sul riciclo fra tarda antichità e medioevo, vd. FOY 2003 e, ora, FREE2015.
STERN 1999, pp. 460-463.
STONE
LA PRODUZIONE DEL VETRO A ROMA: CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ FRA TARDOANTICO E ALTOMEDIOEVO
Roma, S.Maria Antiqua
Roma, Crypta Balbi, portico S
230
LUCIA SAGUÌ, BARBARA LEPRI
rando lo stato della documentazione attualmente disponibile, dispersa in pubblicazioni
di carattere molto vario e condizionata dalla diversa intensità
delle indagini sul territorio,
rappresenta una vera sfida (tab.
1; fig. 2, a-b). Ci auguriamo che
questo primo tentativo di sistematizzazione dei dati possa
costituire il punto di partenza
per futuri ampliamenti ed eventuali revisioni. Il censimento
dei siti di atelier tiene conto di
vari parametri, dei quali illustreremo i più importanti. Dobbiamo infatti anzitutto chiarire
quali sono gli elementi utili all’identificazione di un atelier,
soprattutto nel caso in cui non
si abbia la fortuna di trovare
una fornace. Gli indicatori di
produzione non hanno tutti la
stessa pregnanza ed è necessario pubblicarli in modo corretto e dettagliato, poiché abbiamo
verificato
che
l’individuazione di un’area
produttiva poggia spesso su
basi molto fragili. Tutte le arti
del fuoco producono, del resto,
scorie vetrose: gli stessi crogioli, se non associati ad altri
indicatori, sono difficilmente riconducibili alla lavorazione
del vetro. Gli indicatori più affidabili sono in primo luogo i
Fig. 4. - Crypta Balbi: selezione di indicatori di produzione. A): esedra, fine V/inizi VI secolo, as‘colletti’ (francese mors, inglese
sociati al forno da vetro; B): area del cortile, età tardoantica; C): esedra, fine VII secolo; D): esedra,
prima metà VIII secolo.
cylindrical moils), cioè gli
scarti di vetro che aderivano alprenditori che gestiscono l’attività attraverso una serie
l’estremità della canna da soffio, dalla quale il recipiendi accordi tra loro (documenti di Geniza, fine X - inizi
te veniva distaccato: possono avere un profilo più o meno
XIII secolo) 15.
cilindrico (fig. 3, a) oppure svasato, simile ad un piccoCosa possiamo dire a proposito della distribuzione e
lo coperchio, nel caso di forme aperte (lid-shaped moils;
dell’organizzazione degli atelier in generale in Italia tra
fig. 3, b) 16. Resti di lavorazione sono rappresentati anla tarda antichità e l’alto medioevo? Questo convegno ci
che dai cosiddetti provini (filamenti prodotti dal test per
ha stimolato ad affrontare un censimento che, consideverificare la fluidità del vetro), da ritagli, da gocce e co15
16
STERN 1999, pp. 459 ss.; STERN 2013.
La definizione generica di ‘colletti’ in questo caso non è cal-
zante, ma ci sembra che l’italiano, al contrario dell’inglese, non abbia
un termine adeguato.
LA PRODUZIONE DEL VETRO A ROMA: CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ FRA TARDOANTICO E ALTOMEDIOEVO
231
lature. Importanti sono anche le
masse di vetro grezzo di varia
forma e dimensione, in genere
ridotte in frammenti caratterizzati da spigoli vivi e da piani di sfaldamento talvolta con
cerchi concentrici, determinati dalla rottura in pezzi (figg. 45 e tavv. 00) 17. Per limitarci all’area romana troviamo
elementi di questo tipo, associati ad un forno, nell’isolato
con tabernae adiacente al cosiddetto Macellum di Ostia 18,
in un contesto della seconda
metà del V secolo, nell’esedra
della Crypta Balbi, in un contesto di fine V/inizi VI secolo 19
e nella villa dei Quintili 20.
Ben poco possiamo ormai ricostruire, purtroppo, a proposito del forno da vetro che sarebbe stato rinvenuto durante
gli sterri nell’area del Laterano 21, se non che tra i materiali recentemente riordinati e
conservati nel comprensorio
archeologico di S. Croce in Gerusalemme una cassetta 22 è
stipata di recipienti in vetro tardoantichi di produzione molto Fig. 5. - Pendici nord-est del Palatino, metà del V secolo: selezione di indicatori di produzione.
omogenea e un’altra 23 connastica 25. Le vetrificazioni non sono sinonimo di officiserva alcuni frammenti di vetro grezzo. Non associati ad
na vetraria, ma di tutto l’artigianato del fuoco; anche i veun forno, ma comunque importanti per quantità e varietri deformati, se non associati ad altri elementi, non sono
tà, troviamo indicatori di produzione alle pendici norindicatori di produzione e, in particolare, di recipienti mal
dorientali del Palatino, in strati di abbandono databili in24
riusciti, ma possono essere il risultato di una combustione.
torno alla metà del V secolo e alla Crypta Balbi nell’area
È bene dunque essere cauti nel caso dell’atelier vetrario
al centro del portico, in contesti di abbandono tardoandi fine IV/metà V secolo identificato nel complesso portichi, e nell’esedra, in strati di fine VII e di prima metà
tuale di Lungotevere Testaccio 26, anche se la posizione
VIII secolo, che riteniamo riferibili ad un’officina mo-
Per una classificazione preliminare degli indicatori di produzione si veda, più in dettaglio, GIANNICHEDDA, LERMA, MANNONI et
alii 2000.
18
Il forno ostiense è ancora inedito (la sola notizia della struttura, ora distaccata e conservata nei nuovi depositi archeologici di
Ostia Antica, è in http://www.fastionline.org/micro_view.php?fst
cd=AIAC_465&curcol=sea_cd-AIAC_275 ); per gli indicatori di
produzione da associare alla struttura vd. ROTTLOFF 2000.
19
SAGUÌ 2000.
20
Si veda il contributo di R. Paris, R. Frontoni, G. Galli et alii
in questo volume.
17
SANTA MARIA SCRINARI 1968-1969, p. 18; SANTA MARIA SCRI1995, p. 243.
22
Con sigla «San Giovanni, vetreria (n. 8463)».
23
Con sigla «Horti Domitiae, sito 1, dal vano del fabbro (n.
14707)».
24
SAGUÌ 2009.
25
SAGUÌ, MIRTI 2003.
26
STERNINI 1989; anche i recenti ritrovamenti di via Marmorata,
non illustrati (scarti di lavorazione e materiale refrattario), hanno
fatto ipotizzare la vicinanza di un centro di produzione: MUSELLA
2011.
21
NARI
232
LUCIA SAGUÌ, BARBARA LEPRI
in un quartiere artigianale e lungo il fiume, grande asse
di circolazione di uomini e di merci, sarebbe ideale ed è
probabile che nella zona fossero presenti atelier vetrari
anche nel periodo che ci interessa.
Il forno di Ostia, quello della Crypta Balbi, quello che
possiamo presumere attivo sul Palatino o nell’area circostante si trovano in zone un tempo centrali della città,
ora semiabbandonate, e probabilmente vi erano forni nell’area tiberina. Un vicus vitrarius era nella regio I, porta Capena: segnalato dai Cataloghi Regionari 27, non sappiamo quanto a lungo abbia visto operare botteghe o
officine, o entrambe, come è documentato in qualche caso
anche in età tardoantica nei centri del Mediterraneo orientale 28. Tenendo sempre presente la scarsità delle nostre
testimonianze, potremmo istituire un confronto con altri centri urbani occidentali, in primo luogo Marsiglia, dove
tra V e VI secolo diversi atelier erano disseminati in spazi liberi all’interno della città, mentre i tre più importanti
erano all’esterno ma nelle immediate vicinanze delle mura
e di questi il più grande, quello della Bourse, era vicino
al porto 29. In aree portuali erano anche l’atelier di Classe 30 e quello di Rusellae, alla foce dell’Ombrone 31. In effetti il modello dominante resta, anche alla fine dell’antichità, quello dell’atelier urbano o periurbano. La
nocività non sembra comunque aver costituito l’elemento
più importante nella scelta dei luoghi in cui installare certe attività artigianali quali quella del vetro, ferma restando
l’esclusione dalle aree più densamente abitate, come ribadito anche dalla legislazione dell’epoca 32. Il sistema
di produzione gerarchico del vetro nell’antichità e nell’alto medioevo e la dipendenza degli atelier secondari
fa sì che la maggior parte di essi sia localizzata nelle città o nelle loro periferie, in prossimità dei grandi centri urbani e dei mercati, per beneficiare degli arrivi di vetro grezzo e della facilità nella raccolta di materiale da riciclare.
Per rifondere il vetro non c’è bisogno del resto, come abbiamo detto, di grandi installazioni, grandi spazi ed enormi quantità di combustibile, necessari al contrario nel caso
dei forni primari. Nell’ubicazione dei forni ci sembra si
evidenzi in Italia – ma l’analisi, se estesa ad altre province,
porterebbe forse ad analoghe considerazioni – una scelta preferenziale: potrebbe essere un caso, ma l’installazione in ambienti termali dismessi risulta piuttosto frequente (fig. 6), forse in relazione a sistemi consolidati di
approvvigionamento del combustibile o alla maggiore possibilità di riciclo, se pensiamo alle grandi vetrate degli edifici termali. A Marsiglia, nei siti più importanti, il lavo-
VALENTINI, ZUCCHETTI 1940, pp. 90 (Curiosum), 165 (Notitia).
Ci chiediamo se con il vicus vitrarius possano aver avuto qualche
relazione gli ambienti visti nel XVIII secolo tra porta Capena e la
chiesa dei SS. Nereo e Achilleo: «[…] in quibus egesta pavimenti
fragmenta e signino constabant rudiuscule subacto, cui superfusum,
expolitumque, ad semunciae altitudinem vitrum adhaerebat viride,
undequaque concolor, minimeque vermiculatum; nulla praeterea segmenta, nullique termini apparebant, neque ullae, nisi quas vetustas
fecisset, rimulae; ita ut ex integra tabula solo superinfusa pavimentum illud constitisse conjecerim, mobilibus sane officinis, vel
pro numero operum ex tempore excitatis […]»: PASSERI 1739, p. 67.
28
Ad esempio a Edessa e a Tessalonica, dove alle officine ubicate lungo le arterie principali si affiancava un vano per la vendita
(ANTONARAS, CHRYSOSTOMOU 2015; ANTONARAS 2014) e a Bet She’an, dove nei pressi del bazaar la vendita si svolgeva in un ambiente
accanto a quello che ospitava il forno (STERN 1999, p. 472). Casi
analoghi sono forse documentati a Sardis (STERN 1999, p. 472) e a
Sepphoris (FISCHER 2008, pp. 48 ss.).
29
FOY 2010b, pp. 349-350.
30
CIRELLI, TONTINI 2010.
31
CYGIELMAN, CHIRICO, COLOMBINI et alii 2013.
32
Nel trattato di Giuliano di Ascalona ad esempio, che rappresenta un documento sulla vita urbana in Palestina alla fine dell’antichità ma testimonia di preoccupazioni universali nel contesto delle
città tradizionali, si prescrive che i vetrai, così come altri artigiani
che fanno uso del fuoco, pratichino questo tipo di attività fuori dalla
città o, quanto meno, in quartieri poco popolati o decentrati. Alcuni
esempi di atelier di questo tipo, situati in piena città, invitano tuttavia ad interrogarsi sul valore di tali prescrizioni: SALIOU 1996, in
particolare pp. 40-41, 118 ss. Emblematici, a questo proposito, sono
i recenti ritrovamenti di Edessa (ANTONARAS, CHRYSOSTOMOU 2015)
e di Tessalonica (ANTONARAS 2014).
Fig. 6. - Siti con indicatori di attività vetraria: posizione e spazi occupati.
Fig. 7. - Siti con indicatori di attività vetraria isolata o associata ad
altre produzioni.
27
LA PRODUZIONE DEL VETRO A ROMA: CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ FRA TARDOANTICO E ALTOMEDIOEVO
233
ro del vetro era associato a quello di altri artigiani, come
si evidenzia anche in diversi centri nei secoli precedenti 33. Abbiamo riscontrato lo stesso fenomeno in Italia, in
diversi siti (fig. 7). Se la concentrazione topografica tra
le diverse arti del fuoco appare ovvia, il legame tra l’artigianato vetrario e quello metallurgico potrebbe essere
stato più stretto in considerazione della necessità, da parte dei vetrai, non solo di strumenti ma anche di sottoprodotti delle lavorazioni metallurgiche per la realizzazione di coloranti 34. Per restare a Roma, a parte il caso
delle officine monastiche, che vedremo meglio in seguito,
possiamo forse immaginare un’associazione del genere
a proposito della Crypta Balbi, dove a poca distanza dal
forno vetrario sono stati rinvenuti due forni metallurgici, datati alla metà del VI secolo (si tratterebbe dunque
di una sequenza, piuttosto che di una contemporaneità?) 35
e sul Celio, nell’area della Basilica Hilariana, dove ad
una serie di attività artigianali si associa forse, nei decenni
centrali del V secolo, la produzione di tessere musive 36.
Un’interdipendenza delle attività artigianali si può ipotizzare, nel caso del vetro, per quanto riguarda i contenuti, e in particolare i profumi. L’osservazione si riferisce tuttavia ai secoli precedenti. A Pozzuoli, ad esempio,
la regio clivi vitrari sive vici turari, nella quale è stato messo in luce un forno da vetro di III secolo o più tardo 37,
riuniva i produttori di profumi, famosi nella città, e gli
artigiani del vetro: la tendenza degli artigiani di una stessa attività economica a riunirsi anche spazialmente è un
fenomeno del resto comune nelle città antiche. Pozzuoli è ritenuta peraltro il centro di produzione delle famose bottiglie di IV secolo decorate con incisioni che, raffigurando vedute della città stessa e di Baia, rappresentano
veri e propri ricordi di viaggio 38. La decorazione di questo tipo non è comunque necessariamente connessa ad
un’officina vetraria, ma può svolgersi in un altro luogo.
Nel caso dell’atelier tardoantico di Classe si è ipotizzato un rapporto con la ceramica invetriata locale; anche la
grande produzione invetriata romana, che ha il suo ex-
ploit a partire dal IX secolo, potrebbe implicare una relazione tra vetrai e ceramisti, oltre a motivare con un riciclo ancora più estremo l’assenza di vetro in questi secoli, che sono per giunta i più critici, come abbiamo visto,
per la produzione vetraria.
Oltre alle officine più o meno strutturate, registriamo
nella tarda antichità il fenomeno delle aree artigianali
occasionali. Se spesso il fattore determinante dell’impianto di atelier è impossibile da stabilire, in qualche
caso è evidente che si tratta di complessi in abbandono
che, dotati di grandi apparati decorativi, dovevano presentarsi come vere e proprie cave a cielo aperto e offrivano quindi le più varie possibilità di recupero e di
riciclo. E’ il caso, solo per citare il più eclatante, della
villa tardoantica di Aiano-Torraccia di Chiusi, nella
quale, tra VI e VII secolo, si impiantano diverse officine pirotecnologiche e tra queste un forno da vetro che
ricicla vasellame, tessere e lastrine della decorazione in
opus sectile per ricavarne piccoli oggetti ornamentali 39.
Casi del genere invitano ad interrogarsi sull’organizzazione degli artigiani, tanto coordinati nel tempo e nello
spazio da far supporre l’esistenza di un’iniziativa pubblica 40. Recenti ricerche, condotte a partire da una serie
di ville rurali tardoantiche dell’Italia meridionale, indicano che queste attività, non certo attribuibili a squatting occasionali, erano frutto di precisi progetti ed erano
gestite da una forza lavoro molto specializzata, forse organizzata in associazioni itineranti 41. Nell’individuazione di questi aspetti sussistono tuttavia almeno tre
problemi: la scarsa considerazione che in molti scavi si
riserva alle fasi di abbandono, la breve durata delle attività, che terminano con l’esaurimento del materiale da
riciclare, il pericolo che gli archeologi ne fraintendano
la natura, sentendosi più stimolati ad interpretarle come
produzioni nate ex novo 42.
L’ultima tipologia alla quale accenniamo è quella
delle vetrerie che gravitano nell’ambito della Chiesa. Già
dal V secolo sembra di poter rilevare testimonianze ar-
AMREIN 2009; FOY 2010b, pp. 347 ss.
FREESTONE, STAPLETON, RIGBY 2003.
35
Si veda il contributo di L. Vendittelli e M. Ricci in questo volume.
36
Si veda il contributo di M.E. Calabria, D. Ferro, P. Palazzo et
alii in questo volume.
37
GIALANELLA 1999.
38
Su queste si veda, da ultimo, GIANFROTTA 2011.
39
CAVALIERI 2011.
40
Si veda anche il caso di Santa Cristina in Caio (Siena), dove
nel grande complesso termale della mansio, ormai abbandonato, ha
luogo dalla prima metà del V secolo una riconversione artigianale
con impianto di forni per la lavorazione del materiale di spoglio (metallo e vetro): VALENTI 2012, in particolare p. 7 e http://archeologia
medievale.unisi.it/santa-cristina/scavo/interpretazione-progress/SF04.
41
MUNRO 2010. Per un quadro più ampio delle fasi ‘post villa’,
esteso ad altri siti italici e delle province occidentali, vd. MUNRO
2012.
42
È questo il caso dell’atelier di fine IV - inizi V secolo individuato a Ciampino (Roma), in località Colle Oliva, che si ritiene abbia
prodotto lastrine vitree da opus sectile, mentre la loro provenienza
dallo spoglio dal complesso residenziale adiacente, ormai in abbandono, e la loro utilizzazione come materiale da riciclare sembrano evidenti: BLANCO 2015.
33
34
234
LUCIA SAGUÌ, BARBARA LEPRI
cheologiche di atelier vetrari dipendenti da comunità religiose nella Francia meridionale 43, mentre in Gran Bretagna conosciamo almeno due officine monastiche
precedenti l’età carolingia 44. Gli esempi più eclatanti e
più vicini a noi sono quello della Crypta Balbi, con l’officina attribuita al monastero di S. Lorenzo in Pallacinis, attiva nel VII secolo e ancora nella prima metà
dell’VIII 45, i cui prodotti, che poi esamineremo brevemente, avevano un ampio circuito di distribuzione,
quello dell’isola di Torcello 46, i cui atelier, secondo la
revisione delle datazioni, sembrano operare tra IX e X
secolo 47, e ovviamente quello di S. Vincenzo al Volturno 48. La vetreria di S. Vincenzo, nata tra la fine dell’VIII e gli inizi del IX secolo come struttura
temporanea, in successione con altre che dovevano realizzare gli arredi della chiesa e forse degli edifici ad essa
associati, prosegue la sua attività nel corso del IX secolo ampliando il raggio della committenza. Recentemente, per quanto riguarda ancora Roma, si è ipotizzata
l’esistenza di un’area di lavorazione in prossimità della
chiesa di S. Maria Antiqua, forse ad essa afferente 49. Il
caso di S. Vincenzo è emblematico per il volume straordinario e per la raffinatezza eccezionale delle sue produzioni, che sul piano tipologico rientrano nella koinè
occidentale. È emblematico perché non ci troviamo a
Roma, eppure qui tocchiamo con mano l’altissimo livello tecnologico raggiunto dagli artigiani del vetro,
mentre cogliamo ancora più pienamente l’importanza
del ruolo svolto dalla chiesa nei primi secoli del medioevo nel conservare, perfezionare, tramandare la tecnologia e l’arte di fare il vetro. S. Vincenzo ci stupisce
rispetto a quelli che noi pensiamo fossero gli standard
dell’epoca, che certo dobbiamo riconsiderare. A S. Vincenzo si usa molto vetro riciclato più antico, che si suppone venisse importato o recuperato dai centri urbani o
dalle ville rurali della regione.
Passiamo ora brevemente in rassegna il repertorio
romano che caratterizza i secoli dei quali abbiamo parlato, iniziando dal V.
Nel V secolo non sono probabilmente più realizzati
i vetri incisi con scene figurate, che hanno rappresentato una parte molto importante della produzione vetraria nei decenni centrali del IV. Bisogna però fare
attenzione, perché ne troviamo testimonianza proprio
negli strati di V e VI secolo in quanto, trattandosi di
FOY 2010b, pp. 354-355.
44
DELL’ACQUA 2011.
45
SAGUÌ 2002; SAGUÌ, MIRTI 2003.
46
LECIEJEWICZ, TABACZYŃSKA, TABACZYŃSKI 1977.
47
LECIEJEWICZ 2000. La rilettura dei risultati degli scavi di Torcello alla luce di nuove analisi chimiche e delle più recenti conoscenze sulla tecnologia vetraria consente di respingere l’ipotesi che
nell’isola fosse attivo un centro primario: a Torcello si sarebbe dun-
que svolta una produzione secondaria, nella quale si faceva uso
anche di vetro riciclato. Le indagini recenti permettono inoltre di
escludere una produzione locale di tessere musive vitree ed evidenziano il cambiamento di composizione dai vetri prodotti con
natron e sabbie siliceo-calcaree a quelli ottenuti con ceneri di piante
litoranee e silice nei materiali databili tra X e XII secolo: VERITÀ,
ZECCHIN 2005.
48
HODGES, LEPPARD, MITCHELL 2011, pp. 129 ss., 433 ss.
49
SERLORENZI 2009, pp. 469-470.
Fig. 8. - Vetri incisi di età tardoantica riferibili a due officine urbane. A: pendici nord-est del Palatino (da SAGUÌ 2009, p. 212, fig.
4,1, con integrazione); B: Celio, complesso sottostante la basilica
dei Santi Giovanni e Paolo (da SAGUÌ 1996, p. 347, fig. 8).
43
LA PRODUZIONE DEL VETRO A ROMA: CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ FRA TARDOANTICO E ALTOMEDIOEVO
235
Fig. 10. - Forme comuni nel repertorio romano tra V e VIII secolo.
1): coppa con spesso filamento sull’orlo, avvolto a spirale sul fondo;
2): lampada a sospensione con portastoppino; 3): polycandilon con
lampade in vetro (da L’art byzantin 1992, p. 121); 4-5): calici.
Fig. 9. - Principali forme di vetro diffuse a Roma tra V e VIII secolo (da SAGUÌ 1993, fig. 3).
prodotti di lusso, si tendeva a conservarli a lungo. A volte
si tratta di veri e propri esemplari da largitiones, che
hanno tutte le caratteristiche delle altre classi suntuarie
quali gli avori e gli argenti, anche se al contrario di questi sono privi di valore intrinseco. Nel repertorio troviamo temi schiettamente pagani, temi genericamente
riferibili alla tradizione figurativa classica e temi cristiani a volte molto complessi, che potrebbero caratterizzare questi oggetti come suppellettili liturgiche.
L’incisione è una tecnica che si svolge a freddo, come
quella della pittura su vetro: nei casi di decorazioni complesse non doveva essere realizzata direttamente dai
vetrai, ma da incisori specializzati, gli stessi diatretarii
ai quali si riferisce una costituzione costantiniana del
337 che li esenta, insieme ai vitrearii e ad altre categorie selezionate di abili artigiani, dai munera, affinché
potessero approfondire la conoscenza della loro arte e
tramandarla ai figli. Quello del vetro inciso è un capitolo molto interessante, non solo per quanto riguarda
l’artigianato vetrario, ma anche per gli aspetti sociali e
storico-artistici che la produzione riflette. Si tratta di una
produzione ormai sottratta alle tesi panrenane del secolo scorso, che a nostro parere, ferma restando l’esistenza di alcune produzioni provinciali ben riconoscibili
nel diverso linguaggio espressivo e tecnico, può essere
fatta risalire ad almeno due diverse officine urbane o a
due fasi non molto distanti cronologicamente (fig. 8) 50.
L’ampio raggio di distribuzione viene attribuito da alcuni studiosi alla mobilità delle maestranze, ma non si
può escludere un’esportazione su precisa committenza.
Del resto Roma, anche grazie agli scavi più recenti, ne
ha restituito una documentazione eccezionalmente ricca.
Molti esemplari provengono dagli strati di abbandono
di V secolo avanzato della Crypta Balbi ma soprattutto
delle pendici del Palatino 51: considerando l’importanza
50
Per un ampio e sistematico inquadramento della produzione
incisa tardoantica si rimanda a ROTTLOFF 2001: delle cinque principali officine individuate dalla studiosa ci riferiamo ai gruppi A e
B.
51
SAGUÌ 2009.
236
LUCIA SAGUÌ, BARBARA LEPRI
nomeno inverso si registra in
Oriente, che vede moltiplicarsi
forme e funzioni dei contenitori in
vetro. Nonostante queste differenze,
una sorta di koinè sembra avvolgere tutta l’area mediterranea. Raramente si riesce a cogliere, nelle
peculiarità di una forma, un’espressione tipicamente locale: è il caso,
crediamo, di una coppa molto caratteristica e comune nei contesti
romani di V secolo (fig. 10, 1). Ci
soffermiamo soltanto su due forme
‘universali’ perché sono importanti
da diversi punti di vista, non ultimo
il fatto che entrambe sono prodotte
per un lungo arco cronologico: le
lampade, soprattutto del tipo a sospensione, e i calici. Le lampade in
vetro, probabilmente originarie dell’area siro-palestinese, si diffondono in Occidente nel periodo in cui
il sistema tradizionale delle lucerne
in ceramica comincia a risentire
anche dei problemi dell’alimentazione a olio e segnano un’importante innovazione nell’arredo
architettonico e nella storia dell’illuminazione. A differenza delle lucerne in ceramica, delle quali
Fig. 11. - Selezione di lastrine in vetro per decorazioni in opus sectile dal deposito di VII sediventano un’alternativa a seconda
colo nell’esedra della Crypta Balbi (da SAGUÌ 2007, p. 224, fig. 7).
dei luoghi da illuminare, quelle in
vetro, peraltro ancora oggi prodotte
del luogo e il ritrovamento di un pezzo non finito o rotto
in Oriente, erano riempite d’acqua e poi da uno strato
nel corso della lavorazione, non possiamo escludere
di olio sul quale galleggiava uno stoppino, tenuto fermo
che nelle vicinanze fosse attivo un atelier.
da un apposito supporto (fig. 10, 2). Gli studi sulA partire dal V secolo l’aspetto decorativo diviene
l’emissione della luce indicano che le lampade in vetro
meno rilevante e il repertorio delle forme si riduce senavevano una durata e un’intensità di illuminazione susibilmente, privilegiando gli aspetti funzionali: queste
periori rispetto a quelle in ceramica: la luce prodotta era
caratteristiche si accentuano nell’alto medioevo. La fig.
quasi doppia e il combustibile più adatto doveva essere
9, elaborata ben 20 anni fa, rappresenta in modo sintel’olio di ricino, non idoneo agli usi alimentari 52. Sono
tico ma ancora esauriente le principali forme prodotte a
in primo luogo le chiese ad utilizzare le lampade in vetro
Roma nell’arco di quattro secoli. Il repertorio romano,
che, se inserite in vario numero nei grandi lampadari in
come quello occidentale in generale, è molto ridotto in
metallo (polycandila, coronae pharales, fara canthara)
questo periodo rispetto a quello di età imperiale: un fericordati dalle innumerevoli donazioni del Liber Pontificalis (fig. 10, 3), dovevano formare vere e proprie corone luminose, producendo un grande effetto
scenografico, oltre ad essere portatrici di messaggi tra52
STERN 2001, p. 262. Sugli usi e sul commercio dell’olio di riscendenti legati al simbolismo della luce. Anche i cacino, la cui presenza è stata recentemente individuata in anfore nordafricane di età tardoantica a Classe, si veda PECCI, SALVINI, CIRELLI
lici in vetro (fig. 10, 4-5) dovevano essere impiegati come
et alii 2010.
LA PRODUZIONE DEL VETRO A ROMA: CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ FRA TARDOANTICO E ALTOMEDIOEVO
suppellettile da illuminazione, oltre che con funzione potoria non solo in ambito domestico, a giudicare dai divieti che le leggi canoniche, prescrivendo l’uso di calici
eucaristici in metallo prezioso, ribadiscono più volte 53.
Per gli archeologi che lavorano in ambito romano i calici, perfettamente riconoscibili grazie allo stelo e al
particolare piede a disco, sono molto utili, tra l’altro,
come indicatore cronologico, poiché non sembrano comparire prima della seconda metà del V secolo. Fino alla
prima metà dell’VIII secolo la produzione in primo
luogo di lampade e calici è documentata nell’officina
monastica della Crypta Balbi, nella quale peraltro, a differenza del secolo precedente, non sono attestate attività produttive se non quella vetraria 54. La continuità
della produzione vetraria rispetto all’età tardoantica è
evidente sul piano della tecnologia, nel repertorio formale e anche negli aspetti decorativi che, sia pure limitati all’applicazione di filamenti, sono un retaggio di
tradizioni precedenti. In una città nella quale molte cose
stavano cambiando la produzione del vetro era dunque
sostanzialmente immutata.
Ancora a proposito di continuità e di alto livello artigianale, un esempio di un genere ancora poco noto è
costituito dall’opus sectile in vetro. La fig. 11 (e tav.
00) mostrano una selezione di lastrine di forme e colori diversi, in alcuni casi ad imitazione del marmo, probabilmente prodotte nell’atelier monastico di VII secolo
della Crypta Balbi, che ne ha restituite più di 200. Un
filo ininterrotto lega questa produzione a quella che in
anni recenti, dopo i famosi ritrovamenti dei pannelli nel
porto di Corinto, è stata individuata negli apparati
de<corativi della villa di Lucio Vero a Roma e in molte
altre lussuose residenze di età imperiale e tardoantica,
così come, associata con il sectile in marmo, in diversi
edifici religiosi di età giustinianea sia in Oriente sia in
Occidente 55. La padronanza di questa tecnologia deve
aver resa possibile la realizzazione delle vetrate delle
principali basiliche romane, ricordate dal Liber Pontificalis nell’VIII e nel IX secolo.
Per concludere il nostro excursus, sarebbe interessante almeno un riferimento ai secoli successivi all’VIII,
che come abbiamo detto segnano il passaggio verso il
nuovo modo di produrre vetro. La mancanza di testimonianze, alla quale pure abbiamo accennato, tanto più
singolare in quanto ci troviamo in un osservatorio privilegiato, non deve però farci pensare ad un vuoto reale:
UBOLDI 2003, p. 179.
SAGUÌ 2007, pp. 221 ss.
55
SAGUÌ 2007, pp. 223 ss., con bibliografia.
Fig. 12. - Crogioli da un contesto di tardo X secolo della Crypta
Balbi (da SAGUÌ 2007, p. 226, figg. 8-10).
le difficoltà dovute alla riorganizzazione del sistema produttivo e un drenaggio più capillare, legato anche alle
esigenze della grande produzione coeva di ceramica a
vetrina pesante, potrebbero in gran parte motivare le assenze. Ma che il processo non si fosse interrotto e che
anzi, almeno nel X secolo la produzione vetraria urbana
fosse ben organizzata, è indicato da almeno cinque crogioli rinvenuti, insieme a resti di lavorazione dell’osso,
nel riempimento di un pozzo scavato a ridosso del lato
meridionale della Crypta Balbi (fig. 12) 56. Altri due
esemplari in tutto simili, riconducibili per le caratteristiche dell’argilla all’area laziale, provengono da contesti dell’esedra databili alla prima metà dell’XI
secolo 57. Al contrario dei recipienti per la fusione noti
in età tardoantica e nel primo medioevo, che nella
grande maggioranza dei casi utilizzano contenitori refrattari in ceramica comune di forme diverse – talvolta
53
54
237
56
57
SAGUÌ 2007, pp. 225-226.
MANNONI 1990, p. 604.
238
LUCIA SAGUÌ, BARBARA LEPRI
anche chiuse ma con imboccatura appositamente asportata – o in pietra ollare 58, i crogioli della Crypta Balbi
fanno parte di una produzione ormai specializzata, caratterizzata da forme aperte molto simili tra loro, di
grandi dimensioni e quasi tutte rivestite da uno strato
di argilla che doveva proteggerle dalle alte temperature.
Su uno dei crogioli rinvenuti nel riempimento del
pozzo, databile nell’ambito del X secolo, e sullo strato
di vetro prelevato dal fondo sono state effettuate analisi da parte di M.Verità (Laboratorio Analisi Materiali
Antichi LAMA, Università IUAV, Venezia). I risultati,
ancora preliminari, indicano che entrambi gli strati del
crogiolo sono costituiti da argille calcaree e che la fusione del vetro è avvenuta intorno ai 1000°. Per quanto
riguarda il vetro, se il modello ormai accettato da tutti
gli studiosi è quello al quale abbiamo accennato all’inizio, ci saremmo aspettati di trovare ingredienti in
una certa misura diversi rispetto a quelli dei secoli precedenti. La composizione del vetro risulta invece ancora silicico-sodico-calcica di tipo natron, come
dimostrano le concentrazioni di potassio e magnesio inferiori a 1%, mentre non si è rilevata la presenza di fosforo. Tracce di piombo, stagno e antimonio indicano
poi che, oltre al vetro grezzo, sono stati fusi anche rottami eterogenei.
Se il tema del riciclo, che ha rappresentato una costante del nostro discorso, è dunque ancora presente,
quello del passaggio al nuovo modo di produrre vetro,
che si afferma nel corso del medioevo, deve essere evidentemente valutato alla luce di una casistica più ampia
e più dettagliata nel tempo e nello spazio, nell’ambito
della quale Roma, con il suo più lento distacco dalla
tradizione antica, occupa probabilmente un posto particolare 59.
Il nostro discorso termina qui. È andato un po’ oltre
l’argomento del titolo: abbiamo cercato di uscire dagli
schemi tipologici ma è evidente che resta ancora molto
lavoro da fare. Ringraziamo comunque gli organizzatori del convegno, che ci hanno stimolato ad iniziare
questa ricognizione ormai doverosa e ci auguriamo di
essere stati utili soprattutto ai più giovani, se è vero che
negli scavi si registra solo quello che si vede e si vede
solo quello che si sa riconoscere.
FOY 1990; CATALO, FOY, LLECH 1998, pp. 15 ss.
Come del resto sembra dimostrare, nella produzione di tessere
musive, il passaggio dall’uso del natron a quello di ceneri vegetali
sodiche, avvenuto a Roma solo fra XII e XIII secolo: VERITÀ 1996.
Sul protrarsi del riciclo del vetro antico fino al medioevo, con esiti
che dal punto di vista della composizione possono risultare ana cronistici, si veda ora FREESTONE 2015.
58
59
Bibliografia
ADAMESTEANU 1963 = D. ADAMESTEANU, Nuovi documenti
paleocristiani nella Sicilia centro-meridionale, in BdA,
XLVIII, 1963, pp. 259-274.
AMREIN 2009 = H. AMREIN, L’artisanat du verre à l’époque
romaine sur le territoire helvétique dans le contexte des
productions artisanales en général, in K. JANSSENS, P. DEGRYSE, P. COSYNS et alii (a cura di), Annales du 17e Congrès de l’Association Internationale pour l’Histoire du
Verre (Anvers, 2006), Antwerp 2009, pp. 63-69.
ANTONARAS 2014= A. Ch. ANTONARAS, An early Christian
glass workshop at 45, Vasileos Irakleiou Street in the centre of Thessaloniki, in D. KELLER, J. PRICE, C. JACKSON
(a cura di) Neighbours and Successors of Rome: Traditions of glass production and use in Europe and the Middle East in the Later 1st Millennium AD, Oxford –
Philadelphia 2014 pp. 95-113.
ANTONARAS, CHRYSOSTOMOU c.s. = A. ANTONARAS, A. CHRYSOSTOMOU, A secondary glass workshop in ancient
Edessa, in Annales du 19e Congrès de l’Association Internationale pour l’Histoire du Verre (Piran, 2012), Koper
2015, pp. 293-303.
BLANCO 2015= D. BLANCO, Ipotesi di un’officina vetraia di
sectelia a Colle Oliva (Ciampino) in L. MANDRUZZATO, T.
MEDICI, M. UBOLDI (a cura di ), Il vetro in Italia centrale
dall’antichità al contemporaneo - Atti delle XVII Giornate Nazionali di Studio sul Vetro (Massa Martana - Perugia, 2013) Cremona 2015, pp. 47-59.
BREDA 1992-93 = A. BREDA, Leno (BS). Località Campi S.
Giovanni. Necropoli e insediamento altomedievali, in NotALomb, 1992-93, pp. 82-83.
BRUNO 2003 = G.A. BRUNO, Contrada Crivo di Parghelia
(VV): indizi di produzione vetraria, in A. COSCARELLA (a
cura di), Il vetro in Calabria. Contributo per una carta
di distribuzione in Italia, 1, Soveria Mannelli 2003, pp.
259-292.
BUORA 1998 = M. BUORA, La circolazione vetraria nell’Italia nordorientale nel periodo tardoantico e la produzione
di un maestro vetraio a Sevegliano, in Il vetro dall’antichità all’età contemporanea: aspetti tecnologici, funzionali e commerciali. Atti 2e Giornate Nazionali di Studio
AIHV Comitato Nazionale Italiano (Milano, 14-15 dicembre 1996), Milano 1998, pp. 165-172.
BUORA, MANDRUZZATO, VERITÀ 2009 = M. BUORA, L. MANDRUZZATO, M. VERITÀ, Vecchie e nuove evidenze di officine vetrarie romane ad Aquileia, in QuadFriulA, XIX,
2009, pp. 51-58.
CARUSO, PACETTI, SERRA et alii 2010 = G. CARUSO, F. PACETTI, S. SERRA, C. TERMINI, R. VOLPE, F. CARBONI, M.
PONTANI, Scavi nell’angolo sud-occidentale delle Terme
di Traiano, in BCom, CXI, 2010, pp. 257-282.
CATALO, FOY, LLECH 1998 = J. CATALO, D. FOY, L. LLECH,
Mobilier de la fin de l’Antiquité et du haut Moyen Âge,
à Toulouse sur le site du “Donjon du Capitole”. Céramiques - verres - creusets de verrier, in Archéologie Médiévale, 28, 1998, pp. 1-31.
CAVADA, ENDRIZZI 1998 = E. CAVADA, L. ENDRIZZI, Produrre
vetro a Trento. Primi indizi nei livelli tardoantichi e altomedievali dell’area urbana, in Il vetro dall’antichità all’età contemporanea: aspetti tecnologici, funzionali e
commerciali, Atti 2e Giornate Nazionali di Studio AIHV
LA PRODUZIONE DEL VETRO A ROMA: CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ FRA TARDOANTICO E ALTOMEDIOEVO
Comitato Nazionale Italiano (Milano 1996), Milano 1998,
pp. 173-179.
CAVALIERI 2011 = M. CAVALIERI, Dalle tessere alle collane.
La rifunzionalizzazione della villa tardoantica di AianoTorraccia di Chiusi (San Gimignano, SI) e il reimpiego
dei suoi mosaici parietali in pasta vitrea, in C. ANGELELLI
(a cura di), Atti del XVI Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico (Palermo-Piazza Armerina, 17-20 marzo 2010), Tivoli 2011,
pp. 613-626.
CECCHINI 2008 = S. CECCHINI, Le attività produttive tardoantiche e altomedievali nell’insediamento del Colle Santino, in Forum Iulii, XXXII, 2008, pp. 7-20.
CIRELLI, TONTINI 2010 = E. CIRELLI, S. TONTINI, Produzione
vetraria a Classe nella tarda antichità, in M. VANDINI (a
cura di), Riflessioni e trasparenze. Diagnosi e conservazione di opere e manufatti vetrosi (Ravenna, 2009), Bologna 2010, pp. 125-133.
CYGIELMAN, CHIRICO, COLOMBINI et alii 2013 = M. CYGIELMAN, E. CHIRICO, M. COLOMBINI, A. SEBASTIANI, River Port
Trade, Luxury Glass Working and Temple Dedications
along the via Aurelia vetus: New Excavations in Roman
Tuscany, in L. BOMBARDIERI, A. D’AGOSTINO, G. GUARDUCCI et alii (a cura di), Soma 12. Identity and Connectivity. Proceedings of the 16th Symposium on
Mediterranean Archaeology (Florence, 2012), II, Oxford
2013, pp. 877-885 (BAR Int Ser, 2581).
DE MARINIS 1991 = G. DE MARINIS, Resti di lavorazione vetraria tardo-romana negli scavi di Piazza della Signoria
a Firenze, in M. MENDERA (a cura di), Archeologia e storia della produzione del vetro preindustriale, Firenze
1991, pp. 55-64.
DEL VECCHIO 2010 = F. DEL VECCHIO, I vetri: il ciclo della
produzione e i manufatti, in Napoli la città e il mare.
Piazza Bovio: tra Romani e Bizantini, Milano 2010, pp.
81-85.
DELL’ACQUA 2011 = F. DELL’ACQUA, Craft production in early
western monasticism: rules, spaces, products, in H. DEY,
E. FENTRESS (a cura di), Western monasticism ante litteram. The spaces of monastic observance in late antiquity
and the early Middle Ages, Turnhout 2011, pp. 289-314.
FISCHER 2008 = A. FISCHER, Hot Pursuit. Integrating Anthropology in Search of Ancient Glass-blowers, Lanham,
MD 2008.
FONTAINE, FOY 2007 = S.D. FONTAINE, D. FOY, L’épave OuestEmbiez 1, Var: le commerce maritime du verre brut et
manufacturé en Méditerranée occidentale dans l’Antiquité, in RANarb, 40, 2007, pp. 235-268.
FOY 1990 = D. FOY, Creusets de verrier de l’Antiquité tardive et du haut Moyen-Age découverts dans le sud-est de
la France, in Annales du 11e Congrès de l’Association
Internationale pour l’Histoire du Verre (Bâle, 1988), Amsterdam 1990, pp. 199-216.
FOY 2003 = D. FOY, Recyclages et réemplois dans l’artisanat du verre. Quelques exemples antiques et médiévaux,
in P. BALLET, P. CORDIER, N. DIEUDONNÉ-GLAD (a cura
di), La ville et ses déchets dans le monde romain: rebuts
et recyclages (Poitiers, 2002), Montagnac 2003, pp. 271276.
FOY 2010a = D. FOY, Les Verres antiques d’Arles. La collection du Musée départemental Arles antique, Paris 2010.
FOY 2010b = D. FOY, L’implantation des ateliers de verriers
en Gaule: centres urbains, péri-urbains et ruraux, in P.
239
CHARDRON-PICAULT (a cura di), Aspects de l’artisanat en
milieu urbain: Gaule et Occident romain (Autun 2007),
Dijon 2010, pp. 345-361 (RAE, Suppl. 28).
FOY, NENNA 2001 = D. FOY, M.-D. NENNA, Tout feu tout sable.
Mille ans de verre antique dans le Midi de la France, Aixen-Provence 2001.
FREESTONE 2015 = I. C. FREESTONE, The Recycling and Reuse
of Roman Glass; Analytical Approaches in JGS, 57, 2015
pp. 29-40.
FREESTONE, STAPLETON, RIGBY 2003 = I.C. FREESTONE, C.P.
STAPLETON, V. RIGBY, The production of red glass and enamel in the Late Iron Age, Roman and Byzantine periods,
in C. ENTWISTLE (a cura di), Through a Glass Brightly.
Studies in Byzantine and Medieval Art and Archaeology
Presented to David Buckton, Oxford 2003, pp. 142-154.
GANDOLFI 1986 = D. GANDOLFI, La pietra ollare a Ventimiglia, in RStLig, LII, 1986, pp. 269-302.
GELICHI 2009 = S. GELICHI (a cura di), L’isola del Vescovo.
Gli scavi archeologici intorno alla Cattedrale di Comacchio, Firenze 2009.
GIALANELLA 1999 = C. GIALANELLA, Una fornace per il vetro
a Puteoli, in C. PICCIOLI, F. SOGLIANI (a cura di), Il vetro
in Italia meridionale e insulare. Atti del Primo Convegno
Multidisciplinare (Napoli, 1998), Napoli 1999, pp. 151160.
GIANFROTTA 2011 = P.A. GIANFROTTA, La topografia sulle bottiglie di Baia, in RdA, XXXV, 2011, pp. 13-39.
GIANNATTASIO 1996 = B.M. GIANNATTASIO, Nora: strutture
ed elementi di attività produttive, in M. KHANOUSSI, P.
RUGGERI, C. VISMARA (a cura di), L’Africa romana. Atti
dell’XI convegno di studio (Cartagine, 1994), Ozieri 1996,
pp. 1001-1006.
GIANNETTI, GLIOZZO, TURCHIANO 2015 = F. GIANNETTI, E.
GLIOZZO, M. TURCHIANO, I vetri tardoantichi e altomedievali di Herdonia. Produzioni, funzioni e mercati in P.
ARTHUR, M L. IMPERIALE (a cura di), Atti del VII Congresso Nazionale di Archeologia Medievale 2 (Lecce
2015), Firenze 2015m, pp. 293-298
GIANNICHEDDA, LERMA, MANNONI et alii 2000 = E. GIANNICHEDDA, S. LERMA, T. MANNONI, B. MESSIGA, M.P. RICCARDI, Archeologia del vetro medievale in Liguria, in
G.P. BROGIOLO (a cura di), Atti del II Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Brescia 2000), Firenze
2000, pp. 462-467.
GIULIANI, TURCHIANO 2003 = R. GIULIANI, M. TURCHIANO, I
vetri della Puglia centro settentrionale tra tardoantico e
altomedioevo, in C. PICCIOLI, F. SOGLIANI (a cura di), Il
vetro in Italia meridionale ed insulare. Atti del Secondo
Convegno Multidisciplinare (Napoli, 2001), Napoli 2003,
pp. 139-159.
GIUMLIA-MAIR 2008 = A. GIUMLIA-MAIR, Analisi dei resti di
produzione pirotecnologica, in G. CAVALIERI MANASSE (a
cura di), L’area del Capitolium di Verona. Ricerche storiche e archeologiche, Verona 2008, pp. 615-633.
HENDERSON 2013 = J. HENDERSON, Ancient Glass. An Interdisciplinary Exploration, New York 2013.
HODGES, LEPPARD, MITCHELL 2011 = R. HODGES, S. LEPPARD,
J. MITCHELL, San Vincenzo Maggiore and its Workshops,
London 2011.
INVERNIZZI, SAVOIA, FACCIOLI et alii 1996 = R. INVERNIZZI,
D. SAVOIA, F. FACCIOLI, E. NUZZO, P. FASSI, Un probabile
contesto altomedievale per la lavorazione del vetro a
240
LUCIA SAGUÌ, BARBARA LEPRI
Garlasco (Pavia), in Archeologia Uomo Territorio, 15,
1996, pp. 113-126.
KING, POTTER 2008 = A.C. KING, T. POTTER, Mazzano Romano (Viterbo). Mola di Monte Gelato, in Scavi delle
scuole straniere in Italia: 1975-2000, BA, 2008, 2, pp. 293298.
L’art byzantin 1992 = Byzance. L’art byzantin dans les collections publiques françaises, Paris 1992.
LECIEJEWICZ 2000 = L. LECIEJEWICZ (a cura di), Torcello.
Nuove ricerche archeologiche, in RdA, suppl. 23, Roma
2000.
LECIEJEWICZ, TABACZYŃSKA, TABACZYŃSKI 1977 = L. LECIEJEWICZ, E. TABACZYŃSKA, S. TABACZYŃSKI, Torcello. Scavi
1961-62, Roma 1977.
LEPRI c.s. = B. LEPRI, Medieval Settlement. Glass, in E. FENTRESS, C. GOODSON, M. MAIURO (a cura di), Excavations
at Villamagna 2006-2010, in c.s.
LEPRI, MAGYAR c.s. = B. LEPRI, Z. MAGYAR, The glass, in L.
LAVAN, M. MULRYAN, Public Space in Late Antique Ostia:
Excavations and Survey 2008-2012, in c.s.
LEPRI , SAGUÌ c.s. = B. LEPRI, L. SAGUÌ, Mapping the glass
production in Italy. Looking through the 1st millennium
AD”, in Annales du 20e Congres de l’Association Internationale pour l’Histoire du Verre (Fribourg, 2015) in c.s.
LOPREATO 1988 = P. LOPREATO, Lo scavo dell’episcopio di
Grado, in Aquileia e le Venezie nell’Alto Medioevo, Udine
1988, pp. 325-333 (Antichità Altoadriatiche, XXXII).
LUPIA 1998 = A. LUPIA, “L’impianto artigianale” e le tracce
di lavorazione del vetro, in A. LUPIA (a cura di), Testimonianze di epoca altomedievale a Benevento. Lo scavo
del Museo del Sannio, Napoli 1998, pp. 59-70.
MALAGUTI, RIAVEZ, ASOLATI et alii 2007 = C. MALAGUTI, P.
RIAVEZ, M. ASOLATI, M. BRESSAN, A. MARCANTE, S.
MASSA, Grado. Cultura materiale e rotte commerciali nell’Adriatico tra tardoantico e altomedioevo, in S. GELICHI,
C. NEGRELLI (a cura di), La circolazione delle ceramiche
nell’Adriatico tra tarda antichità e alto medioevo. III Incontro di Studio CER.AM.IS., Mantova 2007, pp. 65-90.
MALPEDE 1999 = V. MALPEDE, Un’officina vetraria di V sec.
d.C. a Pontecagnano (Salerno), in C. PICCIOLI, F. SOGLIANI
(a cura di), Il vetro in Italia meridionale e insulare. Atti
del Primo Convegno Multidisciplinare (Napoli 1998),
Napoli 1999, pp. 45-50.
MANNONI 1990 = T. MANNONI, Rifiuti delle arti del fuoco, in
L. SAGUI’, L. PAROLI (a cura di), Archeologia urbana a
Roma: il progetto della Crypta Balbi 5. L’esedra della
Crypta Balbi nel medioevo (XI-XV secolo), Firenze 1990,
pp. 603-604.
MAURINA, FIORETTI, ZANDONAI 2013 = B. MAURINA, A. FIORETTI, F. ZANDONAI, Analisi archeometriche sui reperti vitrei dal sito di Loppio – S.Andrea: primi risultati, in M.G.
DIANI, L. MANDRUZZATO (a cura di), Per un Corpus dei
bolli su vetro in Italia: Atti XIV Giornate Nazionali di Studio sul Vetro. (Trento, 2010) Cremona 2013, pp. 115-121.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2001 = R. MENEGHINI,
R. SANTANGELI VALENZANI, Le trasformazioni del tessuto
urbano tra V e IX secolo, in M.S. ARENA, P. DELOGU, L.
PAROLI et alii (a cura di), Roma dall’antichità al medioevo. Archeologia e Storia nel Museo Nazionale Romano
Crypta Balbi, Milano 2001, pp. 20-33.
MIRTI, DAVIT, GULMINI et alii 2001 = P. MIRTI, P. DAVIT, M.
GULMINI, L. SAGUI’, Glass fragments from the Crypta
Balbi in Rome: the composition of eighth-century fragments, in Archaeometry, 43, 4, 2001, pp. 491-502.
MUNRO 2010 = B. MUNRO, Recycling in late Roman villas in
southern Italy: Reappraising hearths and kilns in final occupation phases, in Mouseion. Journal of the Classical
Association of Canada, LIV, series III, 10, 2010, pp. 217242.
MUNRO 2012 = B. MUNRO, Recycling, demand for materials,
and landownership at villas in Italy and the western provinces in late antiquity, in JRA, 25, 1, 2012, pp. 351-370.
MUSELLA 2011 = V. MUSELLA, I vetri, in A. CAPODIFERRO, P.
QUARANTA (a cura di), Alle pendici dell’Aventino. Gli
scavi di via Marmorata 2, Milano 2011, pp. 175-186.
NARBONE 2002 = G. NARBONE, I vetri, in R.M. BONACASA
CARRA, R. PANVINI (a cura di), La Sicilia centro-meridionale tra il II ed il VI sec. d.C., Caltanissetta 2002, pp.
273-291.
NENNA 2008 = M.-D. NENNA, Nouveaux acquis sur la production et le commerce du verre antique entre Orient et
Occident, in ZSchwA, 65, 2008, pp. 61-66.
NENNA 2012 = M.-D. NENNA, Innovation et tradition dans la
production des verres de l’Égypte romaine, in P. BALLET
(a cura di), Grecs et Romains en Égypte. Territoires, espaces de la vie et de la mort, objets de prestige et du quotidien, Institut Français d’Archéologie Orientale 2012,
pp. 309-325 (Bibliothèque d’Étude, 157).
NOBILE DE AGOSTINI 2008 = I. NOBILE DE AGOSTINI, Un modesto laboratorio artigianale a Como tra tarda antichità
e alto medioevo, in ZSchwA, 65, 2008, pp. 145-149.
ORTALLI 2000 = J. ORTALLI, Cave Nord. Struttura ed evoluzione dell’impianto rustico, in J. ORTALLI, P. POLI, T.
TROCCHI (a cura di), Antiche genti della pianura. Tra
Reno e Lavino: ricerche archeologiche a Calderara di
Reno, Firenze 2000, pp. 32-38.
PASSERI 1739 = G. PASSERI, Lucernae fictiles Musei Passerii
I, Pisaurum 1739.
PECCI, SALVINI, CIRELLI et alii 2010 = A. PECCI, L. SALVINI,
E. CIRELLI, A. AUGENTI, Castor oil at Classe (RavennaItaly): residue analysis of some late Roman amphorae coming from the Port, in S. MENCHELLI, S. SANTORO, M.
PASQUINUCCI, G. GUIDUCCI (a cura di), LRCW3 Late
Roman Coarse Wares, Cooking Wares and Amphorae in
the Mediterranean. Archaeology and archaeometry. Comparison between western and eastern Mediterranean, Oxford 2010, pp. 617-622 (BAR Int. Ser. 2185, II).
POLI 2000 = P. POLI, Cave Nord. I materiali dall’edificio. Vetri,
in J. ORTALLI, P. POLI, T. TROCCHI (a cura di), Antiche genti
della pianura. Tra Reno e Lavino: ricerche archeologiche a Calderara di Reno, Firenze 2000, pp. 71-77.
RADIĆ ROSSI 2012 = I. RADIĆ ROSSI, Glass Odissey. Glass in
the ship’s equipment and cargo, Zadar 2012.
ROFFIA 1973 = E. ROFFIA, Le classi del materiale. Vetri, in
A. FROVA (a cura di), Scavi di Luni. Relazione preliminare delle campagne di scavo 1970-1971, Roma 1973,
coll. 462-482.
ROFFIA 2008 = E. ROFFIA, I vetri, in G. CAVALIERI MANASSE
(a cura di), L‘area del Capitolium di Verona. Ricerche storiche e archeologiche, Verona 2008, pp. 495-515.
ROTTLOFF 2000 = A. ROTTLOFF, Gläser und Reste von Glasverarbeitung aus Ostia, in RM, 107, 2000, pp. 365-373.
ROTTLOFF 2001 = A. ROTTLOFF, Spätantike Repräsentationskunst in Süddeutschland. Einige Überlegungen zu den
Glasschliffschalen von Augsburg, Obernburg und Pfaf-
LA PRODUZIONE DEL VETRO A ROMA: CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ FRA TARDOANTICO E ALTOMEDIOEVO
fenhofen, in L. BAKKER (a cura di), Augsburger Beiträge
zur Archäologie, Augsburg 2001, pp. 123-160.
SAGUÌ 1993 = L. SAGUÌ, Produzioni vetrarie a Roma tra
tardo-antico e alto medioevo, in L. PAROLI, P. DELOGU (a
cura di), La Storia economica di Roma nell’alto Medioevo alla luce dei recenti scavi archeologici, Firenze
1993, pp. 113-136.
SAGUÌ 1996 = L. SAGUÌ, Un piatto di vetro inciso da Roma:
contributo ad un inquadramento delle officine vetrarie tardoantiche, in M.G. PICOZZI, F. CARINCI (a cura di), Studi
in memoria di Lucia Guerrini, Roma 1996, pp. 337-358
(Studi Miscellanei, 30).
SAGUÌ 2000 = L. SAGUÌ, Produzioni vetrarie a Roma tra V e
VII secolo. Nuovi dati archeologici, in Annales du 14e
Congrès de l’Association Internationale pour l’Histoire
du Verre (Venezia-Milano, 1998), Lochem 2000, pp. 203207.
SAGUÌ 2002 = L. SAGUÌ, Roma, i centri privilegiati e la lunga
durata della tarda antichità. Dati archeologici dal deposito di VII secolo nell’esedra della Crypta Balbi, in AMediev, XXIX, 2002, pp. 7-42.
SAGUÌ 2007 = L. SAGUÌ, Glass in late antiquity: the continuity of technology and sources of supply, in L. LAVAN,
E. ZANINI, A. SARANTIS (a cura di), Technology in transition A.D. 300-650, Leiden 2007, pp. 211-231 (Late Antique Archaeology, 4).
SAGUÌ 2009 = L. SAGUÌ, Ateliers de verre gravé à Rome au
IVe siècle ap. J.-C.: nouvelles données sur le verre gravé
“à relief négatif”, in K. JANSSENS, P. DEGRYSE, P. COSYNS
et alii (a cura di), Annales du 17e Congrès de l’Association Internationale pour l’Histoire du Verre (Anvers,
2006), Antwerp 2009, pp. 206-216.
SAGUÌ, MIRTI 2003 = L. SAGUÌ, P. MIRTI, Produzioni di vetro
a Roma nell’alto medioevo: dati archeologici e archeometrici, in D. FOY, M.-D. NENNA (a cura di), Échanges et
commerce du verre dans le monde antique (Aix-en-Provence-Marseille, 2001), Montagnac 2003, pp. 87-92.
SALIOU 1996 = C. SALIOU, Le traité d’urbanisme de Julien
d’Ascalon. Droit et architecture en Palestine au VIe siècle, Paris 1996.
SANTA MARIA SCRINARI 1968-1969 = V. SANTA MARIA SCRINARI, Tombe a camera sotto via S. Stefano Rotondo presso
l’Ospedale di S. Giovanni in Laterano, in BCom, LXXXI,
1968-1969, pp. 17-24.
SANTA MARIA SCRINARI 1995 = V. SANTA MARIA SCRINARI, Il
Laterano imperiale II. Dagli “horti Domitiae” alla Cappella cristiana, Città del Vaticano 1995.
SERLORENZI 2009 = M. SERLORENZI, La percezione delle rovine del Foro Romano nell’Altomedioevo. Una lettura archeologica, in M. BARBANERA (a cura di), Relitti riletti.
Metamorfosi delle rovine e identità culturale, Torino 2009,
pp. 452-481.
SHORTLAND, SCHACHNER, FREESTONE et alii 2006 = A. SHORTLAND, L. SCHACHNER, I. FREESTONE, M. TITE, Natron as
241
a flux in the early vitreous materials industry: sources,
beginnings and reasons for decline, in JASc, 33, 1, 2006,
pp. 521-530.
SOGLIANI 2010 = F. SOGLIANI, I metalli: testimonianze dell’officina tardoantica e altomedievale, in Napoli la città
e il mare. Piazza Bovio: tra Romani e Bizantini, Milano
2010, pp. 87-89.
STERN 1999 = E.M. STERN, Roman Glassblowing in a Cultural Context, in AJA, 103, 1999, pp. 441-484.
STERN 2001 = E.M. STERN, Roman, Byzantine, and Early Medieval Glass 10 BCE-700 CE. Ernesto Wolf Collection,
Ostfildern-Ruit 2001.
STERN 2013 = E.M. STERN, Glass producers in late antique
and Byzantine Texts and papyri, in Ch. EntWISTLE, L.
JAMES (a cura di) New Light on Old Glass: Recent Research on Byzantine Mosaics and Glass, London 2013, pp.
82-88.
STERNINI 1989 = M. STERNINI, Una manifattura vetraria di
V secolo a Roma, Firenze 1989.
TERMINI STORTI 1994 = A.R. TERMINI STORTI, Una produzione
vetraria tardoantica a Sevegliano (Agro di Aquileia), in
AquilNost, LXV, 1994, coll. 209-224.
UBOLDI 1999 = M. UBOLDI, I vetri, in G.P. BROGIOLO (a cura
di), S.Giulia di Brescia: gli scavi dal 1980 al 1992. Reperti preromani, romani e alto medievali, Firenze 1999,
pp. 271-307.
UBOLDI 2003 = M. UBOLDI, Vetri di uso liturgico di età paleocristiana - alto medioevale, in C. PICCIOLI, F. SOGLIANI
(a cura di), Il vetro in Italia meridionale ed insulare. Atti
del Secondo Convegno Multidisciplinare (Napoli, 2001),
Napoli 2003, pp. 175-183.
VALENTI 2012 = M. VALENTI, Santa Cristina (BuonconventoSI): le campagne di scavo dal 2009 al 2012, in www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2012-266.pdf.
VALENTINI, ZUCCHETTI 1940 = R. VALENTINI, C. ZUCCHETTI
(a cura di), Codice topografico della città di Roma, I,
Roma 1940.
VERITÀ 1996 = M. VERITÀ, Appendice 1. Analisi delle Tessere di pasta vitrea, in V. TIBERIA, I mosaici del XII secolo e di Pietro Cavallini in Santa Maria di Trastevere.
Restauri e nuove ipotesi, Todi 1996, pp. 209-212.
VERITÀ, TONINATO 1991 = M. VERITÀ, T. TONINATO, Riscontri analitici sulle origini della vetreria veneziana, in M.
MENDERA (a cura di), Archeologia e storia della produzione del vetro preindustriale, Firenze 1991, pp. 481-492.
VERITÀ, ZECCHIN 2005 = M. VERITÀ, S. ZECCHIN, Le origini
della vetraria veneziana attraverso l’analisi di reperti archeologici di Torcello, in D. FERRARI (a cura di), Il vetro
nell’alto medioevo. Atti delle VIII Giornate Nazionali di Studio (Spoleto, 20-21 aprile 2002), Imola 2005, pp. 37-43.
WHITEHOUSE 2002 = D. WHITEHOUSE, The Transition from
Natron to Plant Ash in the Levant, in JGS, 44, 2002, pp.
193-196.
LA PRODUZIONE LANIERA A ROMA TRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO:
UN CASO DI INDUSTRIA DISATTESA?
Helga Di Giuseppe
Roma viene definita da Varrone città nata dai pastori 1,
si colloca al centro di importanti rotte di transumanza,
convive in ogni periodo storico con greggi di pecore
che popolano la campagna romana e il suo suburbio ed
è quindi in grado di approvvigionarsi facilmente della
fibra animale più diffusa nel tessile; inoltre, è ricca
d’acqua, elemento fondamentale in alcune fasi della filiera produttiva; il sale, l’allume e lo zolfo, sostanze indispensabili all’allevamento ovino e alla lavorazione
delle lane, sono facilmente reperibili nei dintorni 2.
Anche solo scorrendo le testimonianze epigrafiche e archeologiche risulta evidente che la lavorazione delle
fibre animali e vegetali era un’attività centrale a Roma,
come lo era in qualunque altro insediamento dell’antichità 3. Del resto non poteva essere altrimenti, trattandosi di un’industria legata a un’esigenza primaria
dell’uomo, quale quella di coprirsi, ripararsi dal freddo
e dal caldo, arredare gli spazi pubblici e privati, fornire
contenitori da trasporto e suppellettile d’uso quotidiano
di vario genere, esprimere il proprio ruolo sociale, politico, religioso ed economico nella società attraverso
ciò che si indossava 4.
Tuttavia, se non possiamo negare che Roma abbia
sviluppato una sua produzione tessile interna, è un fatto
incontrovertibile, che non viene mai citata nelle fonti
letterarie tra le città specializzate nella produzione tessile e non sviluppò mai nel corso della sua storia un’industria che la rendesse famosa e competitiva rispetto ai
mercati esterni, al contrario di molti altri centri che, invece, fecero di questo settore un importante motore
della loro economia. Basti pensare a Taranto, Canosa,
Var. II, 2.
2
SANTILLO FRIZELL 2010, pp. 51-63.
3
Per le attestazioni epigrafiche vd. VICARI 2001, pp. 19-23.
1
Modena, Parma che nell’antichità erano rinomate per
la qualità delle loro lane, per le tintorie e per la produzione di particolari capi vestiari, oppure Firenze, Milano, i centri fiamminghi e inglesi che in epoca
medievale divennero poli d’eccellenza 5. Come vedremo
nel dettaglio, Roma non entrò mai nelle cronache del
tempo per questa attività, e non riuscì ad industrializzarsi nemmeno sotto i papi Pio V e Sisto V, quando furono effettuati notevoli investimenti proprio in questo
settore.
Affrontare il tema della produzione tessile in Italia
è impresa notoriamente ardua per via della difficoltà di
rinvenire reperti archeologici tessili che necessitano di
precise condizioni ambientali e di ritrovamento per conservarsi. Tuttavia, alcuni periodi storici hanno prodotto
una tale quantità di indicatori indiretti (fig. 1 e tav. 00)
da consentire di ricostruire l’intera filiera del ciclo produttivo, le architetture deputate, le forze sociali in gioco
e persino l’entità della produzione. L’impresa, però, si
fa ancora più ardua se parliamo del periodo tardoantico, quando il passaggio dal telaio verticale a pesi a
quello verticale a barra e orizzontale a pedali, tra il II
e il III secolo d.C., determinarono la scomparsa di molti
indicatori, come ad esempio i pesi da telaio, riducendo
notevolmente il nostro raggio d’azione.
Il Prima
Il censimento epigrafico a Roma permette di rilevare
che l’attività tessile era piuttosto fiorente in epoca im-
4
Sulla centralità della produzione tessile nell’economia antica
vd. DI GIUSEPPE 2000; DI GIUSEPPE 2002; GLEBA 2008; DI GIUSEPPE
2012; GLEBA, PÁSZTÓKAI-SZEÖKE 2013.
5
VICARI 2001, p. 19.
Fig. 1. - Indicatori indiretti della lavorazione laniera. 1) Cesoie per la tosatura. 2) Pettine per la cardatura. 3a-d) Conocchie. 4a-b)
Coprifuso, fuso e fuseruole. 5a-b) Tessere per la tessitura a mano di piccoli manufatti (bordi, fascette, cinture, fasce). 6a-b) Pesi e
rocchetti per grandi e piccoli telai verticali. 7a-c) Aghi di metallo e osso di diverse dimensioni per cuciture di tessuti di diverso
spessore e grandezza.
LA PRODUZIONE LANIERA A ROMA TRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO: UN CASO DI INDUSTRIA DISATTESA?
periale, vantando il coinvolgimento di illustri famiglie,
come gli Statilii, i Caecilii, i Cornelii, i Salluvii, i Veturii, i Vettii e non ultima in ordine di importanza Livia stessa, moglie di Augusto, che aveva al suo seguito un notevole numero di servi e liberti coinvolti nella
redditizia industria laniera 6. La geografia delle attività tessili sia produttive sia mercantili coinvolge un po’
tutta Roma dalle aree lungo il Tevere, occupate dagli
Horrea Galbana, dove albergavano fulloniche e attività dei sagarii, ovvero produttori e venditori di mantelli di lana, a quelle che gravitavano intorno al foro Boario, dove si trovavano le botteghe dei sagarii (nei pressi
del teatro di Marcello), alle aree intorno al Foro romano destinate ai produttori e venditori di porpora, di vestiti e di tessuti di seta (nei pressi del vicus Iugarius, Monumenta Mariana, Horrea Agrippina e vicus Tuscus),
fino alle aree più periferiche, dove abbiamo attestazioni di lanarii (in particolare nel vicus Fortunae, vicus Caesaris e Suburra), ovvero addetti alle prime fasi della lavorazione laniera, dai lavaggi, alle pettinature e
feltrature. Attestata è pure l’attività di sarti, sarte e ricamatori in località di Roma non ancora individuate (una
di queste è ab sexaris) 7.
A giudicare dalle competenze che emergono dai dati
epigrafici raccolti da F. Vicari per l’epoca imperiale, si
ha l’impressione che in città prevalessero le attività di
filatura e di sartoria, piuttosto che le fasi preliminari del
lavaggio – e questo non stupisce dal momento che tradizionalmente nell’antichità tali fasi si concentravano
in campagna – e quelle successive della tessitura – e questo invece stupisce in quanto si tratta di un’attività tipicamente urbana. Infatti, pochissime sono le testimonianze dei lanarii e dei tessitori e molte di più quelle
delle filatrici e lanipendi/ae, addetti alla pesatura e alla
distribuzione della lana e dei sarcinatores, sarti addetti
alla confezione degli abiti. Sembrerebbe cioè che
Roma accogliesse lana da filare, ma che i tessuti venissero fatti altrove per poi tornare in città nella fase
della confezione. Ovviamente si tratta solo di un’impressione basata sul dato epigrafico che purtroppo non
può essere completato con il dato archeologico. Infatti al fine di individuare la presenza di textrina avremmo bisogno di documentare grandi quantità di pesi da
telaio concentrati in un unico luogo, informazioni che
purtroppo non possediamo per l’epoca imperiale. Ma
VICARI 2001, pp. 20, 94-99.
VICARI 2001, p. 21.
8
PIRANOMONTE, RICCI 2009.
le abbiamo per l’epoca repubblicana, quando sappiamo che Roma e il suo suburbio ospitavano textrina,
come quelle ipotizzate nell’edificio di viale Tiziano lungo la Flaminia 8 o lungo la Prenestina, in via dei Gordiani 9, dove le quantità di pesi da telaio rinvenuti sono
tali da far pensare a un’attività che superava l’ambito
domestico. E per quale motivo tale attività sarebbe
scomparsa nelle epoche successive? Va detto anche che
la difficoltà di individuare laboratori dedicati unicamente
all’arte dell’intreccio risiede nel fatto che la tessitura
in ogni periodo storico può avere anche un carattere diffuso presso i privati. Ovvero, la materia prima poteva
essere detenuta da grandi proprietari che l’assegnavano a privati in grado di svolgere il lavoro a casa propria, lavoro difficilmente distinguibile sul piano archeologico da una qualunque attività domestica, in
assenza del dato epigrafico. E va anche sottolineato che
a partire dal II secolo d.C., con l’affermazione del telaio verticale a barra e la conseguente scomparsa dei
pesi da telaio, non abbiamo più nessuna speranza di individuare laboratori tessili. Per tutto quanto detto, quindi, il dato epigrafico è fondamentale, ma la sua assenza non vuol necessariamente dire assenza di attività
tessili.
Anche se Roma non eccelse mai nella produzione
tessile, non abbiamo dubbi sul fatto che fu estremamente interessata a quella grande risorsa che era la lana
che poteva facilmente essere reperita nei dintorni o
nelle regioni più lontane, dove famiglie aristocratiche
e imperatori avevano possedimenti che costituivano il
polmone economico delle loro casse. Alle famiglie di
Roma già citate per il coinvolgimento nella produzione laniera dobbiamo aggiungere quella dei Bruttii
Praesentes, potente dinastia dell’Italia antica, i cui
esponenti rimasero sulla scena per più di quattro secoli,
rivestendo in Italia e in provincia tra i più importanti
uffici politici, militari e religiosi. Avevano ville in Sabina, nel Lazio e in Lucania e certamente una domus,
citata dai Cataloghi Regionari, anche a Roma (Reg. III:
tra il Ludus Magnus/Matutinus et Dacicus e il Summum Choragium) 10, dove svolgevano un’intensa vita
politica, soprattutto al fianco di Domiziano, Adriano,
Marco Aurelio e Commodo. Diedero Bruttia Crispina
in moglie all’imperatore Commodo e questo dovette
giustificare la presenza diffusa degli Aurelii in val
6
7
245
9
BUCCELLATO 2005.
GUIDOBALDI 1995.
10
246
HELGA DI GIUSEPPE
Il mentre
E veniamo ora all’epoca
tardo antica, quando gli indicatori della produzione laniera si basano su poche notizie delle fonti letterarie e su
una documentazione archeologica concentrata soprattutto su un aspetto del ciclo
produttivo, quello della follatura. Le fulloniche, come è
a tutti noto, sono lavanderie
facilmente riconoscibili sul
piano archeologico perché
dotate di spazi ristretti per il
lavaggio, caratterizzati da piccoli muretti laterali che contenevano bacini ovoidali peFig. 2. - La fullonica di Casalbertone lungo la Collatina (rielaborazione da MUSCO, CATALANO, CASPIO
et alii 2008, fig. 1).
statoi denominati lacunae
fullonicae (diametro cm 56d’Agri in Lucania, regione che ospitava innumerevoli
80; profondità cm 40). In tali contenitori tessuti nuovi o
proprietà dei Bruttii Praesentes gestite da loro servi,
usati venivano pestati da vere e proprie lavatrici umane
actores e liberti, la maggior parte dei quali coinvolti
che, appoggiandosi ai muretti laterali e attraverso un’openell’allevamento ovino e nella produzione laniera. Ne
razione definita saltus fullonicus, ripulivano i panni con
è un’emblematica testimonianza la villa di Barricelle
l’ausilio di soda o urina dalle note proprietà sbiancanti.
in corso di scavo nell’alta Val d’Agri in cui notevoli
Vasche più ampie poste a diverse altezze servivano per
sono le attestazioni di produzione laniera 11. Prima ani risciacqui da effettuarsi con la terra del fullone, che, al
cora degli Aurelii, fu attirata in questa regione la facontrario, conferiva morbidezza ai tessuti induriti dalle
miglia giulio-claudia in particolare, gli imperatori
sostanze alcaline 13. Completavano le fulloniche ampi spaClaudio e Nerone che molto dovettero basare le loro
zi pavimentati con materiale idraulico in cui i tessuti vefortune sull’attività laniera sviluppata in Italia merinivano sospesi sulla viminea cavea per essere sbiancati
dionale, centrale e nei dintorni di Roma stessa 12. È evidai fumi dello zolfo, appesi per essere asciugati e pettidente dalla geografia e prosopografia di queste ville
nati e sottoposti al pressoio fullonico (prelum) per la stiche, se la base economica si trovava fuori Roma, era
ratura.
Roma stessa a fruire della ricaduta della ricchezza che
Tra i molti esempi di fulloniche che si possono citane derivava, accogliendo materie prime e manufatti fire val la pena ricordare quella di epoca medio-imperianiti da immettere sul mercato. Interessa qui sottolile scavata in estensione a Casalbertone, lungo la Collaneare che è proprio nella prima e media età imperiale
tina, nel suburbio orientale di Roma, che ci fornisce un
che nascono le premesse del coinvolgimento della res
utile termine di paragone architettonico sulla tipologia di
privata dell’imperatore nell’attività laniera, coinvoluna fullonica con possibili funzioni pubbliche o comunque
gimento che porterà come estrema conseguenza alla
gestita da un importante proprietario, la cui attività era
nascita in epoca tardo antica dei gynaecei su cui torcondotta su vasta scala (fig. 2) 14. Qui sono state docuneremo.
mentate almeno 90 postazioni lavorative occupate da in11
DI GIUSEPPE 2007a; DI GIUSEPPE 2010a; RUSSO, DI GIUSEPPE
2012; DI GIUSEPPE 2014, pp. 216-225.
12
DI GIUSEPPE 1996; DI GIUSEPPE 2007b, pp. 163-164; DI GIUSEPPE 2008; DI GIUSEPPE 2010b; DI GIUSEPPE 2012, pp. 486-489;
DI GIUSEPPE 2014, pp. 214-215.
13
FLOHR 2003; FLOHR 2001a; BRADLEY 2002; FLOHR 2011b.
14
MUSCO, CATALANO, CASPIO et alii 2008. Si esclude che si tratti
di una conceria, in quanto non sono stati rinvenuti gli accumuli di
resti osteologici che normalmente accompagnano questo genere di
struttura, né si hanno altri dati, come la presenza dell’allume che
potrebbe orientare diversamente l’interpretazione (informazione di
Paola Catalano che ringrazio).
LA PRODUZIONE LANIERA A ROMA TRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO: UN CASO DI INDUSTRIA DISATTESA?
247
dividui di rango sociale certamente basso che, contemporaneamente, saltavano tutto il giorno in spazi ristrettissimi tra miasmi mefitici. Anche se l’associazione tra
la vicina necropoli e la fullonica non è certa, è significativo
sul piano sociale che le tombe siano tutte alla cappuccina, praticamente prive di corredo e che il campione di 166
scheletri analizzati, di cui il 67% è maschile, mostri alterazioni e lesioni alla colonna vertebrale, agli avambracci,
alle clavicole, alle rotule e ai calcagni, le parti maggiormente stressate in un’attività del genere. Stesse alterazioni
presentano gli scheletri femminili e quelli degli individui più giovani, il che vuol dire che qui trovavano occupazione anche donne e fanciulli 15. La fullonica di Casal Bertone sembra essere una felice eccezione, più grande
anche delle maggiori fulloniche rinvenute a Ostia e a Pompei, anche se è assai probabile che ne esistessero altre così
grandi, strategicamente situate lungo le vie di ingresso
a Roma.
Al contrario, le fulloniche impiantate in città hanno
dimensioni di gran lunga inferiori, contando su un numero di 3-5 conche al massimo. A Roma si rintracciano
19 attestazioni epigrafiche di fulloni divise in 13 località 16, e circa 12 casi archeologici che, nati in epoca
primo e medio-imperiale, restano in funzione fino al VVI secolo d.C., ma si tratta ovviamente solo di un campione limitato dai ritrovamenti archeologici e dalle
notizie pubblicate.
Innanzitutto, dobbiamo sgomberare il campo dal
luogo comune che trattandosi di un’attività fetida venisse tenuta ai margini della città. Doveva essere
un’attività così redditizia e necessaria da far sopportare gli svantaggi mefitici che comportava e di fatto
le ritroviamo un po’ ovunque a Roma, anche in centro (fig. 3). Quasi tutte vengono installate in ricche
domus, come quella di Gaudentius (fig. 3, 1) sul
Celio 17 o quella sotto l’ospedale di S. Giovanni in via
Amba Aradam 18 (fig. 3, 2) collegata agli horti di Domitia Lucilla, o, sorprendentemente, nei pressi di luoghi sacri, come quella della Basilica Hilariana sul
Celio (fig. 3, 3) 19, quella installata nella platea antistante il complesso sacro della Magna Mater, del santuario di Victoria e dall’Auguratorium (fig. 3, 4) 20 o
quella sull’Oppio (fig. 3, 5) nei pressi di un edificio
circolare, anch’esso a carattere sacro 21.
L’associazione ricorrente tra fulloniche, latrine e
santuari ha probabilmente giustificazioni di carattere
pratico che risalgono al periodo imperiale. Infatti,
l’attività del follatore aveva necessariamente bisogno
di abbondante acqua, per cui di solito gli impianti venivano installati vicino a fontane pubbliche e ad acquedotti, come quella che si trovava de titulo
Fullonices nei pressi della chiesa dei SS. Marcellino
e Pietro sulla via Merulana 22. Per l’utilizzo dell’acqua di almeno due fontane pubbliche era necessario
pagare una tassa (pensio) 23 e sappiamo dalla lex collegi 24 che nel III secolo d.C. i fulloni protestarono
per circa 20 anni (dal 226 al 244 d.C.) per tornare a
fruire di un vecchio diritto in auge fin da epoca augustea, ovvero quello di non pagare le tasse per l’utilizzo dell’acqua sacra nell’attività di follatura 25. Alla
fine la controversia fu vinta dai fulloni che tornarono
a beneficiare di quell’antico privilegio e questo forse
è il motivo che giustifica la concentrazione ancora in
epoca tardo antica di alcune fulloniche nei pressi dei
luoghi sacri.
Altro aspetto estremamente interessante di questo
periodo è quello che riguarda i gynaecea, laboratori
tessili deputati alla confezione di vestiti e mantelli di
lana e di lana e seta insieme per la corte e l’esercito;
essendo la loro gestione affidata a procuratori dobbiamo pensare che si trattasse di laboratori imperiali.
Il loro sviluppo fu probabilmente incentivato sotto
Diocleziano ma vengono citati già al tempo di Galerio e molto probabilmente nascono come textrina della
res privata degli imperatori. Non è perfettamente
chiaro quali operazioni vi si svolgessero se tutte – dalla
filatura, alla confezione dei mantelli, alla follatura –
o solo quelle finali e non è nemmeno chiaro di che
15
MUSCO CATALANO, CASPIO et alii 2008, pp. 37-39; KILLGROVE,
TYKOT 2012.
16
AE 1958, 273 (catacomba di S. Ippolito); AE 1985, 173 (sconosciuta); CIL VI, 266-268 (Esquilino); 3970 (Monumentum Liviae);
31893 (1) = 41329 (2) (Roma, via della Polveriera 50, S. Pietro in
Vincoli, nei pressi); 4336 (Monumentum Drusorum); 4445 (Monumentum Marcellae); 6287, 6288, 6289 e 6290 (Monumentum Statiliorum); 6994 (incerta); 7281a (Monumentum Vousiorum), 9428,
9429 e 9430 (incerta); ICUR VI, 16588 (catacomba di Marcellino
e Pietro).
17
SPINOLA 1992, pp. 964-965.
SCRINARI 1995, p. 116; MARTORELLI 1999, pp. 589-590.
VITTI 1993; PAVOLINI 2001, p. 616; PAVOLINI 2004, pp. 424426; PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 67, 73, 76.
20
COLETTI 2004, p. 423; COLETTI, MARGHERITELLI 2006, p. 466.
21
ASTOLFI, CORDISCHI, ATTILIA 1989-1990, pp. 61-66.
22
MARTORELLI 1999, p. 589.
23
CIL VI, 10298.
24
CIL VI, 266.
25
MUSCA 1970, p. 310; DE ROBERTIS 1977; DE ROBERTIS 1982;
SABLAYROLLES 1996, pp. 113-120; VICARI 2001, p. 23.
18
19
Fig. 3. - Carta delle distribuzioni delle fulloniche di epoca imperiale e tardo antica note a Roma. 1) Domus di Gaudentius (SPINOLA 1992,
pp. 964-965); 2) Ospedale di S. Giovanni in via Amba Aradam (MARTORELLI 1999, pp. 589-590); 3) Basilica Hilariana (PAVOLINI 2004, pp.
424-426; PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 67, 73, 76); 4) Magna Mater (COLETTI, MARGHERITELLI 2006, p. 466); 5) Oppio (ASTOLFI, CORDISCHI,
ATTILIA 1989-1990, pp. 61-66); 6) Via Merulana, chiesa dei SS. Marcellino e Pietro (MARTORELLI 1999, p. 589); 7) Celio, Ospedale militare
(PAVOLINI 2001, pp. 616-618), 8) Crypta Balbi (M. Ricci, in questo volume); 9) S. Paolo alla Regola (http://www.ilpatrimonioartistico.it/lachiesa-e-linsula-di-san-paolo-alla-regola/); 10) S. Crisogono (riutilizzata come foonte battesimale; PICCOLINI 1953); 11) Via di San Basilio.
12-13) Via Appia, bivio del Quo vadis (SPERA 1999, pp. 72-75).
tipo di strutture si trattasse, non essendone mai stata
individuata una 26. Con Wild, possiamo immaginare
grandi spazi all’interno di abitazioni domestiche re-
26
WILD 1976.
quisite dallo stato o meglio all’interno dei palazzi imperiali, in grado di ospitare lo stoccaggio delle materie prime e soprattutto le macchine della tessitura che
in questo periodo potevano essere sia orizzontali a pedali sia verticali a barra, come mostrano una lastra funeraria di marmo rinvenuta nello scavo della basilica
LA PRODUZIONE LANIERA A ROMA TRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO: UN CASO DI INDUSTRIA DISATTESA?
249
Il dopo
circiforme sull’Ardeatina 27 e graffiti su epigrafi di catacombe 28.
La Notizia Dignitatum Occidentis (XI, 60) datata
alla terza decade del V secolo d.C. cita 14 procuratori addetti ai gynaecea sparsi tra le province orientali e soprattutto occidentali nei pressi di centri
amministrativi non lontani dai limes delle province
dove si concentravano le truppe e dove agevole doveva essere l’approvvigionamento della materia prima
e la fornitura ai soldati. Anche per Roma si ricorda
un Procurator gynaeceii urbis Romae 29, ma non abbiamo idea di dove si trovasse; per Tyro e Spalato, è
stato possibile ipotizzare che i gynaecea fossero ospitati nei palazzi imperiali dove era possibile controllarli 30. Infatti, erano specie di ergastula in cui
lavoravano forzatamente i gynaecearii, uomini liberi
(mancipia) di rango sociale molto basso, costretti a
fornire ore di lavoro in questi laboratori, come riportato da Codex Theodosianus 31. Alcuni di loro fuggivano e cercavano rifugio presso laboratori privati,
dove evidentemente trovavano condizioni di lavoro
migliori, ma chi li ospitava o li nascondeva era costretto a pagare una multa di 5 solidi. Inoltre, se una
donna libera sposava un gynaecearius cadeva nella sua
stessa bassa condizione sociale. Finire a lavorare in
un gineceo statale poteva essere una punizione, come
accadde ad alcune cristiane ricordate per essere state
mandate a lavorare nei gynaecea durante la persecuzione di Galerio (305-311 d.C.) 32.
Dalla discussione delle fonti letterarie emerge spesso
il rapporto competitivo tra manifatture statali e private.
Possiamo citare a tal proposito un altro passo del codice Teodosiano del 369 d.C. 33 in cui si proibisce l’uso
privato di abiti di seta e dorati sia agli uomini che alle
donne e in particolare si ordina che tali abiti siano confezionati solo in gynacaeis nostris, ovvero nei ginecei
imperiali, quasi si trattasse di una norma volta a tutelare la produzione imperiale in competizione con quella
privata 34.
Sulla produzione tessile a Roma in epoca altomedievale non sappiamo molto, ma abbondanti flussi di
tessuti di seta e di lino usati per gli addobbi interni furono donati alla chiesa di Roma sotto i papi Adriano I
(772-795) e Leone IV (847-855), come si evince dalle
indagini statistiche effettuate da Paolo Delogu e i suoi
collaboratori a partire dalle liste del Liber Pontificalis 35.
Più di duemila pezze di tessuti serici e broccati furono
importati a Roma e queste avevano lo stesso valore dei
metalli preziosi, notizia che ci dice che Roma aveva bisogno delle manifatture straniere, probabilmente quelle
orientali, per approvvigionarsi di tessuti pregiati. Tuttavia, un’industria tessile, domestica e manifatturiera,
seppur di piccola scala, dovette albergare a Roma senza
soluzione di continuità. Ne sono indicatori indiretti fuseruole, forbici, ditali, aghi da cucito rinvenuti sovente
negli scavi di epoca alto-medievale e medievale 36 che
rimandano alla filatura e quindi alla fase successiva
della tessitura e ai lavori di assemblaggio e cucitura delle
pezze finite.
Non sarà, infatti, un caso che le corporazioni inerenti l’industria tessile sono tra le più antiche documentate a Roma e tra quelle che sono durate più a
lungo. I primi statuti risalgono agli inizi del XIV secolo, in particolare gli Statuta et ordinamenta artis pannorum lanae del 1321 costituiscono una fonte preziosa
per la ricostruzione dell’organizzazione di questa attività 37. Lanaioli erano aggregati alla Mercatantia insieme
ai bambaciai, ai merciai, ai cimatori e ai canevacciari e
dovevano pagare all’Arte maggiore dodici denari per
qualsiasi quantità di lana entrasse in città. I lanaioli abitavano e operavano per lo più tra rione Pigna e S. Eustachio e gravitavano sulla chiesa di S. Maria sopra
Minerva, dove si svolgevano anche le riunioni degli aderenti all’Arte 38. Nel XVI secolo invece le delibere verranno prese a S. Lucia de apothecis oscuri oppure presso
la chiesa di S. Caterina de Rosa. E qui sappiamo che
fin dal XIII secolo operavano i mercatores pannorum
e probabilmente altre attività connesse alla produzione,
27
FIOCCHI NICOLAI, DEL MORO, NUZZO et alii 1995-96[1999], p.
120, fig. 36.
28
BISCONTI 2000.
29
NOT. dign. occ. XI, 45; XII, 26-27: comes sacrarum
largitionum e comes rei privatae.
30
WILD 1976, p. 53
31
COD. Theod. X, 20, 3; X, 20, 6; X, 20, 8; X, 20, 9.
32
LACT., mort. pers. XXI, 4. VICARI 2001, p. 19.
33
COD. Theod. X, 21, 1.
MARTORELLI 1999, p. 589.
DELOGU 2001, pp. 34-35.
36
Varie ne sono state trovate negli scavi sotto Palazzo Valentini
(BALDASSARRI et alii 2008, p. 151), nelle cantine a Piazza Navona,
62 (database Produzione a Roma), dal pozzo 6051 nell’hortus della
diaconia dei SS. Sergio e Bacco (FOLLIS 1988), negli scarichi dell’esedra della Crypta Balbi (SFLIGIOTTI 1993, pp. 531-532).
37
LORI SANFILIPPO 2001.
38
LORI SANFILIPPO 2001, p. 149.
34
35
250
HELGA DI GIUSEPPE
tintura, lavaggi e stirature delle lane, per cui erano necessari spazi aperti e porticati, come quelli utili per i tiratoria pannorum 39. Nell’agro romano si produceva la
lana di pecore di razza garfagnina, che produceva una
fibra di qualità mediocre, scura e poco morbida. Interessante notare che l’economia laniera del Lazio nel medioevo sembra essere piuttosto autosufficiente e chiusa
rispetto ad altre realtà. Infatti, come nota I. Lori Sanfilippo, nei contratti d’acquisto non compare mai la lana
d’oltralpe e nemmeno quella della vicina regione
Abruzzo, per fare un esempio, anche se sono noti lanaioli provenienti dall’Aquila che si trasferirono a rione
Pigna, come «Nanni di Saba detto Ranocchio» 40. I lanaioli ricevevano direttamente a casa dalla fonte di approvvigionamento la lana ben pulita e purgata e poi la
facevano lavorare; alcuni di loro commerciavano anche
in piante usate per la tintura delle lane come la robbia
da cui si ricavava il colore rosso o il guado da cui si
estraeva l’azzurro e in cenere usata come fissante. Il lanaiolo poteva essere produttore di panni e anche mercante degli stessi. Tra i tessuti messi in commercio a
Roma vengono citati panni di scarsa qualità, come gli
stametti, i miscolati, gli alaczi, i carfangini, gli albi e i
lazzi tra i più scadenti.
Da tutte queste informazioni ricaviamo che la produzione romana non è mai molto raffinata; anche nel
medioevo, come nelle epoche precedenti, i tessuti di
lusso dovevano essere importati. Da una lettera del
1297 ai priori di Firenze si apprende che un cittadino
romano aveva acquistato dalla Francia una grossa partita di panni con l’idea di farla tingere a Firenze e venderla a Roma, ma ne era stato impedito dai divieti
fiorentini 41.
Le rubriche del 1321 rivelano che i panni a Roma
potevano essere importati per essere tinti e rifiniti e che
per questo andava pagata una tassa al tesoriere dell’Arte
e chiesto il permesso ai consoli della corporazione.
Quindi Roma ancora una volta si conferma essere città
che aveva un’industria laniera interna, capace di trattare anche manufatti altrui, ma a un livello di produzione molto diverso da quello noto per Milano, Firenze
o i centri francesi fiamminghi e inglesi.
Difficile individuare gli indicatori archeologici di tale
attività per il periodo medievale. Particolarmente interessante tuttavia sottolineare che negli strati di riempimento dei bagni della Crypta Balbi risalenti al XIII
secolo sono state rinvenute 19 fuseruole, forbici e ditali che lasciano presumere, per quanto il materiale sia
decontestualizzato, che nei dintorni doveva svolgersi
un’attività di filatura e verosimilmente tessitura e cucitura di ambito non propriamente domestico.
È assai probabile che la caratteristica di Roma di approvvigionarsi prevalentemente dall’Agro romano fosse
tale pure nei periodi precedenti, anche a giudicare dal
numero di Gualchiere, deputate ai lavaggi delle lane rintracciabili dalle fonti documentarie e dalla toponomastica nei dintorni di Roma, come il parco della
Caffarella 42, Casale della Valchetta 43, Casale di Salone 44, Casale di Buonricovero 45, Casale Mola Pisciamosto 46, Castrum de Tartaris 47.
Nel XVI secolo l’Arte della lana romana risultava
completamente in declino, surclassata dai laboratori toscani e lombardi che seppero investire in questo campo,
ammodernandosi e introducendo migliorie tali da sbaragliare la concorrenza romana. Notevoli tentativi per
industrializzare la città e dare lavoro alla povera gente,
furono fatti dai papi Pio V e Sisto V, introducendo a
Roma l’arte della lana e della seta. Approfittando del
restauro degli acquedotti dell’Aqua Virgo, un laboratorio per il lavaggio delle lane e la confezione di stoffe
fu impiantato sulla sinistra della fontana di Trevi (Palazzo Poli). Furono effettuati investimenti, messi a disposizione prestiti senza interessi a lunga scadenza, o
soldi forniti del tutto gratuitamente, furono acquistati
materiali e navi per la commercializzazione; aperti laboratori, fatti venire a Roma tessitori stranieri specializzati che insegnassero l’arte ai romani, fu stimolata
l’operatività femminile nei conventi con la convinzione
che i tessuti serici prodotti dalle religiose sarebbero
stati a buon mercato e avrebbero permesso ottimi guadagni alle casse dello Stato pontificio; furono fatti venire imprenditori da Bergamo, Firenze, Lucca, Genova
e Venezia, richiamati operai stranieri con la promessa
di ottenere l’impunità per i reati civili commessi nel loro
MANACORDA 2003, p. 82.
LORI SANFILIPPO 2001, p. 149.
41
LORI SANFILIPPO 2001, p. 162.
42
Not. Evang. Bistusci, Archivio Capitolino 67, V, ff 34 e 35;
FILIPPI 2001: Schede AP-GIOVANNETTI-03 e 07.
43
Regesto del Monastero (doc. 165 del 6 dicembre 1279): Scheda
AP-GIOVANNETTI-01.
Scheda AP-GIOVANNETTI-02.
Not. Giorgio Albini, Archivio Capitolino Orig. 57, f 63: Scheda
AP-GIOVANNETTI-04.
46
Not. Evang. Bistusci, Archivio Capitolino, Arch. Urb., sez. I,
t 66, f 471: Scheda AP-GIOVANNETTI-05.
47
Archivio Capitolare di San Pietro in Vaticano, capsa 42, fasc
166, 23 ottobre 1294: Scheda AP-GIOVANNETTI-06.
39
40
44
45
LA PRODUZIONE LANIERA A ROMA TRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO: UN CASO DI INDUSTRIA DISATTESA?
paese; fu imposta in tutto lo Stato della Chiesa la piantagione dei gelsi che fornivano l’alimento principale ai
bachi da seta; fu introdotta persino l’arte di filare, battere, separare e affinare l’oro e l’argento per la confezione di tessuti fatti di tali fibre metalliche. Un progetto
ambizioso di Sisto V, mai realizzato, fu quello di trasformare il Colosseo in un grande opificio laniero 48. Purtroppo fu tutto inutile, le imprese morivano nel giro di
un anno e non è chiaro se perché gli investimenti promessi furono spesso disattesi, se erano comunque troppo
esigui per l’entità delle imprese o per via della pigrizia
di chi operava in questo settore. Sta di fatto che mentre altre città come Firenze, Lucca, Bologna, Milano,
Venezia e Napoli svilupparono una consistente industria
laniera e serica, Roma perse ancora una volta la sua
grande occasione.
Bibliografia
ASTOLFI, CORDISCHI, ATTILIA 1989-1990 = F. ASTOLFI, L.
CORDISCHI, L. ATTILIA, Regione III, Viale del Monte Oppio
- via delle Terme di Traiano. Comunicazioni preliminari,
in BCom, XCIII, 1989-1990, pp. 57-508.
BALDASSARRI et alii 2008 = P. BALDASSARRI et alii, Schedatura dei materiali rinvenuti, in R. DEL SIGNORE (a cura
di), Palazzo Valentini. L’area tra antichità ed età moderna:
scoperte archeologiche e progetti di valorizzazione, Roma
2008, pp. 127-180.
BISCONTI 2000 = F. BISCONTI, MESTIERI NELLE CATACOMBE ROMANE: appunti sul declino dell’iconografia del reale nei cimiteri cristiani di Roma, Città del
Vaticano 2000.
BRADLEY 2002 = M. BRADLEY, “It all comes out in the wash”:
Looking harder at the Roman fullonica, in JRA, 15, 2002,
pp. 21-44.
BUCCELLATO 2005 = A. BUCCELLATO, Rinvenimenti a via dei
Gordiani (VI Municipio), in BCom, 106, 2005, pp. 475479.
COLETTI 2004 = F. COLETTI, Note su alcuni vasi invetriati dai
contesti medio e tardo imperiali del santuario di Cibele
al Palatino, in ArchCl, 55, 2004, pp. 413-454.
COLETTI, MARGHERITELLI 2006 = F. COLETTI, L. MARGHERITELLI, Ultime fasi di vita, abbandono e distruzione dei monumenti dell’area sud-ovest del palatino: contesti
stratigrafici e reperti, in ScAnt,13, 2006, pp. 465-497.
DELUMEAU 1979 = J. DELUMEAU, Vita economica e sociale
di Roma nel Cinquecento, Firenze 1979.
DELOGU 2001 = P. DELOGU, Il passaggio dall’Antichità al Medioevo, in A. VAUCHEZ (a cura di), Storia di Roma dall’antichità a oggi. Roma medievale, Roma-Bari 2001, pp.
3-40.
DE ROBERTIS 1977 = F.M. DE ROBERTIS, Lis fullonum (CIL
48
DELUMEAU 1979, pp. 133-138.
251
VI, 266). Notazioni critiche e ricostruttive, in StDocHistIur, 43, 1977, pp. 113-166.
DE ROBERTIS 1982 = F.M. DE ROBERTIS, Lis fullonum (CIL
VI, 266). Oggetto della lite e causa petendi, in ANRW, II,
14, 1982, pp. 791-815.
DI GIUSEPPE 1996 = H. DI GIUSEPPE, Un’industria tessile di
Domitia Lepida in Lucania, in Ostraka, V, 1, 1996, pp.
31-43.
DI GIUSEPPE 2000 = H. DI GIUSEPPE, Archeologia del tessuto.
Temi, concetti e metodi, in R. FRANCOVICH, D. MANACORDA
(a cura di), Dizionario di Archeologia, Roma 2000, pp.
339-349.
DI GIUSEPPE 2002 = H. DI GIUSEPPE, I tessuti e la tessitura:
aspetti storici della produzione nell’Europa e nel bacino
del Mediterraneo. I tessuti e la tessitura: preistoria e protostoria, il mondo greco e romano periodo tardoantico e
medievale, in Il mondo dell’archeologia, Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, II,
Roma 2002, pp. 921-928, 932-937.
DI GIUSEPPE 2007a = H. DI GIUSEPPE, I Bruttii Praesentes,
proprietari e produttori in Val D’Agri, in A. RUSSO, M.P.
GARGANO, H. DI GIUSEPPE, Dalla villa dei Bruttii Praesentes alla proprietà imperiale. Il complesso archeologico
di Marsicovetere - Barricelle (PZ), in Siris, 8, 2007, pp.
81-119.
DI GIUSEPPE 2007b = H. DI GIUSEPPE, Proprietari e produttori nell’alta Valle del Bradano, in Facta, 1, 2007, pp.
157-182.
DI GIUSEPPE 2008 = H. DI GIUSEPPE, La villa romana di S.
Pietro di Tolve (PZ). Dalla proprietà senatoria a quella
imperiale, in A. RUSSO, H. DI GIUSEPPE (a cura di), Felicitas Temporum. Dalla Terra alle genti. La Basilicata settentrionale tra archeologia e storia, Lavello (PZ) 2008,
pp. 355-391.
DI GIUSEPPE 2010a = H. DI GIUSEPPE, I Bruttii Praesentes.
Interessi politici ed economici di un’importante famiglia
lucana, in F. TARLANO (a cura di), Il territorio grumentino e la valle dell’Agri nell’antichità. Atti del Convegno
(Grumento Nova, 25 aprile 2009), Bologna 2010, pp. 3947.
DI GIUSEPPE 2010b = H. DI GIUSEPPE, Produrre in villa.
Complessi artigianali di epoca imperiale nella Lucania
nord-orientale, in ReiCretActa, 41, 2010, pp. 173-180.
DI GIUSEPPE 2012 = H. DI GIUSEPPE, Lanifici e strumenti della
produzione nell’Italia centro-meridionale, in M.S. BUSANA, M.T. BASSO (a cura di), La lana nella Cisalpina romana: economia e società. Studi in onore di Stefania
Pesavento Mattioli. Atti del convegno (Padova-Verona,
12-16 maggio 2011), Padova 2012, pp. 477-494 (Collana
Antenor Quaderni, 27).
DI GIUSEPPE 2014 = H. DI GIUSEPPE, Imperial Estates in Inland Lucania, in A.M. SMALL (ed.), BEYOND VAGNARI
New themes in the Study of Roman South Italy, Proceedings of a conference held in the School of History, Classics and Archaeology, University of Edinburgh, 26-28
October 2012, Munera 8, Bari 2014, pp. 213-225.
DI GIUSEPPE, RUSSO 2014 = H. DI GIUSEPPE, Imperial Estates in Inland Lucania, in A.M. SMALL (ed.), Beyond Vagnari New themes in the Study of Roman South Italy.
Proceedings of a conference held in the School of History,
Classics and Archaeology (University of Edinburgh, 2628 October 2012), Bari 2014, pp. 213-225 (Munera, 8).
DI GIUSEPPE, RUSSO 2012 = H. DI GIUSEPPE, A. RUSSO, La
252
HELGA DI GIUSEPPE
villa romana di Barricelle in Lucania: una proprietà senatoria e imperiale, in G. BARATTA (a cura di), Instrumenta
inscripta IV. Nulla dies sine littera. La escritura cotidiana
en la casa romana, Sylloge Epigraphica Barcinonensis
(SEBarc) X. Atti del convegno (Barcellona, 7-9 settembre 2011), Barcellona 2012, pp. 405-423.
FILIPPI 2001 = F. FILIPPI (a cura di), Archeologia e giubileo.
Gli interventi a Roma e nel Lazio nel piano nazionale per
il giubileo 2000, Milano 2001.
FIOCCHI, DEL MORO, NUZZO et alii 1995-96[1999] = V. FIOCCHI NICOLAI, M.P. DEL MORO, D. NUZZO, L. SPERA, La
nuova basilica circiforme della via Ardeatina, in RendPontAc, 68, 1995-1196, pp. 69-233.
FLOHR 2003 = M. FLOHR 2003, Fullones and Roman society:
a reconsideration, in JRA, 16, 2, 2003, pp. 447-450.
FLOHR 2011a = M. FLOHR, Consumption, not production. Understanding the fullonicae of Pompeii, in C. ALFARO, J.P.
BRUN, PH. BORGARD, R. PIEROBON BENOIT (a cura di), Purpureae vestes, 3. Textiles and dyes in antiquity. Textiles y
tintes en la ciudad antigua. Tissus et teintures dans la cité
antique. Tesuti e tenture a la città antica. Actas del III
Symposium internacional sobre textiles y tintes del Mediterráneo en el mundo antiguo (Nápoles, 13-15 noviembre 2008), Valencia 2011, pp. 229-235.
FLOHR 2011b = M. FLOHR Cleaning the Laundries III. Report of the 2008 campaign, in www.fastionline.org/docs/
FOLDER-it-2011-214.pdf.
GLEBA = M. GLEBA, Textile production in pre-Roman Italy,
Oxford 2008.
FOLLIS 1988 = O. FOLLIS, Butti medioevali nel Tempio della
Concordia al Foro Romano. Materiale ceramico, in AMediev, XV, 1988, pp. 561-586.
GLEBA, PÁSZTÓKAI-SZEÖKE 2013 = M. GLEBA, J. PÁSZTÓKAISZEÖKE, Making textiles in pre-Roman and Roman times:
people, places, identities, Oxford 2013.
GUIDOBALDI 1995 = F. GUIDOBALDI, s.v. Domus: Bruttius
Praesens, LTUR II, Roma 1995, p. 71.
KILLGROVE, TYKOT 2012 = K. KILLGROVE, R.H. TYKOT, Food
for Rome: A stable isotope investigation of diet in the Imperial period (1st–3rd centuries AD), in Journal of Anthropological
Archaeology,
20,
2012,
http://dx.doi.org/10.1016/j.jaa.2012.08.002.
LORI SANFILIPPO 2001 = I. LORI SANFILIPPO, La Roma dei Romani: arti, mestieri e professioni nella Roma del Trecento,
Roma 2001.
MANACORDA 2003 = D. MANACORDA, Crypta Balbi. Archeologia e storia di un paesaggio urbano, Milano 2003.
MARTORELLI 1999 = R. MARTORELLI, Riflessioni sulle attività
produttive, in RACr, 75, 1999, pp. 571-596.
MUSCA 1970 = D.A. MUSCA, Lis fullonum de pensione non
solvenda, in Labeo, 16, 1970, pp. 279-326.
MUSCO, CATALANO, CASPIO et alii 2008 = S. MUSCO, P. CATALANO, A. CASPIO, W. PANTANO, K. KILLGROVE, Le com-
plexe archéologique de Casal Bertone, in DossAParis,
330, 2008, pp. 32-39.
PAVOLINI 2001 = C. PAVOLINI, Nuove indagini sul Celio (secoli V-IX), in M.S. ARENA, P. DELOGU, L. PAROLI, M. RICCI,
L. SAGUÌ, L. VENDITTELLI (a cura di), Roma dall’antichità
al medioevo, archeologia e storia, nel museo nazionale
romano Crypta Balbi, Venezia, 2001, pp. 616-618.
PAVOLINI 2004 = C. PAVOLINI, Aspetti del Celio fra il V e
l’VIII-IX secolo, in L. PAROLI, L. VENDITTELLI (a cura di),
Roma dall’antichità al medioevo II. Contesti tardoantichi e altomedievali, Roma 2004, pp. 418-434.
PICCOLINI 1953 = C. PICCOLINI, S. Crisogono in Roma, Roma
1953.
PIRANOMONTE, RICCI 2009 = M. PIRANOMONTE, G. RICCI,
L’edificio rustico di viale Tiziano e la fonte di Anna Perenna. Nuovi dati per la topografia dell’area Flaminia in
epoca repubblicana, in V. JOLIVET, C. PAVOLINI, M.A.
TOMEI, R. VOLPE (a cura di), Suburbium, 2. Il suburbio
di Roma dalla fine dell’età monarchica alla nascita del
sistema delle ville (V-II secolo a.C.), Roma 2009, pp. 413435.
Regesto del Monastero = V. FEDERICI (a cura di), Regesto del
Monastero di S. Silvestro de Capite, Roma 1899.
SABLAYROLLES 1996 = R. SABLAYROLLES, Libertinus miles.
Les cohortes de vigiles, Rome 1996.
SANTILLO FRIZELL 2010 = B. SANTILLO FRIZELL, LANA,
CARNE, latte. Paesaggi pastorali tra mito e realtà, Firenze 2010 (Collana Storie del mondo, 2).
SCRINARI 1995 = V.S.M. SCRINARI, Il Laterano imperiale, II,
Dagli “horti Domitiae” alla Cappella cristiana, Città del
Vaticano 1995.
SFLIGIOTTI 1993 = P. SFLIGIOTTI, Manufatti in metallo, osso,
terracotta, pietra, in L. SAGUÌ (a cura di), L’esedra della
Crypta Balbi nel medioevo (XI-XV secolo), Firenze, 1993,
pp. 513-552.
SPERA 1999 = L. SPERA, Il paesaggio suburbano di Roma dall’antichità al Medioevo: il comprensorio tra le vie Latina
e Ardeatina dalle Mura Aureliane al III miglio, Roma
1999.
SPINOLA 1992 = G. SPINOLA, Il dominus Gaudentius e l’Antinoo Casali: alcuni aspetti della fine del paganesimo da
una piccola domus sul Celio?, in MEFRA, 104, 2, 1992,
pp. 953-979.
VICARI 2001 = F. VICARI, Produzione e commercio dei tessuti nell’Occidente romano, Oxford.
VITTI 1993 = M. VITTI, La fullonica della grande insula del
settore centrale, in C. PAVOLINI, A. CARIGNANI, F. PACETTI,
GIANDOMENICO SPINOLA, M. VITTI, La topografia antica
della sommità del Celio. Gli scavi nell’Ospedale Militare
(1987-1992), in RM, 100, 1993, pp. 443-505.
WILD 1976 = J.P. WILD, The gynaecea, in Aspects of the “Notitia dignitatum”. Papers presented to the conference in Oxford, December 13 to 15, 1974, Oxford 1976, pp. 51-58.
IMPIANTI METALLURGICI TARDO ANTICHI ED ALTO MEDIEVALI A ROMA.
ALCUNE RIFLESSIONI TECNOLOGICHE E STORICO-ECONOMICHE
A PARTIRE DAI RECENTI RINVENIMENTI ARCHEOLOGICI
A PIAZZA DELLA MADONNA DI LORETO
Vasco La Salvia*
L’analisi di alcuni aspetti squisitamente tecnologici
della produzione metallurgica a Roma, specie quella relativa al Rame ed alle sue leghe, consente di affrontare
una serie di argomenti ed approfondimenti di carattere
storico-economico di grande rilevanza in merito alla annosa questione del passaggio fra tarda antichità e alto
medioevo. In particolare, la grande officina di piazza
Madonna di Loreto, riportata alla luce grazie al lavoro
congiunto di M. Serolorenzi e di G. Ricci, apre una finestra sull’Archeologia della Produzione decisamente
‘fuori scala’ rispetto a quanto fin’ora messo in luce
dalla ricerca contemporanea e permette di ragionare, grazie anche ad un buon numero di analisi archeometriche, realizzate dalla collega L. Anguilano dell’ETC
Brunel di Londra, su temi che spaziano dalla organizzazione della produzione (ed alle sue trasformazioni nel
corso del tempo fra mondo tardo romano e quello protobizantino), alla gestione/recupero/approvvigionamento
della materie prime, dal trasferimento di tecnologie specifiche fino al relativo problema dell’integrazione di queste con il patrimonio culturale/fabbrile di origine
barbarica che si estrinseca e si esplicita anche e, soprattutto, nel riconoscimento e/o costruzione di
(nuove/consuete) vie commerciali e di rapporti diretti
di committenza. Come ricordato da Giannichedda piuttosto di recente, infatti, occorre tenere presente che: «In
order to understand the metallurgy of the period, it is
necessary to differentiate between a great variety of
socio-economic backgrounds in the Mediterranean and
Europe between the 4th. and 7th. c.» 1.
Altro aspetto importante è quello di carattere più
strettamente metodologico, ovvero, la questione che
vuole in ambito italiano (ma non solo), a parte forse la
tradizione della scuola senese iniziata da R. Francovich,
lo studio delle tecniche metallurgiche tardo antiche (specie per il V e VI secolo e, quindi, sarebbe forse meglio
definirle proto-bizantine) essere piuttosto relegato in
una posizione secondaria, forse in quanto posizionato
fra lo studio dell’Antico in quanto tale e quelle del periodo pienamente Longobardo 2. Ciò ben si comprende
dal fatto che la sintesi di S. Vryonis, dell’inizio degli
anni ‘60 del secolo XXI, costituisce ancora la base di
partenza di molte delle riflessioni di carattere numismatico in merito al problema della abbondanza di monetazione aurea e, in misura minore argentea di origine
bizantina, senza che vi sia una chiara visione del problema delle modalità di approvvigionamento minerario 3.
Dunque, si sconta ancora una concezione secondo la
* Questo contributo è il frutto della ‘digestione’ e della elaborazione di una lunga discussione, partita nel 2013 e fondata sulla sana
pratica archeologica di cantiere e di laboratorio che ha visto coinvolti, in primo luogo, gli amici e colleghi G. Ricci e M. Serolrenzi,
con i quali costante è stato il confronto, a volte anche ‘aspro’, per
cui cruciale si è rivelata la reciproca disponibilità non solo all’ascolto
ma anche all’apprendimento dei rispettivi specialismi. Sullo stesso
piano, il rapporto ed il lavoro di e con i miei amici e colleghi dell’Università di Chieti, S. Antonelli, A. Iacone, S. Propseri e M. Tornese e dell’ETC Brunel di Londra nella persona di L. Anguilano, che
tanto (e più di me) hanno lavorato sull’analisi e la classificazione
delle scorie, è risultato conditio sine qua non per la redazione di questo saggio. Senza il lavoro di queste persone, il presente articolo non
avrebbe potuto vedere la luce nella sua forma attuale, pur restando
il suo contenuto interamente responsabilità dello scrivente.
1
GIANNICHEDDA 2006, p. 189.
2
GIANNICHEDDA 2006, p. 190.
3
VRYONIS 1962, pp. 1-17; PITARAKIS 1998, pp. 141-185; come
ben specificato in BRYER 1982, p. 134: resta, infatti, il problema
della mancata chiarezza sulla questione della «abundance of Byzantine gold, and to a lesser extent silver, coin. But, so far, numi-
Introduzione
254
VASCO LA SALVIA
quale la ‘questione del metallo’ poco avrebbe a che fare
con la ridefinizione degli spazi urbani, e dei paesaggi
in genere, e della generale ristrutturazione delle rotte
commerciali, in questo neppure assecondando l’andamento delle fonti (tanto scritte che archeologiche) che,
per una volta, sembrano procedere parallelamente descrivendo uno spazio economico in forte contrazione,
seppure non in involuzione tecnologica. Il bello e recente libro della Saradi sulla città bizantina del VI secolo, ad esempio, non lascia alcuno spazio a tale
problematica. Lo studio delle attività produttive in epoca
pre-industriale, tuttavia, fornisce da un lato una chiave
di lettura dei rapporti socio-economici, attraverso l’analisi delle strutture di produzione e dei fattori storicoculturali, e dall’altro consente di conoscere e
approfondire gli aspetti tecnologici della produzione
stessa, anche attraverso l’ausilio delle analisi archeometriche, secondo quel filone di ricerca aperto negli anni
Sessanta del XX secolo dai pionieristici lavori di Tylecote proprio sull’applicazione del metodo scientifico per
lo studio della metallurgia antica 4.
Ciò che appare evidente per questo periodo è, dunque, una riorganizzazione della produzione che esalta
una differenziazione netta fra le zone vicine alle aree
minerarie e quelle più lontane da esse, connotate come
zone di trasformazione e consumo, una situazione che
registra (come si è già notato, tanto per le fonti archeologiche quanto per quelle scritte) una frequente
commistione fra un ‘sapiente’ e tecnologicamente avanzato riuso di materiali di spoglio e la continuità, seppure forse ‘intermittente nel tempo’, di forme di
produzione diretta di materia prima come pare confermare il caso di Castelvecchio di Peveragno in Piemonte,
sito presso il quale sono stati rinvenuti, per un periodo
compreso fra V e VI/VII secolo numerosi lingotti di
piombo insieme a diverse tracce di lavorazione dei me-
talli. Il livello quantitativo e qualitativo di questa produzione è tale da caratterizzarla come qualcosa di assai
più complesso rispetto ad un’attività occasionale e/o
semplicemente collaterale all’agricoltura 5. Le fonti
scritte coeve, in prima istanza Cassiodoro nelle Variae,
si presentano altrettanto ondivaghe insistendo tanto sull’importanza del recupero dei materiali preziosi dalle
sepolture in nome dello stato 6 quanto sull’organizzazione di viaggi specifici in note aree minerarie come
quelle della Dalmazia e/o della Calabria per recuperare
materia prima e tasse dalle locali miniere e, addirittura,
intraprendere nuove prospezioni 7.
Prima di entrare nel cuore del dibattito tecnico-economico, occorre sottolineare un ultimo aspetto, ancora
di carattere generale e metodologico che riguarda la
quasi assoluta mancanza di confronto di quanto archeologicamente scavato con le fonti scritte: in questo
caso specifico, naturalmente, per fonti scritte intendo
fare riferimento allo studio ed alla analisi approfondita
della tradizione tecnica manoscritta tardo antica e alto
medievale di argomento metallurgico, una tradizione
colta e, sicuramente non direttamente di officina, che
ha in testi come la Mappae Clavicula la sua sintesi migliore 8, e che tuttavia riflette il persistere di interessi
tecnici e produttivi in ambiti specifici, che possono essere, quindi, definiti peculiari per i luoghi della loro conservazione, tanto da un punto di vista socio-economico
(come nel caso degli scriptoria delle Chiese cattedrali
e/o dei monasteri) nella trasmissione di ‘ricettari tecnici’ o geograficamente, o meglio, geo-morfologicamente, dal momento che questi stessi luoghi possono
risultare siti di interesse minerario, oppure centri ove si
concentra la nuova committenza (tanto laica che ecclesiastica), come pare essere stato proprio il caso di un
manoscritto rinvenuto negli archivi della cattedrale di
Lucca di cui si tratterà, brevemente, più avanti. Ciò che
smatic metallurgists have been unable to tell us with certainty where
Byzantine gold and silver came from, and how far it was new, imported, or inherited recycled stock». In effetti, in LAIOU, MORRISSON 2007, p. 63: «Although we have little definite information on
the chronology of mine exploitation (there is some archaeological
evidence, e.g. at Sulucadere in the Bolkardag, of mining in the ninth
century), metallurgical analyses of Byzantine coins prove that some
quantity of newly mined gold and silver was available for striking
coins and renewing the monetary stock. Whether this source of new
metal was inside or outside Byzantine territory or a combination of
both, is unfortunately not determined». In parziale controtendenza,
dunque, gli studi della Morrisson che, tuttavia, mantengono l’accento essenzialmente su questioni merceologiche e strettamente relative al titolo di fino presente nelle monete piuttosto che su quelle
mineralogico-metallurgiche; per la vasta produzione della Morrisson si vedano fra gli altri, MORRISSON 1994; MORRISSON, BARRANDON, BRENOT et alii 1985.
ANTONELLI, IACONE, PROSPERI et alii 2013, p. 95.
GIANNICHEDDA 2006, pp. 192, 194; su Castelvecchio di Peveragno vedi MICHELETTO 1996, pp. 115-129; MICHELETTO, GUGLIELMETTI, VASCHETTI et alii 1995, pp. 137-219; MICHELETTO, PEJRANI
BARICCO 1997, pp. 295-344. Simile anche il sito di Belmonte, sempre in Piemonte, presso il quale si sono riscontrate rilevanti tracce
di attività siderurgiche che testimoniano della presenza del ciclo di
lavorazione completo dall’estrazione alla produzione di manufatti
finiti, in proposito CIMA 1986, pp. 173, 177, 179, 181, 187, 188,
189; CIMA 1987, pp. 113, 119; MICHELETTO, PEJRANI BARICCO 1997,
pp. 318-322.
6
CASSIOD. var. IV, 34.
7
CASSIOD. var. IX, 3; III, 25 e 26.
8
STANLEY SMITH, HAWTHORNE 1974, pp. 1-128; GIUMLIA-MAIR
1998, pp. 243-249; BERNARDONI 2010, pp. 381-383; BARONI, PIZZIGONI, TRAVAGLIO 2014.
4
5
IMPIANTI METALLURGICI TARDO ANTICHI ED ALTO MEDIEVALI A ROMA
255
Nella descrizione di questa grande officina posizionata in quello che doveva essere ancora il cuore pubblico della Roma forse tardo gotica ma, piuttosto,
potrebbe forse dirsi proto-bizantina ed altomedievale,
non ci si dilungherà oltre sull’analisi cronologica, spaziale e topografica dato il contributo specifico presente
in questo stesso volume a cura di Ricci e Serolorenzi.
La discussione sarà, dunque, limitata alla descrizione
dettagliata delle tecniche produttive utilizzate (sulla
base dei dati archeologici ed archeometrici) in modo da
consentire la possibilità di effettuare alcune comparazioni che possano gettare una qualche luce, non certo
soluzioni definitive, sulla storia delle tecniche metallurgiche del periodo e sul tipo di organizzazione della
produzione.
Attraverso le schede raccolte e messe a disposizione
dei partecipanti al Convegno sulla archeologia della
produzione a Roma, d’altro canto, è stato possibile ricostruire il contesto tecnico ed economico entro il quale
posizionare l’attività di questa grande officina romana.
Questi dati mettono in luce la presenza, per il periodo
in esame di una serie di installazioni fisse e di scarti di
lavorazione e scorie che incorniciano, per così dire,
tanto cronologicamente quanto dal punto di vista produttivo, l’attività delle officine di piazza della Madonna
di Loreto, sottolineandone, al contempo, l’unicità esaltandone tutte le particolarità tecniche, organizzative e
l’ampiezza del generale volume produttivo rispetto al
quadro economico di riferimento 10.
Nell’ambito degli scavi realizzati presso la Basilica
Hilariana sono emerse notevoli tracce di riconversione
d’uso degli spazi inquadrabili tra la fine del IV e gli
inizi del V secolo d.C. che all’interno di alcuni vani,
precedentemente destinati a ruoli di ‘rappresentanza’ o
di servizio (corridoi), situati al centro dell’ala sud, hanno
messo in evidenza indicatori di attività artigianali e dei
metalli in particolare, fra cui scorie bronzee ed utensili
come pinze e crogioli 11.
All’interno del Foro di Cesare, in un contesto stratigrafico di inizio V secolo, è stata rinvenuta un’altra
fornace per la lavorazione del bronzo 12.
Ancora, presso la chiesa di Santo Stefano Rotondo,
alcuni strati, probabilmente databili al V secolo d.C.,
hanno restituito vasetti con evidenti incrostazioni metalliche che potrebbero, così, essere interpretati quali crogioli. Tuttavia, a causa del forte disturbo post-deposizionale subito dal deposito archeologico potrebbe, in
realtà, trattarsi di materiali residuali o intrusivi per cui
la datazione dell’intero contesto resta piuttosto incerta 13.
Interessanti sono anche i dati provenienti dall’angolo
posto a sud delle Terme di Traiano, sul colle Oppio, e,
precisamente, nell’area riguardante la metà meridionale
della terza galleria traianea dove, a partire dalla metà
del V secolo, si evidenzia una nuova fase nell’attività
di colmata della galleria, la quale porta ad invadere di
macerie lo spazio compreso tra la cisterna e il lato nord
del complesso termale. Tra la fine del V e la prima metà
del VI secolo, viene ridotta notevolmente la frequentazione della galleria che risulta limitata a soli quattro ambienti che, durante questo periodo, vengono utilizzati
NERI 2006, 139.
Da questo punto di vista, infatti, resta difficile pensare all’esistenza di un polo metallurgico localizzato nel centro dell’Urbe
(e magari ad una sua presunta continuità nel tempo a partire dall’età classica); al contrario, i singoli indicatori produttivi andrebbero correttamente analizzati all’interno di ciascun contesto
archeologico in modo da valorizzarne pienamente il potenziale informativo, evitando, così, di forzare il dato verso la creazione di
modelli aprioristici.
11
Vedi PAVOLINI, PALAZZO 2013, specie il capitolo sulla Fase 5
- Dismissione dell’edificio di culto; impianto di nuove attività produttive (metà V secolo d.C.) e tutta la parte relativa alle analisi archeometriche dei materiali che ha consentito di formulare l’ipotesi
della presenza di una bottega per la produzione di colori in particolare, pp. 89-91; PAVOLINI 2004, p. 424.
12
In proposito, MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007, p.
121; CARANDINI 2012, p. 118; DELFINO, DE LUCA, MINNITI et alii
2013, pp. 93-128.
13
MARTIN 2004, p. 506.
è, dunque, ancora quasi del tutto assente è una prassi
di ricerca che preveda il confronto fra le esperienze di
bottega/saper fare, così come esse appaiono codificate
attraverso la ‘registrazione’ delle fonti scritte, quali appunto i ricettari tecnici tardo antichi ed altomedievali,
e la pratica archeologica, proprio sulla scorta di quanto
recentemente, per altro in modo assai preciso e brillante,
è stato proposto da E. Neri per lo studio della produzione delle campane, un metodo secondo il quale l’insieme delle catene operative proprie di ogni ciclo di
produzione siano ‘trasformate’ in sequenze stratigrafiche in quanto «è possibile considerare un’unità stratigrafica come traccia materiale di una operazione, ovvero
esito permanente di un atto valutato nella sua processualità» 9.
L’officina di piazza della Madonna di Loreto ed il suo
contesto tecnico-economico
9
10
256
VASCO LA SALVIA
per attività artigianali, probabilmente in relazione alle
operazioni di spoglio dell’impianto termale 14.
Una notevole quantità di metalli sotto forma di
grappe di ferro ancora inguainate nella fodera di
piombo, pertinenti probabilmente alle officine ivi insediatesi, a partire dal VI secolo è stata rinvenuta nei vani
di sostruzioni delle colonne onorarie dell’area centrale
del Foro Romano 15.
Nel Foro Romano, tra il Tempio di Saturno e la Basilica Giulia, a m 2,60 dal limite settentrionale della navata, nel corso dell’VIII secolo viene realizzato un
pozzetto circolare di circa cm 30 di diametro, delimitato da un muretto realizzato in frammenti di mattoni,
a sezione troncoconica per circa cm 50 di profondità.
Quest’ultimo presentava la superficie interna rivestita
d’intonaco; dal suo riempimento provengono numerosi
resti di carbone, cenere e scorie di bronzo, per cui è ipotizzabile che si tratti di un forno a pozzetto destinato
alla ri-fusione di elementi bronzei di spoglio, in fase con
le operazioni di smantellamento della Basilica Giulia
al Foro 16.
Nell’ambito degli scavi effettuati a piazza Venezia
per la realizzazione della linea C della metropolitana, è
stata documentata un’importante attività metallurgica databile alla prima metà del VI secolo d.C. Lo scavo ha
messo in luce una serie di fornaci a fossa destinate al
processo di riduzione del minerale e funzionali alla lavorazione del prodotto ottenuto, per ottenere oggetti in
lega di rame. L’impianto occupa una precedente taberna (III secolo d.C.) che si affacciava sulla via Lata
ed è caratterizzato da due differenti fasi di utilizzo. La
prima si contraddistingue per la presenza di quattro
fosse con diametro medio tra i cm 30 ed i 50 con profondità compresa entro i cm 30, con pareti verticali rivestite d’argilla con tracce di termo-trasformazione e
fondi concavi o piani. Due di esse sono identificabili
come bassifuochi a pozzetto; i riempimenti delle fosse
sono ricchi di frammenti di lega di rame, carboni, calce,
frammenti ossei, elementi necessari per la carica del
forno e due conservano tracce di laterizi, probabilmente
relativi ad una cortina posta a protezione dell’imboccatura del mantice. Una fossa presentava due fori di circa
cm 5 di diametro, pertinenti al sistema di ventilazione
(uno era, con molta probabilità, un sostegno verticale
per la tuyère del mantice) ed un’altra ha restituito numerose scorie metalliche, un lingotto, tre lamine in lega
di rame (semilavorato) e due chiodi (prodotto finito).
La seconda fase di utilizzo a scopo metallurgico ha caratteristiche del tutto identiche alla precedente, essendo
costituita da un’ altra serie di fosse impostate al di sopra
di quelle più antiche (secondo uno schema non raro per
la metallurgia pre-industriale): le tipologie tecnologiche
sono le medesime, così come le componenti strutturali
(anche qui si conservano fori per il sostegno della tuyère
del mantice). Una di queste fosse è, però, interpretabile
come probabile incasso per un’incudine, avendo forma
di ‘S’, un taglio molto profondo rispetto alle altre e non
avendo restituito scorie né tracce di combustione. Nei
pressi di queste emergenze sono stati identificati livelli
caratterizzati dalla presenza di cenere, carbone, ossa,
frammenti ferrosi e di ben 106 nummi, databili tra V e
VI secolo 17.
In ultimo, occorre mettere in evidenza, per il periodo
compreso fra VI e VII secolo, l’unica area produttiva
che, almeno (o, forse, sarebbe meglio dire solo) per
complessità tecnologica anche se non per volume produttivo né, tantomeno, per gli aspetti relativi all’organizzazione della produzione o per il metallo lavorato,
dato che si tratta di ferro, appare al momento paragonabile alle officine della zona di piazza Venezia e, con maggior precisione, con quelle che si aprono sulla via Lata,
ovvero quella della zona di S. Omobono-insula Volusiana presso la quale si concentrano diverse fornaci,
forge e banchi di lavoro per il ferro che meritano, senza
dubbio, un maggiore approfondimento e sembrano presentare, ad un primo esame autoptico, anche delle specifiche/particolari caratteristiche tecniche. Anche in
questo caso, siamo in presenza di un’attività, proprio
come per la via Lata, che si svolge nell’ambito del riutilizzo dello spazio di tabernae sottolineando, quindi,
un’area di produzione probabilmente legata alla proprietà/gestione privata, iniziando ad adombrare un contesto socio-economico che poi sarà regolato e sancito da
fonti bizantine assai più tarde, come i Basilica ed alcuni
commenti, glosse agli stessi, segnando un discreto cambiamento rispetto al rigido statalismo tardo romano 18.
Nell’insieme, dunque, le attestazioni romane relative
ai cicli di produzione metallurgica, esclusa appunto l’of-
14
CARUSO, PACETTI, SERRA et alii 2010, pp. 257-282; SCIORTINO,
SEGALA 2010, pp. 243-256.
15
CAIROLI, VERDUCHI 1987, pp. 145, 163, 166, 186-187.
16
MAETZKE 1991, pp. 43-200; MAETZKE 2004, pp. 595-596.
17
Su questi scavi vedi SERLORENZI, SAGUÌ 2008, pp. 182-184.
18
Il contesto è, al momento, ancora inedito e le notizie qui riportate si devono alla scheda redatta per il Convegno ed alla gentile collaborazione della collega M. Ceci della Sovrintendenza
Capitolina ai Beni Culturali. Per quanto riguarda i Basilica ed il regime bizantino vedi, VRYONIS 1962, p. 3.
IMPIANTI METALLURGICI TARDO ANTICHI ED ALTO MEDIEVALI A ROMA
257
ficina di piazza Madonna di Loreto, sembrano avvicinarsi come tipologia ad un fenomeno assai diffuso in
Italia, ma ben presente anche nel resto dell’Europa e
del Mediterraneo già romani, di riuso e spoliazione sistematica degli spazi pubblici, indicativo di un processo
di destrutturazione della città antica e dei suoi spazi che
sembra accomunare, sia pure con tempi e modi differenti, centro/i e periferia/e 19. Per quanto riguarda la penisola italiana, alcuni casi, strettamente legati alle
attività metallurgiche, come ad esempio il complesso di
S. Giulia a Brescia (BS), Grumento (PZ), Peltuino (AQ),
Torraccia di Chiusi (SI) e S. Cristina in Caio a Buonconvento (SI) risultano essere esemplificativi del medesimo stato di cose. L’elemento che caratterizza
maggiormente questa fase è, senza dubbio, il riciclo dei
metalli non ferrosi (in particolare, rame e piombo).
L’esempio di S. Cristina in Caio a Buonconvento ben
si presta a disegnare i confini di questo modello di sviluppo economico 20. Il sito in questione, infatti, presenta
un orizzonte economico all’interno del quale le attività
artigianali sembrano essere essenzialmente legate alla
produzione di piombo e leghe di rame come derivato
diretto dalla spoliazione delle fistole e alla rifusione dei
diversi manufatti in rame presenti negli ambienti delle
terme, quali bracieri o contenitori per l’ebollizione dell’acqua. Presso S. Cristina sono stati individuati 7 forni
fusori e 2 possibili forge, probabilmente relative, oltre
che ai semilavorati anche alla produzione/riparazione
degli strumenti necessari alla conduzione del cantiere
dello spoglio. Le strutture produttive, di cui si sono rinvenute solo i fondi e poche parti rubefatte delle strutture sopraelevate, non dovevano essere molto
complesse, non essendo necessaria la riduzione del minerale, non era infatti richiesto il raggiungimento di elevate temperature trattandosi di materiali di recupero.
Queste attività sistematiche di spogliazione, specie nella
loro fase iniziale, sembrano essere state condotte in
modo centralizzato, tanto da lasciar supporre una sorta
di appalto. Quindi, è possibile ipotizzare un’iniziativa
pubblica alla base della demolizione e dello smontaggio delle terme e, d’altro canto la legislazione tardo romana e del regno gotico d’Italia sembra essere in linea
con tale prospettiva: la Novella 4 di Maggiorano del 459
(Novella Maioriani 4, promulgata a Ravenna l’11 luglio 459), attesta che tutte le azioni di demolizioni restano strettamente vincolate alle decisioni della pubblica
autorità, intesa nella sua massima espressione ovvero
Imperatore e Senato e, anche se cronologicamente di
poco posteriore, lo stesso Cassiodoro ribadisce, per la
politica edilizia gota, l’uso di concedere a privati strutture pubbliche in rovina su concessione statale 21. Risulta, dunque, chiaro che in tale contesto qualsiasi
iniziativa di rilievo sugli edifici pubblici doveva essere,
per lo meno, concordata con lo Stato, in modo che lo
spoglio non risultasse un danno per l’erario e per il decoro urbano 22. Vengono confermati, in questo modo, altri
due aspetti fondamentali, da un lato, il mantenimento
del vincolo pubblicistico sulla proprietà che viene concessa al privato soltanto attraverso autorizzazione pubblica e, dall’altro, il privilegio esclusivo sull’uso e lo
sfruttamento delle risorse metallurgiche e di cava eventualmente presenti all’interno di edifici in rovina oggetto
di restauro e/o spoglio da parte dello stato 23. Ciò evidenzia, senza dubbio, la lunga durata dei processi di destrutturazione della città antica che viene mutando il
proprio aspetto e le sue articolazioni interne anche attraverso una concreta e continua azione di smantellamento ‘monitorata’ dagli apparati centrali dello Stato.
Nuovamente, viene ad evidenziarsi come alcuni fenomeni economici di ampia portata siano caratteristici
tanto delle aree centrali ed urbanizzate (come appunto
L’ampiezza storico-geografica del fenomeno, ormai ben conosciuto, meriterebbe ben altro trattamento rispetto ad una singola
e semplice nota, tuttavia, pur nella brevità si tenga conto di quanto
espresso in LAIOU, MORRISSON 2007, pp. 29 e 39: «It is in this context that signs of general impoverishment must be considered […]
metalwork and glass workshops were housed in baths, as, for example, at Leptiminus and Carthage». Fra gli altri, su Barcellona e sui
contesti iberici in genere vedi, RIPOLL 2001, pp. 34-43; RIPOLL
2003, pp. 123-148; MARÊA GURT I ESPARRAGUERA, DIARTE BLASCO
2011, pp. 7-22; in merito a Olimpia, THEMELIS, KONTI 2002. Sugli
spolia, anche per il loro carattere introduttivo e metodologico, vedi
anche BRENK 1987, pp. 103-109; ALCHEMERS 1994, pp. 167-78; SENA
CHIESA 2012, pp. 17-31. Naturalmente, vedi il contributo di R. Santangeli Valenzani in questo stesso volume.
20
Si è scelto di trattare in modo maggiormente dettagliato, come
singolo esempio, questo sito dal momento che dal 2013 l’autore del
presente saggio è impegnato con il collega M. Valenti dell’Università di Siena nella ricerca e nello scavo proprio in quest’area.
21
CASSIOD. var. II, 23; III, 29; IV, 30.
22
Secondo la stessa Novella ai magistrati che si arrogavano il
diritto di concessione era inflitta una multa di 50 libre d’oro mentre, per i loro sottoposti erano previste pene corporali quali fustigazione ed amputazione degli arti. Simile attenzione alle azioni di
spoglio del patrimonio pubblico, tuttavia, si possono rintracciare già
all’inizio del secolo IV allorquando, prima Costanzo con un editto
ed in seguito il IX libro del Codice Teodosiano (De sepulchri violati) insistono sul medesimo argomento, ovvero sul divieto di spoliazione delle ‘aree monumentali’ e sulla illiceità di fare commercio
ed uso con materiale che si ritiene essere ex iure di proprietà statale e/o comunque di pertinenza fiscale.
23
CASSIOD. var. VII, 44.
19
258
VASCO LA SALVIA
la stessa Roma) quanto di quelle decentrate o periferiche come i centri minori appena elencati.
Tornando, tuttavia, a Roma in conclusione di questa breve introduzione all’orizzonte tecnico-economico
della grande officina romana di piazza della Madonna
di Loreto e, riprendendo quanto recentemente sostenuto
da E. Zanini, è possibile ribadire che, tenendo conto
anche e soprattutto dei dati provenienti dalla zona della
Crypta Balbi e di quanto rinvenuto presso l’adiacente
Porticus Minucia, a nord di via delle Botteghe Oscure,
dove è stata rintracciata una officina specializzata per
la produzione di cocciopesto, l’intera area in esame
(grosso modo corrispondente al Campo Marzio) si presenta come una porzione urbana con una vocazione
produttiva fortemente accentuata, fornendo l’immagine
di un quartiere piuttosto spopolato con un preciso indirizzo produttivo che, tuttavia, denota una forma integrata di riutilizzo dei materiali, funzionale alla
commercializzazione/consumo dei prodotti attraverso
una riconversione delle materie di lavoro che ne sottolinea la complessità tecnica ed economica, complessità
che caratterizza, quindi, ancora il VI-VII secolo ma non
già più la fase immediatamente successiva, ovvero il
pieno secolo VIII, mettendo in luce il momento ‘preciso’ di un radicale mutamento di prospettiva tecnica
ed economica 24. All’interno di questo contesto con
molta probabilità si inserisce, non casualmente, la complessa organizzazione dell’officina localizzata nell’Athenaeum di Traiano con il suo importante volume
di produzione.
Nel tentativo di ricostruire la storia dei processi metallurgici sono stati inizialmente sottoposti ad analisi autoptica 8041 elementi per un peso di più di 73
chilogrammi. Il peso non comprende, naturalmente, le
tipologie di scorie con porzioni di struttura o rivestimento che avrebbero alterato il peso complessivo del
residuo. Successivamente, i campioni sono stati divisi
in due macro-gruppi, il primo costituito dalle scorie defluite all’esterno delle fornaci, comunemente dette colate (tapped), e il secondo dalle scorie interne createsi,
come da definizione, all’interno delle stesse, comprendendo in esso anche quelle che conservano parte del rivestimento o della struttura della fornace. A ciascuna
tipologia identificata corrisponde, dunque, una diretta
derivazione da fasi distinte del ciclo di produzione, caratterizzate da specifiche condizioni di formazione. Le
scorie defluite all’esterno rappresentano rispettivamente
il 16% in termini di peso e l’1/% in termini di quantità
rispetto al campione complessivo, con una netta preponderanza delle scorie interne (fig. 1 e tav. 00) 25.
Tra le scorie defluite all’esterno delle fornaci, sono
state riconosciute tre tipologie caratterizzate da una superficie liscia e vetrificata, con struttura interna compatta e maggiori o minori segni di scorrimento in base
alla viscosità. La prima classe, detta C1 (fig. 2, A), comprende scorie di colore rosso-bruno con venature verdastre, composte sostanzialmente da silicati, a forma
colonnare o stalagmitica, con evidenti segni di scorrimento. Una diversa condizione di raffreddamento e caratterizzazione dei componenti, probabilmente una
maggiore presenza di ferro nel minerale d’origine, distinguono la seconda tipologia, C2 (fig. 2, B) che presenta un aspetto simile alla selce ed una conformazione
‘a ciottolo’, con dimensioni generalmente apprezzabili,
ed una colorazione tra il verde scuro e il nero metallico. Le analisi archeometriche confermano per entrambe le tipologie una formazione durante il processo
di fusione/raffinazione per la produzione delle leghe di
rame. Sempre al medesimo processo, partendo da un
materiale a base di solfuri misti, rimanda invece la terza
tipologia di scorie colate, la C3 (fig. 3) che defluisce
all’esterno della fornace allo stato liquido-viscoso e, aderendo alla superficie, presenta all’esterno una caratteristica forma a lastra con segni di scorrimento mentre,
nella sua parte inferiore a contatto con il piano di lavoro o di raccolta delle scorie, ingloba materiale inerte
(ghiaino, carbone, argilla, quarzo, etc.) 26.
Le scorie interne, anch’esse direttamente connesse
col processo di riduzione/raffinazione del rame, presentano una forma irregolare e un aspetto eterogeneo e poroso, con frequenti inclusi di cenere e carbone. A queste
è stato attribuito il codice alfanumerico T e numero progressivo. Le prime tre tipologie (T1, T2, T3) con caratteristiche morfologiche molto simili, affine a materiale
litoide, si presentano come più o meno ‘spugnose’. Fra
24
In occasione della prima presentazione pubblica dei dati sugli
scavi di piazza della Madonna di Loreto, avvenuta a Chieti il 13 dicembre 2010, vedi http://archeologiamedievale.unisi.it/insegnamento/mediacenter/officine-urbe-produzione-metallurgica-roma-tra-t
ardoantico-e-altomedioevo/07-tavola.
25
ANTONELLI, IACONE, PROSPERI et alii 2013, pp. 97-98.
26
ANTONELLI, IACONE, PROSPERI et alii 2013, p. 98; ANGUILANO,
LA SALVIA c.s; ANGUILANO, LA SALVIA, ANTONELLI et alii c.s.
Le attività artigianali: archeologia della produzione e
archeometria
IMPIANTI METALLURGICI TARDO ANTICHI ED ALTO MEDIEVALI A ROMA
259
Fig. 1. - Grafici della composizione tipologica/quantitativa delle scorie.
loro si differenziano per la maggiore o minore porosità, dal momento che la grandezza dei vacuoli indica il grado di
riduzione della carica, composta essenzialmente da carbone e fondenti (fig. 4). La
quarta tipologia di scorie interne, la T4 (fig.
5), caratterizzata da un elevato peso specifico, presenta una struttura che ripropone la
miscela della carica con la presenza di fibre
carboniose ancora intatte. Sono pressoché
assenti zone con silicati. La sua struttura, ad
un’analisi macroscopica, potrebbe essere
confusa con metallo fortemente ossidato e
rimineralizzato. Sempre all’interno della
fornace si sono formate quelle scorie dall’aspetto vetroso, ricche di silicati, identifi-
Fig. 2. - Scorie, classe detta C1 (A); classe detta C 2 (B).
260
VASCO LA SALVIA
Fig. 3. - Scorie colate, C3.
Fig. 4. - Scorie interne classi T1, T2, T3.
cate come T5 (fig. 6, A), che si caratterizzano per netti
segni di scorrimento dovuti al deflusso all’interno della
struttura allo stato viscoso. Le caratteristiche composizionali di questa tipologia possono essere messe in relazione con il processo di riduzione/fusione, come
confermato anche dalle analisi al SEM. Le tipologie che
seguono si distinguono per una evidente interazione con
il rivestimento o la struttura della fornace, ovvero con la
ceramica tecnica. Nei primi due casi (T6 e T9), si tratta
di scorie che hanno inglobato parte del rivestimento ar-
gilloso, negli altri due invece (T7 e T8) si
tratta di parti delle strutture dei forni con
tracce di scorificazione. Le T6 (fig. 6, B)
presentano una matrice ricca di silicati, caratterizzata da una tessitura bollosa con
tracce di mineralizzazione e leggeri segni di
colatura, mentre la superficie a contatto con
la parete della fornace ingloba un rivestimento di argilla concotta di colore rossastro.
L’argilla utilizzata per proteggere le pareti
del pozzetto o della struttura delle fornaci
(la ceramica tecnica), trattenendo il calore,
svolgeva un ruolo rilevante nel processo
chimico-fisico del ciclo produttivo. La scorificazione, particolarmente ricca di silicati
dona un aspetto vetroso anche alla tipologia
denominata T9 che si differenzia dalla precedente per il rivestimento di argilla stracotta di colore grigio-antracite. Grazie alla
presenza di numerosi frammenti di forma
sub-circolare con parete concava, riconducibili a porzioni di bordi è possibile ricondurre questa specifica tipologia a fornaci
definite dalla trattatistica tardo medievale
come «forni a catino» 27 che, per la loro
stessa forma e tipologia, non lasciano tracce
in negativo sul battuto pavimentale (fig. 7).
Le ultime due tipologie comprendono,
quindi, elementi scorificati di parti strutturali delle fornaci e sono state identificate,
da un lato, come T7, ovvero quali frammenti di rivestimento interno della fornace,
con i quali la scoria ha interagito, caratterizzati dalla presenza di piccole parti di fittili e/o lapidei propri dell’incamiciatura
interna della struttura produttiva; dall’altro,
le T8 (fig. 8), come parti di piani di argilla
stracotta, di colore grigio antracite, sottoposta ad una prolungata azione del fuoco,
dalla consistenza simile a quella della pietra pomice. Questi piani, di argilla molto
leggera, alterati del calore, presentano una forma subcircolare con i bordi lievemente rialzati e una superficie scorificata e diverse tracce di gocce metalliche.
Forma e caratteristiche di queste superfici piane e scorificate le rendono del tutto compatibili con i processi
27
Sulle fornaci a ‘catino’ si veda il Libro VII di BIRINGUCCIO
1540, vedi anche NERI 2006, p. 103; ANTONELLI, IACONE, PROSPERI
et alii 2013, p. 104.
IMPIANTI METALLURGICI TARDO ANTICHI ED ALTO MEDIEVALI A ROMA
di fusione in crogiolo e, dunque, riferibili
a fornaci cosiddette ‘a riverbero’ (fig. 9),
le tracce archeologiche delle quali ben sono
riconoscibili nella pavimentazione dell’aula
dell’Auditorium del Foro di Traiano nei
tagli a forma di 8 che, in effetti, individuano
il perimetro di una doppia camera (fig. 10
e Tav. 00) 28.
I dati raccolti attraverso l’indagine delle
scorie e dei resti archeologici consentono di
proporre alcuni modelli ricostruttivi anche
per i tipi di fornaci impiegate per la raffinazione/fusione del rame e la successiva
produzione di leghe. I numerosi pozzetti
individuati sull’intera superficie della pavimentazione dell’aula sono riconducibili a
fornaci a pozzetto/cupola 29 o a camino 30. In
un caso, la presenza di buche di palo con un
andamento circolare intorno al pozzetto potrebbe indicare l’alloggiamento di sostegni
lignei forse funzionali alla realizzazione
dello stesso camino, come suggerisce il confronto con una delle strutture dell’impianto
siderurgico alto medievale (praticamente
coevo) di Boécourt in Svizzera (fig. 10 e tav.
00) 31. La tipologia di fornace che ha lasciato tracce archeologiche maggiormente
riconoscibili è, certamente, quella cosiddetta ‘a catasta’ (fig. 11, B) che prevedeva
l’uso di un muretto o di una lastra in pietra/marmo per proteggere il mantice dal
fuoco. L’ingresso della tuyere era, infatti,
previsto all’interno di questi schermi di pietra attraverso l’apertura di un apposito
Fig. 5. - Scorie interne classe T4.
Fig. 6. - Scorie interne classi T5 (A) e T6 (B).
28
Le due camere battono quote diverse, la prima più profonda
relativa alla camera di combustione, la seconda con cavità appena
accennata sul livello di calpestio, in rapporto al piano di lavorazione
a crogiolo; non ci sono resti di camini di sfiato. Qui si propone la
ricostruzione di un piano di fornace con frammenti di T8 (fig. 13).
Sulle fornaci così dette a ‘riverbero’ vedi ANTONELLI, IACONE, PROSPERI et alii 2013; il trattato sui ‘fornelli a riverbero’ in BIRINGUCCIO 1540, p. 132r; vedi anche NERI 2006, p. 153 e LOWE, MASON
1987, pp. 81-156.
29
In relazione alla tipologia della fornaci a cupola si veda:
CLEERE 1972, pp. 11 ss.
30
Per la tipologia del forno a camino si vedano: TYLECOTE 1962,
pp. 152 ss.; CLEERE 1972, pp. 16 ss; HEALY 1978, pp. 188 ss.; CIMA
1991, pp. 139 ss.; ANTONELLI, IACONE, PROSPERI et alii 2013, pp.
104, 108.
31
Sul sito archeometallurgico di Boécourt si veda ESCHENLOHR,
SERNEELS 1991. Un’ulteriore ipotesi ricostruttiva è quella di un
forno fusorio a ‘cestone’, in particolare vedi NERI 2006, p. 155; ANTONELLI IACONE, PROSPERI et alii 2013, p. 108.
Fig. 7. - Rappresentazione di un forno a catino.
261
262
Fig. 8. - Scorie classe T8.
VASCO LA SALVIA
foro 32. Un frammento di lastra di
marmo, probabilmente di riutilizzo
dall’edificio romano, presenta un
orifizio che combacia perfettamente
con la scorificazione, caratterizzata
dalla presenza di un rivestimento argilloso, di uno degli ingressi di
tuyere rinvenuti in situ (fig. 11, A e
tav. 00). In totale sono stati ritrovati
18 ingressi di mantice a fronte di 11
fornaci a catasta identificate che, in
due casi, presentano impronte del
mantice sul piano. Gli ugelli realizzati in argilla e, quindi, più facilmente deperibili, sono solo due 33.
L’analisi delle diverse tipologie
di scorie e l’identificazione delle differenti forme delle fornaci ha permesso di ricostruire le molteplici
attività che avevano luogo nell’officina. Sotto forma di saggiatura/assaggio, doveva operarsi la riduzione
da minerale, come attestato anche
dal rinvenimento di un frammento di
calcopirite, anche se la fusione e la
nualmente. Nel corso del tempo questo tipo
di fornace andò incontro a diversi miglioramenti strutturali, con la realizzazione di un
piano in muratura, su cui viene di volta in
volta posto il focolare, e di un muro verticale tra la zona di riduzione e quella del mantice; è spesso anche attestata una cappa per
la raccolta e lo smaltimento dei fumi nel caso
in cui la struttura sia posta all’interno di un
ambiente, CIMA 1991, pp. 126 ss.; vedi
anche, LA SALVIA, IACONE 2011, pp. 165166; ANTONELLI, IACONE, PROSPERI et alii
2013, pp. 108-109.
33
Un simile contesto è stato rinvenuto
presso Alesia (Francia) con la presenza di
ben sette basso-fuochi, conservati in modo
frammentario, e datato fra il I a.C. ed il IV
secolo d.C., MANGIN 1982, p. 241. La parte
conservatasi delle fornaci è costituita dai
soli tagli scavati nel suolo naturale o nelle
strutture murarie precedenti, di forma circolare e, in alcuni altri casi, ovale con un
Fig. 9. - Piano di argilla stracotta pertinente alla camera di fusione di una fornace a riverbero
diametro variabile compreso fra m 0,30 e m
e sua possibile ricostruzione.
0,45 ed una profondità di m 0,15-0,20. Il pe32
Si tratta di tagli circolari caratterizzati dalla presenza di un’imrimetro della struttura è individuato da blocchi di calcare mentre la
pronta rettangolare allungata su uno dei limiti della circonferenza.
parte frontale era, molto probabilmente, dotata di un’apertura al liIl basso fuoco a catasta deriva direttamente da quello a pozzetto;
vello del suolo, chiusa con un blocco di argilla con un foro per l’alentrambi sono, infatti, costituiti da una cavità scavata nel terreno
loggiamento di uno o più mantici; in proposito, MANGIN 1982, p.
tuttavia, nel caso della fornace a catasta viene realizzata una cor244; CIMA 1991, p. 126; A1 periodo tardo antico appartiene il basso
tina come protezione dopo la prima carica di carbone e minerale; il
fuoco di Misobolo (Montalenghe-Torino): CIMA 1986, p. 177; CIMA
processo produttivo durava diverse ore e veniva governato empiri1991, p. 125; ANTONELLI, IACONE, PROSPERI et alii 2013, pp. 108camente, mentre l’areazione era assicurata da mantici azionati ma109.
Fig. 10. - Localizzazioni e principali tipologie di fornaci individuate all’interno delle aule dell’Athenaeum.
Fig. 11. - Tuyeres, ugelli (A) e fornaci a catasta (B).
264
VASCO LA SALVIA
Fig. 12. - Campioni analizzati.
raffinazione delle leghe di rame, che riutilizzava in una
qualche misura anche manufatti romani (grappe bronzee
e fistulae plumbee), dovevano rappresentare la principale
attività tecnico-produttiva 34.
Scorie, scarti di lavorazione e semi-prodotti metallici costituiscono, dunque, i principali indicatori archeometallurgici del sito di piazza della Madonna di Loreto. L’insieme di questi reperti ha fornito dati rilevanti
in grado di contribuire alla ricostruzione dei diversi cicli produttivi che iniziarono a svolgersi nell’officina che
venne a posizionarsi all’interno delle aule del foro di Traiano almeno a partire dalla fine del VI secolo. Come già
rilevato, la varietà delle tipologie delle scorie rinvenute nel sito corrisponde alla molteplicità di forme di fornaci (a camino, a catasta, a pozzetto ed a riverbero) le
cui tracce, ancora leggibili sul terreno, puntano verso
una innegabile coesistenza di diversi processi metallurgici parzialmente legati tra loro. Tutto ciò contribuisce
a strutturare un quadro artigianale complesso al centro
del quale si trovava un sistema di officina estremamente
sofisticato. La tecnologia impiegata in questi raffinati
cicli produttivi è stata per ora ricostruita su una base analitica formata da soli 36 campioni, tra scorie e frammenti
metallici, che ha permesso di riconoscere sei tipologie
di residui metallurgici corrispondenti ad altrettanti differenti tipi di processi produttivi relativi, per la maggior
34
Per tutto quanto riportato in questi paragrafi su tipologie di
scorie fornaci vedi, ANTONELLI, IACONE, PROSPERI et alii 2013, pp.
98-109.
parte, alla lavorazione di rame e delle sue leghe ed a quella del ferro;
quest’ultima, certamente, non doveva essere direttamente connessa
all’attività principale dell’officina ma
solamente accessoria ovvero necessaria per la produzione/riparazione degli strumenti di lavoro degli artigiani impegnati nella
manifattura delle leghe cuprifere e
di piombo. Inoltre, nove tipi di ‘oggetti’ metallici sono stati recuperati, accanto agli scarti dei processi
produttivi, per essere analizzati (fig.
12). Questi sono, in parte, prodotti
di rame e delle sue leghe, ricollegabili alle scorie analizzate e, parzialmente, relativi alla produzione/utilizzo del piombo nei processi
di estrazione dell’argento e del suo
successivo riutilizzo all’interno della produzione di oggetti in lega di rame. L’evidenza di quest’ultimo processo
produttivo, in associazione alla presenza di fornaci a riverbero e di lavorazione a crogiolo (viste le elevate temperature raggiunte, determinabili in base alle analisi chimico-strutturali delle scorie), lasciato aperta la fondata
ipotesi che all’interno di questa officina si svolgesse anche coppellazione.
I risultati archeometrici possono essere riassunti
come segue.
Le scorie legate al rame e alle sue leghe
Abbiamo quattro gruppi di scorie e/o materiali di scarto
A) Il principale gruppo di scorie analizzato (campioni
3, 4, 5, 6, 7, 10, 15) risulta essere legato al processo
di alligazione del bronzo piombifero (produzione
della lega Cu/Pb - figg. 11-12). I materiali utilizzati
per questo processo sono stati identificati in rame
(Cu) metallico, piombo (Pb) metallico e cassiterite
(minerale ossido di stagno, SnO2), del quale occorre,
dunque, presupporre un’importazione diretta e consapevole nel centro di Roma (fig. 13).
B) Un’altra tipologia di scorie (campioni 0, 2, 8, 9, 11)
sembra essere originata da un processo di raffinamento e purificazione di rame metallico dalle impurità. Considerando le diverse tipologie di frazione
metallica individuata nelle scorie analizzate e rela-
IMPIANTI METALLURGICI TARDO ANTICHI ED ALTO MEDIEVALI A ROMA
265
tive a questa fase della lavorazione, come materia prima può
essere stato usato sia del rame
metallico, contenente inclusi di
ferro (Fe), sia del rame metallico
con concentrazioni di stagno
(Sn) e antimonio (Sb). Il primo,
forse, un prodotto diretto dalla riduzione di mineralizzazioni a
rame e ferro, mentre, il secondo,
probabilmente dovuto al riciclaggio di leghe.
C) Una terza tipologia di scorie
(campioni 18, 21 e 22) è legata,
invece, alla lavorazione del
rame. L’elevata vetrosità della
scoria, l’alta concentrazione di
gocce di rame metallico, la presenza di solfuri di rame e la presenza di quarzo residuo non
completamente assorbito dalla
porzione fusa, puntano verso un Fig. 13. - Scorie di alligazione della lega rame, stagno e piombo.
processo di raffinamento della
I metalli
metallina impura in fornaci a crogiuolo ove la ceramica tecnica (la base della fornace stessa ed evenFra gli oggetti metallici rinvenuti nel sito ed in setuali ugelli di mantice e/o tubiere) aiutano ad
guito
sottoposte ad analisi sono state riconosciute nove
aumentare la fluidità del materiale non metallico, in
tipologie
di barrette e frammenti metallici, descrivibili
modo che le impurità residue vengano separate dal
come segue:
metallo e si leghino alla fase silicatica per defluire
in forma liquida. Il quarzo, aggiunto in ultima
a) artefatto in rame di forma circolare e sezione ovale,
istanza nel processo, potrebbe essere stato utilizzato
una sorta di ‘tondino’, la cui superficie presenta un
per limitare l’ossidazione del metallo alle alte temforte arricchimento in cloro e piccole inclusioni di
perature. La mettallina è un semi-prodotto, un seargento metallico in superficie.
milavorato, per il quale, come in precedenza per la
b)
una
barretta piatta e allungata di rame metallico (della
cassiterite, occorre immaginare una importazione
larghezza
di un centimetro, con lo spessore di mm
diretta per le necessità dell’officina e, quindi, la con2/3 e la lunghezza di cm 4) con inclusioni di solfuro
testuale presenza di una rete commerciale di apdi rame. Lo studio della superficie della barretta ha
provvigionamento.
indicato, anche in questo caso, la presenza di argento
D) Inoltre, due frammenti di forma eterogenea (camsempre associato a cloro.
pioni 13 e 16) sono stati identificati come residui
c) una barretta di rame con inclusioni di solfuri con comdi processo metallurgico e non come prodotto fiposizione mista; associato al rame troviamo, infatti,
nale. I campioni sono di rame metallico e superfiferro, argento e antimonio, indicando che la mineracialmente presentano ricristallizzazioni di ossido di
lizzazione originaria era a solfuri misti.
stagno, coalescenza di piombo e presenza di cloro
d)
piccoli
lingotti di bronzo piombifero. La composi(Cl). Questi reperti sono stati interpretati come dezione del solo bronzo è 90Cu/10Sn, nella sua totarivanti da processi di argentatura del rame tramite
lità la lega presenta una composizione equivalente a
bagnature in cerargirite fusa (AgCl), un altro mi93% Cu, 4’5% Sn, 2’5% Pb.
nerale per il quale bisogna pensare ad un’importae) un lingotto di ferro con struttura perlitica e inclusioni
zione diretta e, quindi, un ulteriore percorso
di piombo, possibilmente di assorbimento secondario.
commerciale.
266
VASCO LA SALVIA
f) un lingotto bronzifero con tracce di piombo.
g) un frammento metallico. Le composizioni puntuali
indicano che la lega bronzea è costituita da 96% Cu
e 4% Sn. Le inclusioni sono di piombo metallico e
si trovano disperse nel corpo dell’oggetto essendo,
tuttavia, concentrate maggiormente in superficie. Entrambe le indicazioni di ‘perdita’ di stagno dal corpo
dell’oggetto, rispetto agli indici dei bronzi precedenti (Cu 90%/Sn 10%) e la coaelescenza del piombo
in superficie, lasciano ritenere che si tratti di un materiale termicamente trattato. Inoltre, gocce con alta
concentrazione di argento sono state rinvenute sulla
superficie dello stesso oggetto in associazione con
la presenza di piombo, rame e stagno. È importante
notare come, anche in questo caso, l’argento sia sempre unito al cloro.
h) frammento di piombo con tracce d’argento. Ricalcolando l’ammontare di argento nel piombo si ottiene
una percentuale di 0,17, equivalente a 1700g/ton che,
se non appare elevata, sarà stata giudicata, comunque, economicamente ragionevole per il periodo in
esame specie quando la si confronti con la ratio di
epoca classica che, ad esempio, presso le miniere di
Rio Tinto in Spagna ammontava a 20000g/ton52.
i) frammenti di piombo simili a quelli descritti nel
punto (h). In questo caso, però, non si osservano contaminazioni con altri metalli. Questi prodotti, dunque, potrebbero essere derivati dalla riduzione del
litargirio dopo la coppellazione del piombo argentifero descritto al punto h) che, a sua volta, poteva essere riutilizzato nella catena operativa sia all’interno
della lega di bronzo piombifero, sia per ulteriori coppellazioni. Al momento attuale, tuttavia, non sono
stati analizzati campioni che possano fornire prove
dirette relative al processo di coppellazione di cui,
comunque, è assai plausibile ipotizzare la presenza
alla luce dell’insieme delle associazioni di materiali
archeometallurgicamente rilevanti.
All’interno dell’officina di piazza della Madonna di
Loreto, dunque, avvenivano diversi processi metallurgici per la maggior parte legati alla lavorazione del
rame e delle sue leghe ed, in alcuni casi, all’argentatura
superficiale delle stesse. Inoltre, l’estensione e la posizione dell’officina nonché l’elevato grado di specializzazione artigianale presente al suo interno (compreso il
forte valore economico dell’impresa), insieme con l’assenza di indicatori che, al momento, rivelino la presenza
massiccia di matrici e di fosse fusorie (necessarie per
la lavorazione di grandi bronzi), permettono di ipotiz-
zare che l’atelier in questione fosse connesso alla produzione di semi-lavorati di piccole/medie dimensioni,
alcuni dei quali probabilmente destinati anche alla monetazione, seppure occorre chiarire che mancano, nella
stessa officina, evidenze legate propriamente all’attività
di conio che poteva e/o doveva svolgersi, forse, altrove
seppure non troppo lontano dall’officina vera e propria.
Dunque, nel sito avvenivano, principalmente, processi
di lavorazione del metallo già ridotto altrove, mentre,
le pur presenti indicazioni di riduzione del minerale sono
da intendersi come assaggi del minerale stesso, procedimento necessario dal momento che la materia prima
arrivava da fonti e sotto forme diverse (semi-prodotti,
quali la mettallina, spoglio, minerali) ed era quindi necessario trovare un ‘grado’ di fino intorno al quale attestare i livelli produttivi. Il processo principale era
legato alla produzione di lega di bronzo piombifero e
alla sua successiva lavorazione. I tre componenti di
questa lega risultano essere rame, piombo e stagno. Il
rame utilizzato per questo processo era ottenuto da fonti
diverse, dal riciclo del rame e bronzo presenti nell’Athenaeum e da rame originariamente derivante dal
prodotto di mineralizzazioni sia a rame e ferro che a
solfuri misti che doveva giungere all’officina principalmente sotto forma di semi-lavorati (metallina). Lo
stagno, invece, era aggiunto nella lega, quasi esclusivamente, sotto forma di cassiterite (SnO2), provenendo
solo parzialmente dai bronzi riciclati. Il piombo pare derivare dalla riduzione del litargirio ottenuto durante la
coppellazione ma, come si è già accennato, ulteriori dati
sono necessari per verificare che la coppellazione avvenisse in sito. Per quanto concerne la produzione di
rame, le analisi hanno messo in luce che dovettero essere utilizzati due materiali originari, un rame ferroso
e un rame contaminato con antimonio e stagno, ricollegabile a mineralizzazioni a solfuri misti che, di norma,
contengono anche tracce di argento. Tali mineralizzazioni a rame e argento, dunque, sarebbero potute servire per produrre un bullion con gli stessi metalli che
poi avrebbe potuto essere raffinato nell’officina tramite
l’uso del piombo; per lo meno, dunque, le analisi sanciscono la presenza di questa opportunità tecnica. La
metodologia usata per questo primo screening, tuttavia,
non ha consentito ancora di rilevare il rame nel bullion
di piombo argentifero. Questa assenza del dato non può
essere considerata, comunque, come una confutazione
assoluta dell’ipotesi della produzione di argento e rame
a partire dalla stessa mineralizzazione e della successiva coppellazione.
Un quadro interessante viene fornito dai campioni
IMPIANTI METALLURGICI TARDO ANTICHI ED ALTO MEDIEVALI A ROMA
trattati ai punti (D) e (g) che presentano una forte concentrazione di cloro in superficie; in un caso il cloro è
legato al rame (D) mentre, nell’altro, all’argento (g). Nei
campioni di cui al punto (D), si osserva la cristallizzazione dello stagno in cristalli scheletrici (di rapido raffreddamento) di ossido di stagno, indicando l’avvenuto
rimescolamento della lega metallica, che avviene a temperature attorno ai 400 gradi nel caso delle leghe Cu
90%/Sn 10%. D’altro canto i campioni del punto (g),
mostrano perdita di stagno dal corpo dell’artefatto e coalescenza di piombo nelle zone superficiali. Entrambi
questi fattori indicano l’avvenuto trattamento termico
dei materiali. Una tale affinità strutturale non può che
essere scientificamente spiegata come il risultato di una
stretta correlazione tecnico-produttiva fra i campioni D)
e g): mentre D) è il residuo, g) sarebbe, quindi, il prodotto finito del trattamento ad alta temperatura della lega
bronzea piombifera in presenza di cloruro di argento per
ottenere l’argentatura superficiale dell’oggetto in lega
bronzea. In relazione a tale processo, è interessante notare che già Cope nel 1972 descriveva tale procedura
produttiva in relazione a delle monete prodotte in
Oriente fra III e IV secolo d.C., sostenendo che il bronzo
venisse bagnato in cerargirite (AgCl) fusa in modo da
attivare la reazione di scambio ionico tra rame e argento
per ottenere un legame fra rame e cloro e la deposizione
dell’argento, infine, sulla superficie dell’oggetto. Gli oggetti qui descritti, paiono entrare perfettamente nella categoria descritta da Cope. Tuttavia, Vlachou et alii,
recentemente hanno criticato la teoria di Cope, insistendo
sulla sua ‘presunta’ scarsa praticità nel caso di un processo su larga scala. Questi autori ritengono, infatti, che
una reazione elettrochimica che coinvolgesse un amalgama di mercurio avrebbe rappresentato una spiegazione
più plausibile (certamente più ‘tradizionale’) in relazione
alla attivazione dello scambio ionico. Senza voler entrare nell’ambito di tale dibattito, va tuttavia rilevato che
la co-presenza nell’officina di piazza della Madonna di
Loreto di scarto e risultato finale, entrambi indicanti trattamenti ad alta temperatura, e la mancanza di rilevamento di mercurio, fanno, comunque, ipotizzare che
proprio il processo suggerito da Cope sia da ritenersi il
più simile a quello realizzato a Roma 35.
Differente, invece, il caso dei campioni di cui ai punti
a) e b), che pure presentano un trattamento di argentatura in qualche modo simile. L’oggetto di forma circolare e sezione ovale a) è, come detto, di rame.
All’interno del corpo dell’oggetto non è stata rinvenuta
alcuna contaminazione. La struttura è equi-granulare,
indicante un possibile casting in forma di fusione. È,
267
tuttavia, molto interessante notare che la superficie dell’oggetto presenta un forte arricchimento in cloro e piccole inclusioni di argento metallico. La barretta piatta
b) è anch’essa di rame metallico con inclusioni di solfuro di rame. Le inclusioni sono allungate seguendo la
lunghezza della barretta, indicando un processo di martellatura. Anche in questo caso, lo studio della superficie della barretta ha indicato la presenza di argento
associato a cloro. Nessuna indicazione di argento è stata
rinvenuta nel corpo della barretta. Appare evidente, che
il manufatto appena descritto e quello descritto al punto
(a) abbiano subito lo stesso processo di argentatura. Dal
punto di vista strutturale, tuttavia, i due oggetti non mostrano alcuna correlazione e, quindi, devono essere stati
prodotti per uso differente, avendo in comune solo il
processo di argentatura delle superfici sempre attraverso il probabile uso di cerargirite.
Complessivamente, dunque, relativamente al ciclo
del rame, i dati ottenuti presentano una situazione che
prevedeva più processi paralleli, quello del raffinamento
di rame metallico ottenuto da fonti diverse (uno da metallo derivante da solfuri misti, e uno da minerali di rame
e ferro), la produzione di piombo, probabilmente ottenuto da riduzione di litargirio legato alla coppellazione
(vista la presenza di piombo argentifero) oltre che dal
possibile riutilizzo delle fistulae, e la produzione di
bronzo piombifero, che pare essere il prodotto principale dell’officina, con l’aggiunta diretta di minerale di
cassiterite, oltre al metallo riciclato (fig. 14). Anche questa lega cuprifero-piombifera viene ad essere in parte
soggetta al processo di argentatura tramite bagni in cerargirite fusa, come descritto in precedenza. D’altro
canto, anche oggetti di rame, hanno subito lo stesso processo di argentatura, come dimostrato dalle analisi sul
manufatto di forma circolare/ovale a) e sulla barretta
b), che derivano da lavorazioni diverse del rame, ma
che paiono subire lo stesso tipo di trattamento superficiale.
Il processo metallurgico maggiormente in opera nell’officina di piazza della Madonna di Loreto fu, senza dubbio, proprio quello legato alla produzione di lega di bronzo piombifero e alla sua successiva lavorazione (fig. 14).
I tre componenti di questa lega sono, appunto, rame, piombo e stagno, secondo una proporzione e composizione che
sembra essere tipica della produzione occidentale differenziandosi in maniera netta da quella della pars orientis che invece si caratterizza per la massiccia presenza di
35
COPE 1972, pp. 261-278; VLACHOU, MCDONNELL, JANAWAY
2002, II9.2.
268
VASCO LA SALVIA
Fig. 14. - Lega di bronzo prodotta.
zinco 36. Dai risultati appena discussi si può concludere
che il rame utilizzato per questo processo derivi in parte dal riciclo di rame e bronzo presente nell’Athenaeum
e, per altra porzione, dalla lavorazione di semi-prodotti
di rame metallico (metallina), appositamente importati,
ed originariamente derivanti dalla lavorazione di mineralizzazioni sia a rame e ferro che a solfuri misti. Lo stagno viene aggiunto nella lega come cassiterite (SnO2) e
deriva, quindi, solo parzialmente dai bronzi riciclati. Il
piombo, in ultimo, sembra derivare dalla riduzione del
litargirio ottenuto durante la coppellazione, che si presume
avvenisse in situ, oltre che dal riciclo delle tubazioni romane. Occorre precisare, tuttavia, che indicatori diretti
della coppellazione non sono stati analizzati in questa prima fase investigativa. Tuttavia, l’attestazione di fornaci
a riverbero insieme al rinvenimento di pianetti di cottura (anche parzialmente ricostruiti) e, quindi, l’indubbia
esistenza di una lavorazione al crogiolo, quando sia valutata assieme alla quantità/qualità dei prodotti della lavorazione del piombo, rende plausibile l’ipotesi che all’interno dell’officina di piazza della Madonna di Loreto
si svolgesse effettivamente un’attività di coppellazione
per la produzione di argento. In effetti, la coppellazione
rappresenta propriamente la fase finale del trattamento
delle vene polimetalliche e dei processi di alligazione che
sembrano esser stati il nocciolo del lavoro dell’officina
romana. Il piombo, infatti, potrebbe essere derivato
36
DRANDAKI 2005; PERIN 2005; PITARAKIS 2005.
dalla lavorazione, meglio riduzione,
del litargirio dopo la coppellazione
per essere, successivamente, riutilizzato nella lega del bronzo piombifero. Questo procedimento, denoterebbe la capacità di utilizzare tutto
il materiale a disposizione in officina senza sprechi. Purtroppo, però, al
momento, non abbiamo riscontrato
tracce di argento in nessuna delle scorie analizzate e, d’altro canto, non è
lecito attendersi di ritrovare tale metallo all’interno del piombo, evidentemente depauperato dopo la coppella. L’unica eccezione è il campione
di piombo contenente lo 0,17% di Ag
che potrebbe essere, dunque, proprio
un frammento di bullion di piombo,
nonostante presenti un notevole abbassamento della quantità ritenuta
economicamente valida per lo sfruttamento di minerali
argentiferi rispetto all’epoca classica, come si vedrà meglio in seguito. Tuttavia, se il minerale processato per la
coppellazione fosse stato in partenza a base rameosa, sarebbe lecito aspettarsi di trovare tracce dello stesso metallo all’interno del piombo alla fine del processo stesso: questo sembrerebbe essere il caso del nostro campione
26, uno scarto di lavorazione che si presenta come una
colatura di piombo con circa lo 0,5 di rame. Una tale ipotesi tecnica trova riscontro anche in altre zone, nel caso
dei forni da coppellazione di epoca romana di Hengistbury
Head che sembrano avere utilizzato minerali cupriferi ricchi di argento dell’area di Callington in Cornovaglia, come
riportato da Tylecote. D’altro canto, è noto che le analisi delle mineralizzazioni a rame, e dei solfuri misti in particolare, lasciano osservare anche la presenza di argento. Esiste, dunque, come già accennato, la possibilità che
la mineralizzazione a rame e argento servisse proprio per
produrre un bullion di rame e argento che poi veniva raffinata nell’officina tramite l’uso del piombo. La metodologia usata per questo primo screening non permette
la rilevazione di rame nel bullion di piombo argentifero
prodotto in questo modo. Questa assenza del dato non confuta, tuttavia, l’ipotesi della produzione di argento e rame
a partire dalla stessa mineralizzazione. Nell’analisi dei dati
ottenuti dal piombo argentifero (al punto h), ricalcolando la quantità di argento che era possibile raccogliere a
partire dalla mineralizzazione, pari 1 a 1700 g/ton, occorre
osservare che questa quantità risulta essere, in effetti, nettamente inferiore rispetto a quella prelevata in età im-
IMPIANTI METALLURGICI TARDO ANTICHI ED ALTO MEDIEVALI A ROMA
269
periale. Ad esempio, presso le miniere di Rio Tinto la
quantità era di 20000 g/ton. Questa differenza fornisce
un’indicazione estremamente importante su quello che
veniva ritenuto economicamente valido al fine dello sfruttamento minerario in questo periodo storico, laddove i limiti geografico/politici sembrano imporre restrizioni economiche assai superiori rispetto a quelle del II secolo d.C.
a cui i dati di Rio Tinto si riferiscono 37.
La descrizione delle tecniche del processo di argentatura, o meglio di amalgama fra metalli vili e preziosi
apre una lunga serie di questioni. I risultati analitici presentati dal collega R. Bertoncello dell’Università di Padova nel 2007 in occasione di un Seminario sulla lamina
di Agilulfo, possono aiutare a fare ulteriore luce sulle
conoscenze metallurgiche del periodo in esame e sulla
trasmissione/trasferimento di questo tipo di tecnologie
fra VI e VII/VIII secolo. La lamina di Agilufo, nella
quale evidentemente convivono e si integrano patrimoni ed influssi culturali differenti che possiamo chiaramente riconoscere in quelli di matrice barbarica ed in
quelli di origine romano-mediterranea, presenta una
complessità di forme e simboli che come vedremo è
prima di tutto una complessità tecnologica e non solo
affatto formale. Che il programma iconografico dell’oggetto in questione sia largamente ispirato a fonti romano-ravennati è fuor di dubbio, così come è altrettanto
palese che la rappresentazione del re risponda a canoni
germanici, come ormai ben provato anche dalle iconografie riportate dagli anelli-sigillo ad essa coevi. Dal
punto di vista tecnologico, le analisi confermano che il
substrato di lamina di rame è stato rivestito con deposito di oro in amalgama di mercurio; tuttavia, ciò che
appare assai interessante è che a parte la composizione
del sub strato di rame, composto in sezione oltre che
dal rame da inclusioni costituite da piombo (Pb), antimonio (Sb), bismuto (Bi) e piccole quantità di stagno
(Sn), come nel caso romano, dalla zona del substrato di
rame avvicinandosi alla zona d’interfaccia rame/oro
sono presenti tracce di cloro in aumento verso l’interfaccia e all’interfaccia anche del silicio 38. Dunque,
anche in questo caso, seppur con l’aggiunta del mercurio (che a Roma potrebbe non essere stato rilevato a
causa dei processi ad alta temperatura subiti dai semi-
prodotti), il cloro e forse la medesima cereargite potrebbero aver giocato un ruolo nella gestione dell’amalgama fra i due metalli. È importante notare che
l’elevato tenore di rame presente nel rivestimento d’oro
del campione dona al pezzo specifiche caratteristiche
meccaniche ovvero la possibilità di curvare o raddrizzare la lamina senza arrecare danni sullo sbalzo dei rilievi data la mancanza di una netta discontinuità
nell’interfaccia rame/oro ed invece una elevata continuità di composizione con elevato tenore di rame anche
nel rivestimento d’oro. Lo stesso si potrebbe pensare
dei prodotti romani ovvero la produzione di un
barra/semi-prodotto con caratteristiche meccaniche atte
a subire modifiche successive alla prima produzione
senza evidenti danni all’adesione dell’argento al rame
a seguito delle sollecitazioni meccaniche di modifica,
condizioni che, per parte mia, continuo a ritenere ideali
per le operazioni di conio (fig. 15 e tav. 00).
La riflessione intorno alle caratteristiche tecniche
della Lamina di Agilulfo, data la sua provenienza e localizzazione, nonché alcune date caratteristiche mineralogiche riscontrate nei componenti della lega, specie
in riferimento alla presenza di Sb e Bi, ‘costringe’ a tornare a pensare alla Toscana e all’ipotesi che proprio in
questa zona possano trovarsi alcune delle fonti per le
materie prime lavorate dalle officine di piazza della
Madonna di Loreto (in prima istanza, come indicato dalle
analisi archeometriche metallina e cassiterite). Essendo
ancora privi, allo stato attuale della ricerca, di riscontri
archeometrici e propriamente geominerari, tale paradigma resta, in gran parte, indiziario ma è possibile, tuttavia, avanzare delle ipotesi discretamente attendibili
sulla base della documentazione, tanto archeologica
quanto scritta, attualmente a nostra disposizione sulla
medesima zona. Per la regione Toscana, infatti, più precisamente per il territorio di Lucca, abbiamo a disposizione dei documenti scritti compresi fra il 742 e il 773
(dunque, circa cento anni più tardi rispetto al periodo
da noi analizzato in relazione all’officina romana) che
fanno menzione di calderari, ovvero lavoratori del rame.
Uno di questi, ha delle proprietà in località Cecina,
un’area ricca in mineralizzazioni di rame, presso Volterra e non lontana dal Campigliese (colline Metallifere)
Per quanto concerne il dato archeometrico, riportato in questi
paragrafi, e che si deve, come detto, al lavoro di L. Anguilano (ETC
Brunel, London), si faccia riferimento ad ANGUILANO, LA SALVIA
c.s.; ANGUILANO, LA SALVIA, ANTONELLI et alii c.s.; ANGUILANO, LA
SALVIA, TORNESE 2014, vol. II, pp. 1819-1822.
38
Comunicazione orale fatta da R. BERTONCELLO (Università di
Padova), Analisi chimiche del rivestimento aureo della lamina di
Agilulfo, in Storia e Archeologia dell’alto medioevo, Seminario interdisciplinare, Anno accademico 2006-2007 (7 marzo 2007, Sala
del Consiglio, Dipartimento di Storia, Università di Padova), dal titolo La lamina di Agilulfo: nuove ricerche. Per quanto riguarda una
analisi storica della lamina di Agilulfo vedi, KURZE 2002a, pp. 6982 e KURZE 2002b, pp. 83-84, 88-89.
37
270
VASCO LA SALVIA
Fig. 15. - Cloro, argento e lega di bronzo piombifera.
dove sono localizzate altre importanti fonti minerarie,
fra le quali presso monte Valerio la cassiterite. Dalla
stessa città di Lucca da stratigrafie pertinenti invece propriamente ai secoli VI e VII provengono gli scarti di
un’officina di lavorazione delle leghe di rame che insiste, fra l’altro, su un’area che già nel secolo IV aveva
visto la presenza di attività metallurgiche, rievocando
forse una certa tradizione metallurgica di origine tardo
romana che potrebbe essere stata legata anche alla presenza, nel medesimo municipio e per la stessa epoca,
di una fabbrica imperiale di armi, citata dalla Notitia
Dignitatum 39. Tracce di produzione di leghe cuprifere
provengono anche dalle stratigrafie delle ultime fasi di
occupazione della Domus dei mosaici di Roselle (Grosseto) e, sulla base dell’analisi tipologica di orecchini e
39
NOT. dign. occ. IX, 29 (éd. Seeck, 1876).
fibule, non è improbabile riconoscere l’opera di una o
più botteghe locali che operavano nella zona probabilmente attraverso l’utilizzo delle risorse locali in favore
della nuova aristocrazia longobarda, secondo modelli
tecnici e culturali fortemente integrati. Una di queste
officine potrebbe essere stata localizzata a Luni, area
da cui proviene un ritrovamento diretto assai importante,
ovvero una matrice in pietra per oreficeria probabilmente
associata ad una fornace per la produzione metallurgica
e rinvenuta nel corso degli scavi del 1978. La matrice,
in origine bivalve ma di cui si conserva solo una delle
due forme, era in marmo di locale e presenta lo stampo
per un pendente a croce di collana o di orecchini a cestello. Dunque, il contesto generale di questa regione
presenta un insieme di indicatori che potrebbero mostrare che nella produzione metallurgica, e in quella dei
non ferrosi in particolare, non fossero in atto solo fenomeni di ri-uso e riciclo della materia prima ma anche
IMPIANTI METALLURGICI TARDO ANTICHI ED ALTO MEDIEVALI A ROMA
271
attività di estrazione diretta di minerale, seppure solo
su scala sub regionale. Da questo punto di vista, potrebbe non essere un caso che proprio negli archivi
della cattedrale di Lucca si conservi un manoscritto del
secolo VII concernente la metallurgia dei non ferrosi,
contenuto in una parte del Liber Pontificalis del Codex
Lucensis 490 pubblicato nel 1739 da L.A. Muratori. Alla
luce di quanto detto, l’inclusione del territorio che collega Monteverdi a Massa Marittima, una zona ricca in
risorse minerarie e boschi, all’interno della iudiciaria
lucense dimostra, da un lato l’interesse delle elites urbane lucchesi nel controllo di quella porzione specifica
di territorio e, dall’altro, come questo interesse fosse giustificato/bile dalla possibile persistenza, per la medesima
zona, di attività minerarie e di trasformazione del metallo. La volontà di includere questo territorio da parte
dell’aristocrazia lucchese è ben attestata dalla fondazione
dei monasteri di S. Pietro di Monteverdi e Santo Regolo: il primo fondato nel 753, sembra nascere proprio
con lo scopo di controllare importanti giacimenti di metalli preziosi presenti nei possessi di alcuni esponenti
dell’aristocrazia lucchese e pisana, già detentori di uffici pubblici ma all’epoca in forte dissidio con l’autorità regia. L’abbazia ebbe, infatti, sede in un’area
marginale, il Cornino, situata in iudicaria Lucensi ed al
confine tra la diocesi di Populonia e quella volterrana.
Il sito prescelto per il monastero era prossimo ad una
delle maggiori concentrazioni di ‘oro invisibile’ della
Toscana (l’area di Monterotondo) e collocato al centro
di ricchi distretti minerari (il Massetano, l’alta Val di
Cornia ed il Campigliese), entro i quali deteneva un vasto
patrimonio fondiario. Una connessione di questa istituzione religiosa con lo sfruttamento delle risorse minerarie appare ancor più probabile quando si consideri la
contestuale fondazione del monastero femminile di S.
Salvatore a Pitiliano sulla riva del fiume Versilia, vale
a dire nello scalo marittimo naturale delle maggiori miniere apuane; il secondo, invece, venne fondato proprio
nel distretto minerario massetano ove si estendeva una
vasta area fiscale, il waldus regis, in cui ancora nel 780
si trovava un maior selvani, al cui interno venne posi-
zionato l’importante monastero, vero e proprio indicatore della presenza longobarda lucchese. Inoltre, il rinvenimento di una moneta aurea (un tremisse), presso
Montebamboli, non lontano da Massa Marittima, nel
cuore delle colline Metallifere, sottolinea l’importanza
di questi luoghi rispetto ai centri di potere e di mercato
locali e sub regionali 40.
40
Sull’insieme di questi argomenti relativi alla Toscana si veda,
CINI, PALUMBO, RICCI 1979-1980, pp. 37-54; MICHELUCCI 1985;
TONDO 1990, p. 761; CIAMPOLTRINI, NOTINI 1990, pp. 561-592; CITTER 1997, pp. 185-211; CITTER 1998, pp. 179-195; CIAMPOLTRINI
2011, in particolare pp. 57-58 e 65-66.
41
Sull’integrazione dei patrimoni tecnici vedi, GIANNICHEDDA
2006, pp. 194-5: «It is not now credible to maintain a clear distinction between the Late Roman-Byzantine goldsmith and his barbarian counterpart: in fact, the more precious and the less bulky the
material was, the more transportable were it and its artisans; the ico-
nography, for example on the silver plates, shows the coexistence
of pagan and Christian depictions, whilst technical analysis of Early
Medieval dress ornament shows a high level of interchangeability
of finishing processes between ‘Barbarian’ and Roman metalwork».
Sul medesimo argomento, leggi LUSUARDI SIENA, GIOSTRA 2003, pp.
925-27 e pp. 929-930: «Quanto allo stile, l’ambiente cosmopolita
che dovette contraddistinguere i laboratori metallurgici tardoantichi
e più tardi gli ateliers di corte come quelli di Eligio orafo e monetiere alla corte merovingia di Clotario II e Dagoberto (629-639) [...],
autorizza ad immaginare anche in Lombardia la compresenza di ar-
Conclusioni
Al termine di questo percorso di indagine storicotecnologico rimane da comprendere in che modo utilizzare l’insieme dei dati archeologici ed archeometrici
desunti a partire dalla analisi della tecnologia e dell’organizzazione della produzione presenti nell’officina
di piazza della Madonna di Loreto e attraverso la sua
comparazione con esempi vicini e lontani, in modo da
presentare un modello coerente dal punto di vista storico-economico. Alcuni punti possono essere, così,
messi in rilievo.
In primo luogo, appare plausibile ritenere che fra
la seconda metà del VI e il VII/VIII secolo il polo metallurgico toscano fosse non solo attivo ma anche in
grado di muovere materia prima a medio/lungo raggio. In questa zona, l’insieme delle evidenze confluisce in un orizzonte che ci segnala la presenza e
l’attività di officine dalla cultura tecnica variegata e
composita (e materialmente condivisa) e che integrano
diversi patrimoni tecnici, produttivi, culturali e iconografici al servizio della nuova classe dirigente longobarda. Una aristocrazia che, come si è visto per il
controllo della lucchesia e della seppur tarda fondazione di S. Pietro e S. Regolo, dimostra un particolare
interesse verso le aree con risorse minerarie. In questa direzione, seppure in un ambito tecnologico differente, in quanto legato alla produzione siderurgica,
sembra andare anche la fondazione del villaggio minerario di Miranduolo, luogo in cui si trova una sicura
fonte di approvvigionamento di materia prima ed il cui
sfruttamento e possesso potrebbe essere stato di origine pubblica/fiscale 41.
272
VASCO LA SALVIA
La definizione di una tecnica specifica di amalgama
fra metalli vili e preziosi, di probabile origine bizantina-orientale, che le officine della penisola italiana,
prime fra tutte quelle di Roma e Ravenna (ma, come si
è visto non solo, essendosi precocemente diffusa anche
fra le maestranze del Regno), nel corso del secolo VII
imparano ad utilizzare per la produzione di oggetti specifici. Tecnica complessa che non consisteva nella ‘semplice’ creazione di una pregiata patina superficiale ma
nella produzione di una vera e propria lega atta a cerare la mancanza di una netta discontinuità nell’interfaccia metallo vile/metallo prezioso ed, invece, una
discreta continuità di composizione con elevato tenore
di rame anche nel rivestimento di fino. Fra i campioni
romani, come detto, 5 indicano la presenza di processi
di argentatura (fig. 15): 2 sono scarti di lavorazione (D),
un frammento di oggetto in bronzo piombifero (g) e un
‘tondino’ (a) e un lingottino in rame (b). I campioni D
e g sono il risultato del processo di argentatura del
bronzo piombifero mentre gli altri due sono il frutto dell’argentatura diretta del rame e, possibilmente, di due
processi differenti 42.
3) Senza dubbio, la storia delle aule del Foro di Traiano, in origine pensate, costruite ed utilizzate come sede
per lezioni di retorica e filosofia, e divenute nel corso
delle trasformazioni dello spazio urbano tardo antico
un’officina metallurgica, segnala un drastico cambiamento, perlomeno una significativa mutazione di destinazione d’uso, definibile come un forte indice di
rottura rispetto all’eredità del passato classico. Tuttavia,
la loro stessa localizzazione, all’interno dell’area forense,
e perciò stesso il possibile mantenimento di uno status
pubblico (anche pensando al tipo ed alla qualità della
produzione specializzata, a maggior ragione importante
data la stretta relazione con i metalli monetabili), sembra insistere, invece, su una linea di continuità dell’esperienza tardo romana. Ovviamente, si tratta in
questo caso di una continuità non strutturale ma, piuttosto, di natura funzionale-giuridica ovvero relativa al
solo mantenimento del controllo pubblico su determinati cicli produttivi e, probabilmente, di ‘importazione’
bizantina e quindi, forse, non del tutto endogena. Tuttavia, attraverso la ricostruzione del percorso tecnicoeconomico ed organizzativo dell’officina romana di
piazza della Madonna di Loreto sembra perpetuarsi la
storia di un vincolo pubblicistico sui cicli metallurgici,
che si manterrà in seguito per tutto l’alto Medioevo e
troverà la sua sublimazione, il suo sigillo, per così dire,
nella seconda dieta di Roncaglia (1158) e che trae la
sua origine proprio nella complessa gestione del rapporto fra proprietà e fiscalità di origine tardo-romana 43.
Il mantenimento di strategie produttive e di eventuali
tisti di formazione mediterranea classica, ‘bizantini,’ accanto a rappresentanti della componente germanico-orientale e nordica già parzialmente integrati nell’ambiente della Milano tardoantica ed
ostrogota e affiancati poi dalla componente pannonica di ultima generazione legata all’immigrazione longobarda; ed è fuori discussione
il ruolo svolto dal bacino carpatico-danubiano come luogo di fusione, nella cultura materiale, di apporti orientali, germanici e tardoantichi/bizantini»; LA SALVIA 2007, p. 72: «It is clear, however,
that this process of transformation that Lombard technical/artistic
culture was undergoing, as a result of contacts with the Mediterranean area, presupposes continuity of craftsmanship and a stable workshop organization which allowed continuous upgrading of technical
procedures aimed at modifying the products as the tastes of commissioners evolved, commissioners who had become gradually accustomed to the rights, the language and customs of the
Mediterranean regions. Thus, the absorption of Roman-Byzantine
models and their use within a wider artisan context takes into consideration technical-productive skills of Lombard craftsmen as well
and assumes that the workshops were able to keep functioning continuously»; LA SALVIA 1998, pp. 16-18. Sulla Toscana cfr. DE MARCHI 2000, p. 284: «In Toscana l’epicentro della produzione di preziosi
è Lucca e circondario, i documenti scritti vi ricordano 5 orefici, 3
calderai e monetieri, mentre a Pisa è attestato un orafo e a Pistoia
un fabbro. La distribuzione dei mercanti è molto interessante, se confrontata con le attività produttive, perché sono presenti soprattutto
a Lucca e a Pavia, e sembrano quindi convergere verso i centri di
produzione e/o di smercio»; su Miranduolo, LA SALVIA 2012, pp.
640-643.
42
ANGUILANO 2013, pp. 140-145; è stato utilizzato il SEM per
l’investigazione degli strati di corrosione per individuare la distribuzione di Ag e Cl. Il ‘tondino’ è stato invece sottoposto ad analisi
di spettrometria di massa a tempo di volo per ioni secondari e XRF
anche per determinare l’eventuale presenza di Hg e, quindi, l’uso
di pasta di Mercurio durante il processo di argentatura (risultato assente). Importante notare, inoltre, che queste analisi mettono in evidenza la possibilità di creare un protocollo di analisi non fortemente
invasivo in grado di individuare elementi che normalmente possono
sfuggire alle procedure di routine in laboratorio: senza l’ausilio del
XRF, infatti, non sarebbero state riscontrate tracce del processo di
argentatura superficiale.
43
L’argomento relativo alla continuità del vincolo pubblicistico
intorno al ciclo produttivo metallurgico (e dei metalli monetabili in
particolare), della posizione/localizzazione delle sedi degli impianti
di lavorazione rispetto al potere (pubblico o privato che sia), della
sua relazione con la fiscalità, è questione antica e variamente dibattuta ma certamente fondamentale, per cui risulta difficoltoso riassumerla in una singola nota. Vale, tuttavia, la pena ribadire alcuni
punti sullo sviluppo del diritto minerario tra tarda antichità e alto
Medioevo, ricordando alcune delle principali indicazioni bibliografiche. Come detto, fra gli altri, da PORSIA 1989, pp. 248-251, le principali dinamiche su cui la storiografia si è nel tempo concentrata
sono, da un lato, quelle relative al nascere e al consolidarsi del diritto dello stato, delle élites o comunque della pubblica autorità di
porsi quale unico proprietario del sottosuolo, anche di quello appartenente in linea di principio al privato, considerandolo demaniale
e, comunque, dello stato qualsiasi titolo giuridico gravasse sulla superficie e, dall’altro, quelle legate al sorgere, in contrasto con il primo,
delle libertà minerarie e del diritto del lavoro così come garantito e
normato dagli statuti minerari del pieno medioevo. La storia dell’affermazione del principio giuridico secondo il quale il possesso
di minerali, di quelli preziosi in particolare, estratti da qualsivoglia
terreno, anche da quello dei privati, fosse attributo esclusivo della
IMPIANTI METALLURGICI TARDO ANTICHI ED ALTO MEDIEVALI A ROMA
273
rotte di approvvigionamento sono un altro argomento
centrale in relazione alla questione della continuità rispetto al mondo Romano. L’officina, di indubbia tradizione classica nella sua organizzazione e nei suoi
processi tecnici, e il possibile mantenimento di rotte di
approvvigionamento per le materie prime tradizionali
per la tarda antichità, qualora fosse confermata una provenienza dalla zona del Campigliese per metallina e cassiterite, in prossimità del Monte Valerio, e delle colline
Metallifere, ovvero l’assai plausibile ipotesi toscana, oppure una più suggestiva provenienza calabrese, dunque,
sono indici altrettanto importanti. Tuttavia, anche in
questo caso, siamo di fronte ad una soluzione di continuità rispetto ad un procedere che, erroneamente, ci si
aspetterebbe lineare ed uniforme in rapporto alle esperienze del passato classico. Tale differenza, tuttavia,
non implica un meglio o un peggio ma indica solamente
l’esistenza di due percorsi tecnologici parzialmente divergenti, segno che il quadro economico di riferimento
doveva essere mutato e, con esso, la stessa specializzazione artigianale. In epoca imperiale, infatti, immaginare una installazione produttiva di tali dimensioni e
complessità nel cuore dell’Urbe sarebbe stato probabilmente impossibile, non solo ideologicamente ma
anche dal punto di vista dell’organizzazione della produzione. Il sistema economico romano classico non pre-
vedeva, infatti, una concentrazione di tante differenti attività manifatturiere, seppur pertinenti ad uno stesso
ciclo produttivo, all’interno di una medesima struttura
collocata per di più in un contesto pienamente urbano.
A Rio Tinto, in Spagna, riduzione, raffinazione ed alligazione venivano effettuate a grande distanza le une
dalle altre, seppure all’interno di uno stesso distretto industriale e, comunque, pur sempre in ambito ‘rurale’. I
lingotti di piombo, rame e stagno viaggiavano, inoltre,
dalle Province (e qualche volta anche da oltre limes,
come sembra provare il caso del ‘piombo germanico’)
verso officine specializzate e soprattutto verso le zecche, poste nelle città e ne saturavano i mercati. Ora, l’officina di piazza della Madonna di Loreto, sembra
presentare un quadro assai differente, una situazione in
cui la concentrazione della specializzazione e della manodopera qualificata è assai elevata, un’organizzazione
produttiva che propone un modello nuovo rispetto alla
eredità del mondo classico, forse definibile come già
‘medievale’, per cui l’esercizio ed il mantenimento del
controllo del vincolo pubblicistico diviene, allo stesso
tempo, motivo e conseguenza della necessità di raccogliere in uno stesso luogo combustibile, materia prima
e fondenti, in un’operazione complessa, dispendiosa e
complicata. La scala ed il volume produttivo dell’officina in esame (decisamente notevole nel suo complesso
sovranità ha precedenti giuridici remoti che possono essere rintracciati in età anche molto antiche e che rimanda a regimi di sfruttamento possibilmente già esistenti per le miniere di Laurion e
dell’Attica del V e VI secolo a.C. ed è, essenzialmente, legato allo
sviluppo della fiscalità pubblica e del diritto di battere moneta. Alcuni riferimenti legislativi più recenti forniscono, tuttavia, maggiori
informazioni in proposito ed appaiono più pertinenti al quadro delle
questioni qui in argomento. Ad esempio, le lettere di Teodorico in
relazione alle ferriere dalmatiche o quelle indirizzate a Duda Saione per la ricerca di metalli nobili nelle sepolture, nelle quali numerosi sono i rimandi alla pubblica utilità e all’obbligo di rivendicare
i beni «fideliter compendio publico», lasciano intravedere un principio di totale avocazione delle ricchezze del sottosuolo allo stato.
La citazione «aurum enim sepulcris iuste detrahitur, ubi dominus
non habetur» contenuta nell’ultimo documento richiama da vicino
il dettato di una legge e chiarisce come e quanto fosse e/o potesse
essere assimilato al diritto del sottosuolo quello dei tesori nascosti
e contenuti in monumenti e sepolcri che sembra, dunque, percorrere un percorso parallelo al primo (relativo, quindi, alla supremazia dello stato nella gestione delle risorse, di ciò che viene
considerato materia prima). Secondo quanto richiamato dal codice
giustinianeo, inoltre, chi scavava in terre private doveva pagare decime oltre che al padrone del fondo anche al fisco. Il diritto giustinianeo prevedeva, quindi, una tassa da pagare allo stato per
l’estrazione del minerale anche se da terre private, evidenziando così
una competenza pubblica generale sulla gestione del sottosuolo. La
legislazione longobarda e del regno d’Italia, d’altro canto, non fa
cenno diretto alla scoperta di metalli vietando, tuttavia, che le tombe
fossero violate per l’asportazione di tesori ritenendo, invece, il di-
ritto di monetazione e di raccolta dell’oro dai fiumi prerogativa regia
(Editto di Rotari, datato al 643, al famoso capitolo 242 dedicato alla
moneta, che recita «si quis sine iussionem regis aurum figuraverit
aut moneta confinxerit, manus ei incidatur»; nelle Honorantiae civitatis Papiae, un memoriale del principio dell’XI secolo ma che si
riferisce ai tempi del re Ugo e descrive una situazione anticipabile
al periodo precedente, «sunt etiam omnes auri levatores qui mittunt
rationem ad cameram Papiae et numquam debent alicui aurum venumdare per sacramentum et debent ad illum consignare et camerario», cfr. 1454, 15; 1455, 1; 1456, 1). Anche nel Capitulare de
Villis, agli amministratori dei beni regi era imposto di rendere conto
annualmente «de ferraris et scrobis, id est fossis ferraricis, vel aliis
plumbariciis», che risultavano così proprietà dell’imperatore. La proprietà del sottosuolo restava così del sovrano, per diritto non scritto,
forse consuetudinario, ma cogente e universalmente accettato. Palesemente, invece, e con forza ed autorità, Federico I proclamava
nella II dieta di Roncaglia (novembre 1158) appartenere al sovrano
la regalia sulle miniere equiparandola a quella sulla coniazione delle
monete ribadendo, non casualmente, nel diritto di battere moneta
una prerogativa regale che la tradizione aveva mantenuto a lungo
in mano statale in tutti i così detti regni romano-barbarici, come testimoniato dai relativi testi legislativi. In proposito vedi anche, CUQ
1911, pp. 347-348, 349; ANDREAU 1989, pp. 87-88, 91, 93-94, 96,
99, 101, 111; BRAUNSTEIN 1992, pp. 35, 36-37; FARINELLI, FRANCOVICH 1994, pp. 447, 448, 450, 451, 452, 453-454; SPUFFORD 1998,
pp. 9, 16, 18, 23-24; LUDWIG 2006, pp. 235-248; BRIENTA 2007, p.
53; BOWMAN, WILSON 2009, pp. 21, 38, 68, 286, 303; HIRT 2010,
leggi l’intera introduzione per una visione di insieme sulla questione
storiografica e pp. 360, 366, 367.
274
VASCO LA SALVIA
in Urbe per un periodo comunque compreso fra la fine
del VI e l’intero arco del VII secolo), presuppone l’esistenza di una iniziativa ‘politica’ in grado di mantenere
costanti il livello della manodopera specializzata e dell’approvvigionamento delle materie prime in questo
modo proponendo, un ulteriore indizio verso la funzione
se non propriamente di zecca pubblica certo di ambienti
officinali ad essa e con essa strettamente integrati e connessi. A tal proposito, alcune recenti riflessioni di Coarelli in merito alla localizzazione, al funzionamento, alla
struttura nonché intorno al momento della cessazione
della attività della zecca imperiale, individuata nel complesso sottostante l’attuale basilica di S. Clemente in
Roma, potrebbero fornire ulteriori indizi in favore di una
tale ipotesi. In prima istanza, avendo cessato la produzione intorno alla metà del IV secolo d.C., occorre per
forza di cose pensare ad un altro luogo per il posizionamento della zecca tardo-romana che, dunque, potrebbe avere trovato la sua sede fra la fine del VI e il
corso del VII secolo proprio nella zona dei locali indagati presso il Foro di Traiano in oggetto. Tuttavia, altri
sono gli elementi, e tutti di carattere maggiormente
strutturale, che inducono a proporre un possibile paragone fra le due situazioni, quella di S. Clemente e quella
di piazza della Madonna di Loreto: la struttura degli edifici, infatti, appare assai simile sia dal punto di vista perimetrale (una pianta rettangolare allungata) che
volumetrico (una superficie di circa m2 2000 per uno
spazio utilizzabile intorno ai m2 738); tuttavia, ciò che
soprattutto richiama la similitudine fra i due ambienti
è il tipo di pavimentazione, presso la zecca di S. Clemente originariamente in semplice battuto cementizio,
un fondo che ben si accorda con il tipo di lavoro che
doveva svolgersi all’interno dell’edificio, e che di fatto
è il medesimo che si ritrova all’interno dell’officina presente nelle due aule indagate del Foro di Traiano presso
piazza della Madonna di Loreto, seppure, in questo
caso, in seguito allo spoglio/rimozione della pavimentazione originaria. Inoltre, anche quanto ipotizzabile,
sulla scorta delle fonti scritte, in relazione alla ricostruzione dei processi produttivi, in merito alla funzione e qualità/quantità della manodopera impiegata
(degli officinatores, suddivisi in malliatores, suppostores e signatores), corrisponde pienamente alla complessità ed alla varietà dei cicli di produzione così come
ricostruiti sulla base del dato archeologico ed archeometrico proveniente dalle stratigrafie dell’Athenaeum 44.
Dal momento che le capacità di trasformare, recuperare
o comunque accumulare/raccogliere materia prima sono
direttamente proporzionali alle capacità tecnologiche,
alle condizioni economiche e politico-sociali, appare
assai credibile il coinvolgimento diretto del potere centrale nella gestione di questo atelier, tra la fine del VI
e l’intero corso del VII secolo fino al principio
dell’VIII. L’eccezionalità della situazione (tanto dal
punto di vista tecnologico quanto da quello dell’impatto
economico) emerge con forza proprio valutando, da un
lato, il contesto del suo posizionamento, ovvero Roma,
e ancor meglio l’area dei Fori, e dall’altro, l’inquadramento cronologico, che vede il suo inizio tra la seconda
metà del VI e la prima metà del VII secolo, ed, infine,
la specificità della produzione, particolarmente, quando
posta in relazione ad un impianto nell’ambito di una
zecca o, comunque, connesso alla lavorazione dei metalli monetabili. Significativo, dunque, appare anche il
riutilizzo, non certamente casuale, di un edificio a carattere pubblico, secondo un modello che sembra riproporsi anche in altri contesti, come nel caso delle
zecche bizantine di Serdica e Tessalonica. Da questo
punto di vista, assecondando la cronologia proposta
sulla base della sequenza stratigrafica e del dato ceramologico e considerando anche che la durata media di
vita di una officina di tali dimensioni non può essere
frutto di improvvisazione, potrebbe apparire storicamente accettabile, porre l’inizio delle operazioni produttive, in un orizzonte cronologico compreso nei regni
di Maurizio Tiberio, Foca ed Eraclio. D’altra parte, una
zecca periferica quale quella di Catania risultava attiva
proprio sotto gli stessi imperatori, essendo stata aperta
nel 582 da Maurizio ed avendo proseguito a battere moneta, probabilmente, fino agli anni 628-629, sotto il
regno di Eraclio. Non deve sorprendere, quindi, che una
tale ‘impresa’ abbia potuto iniziarsi a Roma con dimensioni e tempi assai più dilatati 45. L’ampiezza e la
complessità delle operazioni tecniche condotte presso
la grande officina di piazza della Madonna di Loreto
viene così sottolineata ed, allo stesso tempo, a prendere
forma proprio grazie al riconoscimento, su base archeologica ed archeometrica, dei differenti cicli produttivi praticati al suo interno che presuppongono e
44
COARELLI 2013, pp. 168-184; sulle volumetrie sviluppate dall’officina di piazza della Madonna di Loreto, del tutto comparabili
con quanto ricostruito attentamente da COARELLI, vedi il contributo
di Serlorenzi, Ricci in questo stesso volume.
HENDY 1985, pp. 406-407, 415, 418; ANTONELLI, IACONE, PROet alii 2013, p. 111; ANGUILANO, LA SALVIA, TORNESE 2014,
vol. II, pp. 1819-1822.
45
SPERI
IMPIANTI METALLURGICI TARDO ANTICHI ED ALTO MEDIEVALI A ROMA
mettono in opera una notevole capacità organizzativa,
oltre che squisitamente metallurgica, per convogliare in
direzione di un risultato qualitativamente standardizzato
e quantitativamente adeguato un prodotto finito ormai
realizzato a partire da materie prime non più uniformi,
come in epoca classica, bensì dalle provenienze più disparate (dallo spoglio al minerale, al semilavorato), in
un’epoca in cui la destrutturazione del contesto urbano
e l’evidente contrazione del generale volume degli
scambi economici non pare segnare un’altrettanto repentina involuzione sul piano tecnologico.
Bibliografia
ALCHEMERS 1994 = J. ALCHEMERS, Spolia in Roman Cities
of the Late Empire: Legislative Rationales and Architectural Reuse, in DOP, 48, 1994, pp. 167-178.
ANDREAU 1989 = J. ANDREAU, Recherches récentes sur les
mines romaines. I Propriété et mode d’exploitation, in
RNum, 6, 31, 1989, pp. 86-112.
ANGUILANO 2013 = L. ANGUILANO, Under the surface: silvering in Adrian Athenaeum, in Surface Engineering, 29,
2, 2013, pp. 140-145.
ANGUILANO, LA SALVIA c.s. = L. ANGUILANO, V. LA SALVIA,
Ricostruzione dei processi metallurgici, in M. SERLORENZI
et alii, Il contesto archeologico dell’Athenaeum di
Adriano tra Tardo Antico ed alto Medioevo: una possibile zecca di VI-fineVII/prima metà VIII secolo?, in I
workshop internazionale di numismatica. Numismatica e
archeologia. Monete, stratigrafie e contesti. Dati a confronto, Oxford c.s.
ANGUILANO, LA SALVIA, ANTONELLI et alii c.s. = L. ANGUILANO, V. LA SALVIA, S. ANTONELLI, M. TORNESE, S. PROSPERI, A. IACONE, Appendice I. La ricostruzione dei
processi metallurgici, in M. SERLORENZI et alii, Il contesto archeologico dell’Athenaeum di Adriano tra Tardo Antico ed alto Medioevo: una possibile zecca di
VI-fineVII/prima metà VIII secolo?, in I workshop internazionale di numismatica. Numismatica e archeologia.
Monete, stratigrafie e contesti. Dati a confronto, Oxford
c.s.
ANGUILANO, LA SALVIA, TORNESE 2014 = L. ANGUILANO, V.
LA SALVIA, M. TORNESE, From school to workshop: the
transformation of the urban landscape in late antique Rome,
in XVIII International Congress of Classical Archaeology.
Centre and periphery in the Ancient World (Mérida, 13-17
mayo 2013), Mérida 2014, vol. II, pp. 1819-1822.
ANTONELLI, = S. ANTONELLI, A. IACONE, S. PROPSERI, M.
TORNESE, L’impianto metallurgico dell’Athenaeum: processi empirici tra “teoria e metodi” ed esperienza archeologica, in BdA on line. Direzione Generale per le
Antichità, IV, 2013/2-3-4, pp. 95-112.
BARONI, PIZZIGONI, TRAVAGLIO 2014 = S. BARONI, G. PIZZIGONI, P. TRAVAGLIO, Mappae Clavicula. Alle origini dell’Alchimia in Occidente, Saonara 2014.
BERNARDONI 2010 = A. BERNARDONI, La Mappa Claviculae
e la tradizione dei ricettari, in U. ECO (a cura di), Il Medioevo. Barbari, cristiani, musulmani, Milano 2010, pp.
381-383.
275
BIRINGUCCIO 1540 = V. BIRINGUCCIO, De la pirotecnia. Libri
X, Venezia 1540 (rist. anast., Milano 1977).
BOWMAN, WILSON 2009 = A. BOWMAN, A. WILSON, Quantifying the Roman Economy, Oxford 2009.
BRAUNSTEIN 1992 = P. BRAUNSTEIN, Les statuts miniers de
l’Europe médiévale, in Compte rendus des Séances de
l’Academie des Inscriptions et Belles-Lettres, 136/1, 1992,
pp. 35-56.
BRENK 1987 = B. BRENK, Spolia from Constantine to Charlemagne: Aesthetics versus Ideology, in DOP, 41, 1987,
pp. 103-109.
BRIENTA 2007 = D BRIENTA, Europa mineraria. Circolazione
delle élites e trasferimento tecnologico, Milano 2007.
BRYER 1982 = A.A.M. BRYER, The Question of Byzantine
Mines in the Pontos: Chalybian Iron, Chaldian Silver, KoloneianAlum and the Mummy of Cheriana, in AnSt, 32,
1982, pp. 133-150.
CAIROLI, VERDUCHI 1987 = F.C. CAIROLI, G. VERDUCHI,
L’area centrale del Foro Romano, Firenze 1987.
CARANDINI 2012 = A. CARANDINI (a cura di), Atlante di Roma
antica, Milano 2012.
CARUSO, PACETTI, SERRA et alii 2010 = G. CARUSO, F. PACETTI, S. SERRA, C. TERMINI, R. VOLPE, F. CARBONI, Scavi
nell’angolo sud-occidentale delle Terme di Traiano, in
Scavi nelle Terme di Traiano sul colle Oppio. Atti della
giornata di studi (Roma, Istituto Archeologico Germanico,
20 ottobre 2005, in BCom, CXI, 2010, pp. 257-282.
CIAMPOLTRINI 2011 = G. CIAMPOLTRINI, La città di S. Frediano. Lucca fra VI e VII secolo: un itinerario archeologico, Bientina 2011.
CIAMPOLTRINI, NOTINI 1990 = G. CIAMPOLTRINI, P. NOTINI,
Lucca tardoantica e altomedievale: nuovi contributi archeologici, in AMediev, XVII, 1990, pp. 561-592.
CIMA 1986 = M. CIMA, Metallurgia in ambiente rurale al sito
alto-medievale di Misobolo, in AMediev, XIII, 1986, pp.
173-89.
CIMA 1987 = M. CIMA, Le Origini della Metallurgia del
Ferro nel Canavese, in RdA, 11, 1987, pp. 113-123.
CIMA 1991 = M. CIMA, Archeologia del ferro: sistemi, materiali e processi dalle origini alla Rivoluzione Industriale, Brescia 1991.
CINI, PALUMBO, RICCI 1979-1980 = S. CINI, A. PALUMBO, M.
RICCI, Materiali altomedievali conservati nei Musei di Luni
e La Spezia, in QuadStLun, 4/5, 1979-1980, pp. 37-54.
CITTER 1997 = C. CITTER, I corredi funebri nella Toscana longobarda nel quadro delle vicende storico-archeologiche
del popolamento, in L. PAROLI (a cura di), L’Italia centro-settentrionale in età longobarda, Firenze 1997, pp.
185-211.
CITTER 1998 = C. CITTER, I corredi nella Tuscia longobarda:
produzione locale, dono o commercio? Note per una storia delle attività produttive nella Toscana altomedievale,
in G.P. BROGIOLO (a cura di), Sepolture tra VI e VIII secolo. 7° Seminario di Monte Barro, Gardone Rivera 1996,
Mantova 1998, pp. 179-95 (Documenti di Archeologia,
13).
CLEERE 1972 = H. CLEERE, The classification of early ironsmelting furnaces, in AntJ, 52, 1972, pp. 8-23.
COARELLI 2013 = F. COARELLI, Argentum Signatum. Le origini della moneta d’argento a Roma, Roma 2013 (Studi
e Materiali, 15).
276
VASCO LA SALVIA
CUQ 1911 = E. CUQ, La Dévelopment de l’industrie miniere
a l’epoque d’Hadrien, in JSav, 9, 7, 1911, pp. 346-356.
COPE 1972 = L.H. COPE, Surface silvered ancient coins, in
E.T. HALL, D.M. METCALF (a cura di), Methods of chemical and metallurgical investigations of ancient coinage,
in CoinHoards, 12, 1972, pp. 261-278.
DE MARCHI 2000 = P.M. DE MARCHI, Note su produzione e
scambi nella Lombardia di età longobarda: l’esempio
degli scudi da parata, in G.P. BROGIOLO (a cura di), II
Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Brescia,
28 settembre-1 ottobre 2000), Firenze 2000, pp. 284-291.
DELFINO, DE LUCA, MINNITI et alii 2013 = A. DELFINO, I. DE
LUCA, C. MINNITI, M. MUNZI, S. ZAMPINI, Lo scavo di una
fornace metallurgica nella taberna XI del Foro di Cesare
(con appendice di Andrea Pernella, Ulderico Santamaria, Fabio Morresi), in M. CECI (a cura di), Contesti ceramici dai Fori Imperiali, Oxford 2013, pp. 93-128 (BAR,
2455).
DRANDAKI 2005 = A. DRANDAKI, Copper alloy at the Benaki
Mueum: 4th to 7th centuries, in AntTard, 13, 2005, pp. 6576.
ESCHENLOHR, SERNEELS 1991 = L. ESCHENLOHR, V. SERNEELS, Les bas fourneaux mérovingiens de Boécourt-Les
Boulies (JU/Suisse), Porrentruy 1991.
FARINELLI, FRANCOVICH 1994 = R. FARINELLI, R. FRANCOVICH,
Potere e attività mineraria nella Toscana altomedievale,
in R. FRANCOVICH, G. NOYÈ (a cura di), La storia dell’Alto Medioevo italiano (VI-X secolo) alla luce dell’archeologia. Atti del Convegno Internazionale (Siena, 2-6
dicembre 1992), Firenze 1994, pp. 443-465.
GIANNICHEDDA 2006 = E. GIANNICHEDDA, Metal production
in Late Antiquity: from Continuity of Knowledge to Changes in Consumption, in L. LAVAN, E. ZANINI, A. SARANTIS (a cura di), Technology in Transition. A.D. 300-650,
Leiden/Boston 2006, pp. 187-209.
GIUMLIA-MAIR 1998 = A. GIUMLIA-MAIR, Argento romano e
ricette alchimistiche: tre esempi di leghe d’argento da
Emona, in AVes, 49, 1998, pp. 243-249.
HEALY 1978 = J.F. HEALY, Mining and metallurgy in the greek
and roman world, London 1978.
HENDY 1985 = M.F. HENDY, Studies in the Byzantine Monetary Economy c. 300-1450, Cambridge 1985.
HIRT 2010 = A.M. HIRT, Imperial Mines and Quarries in the
Roman World, Oxford 2010.
KURZE 2002a = W. KURZE, La Lamina di Agilulfo: Usurpazione o diritto?, in W. KURZE, Studi Toscani. Storia e Archeologia, Castelfiorentino 2002, pp. 69-82.
KURZE 2002b = W. KURZE, Anelli a sigillo dall’Italia come
fonti per la storia longobarda, in W. KURZE, Studi Toscani. Storia e Archeologia, Castelfiorentino 2002, pp.
83-131.
LA SALVIA 1998 = V. LA SALVIA, L’artigianato metallurgico
dei Longobardi alla luce delle fonti archeologiche con particolare riferimento alla lavorazione del ferro. Suggerimenti e problemi, in AMediev, XXV, 1998, pp. 16-18.
LA SALVIA 2007 = V. LA SALVIA, Iron Making during the Migration Period. The case of the Lombards, Oxford 2007.
LA SALVIA 2012 = V. LA SALVIA, Gli indicatori della produzione metallurgica presso il sito di Miranduolo (Chiusdino,
SI) con particolare riferimento alle fasi altomedievali, in
F. REDI, A. FORGIONE (a cura di), Atti del VI Congresso
Nazionale di Archeologia Medievale (L’Aquila, 12-15
settembre 2012), Firenze 2012, pp. 640-643.
LA SALVIA, IACONE 2010 = V. LA SALVIA, A. IACONE, Gli indicatori della produzione metallurgica provenienti dallo
scavo di piazza Madonna di Loreto. Rapporto preliminare,
in M. SERLORENZI (a cura di), Testimonianze medievali nei
cantieri di Piazza Venezia, in BdA, volume speciale, 2010,
pp. 165-166.
LAIOU, MORRISSON 2007 = A.E. LAIOU, C. MORRISSON, The
Byzantine Economy, Cambridge 2007.
LOWE, MASON 1987 = B.J. LOWE, E.J. MASON, Keynsham
Abbey excavations 1961-1985, in Proceedings of Somerset Archaeology and Natural History Society, 31, 1987,
pp. 81-156.
LUDWIG 2006 = K.H. LUDWIG, Bergbau, Metal und Munzgeld
in Frühmittelalter, in B. KASTEN (a cura di), Tätigkeitsfelder und Erfahrungshorizonte des ländlichen Menschen in der frühmittelalterlichen Grundherrschaft (bis
ca. 1000), Stuttgart 2006, pp. 235-248.
LUSUARDI SIENA, GIOSTRA 2003 = S. LUSUARDI SIENA, C. GIOSTRA, L’artigianato metallurgico longobardo attraverso
la documentazione materiale: dall’analisi formale all’organizzazione produttiva, in I Longobardi di Spoleto e
Benevento. Atti del XVI Congresso Internazionale di Studi
sull’Alto Medioevo (Spoleto/Benevento, 20-27 ottobre
2002), Spoleto 2003, pp. 916-958.
MAETZKE 1991 = G. MAETZKE, Struttura stratigrafica dell’area nordoccidentale del Foro Romano, in AMediev,
XVIII, 1991, pp. 43-200.
MAETZKE 2004 = G. MAETZKE, Foro Romano. Scavo nell’area
Nord Occidentale, in L. PAROLI, L. VENDITTELLI (a cura
di), Roma dall’antichtà al medioevo. II. Contesti tardoantichi e altomedievali, Roma 2004, pp. 595-596.
MANGIN 1982 = M. MANGIN, Caractères et fonctions de la
métallurgie du fer à Alésia, in Mines et fonderies antiques de la Gaule (Actes Table Ronde), Parigi 1982, pp.
237-258.
MARÊA GURT I ESPARRAGUERA, DIARTE BLASCO 2011 = J.
MARÊA GURT I ESPARRAGUERA, P. DIARTE BLASCO, Spolia et Hispania: alcuni esempi peninsulari, in Hortus Artium Medievalium, 17, 2011, pp. 7-22.
MARTIN 2004 = A. MARTIN, Santo Stefano Rotondo: stratigrafia e materiali, in L. PAROLI, L. VENDITTELLI (a cura
di), Roma dall’antichità al medioevo. II. Contesti tardoantichi e altomedievali, Roma 2004, pp. 506-516.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007 = R. MENEGHINI,
R. SANTANGELI VALENZANI, I fori imperiali. Gli scavi del
Comune di Roma (1991-2007), Roma 2007.
MICHELETTO 1996 = E. MICHELETTO, L’attrezzatura agricola
di un villaggio montano tra tardo antico e alto medioevo:
il Castelvecchio di Peveragno, in R. COMBA, F. PANERO
(a cura di), Il seme, l’aratro, la messe: le coltivazioni frumentarie in Piemonte dalla preistoria alla meccanizzazione agricola- , Cuneo 1996, pp. 115-129.
MICHELETTO, GUGLIELMETTI, VASCHETTI et alii 1995 = E. MICHELETTO, A. GUGLIELMETTI, L. VASCHETTI, V. CALABRESE, S. MOTELLA DE CARLO, Il Castelvecchio di
Peveragno (CN). Rapporto preliminare di scavo (19931994), in QuadAPiem, 3, 1995, pp. 137-219.
MICHELETTO, PEJRANI BARICCO 1997 = E. MICHELETTO, L. PEJRANI BARICCO, Archeologia funeraria e insediativa in Piemonte fra V e VII secolo, in L. PAROLI (a cura di), L’Italia
centro-settentrionale in età longobarda, Firenze 1997,
pp. 295-344.
MICHELUCCI 1985 = M. MICHELUCCI, Roselle. La domus dei
IMPIANTI METALLURGICI TARDO ANTICHI ED ALTO MEDIEVALI A ROMA
mosaici, Montepulciano 1985.
MORRISSON 1994 = C. MORRISSON, Monnaie et finances à Byzance. Analyses, techniques, Aldershot 1994.
MORRISSON, BARRANDON, BRENOT et alii 1985 = C. MORRISSON, J.-N. BARRANDON, CL. BRENOT, J.-P. CALLU, J. POIRIER, R. HALLEUX, L’or monnayé. I. Purification et
altérations de Rome à Byzance, Parigi 1985.
NERI 2006 = F. NERI, De campanis fundendis. La produzione
di campane nel Medioevo tra fonti scritte ed evidenze archeologiche, Milano 2006.
PAVOLINI 2004 = C. PAVOLINI, Aspetti del Celio fra il V e
l’VIII-IX secolo, in L. PAROLI, L. VENDITTELLI (a cura di),
Roma dall’antichità al medioevo. II. Contesti tardoantichi e altomedievali, Roma 2004, pp. 418-434.
PAVOLINI, PALAZZO 2013 = C. PAVOLINI, P. PALAZZO (a cura
di), La Basilica Hilariana nel contesto dello scavo dell’Ospedale Militare Celio (1987-2000), Roma 2013.
PERIN 2005 = P. PERIN, Le vaisselles de bronze dite copte dans
le royaumes romano-germaniques d’occident. État de la
question, in AntTard, 13, 2005, pp. 85-97.
PITARAKIS 1998 = B. PITARAKIS, Mines anatoliennes exploitées par les Byzantins: recherches récentes, in RNum, 153,
1998, pp. 141-185.
PITARAKIS 2005 = B. PITARAKIS, Une production caractéristique du cruches en alliage cuivreux (VI-VII siècles): typologie, techniques et diffusion, in AntTard, 13, 2005, pp.
11-27.
PORSIA 1989 = F. PORSIA, Miniere e minerali, in G. MUSCA
(a cura di), Uomo e Ambiente nel Mezzogiorno normannosvevo, Bari 1989, pp. 241-271.
RIPOLL 2001 = G. RIPOLL, La transformació de la ciutat de
Barcino durant la antiguitat tardana, in J. BELTRÁN (a cura
di), De Barcino a Barcinona (segles I-VII). Les restes arqueològiques de la plaça del Rei de Barcelona, Barcelona 2001, pp. 34-43.
RIPOLL 2003 = G. RIPOLL, Changes in the topography of power:
from ciuitates to sedes regiae in Hispania, in R. CORRADINI,
M. DIESENBERGER, H. REIMITZ (a cura di), The Construction of Communities in the Early Middle Ages. Texts, Re-
277
sources and Artefacts, The Transformation of the Roman
World, 12, Leiden-Boston-Colonia 2003, pp. 123-148.
SAVVIDES 2000 = A.G.C. SAVVIDES, Observations on Mines
and Quarries in the Byzantine Empire, in Ekklesiastikos
Pharos, 82, 2, 2000, pp. 130-155.
SCIORTINO, SEGALA 2010 = I. SCIORTINO, E. SEGALA, Scavi
della Soprintendenza Archeologica di Roma nell’angolo
sud-orientale delle Terme di Traiano, in Scavi nelle Terme
di Traiano sul colle Oppio. Atti della giornata di studi
(Roma, Istituto Archeologico Germanico, 20 ottobre 2005,
in BCom, CXI, 2010, pp. 243-256.
SENA CHIESA 2012 = G. SENA CHIESA, Ipsa spolia docent, in
G. CUSCITO (a cura di), Riuso di monumenti e reimpiego
di materiali antichi in età postclassica: il caso della Venetia, in Antichità Altoadriatiche, 74, 2012, pp. 17-31.
SERLORENZI, SAGUÌ 2008 = M. SERLORENZI, L. SAGUÌ (a cura
di), Roma, piazza Venezia. L’indagine archeologica per
la realizzazione della metropolitana. Le fasi medievali e
moderne, in AMediev, XXXV, 2008, pp. 182-184.
SPUFFORD 1998 = P. SPUFFORD, Money and its use in medieval Europe, Cambridge 1998.
STANLEY SMITH, HAWTHORNE 1974 = C. STANLEY SMITH, J.G.
HAWTHORNE, Mappae Clavicula: a little key to the world
of medieval techniques, in TransactAmPhilosSoc, n.s. 64,
4, 1974, pp. 1-128.
THEMELIS, KONTI 2002 = P.G. THEMELIS, V. KONTI (a cura
di), Πρωτοβυζαντινη Μεσσηνη και Ολυμπια. Αστικός και
αγροτικός χώρος στη Αστική Πελοπόννησο (Early christian
Messene and Olympia. Urban and Agrarian Area in the
Western Péloponnèse), Athens 2002.
TONDO 1990 = L. TONDO, Moneta longobarda di Montebamboli, in AMediev, XVII, 1990, p. 761.
TYLECOTE 1962 = R.F. TYLECOTE, Metallurgy in archaeology,
Londra 1962.
VLACHOU, MCDONNELL, JANAWAY 2002 = C. VLACHOU, J.G.
MCDONNELL, R.C. JANAWAY, Experimental investigation
of silvering in late Roman coinage, in Materials Research
Society Symposium Proceedings, 712, 2002, II9.2.1-II9.9.
VRYONIS 1962 = S. VRYONIS, The Question of the Byzantine
Mines, in Speculum, 37, 1962, pp. 1-17.
LA CERAMICA MEDIEVALE DI ROMA:
ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA E MERCATI (VIII-XV SECOLO)
Giorgio Rascaglia, Jacopo Russo
Nell’ambito del censimento degli indicatori produttivi realizzato in occasione di questo convegno, si vuole
proporre un bilancio della produzione ceramica a Roma
tra VIII e XV secolo. La tradizione di studi su questo
tema è ormai consolidata ed i suoi inizi risalgono agli
anni ‘60 e ‘70 del ‘900. Lavori pionieristici come quelli
di David Whitehouse e di Otto Mazzucato hanno contribuito a porre le basi per una discussione che, coll’avanzare delle conoscenze, ha coinvolto sempre più
studiosi e specialisti di varia formazione 1. Va inoltre sottolineato come, fin dagli inizi, lo studio della ceramica
medievale (soprattutto romana) ha riguardato anche
aspetti archeometrici come lo studio degli impasti e dei
rivestimenti vetrificati 2. Il crescente interesse per le
fasi postclassiche a Roma come altrove si è accompagnato ad un costante affinamento delle metodologie di
studio dei materiali ceramici tardo antichi e medievali.
In quest’ottica la straordinaria stagione di ricerca inaugurata con lo scavo urbano dell’isolato della Crypta
Balbi ha rappresentato un fondamentale spartiacque
nella ricerca sulle ceramiche romane 3. Tra gli anni ‘90
e gli inizi di questo secolo la lista degli scavi urbani a
Roma è ulteriormente cresciuta con le ricerche sistematiche nel settore monumentale tra l’area dei Fori Imperiali e il Palatino 4. Contemporaneamente le sintesi di
diversi specialisti contribuivano al dibattito sulle implicazioni storico-economiche e sociali 5. Negli ultimi
anni le nostre conoscenze si sono dunque ulteriormente
affinate, grazie anche a numerosi lavori sul campo. Con
l’affermarsi di alcuni punti fermi nello studio della ceramica romana è stato possibile un bilancio della produzione e della circolazione delle ceramiche a Roma e
nel Lazio presentata nel convegno AIECM3 del 2012 6.
Quest’ultimo contributo ha preso in considerazione diversi contesti a Roma e nel Lazio analizzando dinamiche di produzione e consumo tra siti diversi, alcuni
ancora inediti. Il nostro saggio prende dunque le mosse
da quest’ultimo lavoro, sviluppandosi su due livelli di
ricerca differenti, creando per la prima volta un database georeferenziato per Roma in cui vengono incrociati: le analisi degli impasti, i ritrovamenti di scarti e
di prodotti finiti di produzione romana dentro e fuori la
città e le fonti scritte attestanti vasai. Abbiamo quindi
cominciato analizzando le tracce di produzione emerse
durante la schedatura dell’edito, realizzata all’interno del
progetto di ‘Archeologia della Produzione a Roma’ da
un nutrito gruppo di giovani studiosi. Il secondo stadio
della ricerca ha riguardato il censimento dei rinvenimenti
di ceramiche rivestite fini da mensa databili tra VIII e
XV secolo (ceramica a vetrina pesante e sparsa, ceramica laziale, maiolica arcaica) a Roma e nel Lazio 7.
Sono state scelte esclusivamente queste classi e non altre
perché spesso più facilmente riconoscibili, anche tramite piccoli frammenti e da archeologi non specialisti
WHITEHOUSE 1965; WHITEHOUSE 1967; MAZZUCATO 1968; MAZZUCATO 1972a; MAZZUCATO 1976; MAZZUCATO 1977; WHITEHOUSE
1978.
2
WILLIAMS, OVENDEN 1978; D’AMBROSIO, MANNONI, SFRECOLA
et alii 1986; ANNIS 1992; MAZZUCATO 1993.
3
MANACORDA, PAROLI, MOLINARI et alii 1986; CB 5; PAROLI
1992a; SAGUÌ, RICCI, ROMEI 1997. Di pochi anni precedenti sono le
ricerche lungo l’ex tracciato di via della Consolazione e in vari settori del Colosseo: si veda rispettivamente MAETZKE 1991; REA 2002.
4
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2006; PANELLA, SAGUÌ
2013.
5
PATTERSON 1993; MOLINARI 2003; MOLINARI 2010a; MOLINARI
2010b; PATTERSON 2010; WICKHAM 2013.
6
RICCI 1998; RICCI 2009; inoltre MOLINARI, BEOLCHINI, DE LUCA
et alii c.s.
7
Questo censimento ha potuto tener conto di numerosi dati da
scavi ancora inediti sia a Roma che fuori. Vogliamo pertanto ringraziare il lungo elenco di studiosi che generosamente ha messo a
disposizione tali informazioni.
1
280
GIORGIO RASCAGLIA, JACOPO RUSSO
nello studio delle ceramiche o in generale delle fasi medievali. Questo implica che anche in report di scavo sommari siano state elencate queste classi tra i ritrovamenti.
Le ceramiche fini da mensa sono inoltre un buon indicatore della circolazione di beni di consumo, saperi
specifici e maestranze. Tutti i dati raccolti in questo censimento sono stati vagliati ed inseriti in una mappatura
GIS 8. Tramite questa banca dati georeferenziata, è stato
possibile analizzare (a volte con discreta precisione) i
pattern distributivi su scala urbana e regionale dei prodotti verosimilmente romani. Riguardo quest’ultimo
dato in particolare si è proceduto ad una revisione delle
analisi petrografiche finora acquisite (quando possibile). Un ulteriore elemento preso in considerazione è
stato anche il livello di standardizzazione delle forme
e delle decorazioni, possibile indicatore dell’organizzazione produttiva e soprattutto dei livelli di output. Uno
spoglio dell’edito ha inoltre riguardato le attestazioni di
vasai nella documentazione romana tra XI e XV secolo.
Questa è costituita, tra XI e XIII secolo, soprattutto da
cartari dei monasteri romani, mentre per il XIV e XV
secolo anche da protocolli notarili 9. Anche questo censimento è confluito nella piattaforma GIS, con una attenzione alla distribuzione topografica e diacronica.
Tutti questi elementi combinati permettono di iniziare
a valutare l’entità della produzione e la sua distribuzione
dentro e fuori la città, ma anche contribuire a comprendere l’estensione dell’area abitata nei diversi periodi.
A questo riguardo bisogna sottolineare la parzialità dei
dati, che risentono ovviamente della maggiore o minore
intensità delle indagini archeologiche. Occorre poi tener
conto, nel valutare la distribuzione delle produzioni ceramiche di probabile produzione romana, di ulteriori criticità. Innanzitutto dei problemi legati alle diverse
tradizioni di studi, cosa che si riflette nella disomogeneità dei dati a disposizione e nella limitatezza e parzialità dei contesti editi. Questo rende talvolta
impossibile, ad esempio, riconoscere produzioni certamente di Roma da quelle di altri centri, come pure di-
8
nini.
Indicatori produttivi tra IX e XV secolo
Prima di esaminare in dettaglio le tracce di produzione ceramica sinora censite, occorre premettere alcune
considerazioni di metodo. La quasi totalità di queste non
possono essere considerate sicuri indizi di produzione.
È il caso di oggetti con leggeri difetti di foggiatura o
cottura, che quando non compromettono l’integrità e la
funzionalità del vaso rientrano all’interno della normale
variabilità artigianale. Ad esempio si possono citare: i
frammenti di olla da fuoco (databili tra IX e XI secolo)
dalla Basilica Hilariana, le brocche in vetrina pesante
dalle colonne onorarie (IX secolo), gli oggetti in acroma
depurata provenienti dal Tempio di Romolo (fine XII
secolo) e da piazza SS. Apostoli (XIII-XIV secolo) e
un boccaletto in maiolica arcaica da via dei Farnesi (XV
secolo), che sembrerebbe preferibile interpretare come
prodotti malriusciti ma ancora funzionali, piuttosto che
come veri e propri indicatori di attività produttive in
loco 11.
Un’altra considerazione riguarda i frammenti relativi a produzioni di Forum ware senza vetrina provenienti dal Foro e dalla Crypta Balbi, che si possono
considerare oggetti finiti anche se privi di copertura e
non quindi scarti 12. La ceramica a vetrina pesante è, in-
Si rimanda al contributo in questo volume di Nicoletta Gian-
Si rimanda per la bibliografia alle note 22-23, infra.
10
I limiti di alcune nostre conoscenze sulle ceramiche rivestite
bassomedievali sono allo stato attuale di difficile superamento. Occorrono sistematici progetti di analisi degli impasti e dei rivestimenti,
compiuti su un’ampia campionatura, per circoscrivere areali produttivi più netti. Per la ceramica a vetrina pesante e sparsa, che pure
ha visto un’interessantissima e feconda stagione di analisi mineropetrografiche e chimiche, si segnalano i limiti riscontrati nell’edito,
prevalentemente legati alla difficoltà di determinare quantità e fasi
produttive differenti.
9
stinguere fasi produttive delle classi considerate. Un
esempio a riguardo è la distribuzione regionale della maiolica arcaica: pur essendo state censite tutte le attestazioni di questa classe nel Lazio, si è scelto di non
inserirle in una mappatura per non falsare il dato della
circolazione dei prodotti romani 10.
Questo intervento affronta dunque in primo luogo le
tracce produttive emerse in schedatura. In secondo luogo
si analizzeranno le attestazioni e la distribuzione dei
vasai in città mentre nella terza ed ultima parte si sintetizzerà diacronicamente la produzione di ceramiche
fini a Roma.
11
Per i materiali della Basilica Hilariana si veda il relativo
contributo contenuto in questo volume. Per la vetrina pesante dalle
Colonne Onorarie cfr. i materiali schedati da L. Paroli in BERTELLI,
BROGIOLO 2000, p. 327. Per gli anforacei provenienti dal Tempio
di Romolo cfr. RUSSO 2001. Ringraziamo Marco Ricci e Ilaria De
Luca per le segnalazioni da piazza dei SS. Apostoli. Per il boccaletto in maiolica di XV secolo cfr. RINALDONI, FERRACCI 2005,
p. 283.
12
Per i frammenti dal Foro si veda WILLIAMS, OVENDEN 1978,
p. 508; il frammento dalla Crypta Balbi è pubblicato ed illustrato
in PAROLI 1992b, p. 355.
LA CERAMICA MEDIEVALE DI ROMA: ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA E MERCATI (VIII-XV SECOLO)
281
fatti, un tipo di ceramica rivestita che prevedeva una
sola cottura. Analoghe considerazioni possono farsi per
le produzioni più tarde: il sistematico rinvenimento di
esemplari privi di rivestimento, di ‘biscotti’, riferibili
alle forme ad esempio della maiolica arcaica non può,
quasi in nessun caso, essere direttamente collegato alla
presenza di officine. È infatti possibile che oggetti privi
di copertura potessero essere commercializzati ad un
minor prezzo in quanto comunque funzionali. A conferma di questo la mappatura evidenzia, in generale, la
presenza di biscotti in aree separate da quelle in cui è
eventualmente attestata la presenza di vasai o di altre
tracce produttive (fig. 2). Il caso dei biscotti in maiolica arcaica dalla Crypta Balbi e di quelli segnalati da
O. Mazzucato provenienti da S. Nicola in Carcere e
Largo Argentina 13 sembrerebbero essere indicativi di
quanto detto. Una possibile eccezione sembrerebbero i
biscotti di boccali, presumibilmente relativi a produzioni
in ceramica laziale, rinvenuti durante i lavori di risanamento delle case medievali di S. Paolo alla Regola 14.
Riguardo questi oggetti risulta infatti di particolare interesse il loro riuso all’interno di un ciclo produttivo
non meglio definibile, per la presenza al loro interno di
incrostazioni metalliche, il che non esclude la lavorazione di ossidi metallici per pigmenti 15. La successiva
vocazione alla produzione ceramica di questa zona lascia spazio all’ipotesi di O. Mazzucato, che ritiene potessero provenire da una officina posta nelle vicinanze.
Va però tenuto conto che le prime notizie di vasai localizzati in questa zona risalgono al XIV secolo. Fatta
eccezione per l’ormai ben nota officina (con relativi
butti) di Giovanni Boni ai Fori Imperiali, databile a partire dalla fine del XV secolo, non abbiamo alcun resto
di installazione fissa 16.
Ad oggi, dunque, gli scarti o gli indicatori di produzione ceramica più attendibili si individuano soltanto,
a nostro parere, nell’area dei Fori e di piazza Navona.
Dagli scavi Lamboglia degli anni ‘60 effettuati tra la
Curia e il Foro di Cesare proviene un frammento di parete acroma, probabilmente da fuoco, appena surcotta,
sulla cui superficie esterna si è depositata in cottura una
spessa massa di sostanza vetrosa di colore verde oliva
chiaro (fig. 1) 17. Da una preliminare verifica microscopica si può escludere si tratti di un frammento relativo ad un oggetto invetriato, mentre l’impasto sembra
essere del tutto compatibile con quelli da fuoco già noti
per Roma. La massa vetrosa potrebbe dunque essere attribuibile ad una colatura da altri oggetti invetriati o relativa ad una fase di lavorazione della fritta da
invetriatura. Provenendo da strati superficiali privi di
altri indicatori e non essendo riconoscibile il profilo dell’oggetto, non è possibile datare con certezza questo
frammento. In ogni caso altre tracce, spesso purtroppo
decontestualizzate, rafforzano l’idea di una continuità
di produzione ceramica nell’area dei Fori durante tutto
il Medioevo e fino all’età moderna 18. È possibile citare
al riguardo un fondo di boccale, biscotto, verosimilmente
di ceramica laziale, proveniente dall’area di Torre De’
Conti, riutilizzato per delle prove di decorazione (fig.
2, 2) 19. Gli scavi ancora in corso nell’adiacente Foro
della Pace hanno, inoltre, restituito sporadici frammenti
relativi a diverse fasi della produzione di maiolica arcaica e rinascimentale (fig. 2, 4) 20. Altri possibili indicatori di produzione, pur decontestualizzati, sono le
anfore dalle volte del protiro di S. Maria in Cosmedin,
per la maggior parte pezzi concotti e deformati, dalla
cronologia incerta collocabile tra IX e XI secolo, ad oggi
purtroppo disperse (fig. 1) 21.
Per la Crypta Balbi cfr. RICCI, VENDITTELLI 2010, p. 113. Per
S. Nicola in Carcere cfr. MAZZUCATO 1981; per Largo Argentina cfr.
MAZZUCATO 1989. Si segnala inoltre la presenza di un biscotto di
boccale, presumibilmente di ceramica laziale, dal riempimento della
volta del chiostro di S. Paolo fuori le mura, segnalato in MAZZUCATO 1971, p. 362, fig. 3.
14
MAZZUCATO 1984; MAZZUCATO 1986a. E’ bene sottolineare
come questi oggetti siano stati rinvenuti totalmente fuori contesto
(cfr. anche QUILICI 1986-1987).
15
Gli oggetti in questione, segnalati da Mazzucato al Museo di
Roma, risultano dispersi e non sono dunque possibili ulteriori considerazioni.
16
Si veda al riguardo il contributo di R. Meneghini in questo
stesso volume. L’unica fornace medievale (XIII-XIV secolo) rinvenuta in città, in piazza Sforza Cesarini, è connessa alla produzione di laterizi. Si veda FILIPPI 2010, p. 54.
17
Si veda il catalogo dei materiali medievali redatto da C. Leotta in AMICI, DELL’AMICO, LEOTTA et alii 2007, p. 40. Desideriamo
ringraziare Cristina Leotta per aver messo a disposizione il materiale in questione.
18
Per il butto rinvenuto vicino Torre De’ Conti, costituito per lo
più da biscotti di maiolica pertinenti ad una bottega cinquecentesca, si rimanda a MAZZUCATO 1986b. Riguardo la lunga durata della
produzione in questo settore vale la pena menzionare una piccola
fornace probabilmente per ceramica, databile al VI secolo, all’interno delle tabernae dei Mercati di Traiano, prospicienti la Salita
del Grillo: SPECCHIO 2010, pp. 179-180.
19
Cfr. MAZZUCATO 1974, pp. 10-11. La datazione proposta da
quest’ultimo al XIV secolo risulta poco convincente.
20
Informazione personale di R. Santangeli Valenzani che ringraziamo per la visione del materiale.
21
GIOVENALE 1927, p. 245 e tav. XLI a; MAZZUCATO 1971; MAZZUCATO 1977; PAROLI 1992c, pp. 362-363. Questi ultimi fanno giustamente notare le discrepanze nella datazione proposta da
Giovenale. Pur essendo il protiro chiaramente di XI secolo, i materiali ceramici dalle volte sono, almeno in parte, effettivamente databili al tardo VIII-IX secolo. In particolare il riconoscibile esemplare
13
282
GIORGIO RASCAGLIA, JACOPO RUSSO
Fig. 1. - Distribuzione degli indicatori produttivi e dei vasai entro il XII secolo. I vasai sono posizionati in corrispondenza degli enti ecclesiastici di riferimento.
Scoperte recenti dallo scavo condotto dall’École
Française de Rome al civico 62 di piazza Navona consentono di incrociare il dato archeologico con quello
delle fonti scritte. Il ritrovamento di alcuni biscotti di
maiolica arcaica associati ad altri elementi (ad esempio
tracce di bruciatura, la presenza di un grumo di argilla
cotto), rinvenuti in stratigrafie di XIV-XV secolo, confermerebbe la presenza artigianale in questa zona anche
alla luce di ulteriori documenti inediti 22.
Il caso che abbiamo appena citato è l’unico, assieme
a quello di Giovanni Boni, che ci permette, seppur in
via ipotetica, di collegare indicatori archeologici con la
documentazione scritta. Il resto delle attestazioni di
vasai nelle fonti sono costantemente slegati da sicuri luoghi di produzione. Le prime segnalazioni di vasai nella
documentazione romana medievale risalgono al 1021
(fig. 1; tab. 1) 23. Purtroppo, fino al XIV secolo, i figuli
vengono menzionati solo come testimoni o contraenti
in atti di locazione o donazione a vari enti ecclesiastici.
L’unica eccezione risale al 1047. In questo anno un documento dell’archivio di SS. Cosma e Damiano in Mica
Aurea descriverebbe quello che sembrerebbe un isolato
di vasai, con due officine contigue, delle quali una viene
locata dal monastero ad un certo Romanus vir honestus,
figulus (tab. 1, ID 3), mentre un Paulo lagunarius compare come locatario dell’altra (tab. 1, ID 4). Queste of-
di anfora globulare, che non presenta difetti di cottura; datazioni più
tarde sembrano possibili per gli scarti di anforacei da dispensa.
22
I documenti inediti provenienti dal PEF, in corso di studio
da parte di B. Gauthiez (che ringraziamo per l’informazione), menzionano la presenza di vasai nello stesso isolato dell’attuale civico 62 nello stesso arco cronologico dei contesti con indicatori
di produzione.
23
Si ringrazia Chris Wickham per le segnalazioni riguardanti i
vasai anteriori al XIII secolo. L’elenco dei vasai più tardi è stato
desunto soprattutto dal lavoro di Paolo Güll (GÜLL 2003). Altri vasai
collocabili cronologicamente nel XV secolo sono segnalati da Grigioni (GRIGIONI 1914; GRIGIONI 1958).
I vasai
1027
1047
1047
1058
1058
1078
1081
1116
1177
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Tab. 1. Vasai e luoghi di produzione ceramica attestati nelle fonti scritte tra XI e XII secolo.
ASR, SCD, cassetta 16, n. 146r
Menzionato come testimone in un documento del monastero dei SS. Cosma e Damiano in Mica
Aurea.
Figulus
Thomas
ASR, SCD, cassetta 16, n. 111
Menzionato come testimone in un documento del monastero dei SS. Cosma e Damiano in Mica
Aurea.
Figulus
TRIFONE 1908, p. 282
Nel Circo di Massenzio, tra le proprietà di S. Paolo fuori le mura, si menzionano delle
criptis ubi lutea vasa coquuntur».
Cripte Colariae
1021
1
Trastevere
Cripte Colariae
CRONOLOGIA
ID
Trastevere
QUARTIERE
Circi (probabilmente di
Massenzio)
Cinthius de Cinthio
FEDELE 1898, n. 83
Menzionato come testimone in un documento del monastero dei SS. Cosma e Damiano in Mica
Aurea.
Figulus
Cencio
FEDELE 1898, n. 57
Figlio di Iohannes, è menzionato come testimone in un documento del monastero dei SS. Cosma
e Damiano in Mica Aurea.
Figulus
Gregorius
FEDELE 1898, n. 57
Figlio di Stefano, è menzionato come testimone in un documento del monastero dei SS. Cosma e
Damiano in Mica Aurea.
Figulus
Patius
Menzionato nel documento precedente.
lagunarius
Paulo
FEDELE 1898, n. 51
Affittuario del monastero dei SS. Cosma e Damiano in Mica Aurea di una cripta sinino opere
coperta, confinante con due altre criptae (delle quali una di Paulo lagunarius) e sugli altri due
lati con due strade.
Vir honestus figulus
Romanus
RADICIOTTI 2010, n. 2
Testimone di un documento della chiesa di Santa Maria in Trastevere.
Artefigulus
Dominicus
HARTMANN 1895, n. 45
Testimone in un documento del monastero femminile di SS. Ciriaco e Nicola in via Lata (forse
stessa persona del documento successivo?).
Figulis
Dominicus
BIBLIOGRAFIA/DOCUMENTO
MENZIONE
TOPONIMO BOTTEGA
NOME
VARIE
LA CERAMICA MEDIEVALE DI ROMA: ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA E MERCATI (VIII-XV SECOLO)
283
ficine sono collocate a Trastevere all’interno probabilmente di una struttura antica, fiancheggiata
da due strade, non ancora identificata 24. Siamo
quindi di fronte alla prima menzione di un vasaio,
verosimilmente indipendente, che rientrerebbe
dunque nella categoria dell’individual workshop
proposta da D. Peacock; la vicinanza di almeno
un’altra officina non esclude però la più complessa
nucleated workshop 25. A questo proposito la
stessa definizione di lagunarius, e non semplicemente figulus, usata per Paulo, potrebbe indicare
una specializzazione produttiva (verosimilmente
verso anforacei da dispensa). Sempre databile all’XI secolo è anche la menzione di attività di produzione ceramica, probabilmente nei ruderi del
Circo di Massenzio sul
progressivamente (fig. 2; tab. 2). I vasai sono
ora menzionati in atti di compravendita che riguardano direttamente beni immobili, tra i quali
gli stessi atelier, quando non direttamente lotti di
vasellame 27. A tal riguardo uno spunto per ulteriori approfondimenti potrebbe riguardare il mutato status sociale dei vascellarii romani, alcuni
dei quali, come abbiamo accennato, sono da questo momento attivi su più livelli della vita economica cittadina e dimostrano una certa vitalità
imprenditoriale. I vascellarii noti per il XIV secolo sono piuttosto pochi e concentrati nella zona
del rione Arenula e S. Eustachio, (rispettivamente
tre e quattro vasai) 28.
24
Il documento, già edito in passato (FEDELE 1899, pp. 8991; DE MINICIS 1998b, p. 94), è stato di recente valorizzato
da C. Wickham (WICKHAM 2013, p. 179). Il luogo, chiamato
«Criptae Colariae», sembra essere attestato solo in questo documento. In via del tutto ipotetica lo si potrebbe identificare
con le antiche strutture pertinenti ai Coraria Septimiana, una
corporazione di conciatori d’epoca imperiale la cui sede è generalmente identificata nella zona tra S. Cecilia in Trastevere,
via dei Vascellari e S. Crisogono, area dove si concentrano le
evidenze epigrafiche per questa corporazione. Colaria sarebbe quindi una derivazione, per dissimilazione l-r, di Coraria. Cfr. PRONTI 1993. Desideriamo ringraziare il professor
P. Trifone per i chiarimenti linguistici.
25
PEACOCK 1982, p. 31.
26
«[…] cryptis ubi lutea vasa coquuntur […]»: SPERA
1999, p. 274; WICKHAM 2013, p. 179, nota 104.
27
È da menzionare, a partire dal XIII secolo, l’esistenza
di acquariciarii, probabilmente fabbricanti di olle acquarie
(acquarecce), desumibile dall’intitolazione della chiesa di
Sant’Andrea nel Rione Parione. Cfr. GÜLL 2003, pp. 120121; GÜLL 2006, p. 165. Sull’argomento si rimanda anche
a LORI SANFILIPPO 1981, p. 290; LORI SANFILIPPO 1984.
28
Si potrebbe anche tener conto di un fornaciaio situato
nel rione Ponte. GÜLL 2003, p. 49 e seguenti.
284
GIORGIO RASCAGLIA, JACOPO RUSSO
Fig. 2. - Distribuzione, per rioni, dei vasai attestati nelle fonti scritte tra XIV e XV secolo, degli indicatori di produzione e dei luoghi di rinvenimento di biscotti relativi a produzioni bassomedievali.
La nuova complessità delle fonti, a partire dal Quattrocento avanzato, mostra un panorama certamente più
articolato. Due esempi, Santo Spalvera (tab. 2, ID 31)
e Antonio, attestati rispettivamente come produttori di
acquarecce e di vascelle pente, mostrano ora chiaramente una specializzazione artigianale delle botteghe
romane che si differenziano per il tipo di prodotto (anfore per stoccaggio di liquidi – acquarecce – e probabilmente maioliche – vascelle pente) 29. Va senz’altro
segnalata la presenza a Roma di numerosi vasai di diversa provenienza regionale ed extraregionale. Vengono fornite, inoltre, indicazioni su installazioni fisse,
attrezzi e le materie prime usate. È il caso ad esempio
di un documento inquadrabile nella prima metà del secolo, in cui si cita gran parte della dotazione di una
bottega ceramica, come torni, macine per i colori, tavole probabilmente di legno 30. Disponiamo persino di
un ricettario quattrocentesco per i rivestimenti ed i co-
Cfr. GÜLL 1998, pp. 81-82. Nel caso di Antonio si tratta molto
probabilmente dello stesso vasaio di cui si parla anche in GÜLL 2003,
p. 60 (tab. 2, ID 34).
29
lori, conservato alla Biblioteca Casanatense 31. Databile all’ultimo quarto del XV secolo è anche il sigillo,
conservato al Museo Nazionale di Palazzo Venezia, appartenente ad una corporazione di vascellari; di quest’ultimo, proveniente da una collezione privata, non
possiamo tuttavia esser certi della città d’origine, che
potrebbe anche non essere Roma 32. Nonostante queste informazioni a volte estremamente dettagliate,
spesso vi è incertezza sulla reale identificazione dei
personaggi citati come produttori di ceramica o piuttosto come intermediari o venditori di vasellame. Inoltre, risulta chiaro come la concentrazione di vasai sia
in particolare nei quartieri più prossimi al Tevere (Arenula, Isola, Trastevere) e in alcuni rioni dove la produzione, su base archeologica, potrebbe essere radicata
da tempo (Campo Marzio settentrionale e area dei
Fori).
(G.R., J.R.)
GÜLL 2003, p. 54.
Per il ricettario si vedano MAZZUCATO 2004 e SACCARONI 2004.
32
Per il sigillo cfr. MAZZUCATO 1969 e BANDINI 2009, p. 505.
30
31
LA CERAMICA MEDIEVALE DI ROMA: ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA E MERCATI (VIII-XV SECOLO)
ID
BIBLIOGRAFIA/DOCUMENTO
11
1359
Sant'Eustachio
Pucciarellus
vascellarius
Composizione della disputa con Sanctus Cecchi Capocie de regione Transtiberim.
ASC, Notai, Sezione 1, doc. n. 43. Notaio: Paulus de
Serromanis.
12
1372
Sant'Eustachio
Amicus
vasciellarius de regione […]
Sancti Heustachii
Testimone in un atto di vendita di 25 rubbi di lana tra Tucio di Tomaso di Castro Veriecchie e
Cola Alene del rione S. Eustachio.
LORI SANFILIPPO 1986, p. 63 (da ASR, CNC; Notaio
Staglia, 55, cc. 58 r. -59 r.)
Il vasaio, proveniente da Città di Castello ed ora nel Rione Sant'Eustachio, si fa garante di Paolo,
vasciellarius dudum de
d'origine perugina ed ora fornaciaio de Ponte. Quest'ultimo deve fare 6000 tegole 'ben stagionate' GÜLL 2003, p. 49, nota 1; LORI SANFILIPPO 1986, pp. 76civitate Castelli et nunc de
77 (da ASR, CNC; Notaio Staglia, 67 cc. 73 v. -74 v.).
per Giovanni di Matteo de Ylperinis del rione Sant'Eustachio, vicario generale del monastero di
regione Sancti Heustachii
S. Paolo fuori le mura.
13
1372
Sant'Eustachio
Nardus
14
1436-1443
Sant'Eustachio
Egidio de Viterbo
15
1478
Sant'Eustachio
Paolo di Giacomo
16
1492
Sant'Eustachio
Mariano di Giuliano Rapilone
17
1461-1469
18
1365
Arenula
Iohanne de calça
vascellario de regione
arenule
19
1397
Arenula
Cola
Cola filio quondam Cole
vasciellario
Testimone.
GÜLL 2003, p. 49, nota 1 con bibliografia (da ASR, CNC, n.
849, c. 33r).
vascellario de regione
Arenula
Testimone nello stesso documento del precedente; nel 1425 stipula un contratto con Stefano de
Luppolo (figlio di Paolo Iacobelli) per la gestione di un forno di ceramica in una casa
appartenente a Stefano, che fornisce anche le materie prime.
GÜLL 2003, p. 49, nota 1 con bibliografia e p. 53 (ASR, CNC,
n. 849, c. 33r; ASR, CNC, n. 848, c. 389-390r).
Il vasaio non potendo pagare l'affitto del suo atelier alla chiesa di S. Tommaso degli Spagnoli,
viene sfrattato e al suo posto subentrano il figlio Pietro e un altro soggetto, Pietro de Sezze (forse
un altro artigiano) per quattro fiorini. Nel documento si fa riferimento a unam pilam pro
macinando colores, duas rotas et certas tabulas necessarias ad dictam apotecam
vascellariorum», acquistati dai nuovi locatari per cinque fiorini.
GÜLL 2003, p. 54.
in piazza Lombarda
Menzionato come affittuario di tale Giovanni Paolo Alene, realizza un forno (all'interno
dell'edificio) pro coquendo, pro laborando, fabricando et constituendo vasa. In seguito ad una
causa intentata da una confinante (Checca vedova di fu Antonio di Ser Pietro, medico di Siena), il
tribunale (1443) ingiunge al proprietario di demolire il forno o a costruire muri e tamponare tutte
le aperture per evitare fumo e olezzi.
Paulus, magistri Iacobi Proviene da Anagni come si evince da un atto posteriore (27 novembre 1484) in cui viene definito
GRIGIONI 1914, p. 50 (da ASC, atti di Evangelista Bistusci,
[lacuna]vascellarius de
Paulus magistri Iacobi Iohannis de Anania vasarius de Regione sancti Eustachii.
vol. 67, fascicolo K, fol. 18 r. e ibidem vol. 1082, fol. 408, v.).
Regione Sancti Eustachii
presente Mariano quondam
GRIGIONI 1914, p. 51 (da ASC, atti di Evangelista Bistusci,
Iuliani Rapitonis vasario de
vol. 69, tomo I, fol. 118 v.).
Urbe de regione Sancti
Eustachii
Nardo
20
1397
Arenula
Antonio de Piperno (o Piperno)
21
XV (prima metà)
Arenula
Domus sive apotheca […]
que est dicte ecclesie sancti
Thome […] iuxta dictam
ecclesiam et res dicte
ecclesie et via publica
Simone
22
XV (seconda metà)
Arenula
in Mercatello
Tuccio
GÜLL 2003, p. 57 (da ASR, Ospedale del S. Salvatore ad
Sancta Sanctorum, cass. 503, pergg. 15-16).
Originario di Anagni.
GÜLL 2003, p. 59 (4 documenti in ASR, CU).
GÜLL 2003, p. 49, nota 2 (da ASR, CNC, n. 0849, c. 171r).
GÜLL 2003, pp. 54-55 (da ASR, CU, n. 106, c. 236r; n. 107, c.
315v.).
23
XV (seconda metà)
Arenula
in Mercatello
Servidio
Più probabilmente un commerciante di ceramica che non un vasaio vero e proprio. Probabilmente
lo stesso soggetto che nel 1495 compra in blocco la produzione di due anni di Casciano (cfr.
ASR, CNC, n. 1671, c. 361v e 362v).
24
XV (seconda metà)
Arenula
in Mercatello
Gaspare
Più probabilmente un commerciante di ceramica che non un vasaio vero e proprio.
GÜLL 2003, p. 54 .
25
XV (seconda metà)
Arenula
in Mercatello
Michele
Più probabilmente un commerciante di ceramica che non un vasaio vero e proprio.
GÜLL 2003, p. 54 (da ASR, CU, n. 16, c. 15r; c. 97r; 1492).
26
1478
Arenula
Gaspare di Pietro Grosso
Magistro vascellario
Proprietario di una casa nel quartiere (una casa con portico in Arenula).
GÜLL 2003, p. 54 (da ASR, CNC, n. 122, c. 442r e 417rv).
27
1401
Ponte
Arigho
Vascellario de regione
pontis
Testimone in un atto di vendita di un terreno di proprietà di S. Andrea de Aquariciariis (vigneto e
frutteto).
LORI SANFILIPPO 1981, p. 83, doc. 40
28
1478-1503
Ponte
Bernardino Marescalli
Magistro vascellario
29
1480
Ponte
Gaspare
Gasparis vassallarii
30
1461-1480
a Scorteclaro
Giacomo
31
1461-1480
ne la via di Torre Sanguigna
Santo Spalvera
32
1459-1480
Isola
in isola
Francesco Zagarolo
33
1489-1497
Isola
in insula
Antonio Filippo
34
1465
Isola
in isola
Antonio
35
36
37
1489
1464
1466
Trastevere?
Campitelli
Campitelli
38
1486-1517
39
1504
area dei Fori
ad Spogliam Christi
40
1518
prope archulum Sancti
Urbani
41
1371
La sua casa risulta confinante con la taberna di Iohannes Sancti che la compra per ingrandirsi
(isolato piazza Navona, civico 62). Possibile genero di Giacomo (cfr. ID 30).
GAUTHIEZ c.s.
Sancto Spalvera
acquarecciaro de regione
Pontis
Menzionato come fornitore (tra 1483 e 1484) di un lotto di anfore per l'acqua destinato al
Campidoglio.
GÜLL 2003, pp. 56-59 (da 29 documenti in ASR, CU, dal 1461
al 1480. Un documento in CNC, n. 1647, c 10v).
GÜLL 2003, p. 60 (da 10 documenti in ASR, CU).
Figlio di Antonio, di Montelupo. Nel 1492 nella sua bottega è registrato Giovanni figlio di
GRIGIONI 1914, p. 50; GÜLL 2003, pp. 60-61; (da ASC, AU,
Orlandino, vascellarius di Novara. Nel 1497 sono registrati: Melchiorre di fu Michele,
s. 1, n. 122, 5, c. 180rv; ASR, CNC, n.1671, c. 293r; ASR,
Magistri Antonii vascellarii
vascellarius di Montelupo; Leonardo de Masi, vascellarius di Montelupo; Leonardo Baldi,
CNC, n. 1081, c. 6-48r; ASR, CNC, n. 167 1, c.14r; ASR,
in insula
vascellarius de Perusi. Probabilmente viene citato come testimone in un atto del 21 agosto 1497 CNC, n. 1295, c.484v.; ASC, atti di Lorenzo Bertonii, vol. 122,
come presente magistro Antonio vasario fiorentino».
fascicolo V, fol. 180 v. e ibidem, vol. 1081, fol. 684 r.)
GÜLL 2003, p. 60 (da ASR, CU, n°62, c. 134r; n° 62 c. 144r.).
Marcello Guidolini
[…] Marcello Nardi
Guidolini vasuellaro
Regionis transtiberim
Atto del 31 marzo 1489 in cui viene citato anche Antonio Filippo di Montelupo (cfr. ID 33).
GRIGIONI 1914, pp. 50-51 (da ASC, atti di Lorenzo Bertonii,
vol. 122, fascicolo V, fol. 180 v.).
Antonio di Simone
Antonius magistri Simonis
vasarius Regionis
Campitelli
Il 7 aprile 1464 fa una promessa di matrimonio; secondo Grigioni questo vasaio era sicuramente
romano (ma non argomenta questa osservazione).
GRIGIONI 1914, p. 50 (da ASR, CNC, atti di Augustinus de
Martinis, vol. 1081, fol. 179 r.).
Maestro Pietro
presente magistro Pietro de
Tollentino vasario de
Regione Campitelli
Ricordato in una testimonianza del 2 aprile 1466 e dimorante nella stessa ragione di Antonio.
Proviene da Tolentino.
GRIGIONI 1914, p. 50 (da ASR, CNC, atti di Augustinus de
Martinis, vol. 1081, fol. 330 v.).
Sposa nel 1486 la figlia di Nardo Pecho, Stefania, legandosi al cognato Marcello: matrimonio che
porta di fatto alla formazione di una 'società' tra i due, che saranno associati a Trastevere nei
locali la cui comproprietà era stata portata in dote. Da allora si stabilisce a Trastevere.
GÜLL 2003, p. 64; GÜLL 2006, p. 122 (da 11 documenti in
ASR, CNC).
Faentino, figlio di Michele.
GÜLL 2003, p. 63 (da ASR, CNC, n. 851, c. 17r.).
Tommaso è di Perugia, e cede il suo atelier per quattro anni ad Antonio de Suna, mercante di
ceramica, verso cui ha un debito di 50 ducati.
GÜLL 2003, pp. 61-63 (da ASR, CNC, n. 1501, c. 80v.).
Proprietario di un appezzamento nelle vicinanze delle proprietà cittadine di Santa Maria Nova.
ASC, Notai, Sezione 1, doc. n. 47.
Pietro figlio di Simone
Vedi ID 21.
GÜLL 2003, p. 54 .
Sebastiano
vassellarius ad Spogliam
Christi
Tommaso Valentini
Robertus
Domus sive apotheca […]
que est dicte ecclesie sancti
Thome […] iuxta dictam
ecclesiam et res dicte
ecclesie et via publica
Stabilito a Roma, nel rione Ponte, fin dal 1478. Poi passa a quello di Sant'Eustachio. L'ultimo
GRIGIONI 1958, p. 93 (da ASC, 710, fol. 70 r. della seconda
ricordo è del 1503, quando è testimone con altri artisti e artigiani, nel cimitero di S. Luigi dei
cartolazione; 931, fol. 178 r.; ASC, 1634, fol. 64 v.).
Francesi. Il padre Cristoforo proviene da Imola e non si può escludere che anch'egli non venga da
li.
vascellarius ad cappellam
[Cappella di S. Nicola in S.
GÜLL 2003, pp. 58-59 (da 33 documenti in ASR, CU, dal 1461
Maria de Cellis];
Produttore di anfore e maioliche decorate. Sembra risiedere nel rione Ponte, probabilmente
al 1480); GAUTHIEZ c.s. (da PEF, Reg. 19, c. 16r-17v;
menzionato anche come nell'area di piazza Navona. Il figlio Paolo è menzionato in un documento successivo come vicino
1480.09.13; Reg.8, f. 18v-21v, stessa data; Reg. 19, f. 18v-21v;
di un Gasparis vassallarii, entrambi confinanti con Iohannis sancti tabernarii.
magistri Iacobi vassallarii e
1482.09.13).
magistri Iacobi figularii sive
vassallarii
Casciano di Faenza
non id.
GÜLL 2003, pp. 54-55 (da ASR, CU, n. 16, c.78r; 1492).
vascellarius
42
entro il 1441
43
1459
Pietro Antonio della Pigna
Forse, dato il soprannome Pigna, esso è da collocare in zona Campidoglio/piazza Ara Coeli.
GÜLL 2003, p. 55 (da 7 documenti in ASR, CU, dal 1459 al
1464).
44
1461
Giuliano
Figlio di Giubileo, forma una società insieme a Egidio Tocco (muratore) e Antonio Anguelloni
per lo sfruttamento di una cava d'argilla (cretaro) a Monte Mario, di sua proprietà.
GÜLL 2003, p. 86; GÜLL 2006, p. 64.
45
1461-1467
Nardo Pecho (o Pero)
Menzionato come locatario della cava d'argilla in ID 44 nel 1461; nel 1467 fa una consegna per il
Campidoglio. E' con ogni probabilità il padre di Marcello De Nardo e Stefania (cfr. ID 38).
GÜLL 2003, p. 63 (da ASR, CNC, n. 1643, c. 28rv.).
46
1503
Domenico Antonij
Vasaio fiorentino. Noto nel 1503 come testimone con altri artisti e artigiani (tra cui Bernardino
Marescalli, cfr. ID 28).
GRIGIONI 1958, p. 93 (da ASC, 1634, fol. 64 v.).
47
1519
La casa viene locata ad Antonio Senzale da Sigismondo del Sordo, per 10 anni a 18 ducati e due
capponi l'anno. La casa è così descritta: cum sala, camera, discoperto et puteo et unam partem
alterius domus solite habitationis ipsius domini Sygismundi, videlicet illam partem qui est super
stabulum et cantinam qui dicitur vulgariter la stantia delli battilana, posita in regione Columne
iuxta dictam domum habitationis ipsius domini Sygismundi. Nel contratto Sigismondo si
impegna a costruire, a proprie spese, un forno per ceramica e di fornire tutti gli attrezzi necessari
all'attività.
GÜLL 2003, p. 63 (da ASR, CNC, n. 659, c.11v.).
in rione Columne?
Antonio del Senzale
vascellario
Tab. 2. Vasai attestati nelle fonti scritte tra XIV e XV secolo.
285
286
GIORGIO RASCAGLIA, JACOPO RUSSO
Sebbene sia nota la facies complessiva delle produzioni ceramiche del secolo VIII grazie ai ben noti contesti della Crypta Balbi e di alcuni scavi recenti, è
tuttavia veramente esiguo il numero di siti con accertate fasi di questo secolo dentro e fuori Roma 33. In molti
di questi non è stato inoltre possibile riconoscere una
distinta fase di VIII secolo da una generica fase di fine
VIII-IX secolo, caratterizzata dalla presenza o meno di
ceramica a vetrina pesante. Tuttavia, proprio sul finire
del secolo abbiamo l’unica certa traccia di produzione,
a Mola di Monte Gelato, nell’ager Faliscus, dove una
fornace produceva anforacei e forme chiuse da mensa
in ceramica acroma depurata con tipologie assolutamente confrontabili con quelle di Roma. Anche in questo caso sia le tipologie prodotte che i restanti materiali
ceramici rimandano ad un orizzonte cronologico di inizio IX secolo 34. Per il resto si segnala una sostanziale
assenza di dati, sia a Roma che in altri centri.
Il IX secolo vede il radicarsi della tecnica di invetriatura piombifera in monocottura a Roma ed in altri siti
del Lazio 35. A questo periodo, com’è ormai noto, è possibile ascrivere la produzione di ceramica a vetrina pesante o Forum ware, oggetto di un lungo dibattito che ha
riguardato, oltre alla sua esatta cronologia, anche il tema
dell’evoluzione degli insediamenti laziali 36. La sua diffusione dentro e fuori Roma è senz’altro significativa, ed
è stata analizzata anche in altre sedi 37. Particolarmente
interessante è la distribuzione della Forum ware all’interno della città, che sembra indicare le aree più densamente abitate e significativamente caratterizzate dalla
presenza di monasteri e diaconie (fig. 3; tab. 3) 38. È stato
peraltro notato come l’attestazione di ceramica a vetrina pesante sia spesso collegata alla presenza di enti ecclesiastici. È il caso dell’area della Crypta Balbi, a
ridosso del monastero di S. Lorenzo in Pallacinis. L’area
dei Fori, dove si concentrano importanti monasteri e
diaconie (S. Adriano, SS. Sergio e Bacco, S. Maria Antiqua, SS. Cosma e Damiano), vede inoltre la compresenza di abitazioni e attività artigianali ed agricole, ed è
peraltro uno dei pochi areali dove si siano indagate strutture residenziali di quest’epoca 39. Riguardo al Foro va
segnalata inoltre una concentrazione particolare di ritrovamenti databili tra IX e X secolo nell’area della
Casa delle Vestali: diversi pozzi (alcuni dei quali hanno
restituito ceramiche invetriate ed acrome altomedievali)
e tracce d’occupazione abitativa rinvenuti soprattutto
durante gli scavi Boni (anni ‘80 e ‘90 dell’800), il noto
tesoretto monetale di X secolo e tracce di frequentazione
rinvenute più di recente in questo settore alle falde del
Palatino, sembrano indicare la presenza di un addensamento insediativo intorno alla diaconia di S. Maria Antiqua 40. Caratteristiche simili all’area del Foro sono
riscontrabili nel settore dell’Aventino, dove recenti scavi
e analisi di contesti ceramici indicano una presenza a carattere sparso di abitazioni, chiese e strutture monastiche 41. Al di fuori di Roma i siti con presenza di Forum
ware sicuramente di IX secolo sono decisamente pochi,
dato particolarmente evidente dalle ricognizioni del Tiber Valley Project, tra i più grandi e completi progetti di
ricognizione archeologica nel Lazio (fig. 4; tab. 4) 42. Anche qui si tratta per lo più di siti legati alla presenza monastica e dell’amministrazione pontificia. È il caso della
domusculta di S. Cornelia e dell’episcopio e santuario di
S. Rufina o del casale di Berretta del Prete (tra VIII e IX
miglio della via Appia), di proprietà del monastero di S.
Erasmo al Celio 43. Tra i pochi siti con attestazioni di ceramica a vetrina pesante non esclusivamente riconducibili alla presenza ecclesiastica si segnalano alcuni centri
urbani con lunga continuità di vita come Lucus Feroniae
(con il vicino insediamento di Scorano), Albano, Privernum, Ostia e Porto 44. La stragrande maggioranza dei
Si vedano alcuni dei contesti editi in PAROLI, VENDITTELLI
2004, in particolare ROMEI, ibibem, per la Crypta Balbi; si veda
anche MANDARINI, PAGANELLI 1998 per S. Clemente; RICCI 1998,
pp. 36-39 per la ceramica da fuoco. Per la Campagna Romana,
PATTERSON 1993. PAROLI 1998, pur con alcuni elementi superati
da sintesi successive, rimane un’ottima guida delle produzioni altomedievali romane. Si segnala anche PAROLI, DE LUCA, SBARRA
et alii 2003.
34
PATTERSON 1997, pp. 371-383 e PATTERSON 2010.
35
Entro la metà dell’VIII secolo potrebbe collocarsi una piccola
produzione di oggetti con invetriatura parziale, per la quale abbiamo
ancora pochi dati. Cfr. ROMEI 2004, pp. 285-286.
36
PATTERSON 2010, pp. 147-150, con bibliografia, riassume efficacemente le controversie sulla datazione di questa produzione e
le implicazioni nei pattern insediativi.
In particolare si rimanda a PATTERSON 1992 e PATTERSON 2010.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004, pp. 72-101.
39
Ibidem, pp. 34-40.
40
BONI 1899, pp. 332-333; AUGENTI 2001, pp. 139-140; per gli
scavi tra Sacra via e Casa delle Vestali, si ringraziano per le informazioni D. Filippi, S. Costa, D. Borruso. Si vedano anche le segnalazioni in MAZZUCATO 1993 per i materiali dall’area delle Vestali
e Tempio di Cesare.
41
Informazione personale di M. Ricci.
42
Per il Tiber Valley Project si rimanda a PATTERSON 1998 e, più
recente, PATTERSON, DI GIUSEPPE, WITCHER 2004.
43
Per S. Cornelia e S. Rufina si veda CHRISTIE 1991; per Berretta del Prete, vd. GAI 1986.
44
Per Lucus Feroniae e Scorano si rimanda a ROMEI 1992a e
ROMEI 1992b. Per Albano si veda FRAZZONI 2013; per Privernum
Caratteri della produzione ceramica tra alto e pieno medioevo (VIII-XII secolo)
33
37
38
287
Fig. 3. - Distribuzione dei rinvenimenti di ceramica a vetrina pesante databile tra inizio IX e prima metà X secolo a Roma e nel suburbio.
siti con vetrina pesante censiti dalle ricognizioni della
British School at Rome e dal presente lavoro di schedatura si data piuttosto a partire dal pieno X secolo, nel momento in cui gli insediamenti laziali, in tempi e modi
diversi, si organizzano in nuove forme, in coincidenza
col fenomeno dell’incastellamento.
Questa ridotta presenza di Forum ware di IX secolo
si accompagna ad una discreta varietà di impasti, per la
maggior parte collocabili nell’ambito del bacino del Tevere, spesso attestati in diversi vasi anche all’interno
dello stesso sito 45. Il caso più lampante al di fuori di
Roma è Farfa, dove la vetrina pesante è associata a circa
quattro gruppi petrologici distinti. Siamo però di fronte
ad un grande monastero imperiale e non stupisce una rete
di approvvigionamenti così vasta. Nella maggior parte
dei casi in cui sono state compiute campionature ed analisi petrografiche attraverso sezioni sottili, i gruppi petrologici presenti nello stesso sito sono in media tre. Esempi
possono essere S. Rufina (un insediamento rurale e sede
episcopale a nord di Roma, dove accanto ad argille presu-
mibilmente locali compaiono altre provenienti dal bacino
del Tevere) o Scorano (insediamento fortificato tra IX e X
secolo, adiacente ad approdi fluviali e caratterizzato da diverse associazioni di argille vulcaniche del bacino del Tevere) 46. Questa varietà indica spesso una prevalenza di
produzioni circonvicine ma anche una circolazione su
scala subregionale di prodotti riconducibili alla tipologia
della Forum ware. Occorre tenere presente però come le
tipologie decorative e formali, pur ampiamente variabili
come è caratteristico di questa classe, rimangano costantemente legate a modelli comuni ad una parte consistente dell’attuale Lazio, con minime e spesso tutt’altro
che indicative differenze. Questi elementi possono, in definitiva, essere sia un segnale di circolazione dei manufatti sia della manodopera all’interno di circuiti diretti
dalle chiese e dai monasteri dell’Urbe ed è significativo
che al di fuori dell’area di suo diretto controllo o influenza questa classe di fatto scompaia. Roma produceva
quindi una discreta quantità di vetrina pesante, consumata all’interno delle sue mura e che probabilmente si
PANNUZI 1994; per Ostia PAROLI 1993 e PANNUZI 2004; per Porto
CIARROCCHI, MARTIN, PAROLI et alii 1993.
45
Si fa qui riferimento in particolare all’ampia campionatura ed
alle analisi di impasti compiute in occasione del seminario sulla ce-
ramica invetriata tardo antica e altomedievale in Italia, tenutosi a
Siena nel 1990: cfr. PATTERSON 1992 e SFRECOLA 1992.
46
Per Scorano si veda anche ENEI, ROMEI 1990; GAZZETTI 1992;
ROMEI 1998.
288
GIORGIO RASCAGLIA, JACOPO RUSSO
ID
SITO
1
2
3
Castel Sant'Angelo
Mausoleo d'Augusto
Palazzo Altemps
Piazza Navona, 62
Piazza Navona
San Marcello al Corso
Palazzo Valentini
4
6
8
PRODUZIONE 1
Foro di Nerva
9
25
27
28
29
31
35
36
40
41
42
43
45
46
Santa Maria in Campo Carleo
Foro di Augusto
Foro Romano - Area Nord Occidenale (Ambiente D)
Pozzo Presso il Comizio
Fonte di Giuturna
Tempio dei Castori
Vico Jugario
Via della Consolazione (Area nord - occidentale del Foro Romano)
Tempio di Romolo
Tempio di Cesare
Tempio della Concordia - Pozzi
Santa Maria Antiqua
Foro Romano
Foro di Cesare
Colonne Onorarie - Pozzo H
Area retrostante la Curia
Foro di Cesare - Domus Terrinee
Casa delle Vestali - Pozzi
Pendici nord del Palatino
Pendici nord-occidentali del Palatino
San Teodoro
Terme di Elagabalo
Bastione Farnesiano
Arco di Giano
Sant'Omobono
Teatro di Marcello
Casa dei Vallati
Crypta Balbi
Teatro di Pompeo
Oratorio San Pasquale
Santa Cecilia in Trastevere
Rocca Savelli - Giardino degli Aranci
Colosseo - Sottoscala XXXVI
Colosseo - Cuneo X, Ambulacro
Colosseo - Piazzale est
Colosseo - Cuneo XLV
San Clemente
San Paolo fuori le Mura
Basilica circiforme via Ardeatina
San Sebastiano
Tor Pignattara
Palazzo della Cancelleria (San Lorenzo in Damaso)
Via Marmorata
Via del Lavatore
Piazza Venezia
Colonna Traiana
Tor De' Specchi
Taberne della via Nova
Santa Prisca
47
Nuovo Mercato Testaccio - via B. Franklin
48
49
50
51
121
122
Basilica Hilariana
Santo Stefano Rotondo
Via dei Chiavari
Piazza Venezia - Via Lata
Giardino delle Milizie
Largo Argentina
10
11
12
14
15
16
18
20
21
23
24
PRODUZIONE 2
PRODUZIONE 3
BIBLIOGRAFIA
MAZZUCATO 1976; PALOMBI c.s.
informazione personale di C. Coletti
informazione personale di M. Ricci, B. Ciarrocchi
DEWAILLY, BLANC, CALDARINI et alii 2014
BUONFIGLIO, CIANCIO ROSSETTO, LE PERA et alii 2014
EPISCOPO, GANDOLFO 2003
informazione personale di P. Baldassarre
DE LUCA 2001; SANTANGELI VALENZANI, PONTANI,
GIUDICE et alii 2002
MENEGHINI 1998
MAZZUCATO 1976; informazione personale di G. Del Buono
PAGANELLI 1994
BONI 1899
BONI 1901; MAZZUCATO 1993
VAAG 2008
RAIMONDO 2008
GÜLL 2003; GÜLL 2010
RUSSO 2001
MAZZUCATO 1993
FOLLIS 1988
MAZZUCATO 1993
MAZZUCATO 1993
MAZZUCATO 2005
PAROLI 2000
AMICI, DELL’AMICO, LEOTTA et alii 2007
DELFINO 2013
BONI 1899
informazione personale di D. Filippi, S. Costa, D. Borruso
AUGENTI 1992
ROCCO 1998
ORLANDI, LEPRI 2013
CICERONI, MARTIN, MUNZI 2004
informazione personale di V. Beolchini, J. Russo
RAMIERI, GIUSTINI 2004-2005
MAZZUCATO 1993
MAZZUCATO 1968
CB 3; CB 4; CB 5; RICCI, VENDITTELLI 2010
PACKER, GAGLIARDO, HOPKINS 2010
informazione personale di S. Fogagnolo
MOLINARI 2004
informazione personale di M. Ricci, B. Ciarrocchi
RICCI 2002
informazione personale di R. Santangeli Valenzani
DELFINO, MINNITI 2008
DELFINO 2009
informazione personale di F. Guidobaldi
MAZZUCATO 1971; FRESI, DE SANTIS c.s.
SMIRAGLIA, ZANOTTI 1998
MAZZUCATO 1993; informazione personale di G. De Rossi
RICCI 2011
PENTIRICCI 1994
CIARROCCHI 2011
GROSSI, MARTINI 2014
informazione personale di I. De Luca
BONI 1907
MAZZUCATO 1993
informazione personale di C. Palombi
VERMASEREN, VAN ESSEN 1965
http://www.fastionline.org/micro_view.php?fst_cd=AIAC_135&cur
col=sea cd-AIAC 578
CALABRIA, PATILLI 2013
MARTIN 2004
MAZZUCATO 1993
informazione personale di I. De Luca
informazione personale di M.P. Dal Moro
MAZZUCATO 1993
Tab. 3. Elenco dei siti che hanno restituito ceramica a vetrina pesante e sparsa a Roma e nel suburbio. Le tre diverse produzioni si riferiscono, schematicamente, alle produzioni a vetrina pesante, vetrina transizionale e vetrina sparsa.
muoveva occasionalmente sugli stessi percorsi di scambio che portavano all’interno di essa censi e prodotti agricoli dalla Campagna. Il volume produttivo sembrerebbe
complessivamente piuttosto basso, rivolto ad una domanda di livello medio-alto, che al di fuori di Roma veniva forse in parte garantito da vasai dipendenti operanti
nell’ambito delle domuscultae o delle massae ecclesiastiche 47. La scarsa standardizzazione dei vasi sotto il pro47
Sui livelli di output e le relative implicazioni produttive cfr.
ANNIS 1992. Per la circolazione: PATTERSON 2010, p. 156.
filo formale, decorativo, del colore della vetrina e nella
realizzazione degli impasti, sono dunque indici di variabilità tecnica e di competenze artigianali, oltre che
della presenza di diversi centri produttori.
Alle località già note vanno ora aggiunti alcuni siti
di recente indagine, che molto possono dirci delle principali tendenze nella produzione e circolazione di questa classe. In particolare il sito di Villamagna, nei pressi
di Anagni, indagato dal 2006 al 2010 sotto la direzione
di E. Fentress, ha restituito importanti fasi di IX secolo,
accompagnate da un registro ceramico sorprendente, in
289
Fig. 4. - Distribuzione dei rinvenimenti di ceramica a vetrina pesante databile tra inizio IX e
prima metà X secolo nel Lazio. Sono segnalati
i siti con attestazioni di argille metamorfiche, in
varie associazioni.
linea con elevati standard di livello
quasi urbano 48. Qui le analisi petrografiche compiute su ceramica a vetrina pesante hanno permesso di
quantificare indicativamente le sue
zone di provenienza 49. Circa il 40%
della Forum ware rinvenuta a Villamagna sembra essere classificabile all’interno di un gruppo petrologico
affine a quello di alcuni campioni provenienti dalla Crypta Balbi, molto
48
Si veda il contributo sulla ceramica di
Villamagna in FENTRESS, GOODSON, MAIURO
ID
SITO
55
57
58
59
60
61
64
65
66
67
68
71
80
81
82
83
84
90
92
99
100
101
102
103
104
105
107
108
109
110
111
112
113
114
115
117
118
119
Santa Severa
S. Rufina
Via Portuense
Basilica Portuense
Basilica di S. Ippolito all'Isola Sacra
Casale sulla via Laurentina
"Berretta del Prete"
Abbazia di San Nilo
Tusculum
Colle del Vescovo
Nemi - Località Santa Maria
Villa Magna
Castel Porciano
Formello (Campo sportivo)
Santa Cornelia
Pietrapertusa
Castello di Ostia
Albano - Cisternoni
Catacombe S. Senatore
Sant'Ilario ad bivium
Fondi - S. Magno
Cencelle
Mura di S. Stefano
Martignano Costa Sud
Malborghetto
Scorano
Farfa
Licenza - Villa c.d. d'Orazio
Vicus Augustanus
Borghesiana - Speco acquedotto Alessandrino
Catacombe di S. Zotico
Villa dei Centroni
Ponte Nepesino
Foglia
Mazzano Romano
Cisterna di Ceriara
Privernum
Monte D'Argento
Mola di Monte Gelato
Castro Dei Volsci - località Madonna del Piano
RICCI 2013
CHRISTIE 1991
SERLORENZI 2002
DI GIUSEPPE, MAIORANO 2013
BOSIO, MAESTRI 1995
BARTOLONI 2005
GAI 1986
DE LUCA 2014
BEOLCHINI, RASCAGLIA, RUSSO 2014
DRAGO TROCCOLI 2002-2003
VAAG 2010
RASCAGLIA c.s
MALLETT, WHITEHOUSE 1967
BOITANI, BOANELLI 1995
WHITEHOUSE 1980; PATTERSON 1991
STIESDAL 1962
PANNUZI 2003
FRAZZONI 2013
SPERA 1995
LUTTAZZI 1995
BORGOGNONI 2013
CIRELLI 2002
PATTERSON 2009
ALOISI 2004
CERRITO, TOMMASI 2009
ROMEI 1992b
informazione personale di H. Patterson
ANGELELLI 2006
CLARIDGE 1993
MUSCO, MUNZI, FELICI 2002
BORGOGNONI 2007
DI MATTEO 2002-2003
POTTER 1984
AGNENI 1995
POTTER 1972
GIOVENALE, MARIANI 1899
PANNUZI 1994
TORRE, CIARROCCHI 2006
PATTERSON 1997
MAZZUCATO 1993
86
PRODUZIONE 1
PRODUZIONE 2
PRODUZIONE 3
BIBLIOGRAFIA
121
Ostia - Basilica di Pianabella
CIARROCCHI, MARTIN, PAROLI et alii 1993
122
124
Lucus Feroniae
Castel Giubileo
ROMEI 1992a
DI GENNARO 2002
125
Porto - Ninfeo
CIARROCCHI, MARTIN, PAROLI et alii 1993
Tab. 4. Elenco dei siti che hanno restituito ceramica a vetrina pesante e sparsa nel Lazio. Le tre diverse produzioni si riferiscono,
schematicamente, alle produzioni a vetrina pesante, vetrina transizionale e vetrina sparsa.
290
GIORGIO RASCAGLIA, JACOPO RUSSO
probabilmente dal bacino del Tevere, contraddistinti
dalla presenza di elementi metamorfici e sporadici elementi vulcanici (il gruppo 9c di SFRECOLA 1992). Gli
impasti del restante 60% della ceramica a vetrina pesante, comunque con le forme e le tipologie tipiche di
Roma, non sembrano compatibili con l’area vulcanica
romana, essendo caratterizzati dall’uso di argille fluviali
derivate dal disgregamento di rocce appenniniche, prive
di vulcaniti. Questo dato ci pone quindi di fronte alla
presenza di altri centri produttivi laziali oltre a Roma,
che producevano precocemente Forum ware con tipologie romane. Questa circostanza, sulla base delle analisi petrografiche, era già emersa chiaramente negli studi
degli anni novanta del secolo scorso; tuttavia non è stato
ad oggi possibile identificare possibili centri produttivi 50.
Anche i dati ed i materiali provenienti dalle ricognizioni
della British School at Rome per il territorio a nord di
Roma, riesaminati nell’ambito di questo lavoro, non
sembrerebbero definitivi in tal senso 51.
A questa altezza cronologica (IX secolo), la presenza di ceramica a vetrina pesante sicuramente romana fuori del Lazio è esigua e limitata ad alcuni centri della costa Tirrenica, tanto da far pensare a circolazione
occasionale e/o destinata ad alcuni siti in particolare piuttosto che ad un commercio vero e proprio 52. A questo proposito è di estremo interesse la presenza, ormai più che
sensibile, di Forum ware con cronologie variabili tra il
IX ed il X secolo in diversi siti, anche rurali, della Sardegna settentrionale. In particolare il sito costiero di S.
Filitica (SS) ha restituito frammenti di ceramica a vetrina pesante associati ad una bolla plumbea di Niccolò I
(858-867), segnale evidente della connessione strettissima
tra circuiti di scambio romani e l’amministrazione pontificia 53. Quel che emerge inoltre dalle analisi mineropetrografiche effettuate su questi frammenti, pur nella ben
nota varietà di impasti che caratterizza la produzione a
vetrina pesante, è una predominanza, anche qui, di argille
metamorfiche, che se da un lato risultano di difficile collocamento, dall’altro suggeriscono una possibile specializzazione di alcuni settori del territorio laziale verso
una produzione (verosimilmente non solo ceramica) destinata a circuiti di scambio regionali ed interregionali 54.
A sottolineare la distribuzione mirata di questa produzione
contribuisce la presenza estremamente esigua (circa 3
frammenti) di Forum ware dalla Sardegna centrale e meridionale.
I secoli centrali del medioevo (figg. 5-6; tab. 3) vedono un’interessante fase di riorganizzazione delle officine ceramiche romane, che se manca ancora di chiari indicatori di produzione e di resti di istallazioni, risulta
tuttavia ben intelligibile dalla lettura diretta dei prodotti finiti e dalla loro distribuzione. Il punto di svolta della produzione ceramica a Roma sembra da collocarsi tra
la fine del X e l’XI secolo. In questo momento le produzioni ceramiche romane, ed in particolare quelle fini
da mensa, sembrano specializzarsi in maniera nettissima
sia sotto il profilo formale che tecnico. Se le officine romano-laziali, fino al pieno X secolo, producono una grande varietà di forme invetriate (brocche di varia dimensione
con una e fino a tre anse e con beccucci variamente articolati, olle, bottiglie, ciotole, catini, tazze, lucerne, attingitoi, microvasetti, coperchi) e di decorazioni (scaglie
ed altre decorazioni plastiche applicate, linee incise, pettinature, unghiate etc.), a partire dalla fine del X secolo
riducono drasticamente il repertorio formale e soprattutto
quello decorativo, che sostanzialmente si azzera (solo le
linee ondulate incise, sempre più sporadiche, sono attestate fino al XII secolo). Il corredo ceramico da mensa
a Roma e nel Lazio si restringe nell’XI secolo al boccale ovoide e biconico, a rare forme aperte di dimensioni
medio-grandi (destinate a scomparire nel secolo successivo) e – soprattutto dal XII secolo – alle ciotole 55. Le
argille utilizzate si presentano progressivamente più selezionate e calcaree, con inclusi più fini, perlopiù mica-
et alii c.s. ed in MOLINARI, BEOLCHINI, DE LUCA et alii c.s. Le pur
esigue stratigrafie di IX secolo in questo sito hanno restituito una
discreta quantità di ceramica a vetrina pesante, per un totale di circa
33 oggetti, associati a frammenti di anfore globulari e tipologie da
fuoco e dispensa tipiche del IX secolo.
49
Le analisi sono state compiute da Claudio Capelli; per i risultati di dettaglio si rimanda a FENTRESS, GOODSON, MAIURO et alii
c.s.; i gruppi petrografici ai quali si fa riferimento qui sono quelli
identificati in SFRECOLA 1992.
50
Uno scarto di fornace è segnalato a Cencelle (CIRELLI 2002,
p. 270), ma ad oggi non risulta illustrato chiaramente.
51
Si veda PATTERSON 2010.
52
Anche per questo aspetto distributivo e per i vari siti con attestazioni si rimanda a PAROLI 1992a. Si veda pure l’aggiornamento
sulla limitata ma significativa circolazione di produzioni romanolaziali in Sicilia ed in altre regioni meridionali in CACCIAGUERRA
2009, con bibliografia.
53
MILANESE 2010.
54
Per un elenco completo dei siti con attestazioni di questo tipo
di argille e per la loro interpretazione si rimanda a SFRECOLA 1992
e a PATTERSON 1992, pp. 423 ss., ai quali vanno aggiunti i materiali
da Villamagna (RASCAGLIA in FENTRESS, GOODSON, MAIURO et alii
c.s.); per un aggiornato censimento della presenza di vetrina pesante
in Sardegna e per le analisi petrografiche citate si rimanda a MILANESE, BICCONE, ROVINA et alii 2006.
55
Più raramente sono presenti microvasetti e coperchi. Per la varietà di forme prodotte si rimanda a PAROLI 1990; ROMEI 2004 e
RICCI, VENDITTELLI 2010.
291
Fig. 5. - Distribuzione dei rinvenimenti di ceramica a vetrina pesante e sparsa databile tra metà X e pieno XI secolo a Roma e nel suburbio.
sistenti 56. L’invetriatura si assottiglia progressivamente e,
sebbene dal punto di vista tecnico e chimico sia del tutto
identica alle produzioni a vetrina pesante precedenti, viene applicata progressivamente solo
con la tecnica dell’aspersione o
con l’uso di pennelli piuttosto
che ad immersione, ed in quantità decisamente minori. Nel
complesso si assiste quindi ad
una selezione delle forme prodotte e all’adozione di tecniche
più rapide, sia per quanto riguarda la foggiatura che per il rivestimento 57. Questo processo è
quasi sicuramente da mettere in
Fig. 6. - Distribuzione dei rinvenimenti di ceramica a vetrina pesante e sparsa databile tra metà X
relazione
con la necessità di
secolo e pieno XI nel Lazio.
aumentare i volumi di output,
cei, il che permette torniture più sottili ed accurate, ma
senza necessariamente tenere conto di particolari qualidenuncia una realizzazione dell’impasto poco accorta, està estetiche. Questa espansione dell’offerta dovette essere
sendo spesso le argille utilizzate troppo grasse e poco reuna conseguenza di una crescita della domanda di cera-
56
Si fa qui riferimento ad ANNIS 1992, la migliore disamina delle
tecniche produttive della ceramica a vetrina pesante e sparsa e delle
sue implicazioni economiche.
57
Per questa evoluzione, ben visibile in tutta l’area romana ed
oltre, si veda PAROLI 1990; PATTERSON 1993.
292
GIORGIO RASCAGLIA, JACOPO RUSSO
miche fini, che permise probabilmente l’affermazione di
artigiani specializzati ed indipendenti, come abbiamo visto attestati proprio dall’XI secolo. La collocazione dei
vasai in aree specifiche della città già a quest’altezza cronologica (in particolare a Trastevere) è ipotizzabile su di
un numero esiguo di fonti (vedi supra) e resta al momento
una ipotesi interessante. Certamente è molto probabile che
altri ceramisti dovettero essere operanti anche nell’area
dei Fori dove indizi archeologici labili, ma persistenti, permettono di ipotizzare la presenza di officine durante tutto il medioevo (fig. 7).
È stato recentemente proposto da M. Ricci che nel
corso dell’XI secolo le varie botteghe ceramiche romane
si distinguano e si specializzino, proprio sulla spinta di
una progressiva trasformazione in senso ‘industriale’
della produzione artigianale 58. Questa caratteristica è
senz’altro riscontrabile nella già sottolineata progressiva
standardizzazione delle forme e dei tipi, particolarmente
evidente a partire nel XII secolo; ma il vero punto di
arrivo di questa trasformazione è la fase finale delle produzioni a vetrina sparsa romane, databili nei decenni iniziali del XIII secolo, caratterizzate da impasti di scarsa
qualità, identici a quelli dell’acroma da mensa, spesso
con difetti di tornitura e cottura e dove la vetrina è quasi
assente. Si tratta in definitiva di prodotti di bassa qualità e seriali, che vengono realizzati per una domanda
di grandi dimensioni. Contemporaneamente sono attestate ceramiche depurate decorate con bande rosse (realizzate con ossidi di ferro), produzione che (al pari della
vetrina sparsa) si estingue col radicarsi della produzione di ceramica laziale.
Guardando alla circolazione dei prodotti delle officine romane a partire dal X secolo, si nota una diffusione in un arco relativamente ampio, cosa che risulta
particolarmente evidente in alcuni ambiti extraregionali
dove gli oggetti romani si distinguono nettamente dalle
produzioni locali. È il caso della Toscana, dove in vari
centri, soprattutto costieri o legati alla presenza di élites, arrivano oggetti invetriati dal Lazio e dove ceramiche da mensa invetriate di produzione locale
comparabili con quelle romane, tra IX e XII secolo, sono
del tutto assenti 59. Si tratta comunque, è bene sottolineare, di sporadici movimenti di oggetti, che verosi-
milmente circolano in reti di scambio rivolte ad altri,
più remunerativi, tipi di merce. All’interno dello stesso
Lazio (fig. 8) è generalmente più difficile individuare
con certezza ceramiche provenienti proprio da Roma.
Bisogna, infatti, sottolineare come in questo periodo nascano o aumentino esponenzialmente produzioni in località diverse da Roma, che pure continuano ad avere
la città come modello, mentre contestualmente diminuiscano le differenze macroscopiche negli impasti. È
ad esempio il caso di Tuscolo, dove le tipologie rimandano costantemente al panorama romano, ma lievi
differenze nelle argille lasciano pensare ad officine differenti 60. Nonostante questo appiattimento tipologico,
che si può estendere un po’ a tutto il Lazio centrale, fuori
dell’area di Roma si riscontrano differenze nelle vetrine,
negli impasti e in alcuni casi nelle tipologie. Possiamo
mettere in relazione questa tendenza, seppur in via ipotetica, con gli investimenti progressivamente più sensibili di alcuni enti ecclesiastici ma soprattutto delle
aristocrazie laiche nella nascita e sviluppo di nuovi insediamenti, soprattutto castrali. Esemplari sono i casi
di alcuni castra della sabina reatina (per i quali vedi
anche infra), in particolare Caprignano. N. Lecuyer,
che ha curato lo studio dei reperti ceramici da questo
castrum, identifica sulla base dell’impasto alcune officine (nessuna delle quali troppo specializzata, realizzando indistintamente oggetti da fuoco o da mensa) ed
una peculiare produzione in vetrina sparsa, la cui evoluzione richiama quella d’area romana, ma che apparentemente si declina in un arco di tempo maggiore, che
comprende tutto il XIII secolo. Una analogia è forse possibile col villaggio e monastero di Villamagna, dove una
produzione locale di ceramica invetriata da mensa (non
sempre comparabile con le coeve produzioni romane)
sembra sia presente sul sito o nelle vicinanze a partire
dal X-XI secolo 61. Su scala regionale le differenze, a
volte notevoli, nelle tecniche di invetriatura e nelle
stesse forme dei vasi, sembrano quindi indicare una moltitudine di officine e di saperi tecnologici leggermente
differenti. Guardando fuori del Lazio, è proprio tra X
ed XI secolo, e verosimilmente per analoghe tendenze,
che altri centri artigianali della penisola si specializzano
nella produzione di oggetti invetriati 62.
(G.R.)
58
RICCI 2009. Il termine ‘industriale’ per definire questo momento
della produzione ceramica romana è preso in prestito da da ANNIS
1992, p. 174 e PATTERSON 1992, p. 430.
59
Si veda il caso di Pisa (FEBBRARO, MEO 2009, con bibliografia), Cosa (CIRELLI, HOBART 2003, pp. 321-323). I siti di Tricosto
(Capalbiaccio), nell’ager Cosanus, e Poggio Cavolo, più a nord, vedono inoltre l’arrivo di altre classi di produzione romano-laziale,
come acrome da mensa/dispensa e da fuoco; si veda a riguardo l’intervento di E. Vaccaro e C. Valdambrini in HOBART, CERRI, MARIOTTI
et alii 2009, pp. 93-105.
60
BEOLCHINI 2006; RASCAGLIA, RUSSO 2013.
61
Per la Sabina si fa particolare riferimento a Caprignano, per il
quale cfr. LECUYER 1997. Per Villamagna vedi supra, nota 48.
62
Non è questa la sede per enumerare la totalità dei casi. Si ve-
LA CERAMICA MEDIEVALE DI ROMA: ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA E MERCATI (VIII-XV SECOLO)
293
Fig. 7. - Distribuzione dei rinvenimenti di ceramica a vetrina pesante e sparsa databile tra pieno XI secolo e XIII secolo a Roma e nel suburbio.
Come è noto, con il XIII secolo si cominciano a produrre a Roma, al pari di importanti centri come Pisa, Venezia, Genova-Savona, Napoli e Brindisi, ceramiche rivestite secondo tecniche mutuate direttamente o
indirettamente dal mondo islamico occidentale 63. A
Roma queste tecniche sono alla base della produzione
variamente definita come ‘ceramica laziale’ e più recentemente ‘maiolica laziale’ o ‘protomaiolica romana’64
e rappresentano un chiaro indizio di un sostanziale salto di complessità produttiva. Questa ceramica poteva,
infatti, presentarsi indifferentemente rivestita con lo smalto oppure con la vetrina trasparente o verde 65, neces-
sitando della duplice cottura, che raddoppiava i costi del
combustibile, l’uso di pigmenti metallici ed anche di additivi come l’ossido di stagno, che richiedono il loro reperimento nei mercati extraregionali. Come è stato detto, l’avvio di questa produzione avverrebbe in un
clima di relativa familiarità del mercato romano con le
ceramiche importate, specialmente dall’area campana,
nonché ad un ambiente socio-culturale ed economico favorevole alle attività imprenditoriali ed alle innovazioni
tecniche 66. Recenti studi sui materiali provenienti dai
livelli stradali del Vico Jugario hanno invece suggerito la possibilità di posticipare alla seconda metà del XIII
secolo la comparsa a Roma di queste ceramiche rivestite, in un contesto economico ‘opposto’, in cui il ceto
mercantile romano entrerebbe in crisi e vi sarebbe un
dano, a titolo di esempio, le tracce produttive da Corfinio (AQ), relative ad un insediamento monastico, in COLETTI, GIUNTELLA, SALADINO et alii 1990; GIUNTELLA, DI RENZO 2000, pp. 65-77; per un
convincente riesame della fornace di Corfinio e di parte dei materiali si veda ANTONELLI 2015; sempre per l’Abruzzo vedi STAFFA
2004, pp. 224-228; per la Toscana, anche da siti legati ad aristocrazie laiche, BERNARDI, CAPPELLI, CUTERI 1992; PAROLI, ibidem;
Milanese in QUIRÓS CASTILLO, BALDASSARI, CRISAFULLI et alii 1996;
GRASSI 2009 e GRASSI 2010, pp. 25-31.
63
Mi limito a rimandare ai contributi che, trattando l’introduzione delle nuove tecniche in Italia, fanno ferimento anche a Roma:
cfr. BERTI, GELICHI 1995; BERTI, GELICHI, MANNONI 1997; MOLINARI 2000.
64
Il termine ‘maiolica laziale’ (RICCI 2009) non trova consensi
uniformi. E’ stato infatti sottolineato (PANNUZI 2011, p. 104) come
questa nomenclatura sottolineerebbe la presenza del solo rivestimento
stannifero presente all’esterno del vaso, a discapito delle altre due
varianti di rivestimento.
65
Nella prima fase produttiva della ‘verde’, la densità di alcuni
rivestimenti non permette di escludere che si tratti di uno smalto
colorato, ottenuto tramite l’uso di una percentuale di stagno (RICCI,
VENDITTELLI 2010, p. 66).
66
Cfr. MOLINARI 2000; sul fenomeno delle importazioni ceramiche a Roma si rimanda anche a RUSSO 2014 mentre per l’attività
dei mercatores romani a VENDITTELLI 1993; VENDITTELLI 1995;
VENDITTELLI 2001; ALBERZONI 2002.
Caratteri della produzione ceramica nel basso Medioevo (XIII-XV secolo)
294
GIORGIO RASCAGLIA, JACOPO RUSSO
za di forme quali il boccale con
beccuccio a mandorla e la forma da olio con bocca trilobata
sarebbe poi un netto segnale
dell’iniziativa dei vasai locali
nell’introdurre le nuove tecniche, mentre la presenza di decori sin da subito maturi e variegati
sarebbe
dovuta
all’attività, in quelle stesse botteghe, di maestranze già esperte. Non è possibile dunque
escludere (e purtroppo neanche
valutare) l’eventuale apporto
diretto di know-how da altri
centri produttori, verosimilmente dall’Italia meridionale,
Fig. 8. - Distribuzione dei rinvenimenti di ceramica a vetrina pesante e sparsa databile tra pieno XI
area
alla quale la ceramica lae XIII secolo nel Lazio.
ziale sarebbe vicina culturalminore approvvigionamento di prodotti importati 67. Tale
mente per gusto e tecnica, seppur con elementi di oriidea appare poco compatibile con quelle che sono le noginalità.
stre conoscenze sull’evoluzione morfologica e decoraLa mappatura dei ritrovamenti di questa classe altiva di questa classe, acquisite grazie a contesti suffil’interno della città mostra una loro concentrazione nelle
cientemente ben databili (Colosseo, pozzi del Teatro
aree più densamente abitate, soddisfacendo la domanda
Argentina e del Mausoleo di Elena, SS. Apostoli) 68. Le
di una popolazione urbana raccolta nell’ansa del Tevere
prime produzioni di ceramica laziale (prima metà XIII
e che fino all’inizio del XIV secolo vive un periodo di
secolo) prevedono esclusivamente forme chiuse, quacrescita demografica 70. Ciò che però si nota è una dili brocche con corpo più schiacciato, caratterizzate da
stribuzione apparentemente meno capillare della cerauna cura esecutiva nei decori, realizzati in tricromia; promica laziale rispetto alle ultime produzioni invetriate
gressivamente, nel corso del secolo, queste si fanno sem(fig. 9; tab. 5). Certamente gli elementi di criticità espopre più allungate, i decori meno curati e comincia la prosti precedentemente (parzialità dei dati, diversa intenduzione delle prime forme aperte. Non abbiamo
sità delle ricerche archeologiche nelle varie zone della
elementi a sufficienza (chiari indicatori produttivi o foncittà) potrebbero rendere questo dato provvisorio. Si poti scritte) per poter chiarire le forme organizzative di quetrebbe però ipotizzare, pur con le dovute cautele, che
sta produzione. Recentemente Marco Ricci ha insistialmeno nella sua fase iniziale, questa classe ceramica
to sul fatto che le nuove tecniche verrebbero
rappresentasse sul mercato romano un prodotto innoperfettamente assimilate, fin dalla loro comparsa, alvativo, ma non di larghissimo consumo in tutti i ceti
l’interno di officine già esistenti, senza alcuna sperisociali. La concorrenza della ceramica laziale potrebbe
mentazione graduale 69. Secondo quest’autore la ceraessere alla base dell’interruzione dell’esaurimento della
mica laziale verrebbe, infatti, prodotta in quelle stesse
produzione delle brocche acrome, con poca vetrina o
botteghe che producevano in precedenza gli anforacei
dipinte in rosso. Tuttavia, in un arco cronologico piutda dispensa e, per un arco cronologico piuttosto limitosto circoscritto (inizi/prima metà XIII secolo) doveva
tato, brocche da mensa dipinte in rosso. La persistenessere disponibile sul mercato romano una grande va-
67
Nel caso del Vico Jugario (cfr. RAIMONDO 2008) la ceramica
laziale comparirebbe, con la tipica forma della brocca, nella fase
III (seconda metà XIII-XIV secolo) con una percentuale pari all’1%
del totale dei frammenti, contro l’8,4 % di maiolica arcaica. Su
questa proposta di datazione si vedano anche GÜLL 2003; GÜLL
2010.
68
Per i contesti del Colosseo e di Tor Pignattara, cfr. RICCI 2002;
RICCI 2011. MAZZUCATO 1972b e MAZZUCATO 1981 rispettivamente
per il pozzo del Teatro Argentina ed il contesto di S. Nicola in Carcere. Per i materiali provenienti da piazza SS. Apostoli si rimanda
alla nota 82.
69
Cfr. RICCI 2009.
70
Cfr. MAIRE VIGUER 2011.
LA CERAMICA MEDIEVALE DI ROMA: ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA E MERCATI (VIII-XV SECOLO)
295
Fig. 9. - Distribuzione dei rinvenimenti di ceramica laziale a Roma e nel suburbio.
rietà di prodotti da mensa sia locali, sia importati a prezzi
ovviamente differenti. Naturalmente questa resta soltanto
un’ipotesi che necessita di ulteriori conferme da contesti chiusi e ben databili. In ogni caso l’uso delle tre diverse tecniche di rivestimento nell’ambito della
ceramica laziale sarebbe poi un ulteriore indice della
coesistenza sul mercato di prodotti con un diverso valore commerciale 71. Non è però sempre facile rilevare
macroscopicamente l’effettiva incidenza dei vari rivestimenti, a causa dell’ambiguità delle coperture nel caso
delle rivestite con smalto, generalmente di scarsa qualità, e delle dipinte sotto vetrina 72. In generale si nota
come la variante monocroma verde di questa produzione
sia presente in quantità nettamente minoritarie rispetto
agli altri due tipi di rivestimento, fino ad esserne sop-
piantata del tutto nella seconda metà del XIV secolo e
ricomparire, sempre in basse percentuali, nella prima
metà del secolo successivo.
Stabilire con certezza l’area di circolazione delle ceramiche rivestite dell’area romana (maiolica arcaica inclusa), rispetto a quelle del Lazio settentrionale e dell’Umbria meridionale, resta ancora molto difficile.
Questo a causa del fortissimo parallelismo che intercorre tra di esse e la mancanza di sequenze stratigrafiche che
documentino l’evoluzione delle ceramiche in queste aree
a nord di Roma. Anche le analisi petrografiche degli impasti, per altro raramente eseguite, possono non essere dirimenti nel riconoscimento delle varie produzioni, in quanto le argille usate sono spesso molto depurate 73. Sembra
comunque che oltre a soddisfare il mercato cittadino, com-
71
Nella prima fase produttiva della ‘verde’, la densità di alcuni
rivestimenti non permette di escludere che si tratti di un rivestimento
ottenuto miscelando ossidi di piombo e stagno, conseguendo risultati diversi al minimo variare di uno degli ossidi (RICCI, VENDITTELLI 2010, p. 66 e RICCI 2011, p. 265). Ulteriori analisi dei
rivestimenti sarebbero necessarie nell’ottica di confermare o meno
questo dubbio e articolare ulteriormente il quadro dei rivestimenti
usati.
72
Tale rapporto è stato fino ad oggi valutato solo nel caso della
Crypta Balbi grazie anche al supporto di analisi diffrattometriche a
raggi X (cfr. MOLINARI 1990, p. 418). Si passerebbe da un rapporto
assolutamente paritetico tra i due tipi di rivestimento (prima metà
XIII secolo), ad una progressiva diminuzione delle invetriate a fa-
vore dei prodotti smaltati (seconda metà XIII e prima metà XIV secolo), molto probabilmente a causa alla concorrenza della maiolica
arcaica.
73
Per le uniche analisi condotte fino ad oggi sulla ceramica laziale e la maiolica arcaica si rimanda a WILLIAMS, OVENDEN 1978
e D’AMBROSIO, MANNONI, SFRECOLA et alii 1986. Un programma di
analisi chimiche per caratterizzare i diversi centri che producevano
ceramica laziale sarebbe forse l’unica strada percorribile, accanto
alla eventuale scoperta di officine che producevano questa classe.
Unico labile indizio di produzione esterno a Roma è un frammento
di invetriata verde con evidenti difetti di fabbricazione segnalato
presso il lago di Martignano (ALOISI 2004, tav. CXXII, nn. 106,
106bis); l’autrice lo interpreta come possibile scarto di lavorazione
296
GIORGIO RASCAGLIA, JACOPO RUSSO
ID
SITO
1
Castel Sant'Angelo
2
Mausoleo d'Augusto
informazione personale di C. Coletti
3
Palazzo Altemps
Piazza Navona, 62
informazione personale di M. Ricci, B. Ciarrocchi
DEWAILLY, BLANC, CALDARINI et alii 2014
BUONFIGLIO, CIANCIO ROSSETTO, LE PERA et
alii 2014
informazione personale di M. Ricci
EPISCOPO, GANDOLFO 2003
SERLORENZI 2010
informazione personale di P. Baldassarre
FOGAGNOLO 2005; FOGAGNOLO 2006
LUCCERINI 2006
informazione personale di I. De Luca
MENEGHINI 1998
MAZZUCATO 1976; informazione personale di G.
Del Buono
4
5
6
7
8
9
CERAMICA LAZIALE
MAIOLICA ARCAICA
Piazza Navona
Piazza Capranica
S. Marcello al Corso
Piazza Santi Apostoli
Palazzo Valentini
Foro della Pace
Foro di Traiano
Via dei Carbonari
Santa Maria in Campo Carleo
Foro di Augusto
Foro Romano - area nord-occidenale (ambiente D)
SANTANGELI VALENZANI, PONTANI, GIUDICE
et alii 2002
PAGANELLI 1994
Scavi Boni Fori/Palatino
Tempio dei Castori
Vico Jugario
Via della Consolazione (Area nord - occidentale del Foro Romano)
Tempio della Concordia - Pozzi
Pendici nord-occidentali Palatino
Arco di Giano
Bocca della Verità
Sant'Omobono
Teatro di Marcello
Tempio di Apollo
Crypta Balbi
Teatro Argentina
Teatro di Pompeo
Via di S. Paolo alla Regola
S. Pasquale
Santa Cecilia in Trastevere
WHITEHOUSE 1978
VAAG 2008
RAIMONDO 2008
GÜLL 2003; GÜLL 2010
MAETZKE 1991
ROCCO 1998
informazione personale di V. Beolchini, J. Russo
MAZZUCATO 1976
RAMIERI, GIUSTINI 2004-2005
MAZZUCATO 1976
MAZZUCATO 1968
CB 3; CB 4; CB 5; RICCI, VENDITTELLI 2010
MAZZUCATO 1972b
PACKER, GAGLIARDO, HOPKINS 2010
MAZZUCATO 1986b
informazione personale di S. Fogagnolo
MOLINARI 2004
S. Francesco a Ripa
Rocca Savelli - Giardino degli Aranci
Colosseo - Sottoscala XXXVI
Colosseo - Ambulacri esterni
Colosseo - Sottoscala XLV
Colosseo - Cuneo XLV
S. Clemente
Ospedale di S. Giovanni
S. Paolo fuori le mura
Basilica circiforme via Ardeatina
S. Sebastiano
Casale sulla via Laurentina
Tor Pignattara
Piazza Risorgimento
Piazza Cola di Rienzo
Via dei Farnesi - via di S. Girolamo della Carità
Palazzo della Cancelleria (S. Lorenzo in Damaso)
Via Marmorata
Ospedale di S. Giovanni (Bacini)
Caserma Carreca
Castrum Caetani
S. Nicola in Carcere
Villa Medici
Piazza S. Pietro
informazione personale di M. Ricci, B. Ciarrocchi
RICCI 2002
REA, COCCIA 1998
REA, COCCIA 1998
DELFINO 2009
informazione personale di F. Guidobaldi
informazione personale di M. Ricci
MAZZUCATO 1970; FRESI, DE SANTIS c.s.
SMIRAGLIA, ZANOTTI 1998
informazione personale di G. De Rossi
BARTOLONI 2005
RICCI 2011
PALOMBI c.s.
PALOMBI c.s.
RINALDONI, FERRACCI 2005
PEREGO 2009
CIARROCCHI 2011
MAZZUCATO 1976
DE ROSSI 2014
PARIS 2000
MAZZUCATO 1981
BONASERA 2009
SANNIBALE 1993
Foro di Nerva
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
51
52
53
BIBLIOGRAFIA
MAZZUCATO 1976; PALOMBI c.s.
informazione personale di M. Ricci
Tab. 5. Elenco dei siti che hanno restituito ceramica laziale e maiolica arcaica a Roma e nel suburbio.
prendente anche la fascia dei casali dell’agro romano ed
il territorio circostante, la ceramica laziale raggiungesse come vasellame pregiato anche siti relativamente distanti (fig. 10; tab. 6). Se nelle ricognizioni del Tiber Valley Project, condotte dalla British School at Rome, la sua
presenza è piuttosto sporadica, in alcuni castra indagati dall’ École Française de Rome nella valle del Turano,
sarebbe la prima classe sicuramente importata dalla città (seppur piuttosto tardi, nella seconda metà del XIII se-
colo) ampliando un panorama dominato da produzioni locali invetriate (vedi supra) 74. La sua diffusione coinvolge
comunque anche l’area costiera settentrionale. Lo testimoniano ad esempio alcuni butti rinvenuti a Cerveteri ed
74
Per i risultati dalle ricerche della British School at Rome, comunicazione personale di Helen Patterson (per indicazioni bibliografiche vedi nota 41). Per le indagini dell’École Française de Rome
in Sabina si rimanda alle sintesi di Nolwen Lecuyer (LECUYER 1994;
LECUYER 1997).
LA CERAMICA MEDIEVALE DI ROMA: ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA E MERCATI (VIII-XV SECOLO)
Fig. 10. - Distribuzione dei rinvenimenti di ceramica laziale nel Lazio.
ID
SITO
BIBLIOGRAFIA
54
55
56
57
58
59
60
61
62
63
66
67
68
69
70
71
72
73
74
75
76
77
78
79
80
81
82
83
92
Civitavecchia
Santa Severa
Cerveteri
S. Rufina
Via Portuense
Basilica Portuense
Basilica di S. Ippolito all'Isola Sacra
Casale sulla via Laurentina
Casale sulla via Laurentina
Villa dei Quintili
Tusculum
Colle del Vescovo
Nemi - Località Santa Maria
Tivoli - Anfiteatro
Segni
Villa Magna
Veroli
Trevi nel Lazio
Privernum
Fossanova
Montagliano
Collalto Sabino
Roccabaldesca
Caprignano
Castel Porciano
Formello (Campo sportivo)
Santa Cornelia
Pietrapertusa
Fondi - S. Magno
ANGIONI 1986
RICCI 2013
QUARANTA, CASOCAVALLO 2013
CHRISTIE 1991
SERLORENZI 2002
DI GIUSEPPE, MAIORANO 2013
BOSIO, MAESTRI 1995
BARTOLONI 2005
MAZZUCATO 1979
informazione personale di C. Lalli
BEOLCHINI, RASCAGLIA, RUSSO 2014
DRAGO TROCCOLI 2002-2003
VAAG 2010
LEOTTA 2002
informazione personale di F. Colaiacomo
RASCAGLIA c.s.
BIDDITTU 1995
CRISTOFANILLI 1995
informazione personale di C. Leotta
informazione personale di C. Leotta
LECUYER 1994; LECUYER 1997
DELOGU, COCCIA, PATTERSON 1990
ROMEI 1992c
LECUYER 1994; LECUYER 1997
MALLETT, WHITEHOUSE 1967
BOITANI, BOANELLI 1995
WHITEHOUSE 1980
STIESDAL 1962
informazione personale di G. Castiglia
Tab. 6. Elenco dei siti che hanno restituito ceramica laziale nel Lazio.
Per Santa Severa cfr. RICCI 2013. Per Cerveteri invece QUACASOCAVALLO 2013. Vale comunque la pena sottolineare
anche la presenza di un boccale in ceramica laziale di produzione
romana, conservato al Museo della Ceramica della Tuscia (Viterbo),
proveniente da collezione privata (cfr. LUZI 2005, p. 23, s. 19).
76
Per una prima sintesi sul Lazio meridionale si rimanda a PANNUZI 2011.
77
Frammenti di brocche provengono da sterri condotti nel Castello di Trevi nel Lazio (cfr. CRISTOFANILLI 1995). Un frammento
di forma aperta, classificata come ceramica laziale ma per la quale
75
RANTA,
297
il contesto relativo all’obliterazione della chiesa di Santa Severa. In quest’ultimo
caso il nucleo quantitativamente più rilevante è proprio di origine romana, forse carico accessorio di navi che arrivavano
da Roma per l’approvvigionamento di derrate 75. Piccole quantità di ceramica laziale
di sicura fattura romana si trovano anche
nel Lazio meridionale, il cui quadro produttivo resta ancora lacunoso, ma arricchito dalle recenti indagini condotte a Villamagna (Anagni) 76. Oltre a sporadiche
segnalazioni sfortunatamente fuori contesto, è proprio quest’ultimo il caso più interessante, dove bassissime percentuali di
ceramica laziale vanno ad affiancare le più
numerose invetriate monocrome di produzione locale 77. Fuori dal Lazio le attestazioni di questa ceramica si limitano ad
alcuni porti importanti (Marsiglia, Piombino e probabilmente anche Napoli) 78.
Allo stato attuale delle conoscenze sembra che l’investimento dei vasai romani
in nuove tecnologie, che in ambito rurale non sembrano siano mai state prodotte o imitate, permetta loro di raggiungere mercati più ampi rispetto a quanto
avveniva con le ceramiche tipo sparse glazed, più spesso fatte direttamente in loco.
Sembrerebbe però trattarsi di una distribuzione commerciale di non grande entità, nettamente minore rispetto alla circolazione delle ceramiche rivestite
prodotte da altri centri della penisola
non sembra esserci in realtà certezza, proviene dai
lavori di ripulitura e restauro condotti alla porta
e alle mura medievali di Veroli (cfr. BIDDITTU
1995). La provenienza di queste testimonianze
resta però ancora da chiarire. Per Villamagna cfr.
RASCAGLIA in FENTRESS GOODSON, MAIURO et
alii c.s. Presenza di ceramica laziale (un boccale
e frammenti di forme aperte) sono attestati anche
a Segni al Museo Comunale (informazione personale di F. Colaiacomo), Priverno e Fossanova (comunicazione personale di M.C. Leotta).
78
Per Marsiglia cfr. MOLINER 1993, pp. 204-205; nel testo si fa
un accenno, non ulteriormente esplicitato, anche a tre frammenti provenienti dal sito di Saint-Laurent (ibidem, p. 204, nota 30). Per il
microvasetto smaltato rinvenuto a Piombino (per forma e decori cfr.
RICCI, VENDITTELLI 2010, p. 56, I.4.32-33), insieme ad un’olla acquaria in ceramica acroma, cfr. LIGUORI 2006; LIGUORI 2007, pp.
184-185. Infine per i boccali rinvenuti a S. Lorenzo Maggiore cfr.
VENTRONE VASSALLO 1984, tav. CVIII, nn. 474-476.
298
GIORGIO RASCAGLIA, JACOPO RUSSO
come Pisa (maiolica arcaica), Savona (graffita arcaica tirrenica) o Brindisi (protomaioliche) 79.
Un ulteriore arricchimento delle manifatture romane
si verifica tra la seconda metà del XIII e la prima metà
del XIV secolo con l’inizio, in quantità minoritarie rispetto alla laziale, della maiolica arcaica 80. Quest’ultima, frutto di un mutamento culturale che si attua
gradualmente tramite influenze esterne (Toscana) ed
un’evoluzione interna delle forme tradizionali, segna un
ulteriore miglioramento tecnico rispetto alla ceramica
laziale. Le vetrine si presentano di maggior spessore e
gli smalti più spessi e bianchi. La produzione ceramica
vede ora numerose varianti formali delle due forme
principali, ovvero la panata e il boccale, al contrario dell’omogeneità formale che caratterizzava il periodo prcedente. Si tratta di una fase di definizione del patrimonio
morfologico dovuta alla presenza in città di vasai di diversa formazione e con specifici repertori (soprattutto
di area umbro-laziale), col conseguente moltiplicarsi di
botteghe 81. Questo almeno sembra evidente dall’unico
contesto affidabile per questa cronologia. Si tratta dello
scarico scavato in piazza dei SS. Apostoli e studiato da
M. Ricci e Ilaria De Luca, riferibile verosimilmente ad
una comunità come un monastero, un ospizio o una locanda 82. Ancora una volta i contesti di Santa Severa (piccoli immondezzai e terre ortive) ci aiutano a far luce
sulla circolazione dei prodotti romani fuori dalla città.
Questi, infatti, sono ancora una volta i più attestati, con
le ultime produzioni di maiolica laziale e della prima
maiolica arcaica, oltre a pentolame da cucina acromo
ed invetriato 83.
Il secondo Trecento vede l’affermazione della maiolica arcaica matura, con un aumento della varietà e quantità delle forme prodotte (in particolare di quelle aperte)
che si presentano ora meglio tornite, con rivestimenti di
migliore qualità e un repertorio decorativo ampliato e tecnicamente migliorato a livello esecutivo. Uno studio ancora in corso, da parte di chi scrive, sugli apparati de-
corativi della ceramica laziale e della maiolica arcaica conferma la progressiva standardizzazione, nell’arco di un
secolo, dei decori che si presentano ora apparentemente basati su di un repertorio codificato di exempla. Tuttavia, se i decori principali appaiono fortemente stereotipati, alcuni elementi decorativi accessori potrebbero
invece essere delle valide spie dell’attività di artigiani o
botteghe differenti (fig. 11). Dopo il forte calo demografico
conseguente alla ‘peste nera’ è possibile ipotizzare anche
per Roma una notevole espansione dei consumi di prodotti artigianali 84. Gli immondezzai rinvenuti al civico
62 di piazza Navona, inquadrabili tra XIV e XV secolo,
hanno restituito materiale che, seppur di buona qualità e
notevole varietà formale e funzionale, non connoterebbe consumi d’élite, coerentemente con quanto emerge dalla documentazione scritta, che attesta nella zona la presenza di vasai, calcarari e tavernieri 85. Sebbene la
mappatura dei ritrovamenti di maiolica arcaica sembrerebbero indicare una leggera espansione degli areali distributivi (è il caso di piazza san Pietro, Pincio, piazza Risorgimento e piazza Cola di Rienzo; fig. 12; tab. 5), non
abbiamo elementi per affermarlo con certezza a causa, anche in questo caso, della bassa incidenza di dati editi. Sembrerebbe comunque che questa tendenza alla crescita dei
consumi si intraveda anche nel mercato rurale, dove la
maiolica arcaica romana è presente anche in siti relativamente distanti da Roma. Seppur in quantità ridotte, è
stata infatti rinvenuta nel castrum di Villamagna, dove comunque continua ad essere prevalente l’uso di ceramica da mensa di produzione locale (quasi esclusivamente invetriata), e dove sono attestate maioliche più scadenti
prodotte da centri ‘minori’ non ancora identificati 86. Ulteriori attestazioni riguardano l’Alto Lazio; oltre infatti
al già citato caso dei butti di Cerveteri, una minima presenza di maioliche arcaiche riferibili all’area romana sono
segnalate a Tarquinia e Tuscania 87. Nel caso della maiolica
arcaica rinvenuta nei castra della Sabina (ad esempio
Montagliano), ci troviamo di nuovo davanti al fenome-
79
Per la graffita arcaica tirrenica si rimanda a VARALDO 1997,
mentre per le protomaioliche a PATITUCCI UGGERI 1997 e RIAVEZ 2000.
Per le maioliche arcaiche pisane cfr. BERTI 1997.
80
Vale la pena sottolineare come in questo momento si verifichi
anche l’introduzione del pentolame invetriato; ancora incerta è però
l’origine di questa produzione, probabilmente dovuta a maestranze
alloctone e non all’iniziativa di botteghe già esistenti (cfr. RICCI,
VENDITTELLI 2010, p. 288 e PANNUZI 2007).
81
Cfr. MOLINARI 2000.
82
Per un primo inquadramento del contesto si rimanda al contributo di Ilaria De Luca contenuto in SERLORENZI 2010. Si ringraziano Marco Ricci ed Ilaria De Luca per le informazioni messe a
disposizione.
83
RICCI 2013; più incerta è invece l’attribuzione a produzioni romane di una brocca rinvenuta a Corinto (cfr. MORGAN 1942, p. 261,
fig. 193).
84
Vedi ad esempio DYER 1997; MOLINARI 2010b; MOLINARI
2014.
85
Per una presentazione preliminare del materiale cfr. da ultimo
DEWAILLY, BLANC, CALDARINI et alii 2014. Per lo studio della documentazione attinente l’immobile di piazza Navona vd. supra,
nota 21.
86
Per Villamagna, cfr. supra, nota 77.
87
Per Tuscania ROMEI 1994, p. 96; Per il pozzo 3 di via Lunga
a Tarquinia invece cfr. CASOCAVALLO 2002.
LA CERAMICA MEDIEVALE DI ROMA: ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA E MERCATI (VIII-XV SECOLO)
299
nella seconda metà del Quattrocento e l’inizio del secolo
successivo, prima dello spostamento progressivo a Trastevere, dove si stabiliranno
anche per fenomeni legati
agli sviluppi urbanistici del
Campo Marzio.
(J. R.)
Considerazioni conclusive
Il dato combinato delle
fonti archeologiche e scritte
consente quindi di tracciare,
pur con diverse incertezze, i
luoghi della produzione ceramica a Roma in un arco cronologico piuttosto ampio. In
generale si può ipotizzare la
presenza di officine ceramiche
all’interno del tessuto urbano,
fino al XVIII secolo 90.
Fig. 11. - Evoluzione diacronica di due motivi decorativi della produzione romana (uccello e colonna).
Le maggiori incertezze si
Esemplari da Crypta Balbi, piazza SS. Apostoli, Foro di Traiano.
hanno per l’alto Medioevo,
dal momento che nessun inno dell’importazione, verosimilmente da centri urbani, di
dicatore di produzione si è dimostrato affidabile e non
ceramiche fini evolute 88.
esistono attestazioni scritte di vasai. Non si può tuttaUn’ulteriore evoluzione estetica avviene nella prima
via escludere che l’area dei Fori abbia visto una duremetà del XV secolo. Accanto a prodotti che non sembrano
vole presenza di vasai. La documentazione scritta, a
partire dall’XI secolo, testimonia l’esistenza di officine,
avere successo (invetriata verde e giallo-bruna) 89 comnon si può escludere nucleate, a Trastevere ed in area
paiono per la prima volta le maioliche policrome di prosuburbana, lungo la via Appia. Sembrerebbe evidente
duzione locale, mutuando parte dei repertori formali e decome tutti i luoghi di produzione ceramica a Roma siano
corativi dalla maiolica arcaica. L’integrazione all’interno
da mettere in connessione con le proprietà degli enti ecdelle botteghe romane di maestranze provenienti da
clesiastici, almeno fino al basso Medioevo, come d’alcentri specializzati della valle del Tevere (Deruta ed area
tronde appare normale anche per numerosi altri casi di
viterbese) o del Valdarno (vedi supra) vivacizzano il pabeni immobili. Non a caso la comparsa dei vasai nella
norama ceramico locale con la fabbricazione in loco dei
documentazione principalmente come testimoni è forse
loro prodotti. I vasai menzionati nelle fonti tra la fine del
da mettere in relazione a circuiti clientelari degli enti
‘300 e ‘400 sono, come abbiamo visto, quelli dei quali abreligiosi. Interessante a riguardo è il censo stabilito per
biamo più informazioni. La loro presenza fa riferimento
l’affitto della già citata bottega situata in Criptae Colaalla zona tra piazza Navona e il quartiere Arenula, sul liriae, che è costituito anche da otto laguenas, ovvero anmite dell’ansa del Tevere. Ed è proprio tra Arenula, piazfore. Non possiamo comunque sapere quanto la
za Giudea ed Isola Tiberina che aumenterà la loro presenza
88
La maiolica arcaica rinvenuta in Sabina sembra, infatti, ricollegarsi alle tipologie delle produzioni romane (cfr. LECUYER 1994;
LECUYER 1997).
89
L’invetriata verde, che ricompare ora con pochi esemplari, sembra riferibile ad una singola bottega attiva nell’arco di un trentennio (cfr. RICCI, VENDITTELLI 2010, pp. 172-175).
90
Oltre agli impianti già citati ricordiamo anche la fornace di via
della Consolazione, databile tra XVII e XVIII secolo, che produceva soprattutto ceramica invetriata (PANNUZI 1998). Tracce produttive relative a ceramica invetriata sono state inoltre rinvenute in
viale delle Mura Portuensi (MARCELLI, MUNZI, SCHINGO 2013).
300
GIORGIO RASCAGLIA, JACOPO RUSSO
Fig. 12. - Distribuzione dei rinvenimenti di maiolica arcaica a Roma e nel suburbio.
produzione fosse diretta dagli stessi enti ecclesiastici o
se questi si limitassero ad essere proprietari soltanto delle
botteghe. Non siamo altresì in grado, se non valutando
ad esempio i livelli di standardizzazione dei vasi, di valutare i volumi produttivi, che sembrano però, come abbiamo detto, progressivamente crescenti. L’affermarsi
di distinti e specializzati gruppi di atelier nel corso dell’XI e XII secolo, risultato di un mercato interno sempre più sviluppato, sembrerebbe facilitare anche gli
sviluppi del XIII secolo. Nel 1200 la produzione diviene,
infatti, più complessa, con l’introduzione di nuove ed
avanzate tecniche da parte delle officine locali. Queste
tendenze diverranno sempre più evidenti nel corso del
Trecento, quando si assiste ad un ulteriore allargamento
del mercato cittadino, con l’aumento dei consumi di beni
di qualità mediamente alta anche da parte di classi non
abbienti.
La presenza di officine ceramiche nel tessuto urbano
non è affatto un’eccezione romana. Molte città medievali dell’Italia centrale vedono questa presenza 91. Quel
che sembra assente a Roma è una legislazione in materia. Mentre in altre realtà urbane italiane viene regolata la produzione ceramica (a Viterbo gli statuti
comunali che riguardano le attività dei figuli risalgono
al 1251) o si vieta la presenza di fornaci entro le mura
(l’esempio più chiaro e precoce in tal senso è Siena),
non conosciamo alcuna regolamentazione romana che
impedisca l’impiantarsi di fornaci ed altri generi di attività correlate alla produzione ceramica in zone urbane
anche molto popolate 92. In conclusione si potrebbe dire
GELICHI 1992.
92
Per Viterbo, dove gli statuti non vietano la presenza di fornaci
in città ma regolamentano solo gli orari di attività delle stesse, si
veda MAZZA 1983, pp. 22-24; per Siena CAROSCIO 2010, p. 171.
Altri esempi archeologici per il Lazio possono essere Gallese (GÜLL,
PATILLI 2001), Acquapendente (CHIOVELLI 1994), Cencelle (ANNOSCIA 2012).
91
LA CERAMICA MEDIEVALE DI ROMA: ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA E MERCATI (VIII-XV SECOLO)
che per tutta l’età medievale le officine dei vasai romani si collocano negli stessi luoghi nei quali si trova
la popolazione. Sembra comunque consolidarsi progressivamente una certa sensibilità da parte delle autorità cittadine ai problemi derivati da questa attività
produttiva, in concomitanza forse con l’aumento esponenziale della produzione romana nel Quattrocento. È
il caso di una fornace a S. Eustachio, che viene costretta
a ‘chiudere’, nel 1443, a seguito delle proteste di una
residente, infastidita dall’odore e dal fumo. Papa Pio II
nel 1458 fece invece trasferire i fornaciari fuori dalla
città Leonina, per gli stessi motivi ed anche per questioni di sicurezza 93.
(G.R., J.R.)
Bibliografia
AGNENI 1995 = M.L. AGNENI, Materiali ceramici da Magliano
in Sabina e dal suo territorio, in DE MINICIS 1995, pp.
159-168.
AIX-EN-PROVENCE 1997 = G. DÈMIANS D’ARCHIMBAUD (a cura
di), La céramique médiévale en Mediterranée. Actes du
VIe Congrès de l’AIECM2 (Aix-en-Provence, 13-18 novembre 1995), Aix-en-Provence 1997.
ALBERZONI 2002 = M.P. ALBERZONI, I “mercatores romani”
nel registro di Innocenzo III, in R. DELLE DONNE, A.
ZORZI (a cura di), Le storie e la memoria. In onore di Arnold
Esch,
Firenze
2002,
pp.
91-108
(http://www.rm.unina.it/ebook/estratti/alberzoni.zip).
ALOISI 2004 = M.C. ALOISI, Contributo allo studio del popolamento medievale del territorio di Martignano (secoli
IX-XV), in Daidalos, 6, 2004, pp. 317-344.
AMICI, DELL’AMICO, LEOTTA et alii 2007 = C.M. AMICI, P.
DELL’AMICO, M.C. LEOTTA, F. PALLARÈS, M. RICCI, I.
SCIORTINO, Lo scavo didattico della zona retrostante la
Curia (Foro di Cesare), Roma 2007.
ANGELELLI 2006 = C. ANGELELLI, Pottery, in B. FRISCHER, J.
CRAWFORD, M. DE SIMONE (a cura di), The “Horace’s
Villa” Project. 1997-2003, Oxford 2006, pp. 171-189.
ANGIONI 1986 = S. ANGIONI, Ritrovamenti di ceramica medievale e rinascimentale a Civitavecchia, in AA. VV., Civitavecchia e il suo entroterra durante il medioevo,
Civitavecchia 1986, pp. 93-123.
ANNIS 1992 = M. B. ANNIS, Analisi tecnologica di ceramica
a vetrina pesante e sparsa da San Sisto Vecchio in Roma,
in AMediev, XIX, 1992, pp. 123-178.
ANNOSCIA 2012 = G.M. ANNOSCIA, I materiali, in F.R. STASOLLA (a cura di), Leopoli-Cencelle: il quartiere sudorientale, Spoleto 2012, pp. 243-296.
ANTONELLI 2015 = S. ANTONELLI, Le ceramiche dallo scavo
di S. Pelino a Corfinio (AQ). Problemi e spunti di riflessione, in P. ARTHUR, M.L. IMPERIALE (a cura di) Atti del
93
GÜLL 2003, p. 57; BANDINI 2009, p. 502, nota 65.
301
VII Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, Firenze 2015, pp. 223-227.
ASC = Archivio Storico Capitolino
ASR = Archivio di Stato di Roma
AUGENTI 1992 = A. AUGENTI, Roma - Scavo delle pendici Nord
del Palatino. Relazione preliminare delle campagne di
scavo 1990, in AMediev, XIX, 1992, pp. 379-408.
AUGENTI 2001 = A. AUGENTI, Il Palatino nel Medioevo: archeologia e topografia (secoli VI-XIII), Roma 2001.
BANDINI 2009 = G. BANDINI, Notizie sugli artigiani ceramisti a Roma tra Quattrocento e Cinquecento, in FROMMELL,
PENTIRICCI 2009, II, pp. 497-505.
BARTOLONI 2005 = V. BARTOLONI, Ceramiche medievali e rinascimentali da un casale sulla via Laurentina, in DE MINICIS, GIUNTELLA 2005, pp. 286-297.
BEOLCHINI 2006 = V. BEOLCHINI, Tusculum. 2. Tuscolo, una
roccaforte dinastica a controllo della Valle Latina. Fonti
storiche e dati archeologici, Roma 2006.
BEOLCHINI, RASCAGLIA, RUSSO 2014 = V. BEOLCHINI, G. RASCAGLIA, J. RUSSO, Aggiornamento del catalogo ceramico
tuscolano medievale, in T. TORTOSA, J. NÚÑEZ, E. RUIZ,
J.A. REMOLÀ, O. RODRIGUEZ, J. SANCHEZ, V. BEOLCHINI,
Actuaciones arqueológicas en el área Tusculana: entre
investigación y divulgación social, Madrid 2014.
BERNARD 2014 = J.F. BERNARD (a cura di), Piazza Navona,
ou Place Navone, la plus belle & la plus grande: du stade
de Domitiene à la place moderne, histoire d’une évolution urbaine, Roma 2014.
BERNARDI, CAPPELLI, CUTERI 1992 = M. BERNARDI, L. CAPPELLI, F. CUTERI, Ceramiche a vetrina pesante e a vetrina
sparsa in Toscana. Il caso degli insediamenti di Scarlino
(GR) e Rocca San Silvestro (LI), in PAROLI 1992, pp. 295302.
BERTELLI, BROGIOLO 2000 = C. BERTELLI, G.P. BROGIOLO, Il
futuro dei Longobardi: l’Italia e la costruzione dell’Europa di Carlo Magno. Catalogo della mostra, Milano
2000.
BERTI 1997 = G. BERTI, Pisa. Le maioliche arcaiche, Firenze
1995.
BERTI, GELICHI 1995 = G. BERTI, S. GELICHI, Mille chemins
ouverts en Italie, in AA. VV., Le vert & le brun: de Kairouan à Avignon, céramiques du Xe au XVe siècle: de Kairouan à Avignon, céramiques du Xe au XVe siècle,
Marsiglia 1995, pp. 129-164.
BERTI, GELICHI, MANNONI 1997 = G. BERTI, S. GELICHI, T.
MANNONI, Trasformazioni tecnologiche nelle prime produzioni italiane con rivestimenti vetrificati (secc. XIIXIII), in AIX-EN-PROVENCE 1997, pp. 383-403.
BIDDITTU 1995 = I. BIDDITTU, Veroli: rinvenimenti archeologici (nota preliminare), in Terra dei volsci. Miscellanea
1, Cassino 1995, pp. 33-38.
BOITANI, BOANELLI 1995 = F. BOITANI, F. BOANELLI, Notizie
preliminari sulla ceramica a Formello dal X al XVI secolo, in DE MINICIS 1995, pp. 80-99.
BONASERA 2009 = E. BONASERA, Testimonianze ceramiche da
un “butto” rinascimentale, in H. BROISE, V. JOLIVET (a
cura di), Pincio. 1. La villa Médicis et le couvent de la
Trinité-Des-Monts à Rome, Roma 2009, pp. 181-251.
BONI 1899 = G. BONI, Esplorazioni nel Foro Romano e nella
Casa delle Vestali, in NSc, 1899, pp. 325-338.
BONI 1901 = G. BONI, Il sacrario di Giuturna, in NSc, 1901,
pp. 41-144.
302
GIORGIO RASCAGLIA, JACOPO RUSSO
BONI 1907 = G. BONI, Esplorazioni nel Forum Ulpium, in
NSc, 1907, pp. 389 ss.
BORGOGNONI 2007 = S. BORGOGNONI, La ceramica comune
dallo scavo della catacomba di San Zotico, in RACr, 83,
2007, pp. 99-136.
BORGOGNONI 2013 = S. BORGOGNONI, I contesti ceramici, in
N. CASSIERI, V. FIOCCHI NICOLAI (a cura di), Il Monastero
di San Magno a Fondi. 1. Storia e archeologia, Tivoli
2013, pp. 133-144.
BOSIO, MAESTRI 1995 = P. BOSIO, S. MAESTRI, Note sulle ceramiche medievali del complesso di S. Ippolito all’Isola
Sacra, in DE MINICIS 1995, pp. 29-37.
BUONFIGLIO, CIANCIO ROSSETTO, LE PERA et alii 2014 = M.L.
BUONFIGLIO, P. CIANCIO ROSSETTO, S. LE PERA, M. MARCELLI, G. SCHINGO, Nuove acquisizioni dai sondaggi eseguiti in Piazza Navona, in BERNARD 2014, pp. 71-85.
CACCIAGUERRA 2009 = G. CACCIAGUERRA, La ceramica a vetrina pesante altomedievale in Sicilia: nuovi dati e prospettive di ricerca, in AMediev, XXXVI, 2009, pp.
285-300.
CALABRIA, PATILLI 2013 = M.E. CALABRIA, T. PATILLI, Il materiale ceramico medievale della fossa 5334, in C. PAVOLINI, P. PALAZZO (a cura di), Gli dei propizi. La Basilica
Hilariana nel contesto dello scavo dell’Ospedale Militare
Celio (1987-2000), Roma 2013, pp. 160-165.
CAROSCIO 2010 = M. CAROSCIO, Orciolai, fornaciai, stovigliai e scodellai: strutture produttive e regolamenti urbani nella Firenze tardo medievale, in Fornaci. Tecnologie
e produzioni della ceramica in età medievale e moderna.
Atti del XLII convegno Internazionale della Ceramica
(Savona, 2009), Albisola-Borgo San Lorenzo 2010, pp.
171-180.
CASOCAVALLO 2002 = B. CASOCAVALLO, Materiali ceramici
dal pozzo 3 di via Lunga a Tarquinia, in DE MINICIS, MAETZKE 2002, pp. 294-303.
CB 3 = D. MANACORDA (a cura di), Archeologia urbana a
Roma: il progetto della Crypta Balbi. 3. Il Giardino del
Conservatorio di S. Caterina della Rosa, Firenze 1985.
CB 4 = A. GABUCCI, L. TESEI (a cura di), Archeologia urbana
a Roma: il progetto della Crypta Balbi. 4. Il giardino del
conservatorio di S. Caterina della Rosa, Supplemento, Firenze 1989.
CB 5 = L. PAROLI, L. SAGUÌ (a cura di), Archeologia urbana
a Roma: il progetto della Crypta Balbi. 5. L’esedra della
Crypta Balbi nel medioevo, Firenze 1990.
CERRITO, TOMMASI 2009 = A. CERRITO, F.M. TOMMASI, Casale Malborghetto (via Flaminia Km. 19): materiali dallo
scavo dell’area a sud-est dell’arco quadrifronte, in DE MINICIS 2009, pp. 255-263.
CHIOVELLI 1994 = R. CHIOVELLI, Una fornace di ceramiche
sulla via Francigena ad Acquapendente, in DE MINICIS
1994, pp. 116-129.
CHRISTIE 1991 = N. CHRISTIE (a cura di), Three South Etruria Churches: Santa Cornelia, Santa Rufina, S. Liberato,
Londra 1991.
CIARROCCHI 2011 = B. CIARROCCHI, La ceramica medievale
e moderna, in CAPODIFERRO, QUARANTA (a cura di), Alle
pendici dell’Aventino. Gli scavi di via Marmorata, II,
Roma 2011, pp. 187-190.
CIARROCCHI, MARTIN, PAROLI et alii 1993 = B. CIARROCCHI,
A. MARTIN, L. PAROLI, H. PATTERSON, Produzione e circolazione di ceramiche tardoantiche ed altomedievali ad
Ostia e Porto, in L. PAROLI, P. DELOGU (a cura di), La sto-
ria economica di Roma nell’alto medioevo alla luce dei
recenti scavi archeologici. Atti del seminario (Roma, 23 aprile 1992), Firenze 1993, pp. 203-246.
CICERONI, MARTIN, MUNZI et alii 2004 = M. CICERONI, A.
MARTIN, M. MUNZI, I contesti tardo antichi ed altomedievali del Bastione Farnesiano della Domus Tiberiana,
in PAROLI, VENDITTELLI 2004, pp. 129-161.
CIRELLI 2002 = E. CIRELLI, Produzione locale e dinamiche
commerciali a Leopolis-Cencelle, in DE MINICIS, MAETZKE 2002, pp. 266-293.
CIRELLI, HOBART 2003 = E. CIRELLI, M. HOBART, The medieval pottery, in E. FENTRESS (a cura di), Cosa V: an intermittent town. Excavations 1991-1997, Ann Arbor 2003,
pp. 320-352.
CLARIDGE 1993 = A. CLARIDGE, A date for the medieval settlement at the Vicus Augustanus Laurentinum (Castelporziano), in PAROLI 1993, pp. 287-294.
CNC = Collegio dei notai capitolini
COLETTI, GIUNTELLA, SALADINO et alii 1990 = A. COLETTI,
A.M. GIUNTELLA, L. SALADINO, A. SERENI, M.C. SOMMA,
Corfinio (AQ). Campagne di scavo 1988-1989, in AMediev, XVII, 1990, pp. 483-514.
CRISTOFANILLI 1995 = C. CRISTOFANILLI, Ceramiche medievali e rinascimentali dal castello di Trevi nel Lazio, in
Terra dei Volsci. Miscellanea 1, Cassino 1995, pp. 64-69.
CU = Archivio di Stato, Camerale I, Camera Urbis.
D’AMBROSIO, MANNONI, SFRECOLA et alii 1986 = B. D’AMBROSIO, T. MANNONI, S. SFRECOLA, Stato delle ricerche
mineralogiche sulle ceramiche mediterranee, in SIENA
1986, pp. 601-610.
DE LUCA 2001 = I. DE LUCA, Le dimore private altomedievali nei Fori Imperiali, in M. S. ARENA, P. DELOGU, L.
PAROLI, M. RICCI, L. SAGUÌ, L. VENDITTELLI (a cura di),
Roma dall’antichità al medioevo. Archeologia e storia nel
Museo Nazionale Romano Crypta Balbi, Milano 2001, pp.
577-582.
DE LUCA 2014 = I. DE LUCA, La ceramica medievale, in F.
ZAGARI (a cura di), Dalla villa al monastero: nuovi dati
archeologici da S. Maria di Grottaferrata, Oxford 2014,
pp. 98-102.
DE MINICIS 1994 = E. DE MINICIS (a cura di), Le ceramiche
medievali di Roma e del Lazio in età medievale e moderna.
I. Atti delle giornate di studio di Roma (Roma, marzo
1993), Roma 1994.
DE MINICIS 1995 = E. DE MINICIS (a cura di), Le ceramiche
medievali di Roma e del Lazio in età medievale e moderna.
II. Atti del II Convegno di Studi (Roma, 6-7 maggio 1994),
Roma 1995.
DE MINICIS 1998a = E. DE MINICIS (a cura di), Le ceramiche
di Roma e del Lazio in età medievale e moderna. III. Atti
del III Convegno di Studi (Roma, 19-20 aprile 1996),
Roma 1998.
DE MINICIS 1998b = E. DE MINICIS, Ceramica e città: dalla
produzione al butto. Riflessioni sull’incidenza delle produzioni ceramiche sull’organizzazione urbana tra medioevo ed età moderna, in DE MINICIS 1998a, pp. 92-99.
DE MINICIS 2009 = E. DE MINICIS (a cura di), Le ceramiche
di Roma e del Lazio in età medievale e moderna. VI. Atti
del VI Convegno di Studi ‘La ceramica dipinta in rosso.
I contesti laziali a confronto con altre realtà italiane’
(Segni, 6-7 maggio 2004), Roma 2009.
DE MINICIS, GIUNTELLA 2005 = E. DE MINICIS, G. MAETZKE
(a cura di), Le ceramiche medievali di Roma e del Lazio
LA CERAMICA MEDIEVALE DI ROMA: ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA E MERCATI (VIII-XV SECOLO)
in età medievale e moderna.V. Atti del V Convegno di Studi
‘La ceramica graffita tardomedievale e rinascimentale,
le produzioni laziali e abruzzesi a confronto con altre realtà italiane’ (Chieti, 7-8 marzo 2002), Roma 2005.
DE MINICIS, MAETZKE 2002 = E. DE MINICIS, G. MAETZKE
(a cura di), Le ceramiche di Roma e del Lazio in età Medievale e Moderna. IV. Atti del IV Convegno di Studi (Viterbo, 22-23 maggio 1998) Roma 2002.
DE ROSSI 2014 = G. DE ROSSI, Ricerche archeologiche presso
la caserma G. Carreca - Via Labicana 9, Roma, in DI GIUSEPPE, FENTRESS 2014.
DELFINO 2009 = A. DELFINO, Depositi tardo medievali e moderni dai cunei XLVI e XLV dell’Anfiteatro Flavio, in DE
MINICIS 2009, pp. 235-254.
DELFINO 2013 = A. DELFINO, Contesti ceramici da due domus
terrinee del Foro di Cesare, in M. CECI (a cura di), Contesti ceramici dai Fori Imperiali, Oxford 2013, pp. 129138 (Bar International Series, 2455).
DELFINO, MINNITI 2008 = A. DELFINO, C. MINNITI, Un “butto”
della prima metà dell’XI secolo presso piazza del Colosseo, in BCom, CIX, 2008, pp. 161-171.
DELOGU, COCCIA, PATTERSON 1990 = P. DELOGU, S. COCCIA,
H. PATTERSON, Storia, archeologia e restauro nel castello
di Collalto, Torino 1990.
DEWAILLY, BLANC, CALDARINI et alii 2014 = M. DEWAILLY, N.
BLANC, C. CALDARINI, H. ERISTOV, J. LEONE, B. LEPRI, E.
LOVERGNE, E. METALLA, J. RUSSO, C. TAFFETANI, L’exploration archéologique des caves de l’immeuble sis
Piazza Navona, 62, in BERNARD 2014, pp. 831-860.
DI GENNARO 2002 = F. DI GENNARO, Via Salaria - La villa
“di Marco Clodio Ponzio Ponziano Marcello” e la basilica di S. Michele Arcangelo sulla collina di Castel Giubileo, in NSc, serie IX, XI-XII, 2002, pp. 465-542.
DI GIUSEPPE, FENTRESS 2014 = H. DI GIUSEPPE, E. FENTRESS,
Roma. Scavi archeologici e scoperte degli ultimi 10 anni,
Roma 2014.
DI GIUSEPPE, MAIORANO 2013 = H. DI GIUSEPPE, M. MAIORANO, I contesti ceramici di età romana, medievale e moderna dalla Basilica Portuense, in M. MAIORANO, LIDIA
PAROLI (a cura di), La Basilica Portuense-Scavi 19912007, Borgo San Lorenzo (Firenze) 2013, pp. 585-618.
DI MATTEO 2002-2003 = F. DI MATTEO, Roma. Via Anagnina,
vocabolo “Centroni Grotte”. Saggi di scavo nella Villa
dei Centroni, in NSc, serie 9, XIII-XIV, 2002-2003, pp.
257-330.
DRAGO TROCCOLI 2002-2003 = L. DRAGO TROCCOLI, Considerazioni sul popolamento del settore orientale dei Colli
albani alla luce delle recenti ricerche nell’area dell’Artemisio, in RendPontAc, LXXIII, 2002-2003, pp. 34-104.
DYER 1997 = C. DYER, Material culture: production and consumption, in D. DE BOE, F. VERHAEGHE (a cura di), Material Culture in Medieval Europe. Papers of the
‘Medieval Europe Brugge 1997’ Conference, 7, Brugge
1997, pp. 505-513.
EGIDI, FILIPPI, MARTONE 2010 = R. EGIDI, F. FILIPPI, S. MARTONE (a cura di), Archeologia e infrastrutture. Il tracciato
fondamentale della linea C della metropolitana di Roma:
prime indagini archeologiche, Roma 2010 (BdA, volume
speciale, 2010).
ENEI, ROMEI 1990 = F. ENEI, D. ROMEI, (Roma, Capena) Scorano, in AMediev, XVII, 1990, p. 533.
EPISCOPO, GANDOLFO 2003 = S. EPISCOPO, F. GANDOLFO (a
303
cura di), Il Titulus Marcelli sulla via Lata: nuovi studi e
ricerche archeologiche (1990-2000), Roma 2003.
FEBBRARO, MEO 2009 = M. FEBBRARO, A. MEO, Pisa tra alto
e basso Medioevo. Primi dati dallo scavo urbano di vicolo del Porton Rosso (IX-XVI secolo), in VOLPE, FAVIA
2009, pp. 188-193.
FEDELE 1898 = P. FEDELE, Carte del monastero dei SS. Cosma
e Damiano in Mica Aurea. Con indice degli scrittori delle
carte, in ArchStorRom, 21, 1898, pp. 459-534.
FEDELE 1899 = P. FEDELE, Carte del monastero dei SS. Cosma
e Damiano in Mica Aurea. Con indice degli scrittori delle
carte, in ArchStorRom, 22, 1899, pp. 25-107, 383-447.
FENTRESS, GOODSON, MAIURO et alii c.s. = E. FENTRESS, C.
GOODSON, M. MAIURO, M. ANDREWS (a cura di), Villamagna. An Imperial Estate and its Legacies. Excavations
2006-2010, c.s.
FILIPPI 2010 = F. FILIPPI, Le indagini in Campo Marzio Occidentale. Nuovi dati sulla topografia antica: il ginnasio
di Nerone (?) e l’”Euripus”, in EGIDI, FILIPPI, MARTONE,
pp. 39-92.
FOGAGNOLO 2005 = S. FOGAGNOLO, Ceramica da un contesto rinascimentale del Foro della Pace (Roma): relazione
preliminare, in DE MINICIS, GIUNTELLA 2005, pp. 269-276.
FOGAGNOLO 2006 = S. FOGAGNOLO, Lo scavo del tempio del
Foro della Pace e un nuovo contesto di ceramiche rinascimentali, in MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2006,
pp. 145-167.
FOLLIS 1988 = O. FOLLIS, Butti medioevali nel tempio della
Concordia al Foro Romano: il materiale ceramico, in
AMediev, XV, 1988, pp. 561-586.
FRAZZONI 2013 = L. FRAZZONI, Ceramiche medievali e rinascimentali dal museo di Albano: un riesame, in C. MANETTA (a cura di), L’archeologia dei Colli Albani fra
tradizione e nuove prospettive di ricerca. Atti del XXX
Corso di Archeologia e Storia Antica del Museo Civico
di Albano, Firenze 2013, pp. 95-111.
FRESI, DE SANTIS c.s. = E. FRESI, C. DE SANTIS, La ceramica,
in L. SPERA, G. FILIPPI, U. UTRO (a cura di), Lo scavo nell’orto dell’Abbazia di San Paolo fuori le mura, c.s.
FROMMELL, PENTIRICCI 2009 = C.M. FROMMELL, M. PENTIRICCI (a cura di), L’antica basilica di San Lorenzo in Damaso: indagini archeologiche nel Palazzo della
Cancelleria (1988-1993), II, Roma 2009.
GAI 1986 = S. GAI, La ‘Berretta del Prete’ sulla via Appia
Antica: indagini archeologiche preliminari sull’insediamento medievale. 1984, in AMediev, XIII, 1986, pp. 365404.
GAUTHIEZ c.s. = B. GAUTHIEZ, Histoire architecturale et sociale de l’immeuble Piazza Navona, n. 62, ou «Palazzetto
di S. Luigi», depuis la fin du XVe siecle jusqu’à nos jours,
c.s.
GAZZETTI 1992 = G. GAZZETTI, Il territorio capenate, Roma
1992.
GELICHI 1992 = S. GELICHI La ceramica tra produzione artistica e produzione artigianale: note per una storia sociale dei vasai del medioevo, in Atti del I Colloquio
hispano-italiano di archeologia medievale (Granada,
aprile 1990), Granada 1992, pp. 55-60.
GIOVENALE 1927 = G. B. GIOVENALE, La Basilica di S. Maria
in Cosmedin, Roma 1927.
GIOVENALE, MARIANI 1899 = G.B. GIOVENALE, L. MARIANI,
Costruzioni poligonali ed altre antichità dei dintorni del
paese, in NSc, 1899, pp. 88-97.
304
GIORGIO RASCAGLIA, JACOPO RUSSO
GIUNTELLA, DI RENZO 2000 = A. M. GIUNTELLA, F. DI RENZO,
Invetriata sparsa. Una probabile produzione di Corfinio,
in PATITUCCI UGGERI 2000, pp. 65-78.
GRASSI 2009 = F. GRASSI, Studio tecnologico delle ceramiche con invetriatura provenienti dalla Toscana meridionale (IX-XIV secolo), in VOLPE, FAVIA 2009, pp. 575-579.
GRASSI 2010 = F. GRASSI, La ceramica, l’alimentazione, l’artigianato e le vie di commercio tra VIII e XIV secolo: il
caso della Toscana meridionale, Oxford 2010.
GRIGIONI 1914 = C. GRIGIONI, Documenti. Serie romana:
vasai in Roma nella seconda metà del XV secolo, in Faenza, II, 2, 1914, pp. 50-51.
GRIGIONI 1958 = C. GRIGIONI, Figuri romagnoli a Roma nel
Quattro e nel Cinquecento, in Faenza, XLIV, 3-4, 1958,
pp. 91-94.
GROSSI, MARTINI 2014 = W. GROSSI, A. MARTINI, Indagini
archeologiche in via del Lavatore n. 31: testimonianze di
epoca medievale e rinascimentale, in DI GIUSEPPE, FENTRESS 2014, pp. 319-325.
GÜLL 1998 = P. GÜLL, Produzione e commercio di ceramica
a Roma nel Quattrocento: vasai romani e fiscalità comunale, in Centri di produzione, botteghe e committenza.
Fonti d’archivio, evidenza archeologica e studi ceramologi. Atti del XXVIII Convegno Internazionale della Ceramica (Albisola, 1995), Firenze 1998, pp. 79-86.
GÜLL 2003 = P. GÜLL, L’industrie du quotidien. Production,
importations et consommation de la cèramique à Rome
entre XIVe et XVIe siècle, Roma 2003.
GÜLL 2006 = P. GÜLL, I vasai del rione Monti all’inizio dell’età moderna, in MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI
2006, pp. 121-126.
GÜLL 2010 = P. GÜLL, La ceramica dei contesti basso medievali e rinascimentali di via del Foro Romano, in BCom,
CXI, 2010, pp. 157-224.
GÜLL, PATILLI 2001 = P. GÜLL, T. PATILLI, L’artigianato della
ceramica a Gallese: fonti d’archivio, uomini, strutture e
materiali, in Daidalos, 3, 2001, pp. 301-348.
HARTMANN 1895 = L. M. HARTMANN, Ecclesiae S. Maria in
Via Lata tabularium, Vienna 1895.
HOBART, CERRI, MARIOTTI et alii 2009 = M. HOBART, L.
CERRI, E. MARIOTTI, I. CORTI, V. ACCONCIA, E. VACCARO,
C. VALDAMBRINI, H. SALVADORI, Capalbiaccio (GR) nel
tempo: dalla preistoria all’età moderna. le indagini archeologiche dagli anni ’70 al nuovo progetto di ricerca,
in AMediev, XXXI, 2009, pp. 81-128.
LECUYER 1994 = N. LECUYER, Céramique et cuisine paysannes
du Latium médiéval: contribution des fouilles de Caprignano, Montagliano et Offiano (Rieti), in DE MINICIS
1994, pp. 136-142.
LECUYER 1997 = N. LECUYER, De la ville a la campagne: circulation des produits et des techniques céramiques dans
le Latium, in AIX-EN-PROVENCE 1997, pp. 419-427.
LEOTTA 2002 = M.C. LEOTTA, Tivoli: anfiteatro nel medioevo
attraverso i materiali di scavo, in DE MINICIS, MAETZKE
2002, pp. 185-197.
LIGUORI 2006 = S. LIGUORI, Il riempimento della volta di S.
Antimo sopra i canali a Piombino (Li): nuove acquisizioni sulla maiolica arcaica pisana e la ceramica d’importazione di XIII secolo, in R. FRANCOVICH, M. VALENTI
(a cura di), Atti del IV Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Chiusdino-Siena, 26-30 settembre 2006),
Firenze 2006, pp. 468-473.
LIGUORI 2007 = S. LIGUORI, Le ceramiche della volta absi-
dale con rivestimenti vetrificati, in G. BERTI, G. BIANCHI,
Piombino. La chiesa di Sant’Antimo sopra i canali. Ceramiche e architetture per la lettura archeologica di un
abitato medievale e del suo porto, Firenze 2007, pp. 159296.
LORI SANFILIPPO 1981 = I. LORI SANFILIPPO, I documenti dell’antico Archivio di S. Andrea “de Acquariciariis”. 11151483, Roma 1981.
LORI SANFILIPPO 1984 = I. LORI SANFILIPPO, Ancora su sant’Andrea “De aquariciariis”: da acquaioli a vasai, in ArchStorRom, 107, 1984, pp. 325-328.
LORI SANFILIPPO 1986 = I. LORI SANFILIPPO, Il protocollo notarile di Lorenzo Staglia (1372), Roma 1986.
LUCCERINI 2006 = F. LUCCERINI, Un contesto di maiolica arcaica dallo scavo di due ambienti medievali nell’area del
Foro di Traiano, in MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI
2006, pp. 109-119.
LUTTAZZI 1995 = A. LUTTAZZI, Le ceramiche dallo scavo di
S. Ilario “ad Bivium” tra tardo antico e medioevo. Preliminare di studio, in DE MINICIS 1995, pp. 221-240.
LUZI 2005 = R. LUZI, Il Museo della Ceramica della Tuscia,
Viterbo 2005.
MAETZKE 1991 = G. MAETZKE, La struttura stratigrafica dell’area nord-occidentale del Foro Romano come appare
dai recenti interventi di scavo, in AMediev, XVIII, 1991,
pp. 43-200.
MAIRE VIGUER 2011 = J.-C. MAIRE VIGUER, L’altra Roma.
Una storia dei romani all’epoca dei comuni (XII-XIV secolo), Torino 2011.
MALLETT, WHITEHOUSE 1967 = M. MALLETT, D. WHITEHOUSE,
Castel Porciano: an abbandoned medieval village of the
roman campagna, in BSR, 35, 1967, pp. 113-146.
MANACORDA, PAROLI, MOLINARI et alii 1986 = D. MANACORDA, L. PAROLI, A. MOLINARI, M. RICCI, D. ROMEI, La
ceramica medioevale di Roma nella stratigrafia della
Crypta Balbi, in SIENA 1986, pp. 511-544.
MANDARINI, PAGANELLI 1998 = L.V. MANDARINI, M. PAGANELLI, Note preliminari sulla ceramica comune del saggio E* della Basilica di San Clemente, Roma, in DE
MINICIS 1998a, pp. 23-33.
MARCELLI, MUNZI, SCHINGO 2013 = M. MARCELLI, M. MUNZI,
G. SCHINGO, Viale delle Mura Portuensi. Scarichi di fornace per ceramica di età moderna (Municipio XII ex
XVI), in BCom, CXIV, 2013, pp. 431-435.
MARTIN 2004 = A. MARTIN, Santo Stefano Rotondo: stratigrafia e materiali, in PAROLI, VENDITTELLI 2004, pp. 506516.
MAZZA 1983 = G. MAZZA, La ceramica medievale di Viterbo
e dell’Alto Lazio, Viterbo 1983.
MAZZUCATO 1968 = O. MAZZUCATO, La raccolta di ceramiche del Museo di Roma, Roma 1968.
MAZZUCATO 1969 = O. MAZZUCATO, Un antico sigillo dell’arte dei vascellari, in Faenza, LVI, 3-6, 1969, pp. 3637.
MAZZUCATO 1971 = O. MAZZUCATO, Ceramiche medioevali
nell’edilizia laziale, in La ceramica dell’Ottocento. Atti
del III Convegno Internazionale della Ceramica (Albisola, 1970), Firenze 1971, pp. 337-370.
MAZZUCATO 1972a = O. MAZZUCATO, La ceramica a vetrina
pesante, Roma 1972.
MAZZUCATO 1972b = O. MAZZUCATO, Relazione sui pozzi del
medievali rinvenuti sotto il Teatro Argentina, in Scavi del-
LA CERAMICA MEDIEVALE DI ROMA: ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA E MERCATI (VIII-XV SECOLO)
l’area del Teatro Argentina (1968-1969), in BCom,
LXXXI, 1972, pp. 339-370.
MAZZUCATO 1974 = O. MAZZUCATO, Un particolare tema decorativo nella maiolica, in BMusRom, XXI, 1-4, 1974,
pp. 6-12.
MAZZUCATO 1976 = O. MAZZUCATO, La ceramica laziale dei
secoli XI-XIII, Roma 1976.
MAZZUCATO 1977 = O. MAZZUCATO, La ceramica laziale nell’Altomedioevo, Roma 1977.
MAZZUCATO 1979 = O. MAZZUCATO, Note preliminari sullo
scavo del Casale Laurentino, in Archeologia Medioevo,
suppl. al n. 2, a. XVIII di Archeologia, pp. 25-80.
MAZZUCATO 1981 = O. MAZZUCATO, Le ceramiche medioevali trovate a S. Nicola in Carcere a Roma nel 1961, in
Archeologia Medioevo, 2, suppl. al n. 12, 1980, a. XIX
di Archeologia, pp. 41-56.
MAZZUCATO 1984 = O. MAZZUCATO, La utilizzazione degli
scarti di una boccaleria medievale romana, in BMusRom,
XXXI, 1984, pp. 31-38.
MAZZUCATO 1986a = O. MAZZUCATO, La utilizzazione degli
scarti di una boccaleria medievale romana, in SIENA 1986,
pp. 595-600.
MAZZUCATO 1986b = O. MAZZUCATO, La bottega di un vasaio della fine del XVI secolo, in Roma. Archeologia del
centro storico. Apporti antichi e moderni di arte e cultura dal Foro della Pace, Roma 1986, pp. 88-148.
MAZZUCATO 1989 = O. MAZZUCATO, Scarti di fornace: prove
inconfutabili, in BMusRom, III, 1989, pp. 43-50.
MAZZUCATO 1993 = O. MAZZUCATO, Tipologie e tecniche
della ceramica a vetrina pesante: IX-X secolo, Roma
1993.
MAZZUCATO 2004 = O. MAZZUCATO, Ricettari quattrocenteschi per coperte, colori e lustri: alcune osservazioni sui
ricettari, in Faenza, XC, 2004, pp. 208-209.
MAZZUCATO 2005 = O. MAZZUCATO, Foro di Cesare. Rinvenimento di ceramiche medioevali, in BCom,CVI, 2005,
pp. 378-384.
MENEGHINI 1998 = R. MENEGHINI, Roma. Nuovi dati sul Medioevo al Foro e ai Mercati di Traiano, in AMediev, XXV,
1998, pp. 127-141.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004 = R. MENEGHINI,
R. SANTANGELI VALENZANI, Roma nell’Altomedioevo: topografia e urbanistica della città dal V al X secolo, Roma
2004.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2006 = R. MENEGHINI,
R. SANTANGELI VALENZANI (a cura di), Roma. Lo scavo
dei Fori Imperiali 1995-2000. Contesti ceramici, Roma
2006.
MILANESE 2010 = M. MILANESE, Ceramiche d’importazione
in Sardegna tra IX e XIII secolo, in S. GELICHI, M. BALDASSARI (a cura di), Pensare-classificare: studi e ricerche
sulla ceramica medievale per Graziella Berti, Firenze
2010, pp. 147-157.
MILANESE, BICCONE, ROVINA et alii 2006 = M. MILANESE, L.
BICCONE, D. ROVINA, P. MAMELI, Forum Ware da recenti
ritrovamenti in Sardegna nord-occidentale, in Genova e
Savona: la Liguria crocevia della ceramica. Atti del
XXXVII Convegno Internazionale della Ceramica (Albisola, 2004), Firenze 2006, pp. 201-217.
MOLINARI 1990 = A. MOLINARI, Le ceramiche rivestite basso
medievali, in CB 5, pp. 357-484.
305
MOLINARI 2000 = A. MOLINARI, Dalle invetriate altomedievali, in PATITUCCI UGGERI 2000, pp. 27-42.
MOLINARI 2003 = A. MOLINARI, La ceramica medievale in
Italia ed il suo possibile utilizzo per lo studio della storia economica, in AMediev, XXX, 2003, pp. 519-528.
MOLINARI 2004 = A. MOLINARI, La ceramica rivestita della
fase del battistero medievale, in N. PARMEGIANI, A. PRONTI
(a cura di), Santa Cecilia in Trastevere: nuovi scavi e ricerche, Città del Vaticano 2004, pp. 253-264.
MOLINARI 2010a = A. MOLINARI, Siti rurali e poteri signorili nel Lazio (secoli X-XIII), in AMediev, XXXVII, 2010,
pp. 129-142.
MOLINARI 2010b = A. MOLINARI, Archeologia e mobilità sociale, in S. CAROCCI (a cura di), La mobilità sociale nel
Medioevo, Roma 2010, pp. 117-144.
MOLINARI 2014 = A. MOLINARI, Gli scavi al n. 62 di Piazza
Navona tra “microstorie” e “grandi narrazioni”(secoli
V-XV secolo), in BERNARD 2014, pp. 263-274.
MOLINARI, BEOLCHINI, DE LUCA et alii c.s. = A. MOLINARI,
V. BEOLCHINI, I. DE LUCA, C. DE SANTIS, E. FRESI, L. ORLANDI, G. RASCAGLIA, M. RICCI, J. RUSSO, Stili di vita,
produzioni e scambi: la città di Roma a confronto con
altri siti del Lazio. Secoli IX-XV, in Atti del X Congresso
Internazionale della ceramica medievale nel Mediterraneo (Silves-Mértola, 22-27 ottobre 2012), c.s.
MOLINER 1993 = M. MOLINER, Protomajoliques et majoliques
archiques du XIIIème S. à Marseille, in La protomaiolica
e la maiolica arcaica dalle origini al Trecento. Atti del
XXIII Convegno Internazionale della Ceramica (Albisola, 1990), Firenze 1993, pp. 201-217.
MORGAN 1942 = C.H. MORGAN, Corinth XI. The Byzantine
Pottery, 11, Cambridge Mass 1942.
MUSCO, MUNZI, FELICI 2002 = S. MUSCO, M. MUNZI, F. FELICI, Acquedotto Alessandrino. Nuovi dati topografici, in
BCom, CIII, 2002, pp. 268-278.
ORLANDI, LEPRI 2013 = E. ORLANDI, B. LEPRI, Testimonianze
medievali nelle “Terme di Elagabalo”. Il contesto e i reperti, in C. PANELLA, L. SAGUÌ (a cura di), Materiali e contesti. 1. Valle del Colosseo e pendici nordorientali del
Palatino, Roma 2013, pp. 198-205, 211-212.
PACKER, GAGLIARDO, HOPKINS 2010 = J.E. PACKER, M.C. GAGLIARDO, J.H. HOPKINS, The Theather of Pompey in 2009:
a new excavation, in BCom, CXI, 2010, pp. 71-96.
PAGANELLI 1994 = M. PAGANELLI, Produzioni ceramiche a
Roma dal VI al XIII secolo: un campione dagli scavi al
Foro Romano, in DE MINICIS 1994, pp. 17-29.
PALOMBI c.s. = C. PALOMBI, I magazzini di Castel Sant’Angelo: materiali mobili dal territorio e dal Mausoleo, in Il
Mausoleo di Adriano e l’area circostante. Ricerche recenti, in BdArch online, 2014, c.s.
PANNUZI 1994 = S. PANNUZI,
Note preliminari sulla
ceramica altomedievale di Privernum, in DE MINICIS
1994, pp. 143-154.
PANNUZI 1998 = S. PANNUZI, “La fornace del Pignattaro” di
via della Consolazione a Roma: l’ultima fase della sua
produzione di XVII-XVIII secolo, in DE MINICIS 1998a,
pp. 49-64.
PANNUZI 2003 = S. PANNUZI (a cura di), Le ceramiche tardomedievali e rinascimentali del Castello di Ostia Antica:
il restauro e la musealizzazione, Roma 2003.
PANNUZI 2004 = S. PANNUZI,
Ceramiche altomedievali
dall’area ostiense, in PATITUCCI UGGERI 2004, pp. 189204.
306
GIORGIO RASCAGLIA, JACOPO RUSSO
PANNUZI 2007 = S. PANNUZI, Produzioni di ceramica da fuoco
dal tardo medioevo all’età moderna in area romana e nel
Lazio meridionale, in La ceramica da fuoco e da dispensa
nel basso medioevo e nella prima età moderna. Atti del
XXXIX Convegno Internazionale della Ceramica (Albisola, 2006), Firenze 2007, pp. 169-187.
PANNUZI 2011 = S. PANNUZI, Le prime ceramiche rivestite da
mensa nell’area laziale: innovazioni tecnologiche e continuità produttive, in La ceramica nei periodi di transizione. Novità e persistenze nel Mediterraneo tra XII e XVI
secolo. Atti del XLIII Convegno Internazionale della Ceramica (Albisola, 2010), Firenze 2011, pp. 103-116.
PARIS 2000 = R. PARIS, Via Appia: il Mausoleo di Cecilia Metella e il Castrum Caetani, Milano 2000.
PAROLI 1990 = L. PAROLI, Ceramica a vetrina pesante altomedievale (Forum Ware) e medievale (Sparse Glazed).
Altre invetriate tardo-antiche e altomedievali, in CB 5, pp.
314-356.
PAROLI 1992a = L. PAROLI (a cura di), La ceramica invetriata
tardoantica e altomedievale in Italia. Atti del Seminario
(Certosa di Pontignano, 1990), Firenze 1992.
PAROLI 1992b = L. PAROLI, Ceramica invetriata a macchia
dagli scavi di Pionta-Arezzo, in PAROLI 1992a, pp. 310313.
PAROLI 1992c = L. PAROLI, Ceramiche invetriate da un contesto dell’VIII secolo della Crypta Balbi-Roma, in PAROLI
1992a, pp. 351-375.
PAROLI 1993 = L. PAROLI, Ostia nella tarda antichità e nell’alto medioevo, in PAROLI, DELOGU 1993, pp. 153-176.
PAROLI 1998 = L. PAROLI, L’artigianato a Roma nell’Alto Medioevo. Il contributo dell’archeologia, in E. SONNINO (a
cura di), Popolazione e società a Roma dal medioevo all’età contemporanea, Roma 1998, pp. 281-298.
PAROLI 2000 = L. PAROLI, Roma bizantina (VI-VIII secolo),
in C. BERTELLI, G.P. BROGIOLO (a cura di), Il futuro dei
Longobardi: l’Italia e la costruzione dell’Europa di Carlo
Magno. Catalogo della mostra, Milano 2000, pp. 310-329.
PAROLI, DELOGU 1993 = L. PAROLI, P. DELOGU (a cura di), La
storia economica di Roma nell’alto medioevo alla luce
dei recenti scavi archeologici. Atti del seminario (Roma,
2-3 aprile 1992), Roma 1993.
PAROLI, DE LUCA, SBARRA et alii 2003 = L. PAROLI, I. DE
LUCA, F. SBARRA, M. BORTOLETTO, C. CAPELLI, La ceramica invetriata altomedievale in Italia: un aggiornamento, in C. BAKIRTZIS (a cura di), Actes du VIIe Congrès
International sur la Céramique Médiévale en Méditerranée (Thessalonique, 1999), Atene 2003, pp. 477-490.
PAROLI, VENDITTELLI 2004 = L. PAROLI, L. VENDITTELLI (a
cura di), Roma dall’antichità al medioevo. II. Contesti tardoantichi e altomedievali, Milano 2004.
PATITUCCI UGGERI 1997 = S. PATITUCCI UGGERI, La protomaiolica: un nuovo bilancio, in S. PATITUCCI UGGERI (a
cura di), La protomaiolica. Bilancio e aggiornamenti, Firenze 1997, pp. 9-61.
PATITUCCI UGGERI 2000 = S. PATITUCCI UGGERI (a cura di),
La ceramica invetriata tardomedievale dell’Italia centromeridionale, Firenze 2000.
PATITUCCI UGGERI 2004 = S. PATITUCCI UGGERI, (a cura di),
La ceramica altomedievale in Italia. Atti del V Congresso
di Archeologia Medievale (Roma, 26-27 novembre 2001),
Firenze 2004 (Quaderni di Archeologia Medievale, VI).
PATTERSON 1991 = H. PATTERSON, Early medieval and medieval pottery, in CHRISTIE 1991, pp. 120-136.
PATTERSON 1992 = H. PATTERSON, La ceramica a vetrina pesante (Forum ware) e la ceramica a vetrina sparsa da alcuni siti nella Campagna Romana, in PAROLI 1992a, pp.
418-435.
PATTERSON 1993 = H. PATTERSON, Un aspetto dell’economia
di Roma e della campagna romana nell’Altomedioevo:
l’evidenza della ceramica, in PAROLI, DELOGU 1993, pp.
309-331.
PATTERSON 1997 = H. PATTERSON, The early medieval and medieval pottery, in T.W. POTTER, A.C. KING (a cura di), Excavations at the Mola di Monte Gelato, Londra 1997, pp.
366-383.
PATTERSON 1998 = H. PATTERSON, The Tiber Valley Project,
in BSR, LXVI, 1998, pp.1-20.
PATTERSON 2009 = H. PATTERSON, The pottery, in R. VAN DE
NOORT, D. WHITEHOUSE (a cura di), Excavations at Le
Mura di Santo Stefano, Anguillara Sabazia, in BSR,
LXXVII, 2009, pp. 159-223.
PATTERSON 2010 = H. PATTERSON, Rural settlement and economy in the middle Tiber Valley: AD 300-1000, in AMediev, XXXVII, 2010, pp. 143-162.
PATTERSON, DI GIUSEPPE, WITCHER 2004 = H. PATTERSON, H.
DI GIUSEPPE, R. WITCHER, Three South Etrurian ‘crises’:
first results of the Tiber Valley Project, in BSR, LXXII,
2004, pp. 1-36.
PEACOCK 1982 = D.P.S. PEACOCK, Pottery in the Roman
world: an ethnoarchaeological approach, Londra-New
York 1992.
PEF = Pieux Établissements Français.
PENTIRICCI 1994 = M. PENTIRICCI, Palazzo della Cancelleria.
Notizie preliminari sui materiali ceramici dello scavo, in
DE MINICIS 1994, pp. 30-39.
PEREGO 2009 = L. PEREGO, Maiolica arcaica, maiolica di produzione Ispano - Moresca, Maiolica rinascimentale di produzione romana, in FROMMELL, PENTIRICCI 2009, pp.
233-282.
POTTER 1972 = T.W. POTTER, Excavations in the medieval
centre of Mazzano Romano, in BSR, XL, 1972, pp. 135145.
POTTER 1984 = T.W. POTTER, Il castello di Ponte Nepesino
e il confine settentrionale del Ducato di Roma, in AMediev, XI, 1984, pp. 63-147.
PRONTI 1993 = A. PRONTI, s.v. Coraria Septimiana, in E.M.
STEINBY (a cura di), LTUR, I, Roma 1993, pp. 322-323.
QUARANTA, CASOCAVALLO 2013 = P. QUARANTA, B. CASOCAVALLO (a cura di), La tavola imbandita. Ceramiche ceretane tra Medioevo e Rinascimento. Catalogo della mostra,
10-30 novembre 2013, Tarquinia 2013.
QUILICI 1986-1987 = L. QUILICI, Roma. Via di S. Paolo alla
Regola. Scavo e recupero di edifici antichi e medioevali,
in NSc, XL-XLI, 1986-1987, pp. 175-416.
QUIRÓS CASTILLO, BALDASSARI, CRISAFULLI et alii 1996 = J.A.
QUIRÓS CASTILLO, M. BALDASSARI, R. CRISAFULLI, M.
MILANESE, G. ZANCHETTA, Storia e archeologia di una
chiesa rurale nella diocesi medievale di Lucca: San Lorenzo a Cerreto (Pescia PT), in AMediev, XXIII, 1996,
pp. 401-448.
RADICIOTTI 2010 = P. RADICIOTTI, Le pergamene di Santa
Maria in Trastevere, in MEFRM, 122-2, 2010, pp. 279317.
RAIMONDO 2008 = C. RAIMONDO, Vico Jugario: l’accrescimento e le case tra XI e XV secolo, in Daidalos, 9, 2008,
pp. 485-518.
LA CERAMICA MEDIEVALE DI ROMA: ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA E MERCATI (VIII-XV SECOLO)
RAMIERI, GIUSTINI 2004-2005 = A.M. RAMIERI, M. GIUSTINI,
La chiesa di Sant’Omobono alla luce delle nuove scoperte,
in RendPontAc, 77, 2004-2005, pp. 3-136.
RASCAGLIA c.s. = G. RASCAGLIA, The pottery, in FENTRESS,
GOODSON, MAIURO et alii c.s.
RASCAGLIA, RUSSO 2013 = G. RASCAGLIA, J. RUSSO, Dotazione domestica a Tusculum: un aggiornamento del catalogo ceramico medievale, in G. GHINI, Z. MARI (a cura
di), Lazio e Sabina 9. Atti del Convegno (Roma, 27-29
marzo 2012), Roma 2013, pp. 191-195.
REA 2002 = R. REA (a cura di), Rota Colisei. La valle del
Colosseo attraverso i secoli, Roma 2002.
REA, COCCIA 1998 = R. REA, S. COCCIA, Anfiteatro Flavio.
Indagini archeologiche in corso al primo ordine: note preliminari sui depositi postantichi, in DE MINICIS 1998a, pp.
119-123.
RIAVEZ 2000 = P. RIAVEZ, Atlit-Protomaiolica. Ceramiche italiane nel Mediterraneo orientale, in G.P. BROGIOLO (a cura
di), Atti del II Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Brescia, 28 settembre-1 ottobre 2000), Firenze
2000, pp. 444-450.
RICCI 1998 = M. RICCI, Appunti per una storia della produzione e del consumo della ceramica da cucina nel medioevo, in DE MINICIS 1998a, pp. 34-42.
RICCI 2002 = M. RICCI, I reperti archeologici dal sottoscala
XXXVI, in REA 2002, pp. 344-403.
RICCI 2009 = M. RICCI, La bottega delle olle acquarie in età
federiciana: dalla dipinta in rosso alla laziale, in DE MINICIS 2009, pp. 42-46.
RICCI 2011 = M. RICCI, I materiali ceramici medievali dal
pozzo, in L. VENDITTELLI (a cura di), Il Mausoleo di Sant’Elena. Gli scavi, Milano 2011, pp. 257-269.
RICCI 2013 = M. RICCI, Le ceramiche medievali: prime osservazioni, in F. ENEI (a cura di), Santa Severa tra leggenda e realtà storica: Pyrgi e il castello di Santa Severa
alla luce delle recenti scoperte (scavi 2003-2009), Milano
2013, pp. 269-272.
RICCI, VENDITTELLI 2010 = M. RICCI, L. VENDITTELLI, Museo
nazionale romano - Crypta Balbi. Ceramiche medievali
e moderne. I. Ceramiche medievali e del primo rinascimento (1000-1530), Milano 2010.
RINALDONI, FERRACCI 2005 = M.C. RINALDONI, E. FERRACCI,
Ceramiche medievali e rinascimentali dallo scavo di Via
dei Farnesi-Via di San Girolamo della Carità. Notizie preliminari, in DE MINICIS, GIUNTELLA 2005, pp. 277-285.
ROCCO 1998 = G. ROCCO, Scavo alle pendici nord-occidentali del Palatino: relazione preliminare, in BA, 44, 1998,
pp. 71-77.
ROMEI 1992a = D. ROMEI, La ceramica a vetrina pesante altomedievale da Lucus Feroniae (Capena, Roma), in PAROLI 1992a, pp. 435-438.
ROMEI 1992b = D. ROMEI, La ceramica a vetrina pesante altomedievale e medievale dal castello di Scorano (Capena, Roma), in PAROLI 1992a, pp. 439-454.
ROMEI 1992c = D. ROMEI, La ceramica, in M.G. FIORE, A.
SENNIS, F. BOSMAN, M.G. LEGGIO, D. ROMEI, Indagini archeologiche sul sito di Roccabaldesca in Sabina: notizia
preliminare, in AMediev, XIX, 1992, pp. 453-486.
ROMEI 1994 = D. ROMEI, Appunti sulla circolazione della maiolica arcaica a Tuscania, in DE MINICIS 1994, pp. 86100.
ROMEI 1998 = D. ROMEI, La ceramica medievale proveniente
307
dal castello di Scorano, in DE MINICIS 1998a, pp. 124138.
ROMEI 2004 = D. ROMEI, Produzione e circolazione dei manufatti ceramici a Roma nell’alto medioevo, in PAROLI,
VENDITTELLI 2004, pp. 278-311.
RUSSO 2001 = A. RUSSO, Il tempio di Romolo al Foro Romano: testimonianza stratigrafica di una fase medievale,
in AMediev, XXVIII, 2001, pp. 241-266.
RUSSO 2014 = J. RUSSO, I romani e il gusto esotico. Il fenomeno delle importazioni ceramiche a Roma, in Ceramica
e architettura. Atti del XLVI Convegno Internazionale
della ceramica (Savona, 24-25 maggio 2013), Albenga
2014, pp. 127-136.
SACCARONI 2004 = C. SACCARONI, Ricettari quattrocenteschi
per coperte, colori e lustri, in Faenza, 90, 2004, pp. 196207.
SAGUÌ, RICCI, ROMEI 1997 = L. SAGUÌ, M. RICCI, D. ROMEI,
Nuovi dati ceramologici per la storia economica di Roma
tra VII e VIII secolo, in AIX-EN-PROVENCE 1997, pp. 3548.
SANNIBALE 1993 = M. SANNIBALE, Ceramiche basso medievali e rinascimentali rinvenute in Piazza San Pietro, in
BMonMusPont, 10, 1990, pp. 71-97.
SANTANGELI VALENZANI, PONTANI, GIUDICE et alii 2002 = R.
SANTANGELI VALENZANI, M. PONTANI, R. GIUDICE, I. DE
LUCA, I. CUNSOLO, C. CAMPOGIANI, L. TOGNOCCHI, Materiali del Foro di Nerva, in DE MINICIS, MAETZKE 2002,
pp. 129-154.
SCD = Santi Cosma e Damiano.
SERLORENZI 2002 = M. SERLORENZI, Rinvenimento di un
nuovo tratto della via Portuense, in BCom, CIII, 2002,
pp. 359-364.
SERLORENZI 2010 = M. SERLORENZI, Le testimonianze medievali nei cantieri di Piazza Venezia, in EGIDI, FILIPPI,
MARTONE 2010, pp. 131-163.
SFRECOLA 1992 = S. SFRECOLA, Studio mineralogico sulle ceramiche a vetrina pesante, in PAROLI 1992a, pp. 579-597.
SIENA 1986 = La ceramica medievale nel Mediterraneo Occidentale. Atti del III Convegno Internazionale (Siena, 813 ottobre 1984), Firenze 1986.
SMIRAGLIA, ZANOTTI 1998 = E. SMIRAGLIA, M.G. ZANOTTI,
Ceramiche medievali dallo scavo della nuova basilica circiforme della via Ardeatina, in DE MINICIS 1998a, pp. 171182.
SPECCHIO 2010 = P. SPECCHIO, Nuove acquisizioni sulle tabernae prospicienti via Salita del Grillo, in L. UNGARO,
M.P. DEL MORO, M. VITTI (a cura di), I Mercati di Traiano restituiti. Studi e restauri 2005-2007, Roma 2010,
pp. 175-184.
SPERA 1995 = L. SPERA, Ceramica bassomedievale e moderna
dallo scavo di S. Senatore ad Albano: osservazioni preliminari, in DE MINICIS 1995, pp. 72-79.
SPERA 1999 = L. SPERA, Il paesaggio suburbano di Roma dall’antichità al Medioevo: il comprensorio tra le vie Latina
e Ardeatina dalle mura aureliane al III miglio, Roma 1999.
STAFFA 2004 = A. STAFFA, Le produzioni ceramiche in
Abruzzo nell’altomedioevo, in PATITUCCI UGGERI 2004, pp.
205-234.
STIESDAL 1962 = H. STIESDAL, Three deserted medieval villages in the Roman Campagna, in AnalRom, II, 1962, pp.
63-100.
TORRE, CIARROCCHI 2006 = P. TORRE, B. CIARROCCHI, Cera-
308
GIORGIO RASCAGLIA, JACOPO RUSSO
mica invetriata dall’altomedioevo all’età post-medievale
negli scavi di Monte d’Argento (Minturno, LT), in Genova
e Savona: la Liguria crocevia della ceramica. Atti del
XXXVII Convegno Internazionale della Ceramica (Albisola, 2004), Firenze 2006, pp. 265-280.
TRIFONE 1908 = B. TRIFONE, Le carte del monastero di San
Paolo di Roma dal secolo XI al XV, in ArchStorRom, 31,
1908, pp. 267-313.
VAAG 2008 = L.E. VAAG, Post Antique Pottery, in P. GULDAGER BILDE, B. POULSEN, S. SANDE, L. E. VAAG, J.
ZAHLE, The temple of Castor and Pollux 2.1.The finds,
Roma 2008, pp. 211-252.
VAAG 2010 = L.E. VAAG, Post Antique Pottery, in M. MOLTENSEN, B. POULSEN, K. BOGGILD JOHANNSEN, A Roman
Villa by lake Nemi. The finds. The Nordic Excavations by
Lake Nemi, loc. S. Maria (1998-2002), Roma 2010, pp.
385-414.
VARALDO 1997 = C. VARALDO, La graffita arcaica tirennica,
in AIX-EN-PROVENCE 1997, pp. 439-450.
VENDITTELLI 1993 = M. VENDITTELLI, Mercanti romani del
primo Duecento “in Urbe potentes”, in É. HUBERT, C.
CARBONETTI VENDITTELLI (a cura di), Roma nei secoli XIII
e XIV. Cinque saggi, Roma 1993, pp. 87-135.
VENDITTELLI 1995 = M. VENDITTELLI, Testimonianze sui rapporti tra «mercatores» romani ed i vescovati di Metz e
Verdun nel secolo XIII, in ArchStorRom, 118, 1995, pp.
69-99.
VENDITTELLI 2001 = M. VENDITTELLI, “In partibus Anglie”:
cittadini romani alla corte inglese nel Duecento, la vicenda di Pietro Saraceno, Roma 2001.
VENTRONE VASSALLO 1984 = G. VENTRONE VASSALLO, La ma-
iolica di San Lorenzo Maggiore, in M.V. FONTANA, G. VENTRONE VASSALLO (a cura di), La ceramica medievale di San
Lorenzo Maggiore in Napoli, 1, Napoli 1984, pp. 177-351.
VERMASEREN, VAN ESSEN 1965 = M.J. VERMASEREN, C.C. VAN
ESSEN, The Excavations in the Mithraeum of the Church
of Santa Prisca on the Aventine, Leiden 1965.
VOLPE, FAVIA 2009 = G. VOLPE, P. FAVIA (a cura di), Atti
del V Congresso Nazionale di Archeologia Medievale
(Foggia-Manfredonia, 30 settembre-3 ottobre), Firenze
2009.
WHITEHOUSE 1965 = D. WHITEHOUSE, Forum Ware. A distinctive type of early medieval glazed pottery in the
Roman Campagna, in AMediev, IX, 1965, pp. 55-63.
WHITEHOUSE 1967 = D. WHITEHOUSE, The medieval glazed
pottery of Lazio, in BSR, XXXV, 1967, pp. 40-86.
WHITEHOUSE 1976 = D. WHITEHOUSE, Ceramica Laziale, in
BSR, XLIV, 1976, pp. 157-170.
WHITEHOUSE 1978 = D. WHITEHOUSE, The medieval pottery
of Rome, in H. BLAKE, T.W. POTTER, D. WHITEHOUSE (a
cura di), Papers in Italian Archaeology. I. The Lancaster
Seminary, Oxford 1978, pp. 475-499 (BAR, suppl. 41).
WHITEHOUSE 1980 = D. WHITEHOUSE, The medieval pottery
from Santa Cornelia, in BSR, XLVIII, 1980, pp. 125-156.
WICKHAM 2013 = C. WICKHAM, Roma medievale. Crisi e stabilità di una città. 950-1150, Roma 2013.
WILLIAMS, OVENDEN 1978 = D.F. WILLIAMS, P.J. OVENDEN,
Medieval Pottery from Rome: Petrographical and Chemichal Analyses, in Papers in Italian Archaeology. I. 2.
The Lancaster Seminar. Recent Research in Prehistoric,
Classical and Medieval Archaeology, Oxford 1978, pp.
507-520 (BAR, suppl. 41).
LO SFRUTTAMENTO DEGLI ANIMALI DOMESTICI
A ROMA E NEL LAZIO NEL MEDIOEVO
Jacopo De Grossi Mazzorin
Tra le aree urbane maggiormente indagate da un punto
di vista archeozoologico vi è la città di Roma, dove negli
ultimi trenta anni si sono concentrati numerosi scavi le
cui analisi hanno permesso di delineare un quadro abbastanza esaustivo del consumo alimentare e probabilmente
anche delle modalità di allevamento animale. Va infatti
ricordato che, per quel che riguarda la componente alimentare in un contesto urbano, generalmente il luogo di
consumo non coincide, almeno in parte, con il luogo di
produzione. I prodotti animali che venivano consumati
in città provenivano di solito da luoghi di produzione extraurbani, sia piccoli che grandi, situati a distanza variabile. Ciò significa che lo studio dei materiali faunistici
rinvenuti in contesti urbani fornisce soprattutto indicazioni sui consumi alimentari ma non è detto che rifletta
appieno le pratiche di allevamento strettamente legate all’esigenza del mercato carneo della città.
Lo scopo di questo lavoro è quindi quello di confrontare i dati provenienti dagli scavi urbani medievali con
quelli dei centri produttivi più piccoli sparsi nella regione.
Le informazioni disponibili ovviamente sono differenti in
numero e in qualità. Non tutte le fasi cronologiche sono
ugualmente rappresentate e la grandezza dei campioni faunistici analizzati è piuttosto differente e in diversi casi è
tale da non poter rendere completamente attendibili le valutazioni statistiche che hanno determinato l’interpretazione dei dati archeozoologici.
sumo di carne suina. Dalla fondazione dell’Urbe fino a
gran parte del periodo repubblicano le percentuali di resti
di maiale, rispetto ai principali animali domestici che
contribuivano alla alimentazione (bovini e caprovini),
si aggirano nei diversi campioni intorno a una media
del 50%, con la tendenza ad aumentare ancor più dal
III sec. a.C. in poi, fino a raggiungere nei primi secoli
dell’Impero percentuali che si aggirano intorno all’80%
dei resti 1. Il periodo storico coincide con la notevole
espansione demografica della città e l’incremento del
consumo di maiale potrebbe trovare una sua spiegazione
nella maggiore richiesta di carne, alla quale si scelse di
ovviare con l’allevamento intensivo e più economico di
questo animale assai prolifico. Solo alla fine del periodo
imperiale i resti di maiale, pur restando il principale animale domestico consumato nell’Urbe, diminuiscono e
nella fase tardo antica si attestano su percentuali intorno
al 55%. Questo cambiamento coincide con un periodo
di crisi e di parziale demolizione degli edifici urbani,
corrispondente a una riduzione drastica del numero
degli abitanti, che si manifesta nell’Urbe nella seconda
metà del V secolo dopo il sacco di Alarico nel 410. La
tab. 1 elenca i contesti urbani di Roma che hanno restituito importanti campioni di resti faunistici dal periodo tardo antico al basso Medioevo, questi sono:
- un campione (US 3641) dall’area della Meta Sudans collocabile cronologicamente tra il V e il VI
secolo 2;
- diversi campioni dai recenti scavi nell’area delle
Terme di Traiano, databili tra il VI e il VII secolo 3;
- gli ingenti campioni provenienti dagli scavi del-
I suini
L’aspetto caratterizzante della dieta proteica a Roma
è costituito, sin dal periodo Imperiale, dal notevole con-
1
2
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI 2010, pp. 52-54.
DE GROSSI MAZZORIN 1995.
3
De Grossi Mazzorin, Mezzina, Minniti in studio.
310
JACOPO DE GROSSI MAZZORIN
pione quantitativamente più
attendibile – nel periodo che
va dal VII al X secolo la percentuale del maiale scende
progressivamente dal 57,2 al
47,3%. Colpisce infine la perCrypta Balbi
VIII
3268
346
10,6
1100
33,7
1822
55,8
Argileto
VIII-XI
243
26
10,7
71
29,2
146
60,1
centuale
particolarmente
Crypta Balbi
IX
3955
830
21,0
1138
28,8
1987
50,2
bassa di resti di maiale della
Crypta Balbi
X
2448
499
20,4
790
32,3
1159
47,3
basilica di S. Cecilia tra il XII
Piazzale Anfiteatro Flavio
XI
296
45
15,2
125
42,2
126
42,6
e il XIII secolo (29,2%) ma
Crypta Balbi
XI
273
62
22,7
119
43,6
92
33,7
Anfiteatro Flavio, Amb.36
XI-XIII
901
36
4,0
403
44,7
462
51,3
vedremo più avanti che il parCrypta Balbi
XII
1004
119
11,9
624
62,2
261
26,0
ticolare contesto archeologico
Palatino
XII-XIII
317
30
9,5
142
44,8
145
45,7
può in qualche modo aver inS. Cecilia
XII-XIII
2833
349
12,3
1657
58,5
827
29,2
fluito sulle diverse percenPassaggio di Commodo
XII-XIII
337
87
25,8
103
30,6
147
43,6
tuali di animali domestici.
Crypta Balbi
XIII
620
45
7,3
337
54,4
238
38,4
Crypta Balbi
XIV
2207
270
12,2
1111
50,3
826
37,4
Dai dati sull’eruzione, il
Crypta Balbi
XV
365
46
12,6
168
46,0
151
41,4
rimpiazzamento e l’usura dei
Tab. 1. Percentuali delle tre principali categorie di animali domestici nei diversi contesti urbani di
denti dei contesti urbani di
Roma.
Roma, risulta che le modalità
di abbattimento dei suini non
l’esedra della Crypta Balbi, databili tra il VII e il
subiscono grosse variazioni nel corso dei secoli e che
X secolo 4;
gran parte dei maiali veniva macellata tra i due anni
e mezzo e i tre di vita, quando questi animali rag- un piccolo campione dall’area dell’Argileto, in5
giungevano la maturità e quindi la massima resa in
quadrabile tra l’VIII e l’XI secolo ;
carne, mentre una minima parte degli animali oltre- tre campioni dall’area del Colosseo, databili tra l’XI
6
passava il terzo anno e quindi veniva allevato per la
e il XIII secolo ;
riproduzione e macellato solo in tarda età. Invece una
- un pozzo di butto individuato sulle pendici del Paanche una piccolissima parte veniva macellata entro il
latino, il cui riempimento si data tra il XII e il XIII
primo anno di vita probabilmente per il consumo di
secolo 7;
tagli di carne più pregiata. Bisogna inoltre considerare
- un campione proveniente da strati di interramento
che la maturazione dei maiali era senza alcun dubbio
del battistero medievale, avvenuto tra la fine del
più lenta rispetto a quella attuale e questo ritardo era
XII e la prima metà del XIII secolo, in occasione
probabilmente dovuto alla loro alimentazione. I madi rifacimenti della basilica di S. Cecilia in Traiali erano tenuti liberi nel territorio vicino alla città:
stevere 8;
da ciò se ne deduce che la loro alimentazione doveva
- un altro campione proveniente sempre dall’area delessere costituita prevalentemente da ghiande, che esl’esedra della Crypta Balbi databile tra il XII e il
sendo un alimento a scarso contenuto proteico ne ralXV secolo 9.
lentavano lo sviluppo. Che i boschi fossero utilizzati
anche per l’allevamento a pascolo brado dei maiali è
I dati sembrano indicare che il consumo della carne
testimoniato anche dal fatto che la loro superficie fosse
suina, pur mantenendosi su percentuali considerevoli
spesso misurata con il numero di maiali che poteva soper tutto il Medioevo, non raggiunge più i livelli,
stenere 10.
quasi esclusivi, dei primi secoli dell’Impero romano
I contesti altomedievali nel Lazio mostrano forti
analogie con il tipo di alimentazione descritto per i lie come si può vedere dalle percentuali il consumo convelli della Crypta Balbi (tab. 2): a Casale S. Donato 11,
tinua a diminuire (tab. 1). Alla Crypta Balbi – il camSito
Meta Sudans US 3641
Terme di Traiano
Terme di Traiano
Crypta Balbi
Terme di Traiano
Secolo
N.
Bovini
%
Caprovini
%
Suini
%
V-VI
VI
VI-VII
VII
metà VII
1852
524
842
3259
2464
349
55
103
240
188
18,8
10,5
12,2
7,4
7,6
488
112
262
1156
958
26,3
21,4
31,1
35,5
38,9
1015
357
477
1863
1318
54,8
68,1
56,7
57,2
53,5
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI 2001; MINNITI 2005a.
DE GROSSI MAZZORIN 1989.
6
BEDINI 2002; DELFINO, MINNITI 2005; MINNITI 2008.
7
De Grossi Mazzorin in studio.
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI 2004.
BEDINI 1990.
10
MONTANARI 1998, p. 38.
11
CLARK 1997.
4
8
5
9
LO SFRUTTAMENTO DEGLI ANIMALI DOMESTICI A ROMA E NEL LAZIO NEL MEDIOEVO
311
a Farfa 12 e a Monte Gelato 13
Sito
Datazione
N.
Bovini
%
Caprovini
%
Suini
%
i livelli di occupazione che
Casale S. Donato
VI-VIII
198
20
10,1
82
41,4
96
48,5
Farfa
VIII-IX
256
26
10,2
96
37,5
134
52,3
vanno dal VI al XII secolo inGelato,
fase
5
Monte
IX
231
17
7,4
93
40,3
121
52,4
dicano un prevalente con98
32
0,7
94
1,5
172
57,7
Cencelle
IX-XIII
sumo di carne suina (tra il
Castiglione
XI
6803
356
5,2
1770
26
4677
68,7
48,5% e il 52,4%), seguito da
Monte Gelato, fase 6
XI
487
40
8,2
174
35,7
273
56,1
quello di carne ovina (tra
S. Paolo fuori le mura
metà XI-metà XII
106
34
33,7
44
43,6
23
22,8
Farfa
XI-XIII
1062
59
5,6
323
30,4
680
64
circa il 35% e il 40%) e in
Monte
Gelato,
fase
7
XII
153
7
4,6
70
45,8
76
49,7
bassa percentuale (se si ecS. Paolo fuori le mura
fine XII-XIII
923
230
24,9
305
33
388
42
cettua il piccolo borgo fortiCencelle
XIII
198
17
8,6
77
38,9
104
52,5
ficato di S. Paolo fuori le
Tuscania
XIII
194
6
3,1
170
87,6
18
9,3
mura 14, mai oltre il 10%) da
Tarquinia
XII-XIV
1352
114
8,4
389
28,8
849
62,8
quella bovina. In questi casi
S. Paolo fuori le mura
XIII-XIV
209
82
39,2
60
28,7
67
32,1
Cencelle
XIV
2127
329
15,5
765
36
1033
48,6
però non si tratta di scavi di
Tuscania
XIV
403
49
12,2
288
71,5
66
16,4
contesti urbani ma di insediaTarquinia
XIV
6852
555
8,1
3579
52,2
2718
39,7
menti rurali con popolazione
Santa Severa
seconda metà XIV
4494
534
11,9
2365
52,6
1595
35,5
limitata, come complessi moTuscania
XV
1989
284
14,3
1243
62,5
462
23,2
nastici o castelli.
Tarquinia
XV
217
25
11,5
113
52,1
79
36,4
Successivamente, nei se- Tab. 2. - Percentuali delle tre principali categorie di animali domestici nei diversi contesti del Lazio.
coli centrali (o pieno Melano tra il 10 e il 30% 20, questi valori invece tendono a
dioevo), i suini mantengono ancora una posizione
crescere per tutto il periodo tardo-antico e alto-mediepercentualmente predominante rispetto agli ovicaprini
vale; inizialmente abbiamo una media del 25% nel Ve bovini, come si può notare a Cencelle tra il IX e il
15
16
XIII secolo , a Castiglione nell’XI secolo e ancora,
VI secolo che aumenta attorno al 30% perlomeno fino
tra l’XI e il XII secolo, a Monte Gelato 17. Nel basso
a tutto il X secolo e cresce ulteriormente nei secoli sucmedioevo continuano ad avere maiali prevalenti i concessivi fino a raggiungere il culmine nel campione di S.
testi di S. Paolo (dal XII al XIV secolo), Cencelle (XIV
Cecilia – nel XII-XIII secolo – dove gli ovicaprini rapsecolo) e Palazzo Vitelleschi a Tarquinia tra XII e XIV
presentano quasi il 60% degli animali domestici (tab. 1).
secolo 18 ma altri, come avviene a Roma nel complesso
A Roma, tuttavia, in epoca tardo antica e alto medi S. Cecilia, iniziano a presentare tra XIV e XV secolo
dievale si notano, rispetto al periodo romano, alcune difpercentuali preponderanti di ovicaprini, tra questi Tuferenze nel sistema di utilizzazione di questi animali.
scania 19 e Tarquinia.
Ricorrendo all’analisi dell’eruzione, rimpiazzamento e
usura dei denti è stato, infatti, possibile stimare la composizione per età nei diversi campioni. Le percentuali
di denti attribuiti ad ogni classe di età ci ha permesso
Gli ovicaprini
di elaborare le cosiddette ‘curve di mortalità’ (fig. 1) in
base alle osservazioni effettuate da S. Payne 21. Queste
A Roma, nell’alto Medioevo, l’importanza della carne
a seconda del tipo di allevamento – latte, carne o lana –
ovina e caprina sembra rimanere secondaria a quella
suina, senza subire significativi cambiamenti rispetto al
avranno delle caratteristiche peculiari:
periodo romano. Nei campioni faunistici provenienti da
diversi contesti urbani e rurali compresi tra il I secolo
- un allevamento dove lo scopo principale è la proa.C. e il III secolo d.C., le percentuali di ovicaprini oscilduzione di latte presenterà un’elevata percentuale
12
Ibidem.
KING 1997.
14
Il piccolo borgo fortificato nei pressi della basilica di S. Paolo,
di cui sono stati studiati, da parte di chi scrive, diversi contesti provenienti dall’area di scavo nell’orto del monastero della basilica e
collocabili cronologicamente tra l’VIII e il XIII secolo, presenta percentuali ancora più basse che tuttavia sembrano mantenersi costanti
nel tempo.
13
15
MINNITI 2009; MINNITI 2012.
MINNITI 2009.
17
KING 1997.
18
CLARK 1989.
19
BARKER 1973.
20
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI 2010.
21
PAYNE 1973.
16
312
JACOPO DE GROSSI MAZZORIN
questi hanno raggiunto la massima dimensione corporea. Tenere in vita gli animali oltre questa età non conviene ai
pastori perché lo sforzo economico e lavorativo non verrebbe ripagato da
un’equivalente resa in carne;
- un allevamento finalizzato, invece, alla
produzione di lana vedrebbe percentuali
di animali che oltrepassano il terzo anno
d’età, perché queste seguitano a produrre
lana di buona qualità almeno fino ai 6 anni
di vita.
Rispetto all’allevamento di età romana
in cui la mortalità sembra indicare soprattutto la presenza di animali macellati
tra i due e i tre anni, cioè quando la maggior quantità di carne è resa con i più
bassi costi di produzione, per il rifornimento del mercato carneo 22, il campione
Fig. 1. - Curve di mortalità dei caprovini nei diversi contesti urbani di Roma.
di VI-VII secolo, proveniente dall’area
delle Terme di Traiano, mostra ancora una
pastorizia volta alla produzione di carne
(figg. 1-2). Infatti circa il 50% circa degli
animali era ucciso entro i tre anni di vita,
e di questi, la percentuale di animali uccisi tra i 6 e i 12 mesi, circa il 32%, indica allo stesso tempo che parte della
produzione di carne era riservata a tagli
di carne più pregiata (abbacchi o agnelloni). Si nota infine un certo interesse
anche per la produzione della lana; dal grafico della fig. 1 infatti risulta che un certo
numero di animali adulti (circa il 50%) era
tenuto in vita dopo i tre anni per questo
scopo. È chiaro che queste stime rappresentano solo un dato indicativo perché
non è possibile distinguere, mediante
l’analisi dei denti, le capre dalle pecore o
i maschi dalle femmine; quest’ultime,
senza dubbio, avevano un differente destino nell’allevamento. Le curve di morFig. 2. - Percentuali dei caprovini uccisi per ogni classi d’età nei diversi contesti urbani di Roma.
talità dal VII al IX secolo della Crypta
Balbi mostrano percentuali abbastanza sidi animali, soprattutto i maschi, uccisi entro i primi
mili tra loro ma con alcuni distinguo. La percentuale di
mesi di vita. Gli agnelli succhiando il latte alle
animali giovani, tra 6 e 12 mesi, è leggermente infemadri lo toglierebbero alla produzione dannegriore al periodo precedente segno di un minore interesse
giando il pastore;
per i tagli di carne pregiata. Nell’VIII secolo sembra vi
- un allevamento in cui lo scopo principale è la produzione carnea avrebbe un’alta percentuale di ani22
mali uccisi tra i due e i tre anni, ovvero quando
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI 2010, pp. 54-55.
LO SFRUTTAMENTO DEGLI ANIMALI DOMESTICI A ROMA E NEL LAZIO NEL MEDIOEVO
313
sia più interesse per una maggiore resa carnea. L’interesse per la produzione di lana
si manifesta soprattutto nei campioni del
VII e del IX secolo con percentuali di individui che oltrepassano i tre anni di vita
superiori al 40%. Ma alla Crypta Balbi è
soprattutto nel X secolo che si assiste invece ad un forte incremento di interesse
per la lana; le percentuali di animali che
sopravvivono oltre i 3 anni costituiscono,
infatti, quasi il 60% del gregge (figg. 12).
A S. Cecilia, come si nota nei grafici
delle figure 1-2, l’interesse per la produzione della lana si accentua ulteriormente.
Questo dato, come anche la predominanza
sul totale dei resti di caprovini, sembra anticipare un assetto economico che i documenti storici registrano a Roma solo a
partire dalla seconda metà del XIV secolo, Fig. 3. - Curve di mortalità dei caprovini nei contesti di Castiglione (XI secolo) e Cenquando le proprietà terriere della campa- celle (XIII-XIV secolo).
gna romana vengono progressivamente
secolo) e Cencelle (XIII-XIV secolo). Dal grafico
trasformate da seminativi in pascoli e, come si è acdella figura 3 si nota che complessivamente le età di
cennato, nella città si registra un particolare sviluppo
abbattimento degli ovicaprini sono abbastanza diffedella lavorazione della lana. A questo proposito si deve
renti: a Castiglione è fortemente accentuata la proricordare che dalla seconda metà del 1300 i lanaioli o
duzione di carne, fornita soprattutto da animali
lanistae, insieme ai macellai e ai bovattieri, sono congiovani, a Cencelle invece a fianco di un consumo di
siderati tra gli artigiani più vivaci e più attivi nella vita
23
carne di qualità si nota anche un interesse marcato per
economica e politica romana . Tuttavia non si può
la produzione di lana. La fauna del castello di Castiescludere l’ipotesi che il campione di S. Cecilia rifletta
glione in Sabina ovviamente riflette solo la condizione
la condizione economica di un particolare settore della
di un contesto signorile in cui la predominanza di incittà e che non sia indicativo dei sistemi di macellazione
dividui giovani mostra un loro uso esclusivo per l’alie consumo dell’intera popolazione urbana, dal momento
mentazione carnea e non per gli altri prodotti
che i frati Umiliati che risiedevano presso S. Cecilia
dell’allevamento. Cencelle – la Civitas Leopolina –
commerciavano la lana. Sappiamo infatti che una parte
invece
mostra una pastorizia dove l’importanza per i
consistente della popolazione urbana, costituita sia da
prodotti dell’animale vivente (in questo caso la lana)
laici che da ecclesiastici, gestiva in economia diverse
hanno una grande importanza 24.
proprietà fondiarie e casali della campagna romana, dai
Purtroppo degli altri siti o non abbiamo dati regiquali è probabile che si rifornissero sia per il consumo
strati
con la stessa metodologia 25 oppure questi sono
alimentare che per le attività commerciali.
troppo scarsi e quindi statisticamente poco attendibili.
Il campione di S. Cecilia, infine, mostra una discreta
Tuttavia, a solo titolo indicativo, va detto che la prevapercentuale di animali uccisi in età molto giovane prolenza di individui adulti, quindi legata ad un probabile
babilmente per salvaguardare anche la produzione di
maggior sfruttamento della lana, si nota anche a Monte
latte e altri prodotti caseari (figg. 1-2).
Gelato 26 e a S. Paolo fuori le mura 27 mentre una magIl confronto sui dati della mortalità con i siti lagiore prevalenza di individui più giovani si nota nei camziali è possibile solo con i campioni di Castiglione (XI
23
24
25
GENNARO 1967.
MINNITI 2009.
PAYNE 1973.
26
27
KING 1997, p. 389.
De Grossi Mazzorin in studio.
314
JACOPO DE GROSSI MAZZORIN
Lecce 33. Tuttavia nel caso di S. Paolo, almeno nell’area indagata, non vi sono altri
indizi che testimonino la concia delle
pelli.
Gli altri siti del Lazio mostrano per
tutto l’alto Medioevo fino al XII secolo
percentuali di ovicaprini che oscillano
grosso modo 34 tra il 35% e il 45% (tab.
2), nei secoli successivi si nota un loro particolare aumento soprattutto a Tuscania
(VT) dove si registrano, tra il XIII e il XV
secolo, percentuali particolarmente elevate. Il consumo di carne ovina e caprina
è inoltre ben documentato nel campione
di Palazzo Vitelleschi a Tarquinia (tab. 2).
I bovini
pioni di S. Severa 28, Tarquinia ‘Palazzo Vitelleschi’ 29
e nell’abbazia di Farfa 30.
Si è notato, inoltre, un altro aspetto interessante nell’obliterazione, avvenuta nella seconda metà del XII secolo, di un pozzo del borgo fortificato di S. Paolo, in
cui erano presenti alcuni resti animali, in prevalenza
(circa il 57%) costituiti da una dozzina di cavicchie di
pecora bruciate e con evidenti i segni del colpo per rimuoverle dal cranio (fig. 4). Questi tagli lasciano intuire che nell’area fosse svolta anche la lavorazione
dell’astuccio corneo. Questo materiale, costituito da una
scleroproteina ricca in zolfo, è stato utilizzato in passato per la realizzazione di numerosi oggetti come ‘finestre’ per lanterne, bottoni, pettini, manici di coltello,
cucchiai etc. In genere i lavoratori del corno operavano
a fianco di pellai e conciatori in luoghi della città riservati a questo scopo a causa dei cattivi odori generati
da questi lavori 31. Un’analoga situazione è documentata anche nelle concerie del Priamàr a Savona 32 e a
Il bue, nei contesti urbani romani, è sicuramente l’animale domestico meno rappresentato, anche se con notevoli
variazioni percentuali attraverso i secoli ed i suoi resti
raramente oltrepassano il 30% dei diversi campioni (tab.
1). Alla Crypta Balbi si nota tuttavia un progressivo incremento della sua percentuale che dal 7,4% nel VII secolo cresce fino a circa il 23% nell’XI, per poi diminuire
di nuovo tra il XII e il XIV con percentuali che si collocano attorno al 12%. Un valore percentuale quest’ultimo che, se si eccettua il campione proveniente dal
Passaggio di Commodo, ritroviamo anche a S. Cecilia.
Nel complesso si tratta di animali di media statura
alti in media, nel VII secolo, cm 127 alla spalla. Questo valore è completamente sovrapponibile a quello registrato, tra il I e il II secolo, in un complesso agricolo
indagato nel suburbio romano 35 e denota quindi come
sostanzialmente i bovini si mantennero nelle stesse dimensioni fino alla tarda antichità. Successivamente, nei
secoli dall’VIII al X, si registra una sensibile riduzione
della taglia che non oltrepassa in media i cm 120 36. Questa taglia modesta si registra anche in altri siti italiani
FATUCCI, CERILLI 2013.
CLARK 1987a; CLARK 1989.
30
CLARK 1987a; CLARK 1987b.
31
MACGREGOR 1989.
32
SPINETTI, MARRAZZO 2005.
33
DE GROSSI MAZZORIN 2008, p. 187.
34
Unica eccezione è il piccolo castello di Castiglione in Sabina
dove i resti di pecora e capra non oltrepassano il 26% del campione
(MINNITI 2009).
35
Si tratta dei resti animali rinvenuti in tre pozzi di un insediamento rurale situato nella Tenuta di Vallerano a pochi chilometri a
sud di Roma, lungo la via Laurentina. Anche in questo sito i bovini
sono alti al garrese in media cm 127,4 (MINNITI, 2005).
36
I bovini di grosse dimensioni (ovvero che oltrepassano i cm
130 al garrese) ancora presenti nel VII secolo scompaiono completamente nei secoli successivi.
Fig. 4. - S. Paolo fuori le mura: resti di cavicchie di pecora con tracce di tagli e combustione.
28
29
LO SFRUTTAMENTO DEGLI ANIMALI DOMESTICI A ROMA E NEL LAZIO NEL MEDIOEVO
315
altomedievali o dei secoli centrali del medioevo. La riduzione di taglia potrebbe riflettere, come scrive Salvadori 37, un minor interesse per la cerealicoltura a
scapito di un maggior sfruttamento dell’incolto, oppure
rappresentare una maggior presenza di soggetti femminili che lascerebbero intuire un maggior sfruttamento
dell’allevamento bovino al fine della produzione casearia. Tuttavia nei campioni della Crypta Balbi a dispetto di scarsissimi individui maschili, i castrati e le
femmine sembrano bilanciarsi tra loro.
A Roma, alla Crypta Balbi, dai dati relativi alla fusione delle epifisi articolari delle ossa lunghe, risulta che
in ogni fase cronologica considerata, dal VII al X secolo, circa la metà dei resti appartiene a bovini di età
superiore ai quattro anni, con punte nel VII e X secolo
che oltrepassano il 70%. È probabile, quindi, che questi animali fossero stati macellati solo dopo essere stati
utilizzati da vivi, a seconda del sesso, per la produzione
del latte, la riproduzione e i lavori agricoli. A conferma
di ciò si è notato, soprattutto tra le ossa bovine della
Crypta Balbi, che sono presenti diversi casi di processi
infiammatori delle falangi e di una particolare patologia a carico degli arti, lo spavenio, che si manifesta nell’accentuata divaricazione delle terminazioni distali dei
metapodi dovuta al continuo sforzo fisico durante la trazione dell’aratro. Tuttavia non mancano, anche se presenti con percentuali molto modeste, individui giovani
uccisi nei primi 18 mesi, come anche esemplari macellati intorno ai 2-3 anni di vita, allevati più propriamente
per la produzione carnea.
Anche gli altri siti laziali presentano, durante l’alto
Medioevo, percentuali molto modeste con valori al di
sotto del 10% (tab. 2). Solo il borgo fortificato di S.
Paolo fuori le mura mostra percentuali più alte, tra il
25 e il 30% circa, forse il riflesso di una campagna più
vicina all’Urbe meno forestata e più dedita ai lavori agricoli. Nel resto della regione un incremento dello sfruttamento bovino si nota dal XIII secolo in poi, soprattutto
nei siti dell’Etruria meridionale (Cencelle, Tarquinia e
Tuscania).
La presenza di un altro bovino viene spesso messa
in relazione con l’alto Medioevo: il bufalo. Cockrill 38
sostiene che non vi siano buone ragioni per credere che
i primi bufali (secondo alcuni uno solo) siano stati donati nel 595 dal Khan degli Avari ad Agilulfo re dei Longobardi 39. Hehn e Stallybrass 40, speculando su un
passo di Paolo Diacono 41, sostennero che i longobardi
avessero introdotto i bufali in Italia ma alcuni anni dopo
la pubblicazione del loro lavoro Hahn 42 confutava
questa asserzione sottolineando che l’animale descritto
col termine «bubalus» non fosse altro che il bisonte
europeo (Bison bonasus) importato da Oltralpe. Boettger 43 successivamente ipotizzò che invece con tale
termine lo storico volesse indicare l’uro (Bos primigenius) che ancora viveva in nord Europa. La confusione nasce probabilmente da un passo di Plinio
«Ceterorum animalium, quae modo convecta undique
Italiae contigere saepius, formas nihil attinet scrupulose referre. Paucissima. Scythia gignit inopia fruticum, pauca contermina illi Germania, insignia tamen
boum ferorum genera, iubatos bisontes excellentique
et vi et velocitate uros, quibus inperitum volgus bubalorum nomen inponit, cum id gignat Africa vituli potius cervique quadam similitudine» (degli altri animali,
che portati da ogni parte, abbastanza spesso sono capitati in Italia, non importa descrivere scrupolosamente
l’aspetto. La Scizia ne genera pochissimi per mancanza
di vegetazione, pochi la Germania che con essa confina; tuttavia vi nascono razze famose di buoi selvaggi, i bisonti con la criniera e gli uri dalla grande
forza e dalla grande velocità, che il popolo nella sua
ignoranza chiama bubali, mentre questi ultimi nascono
in Africa ed hanno una qualche somiglianza piuttosto
con i vitelli o i cervi) 44.
A riguardo White 45 argomenta che Paolo Diacono
ben conosceva il bisonte (ne parla anche in un altro passo
dell’Historia Langobardorum) 46 e che l’uro era ancor
più diffuso a nord delle Alpi che non il bisonte per cui
è improbabile che potesse aver tanto meravigliato. Tra
l’altro White sostiene che è molto probabile che i bufali, provenienti da una via settentrionale lungo le coste
del Mar Nero, fossero diffusi al tempo degli Avari nel
SALVADORI 2015, pp. 93-101.
COCKRILL 1984.
39
Anche ZEUNER 1963, p. 251 e KELLER 1909, p. 288 sembrano
poco propensi a credere ad un’introduzione del bufalo in Italia alla
fine del VI secolo e riportano il fatto che S. Villibaldo di Eichstätt,
visitando la Palestina nel 723 aveva visto dei bufali nella valle del
Giordano e si era meravigliato di tali strani animali. Ma avendo egli
viaggiato attraverso l’Italia e la Sicilia non era possibile che non li
avesse visti prima.
HEHN, STALLYBRASS 1885.
« […] Tunc primum cavalli silvatici et bubali in Italiam delati, Italiae populis miracula fuerunt»: P. DIACONO, Historia Langobardorum, Liber IV, 10.42 HAHN 1896.
43
BOETTGER 1958
44
PLIN. nat., VIII, 15.
45
WHITE 1974.
46
P. DIACONO, Historia Langobardorum, Liber II, 8.
37
38
40
41
316
JACOPO DE GROSSI MAZZORIN
Nei contesti urbani a Roma nel periodo imperiale
i resti di equini (cavalli, asini e loro ibridi) non sono
affatto abbondanti, il loro rapporto percentuale confrontato con quello degli altri tre mammiferi dome-
stici presenta valori sempre abbastanza bassi (pochi
punti percentuali). I diversi elementi scheletrici, inoltre, si presentano di solito integri e senza tracce di macellazione e/o combustione. Questo indica che, con
ogni probabilità, non rientravano nell’alimentazione
abituale.
Gli equini erano utilizzati prevalentemente come cavalcatura e animali da tiro. Alla prima funzione dovevano essere riservati esemplari volutamente selezionati
come il cosiddetto ‘cavallo militare’ romano, il cui tipo
ideale si può cogliere nella rappresentazione equestre
del Marco Aurelio 55. Un evidente esempio di animale
da tiro è invece fornito dallo scheletro appartenente
molto probabilmente ad un mulo, rinvenuto sul Celio
in un tratto, ormai totalmente caduto in disuso, del condotto fognario di una insula, la cui costruzione risale
all’età domizianea. Lo scheletro giaceva con attorno e
sopra sei anforette, alcune solo scheggiate, altre parzialmente rotte, datate attorno al V secolo d.C. È stato
ipotizzato che la fogna sia stata usata per gettarvi la carcassa dell’animale probabilmente insieme al carico di
anfore, ormai inutilizzabili, che l’equino stava trasportando lungo il vicino vicus Capitis Africae. Un’attenta
analisi dello scheletro ha rivelato come l’animale fosse
in qualche modo adibito a lavori pesanti, a parte il carico di anfore che doveva trasportare, per la presenza
di un’alterazione patologica a carico dell’arto posteriore
sinistro 56.
Nell’alto Medioevo queste percentuali iniziano a crescere raggiungendo percentuali intorno al 10% nei campioni di IX e X secolo della Crypta Balbi e addirittura del
18% nei livelli di XII-XIII secolo del Passaggio di Commodo (tab. 3). A volte presentano tracce di combustione mentre le tracce di tagli sulla loro superficie sono abbastanza rare e più che alla macellazione sembrano riferirsi
soprattutto al recupero della pelle dell’animale. Solo in
due casi, un frammento di diafisi di ulna e uno distale di
metapodio, i tagli erano abbastanza profondi ma anche
in questo caso non si può escludere che questi non fossero dovuti alla lavorazione dell’osso.
BÖKÖNYI 1974, pp. 151 ss.
EPSTEIN 1971, p. 568.
49
ERBERTO DI CLAIRVAUX, De Miraculis, II, 30, la vicenda è riportata anche da Corrado di Eberbach nel suo Exordium Magnum
Cisterciense, libro IV, cap. XXXIV.
50
In Inghilterra invece furono probabilmente introdotti da Riccardo di Cornovaglia, che li aveva visti sia in Palestina che in Italia (WHITE 1974, p. 206).
51
Sulla presenza nel 1231 in Sicilia e nel 1239 a Vietri si veda
WINKELMANN 1880, I, n. 797, p. 621; n. 841, p. 647; n. 998, pp.
756-757); ancora sulla presenza del bufalo in Italia si veda LATINI
1863, I, cap. 122 e P. DE’ CRESCENZI, Ruralium commodorum libri
duodecim, IX, cap. 66.
52
BEDINI 1990.
53
FATUCCI, CERILLI 2013.
54
A Siponto è stata rinvenuta una mandibola, più o meno completa di bufalo, attualmente in studio da un èquipe interdisciplinare
costituita da chi scrive assieme a C. Laganara, P. Albrizio, E. Ciani
e P. Ajmone.
55
DE GROSSI MAZZORIN 1995.
56
BISTOLFI, DE GROSSI MAZZORIN 2005.
bacino del Danubio, anche se ammette di non aver trovato alcuna testimonianza (scritta o iconografica) di
questo nei quattro secoli successivi. È certo invece della
loro presenza in Anatolia già dal IX secolo; da qui la
diffusione di questo animale verso l’Italia meridionale
bizantina è avvenuta passando per la Tracia, la Grecia
o i Balcani
Anche Bökönyi47 dava credito al racconto di Paolo
Diacono; secondo lui gli Avari avevano preso i bufali
nella Russia meridionale e li avevano portati nel bacino
carpatico nel 560 e di qui introdotti in Italia nel 596.
Epstein48 invece pensava che i bufali fossero stati introdotti in Italia dal nord Africa a seguito della conquista araba della Sicilia nel 827 e da lì diffusi in Campania.
Anche questa però è solo una supposizione perché non
vi sono testimonianze della loro presenza in Tunisia (la
parte più prossima dell’Africa alla Sicilia) in quel periodo.
La prima testimonianza della presenza di bufali in
Italia l’abbiamo nel 1154 quando un monaco dell’abbazia di Clairvaux, di nome Lorenzo, fu inviato in Sicilia e a Roma per ottenere finanziamenti per la
ricostruzione della loro chiesa 49. A Roma questo ricevette in dono da un gruppo di cardinali e altri romani
dieci bufali che riuscì a condurre a Clairvaux, destando
grande meraviglia per quegli animali mai visti che da
lì si diffusero in altre aree della Francia 50. Dal XIII secolo in poi si trovano alcune testimonianze scritte della
presenza di bufali in Italia 51 oltre a dati archeologici;
resti ossei di bufalo sono segnalati infatti, per il XIII
secolo, negli scavi della Crypta Balbi 52, del castello di
S. Severa 53 e di Siponto 54.
Gli equini
47
48
LO SFRUTTAMENTO DEGLI ANIMALI DOMESTICI A ROMA E NEL LAZIO NEL MEDIOEVO
317
NR tre
NR
NR
NR totale
Probabilmente ancora
Sito
Secolo
dom.
cavallo
%
asino
%
equini
%
nel Medioevo questi aniMeta Sudans US 3641
V-VI
1852
129
6,5
1
0,1
130
6,6
mali non rientravano nelTerme di Traiano
VI
524
28
5,1
0,0
28
5,1
l’alimentazione abituale.
Terme di Traiano
VI-VII
842
32
3,7
4
0,5
36
4,1
Le popolazioni occidentaCrypta Balbi
VII
3259
56
1,7
2
0,1
58
1,8
Terme di Traiano
metà VII
2464
110
4,3
9
0,4
119
4,6
li hanno infatti sempre maCrypta Balbi
VIII
3268
72
2,2
2
0,1
74
2,2
nifestato una certa ritrosia
Argileto
VIII-XI
243
1
0,0
0,0
0
0,4
al consumo di carne equiCrypta Balbi
IX
3955
424
9,7
39
1,0
463
10,7
na, privilegiando come apCrypta Balbi
X
2448
256
9,5
21
0,9
277
10,3
porto proteico alla loro
Piazzale Anfiteatro Flavio
XI
296
11
3,6
16
5,1
27
8,7
Crypta Balbi
XI
273
0,0
17
5,9
dieta altri tipi di carne
Anfiteatro
Flavio,
Amb.
36
XI-XIII
901
4
0,4
7
0,8
11
1,2
come quella bovina, ovina
Crypta Balbi
XII
1004
0,0
38
3,6
e suina. La carne equina è
Palatino
XII-XIII
317
0,0
0,0
0
0,0
più magra, più nutriente e
S. Cecilia
XII-XIII
2833
54
1,9
15
0,5
69
2,4
più ricca di ferro di quella
Passaggio di Commodo
XII-XIII
337
53
13,6
15
4,3
68
17,9
degli altri animali domeCrypta Balbi
XIII
620
0,0
6
1,0
Crypta Balbi
XIV
2207
0,0
62
2,7
stici. Le ragioni quindi di
Crypta
Balbi
XV
365
0,0
5
1,4
questa ‘scelta’ alimentare
vanno ricercate in scelte Tab. 3. Numero di resti e relative percentuali dei resti di equini nei diversi contesti urbani di Roma.
‘culturali’ che affondano le
nacciata dall’Islamismo proprio in Europa, vietò immeproprie radici in tempi molto lontani da noi.
diatamente il consumo di carne equina. Poiché molte poI tabù alimentari sulla carne di cavallo compaiono
polazioni dell’Europa settentrionale e orientale
con le prime civiltà agrarie del Medio Oriente, che avecontinuavano a macellare e mangiare cavalli, sempre nel
vano bisogno del cavallo non come mezzo di sostentamento ma come macchina da guerra. Anche nel
732, il papa Gregorio III si affrettò a scrivere le seguenti
mondo romano vi fu una forte avversione a cibarsi di
parole al suo inviato presso i Germani: «[...] oltre al resto
carne equina e questo si può notare indirettamente
tu accenni al fatto che alcuni (Germani) mangiano i caanche dai testi antichi nei quali vengono descritti casi
valli selvaggi e, anzi, che mangiano cavalli addomestidi ippofagia da parte dei soldati affamati. Probabilcati. In nessun caso, santo fratello, tu dovrai consentire
mente ancora in pieno periodo romano i cavalli seuna cosa del genere. Piuttosto commina la dovuta puniguitano a essere considerati troppo preziosi per essere
zione ricorrendo a qualsiasi mezzo, che, con l’aiuto di
usati come cibo.
Cristo, ti consenta di rendere impossibile una cosa del
È interessante notare che a differenza della Bibbia in
genere. Perché questa pratica è immonda e detestabile» 58.
cui è espresso chiaramente il divieto a cibarsi della carne
Quindi Harris conclude con le seguenti parole: «didi cavallo, in quanto animale non ruminante e senza lo
fendere il cavallo era difendere la fede». Questo è il
zoccolo fesso, il Corano non lo vieta, tuttavia i mussulprimo tabù alimentare del Cristianesimo che denota
mani consumavano la carne equina solo in caso di
un’inversione di rotta rispetto a quella che è stata da
estrema necessità. I mussulmani conquistarono l’intera
sempre la politica religiosa della Chiesa che, nell’ottica
Spagna nel 711 e cominciarono a penetrare in Francia
del proselitismo universale, si era ben guardata dai tabù
dove li fermò solo Carlo Martello a Poitiers nel 732. A
alimentari che avrebbero potuto costituire un grosso
proposito di questa vittoria è interessante l’analisi effetostacolo a potenziali conversioni.
tuata da M. Harris57, in cui si sottolinea l’importanza avuta
Solo successivamente i cavalli furono utilizzati anche
dalla cavalleria pesante di Carlo Martello che ebbe faper
i lavori agricoli quando i contadini iniziarono a sercile gioco sull’esercito arabo armato alla leggera e su picvirsi di razze robuste per arare i campi, grazie all’incoli cavalli. Da allora in Europa si passò da un gran
venzione del collare rigido e dei nuovi aratri in ferro
numero di fanti a un contingente più piccolo ma ben arcon le ruote.
mato di vassalli a cavallo e la Chiesa, sentendosi mi-
57
HARRIS 1990.
58
PL, IX, C, c. 578.
318
JACOPO DE GROSSI MAZZORIN
Il pollame
Alle tre principali categorie di animali domestici
segue per importanza il pollame. Questo animale, sebbene sia stato probabilmente introdotto in Italia già nell’età del Ferro, trova una più ampia diffusione a partire
dall’età romana anche se non incise mai in modo particolare sull’alimentazione. Nel periodo romano-imperiale, infatti, le percentuali di resti di pollo nei contesti
urbani di Roma non oltrepassano mai l’8% 59. A Roma
un leggero incremento si è notato nei livelli tardo-antichi delle Terme di Traiano e della Meta Sudans dove
raggiunge il 12% circa (tab. 4).
Tra i materiali della Crypta Balbi invece si registra,
nel VII secolo, un lieve calo percentuale: siamo intorno
al 7%. Tale calo sembra subire un drastico aumento nei
secoli successivi, sotto il 3%, anche se questa percentuale
è fortemente condizionata dal metodo di recupero dei resti.
Infatti alla Crypta Balbi solo i livelli del VII secolo sono
stati setacciati per intero rendendo quindi possibile il recupero delle ossa di piccole dimensioni. Si tratta in genere di animali di piccole dimensioni rispetto agli attuali.
Ovviamente l’allevamento del pollame, oltre alla carne
degli animali, forniva anche uova e piume. Tra i resti di
pollo della Crypta Balbi sono presenti sia capponi che
galline e galli. Il rapporto tra questi era di 1:25:8. Il dato
è ottenuto dal numero dei tarsometatarsi recuperati, ossa
caratterizzate dalla presenza del cosiddetto sperone nei
maschi, assente invece nelle galline e ridotto a un abbozzo rudimentale nei capponi.
Si è inoltre notato che sicuramente sussistono più
razze 60. Nel VII secolo ci sono alcuni elementi femminili di dimensioni notevoli e viceversa nel campione del
XII-XIII secolo esistono individui maschili di dimensioni piccolissime. Purtroppo i dati sono ancora abbastanza scarsi e queste restano solo supposizioni che
necessitano di ulteriori conferme.
Nella Regione si notano percentuali abbastanza elevate a Cencelle, anche se il campione del IX-XIII secolo, in cui si registra una percentuale di quasi il 70%
dei resti, potrebbe essere falsata dalla presenza di un
pollaio in uno degli ambienti esaminati 61 e Tarquinia.
Anche la fauna di Tarquinia potrebbe risentire del consumo alimentare dell’ambiente signorile (Palazzo Vitelleschi) in cui è stata recuperata (tab. 5). A Roma solo
Sito
Meta Sudans US 3641
Terme di Traiano
Terme di Traiano
Crypta Balbi
Terme di Traiano
Crypta Balbi
Argileto
Crypta Balbi
Crypta Balbi
Piazzale Anfiteatro
Flavio
Crypta Balbi
Anfiteatro Flavio,
Amb. 36
Crypta Balbi
Palatino
S. Cecilia
Passaggio di
Commodo
Crypta Balbi
Crypta Balbi
Crypta Balbi
DE GROSSI MAZZORIN 2005.
DE GROSSI MAZZORIN 2005, pp. 355-357.
61
MINNITI 2009, p. 279.
62
DE GROSSI MAZZORIN 2006; DE GROSSI MAZZORIN 2010.
NR 3
dom.
1852
524
842
3259
2464
3268
243
3955
2448
NR
pollame
247
57
23
247
223
94
38
43
5
%
pollame
11,8
9,8
2,7
7,0
8,3
2,8
13,5
1,1
0,2
XI
XI
296
273
16
7
5,1
2,5
XI-XIII
XII
XII-XIII
XII-XIII
901
1004
317
2833
172
34
467
432
16,0
3,3
59,6
13,2
XII-XIII
XIII
XIV
XV
337
620
2207
365
14
27
56
14
4,0
4,2
2,5
3,7
Tab. 4. Numero di resti e relative percentuali di pollame nei diversi
contesti urbani di Roma.
il campione, di XII-XIII secolo, delle pendici del Palatino registra un numero spropositato di resti di pollame
(circa il 60% del campione) ma i resti sono ancora in
fase di studio.
I camelidi
Tra gli animali domestici va considerato anche un
altro mammifero ‘esotico’ che durante il Medioevo
trova ancora ampia distribuzione nella nostra penisola:
il cammello 62. Con questa parola da qui in avanti si indicheranno indistintamente sia il dromedario a una
gobba (Camelus dromedarius) che il cammello battriano
a due gobbe (Camelus bactrianus) perché nella maggior parte dei casi non è stato possibile discriminare
dalle ossa le due specie. La prima segnalazione in Italia di ossa di camelide, una prima falange, si ha nei livelli augustei di un accampamento militare a
Bedriacum nei pressi di Calvatone 63 in Lombardia, e
altre due, sempre del periodo romano imperiale, rispettivamente ad Aquileia 64 ed Ostia 65. Altri resti,
59
60
Secolo
V-VI
VI
VI-VII
VII
metà VII
VIII
VIII-XI
IX
X
63
WILKENS 1997.
RIEDEL 1994a.
65
MCKINNON 2002.
64
LO SFRUTTAMENTO DEGLI ANIMALI DOMESTICI A ROMA E NEL LAZIO NEL MEDIOEVO
319
poteva essere giunto a Roma a seguito dei
contatti commerciali con Bisanzio.
pollame
Sito
Datazione
Altri frammenti di ossa di camelidi sono
Monte Gelato, fase 5
IX
231
1
0,4
stati rinvenuti nel Foro della Pace e nell’area
98
228
Cencelle
IX-XIII
69,9
adiacente alla tomba dei Valerii sulla via LaCastiglione
XI
6803
1005
12,9
tina. Purtroppo questi ritrovamenti apparMonte Gelato, fase 6
XI
487
50
9,3
tengono a livelli archeologici piuttosto
S. Paolo fuori le mura
metà XI-metà XII
106
0,0
rimaneggiati per cui si è resa necessaria una
Monte Gelato, fase 7
XII
153
2
1,3
loro datazione al radiocarbonio 71.
S. Paolo fuori le mura
fine XII-XIII
923
59
6,0
In particolare dalla Tomba dei Valerii
Cencelle
XIII
198
61
23,6
Tarquinia
XII-XIV
1352
734
35,2
sulla via Latina proviene una prima falange
S. Paolo fuori le mura
XIII-XIV
209
3
1,4
che ha dato una datazione calibrata colloCencelle
XIV
2127
340
13,8
cabile tra il II e il III secolo, mentre dal Foro
Tarquinia
XIV
6852
6675
49,3
della Pace proviene invece un metapodio di
S. Severa
seconda metà XIV
4494
563
11,1
individuo adulto la cui estremità distale è
Tarquinia
XV
217
0,0
stata segata forse per l’utilizzazione della
Tab. 5. Numero di resti e relative percentuali dei resti di pollame nei diversi contediafisi come materiale osseo da lavorare. In
sti del Lazio.
questo caso la datazione calibrata si pone
tra il V e il VI secolo. È interessante notare
identificati come dromedari, provengono da S. Giacomo
come in Italia la maggior parte delle testimonianze ardegli Schiavoni 66, in Molise, dove il riempimento di
cheologiche siano tuttavia riferibili ad un arco cronouna cisterna databile alla metà del V secolo d.C. ha relogico che si colloca tra la fine dell’Impero Romano
stituito un frammento di scapola di probabile dromed’Occidente e l’alto Medioevo.
dario e da Verona 67 nei livelli dell’area del ‘Tribunale’,
Ancora nel VI secolo Magno Felice Ennodio di Pavia
databili al VI-VII secolo d.C., da cui proviene una ter(473-521) scrive in una lettera al papa Ormisda in cui
minazione distale di radio. Un calcagno invece proviene
racconta che lui e gli altri monaci hanno consegnato al
dai recenti scavi della Marteggia di Meolo 68 nella Lasuo messo alcuni cammelli di loro proprietà 72. Col VII
guna di Venezia e si data tra il V e il VII secolo, nei
secolo abbiamo le ultime segnalazioni archeologiche di
livelli di VII secolo del teatro di Catania 69.
resti di camelidi tuttavia le testimonianze storiche contiDi recente sono stati identificati altri resti di camenuano di tanto in tanto a segnalare la presenza di questi
lidi provenienti da diversi contesti urbani e suburbani
animali nella nostra penisola. La più celebre riguarda una
di Roma. Una prima falange è stata rinvenuta alla
delle crisi che subì il papato per la contesa del soglio ponCrypta Balbi in un deposito di VII secolo 70. Tale osso
tificio. Maurice Bourdin un monaco cluniacense francese,
poi vescovo di Coimbra ed arcivescovo di Braga in Pormostra alcune caratteristiche comuni, a seconda dei
togallo, fu contrapposto da Enrico V come antipapa, col
casi, sia col cammello battriano che col dromedario.
nome di Gregorio VIII, prima a Gelasio II e successivaL’attestazione di entrambe le specie a Roma in quemente a Callisto II. Dopo alterne vicende questi fu assesto periodo sarebbe giustificabile anche da un punto di
diato a Sutri dall’esercito pontificio capitanato dal
vista storico. La presenza del dromedario potrebbe trocardinale Giovanni da Crema e qui catturato e consegnato
vare una ragione nei frequenti scambi commerciali con
dagli abitanti nelle mani del pontefice (1121). Le cronal’Africa settentrionale e il Levante, come testimonia la
che riportano che Bourdin fu usato come barbaro ornamassiccia importazione di ceramica da queste regioni
mento al trionfo del suo rivale. Messo a cavalcioni a
tra i materiali della Crypta Balbi. Il cammello batrovescio su un cammello, con la coda dell’animale tra le
triano, che abita le regioni più interne dell’Asia invece
NR 3
dom.
ALBARELLA, CEGLIA, ROBERTS 1993.
67
RIEDEL 1994b.
68
BON 2011.
69
WILKENS 2012, p. 69.
70
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI, REA 2005.
66
NR
pollame
%
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI, REA 2005.
ENNOD., epist., 5, 13: «Dudum dum nobis metus inastare et de
clementia pii Regis dubio meritorum aestimatione penderemus incerto, camelos nostros tot dandos domno papae tali reuerentiae uestrae condicione tradidimus, ut si nobis animalia ipsa non essent
necessaria, iustum pro ipsis pretio mitteretur».
71
72
320
JACOPO DE GROSSI MAZZORIN
mani e il corpo ricoperto di pelli caprine, fu messo a seguire il vincitore per le vie di Roma; condannato poi a
perpetuo esilio, venne inviato prima nel convento benedettino di Cava dei Tirreni per espiare le sue colpe e poi
rinchiuso nella Rocca di Fumone, ove l’infelice morì e
venne sepolto nel 1124.
L’evento è riportato da Giovanni Villani: «Sentendo
la sua venuta Bordino, il papa ch’avea fatto Arrigo imperadore, per paura si fuggì di Roma a Sutri; ma per gli
Romani fu in Sutri assediato e preso, e menato a Roma
in diligione in su uno cammello col viso volto addietro
a la groppa, e legatagli in mano la coda del cammello,
e misollo in pregione nella rocca di Fummone in Campagna, e ivi morìo» 73.
Al di là del fatto storico più o meno curioso e del
dileggio inferto a Gregorio VIII, è interessante notare
come al seguito del papa Callisto II vi fosse un cammello utilizzato come bestia da soma per trasportare gli
utensili da cucina. Per quanto riguarda, invece, il dileggio
di Gregorio doveva essere prassi abbastanza comune nel
medioevo, come ben documentato in alcuni lavori di
Dierkens 74: anche la regina Brunechilde era stata posta
a cavalcioni di un cammello prima di essere condotta
al supplizio e il duca Paolo, durante il regno Visigoto
in Spagna, era stato condotto per le vie di Toledo su un
carro trainato dai cammelli. Dierkens inoltre cita il caso
dell’Imperatore Andronico I Comneno che subì la stessa
umiliazione nel 1185 a Bisanzio.
Ma i cammelli non dovevano essere proprio rari
presso il soglio pontificio se, come riporta il monaco
benedettino Goffredo Malaterra (... - XI secolo) nel suo
De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis,
alcuni anni prima, dopo la battaglia di Cerami (1063),
il conte Ruggero I di Sicilia aveva inviato al papa Alessandro II il suo nunzio Meledio per ragguagliarlo della
vittoria e per consegnargli quattro cammelli, tratti dal
bottino di guerra. Il pontefice avrebbe risposto all’omaggio con l’invio di un Vessillo papale, raffigurante
un’icona bizantina del secolo VIII, e con la benedizione
e l’indulgenza per i combattenti cristiani.
L’utilizzazione dei cammelli come animali da soma
non doveva quindi essere un fatto insolito a quel tempo.
Infatti anni dopo, il 12 agosto 1086 Ruggero d’Altavilla,
il Normanno, dopo 25 anni, festeggiava a Messina, da
dove era partito nel 1061, la vittoria riportata sui Saraceni ed entrava trionfante nella città a dorso di cammello.
73
VILLANI 1991.
Successivamente una discreta presenza di cammelli
è segnalata, sin dal 1622, a S. Rossore nei pressi di Pisa.
I primi cammelli furono infatti introdotti quell’anno
nella tenuta da parte di Ferdinando II de’ Medici che li
aveva ricevuti in dono dal bey di Tunisi. Circa quarant’anni dopo, nel 1683, altri ancora giunsero come bottino di guerra a seguito della battaglia di Vienna contro
i Turchi. Successivamente altri furono acquistati, per migliorare la razza, dai Medici prima e poi da Marco di
Craion. Ancora alle soglie del novecento vivevano nella
tenuta di S. Rossore un centinaio di dromedari, molti
furono uccisi durante l’ultima guerra. L’ultimo dromedario di S. Rossore è morto nel 1976.
Conclusioni
Come si è visto per quanto riguarda il periodo medievale i dati archeozoologici sono numerosi solo per
la città di Roma mentre nel resto della regione i dati
sono sicuramente più scarsi e meno omogenei, tuttavia
si può cominciare a delineare un quadro abbastanza attendibile di quelle che furono le diverse attività economiche legate allo sfruttamento degli animali e, di
conseguenza, anche il loro uso alimentare.
Sin dai primi secoli dell’Impero l’aspetto caratterizzante della dieta proteica a Roma è costituito da un notevole consumo di carne suina; le percentuali di resti di
maiale nei diversi contesti urbani costituiscono in genere circa l’80% dei campioni. Nell’alto Medioevo il
consumo di carne di maiale diminuisce, ma rimane sempre prevalente rispetto a quello dei bovini e caprovini
(le percentuali di resti suini in questo periodo scendono
su valori percentuali tra il 65 e il 50%). I maiali erano
macellati prevalentemente tra i due e i tre anni di vita
ovvero quando questi animali raggiungevano la maturità e quindi la massima resa in carne. Questa maturazione abbastanza lenta rispetto ai giorni nostri era
probabilmente dovuta ad un’alimentazione basata prevalentemente sulle ghiande, infatti i maiali venivano tenuti a pascolo brado nelle aree boschive vicino alla città.
Anche i diversi siti altomedievali del Lazio, in genere insediamenti rurali con popolazione limitata, come
complessi monastici o castelli, mostrano percentuali di
suini preponderanti sugli altri animali domestici.
A Roma il consumo di carne ovina e caprina rimane
secondario rispetto a quello di carne suina per tutto l’alto
74
DIERKENS 2003; DIERKENS 2005.
LO SFRUTTAMENTO DEGLI ANIMALI DOMESTICI A ROMA E NEL LAZIO NEL MEDIOEVO
Medioevo. Le percentuali di ovicaprini però tendono a
crescere per tutto il periodo tardo antico e altomedievale fino a raggiungere il culmine nel basso Medioevo
nel campione di XII-XIII secolo di S. Cecilia – dove
gli ovicaprini rappresentano quasi il 60% degli animali
domestici – e nel Lazio a Tuscania e Tarquinia.
Rispetto all’allevamento di età romana in cui i dati
sulla mortalità degli ovicaprini sembrano indicare soprattutto l’abbattimento degli animali tra i due e i tre
anni di vita (ovvero quando la maggior quantità di carne
è resa con i più bassi costi di produzione) dall’alto Medioevo si assiste pian piano ad un maggior interesse per
la produzione di lana che diverrà particolarmente forte
dal X secolo (Crypta Balbi nel X secolo) in avanti (S.
Cecilia nel XII-XIII secolo); circa il 60% delle greggi
sono infatti tenute in vita oltre il terzo anno d’età.
Questo dato, a fianco dell’ormai sopravvenuta predominanza percentuale sui resti suini, sembra anticipare
un assetto economico che i documenti storici registrano
a Roma solo a partire dalla seconda metà del XIV secolo, quando le proprietà terriere della campagna romana
vengono progressivamente trasformate da seminativi in
pascoli e, come si è accennato, nella città si registra un
particolare sviluppo della lavorazione della lana.
Anche gli altri siti del Lazio mostrano per tutto l’alto
Medioevo fino al XII secolo lo stesso trend con percentuali di ovicaprini che oscillano tra il 35% e il 45%;
l’incremento della pastorizia sembra esserci anche qui
nei secoli successivi, tra il XIII e il XV secolo, in cui
si registrano percentuali particolarmente elevate come
nel caso di Tuscania (VT).
Il bue, nei contesti urbani altomedievali romani, è
sicuramente l’animale domestico meno rappresentato,
anche se con notevoli variazioni percentuali attraverso
i secoli, ed i suoi resti raramente oltrepassano il 30%
dei diversi campioni. A Roma, alla Crypta Balbi, i dati
sulla mortalità indicano una macellazione prevalente in
età superiore ai quattro anni, con punte che oltrepassano il 70% dei resti animali nel VII e nel X secolo. E’
probabile, quindi, che questi animali fossero stati macellati solo dopo essere stati utilizzati da vivi, a seconda
del sesso, per la produzione del latte, la riproduzione e
i lavori agricoli. Anche gli altri siti laziali presentano,
durante l’alto Medioevo, percentuali molto modeste,
con valori di solito al di sotto del 10%. Solo il sito del
borgo fortificato di S. Paolo fuori le mura presenta percentuali più alte, tra il 25 e il 30% circa, forse il riflesso
di una campagna più vicina all’Urbe meno forestata e
più dedita ai lavori agricoli. Nel resto della regione un
incremento dello sfruttamento bovino si nota dal XIII
321
secolo in poi, soprattutto nei siti dell’Etruria meridionale (Cencelle, Tarquinia e Tuscania).
I resti di equini (cavalli, asini e loro ibridi) non sono
affatto abbondanti, il loro rapporto percentuale confrontato con quello degli altri tre mammiferi domestici
presenta valori sempre abbastanza bassi (pochi punti percentuali). I diversi elementi scheletrici, inoltre, si presentano di solito integri e senza tracce di macellazione
e/o combustione. Questo indica che, con ogni probabilità, non rientravano nell’alimentazione abituale.
Alle tre principali categorie di animali domestici
segue per importanza il pollame, anche se con percentuali piuttosto limitate. Si tratta in genere di animali di
piccole dimensioni rispetto agli attuali. Si è notato, inoltre, che probabilmente in epoca altomedievale sussistono
più razze. Alla Crypta Balbi, infatti, nel VII secolo ci
sono alcuni elementi femminili di dimensioni notevoli
e viceversa nel campione del XII-XIII secolo esistono
individui maschili di dimensioni piccolissime.
Con ogni probabilità nel corso del medioevo viene
introdotta una specie alloctona: il bufalo. Tuttavia la sua
presenza nell’alto Medioevo è ancora oggetto di discussione. Molti studiosi, infatti, ritengono, in base a
un passo di Paolo Diacono nella Historia Langobardorum, che sul finire del VI secolo il bufalo sia stato introdotto nelle nostre regioni, ma non vi sono né
testimonianze scritte, né iconografiche né archeologiche che testimonino la presenza di questo bovino prima
della metà del XII secolo. Gli unici ritrovamenti archeologici di resti di bufalo sono segnalati, solo per il
XIII secolo, negli scavi della Crypta Balbi, del castello
di S. Severa e di Siponto.
Per concludere un altro mammifero ‘esotico’ trova
la più ampia distribuzione nella nostra Penisola nell’alto
Medioevo: il cammello. Presente sulla penisola sin dai
primi secoli dell’Impero (Bedriacum, Aquileia, Roma
ed Ostia) è ancora documentato nel V secolo a S. Giacomo degli Schiavoni in Molise e tra il VI e il VII secolo a Verona, Marteggia di Meolo (VE), Roma (Crypta
Balbi), Catania. Le testimonianze scritte e iconografiche comunque confermano la presenza di camelidi sino
a tempi recentissimi.
Bibliografia
ALBARELLA, CEGLIA, ROBERTS 1993 = A. ALBARELLA, V. CEGLIA, P. ROBERTS, S. Giacomo degli Schiavoni (Molise):
an early fifth century AD deposit of pottery and animal
bones from central Adriatic Italy, in BSR, LXI, 1993, pp.
157-230.
BARKER 1973 = G. BARKER, The economy of medieval Tu-
322
JACOPO DE GROSSI MAZZORIN
scania: the archaeological evidence, in BSR, XLI, 1973,
pp. 155-177.
BEDINI 1990 = E. BEDINI, I resti faunistici, in L. SAGUÌ, L.
PAROLI (a cura di), L’esedra della Crypta Balbi nel medioevo (X-XV secolo), Firenze 1990, pp. 623-638 (Archeologia urbana a Roma: il progetto della Crypta Balbi,
5/2-2).
BEDINI 2002 = E. BEDINI, I reperti faunistici, in R. REA (a
cura di), Rota Colisei. La valle del Colosseo attraverso i
secoli, Roma 2002, pp. 405-464.
BISTOLFI, DE GROSSI MAZZORIN 2005 = F. BISTOLFI, J. DE
GROSSI MAZZORIN, I resti equini rinvenuti nello scavo condotto sul Celio a Piazza Celimontana, in I. FIORE, G. MALERBA, S. CHILARDI (a cura di), Atti del III Convegno
Nazionale di Archeozoologia (Siracusa, 3-5 novembre
2000), Roma, 2005, pp. 449-458 (Studi di Paletnologia
II. Collana del Bullettino di Paletnologia Italiana).
BON 2011 = M. BON, I dati scientifici, in M. BON, D. BUSATO, P. SFAMENI, Forme del vivere in laguna. Archeologia, paesaggio, economia della Laguna di Venezia,
Venezia 2011, pp. 128-139.
BOETTGER 1958 = C.R. BOETTGER, Die Haustiere Afrikas, Jena
1958.
BÖKÖNYI 1974 = S. BÖKÖNYI, History of domestic mammals
in central and Eastern Europe, Budapest 1974.
CLARK 1987a = G. Clark, Stock Economies in Medieval Italy:
A Critical Review of the Archaeozoological Evidence, in
AMediev, XIV, 1987, pp. 7-26.
CLARK 1987b = G. CLARK, Faunal remains and economic
complexity, in Archaeozoologia. Revue Internationale
d’Archéozoologie, 1, 1, 1987, pp. 183-194.
CLARK 1989 = G. CLARK, Faunal remains, in G. CLARK, L.
COSTANTINI, A. FINETTI, J. GIORGI, D. REESE, A. JONES, S.
SUTHERLAND, D. WHITEHOUSE, The food refuse of an Affluent Urban Household in the late Fourteenth Century:
faunal and botanical remains from the Palazzo Vitelleschi, Tarquinia (Viterbo), in BSR, LVI, 1989, pp. 201-321.
CLARK 1997 = G. CLARK, Monastic economies? Aspects of
production and consumption in early medieval central
Italy, in AMediev, XXIV, 1997, pp. 31-54.
COCKRILL 1984 = W.R. COCKRILL, Water buffalo, in I.L.
MASON, Evolution of domesticated animals, London-New
York 1984, pp. 52-63.
DE GROSSI MAZZORIN 1989 = J. DE GROSSI MAZZORIN, Nota
preliminare sulla fauna, in C. MORSELLI, E. TORTORICI (a
cura di), Curia, Forum Iulium, Forum Transitorium, Roma
1989, pp. 340- 347 (L.S.A., 14).
DE GROSSI MAZZORIN 1995 = J. DE GROSSI MAZZORIN, La
fauna rinvenuta nell’area della Meta Sudans nel quadro
evolutivo degli animali domestici in Italia, in Atti del I
Convegno Nazionale di Archeozoologia (Rovigo, 5-7
marzo 1993), Rovigo 1995, pp. 309-318 (Padusa Quaderni, 1).
DE GROSSI MAZZORIN 2005 = J. DE GROSSI MAZZORIN, Introduzione e diffusione del pollame in Italia ed evoluzione
delle sue forme di allevamento fino al medioevo, in I.
FIORE, G. MALERBA, S. CHILARDI (a cura di), Atti del III
Convegno Nazionale di Archeozoologia (Siracusa, 3-5
novembre 2000), Roma 2005, pp. 351-360 (Studi di Paletnologia II, Collana del Bullettino di Paletnologia Italiana).
DE GROSSI MAZZORIN 2006 = J. DE GROSSI MAZZORIN, Cammelli nell’antichità: le presenze in Italia, in B. SALA, U.
TECCHIATI (a cura di), Studi di Archeozoologia in onore
di Alfredo Riedel, Bolzano 2006, pp. 231-242.
DE GROSSI MAZZORIN 2008 = J. DE GROSSI MAZZORIN, Archeozoologia. Lo studio dei resti animali in archeologia,
Bari 2008.
DE GROSSI MAZZORIN 2010 = J. DE GROSSI MAZZORIN, Presenze di cammelli nell’Antichità in Italia e in Europa: aggiornamenti, in G. VOLPE, A. BUGLIONE, G. DE VENUTO
(a cura di), Vie degli animali, vie degli uomini. Transumanza e altri spostamenti di animali nell’Europa tardoantica e medievale. Atti del Secondo Seminario
Internazionale di Studi (Foggia, 7 ottobre 2006), Bari
2010, pp. 91-106.
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI 2001 = J. DE GROSSI MAZZORIN, C. MINNITI, L’allevamento e l’approvvigionamento
alimentare di una comunità urbana. L’utilizzazione degli
animali a Roma tra il VII e il X secolo, in M.S. ARENA,
P. DELOGU, L. PAROLI, M. RICCI, L. SAGUÌ, L. VENDITTELLI
(a cura di), Roma dall’antichità al medioevo. Archeologia e Storia nel Museo Nazionale Romano. Crypta Balbi,
Roma 2001, pp. 69-78.
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI 2004 = J. DE GROSSI MAZZORIN, C. MINNITI, Lo studio dei resti animali: un contributo alla storia del consumo alimentare a Roma tra il
XII e il XIII secolo, in N. PARMEGIANI, A. PRONTI, S. Cecilia in Trastevere. Nuovi scavi e ricerche, Città del Vaticano 2004, pp. 283-306 (Monumenti di Antichità
Cristiana, II serie, XVI).
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI 2010 = J. DE GROSSI MAZZORIN, C. MINNITI, L’utilizzazione degli animali nella documentazione archeozoologica a Roma e nel Lazio dalla
preistoria recente all’età classica, in L. DRAGO TROCCOLI
(a cura di), Il Lazio dai Colli Albani ai Monti Lepini tra
preistoria ed età moderna, Roma 2010, pp. 39-67.
DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI, REA 2005 = J. DE GROSSI
MAZZORIN, C. MINNITI, R. REA, De ossibus in anphitheatro Flavio effossis: 110 anni dopo i rinvenimenti di Francesco Luzj, in MALERBA, VISENTINI 2005, pp. 337-348.
DELFINO, MINNITI 2005 = A. DELFINO, C. MINNITI, Oggetti in
osso, avorio e pasta vitrea dal Cuneo XXXIII dell’Anfiteatro Flavio. I resti ossei animali dal Cuneo XXXIII dell’Anfiteatro Flavio, in BCom, 106, 2005, pp. 287-293.
DIERKENS 2003 = A. DIERKENS, Chameaux et dromadaires
en Gaule mérovingienne: quelques remarques critiques,
in P. DEFOSSE (ed.), Hommages à Carl Deroux: 5. Christianisme et Moyen Âge. Néo-latin et survivance de la latinité, in Latomus, 279, 2003, pp. 114-137.
DIERKENS 2005 = A. DIERKENS, Chameaux et dromadaires
dans la Gaule du très haut Moyen Âge: note complémentaire, in La Méditerranée et le monde mérovingien:
témoins archéologiques. Actes des 23e journées internationales d’archéologie mérovigienne (Arles, 11-13 octobre 2002), Aix-en-Provence 2005, pp. 241-245 (BAProv,
Supplément, 3).
EPSTEIN 1971 = H. EPSTEIN , The origin of the domestic animals of Africa, I, New York, London, Munich 1971.
FATUCCI, CERILLI 2013 = M. FATUCCI, E. CERILLI, Primi risultati dallo studio dei resti faunistici rinvenuti nello
scavo effettuato al Castello di Santa Severa “Piazza della
Rocca”, in F. ENEI (a cura di), Santa Severa tra leggenda
e realtà storica. Pyrgi e il Castello di Santa Severa alla
luce delle recenti scoperte (scavi 2003-2009), Pyrgi-Santa
Severa 2013, pp. 224-233.
LO SFRUTTAMENTO DEGLI ANIMALI DOMESTICI A ROMA E NEL LAZIO NEL MEDIOEVO
FIORE, MALERBA, CHILARDI 2005 = I. FIORE, G. MALERBA, S.
CHILARDI (a cura di), Atti del III Convegno Nazionale di
Archeozoologia (Siracusa, 3-5 novembre 2000), Roma
2005, pp. 474-496 (Studi di Paletnologia II, Collana del
Bullettino di Paletnologia Italiana).
GENNARO 1967 = C. GENNARO, Mercanti e bovattieri nella
Roma della seconda metà del Trecento (Da una ricerca
sui registri notarili), in Bullettino dell’Istituto Storico per
il Medio Evo e Archivio Muratoriano, 78, 1967, pp. 155203.
HAHN 1896 = E. HAHN, Die Haustiere und ihre Beziehungen
zur Wirtschafts des Menschen, Leipzig 1896.
HARRIS 1990 = M. HARRIS, Buono da mangiare. Enigmi del
gusto e consuetudini alimentari, Torino 1990.
HEHN, STALLYBRASS 1885 = V. HEHN, J.S. STALLYBRASS, The
Wanderings of Plants and Animals, London 1885.
KELLER 1909 = O. KELLER, Die Antike Tierwelt, Leipzig
1909.
KING 1997 = A. KING, Mammal, reptile and amphibian bones,
in T.W. POTTER, A.C. KING, Excavations at the Mola di
Monte Gelato. A Roman and Medieval Settlement in South
Etruria, London 1997, pp. 383-403 (British School at
Rome Archaeological Monograph, 1).
LATINI 1863 = B. LATINI, Li livres dou Tresor, Parigi 1863.
MACGREGOR 1989 = A. MAC GREGOR, Bone, antler, ivory and
horn. The technology of skeletal materials since the
Roman period, London-Sidney 1985.
MALERBA, VISENTINI 2005 = G. MALERBA, P. VISENTINI (a cura
di), Atti del IV Convegno Nazionale di Archeozoologia
(Pordenone, 13-15 novembre 2003), Pasian di Prato (UD)
2005, pp. 337-348 (Quaderni del Museo Archeologico del
Friuli Occidentale, 6).
MCKINNON 2002 = M. MCKINNON, Faunal Summary (season 1998-2000), in M. HEINZELMAN, S. MOLS, M. MCKINNON (edd.), Ostia, Regionen III und IV. Untersuchungen
in den unausgegrabenen Bereichen des Stadtgebietes.
Vorbericht zur vierten Grabungskampagne, in RM, 109,
2002, pp. 239-241.
PL = J.P. MIGNE (a cura di), Patrologiae cursus completus…Series Latina, I-CCXXI, Parisiis 1841-1864.
MINNITI 2005a = C. MINNITI, L’approvvigionamento alimentare a Roma nel Medioevo: analisi dei resti faunistici provenienti dalle aree di scavo della Crypta Balbi e di Santa
Cecilia, in FIORE, MALERBA, CHILARDI 2005, pp. 474-496.
MINNITI 2005b = C. MINNITI, Analisi dei resti faunistici provenienti da i pozzi nn. 6, 7 e 11 di Vallerano (Roma-I-II
323
sec. d.C.), in FIORE, MALERBA, CHILARDI 2005, pp. 419432.
MINNITI 2008 = C. MINNITI, I resti faunistici, in A. DELFINO,
C. MINNITI, Un “butto” della prima metà dell’XI secolo
presso piazza del Colosseo, in BCom, CIX, 2008, pp. 161173.
MINNITI 2009 = C. MINNITI, Economia e alimentazione nel
Lazio medievale: nuovi dati dalle evidenze archeozoologiche, in AMediev, XXXVI, 2009, pp. 273-283.
MINNITI 2012 = C. MINNITI, I resti archeozoologici, in F.R.
STASOLLA (a cura di), Leopoli-Cencelle. Il quartiere sudorientale, Spoleto 2012, pp. 322-350.
MONTANARI 1998 = M. MONTANARI, Alimentazione e cultura
nel Medioevo, Roma-Bari 1998 (XII edizione-2012).
PAYNE 1973 = S. PAYNE, Kill-off patterns in sheep and goats:
the mandibles from Asvan Kale, in Anatolian Studies, 33,
1973, pp. 281-303.
RIEDEL 1994a = A. RIEDEL, Roman bones from the area near
the forum of Aquileia, in M. VERZAR-BASS (a cura di),
Scavi ad Aquileia. L’area ad est del foro. Rapporto degli
scavi 1989-1991, Roma 1994, pp. 583-591.
RIEDEL 1994b = A. RIEDEL, The animal remains of medieval
Verona: an archaeozoological and palaeoeconomical
study, in Memorie del Museo Civico di Storia Naturale
di Verona, Sezione Scienze dell’Uomo, 3, 1994, pp. 1-141.
SALVADORI 2015 = F. SALVADORI, Uomini e animali nel Medioevo, Berlin 2015.
SPINETTI, MARRAZZO 2005 = A. SPINETTI, D. MARRAZZO, I
resti faunistici provenienti dalle concerie medievali del
Priamàr, in MALERBA, VISENTINI 2005, pp. 373-380.
VILLANI 1991 = G. VILLANI, Nuova Cronica, I, Libro V,
XXVII, éd. G. Porta, Parma 1991 (Fondazione Pietro
Bembo).
WHITE 1974 = L. WHITE, Indic elements in the iconography
of Petrarch’s Trionfo della Morte, in Speculum a Journal
of Medieval Studies, 49, 2, 1974, pp. 201-221.
WILKENS 1997 = B. WILKENS, La faune du site romain de
Calvatone, Cremona (Italie), in Anthropozoologica, 2526, 1997, pp. 611-616.
WILKENS 2012 = WILKENS, Archeozoologia. Il Mediterraneo,
la storia, la Sardegna, Sassari 2012, p. 69
WINKELMANN 1880 = E. WINKELMANN, Acta Imperii inedita,
Innsbruck 1880.
ZEUNER 1963 = F. ZEUNER, A History of Domesticated Animals, London 1963.
VIVERE E LAVORARE AL CENTRO DI ROMA IN ETÀ MEDIEVALE:
IL CONTRIBUTO DELL’ANTROPOLOGIA FISICA
Lisa Pescucci, Flavia Porreca, Paola Catalano
L’indagine di campo
Dal sepolcreto, scavato tra gennaio e marzo 2010 a
piazza della Madonna di Loreto (archeologi responsabili Roberto Egidi e Mirella Serlorenzi) durante le indagini archeologiche preventive ai lavori di realizzazione
della linea C della metropolitana, provengono 29 individui. Le sepolture sono datate, su base stratigrafica e
grazie alle analisi al C14 condotte su alcuni resti scheletrici, alla prima metà dell’VIII secolo, immediatamente
dopo la dismissione dell’atelier metallurgico avvenuta
nelle fasi iniziali dello stesso secolo.
Le sepolture sono tutte ad inumazione: si tratta, in
particolare, di sette tombe singole, di una bisoma (fig.
1) e di tre collettive. Dei 29 individui recuperati, 22 sono
stati rinvenuti in totale o in parziale connessione anatomica. Lo stato di conservazione dei reperti osteologici
è generalmente buono. Gli scheletri erano orientati con
i crani ad ovest o a nord, con l’unica eccezione di un individuo, deposto con andamento est/ovest.
Nel corso delle campagne di scavo condotte, in diversi momenti, tra il 2006 e il 2010 al Foro della Pace
Fig. 1. - Tomba 3, bisoma. Piazza della Madonna di Loreto.
Si ringraziano affettuosamente il Soprintendente Mariarosaria
Barbera e gli archeologi Roberto Egidi, Mirella Serlorenzi, Ros-
(archeologo responsabile Rossella Rea) è stato recuperato il campione numericamente più rappresentativo, composto da 49 individui. Gli inumati esaminati successivamente in laboratorio provengono dalle tombe, datate
in base all’analisi stratigrafica, tra l’XI secolo ed il XIII
secolo d.C.
Le sepolture sono
tutte ad inumazione
e a fossa terragna
(fig. 2). Si tratta di:
14 singole, una bisoma e quattro collettive. Lo stato di
conservazione delle
ossa è generalmente
discreto. L’orientamento, in base alla
posizione del cranio,
è risultato essere
ovest/est. Tutti gli
inumati per i quali è
stato possibile stabi-
Fig. 2. - Tomba 9. Foro della Pace.
sella Rea, Francesca Montella e Giovanni Ricci per aver reso possibile la realizzazione del lavoro e per la preziosa collaborazione.
326
LISA PESCUCCI, FLAVIA PORRECA, PAOLA CATALANO
del numero minimo degli individui deposti in ogni sepoltura,
valutato in base: alla presenza di
elementi scheletrici omolaterali,
alla morfologia ed alle dimensioni dei reperti ossei e all’attribuzione a diverse unità scheletriche, in base alla determinazione dell’età alla morte. Sono
stati così identificati: 19 individui in tre tombe collettive a piazza della Madonna di Loreto e 35,
nelle quattro collettive al Foro
della Pace.
Fig. 3. - Tomba 5, collettiva. Piazza della Madonna di Loreto.
lire la modalità di deposizione sono supini, ad eccezione di uno, adagiato sul fianco destro.
Diversamente da quanto riscontrato a Roma nei
contesti di età imperiale 1, nei siti in questione si nota
una cospicua presenza di tombe collettive (fig. 3).
Con questo termine si indicano tombe al cui interno
si trovano i resti di un numero più o meno grande di
individui, deposti in modo progressivo e scaglionato
nel tempo 2. Le prime deposizioni sono risultate quasi
sempre ridotte: le ossa sono in genere raggruppate nello
spazio dove è stata effettuata la deposizione iniziale,
per far posto ad un nuovo defunto. In altre parole, la
riduzione del corpo è stata operata lì dove il cadavere
si è decomposto; il più delle volte, le ultime deposizioni sono invece in giacitura primaria. La realizzazione di ciascun insieme funerario deve aver coperto
un tempo relativamente lungo, in quanto i rimaneggiamenti legati al collocamento di ciascun nuovo cadavere, a diretto contatto con la precedente
deposizione, devono essere avvenuti quando le articolazioni erano già deteriorate. La manipolazione e la
riduzione delle ossa alla riapertura della tomba, implicava inoltre l’esistenza di uno spazio vuoto; si sono
così potute provocare ulteriori perturbazioni tra le
ossa già presenti nella tomba, tali da spiegare lo stato
di sconvolgimento in cui sono stati rinvenuti i resti
scheletrici.
La prima analisi effettuata sul campo e confermata in
un secondo tempo in laboratorio ha riguardato la diagnosi
1
BUCCELLATO, CATALANO,
TALANO, CALDARINI, MINOZZI
ARRIGHETTI et alii 2003, p. 330; CAet alii 2003, p. 70.
DUDAY 2005, p. 163.
ACSÀDI, NEMESKÈRI 1970; FEREMBACH, SCHWIDETZKI, STOUKAL
1977-79, pp. 5-51.
4
STLOUKAL, HANAKOVA 1978, pp. 53-69.
5
UBELAKER1989.
2
3
La ricostruzione della vita quotidiana
Per quanto concerne l’aspetto paleodemografico, la
diagnosi del sesso è stata determinata considerando i
marcatori più dimorfici pertinenti al blocco cranio-facciale ed alla cintura pelvica, in associazione, ove possibile, all’osservazione della robustezza delle ossa
lunghe e del pilastro femorale 3.
La stima dell’età alla morte, per gli individui subadulti (infanti I, II e giovanili), è stata stimata in base
alla dimensioni delle metafisi delle ossa lunghe 4, al
grado di sviluppo ed eruzione dentaria 5 ed allo stadio
di saldatura delle epifisi con le diafisi delle ossa lunghe 6. Per questi individui non è stato possibile effettuare la diagnosi del sesso, poiché solo dopo il completo
sviluppo scheletrico si manifestano i caratteri sessuali
secondari che permettono la distinzione tra i due sessi.
Negli individui adulti, l’età alla morte è stata stimata in base al grado di usura delle superfici occlusali
dei denti 7, al grado di obliterazione delle suture ectocraniche 8 ed ai cambiamenti morfologici, correlati con
l’età, di alcuni distretti scheletrici, come: la sinfisi pubica 9, i corpi vertebrali 10 e le estremità sternali delle
coste 11.
Nel sito di piazza della Madonna di Loreto si è rilevato che nove individui sono deceduti ad un’età compresa fra 0 e 12 anni (in particolare nell’intervallo fra
FEREMBACH, SCHWIDETZKI, STOUKAL 1977-79.
LOVEJOY 1985, pp. 47-56.
8
MEINDL, LOVEJOY 1985, pp. 57-66.
9
TODD 1921, pp. 1-70.
10
BURNS 1999.
11
ISCAN, LOTH 1986, pp. 853-864.
6
7
VIVERE E LAVORARE AL CENTRO DI ROMA IN ETÀ MEDIEVALE: IL CONTRIBUTO DELL’ANTROPOLOGIA FISICA
327
0 e 6 anni), tre ad un’età inferiore ai 20 anni,
15 tra i 20 ed i 49 anni e due dopo i 50 anni.
È stato possibile effettuare la diagnosi
del sesso su 15 individui; di cui 11 maschi
e quattro femmine.
Nel campione del Foro della Pace otto individui sono deceduti ad un’età alla morte
compresa fra 0 e 12 anni, sette tra i 13 ed i
19 anni, 19 sono adulti tra i 20 ed i 49 anni,
quattro hanno un età superiore ai 50 anni;
infine, 11 individui sono stati inseriti nella
classe genericamente adulta (>20 anni). È
stato possibile effettuare la diagnosi del sesso
su 32 individui: 16 maschi e 16 femmine.
Confrontando i profili demografici dei Fig. 4. - Distribuzione mortalità individui adulti.
due sepolcreti, si è rilevato che la fascia di
età alla morte con il numero maggiore di
decessi è quella adulta tra i 20 e i 49 anni,
in particolare quella compresa tra i 40-49
anni (fig. 4), dato che si discosta da altri contesti medievali studiati 12.
Per quanto riguarda la diagnosi del sesso
(fig. 5), la discrepanza evidenziata a piazza
della Madonna di Loreto tra i due sessi, potrebbe essere imputabile alla ridotta numerosità del campione. Per il Foro della Pace,
è stato possibile calcolare la sex ratio (rapporto tra gli individui di sesso maschile e
quelli di sesso femminile), che risulta pari
ad 1, valore che corrisponde a quello delle
popolazioni attuali, raggiungendo oggi tale
indicatore, alla nascita, valori prossimi a Fig. 5. - Determinazione del sesso.
1,05 13.
Infatti, in antropologia con il termine stress ci si riferiIn antropologia, il calcolo della statura può rappresentare un valido strumento per ottenere informazioni
sce ad uno squilibrio fisiologico, intervenuto come reariguardanti la costituzione fisica individuale e lo stato
zione ad un’ampia varietà di fattori, che possono
di salute generale, in termini di nutrizione e stress fiincludere: malnutrizione, infezioni aspecifiche e malatsiologici. Per la stima della statura, sono state utilizzate
tie di varia eziologia. Sono stati analizzati tre dei più
le equazioni di regressione di Trotter e Gleser 14. La pocomuni indicatori di stress: l’iperostosi porotica nel crapolazione maschile e femminile dei nostri campioni è
nio, l’ipoplasia dello smalto nei denti e la periostite nelle
caratterizzata da valori medi simili: circa cm 166 per i
tibie.
maschi e cm 157,5 per le femmine. Lo scarto intersesL’iperostosi porotica è identificabile con porosità
suale è di circa cm 8-10 (il valore, nelle popolazioni atosservabili sul tavolato esterno del cranio (cribra cratuali, è di cm 10-12) 15.
nii), o sul tetto delle orbite (cribra orbitalia); in genere
Gli indicatori di stress sono importanti per la ricoè causata da stati anemici con diversa eziologia (anestruzione delle condizioni di vita di una popolazione.
mie da carenza di ferro, anemie conseguenti a malattie
GIOVANNINI 2001.
13
HILL, HURTADO 1995.
12
14
TROTTER, GLESER 1952, pp. 463-514; TROTTER, GLESER 1977,
pp. 355-356.
15
MARTIN, SALLER 1957-66.
328
LISA PESCUCCI, FLAVIA PORRECA, PAOLA CATALANO
Fig. 6. - Linee ipoplasiche. Foro della Pace. Tomba 27..
infettive o parassitarie), che provocano un iperattività
del midollo osseo che si manifesta macroscopicamente
sotto forma di porosità localizzate. La presenza/assenza
di cribra è stata valutata in tutti gli individui nei quali
almeno un terzo della teca cranica e/o un’orbita erano
conservati, mentre la severità è stata rilevata seguendo
i 7 gradi proposti da Hengen 16.
Osservando le due modalità di espressione dell’iperostosi porotica, si nota che a piazza della Madonna di
Loreto, in entrambi i casi, le frequenze sono maggiori
del 50%, mentre al Foro della Pace la percentuale è analoga per i cribra cranii, mentre quella dei cribra orbitalia è del 40%.
L’ipoplasia dello smalto consiste nell’arresto temporaneo della deposizione dello smalto del dente. L’alterazione si produce in seguito a episodi di stress, come
ad esempio periodi di malnutrizione o di malattia grave,
verificatisi durante l’infanzia, quando i denti si stanno
sviluppando, cioè durante il periodo dell’amelogenesi,
che non va oltre il settimo anno di vita. L’ipoplasia si
presenta sotto forma di linee orizzontali o di pozzetti
sulla superficie dei denti, colpendo maggiormente gli
incisivi ed i canini (fig. 6) 17.
L’ipoplasia dello smalto è generalmente molto diffusa nelle antiche popolazioni: anche nei sepolcreti esaminati, le frequenze individuali sono alte, raggiungendo
il 95% al Foro della Pace. Dato che lo smalto non si rimodella più nel corso della vita, queste alterazioni possono essere osservate a qualsiasi età. Utilizzando delle
equazioni di regressione che tengono conto dell’età e delle fasi di sviluppo dei singoli denti, dalla posizione delle linee di ipoplasia è
possibile determinare l’età d’insorgenza 18: nei nostri campioni si è notato che la maggior incidenza è tra
i 2 ed i 4 anni, da porre probabilmente in relazione al periodo dello
svezzamento, caratterizzato da un apporto alimentare inadeguato, ed alle
malattie infettive tipiche della prima
infanzia.
Negli indicatori di stress rientra
anche la periostite, un processo infiammatorio acuto o cronico del
periostio, la membrana connettivale che riveste esternamente l’osso 19..Si può distinguere una forma
primaria di origine infettiva o traumatica, da una secondaria, in risposta a specifiche malattie. La periostite si osserva principalmente sugli arti inferiori, in
particolar modo sulle tibie e sulle fibule, come una superficie irregolare, di spessore variabile, caratterizzata da
piccoli fori e striature longitudinali, poco profonde nelle forme lievi; si possono poi formare strati di nuovo osso
sovrapposti longitudinalmente 20. La periostite è molto diffusa a piazza della Madonna di Loreto, con il 90% degli individui colpiti, mentre per il Foro della Pace si scende al 65%.
Dal confronto dei due sepolcreti si nota che gli stress
aspecifici presentano percentuali molto alte, in particolare a piazza della Madonna di Loreto per l’iperostosi
porotica e la periostite, mentre è il Foro della Pace a
presentare un valore più alto per l’ipoplasia dello smalto
(fig. 7).
Un elemento utile alla ricostruzione dello stile di vita
dell’antica popolazione di Roma è rappresentato dall’analisi delle patologie orali. Sono state rilevate le più
importanti affezioni dento-alveolari: carie, perdite intra
vitam, ascessi, e tartaro.
La carie dentale è una malattia degenerativa dei tessuti del dente, causata da acidi prodotti da microrgani-
HENGEN 1971, pp. 57-76.
GOODMAN, ARMELAGOS 1985, pp. 503-507.
18
MASSLER, SCHOUR, PONCHER 1941; GOODMAN, ROSE 1990, pp.
59-110.
19
FORNACIARI, GIUFFRA 2009, p. 51.
20
ORTNER 2003, pp. 206-215.
16
17
VIVERE E LAVORARE AL CENTRO DI ROMA IN ETÀ MEDIEVALE: IL CONTRIBUTO DELL’ANTROPOLOGIA FISICA
329
- grado 4: la lesione ha distrutto la
corona (carie destruente).
Per meglio valutare l’incidenza
della carie, sono state calcolate le frequenze dei denti affetti:il valore più
alto è quello di piazza della Madonna
di Loreto, con il 17,4%, mentre è più
basso quello del Foro della Pace, con
l’8,6%. Nel confronto con serie
scheletriche romane di età imperiale (Collatina 11,2%, Osteria del Curato 8,8%, Casal Bertone 6,3%, Padre Semeria 6,2%) la frequenza
Fig. 7. - Confronto tra le frequenze in percentuale dell’iperostosi porotica, ipoplasia e periostite.
delle lesioni cariogene è risultata più
alta a piazza Madonna di Loreto
mentre la frequenza rilevata al Foro della Pace è nella media.
Per quanto riguarda la perdita dei denti intra vitam,
le frequenze rispecchiano la precedente situazione:
piazza della Madonna di Loreto mostra la percentuale
più alta (23%) mentre il Foro della Pace quella più bassa
(14%); le perdite dentarie sono molto più basse nelle
necropoli romane si attestano intorno al 5/6%, questo a
dimostrare una più bassa aspettativa di vita per le popolazioni più antiche.
L’ascesso, caratterizzato dalla formazione di pus, è
causato da un accumulo di microorganismi nella cavità
pulpare. Le più frequenti cause dell’infiammazione
sono: la carie, la forte usura dentaria e la malattia parodontale. Il pus all’interno può essere drenato attraverso
il canale della radice, ma spesso la pressione esercitata
sull’osso può portare alla formazione di una fistola, ben
visibile sull’osso, attraverso la quale avviene il dreFig. 8. - Grave ascesso. Foro della Pace. Tomba 27.
naggio all’esterno (fig. 8) 23. La frequenza degli ascessi
ha valori simili, intorno al 7%, a piazza della Madonna
di Loreto e al Foro della Pace.
smi della flora orale presenti nella placca batterica. È
Confrontando le diverse affezioni dento-alveolari, si
riconoscibile inizialmente per la comparsa di una macnota che tutti i valori sono sotto al 25%, ad eccezione
chia scura, dalla quale si sviluppa una cavità che dallo
del tartaro, i cui valori superano il 50% (fig. 9). Quesmalto o dal cemento può raggiungere la dentina, la
st’ultimo rappresenta una mineralizzazione della placca
polpa dentaria e portare alla completa distruzione del
batterica che si accumula sulla superficie del dente, fadente 21.
vorita da una scarsa igiene orale e dal consumo di carLe lesioni cariogene sono state rilevate utilizzando
boidrati. Esso è stato rilevato secondo i gradi indicati
una scala di quattro gradi in base alla gravità 22:
da Brothwell (1981). Paragonando le frequenze con
quelle di serie scheletriche romane di età imperiale si
- grado 1: carie superficiale, la lesione intacca solo lo smalto, raggiungendo solo parzialmente la dentina;
- grado 2: la lesione intacca ampiamente la dentina;
21
CASELITZ 1998, pp. 203-225.
- grado 3: carie perforante, la lesione raggiunge il cana22
CANCI, MINOZZI 2005, p. 222.
23
le del dente;
HILLSON 1998.
330
LISA PESCUCCI, FLAVIA PORRECA, PAOLA CATALANO
porosità, erosioni. Il rilevamento dei marcatori muscolo-scheletrici di stress è stata
effettuata secondo le indicazioni di Hawkey 25 e di Mariotti 26, considerando tre gradi
di sviluppo per ogni entesi.
Il primo grado (1), caratterizzato da
uno sviluppo debole e medio, è distinto in
tre sottocategorie: lieve (1a), basso (1b) e
medio sviluppo (1c). Il secondo (2), corrisponde ad una manifestazione marcata, il
terzo (3) ad un fortissimo sviluppo del tratto; questi gradi rientrano nell’ambito ‘fisiologico’: modificazione assente o normale.
Le entesopatie, quando presenti, vengono
distinte
in forme proliferative ‘osteofitiche’
Fig. 9. - Confronto tra le frequenze in percentuale delle affezioni dento-alveolari.
(OF) e in forme erosive ‘osteolitiche’ (OL).
Il metodo proposto per la loro classificazione comprende tre gradi di espressione che definiscono i livelli patologici. Il primo corrisponde a leggere porosità ed esostosi inferiori
ad mm l; il secondo a numerose aree di erosione e esostosi comprese tra mm 1 e 4; il terzo ad esostosi marcate maggiori di mm 4.
Il rilevamento di queste variazioni morfologiche ha consentito di supporre quali
fossero i distretti corporei maggiormente
colpiti dallo stress funzionale: ad esempio,
se vi fosse una prevalenza dell’uso degli arti
superiori rispetto agli inferiori e/o di certi
gruppi muscolari collegati a movimenti specifici. Nei due campioni, le lesioni magFig. 10. - Entesopatia ligamento costo-clavicolare, clavicola destra. Piazza della Magiormente rilevate sono quelle relative ad
donna di Loreto. Tomba 5 individuo 2.
un uso intenso delle spalle e delle braccia,
rappresentate da un’alta incidenza dell’ennota una situazione analoga (valori superiori al 50%),
tesopatia
del
ligamento costo-clavicolare (fig. 10) e del
probabilmente in relazione alla scarsa igiene orale, codeltoide sulle clavicole e all’inserzione dei muscoli
mune alle popolazioni romane e medievali.
grande pettorale (fig. 11) e brachioradiale degli omeri.
Le alterazioni ergonomiche osservate sugli arti inferiori,
come: gli entesofiti sui femori, in corrispondenza
Ipotesi sulle attività lavorative
del grande gluteo (fig. 12); sulle tibie al livello del
soleo e sui calcagni (tendine d’Achille), suggeriscono
Per formulare ipotesi attendibili sul tipo di attività
un intenso uso delle gambe e una forte pressione eserlavorative svolte dalle comunità di appartenenza, sono
citata sui piedi.
state analizzate le entesopatie, indicatori di stress muDal grafico (fig. 13), vediamo come gli individui di
scolo-scheletrici che si rilevano sulle ossa, in corrispondenza delle inserzioni di tendini e legamenti, o
entesi 24. Quando un muscolo è stimolato in maniera eccessiva, o sottoposto a stress prolungati (ad esempio
nello svolgimento di ripetitive e pesanti attività lavorative), le zone delle inserzioni muscolo-tendinee presentano delle alterazioni, quali: rugosità, eburneazioni,
24
MARIOTTI, FACCHINI, BELCASTRO 2004, pp. 145-149; MARIOTTI,
FACCHINI, BELCASTRO 2007, pp. 291-313.
25
HAWKEY, MERBS 1995, pp. 324-338.
26
MARIOTTI, FACCHINI, BELCASTRO 2004, pp. 145-149; MARIOTTI,
FACCHINI, BELCASTRO 2007, pp. 291-313.
VIVERE E LAVORARE AL CENTRO DI ROMA IN ETÀ MEDIEVALE: IL CONTRIBUTO DELL’ANTROPOLOGIA FISICA
331
piazza della Madonna di Loreto presentino, in generale,
frequenze più alte rispetto al
Foro della Pace. Nel cinto
scapolare, la frequenza di
entesopatie al livello dell’inserzione del ligamento costoclavicolare supera, in entrambi i campioni, il 50%,
mentre la frequenza di entesopatie a carico del deltoide
è molto più alta a piazza Madonna di Loreto, così come
negli arti superiori, dove il
gran pettorale e il brachioradiale dell’omero superano il
55%.
Per gli arti inferiori, in generale, piazza della Madonna
di Loreto presentai livelli
percentuali maggiori: sopra il
50% a livello dell’inserzione
del grande gluteo, del soleo e
del tendine d’Achille.
Anche le lesioni traumatiche possono essere importanti indicatori dei rischi conFig. 11. - Entesopatia gran pettorale, omero
Fig. 12. - Entesopatia grande gluteo, femore destro. Piazza
nessi all’attività lavorativa, destro.
Foro della Pace. Tomba 16.
della Madonna di Loreto. Tomba 1.
ma anche del livello di violenza. I traumi sono rappresentati soprattutto dalle fratture.
Nonostante la scarsa numerosità campionaria, a piazza della Madonna di Loreto
sono stati individuati molti
traumi: su 4 individui maschi
sono state rilevate fratture
costali, due di essi presentano anche un ispessimento
osseo in prossimità del corpo
dello sterno. Inoltre, sono
state rilevate due fratture vertebrali e due delle clavicole
(fig. 14).
Al Foro della Pace i
traumi interessano soprat- Fig. 13. - Frequenze delle alterazioni ergonomiche rilevate nei vari elementi scheletrici.
tutto il cranio: di particolare
L’artrosi è una patologia degenerativa articolare che
interesse è la lesione a stampo rilevata in un cranio macompare generalmente a partire dalla terza decade d’età.
schile,con i tavolati che si sono introflessi senza romLa predisposizione genetica gioca un ruolo fondamenpersi (fig. 15).
332
LISA PESCUCCI, FLAVIA PORRECA, PAOLA CATALANO
Madonna di Loreto a presentare la frequenza più alta
(27,5%), mentre il Foro della Pace si attesta intorno al
18%.
Conclusioni
Fig. 14. - Frattura clavicola sinistra. Piazza della Madonna di Loreto. Tomba 4 individuo 5.
Fig. 15. - Trauma cranico. Foro della Pace. Tomba 26 individuo 1.
tale nella sua comparsa, ma nelle popolazioni antiche è
indubbiamente molto importante anche il sovraccarico
funzionale, in relazione a determinate attività fisiche e
lavorative.
Al Foro della Pace, l’artrosi progredisce e si aggrava
con l’avanzare dell’età, a partire dai 40 anni; mentre a
piazza della Madonna di Loreto, l’alta percentuale di
artrosi, soprattutto a livello delle articolazioni che coinvolgono lo sterno e la clavicola, colpisce anche individui più giovani.
Associabili ad alterazioni artrosiche del disco intervertebrale, o riconducibili alla flessione del tronco, sia
in avanti che lateralmente, in particolare concarichi pesanti, sono le ernie di Schmörl (delimitate depressioni
del corpo, causate dalla degenerazione del disco intervertebrale). Tali lesioni sono localizzate prevalentemente sulla porzione centrale del piatto delle vertebre
lombari e delle ultime toraciche 27. Dall’osservazione
delle singole vertebre, anche in questo caso, è piazza
In conclusione, i dati analizzati indicano che i campioni (datati tra l’VIII ed il XIII secolo d.C.), sono piuttosto omogenei: tutti gli individui sembrano infatti
appartenere ad un ceto sociale medio-basso, caratterizzato da condizioni di vita abbastanza modeste e dalla
stessa disponibilità di risorse e di approvvigionamento.
Le alte frequenze di stress sono probabilmente imputabili ad un’alimentazione inadatta o a malattie aspecifiche. L’alta frequenza di patologie orali indica un discreto
tasso di carie, riconducibile in parte alla scarsa igiene
orale, dato confermato dall’alta frequenza di tartaro. In
particolare, a piazza della Madonna di Loreto le frequenze più alte sembrano indicare condizioni di vita peggiori.
Inoltre, si nota che piazza della Madonna di Loreto
descrive una popolazione fortemente impegnata in attività lavorative pesanti, probabilmente non di tipo agricolo, ma piuttosto artigianali. Negli arti superiori, le
entesopatie indicano un movimento ripetitivo di estensione e flessione del braccio, compatibile con l’uso di
strumenti da lavoro; mentre negli arti inferiori, fanno
ipotizzare deambulazioni lunghe e frequenti. Il campione
appare caratterizzato anche da una discreta frequenza
di lesioni traumatiche, con una maggiore presenza di
fratture a carico della gabbia toracica nei maschi: elementi che farebbero ipotizzare per quest’ultimi un’attività lavorativa molto rischiosa. L’alta percentuale di
artrosi a livello dello sterno e della clavicola, presente
anche in individui giovani, ha suggerito un probabile
scompenso articolare da sovraccarico funzionale, confermato dalle impronte muscolari marcate su questi segmenti scheletrici.
Infine, il quadro paleobiologico delineato per il Foro
della Pace sembra rispecchiare una popolazione impegnata in attività lavorative non molto pesanti, come rivelato dalle inserzioni muscolari poco marcate. Il
fenomeno, come prevedibile, si incrementa in funzione
dell’età: gli individui maschili con un’età superiore ai
40 anni mostrano infatti numerose entesopatie e fenomeni artrosici.
27
FORNACIARI, GIUFFRA 2009, pp. 192-193.
VIVERE E LAVORARE AL CENTRO DI ROMA IN ETÀ MEDIEVALE: IL CONTRIBUTO DELL’ANTROPOLOGIA FISICA
Si può inoltre ipotizzare una differenziazione tra i
due sessi: infatti, gli individui maschili mostrano numerose entesopatie, a livello soprattutto degli arti superiori, a differenza di quanto riscontrato nelle donne.
Bibliografia
ACSÁDI, NEMESKÉRI 1970 = G. ACSÁDI, J. NEMESKÉRI, History
of Human Life, Span and Mortality, Budapest 1970.
BUCCELLATO, CATALANO, ARRIGHETTI et alii 2003 = A. BUCCELLATO, P. CATALANO, B. ARRIGHETTI, C. CALDARINI, G.
COLONELLI, M. DI BERNARDINI, S. MINOZZI, W. PANTANO,
E. SANTANDREA, Il comprensorio della necropoli di Basiliano (Roma): un’indagine multidisciplinare, in Mélanges de l’École Française de Rome, 115, 2003, pp.
311-376.
BURNS 1999 = K.R. BURNS, Forensic Anthropology Training
Manual, Englewood Cliffs (NJ) 1999.
CANCI, MINOZZI 2005 = A. CANCI, S. MINOZZI, Archeologia
dei resti umani, Roma 2005.
CASELITZ 1998 = P. CASELITZ, Caries – Ancient plague of Humankind, in K.W. ALT, F.W. ROSING, M. TESCHLER-NICOLA,
Dental Anthropology. Fondamentals, limits and prospects,
New York 1998, pp. 203-225.
CATALANO, CALDARINI, MINOZZI et alii 2003 = P. CATALANO,
C. CALDARINI, S. MINOZZI, W. PANTANO, La popolazione
di alcuni settori del suburbio orientale e meridionale di
Roma in età imperiale: antropologia di campo, demografia
e struttura sociale, in Orizzonti, IV, 2003, pp. 69-74.
DUDAY 2005 = H. DUDAY, Lezioni di Archeotanatologia, archeologia funeraria e antropologia di campo, Roma 2005.
FEREMBACH, SCHWIDETZKI, STOUKAL 1977-79 = D. FEREMBACH, I. SCHWIDETZKI, M. STOUKAL, Raccomandazioni per
la determinazione dell’età e del sesso sullo scheletro, in
Rivista di Antropologia, 60, 1977-79, pp. 5-51.
FORNACIARI, GIUFFRA 2009 = G. FORNACIARI, V. GIUFFRA, Lezioni di Paleopatologia, Pisa 2009.
GIOVANNINI 2001 = F. GIOVANNINI, Natalità, mortalità e demografia dell’Italia medievale sulla base dei dati archeologici, Oxford 2001.
GOODMAN, ARMELAGOS 1985 = A.H. GOODMAN, G.J. ARMELAGOS, The chronological distribution of enamel hypoplasia in human permanent incisor and canine teeth, in
Archives of Oral Biology, 30, 1985, pp. 503-507.
GOODMAN, ROSE 1990 = A.H. GOODMAN, J.C. ROSE, An assessment of systemic physiological perturbations from
dental enamel hypoplasias and associated structures, in
American Journal of Physical Anthropology, 33, 1990, pp.
59-110.
HAWKEY, MERBS 1995 = D.E. HAWKEY, C.F. MERBS, Activityinduced Musculoskeletal Stress Markers (MSM) and Subsistence Strategy Changes among Ancient Hudson Bay
333
Eskimo, in International Journal of Osteoarchaeology, 5,
1995, pp. 324-338.
HENGEN 1971 = O.P. HENGEN, Cribra orbitalia: pathogenesis and probable etiology, in Homo, 22, 1971, pp. 57-76.
HILL, HURTADO 1995 = K. HILL, A.M. HURTADO, Ache Life
History. The Ecology and Demography of a Foraging People, New York 1995.
HILLSON 1998 = S.W. HILLSON, Dental Anthopology, Cambridge 1998.
ISCAN, LOTH 1986 = M.Y. ISCAN, S.R. LOTH, Age estimation
from the rib by phase analysis: white females, in Journal
of Forensic Science, 30, 1986, pp. 853-864.
LOVEJOY 1985 = C.O. LOVEJOY, Dental wear in the Libben
population: its functional pattern and role in the determination of adult skeletal age at death, in American Journal of Physical Anthropology, 68, 1985, pp. 47-56.
MARIOTTI, FACCHINI, BELCASTRO 2004 = V. MARIOTTI, F. FACCHINI, M.G. BELCASTRO, Enthesopathies: proposal of standardised scoring method and applications, in Collegium
Antropologicum, 28, 2004, pp. 145-159.
MARIOTTI, FACCHINI, BELCASTRO 2007 = V. MARIOTTI, F. FACCHINI, M.G. BELCASTRO, The study of Entheses: Proposal of Standardised Scoring Method for twenty-three
Entheses of the Postcranial Skeleton, in Collegium Antropologicum, 31, 2007, pp. 291-313.
MARTIN, SALLER 1957-66 = R. MARTIN, K. SALLER, Lehrbruch
der Anthropologie, Stuttgart 1957-66.
MASSLER, SCHOUR, PONCHER 1941 = M. MASSLER, I. SCHOUR,
H.G. PONCHER, Developmental pattern of the child as reflected in the calcification pattern of teeth, in American
Journal of Disease of Children, 62, 1941, pp. 33-67.
MEINDL, LOVEJOY 1985 = R.S. MEINDL, C.O. LOVEJOY, Ectocranial suture closure: a revised method for the determination of skeletal age at death, based on the
lateral-anterior sutures, in American Journal of Physical
Anthropology, 68, 1985, pp. 57-66.
ORTNER 2003 = J. ORTNER, Identification of pathological
conditions in human skeletal remains, San Diego 2003.
STOUKAL, HANAKOVA 1978 = M. STOUKAL, H. HANAKOVA, Die
länge der Längsknochen altslawischer Bevölkerungen Unter besonderer Berücksichtingung von Wachstumsfragen, in Homo, 29, 1978, pp. 53-69.
TODD 1921 = T.W. TODD, Age Changes in the Pubic Bone,
in American Journal of Physical Antropology, 4, 1921,
pp. 1-70.
TROTTER, GLESER 1952 = M. TROTTER, G.C. GLESER, Estimation of stature from long bones of American whites and
negroes, in American Journal of Physical Anthropology,
10, 1952, pp. 463-514.
TROTTER, GLESER 1977 = M. TROTTER, G.C. GLESER, Corrigenda to “Estimation of stature from long limb bones of
American whites and Negroes”, in American Journal of
Physical Anthropology, 47, 1977, pp. 355-356.
UBELAKER 1989 = D. H. UBELAKER, Human skeletal remains,
excavation, analysis, interpretation, Washington 1978.
CALCARE ED ALTRE TRACCE DI CANTIERE,
CAVE E SMONTAGGI SISTEMATICI DEGLI EDIFICI ANTICHI
Riccardo Santangeli Valenzani
Il tema del reimpiego dei materiali edilizi nella tarda
antichità e nel medioevo non è di quelli che hanno il
pregio dell’originalità. Specialmente a partire dagli anni
’80 del secolo passato gli sono stati dedicati numerosi
studi, e con particolare riferimento proprio a Roma 1.
La grande maggioranza di questi studi, tuttavia, si sono
concentrati su un particolare aspetto del fenomeno,
quello del riuso degli elementi decorativi e architettonici, lasciando sullo sfondo quello che invece ne costituisce l’aspetto quantitativamente più imponente, ed
economicamente più significativo, il reimpiego cioè dei
materiali da costruzione più usuali (mattoni, tufi, travertini e marmi per alimentare le calcare).
In questa sede voglio invece focalizzare l’attenzione
proprio su questi aspetti, ponendomi due obiettivi: innanzitutto delineare l’ampiezza e la pervasività del fenomeno nell’ambito dell’attività edilizia della tarda
antichità e dell’altomedievo, e in secondo luogo, ampliando lo sguardo fino al basso medioevo, analizzare
i dati in nostro possesso per chiarire l’organizzazione
della pratica dello smontaggio e del recupero dei materiali dal punto di vista organizzativo e della committenza.
Va innanzitutto sottolineato che l’uso di recuperare
elementi riutilizzabili da edifici in demolizione non è
certo esclusivo della tarda antichità e del medioevo, ma
è ampiamente attestato in ogni epoca, anche nei momenti in cui l’organizzazione produttiva ed economica
dell’impero romano era al suo apice, e a volte in modi
così accurati da mostrare come si trattasse di un fatto
non occasionale ma organizzato e rispondente a precise
direttive. Quello che cambia, a partire dal IV secolo, è
La bibliografia sul tema è amplissima: si veda BERNARD, BERESPOSITO 2008.
2
PANELLA, PENSABENE 1993-94.
la dimensione del fenomeno che, da marginale e secondario nell’organizzazione tecnica ed economica dei
cantieri edilizi, finisce invece per diventarne centrale.
Come ho detto, l’aspetto che ha più attirato l’attenzione
degli studiosi è stato quello del reimpiego della decorazione architettonica. L’arco di Costantino ha costituito
il punto di partenza obbligato di quasi tutte le riflessioni su questo tema 2, ma in realtà il massiccio riutilizzo di pezzi architettonici è ampiamente attestato già
nei decenni precedenti alla sua costruzione. Possiamo
attribuire l’avvio di questa pratica, in modo massiccio
e nell’ambito dei monumenti pubblici, alla grande fase
edilizia che investe il centro monumentale di Roma in
età tetrarchico-massenziana: i monumenti costruiti o ricostruiti in quest’epoca non solo hanno reimpiegato
elementi architettonici come colonne, capitelli o architravi tratti da edifici precedenti ma, come hanno mostrato recenti interventi di restauro, anche le lastre di
rivestimento parietale e pavimentale, sono state realizzate rilavorando e adattando elementi preesistenti 3.
Questo massiccio avvio della pratica del reimpiego nella
Roma di Diocleziano e di Massenzio è legato senza dubbio alla sproporzione tra l’eccezionale ampiezza dei giganteschi progetti edilizi avviati 4 e la capacità delle
officine romane, dopo la grande crisi del III secolo, di
fornire il materiale necessario, ma anche alla disponibilità, a seguito del disastroso incendio che nel 283
aveva distrutto vasti settori della città, di molto materiale recuperato dai monumenti demoliti e, evidentemente, immagazzinato in attesa di un’occasione per
riutilizzarlo. Come è ben noto, questo riutilizzo di materiali architettonici come colonne, capitelli, epistili,
1
NARDI,
3
4
MENEGHINI 2010.
COARELLI 1986; SANTANGELI VALENZANI 2000.
336
RICCARDO SANTANGELI VALENZANI
continuerà senza interruzioni per tutto il Medioevo (e
anche successivamente) ed è l’aspetto che più ha colpito l’attenzione degli studiosi, sia perché è quello più
evidente, sia perché più coerente con gli interessi essenzialmente storico artistici della maggior parte degli
studiosi di archeologia classica fino ancora alla seconda
metà del secolo scorso. Tuttavia, e di gran lunga, non
è quello quantitativamente più rilevante, in quanto il riutilizzo riguarda tutti i materiali edilizi. Possiamo affermare che praticamente, con pochissime eccezioni, a
partire già dal tardo IV secolo, e certamente dal V, e
fino al pieno medioevo, nessun materiale da costruzione
è stato prodotto a Roma, e tutti gli edifici sono stati edificati utilizzando materiale antico riciclato 5. Le eccezioni di cui ho parlato sono costituite essenzialmente
dalle tegole di copertura dei tetti (materiale molto più
difficile da reimpiegare, perché utilizzabile solo in condizioni di integrità), delle quali una certa produzione è
attestata fino ai primi decenni del VI secolo, e sporadicamente nei secoli seguenti 6.
La pratica di spoliare completamente gli edifici antichi delle cortine di mattoni ha dato a tanti monumenti
romani il loro aspetto completamente ‘scrostato’, con
le superfici murarie ridotte al solo nucleo cementizio,
oppure, nel caso di strutture con paramenti misti in
blocchetti di tufo e laterizio, un aspetto ancora più strano
a causa della spoliazione selettiva, con l’asportazione
delle sole parti in laterizio. Anche nel caso dei paramenti
in blocchetti di tufo essi, in molti casi, devono provenire direttamente dalla spoliazione di pareti antiche,
come mostra la presenza di blocchetti usurati e con spigoli arrotondati, e solo dal basso medioevo riprende la
coltivazione delle cave per la fornitura del materiale per
l’opera a blocchetti, anche se di questa attività è difficile riconoscere le tracce archeologiche 7. Questo uso
quasi esclusivo di materiale di reimpiego non è, ovviamente, senza conseguenze sull’aspetto e sulla qualità
delle strutture realizzate. Se per le strutture di prestigio
e di committenza alta, particolarmente le chiese, l’uso
di materiale di spoglio comunque selezionato e di prima
scelta consente ancora, per il V, VI e in parte per il VII
secolo la realizzazione di cortine murarie, sia in opera
laterizia che in opera listata, di aspetto regolare e di
buona qualità 8, nell’edilizia più corrente – e poi generalmente a partire dal VII secolo – l’uso per i paramenti
di frammenti di mattone, a volte delle semplici schegge,
5
6
7
GIUSTINI 2001.
STEINBY 1986.
ESPOSITO 1997.
di diverso spessore e di varie dimensioni, comporta in
molti casi la realizzazione di strutture irregolari, con
piani di posa dei filari non orizzontali, spesso fuori
piombo; il fatto, inoltre, che i mattoni recuperati tramite scalpellatura delle cortine antiche avessero perso
la loro forma triangolare, fa sì che le cortine siano
spesso ammorsate in modo precario con il nucleo della
struttura, cosa che provoca frequentemente distacchi e
lesioni.
Ma il riciclaggio dei materiali nelle nuove costruzioni non si limita alle sole cortine esterne. La stessa
calce utilizzata per la malta che costituisce il nucleo delle
strutture viene ora realizzata non più, come in epoca romana, a partire da pietre calcaree scavate in apposite
cave, ma direttamente cuocendo travertino e marmo recuperato tra le rovine dei monumenti antichi. La presenza delle calcare, cioè dei forni in cui si produceva
la calce, diviene un elemento caratterizzante, per secoli,
del paesaggio della Roma altomedievale, medievale e
proto moderna, fino a dare il nome di Calcararium a
un’intera contrada della città. L’argomento è stato più
volte analizzato dagli studiosi, per lo più in riferimento
alle fonti scritte basso medievali e moderne, e gli studi
specialmente di A. Cortonesi e M. Vaquero Piñeiro mi
esimono da tornare su questo aspetto 9. Per quanto riguarda la documentazione archeologica di questo fenomeno, in occasione del Seminario preparatorio di
questo Convegno, lo spoglio sistematico delle pubblicazioni di scavo e dei dati d’archivio ha portato all’individuazione di ben 77 di questi impianti all’interno o
immediatamente all’esterno delle Mura Aureliane, datati tra l’alto medioevo e il primo Rinascimento. Come
si vede dalla carta (fig. 1 e tav. 00), la distribuzione degli
impianti messi in luce mostra un evidente addensamento intorno alle aree a maggior densità monumentale della città antica (l’area Foro Romano - Fori
Imperiali - Palatino e il Campo Marzio meridionale, corrispondente al medievale Calcararium), evidenziando
lo strettissimo legame tra l’impianto di queste strutture
e la disponibilità di materiale da calcinare. La loro presenza anche in molte altre aree della città documenta
tuttavia la capillarità dello sfruttamento degli edifici
monumentali romani, come le grandi terme imperiali o
i complessi residenziali nella zona degli Horti.
L’aggiunta delle attestazioni archeologiche dei cumuli di frammenti di marmo (fig. 2 e tav. 00), indica-
8
9
CECCHELLI 2001.
CORTONESI 1986; CORTONESI 2002; VAQUERO PIÑEIRO 2002.
CALCARE ED ALTRE TRACCE DI CANTIERE, CAVE E SMONTAGGI SISTEMATICI DEGLI EDIFICI ANTICHI
Fig. 1. - Pianta di distribuzione delle calcare identificate archeologicamente.
Fig. 2. - Pianta di distribuzione delle calcare e dei cumuli di marmi.
337
338
RICCARDO SANTANGELI VALENZANI
zione della presenza nelle vicinanze di una calcara o del
lavoro preparatorio per la sua costruzione, amplia e precisa questo quadro, anche se purtroppo il fatto che nella
maggior parte dei casi queste evidenze non siano datate rende impossibile seguirne l’evoluzione topografica.
L’impatto di questa attività sulla conservazione della città
romana è stato gigantesco, ed essa è senza dubbio la
prima causa della distruzione dei monumenti antichi:
tra i materiali lapidei rinvenuti negli ultimi scavi nel Foro
della Pace i marmi colorati rappresentano un volume
quasi doppio rispetto ai marmi bianchi (63 e 37% rispettivamente) 10, quando originariamente dovevano costituire invece solo una piccola percentuale del totale
(poco più del 10%, secondo i calcoli fatti da R. Meneghini e E. Bianchi per il Foro di Traiano) 11, a testimonianza proprio della selettività della spoliazione, che si
è concentrata sul materiale adatto a finire nelle calcare.
L’importanza economica di queste attività deve essere stata eccezionale: la pavimentazione del Foro di
Cesare, asportata in un’unica fase verso la metà
dell’VIII secolo, deve aver fruttato circa m3 1.200 di
travertino, sufficiente per ricavare tra le 600 e le 700
tonnellate di calce 12. La decorazione marmorea del Foro
di Traiano doveva sviluppare, sempre secondo i calcoli
di Meneghini e Bianchi, m3 13.107 pari a t 32.772; se
ne conserva una minima parte, non più dell’1/2%, quasi
tutto il resto deve essere finito nelle calcare, attestate
archeologicamente all’interno dello stesso Foro
nell’VIII secolo, e deve aver fornito circa t 7000 di
calce 13. Anche in questo caso almeno la pavimentazione
(m3 1.300) è stata asportata in un’unica fase intorno al
IX secolo 14. Si tratta di quantità enormi, la cui produzione deve aver richiesto la realizzazione di diverse
calcare e deve aver coinvolto una numerosissima manodopera. Sulla base di un documento del 1332, A.
Cortonesi ha calcolato in 669 le giornate di lavoro necessarie per la preparazione di una singola calcara, l’esecuzione di una cotta e il trasporto del materiale 15. È
probabile quindi che operazioni di queste dimensioni,
eseguite in aree che fino a questo periodo devono aver
conservato il carattere pubblico, siano legate a committenze specifiche, per importanti iniziative edilizie,
da parte dell’autorità pontificia o delle classi dominanti.
Dalla metà dell’VIII secolo, poi, assistiamo all’introduzione di una nuova tecnica edilizia, che nei due
Informazione di A. Coletta.
BIANCHI, MENEGHINI 2002.
12
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007, pp. 123-124.
13
BIANCHI, MENEGHINI 2002.
Fig. 3. - Abside della chiesa di S. Lucia del Calcarario.
secoli seguenti si diffonde fino a divenire una delle caratteristiche più evidenti e riconoscibili dell’edilizia romana di alto livello, che reimpiega blocchi di tufo,
peperino o travertino, spoliati dai monumenti romani,
a volte spaccati per portarli a dimensioni più maneggevoli, e rimessi in opera in un apparecchio murario generalmente di grande irregolarità. Nella maggior parte
dei casi i blocchi sono posti in opera a secco e senza
l’utilizzo di grappe di nessun tipo. I primi esempi datati di questa tecnica sono costituiti dalle fondazioni dell’abside delle chiese di S. Angelo in Pescheria e di S.
Lucia del Calcarario, della metà dell’VIII secolo (fig.
3) 16. Nel corso del IX secolo troviamo questa tecnica
utilizzata in tutte le chiese costruite o restaurate dai papi
di epoca carolingia, anche se generalmente solo nelle
fondazioni, così come nei restauri delle Mura Aureliane
e nelle Mura Leonine, ma anche nell’edilizia privata,
come le domus dei Fori Imperiali 17. Per avere un’idea
10
14
11
15
16
17
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007.
CORTONESI 2002.
CECI, SANTANGELI VALENZANI c.s.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004 pp. 136-139
CALCARE ED ALTRE TRACCE DI CANTIERE, CAVE E SMONTAGGI SISTEMATICI DEGLI EDIFICI ANTICHI
Fig. 4. - Domus del Foro di Nerva (IX secolo).
delle quantità di materiale di cui stiamo parlando, basti
citare un dato riportato dal Liber Pontificalis: per il restauro del portico che conduceva dal Tevere a S. Pietro,
Adriano I fece impiegare 12.000 blocchi di tufo 18; anche
se immaginiamo che questo numero si riferisca a blocchi ritagliati a dimensioni più piccole, come quelli spesso
usati nelle costruzioni altomedievali, stiamo parlando comunque dell’equivalente di m2 1500-2000 di opera quadrata antica, circa la metà del grande muraglione del Foro
di Augusto. Se consideriamo che il Liber Pontificalis attribuisce ad Adriano I la costruzione o il restauro di 57
chiese, 6 monasteri e 8 edifici assistenziali, oltre a consistenti restauri delle Mura Aureliane, possiamo farci
un’idea dell’impatto che questo massiccio impiego di
blocchi smontati dagli edifici romani deve aver avuto sulla
conservazione delle strutture antiche.
Ma vediamo in dettaglio un caso: la domus, databile
alla metà del IX secolo, rinvenuta negli scavi del Foro di
Nerva, costituisce l’esempio per noi meglio conservato
della tipologia edilizia delle dimore di medio - alto livello
della Roma altomedioevale (fig. 4) 19. Questa del Foro di
Nerva ha il piano terreno costruito nella tecnica in blocchi di reimpiego, mentre il piano superiore (ora quasi completamente perduto) era in un’opera laterizia costituita da
frammenti irregolari di mattone misti a pietre e schegge
18
19
LP I, p. 507.
SANTANGELI VALENZANI 2011, pp. 75-89.
339
di tufo. È lunga metri 20 e larga circa 10. La muratura in
blocchi sviluppava m2 176; il
numero dei blocchi è in media di 35 ogni m2 10, quindi
in totale devono essere stati
impiegati circa 600 blocchi,
del peso medio di kg 350. Il
tipo di materiale e le caratteristiche della lavorazione delle superfici non interessate
dalla rilavorazione medievale indicano che, con ogni
probabilità, i blocchi provenivano dai muri perimetrali
dello stesso Foro di Nerva.
Ma i blocchi antichi, pesanti
più di due tonnellate e mezzo l’uno, vennero spaccati,
per portarli a dimensioni più
maneggevoli e facilitarne il
trasporto e la messa in opera.
In totale devono essere stati impiegati circa 80 blocchi
del muro perimetrale del Foro di Nerva. È probabile che
anche i circa 75.000 frammenti di mattone di recupero
utilizzati nelle murature del piano superiore provenissero dalle aree adiacenti, così come la calce dalle numerose
calcare attive nella zona. In definitiva, a parte il legname utilizzato per il solaio e per il tetto, calcolabile in una
ventina di metri cubi (meno del 4% del peso totale del
materiale impiegato nella costruzione), tutto il resto del
materiale utilizzato nella realizzazione di questa residenza
aristocratica era materiale antico riciclato, e proveniva da
poche decine, o al massimo poche centinaia di metri 20.
Se ci spostiamo dall’edilizia residenziale di alto livello a quella, contemporanea, relativa alla massa della
popolazione, la situazione non cambia: nonostante un
maggior utilizzo di materiali deperibili (legno, paglia
per i tetti e argilla cruda), le strutture sono realizzate
con materiale antico, recuperato anch’esso nel raggio
di poche decine di metri (fig. 5) 21.
Ben al di là, quindi, della messa in opera di colonne
ed elementi architettonici, è l’intera attività edilizia sviluppatasi a Roma dalla tarda antichità fino al 1000 che
si basa, quasi totalmente, sul riciclaggio del materiale
proveniente da strutture antiche.
Ma veniamo ora al secondo punto che volevo af20
21
SANTANGELI VALENZANI 2002.
Ibidem.
340
RICCARDO SANTANGELI VALENZANI
di un personaggio noto alle
fonti storiche, un senatore
del secondo grado dell’Ordo
senatorio, morto nel 523 a
Ravenna e che probabilmente rivestì a Roma la prefettura
urbana
sotto
Teoderico. Il caso genitivo
del nome sta a indicare una
qualche forma di proprietà
su questo settore del Colosseo. Secondo Rossella Rea,
che ha pubblicato l’iscrizione, Gerontius doveva gestire un cantiere di
smontaggio di parte delle arcate XIII, XIV e XV, dalle
Fig. 5. - Strutture relative a domus terrinea nel Foro di Cesare (X secolo).
quali si traeva materiale da
costruzione,
nonostante
frontare: quali forme assumeva questa attività di spol’Anfiteatro fosse ancora in uso (l’ultimo spettacolo di
liazione e riuso? Si trattava di una pratica che avveniva
cui abbiamo notizia ebbe luogo proprio nel 523, lo
in modo spontaneo e al di fuori di ogni regola, oppure
stesso anno della morte di Geronzio) 23.
era in qualche modo regolamentata? Fin da età impeUn caso analogo è stato individuato nel Foro di Auriale la legislazione sanzionava i privati che demolisgusto, dove vi è una iscrizione con un nome, anche quesero parti di edifici senza autorizzazione al fine di
sta volta al genitivo: Pat(rici) Deci. La posizione
rivendere e riutilizzare materiali da costruzione. In
dell’epigrafe, ricavata sulla superficie di appoggio di uno
epoca tardo antica queste disposizioni divengono più fredei rocchi delle colonne del tempio di Marte Ultore, moquenti, ma significativamente inseriscono una serie di
stra che quando essa fu realizzata il tempio stesso doclausole ed eccezioni che finiscono per svuotare di efveva essere già in buona parte demolito. Anche in questo
ficacia le proibizioni, come la precisazione che il dicaso il personaggio è probabilmente identificabile con
vieto non vale nel caso di edifici in condizioni tali da
uno noto per altra via, forse Basilius Decius Aginannon poter essere più restaurati. L’impressione è che, sotto
tius, che rivestì il consolato negli ultimi anni del V seil consueto tradizionalismo formale della legislazione
colo 24. Sembra quindi di poter vedere che negli anni
romana, si nasconda un sostanziale cambiamento di
del regno di Teoderico la spoliazione dei monumenti
rotta, con una presa d’atto dell’impossibilità di mantefosse una pratica regolata da disposizioni ufficiali, genere e gestire l’immenso patrimonio monumentale erestita dalle classi dominanti a seguito di apposite conditato dal passato, e quindi l’accettazione
cessioni ottenute dal re o dai suoi rappresentanti, come
dell’inevitabilità della pratica dello spolio e del reimuna lettera della segreteria dello stesso Teoderico ci
piego dei materiali 22.
mostra per il riutilizzo dei materiali dell’anfiteatro di
I dati epigrafici ci mostrano come le classi dirigenti
Catania 25. È d’altra parte evidente che lo smontaggio
della città avessero messo a frutto questo sostanziale
di strutture in blocchi, o di colonne, capitelli e archiavallo da parte dell’autorità centrale. Su un pilastro in
travi di gigantesche dimensioni, come quelli del temblocchi di travertino del settore meridionale del Colospio di Marte Ultore, oppure la scalpellatura di intere
seo si legge un’epigrafe incisa in un punto raggiungipareti di laterizio, fino a diversi metri di altezza, al fine
bile solo dopo un ampio intervento demolitorio; è
di recuperare i mattoni, sono operazioni di grande imcostituita da una sola riga di lettere ed è leggibile Gepegno, che richiedono l’impianto di un vero cantiere,
ronti v(iri) s(pectabili). Si tratta del nome, al genitivo,
con l’impiego di numerosa manodopera e di attrezza22
23
ALCHERMES 1994.
REA 2002.
24
25
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 1996.
CASSIOD. var. III, 49.
CALCARE ED ALTRE TRACCE DI CANTIERE, CAVE E SMONTAGGI SISTEMATICI DEGLI EDIFICI ANTICHI
ture complesse, e non potevano certo essere gestite in
modo episodico e incontrollato, e dietro di esse dobbiamo senz’altro vedere l’attività delle classi dirigenti
della città.
Per i successivi secoli dell’altomedioevo la scarsità
di testimonianze e di documentazione scritta non ci permette di valutare appieno il fenomeno; l’VIII secolo
segna comunque un momento di profonda trasformazione nella gestione del patrimonio monumentale della
città con l’affermazione dell’autorità anche civile del
papa sulla città e sul suo territorio dopo la rottura tra
Roma e l’Impero bizantino 26. Si deve probabilmente a
questa conquistata disponibilità delle strutture antiche
da parte dei papi se, in concomitanza con la grande attività edilizia messa in atti dai pontefici di età carolingia, i dati archeologici ci mostrano Roma investita da
una grande fase di spoliazioni. Nei Fori Imperiali vennero completamente asportate le pavimentazioni dei
Fori di Cesare e Traiano, e gran parte dei capitelli e degli
epistili; la piazza del Foro della Pace venne occupata
da enormi mucchi di detriti costituiti da macerie edilizie, frammenti di marmo, pezzi di colonne, evidentemente gli scarichi dei cantieri di demolizione che
dovevano aver interessato le aree circostanti 27. Anche
in questo caso siamo certamente in presenza di interventi programmati da parte dell’autorità pubblica, da
mettere in relazione alla domanda di materiale da costruzione legata all’eccezionale attività edilizia che caratterizza Roma nella seconda metà dell’VIII e nella
prima metà del IX secolo.
La fase successiva, a partire dalla metà del IX secolo, è segnata dalla privatizzazione degli spazi e delle
aree che fino a quel momento avevano mantenuto il loro
carattere pubblico. All’interno delle piazze forensi, ad
esempio, si impiantano coltivazioni e sorgono case private. Dati archeologici e documenti scritti ci mostrano
come si sia trattato di un fenomeno generalizzato che
interessa gran parte dei monumenti antichi. Questa privatizzazione dovette riguardare anche la possibilità di
utilizzare i materiali recuperati. I casi, che abbiamo
analizzato, della domus del Foro di Nerva e di quelle
del Foro di Cesare, mostra come quelle strutture siano
costruite con uso quasi esclusivo di materiali tratti dagli
stessi complessi imperiali. È difficile pensare che a ciascun proprietario venisse rilasciata un’apposita conces-
MARAZZI 1991.
27
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007.
28
SANTANGELI VALENZANI et alii c.s.
26
341
sione per la demolizione di un tratto del monumento
per trarne i materiali da utilizzare; è probabile invece
che ciò avvenisse sulla base del semplice diritto di proprietà su quelle strutture, che infatti cominciano in questo momento a comparire negli atti notarili, definite
come cryptis o parietinis antiquis, e descritte alla stregua degli altri beni connessi con le case e le proprietà
e in piena disponibilità del proprietario. La pratica della
spoliazione sembra quindi rientrare, a partire dal IX-X
secolo, nell’ambito delle attività private, gestite anche
a livello episodico e al di fuori di un efficace controllo
pubblico.
La documentazione archeologica mostra che, nell’area
centrale della città, il tardo XIII e il XIV secolo è un momento di ripresa delle demolizioni su larga scala. Nella
parte dell’Anfiteatro Flavio oggetto dei recenti scavi si
è visto come sia proprio verso la fine del XIII secolo che
prende avvio lo smontaggio dei muri in blocchi della cavea e delle loro fondazioni 28. Nei Fori Imperiali è in questo stesso periodo che viene asportata gran parte dei muri
di limite dei complessi forensi, a volte con soluzioni di
grande complessità tecnica, come nella cella del Tempio
della Pace, dove i blocchi di travertino di fondazione dei
muri in laterizio sono stati tolti lasciando in posto l’alzato del muro, eseguendo il lavoro a settori via via riempiti con muri a secco di sostegno (fig. 6) 29. Anche le fondazioni in travertino dei portici dello stesso Foro della Pace
sono spoliate in questa fase, abbandonando sul posto il
materiale non riutilizzabile nelle calcare, come le colonne
intere in granito rosa (fig. 7) 30, dimostrazione evidente
di come la produzione della calce fosse il vero motore di
queste attività, e il recupero di pezzi architettonici avesse invece un’importanza economica decisamente minore, e forse non aveva un vero mercato ma avveniva solo
su commissione per specifiche esigenze (ancora due secoli dopo Bramante non si faceva scrupolo di far abbattere, spaccandole e rendendole inutilizzabili, le grandi colonne del vecchio S. Pietro, come gli rimprovera
indignato Michelangelo). Ancora una volta ci troviamo
comunque di fronte ad operazioni di vastissima portata
e di grande impegno tecnico, che richiedono un’organizzazione complessa, numerosa manodopera, competenze
avanzate e, specialmente, un forte investimento economico, e devono quindi essere state gestite a livelli di com29
Scavi in corso dal 2013 ad opera della Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma e l’Università di Roma Tre.
30
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007.
342
RICCARDO SANTANGELI VALENZANI
ne pubblica dello spazio urbano si esplica anche con la
progressiva ripresa del controllo sui monumenti antichi, fino alla clausola dello
Statuto del 1363 che vietava
la distruzione di qualsiasi
edificio antico, escludendo
esplicitamente la possibilità
per la stessa autorità pubblica di concedere deroghe al divieto 31. Solo l’anno precedente il cardinale Pierre
Bohier, legato pontificio a
Roma, aveva scritto ad Avignone al papa Urbano V informandolo riguardo la vendita di una grossa partita di
travertino cavato dal Colosseo 32. Non escluderei un diFig. 6. - Foro della Pace. Struttura di contenimento del riempimento di una fossa di spoliazione basso
retto collegamento tra i due
medievale.
fatti, che cioè la norma inserita nello Statuto del 1363 sia
legata proprio al contrasto
tra il Comune di Roma e
l’autorità pontificia riguardo
la gestione dei resti antichi.
Fin dalla Renovatio Senatus
del 1143, sui monumenti romani, simbolo della passata
grandezza di Roma, si giocava una partita propagandistica e ideologica tra i fautori delle libertà comunali e la
Curia (di cui il decreto del
1162 sulla colonna Traiana
costituisce la più celebre testimonianza), e la devastazione dell’edificio simbolo
della città da parte del legato
papale può forse essere stata
la motivazione alla base delFig. 7. - Foro della Pace. Fossa di spoliazione delle fondazioni del portico (XIII secolo).
la decisione di tradurre in
norma giuridica il desiderio di
mittenza molto alti, probabilmente su iniziativa dei protutelare quel che restava della città antica.
prietari dei complessi, aristocratici o enti ecclesiastici.
Generalmente si è supposto che la norma del 1363,
Nel basso medioevo la riaffermazione di una gestioe quelle che la ribadirono successivamente, dovettero
31
RE 1880, p. 188.
32
Per l’episodio, e un suo inquadramento storico, LANCIANI 1897,
p. 374.
CALCARE ED ALTRE TRACCE DI CANTIERE, CAVE E SMONTAGGI SISTEMATICI DEGLI EDIFICI ANTICHI
rimanere largamente disattese. È evidente che, dopo il
ritorno da Avignone, l’autorità pontificia consentiva di
superare qualsiasi norma, basti pensare ai casi del Settizodio o del Tempio di Minerva, ma, per quanto riguarda
la pratica più diffusa del recupero dei materiali, non va
trascurato il fatto che queste disposizioni si preoccupavano di salvaguardare i monumenti sopraterra, ma lasciavano libertà di intervenire sui resti nel sottosuolo,
e ci si può chiedere se la diffusione degli scavi in galleria, quei ‘cunicoli’ che costituiscono la disperazione
di tutti gli archeologi che scavano nel centro monumentale di Roma, non possa essere legata proprio a questa nuova modalità di gestione del recupero dei
materiali. Pur in assenza di studi specifici sul fenomeno, e nonostante l’estrema difficoltà di datare queste strutture in considerazione della complessità del loro
posizionamento stratigrafico e del fatto che i riempimenti
sono composti quasi esclusivamente da materiale residuale, sembra infatti che questa pratica sia attestata a
partire da un periodo molto avanzato, e che si diffonda
in età rinascimentale. Tenendo conto della complessità
di questa modalità di scavo, che deve impiegare tecniche e competenze dello scavo in miniera, ma in una situazione molto più difficile, perché condotta per lo più
in terreno incoerente, è chiaro che devono esservi state
motivazioni molto forti dietro la sua adozione, abbandonando i grandi scavi a cielo aperto che avevano caratterizzato il XIII e il XIV secolo, e forse queste
motivazioni sono da ricercare anche nelle norme di tutela che impedivano di intervenire sui monumenti posti
al livello del suolo. Il fatto che si affrontasse un lavoro
così difficile e pericoloso, d’altra parte, costituisce la
migliore testimonianza degli alti profitti che la pratica
del recupero dei materiali antichi consentiva di ottenere,
e spiega come mai questa attività sia andata avanti senza
soste per più di un millennio.
Bibliografia
ALCHERMES 1994 = J. ALCHERMES, Spolia in Roman Cities
of the Late Empire: Legislative Rationales and Architectural Reuse, in DOP, 48, 1994, pp. 167-178
BERNARD, BERNARDI, ESPOSITO 2008 = J.F. BERNARD, PH. BERNARDI, D. ESPOSITO (a cura di), Il Reimpiego in Architettura. Recupero, trasformazione, uso (Collection de l’École
Francaise de Rome, 418), Roma 2008.
BIANCHI, MENEGHINI 2002 = E. BIANCHI, R. MENEGHINI, Il
cantiere costruttivo del Foro di Traiano, in Cantieri antichi. Atti della Giornata di Studio (Roma, 25 ottobre
2002), in RM, 109, 2002, pp. 395-417.
CECCHELLI 2001 = M. CECCHELLI, Materiali e tecniche dell’edilizia paleocristiana a Roma, Roma 2001.
343
CECI, SANTANGELI VALENZANI c.s. = M. CECI, R. SANTANGELI
VALENZANI, La chiesa di S. Lucia de Calcarario. Nuovi
dati dalle indagini a via delle Botteghe Oscure, in Studi
in onore di C. Panella c.s.
COARELLI 1986 = F. COARELLI, L’urbs e il suburbio. Ristrutturazione urbanistica e ristrutturazione amministrativa
nella Roma di Massenzio, in A. GIARDINA (a cura di), Società Romana e impero tardoantico. 2. Roma. Politica,
economia, paesaggio urbano, Roma 1986.
CORTONESI 1986 = A. CORTONESI, Fornaci e calcare a Roma
e nel Lazio nel basso medioevo, in G. GIAMMARIA (a cura
di), Scritti in onore di Filippo Caraffa, Anagni 1986, pp.
279-307.
CORTONESI 2002 = A. CORTONESI, Fornaci e calcare a Roma
e nel Lazio. Secoli XIII-XV, in A. LANCONELLI, I. AIT (a
cura di), Maestranze e cantieri edili a Roma e nel Lazio.
Lavoro, tecniche, materiali nei secoli XIII-XV, Manziana
2002, pp. 109-136.
ESPOSITO 1997 = D. ESPOSITO, Tecniche costruttive murarie
medievali. Murature a “tufelli” in area romana, Roma
1997.
GIUSTINI 2001 = L. GIUSTINI, La produzione laterizia nel
Lazio tra VII e XIV secolo: status questionis, in E. DE MINICIS, I laterizi in età medievale. Dalla produzione al
cantiere. Atti del Convegno nazionale di studi (Roma, 45 giugno 1998), Roma 2001, pp. 9-21.
LANCIANI 1897 = R. LANCIANI, The ruins and excavations of
ancient Rome, Boston, New York 1897.
LP = L. DUCHESNE, Le Liber Pontificalis. Texte, introduction
et commentaire, Paris 1886.
MARAZZI 1991 = F. MARAZZI, Il conflitto tra Leone III Isaurico e il papato fra il 725 e il 733, e il “definitivo” inizio del medioevo a Roma: un’ipotesi in discussione, in
BSR, 59, 1991, pp. 231-257.
MENEGHINI 2010 = R. MENEGHINI, La trasformazione dello
spazio architettonico del Foro di Cesare nella tarda antichità, in ScAnt, 16, 2010, pp. 503-512.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 1996 = R. MENEGHINI,
R. SANTANGELI VALENZANI, Episodi di trasformazione del
paesaggio urbano nella Roma altomedievale attraverso
l’analisi di due contesti: un isolato di Piazza dei Cinquecento e l’area dei Fori Imperiali, in AMediev, XXIII,
1996, pp. 53-99.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007 = R. MENEGHINI,
R. SANTANGELI VALENZANI, I Fori Imperiali. Gli scavi del
Comune di Roma (1991-2007), Roma 2007.
PANELLA, PENSABENE 1993-94 = C. PANELLA, P. PENSABENE,
Reimpiego e progettazione architettonica nei monumenti
tardo antichi a Roma, in RendPontAc, 66, 1993-94, pp.
111-283.
RE 1880 = C. RE, Statuti della Città di Roma, Roma 1880.
REA 2002 = R. REA (a cura di), Rota Colisei. La Valle del
Colosseo attraverso i secoli, Milano 2002.
SANTANGELI VALENZANI 2000 = R. SANTANGELI VALENZANI,
La politica urbanistica tra i tetrarchi e Costantino, in
S. ENSOLI, E. LA ROCCA (a cura di), Aurea Roma. Dalla
città pagana alla città cristiana, Roma 2000, pp. 4144.
SANTANGELI VALENZANI 2002 = R. SANTANGELI VALENZANI,
Il cantiere altomedievale. Competenze tecniche, organizzazione del lavoro e struttura sociale, in Cantieri antichi.
Atti della Giornata di Studio (Roma, 25 ottobre 2002), in
RM, 109, 2002, pp. 419-426.
344
RICCARDO SANTANGELI VALENZANI
SANTANGELI VALENZANI 2011 = R. SANTANGELI VALENZANI,
Edilizia residenziale in Italia nell’altomedioevo, Roma
2011.
SANTANGELI VALENZANI et alii c.s. = R. SANTANGELI VALENZANI et alii, Anfiteatro Flavio. Lo scavo dei cunei III, IX
e X, in BA c.s.
STEINBY 1986 = E.M. STEINBY, L’industria laterizia a Roma
nel Tardo Impero, in A. GIARDINA (a cura di), Società Ro-
mana e impero tardoantico. 2. Roma. Politica, economia,
paesaggio urbano, Roma 1986, pp. 99-164.
VAQUERO PIÑEIRO 2002 = M. VAQUERO PIÑEIRO, La gabella
dei calcarari. Note sulla produzione di calce e laterizi a
Roma nel Quattrocento, in A. LANCONELLI, I. AIT (a cura
di), Maestranze e cantieri edili a Roma e nel Lazio. Lavoro, tecniche, materiali nei secoli XIII-XV, Manziana
2002, pp. 137-154.
TECNICHE MURARIE E ORGANIZZAZIONE DEL CANTIERE
A ROMA E IN AREA ROMANA NEI SECOLI XII-XIV: ALCUNI INDICATORI
Daniela Esposito
Gli studi sulle tecniche costruttive e sui sistemi di
approvvigonamento e organizzazione dei cantieri medievali pongono in evidenza come la qualità dei materiali e la loro lavorazione per far opere murarie sia
spesso collegata alla natura stessa dei materiali, alla loro
lavorabilità, alle caratteristiche geologiche dei banchi
di estrazione, fino ad esserne in molti esempi determinata. Pur confermando tale linea intepretativa, l’esegesi
e lo studio sul cantiere edile in area romana nel basso
Medioevo riservano alcune deroghe rispetto a questa
linea generale di lettura del fenomeno costruttivo. Il tipo
di materiale e di lavorazione degli elementi lapidei delle
murature medievali di area romana del XII-XIV secolo
appaiono infatti scelti ‘a priori’, ossia decisi indipendentemente dalla natura e dal grado di lavorabilità. Inoltre anche la modalità di messa in opera delle stesse
murature richiama il sistema dell’opus coementicium romano, con alcune deroghe alla tecnica antica dovute alla
stessa organizzazione del cantiere medievale, diverso rispetto a quello romano. Tale consuetudine è da riferirsi
ad un modello statico, costruttivo ed anche ‘estetico’ elaborato e condiviso dalle maestrranze romane che operavano in Roma e nel distretto della città seguendo la
tradizione costruttiva antica innovata e ripensata con
mentalità contemporanea.
Il contributo affronterà una lettura del fenomeno costruttivo tardomedievale in area romana, con particolare riguardo alle murature con paramenti in blocchetti
lapidei a filari orizzontali (in alcuni casi detti anche ‘tufelli’) attraverso l’analisi e il confronto fra le diverse
componenti che hanno definito il carattere del cantiere
dell’epoca e soprattutto della produzione degli elementi
della costruzione 1. L’analisi ha portato alla conferma
della diretta corrispondenza fra la geologia dei luoghi
e l’utilizzo dei materiali da costruzione e al contemporaneo diffondersi del fenomeno del reimpiego del materiale antico rilavorato e spesso ridotto a dimensioni
più piccole degli elementi di partenza. La messa in
opera delle murature in area romana riflette con certezza
la tradizione antica, nell’adozione di apparecchiature assimilabili all’opera cementizia romana, a strati orizzontali corrispondenti all’altezza dei filari di blocchetti
(cm 6-8 al massimo), ma risulta anche essere un’evidente rielaborazione medievale. Nel loro insieme, le osservazioni presentate conducono a riconoscere il
riferimento tecnico-costruttivo antico e la sua contestuale
rielaborazione medievale come reinvenzione di un modo
di costruire coerente con l’organizzazione razionale del
cantiere edile del XIII-XIV secolo. Un’organizzazione
che si manifestava soprattutto nella produzione sistematica e standardizzata di blocchetti isometrici, nella
loro messa in opera a filari orizzontali senza differenziazioni per tipi di costruzione (fig. 1).
Come detto, nel corso del Medioevo il riferimento
alla tradizione costruttiva romana appare confermato dall’evidenza muraria e, soprattutto a partire dal XII secolo per le opere murarie, dalla ripresa dell’uso della
tecnica dell’opera cementizia; le sezioni murarie degli
edifici erano costituite infatti da spessori notevoli di
opera cementizia con due sottili strati di paramento, interno ed esterno. La tradizione costruttiva e architettonica romana trova espressione nella pienezza delle
strutture murarie, nella compattezza degli apparecchi
1
BARCLAY LLOYD 1985, pp. 225-276; ESPOSITO 1998; ESPOSITO
2005; ESPOSITO 2008, pp. 625-637; BERNARDI, ESPOSITO 2009, pp.
191-210; ESPOSITO 2009, pp. 415-424; MONTELLI 2011; ESPOSITO
2014, pp. 233-240.
346
DANIELA ESPOSITO
Fig. 1. - Roma, Palazzo del Castrum Caetani a Capo di Bove sulla
via Appia antica: particolare del paramento (prima metà XIII secolo) in bloccheti di tufo litoide.
murari, nel coordinamento delle singole parti degli edifici in una concezione unitaria (fig. 2).
Nel corso dei secoli XII-XIV si riscontrano in area
romana tipi murari diversificati, articolati e differenziati
in fasi storiche diverse. In sintesi, nel XII secolo la tipologia era caratterizzata da murature con paramento a
bozze irregolari senza corsi orizzontali o con piccole
bozze disposte senza un ordine apparente e con livelli
di orizzontamento ogni quaranta-sessanta centimetri
(fino a un metro circa); ma anche da murature in opera
listata a fasce irregolari di laterizi alternate a bozze e
bozzette di tufo o altro materiale lapideo che, col passare del tempo e nel corso del XIII secolo, risultava composta da una quantità sempre maggiore di bozzette in
materiale lapideo, tagliate in modo sempre più regolare
e con un sempre minor numero di laterizi (fig. 1). Altre
murature presentavano paramenti in laterizi che a Roma
e in molti siti in area romana erano utilizzati di reimpiego 2. L’attività del recupero di tali materiali da costruzione si sviluppava in prevalenza in corrispondenza
di zone dove sussistevano resti di strutture antiche abbandonate; l’opera di smontaggio dei pezzi delle costruzioni antiche richiedeva certamente particolare cura
e anche azioni di rilavorazione, lisciatura, sagomatura
per rendere gli elementi nuovamente utilizzabili 3.
Dalla metà circa del XII secolo la tipologia muraria
in area romana presenta una linea di sviluppo che diverrà riferimento sostanziale per i tipi murari realizzati
nel corso del XIII e XIV secolo, costituito da apparecchi murari con paramenti in scaglie sbozzate e spaccate
2
MONTELLI 2011.
Fig. 2. - Roma, Tor Chiesaccia sulla via Laurentina: particolare del
resto della volta in conglomerato cementizio.
secondo dimensioni che col tempo si ridussero fino a
raggiungere altezze pari a circa tre-cinque centimetri e
lunghezze pari a dieci-quindici centimetri (fig. 3).
In quest’ultimo tipo murario l’andamento dei giunti
orizzontali è divenuto progressivamente sempre più regolare e parallelo nei vari filari, così come le altezze
degli elementi lapidei che, oltre a diminuire come dimensione, divennero più costanti agli inizi del XIII secolo, quando si diffuse la tecnica muraria con paramenti
in blocchetti lapidei a corsi orizzontali.
L’inizio del XIII secolo vide dunque l’avvio di una
nuova fase di sviluppo della tecnica muraria; una stagione caratterizzata da mutate condizioni socio-economiche e produttive che trovarono espressione anche in
quel particolare tipo di apparecchio murario a blocchetti che si diffuse fra XIII, XIV e parte del XV secolo a Roma e nell’intera area in questione. La tecnica
a blocchetti sembra sostituirsi gradualmente agli apparecchi murari del secolo precedente e, ciò che sembra
3
ESPOSITO 2014, pp. 233-240.
TECNICHE MURARIE E ORGANIZZAZIONE DEL CANTIERE A ROMA E IN AREA ROMANA NEI SECOLI XII-XIV: ALCUNI INDICATORI
più significativo, a una concezione della muratura con
apparecchiatura meno regolare come quella del XII secolo. L’introduzione del nuovo apparecchio murario
può essere anche motivato dalla sua somiglianza al sistema costruttivo in laterizi di recupero, sempre meno
reperibili con lo scorrere del XIII secolo e perciò sostituti dai blocchetti lapidei. Ma la caratteristica sostanziale del sistema costruttivo in blocchetti rimane il
principio di standardizzazione degli elementi lapidei
che corrisponde ad una più razionale organizzazione del
lavoro del cantiere edile dell’epoca, secondo una tendenza in atto anche in altri ambiti culturali (nell’Alto
Lazio come nella Francia settentrionale o nel Regno di
Napoli) produttivi e organizzativi del lavoro edile dell’epoca.
La tecnica a blocchetti era realizzata con tufo, calcare compatto o poroso, arenaria, puddinga; era costituita da paramenti con blocchetti d’altezza costante che,
a seconda dei casi, variava da cm 4,5 a circa cm 9-10,
disposti ordinatamente, secondo filari regolari, corsi
orizzontali e giunti sfalsati e allettati con malta composta generalmente di calce e pozzolana. Il nucleo interno, compreso fra i paramenti in ‘tufelli’, era eseguito
per strati orizzontali di malta pozzolanica o di calce e
calcare o sabbia e di pezzame lapideo irregolare; la
messa in opera dei blocchetti del paramento e del nucleo avveniva così contemporaneamente, procedendo per
strati orizzontali sovrapposti: questo sistema di montaggio consentiva di ottenere una buona connessione fra
strati di paramento e nucleo della sezione muraria, tanto
più strutturalmente indispensabile, quanto più si trattava
di muri relativamente poco spessi e a differenza di quelli
‘a secco’ d’età romana.
Nel corso del XIV secolo l’apparecchio divenne più
irregolare, le dimensioni dei singoli elementi lapidei aumentarono e i ricorsi divennero meno lineari e paralleli fra loro; i blocchetti, pur mantenendo una
conformazione approssimativamente quadrangolare
persero rigore geometrico e precisione nel taglio e finitura delle superfici a vista (fig. 4). Il modulo aumentò
e i blocchetti ebbero una configurazione sempre più deformata o, in altri casi, mantennero la configurazione
regolare ma aumentarono la loro altezza fino a 13-15
centimetri (nel primo Quattrocento), per poi scomparire (fig. 5) 4.
4
Sullo sviluppo della tecnica a blocchetti in area romana si rimanda a ESPOSITO 1998. Per riferimenti agli interventi nel corso del
Medioevo alle mura aureliane di Roma, si rimanda al volume di
MANCINI 2001 e agli ampi riferimenti bibliografici in esso contenuti. Si ricorda inoltre un recente progetto di ricerca diretto da M.
347
Fig. 3. - Roma, Casale dei Gallicano sulla via Tiburtina: particolare
della sezione muraria della muratura con paramenti in blocchetti lapidei a corsi orizzontali.
Fig. 4. - Roma, Cappella di S. Nicola a Capo di Bove sulla via Appia
antica (1302): particolare del paramento in blocchetti lapidei.
Il muro in elevato
Alcune specifiche ragioni che possono aver condizionato i diversi caratteri di esecuzione delle murature
nell’area e nel periodo analizzati possono essere, accanto
alla possibilità di approvvigionamento e alle proprietà
meccaniche dei materiali da costruzione, le culture tecniche proprie di aree d’influenza meridionale, orientale,
longobarda, normanno-sveva e angioina. Si sottolinea
anche la peculiarità della tecnica e la sua distinguibilità
Medri (Le mura aureliane nella storia di Roma), in collaborazione
con l’Università di ‘Roma Tre’, la Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale e la Soprintendenza Speciale per il Colosseo,
il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma.
348
DANIELA ESPOSITO
delle loro finiture e delle sezioni,
la diversa maniera di concepire
la struttura muraria, la sua funzione e il suo comportamento
meccanico nell’ambito dell’intero organismo architettonico.
Il modo di costruire le strutture murarie è espressione di peculiarità dell’organizzazione del
cantiere romano: fino al XII secolo il cantiere era dotato di specifiche capacità esecutive,
specialistiche e settoriali. In particolare, l’apparecchio della sezione muraria appariva meno
serrato e compatto rispetto agli
esempi d’età imperiale che
erano in conglomerato cementiFig. 5. - Città del Vaticano, tratto di mura medievali (XIV secolo) sul tracciato della cinta leonina
con integrazioni moderne (in basso).
zio pieno con paramento in blocchetti lapidei e laterizi. Il nucleo
interno appariva invece, nei secoli centrali del Medioevo, sempre meno apparecchiato e più spesso costipato e messo in opera in modo disordinato rispetto agli
esempi romani (fig. 6). In tale fase l’apparecchio murario perdeva progressivamente il suo carattere di opera
‘cementizia’, in favore di una messa in opera meno ordinata e più caotica. L’aumento e, spesso, l’irregolarità
dei giunti di malta dell’allettamento degli elementi del
paramento murario erano il riflesso del modo di costruire
di un cantiere organizzato in modo da mettere in opera
paramenti a filari non rigorosamente orizzontali.
Nel XIII secolo queste caratteristiche si modificheranno in favore di un’attività più sistematica, razionale,
‘standardizzata’ e meno specialistica anche nel caso
dell’utilizzo di materiale da costruzione di recupero e
che dà luogo a murature in opera cementizia apparecchiate con paramenti in blocchetti e/o laterizi a filari
orizzontali. L’orizzontalità dei filari è il risultato della
modalità di apparecchiatura dei muri, ossia a strati orizzontali di blocchetti o laterizi e piccoli coementa con
abbondante malta nello spessore di un filare, per strati
successivi, secondo una procedura che ricordava appunto
la tecnica costruttiva d’età romana. La resistenza e compattezza della muratura erano insite proprio nella sua
apparecchiatura, a strati serrati e sovrapposti, e tenuti
Fig. 6. - Tivoli, resti di edificio religioso a Colle Ripoli: particolare
della sezione della struttura muraria dell’abside (XI-XII secolo).
insieme da ottima malta pozzolanica (fig. 3). Vi è inoltre da dire che ciò che non cambia, nell’arco temporale
soprattutto nel modo diverso di apparecchiare le muraanalizzato, è la particolare cura nella produzione e nella
ture e nell’individuazione delle componenti del propreparazione della malta di allettamento: a differenza
cesso costruttivo attraverso la lettura dei paramenti,
infatti delle modalità della messa in opera, la qualità,
TECNICHE MURARIE E ORGANIZZAZIONE DEL CANTIERE A ROMA E IN AREA ROMANA NEI SECOLI XII-XIV: ALCUNI INDICATORI
349
l’accuratezza e il livello di miscelazione rimangono
sempre di alto livello. Molto scarse sono le fonti relative a questo modo di costruire. Si può ricordare una
testimonianza di Poggio Bracciolini quando, a proposito delle mura aureliane e delle loro stratificazioni murarie, descriveva le strutture posteriori a quelle romane
che riteneva fragiles ac putrides e costituite da un insieme di pezzi di marmo e di laterizi (ex variis marmorum contritorum ac tegularum frustis conglutinata
est) 5. Non è possibile asserire con certezza che l’espressione conglutinata possa essere riferita alla tecnica costruttiva in opera cementizia apparecchiata delle
murature medievali che Bracciolini descriveva. Appare
comunque significativo l’uso di un termine che fa riferimento alla composizione di più parti lapidee ‘legate’
in un insieme.
L’osservazione diretta dei caratteri costruttivi delle
murature medievali in area romana fornisce più spunti
interpretativi delle fonti indirette, proprio riguardo il modello strutturale e costruttivo di riferimento, soprattutto
per le modalità d’‘ingranamento’ degli spessori murari.
Nelle murature nelle quali prevale la struttura e l’apparecchiatura dell’opera cementizia, sussistono legami
fra gli elementi per adesione. Il processo costruttivo
sembra aver seguito, in questi casi, la messa in opera dei
blocchetti o dei laterizi sui bordi dello spessore murario
filare per filare, strato per strato, lungo allineamenti
orizzontali, in modo uniforme e continuo. Il muro sembra così, in sezione, apparecchiato come un’unica struttura, un unico blocco, un ‘monolite’ con i soli
orizzontamenti delle bancate che, nel caso delle murature
in blocchetti, sono realizzati, in media ogni 7-8 filari
(circa cm 50-60). Blocchetti parallelepipedi trasversali
disposti ‘di testa’ coadiuvavano l’ingranamento dell’apparecchiatura muraria nel suo spessore. Il carattere unitario e compatto, apparecchiato per strati sottili
orizzontali sembra coincidere con una forma particolare
di comportamento strutturale che si concretizza, nel caso
di crolli, con rotture a blocco anche di grandi dimensioni 6.
In tutti i casi analizzati, le tracce dei fori pontai, la
posa in opera degli elementi lapidei e della malta, l’apparecchiatura del muro e delle angolate, danno testimonianza del modello strutturale e costruttivo di
riferimento. In particolare, ad esempio, proprio nel
Lazio meridionale e in Sabina, al confine con l’area d’influenza romana, la tecnica a blocchetti a filari orizzontali è caratterizzata da angolate in blocchi squadrati di
calcare o di tufo alti circa cm 15-30 7. Si riconosce in
questi casi una modalità costruttiva che costituisce un
modello intermedio fra le strutture murarie di area romana, con angolate di soli blocchetti lapidei, e quelle
del Lazio meridionale e della Sabina, con blocchi di rinforzo alle angolate, anche di notevoli dimensioni (cm
20-30 d’altezza), e dunque consuetudini costruttive peculiari della cultura tecnica meridionale e d’influenza
umbro-abruzzese.
BRACCIOLINI 1940, III, p. 245.
Le strutture in cui prevalga il legame per attrito tendono, in
caso di crollo, a frantumarsi in parti minute (DOGLIONI, PARENTI 1993,
p. 154). Diversa appare infatti la condizione di stabilità e di risposta meccanica alle sollecitazioni delle murature coeve presenti nel
Lazio, dove, ad esempio, si riscontrano nuclei incastrati o costipati.
In questi casi si tratta di sezioni resistenti per attrito più che per adesione, anche se è possibile trovare soluzioni miste di adesione e attrito insieme. Tali differenze di messa in opera e, quindi, di
comportamento strutturale sono anche determinate, a differenza dei
casi in area romana, dagli spessori murari (Ibidem, pp. 150-154). In
questi esempi, in caso di crollo, le strutture spesso si rompono frammentandosi in parti anche di piccole dimensioni.
7
Edifici in muratura con paramenti in blocchetti lapidei e angolate in grandi blocchi apparecchiati sono rilevabili, nel Lazio meridionale, a Colleferro (Roma), Artena (Roma), Frosinone, Sgurgola
(Frosinone), Anagni (Frosinone), Sermoneta (Latina), Serrone (Latina); in Sabina sono presenti a Scandriglia (Rieti), Poggio Mirteto
(Rieti) e altri centri ai confini orientali del distretto romano.
8
BIANCHI 1996, pp. 53-65.
5
6
Materiali e lavorazione
Tali osservazioni legate alla natura strutturale ma
anche ai modelli di riferimento della costruzione muraria medievale nell’area geografica in questione e in
altri ambiti regionali vicini con culture tecniche diverse,
richiamano la diretta relazione fra diffusione dei saperi
tecnici e i procedimenti costruttivi nel Medioevo 8. E
proprio all’interno dell’area romana si possono individuare caratteri che testimoniano l’adesione a procedimenti costruttivi peculiari e indipendenti da fattori
naturali come ad esempio la natura stessa dei materiali
da costruzione, la loro lavorabilità e facilità di messa
in opera. Per le murature in cementizio e paramenti in
blocchetti lapidei il materiale è sia di reimpiego e di riciclo, sia di primo uso. Nei due casi saranno state diverse le modalità e le procedure di estrazione,
smontaggio, lavorazione e utilizzo. Ma il taglio e la dimensione degli elementi del paramento, nonché delle
parti lapidee della sezione muraria seguivano un modello strutturale e costruttivo predeterminato al punto
350
DANIELA ESPOSITO
di lavorare allo stesso modo e tagliare con le medesime
dimensioni e configurazione blocchetti in ogni tipo di
materiale (dal marmo alla puddinga, dall’arenaria al
tufo vulcanico, dalla lava leucititica al calcare compatto).
Il taglio era predeterminato e faceva riferimento a moduli e configurazioni standardizzati. Era realizzato, pur
se con qualche lieve variante a seconda del materiale e
della sua lavorabilità, indifferentemente con i diversi materiali lapidei citati. Un’altra questione riguarda proprio
l’origine del materiale da costruzione, se cioè provenga
da una cava e sia stato quindi estratto e confezionato
appositamente per la costruzione di una determinata
struttura muraria o, come è stato spesso riscontrato, se
sia stato recuperato da edifici preesistenti in loco o in
aree limitrofe o fatto giungere appositamente da luoghi
diversi, come nel caso, a titolo d’esempio, della torre
del casale dei SS. Quattro Coronati sulla via Tuscolana 9.
Il denominatore comune non è solo, per ciò che concerne l’uso dei materiali per la costruzione delle strutture murarie, la composizione della struttura geologica
dell’area su cui la fabbrica insiste, poiché, nel caso di
un ‘recupero’, la disponibilità d’un certo tipo di materiale naturale è sia in stretta relazione con la sua presenza nell’area, con l’esistenza di cave per la sua
estrazione, sia anche con la reperibilità locale dello
stesso: essa è perciò legata, per motivi economici, anche
al sistema dei trasporti e alla viabilità.
Così avviene che nella confezione della malta prevalga, nella maggior parte dei casi, l’uso di calce e di
granuli di pozzolana nera o rossa, di piccole scaglie di
tufo e di altri piccoli inerti, come ad esempio il pietrisco, materiali presenti in quantità notevoli nel territorio laziale e romano; ma, non appena ci si allontani
dall’ambito territoriale raccolto intorno agli apparati
vulcanici dei monti Vulsini, Cimini, Sabatini e dei Colli
Albani (per citare solo i più importanti), non è raro riscontrare anche l’uso di malta di calce, ghiaia e sabbia
o di calce, sabbia e pietrisco, con conseguente variazione anche della granulometria e della sua consistenza,
valutata soprattutto nel tempo.
Tornando alla configurazione dei blocchetti, gli elementi lapidei impiegati nella muratura sono squadrati
più o meno regolarmente e presentano una finitura superficiale solo sulla faccia a vista per i blocchetti del
paramento, su due facce ortogonali fra di loro per i blocchetti angolari. La rimanente parte risulta spesso sbozzata irregolarmente con sagoma ‘a cuneo’, in sezione
verticale, e triangolare o, più spesso, trapezoidale, in sezione orizzontale (fig. 7). I blocchetti del paramento sono
configurati per aderire meglio al nucleo interno: le loro
altezze oscillano da un minimo di circa quattro a un massimo di circa nove centimetri e mezzo, mantenendosi
costanti entro la stessa struttura muraria; il rapporto altezza-lunghezza varia sensibilmente da 1:2 a 1:3, mentre la profondità è compresa fra i valori dell’altezza e
quelli della lunghezza (fig. 3). L’altezza dei blocchetti
rimane costante, a differenza della lunghezza che varia
sensibilmente. I filari, misurati nella dimensione in altezza data dalla successione di un blocchetto e di un
giunto di malta, sono costanti: ciò significa che anche
lo strato di malta d’allettamento fra gli elementi lapidei contribuisce a mantenere, talvolta regolarizzandola,
la dimensione dei filari.
I blocchetti del paramento interno ed esterno sono
poi disposti a giunti sfalsati e secondo corsi orizzontali
generalmente paralleli.
9
Si rimanda, per la struttura geologica del territorio laziale, alla
vastissima bibliografia esistente su tali argomenti, da cui possono
enuclearsi i seguenti testi: LUGLI 1957 (particolarmente il I volume,
pp. 234-333); RODOLICO 1965; FORNASERI, SCHERILLO, VENTRIGLIA
1963; VENTRIGLIA 1971; CAMPONESCHI, NOLASCO 1978-1986, con
ampia bibliografia all’interno dei singoli volumi e relativa a ciascuna
area geo-morfologica descritta. Strumenti di base sono anche la Carta
Idrogeologica del territorio della Regione Lazio (1:250000), curata
da C. Boni, P. Bono, G. Capelli, e il Modello litostratigrafico-strutturale della Regione Lazio (1:250000), curata da G. Bigi, D. Cosentino e M. Parotto: opere redatte per conto della Regione Lazio,
Assessorato alla Programmazione-I.C.A., Ufficio Parchi e Riserve
Naturali, e dell’Università degli Studi di Roma ‘Sapienza’, Dipartimento di Scienze della Terra, Laboratorio di Idrogeologia (la Carta
Idrogeologica) e Sezione di Geologia (il Modello litostratigraficostrutturale).
Fig. 7. - Castelnuovo di Porto (RM), Torre del castello di Belmonte:
blocchetto di tufo litoide con tracce della lavorazione ‘a spacco’ con
martellina.
TECNICHE MURARIE E ORGANIZZAZIONE DEL CANTIERE A ROMA E IN AREA ROMANA NEI SECOLI XII-XIV: ALCUNI INDICATORI
351
Fig. 8. - Roma, Casale dei Gallicano sulla via Tiburtina: particolare
della finitura superficiale del muro in elevato di un edificio (XIII
secolo) presso la torre (XII secolo).
Fig. 9. - Cisterna di Latina, Castello di Ninfa: particolare della finitura ‘a scivolo’ dei giunti del paramento di un edificio del XIII
secolo presso la chiesa di S. Maria Maggiore.
Per ciò che riguarda la finitura dei giunti orizzontali
di malta, essa risulta spesso eseguita a ‘scivolo’ o a ‘filopietra’ o lievemente arretrata rispetto all’allineamento
dei blocchetti lapidei; talvolta si è riscontrata una finitura estesa anche ai giunti verticali (figg. 8 e 9).
nerali costituenti il lessico tecnico-costruttivo comune
di base.
Non ci si riferisce quindi alla ‘tipologia’ della struttura muraria, nel suo insieme, quanto piuttosto a come
determinate ‘regole’ generali della tecnica costruttiva romana siano state declinate, differenziandosi, e come
queste varianti e le diverse realtà regionali abbiano caratterizzato, tutte insieme, la medesima tecnica a blocchetti nel territorio, sincronicamente e diacronicamente.
Riguardo al taglio e alla lavorazione dei blocchetti,
la diversa configurazione dei blocchetti (o bozzette, a
seconda del grado di finitura), dipende o dal tipo di materiale o dal carattere delle maestranze locali e può
quindi collegarsi a ben determinate aree regionali; ma
può anche corrispondere a determinati periodi storici e
divenirne così un parametro indicativo delle fasi di
escavazione e di taglio.
Pertanto all’interno dell’area omogenea interessata dalla diffusione della tecnica a blocchetti lapidei la presenza di costruzioni con murature con paramenti in blocchetti
e di bozzette si articola spesso secondo un andamento non
casuale ma, come rilevato ad esempio per Roma, secondo
uno sviluppo che da conformazioni irregolari ed appena
lavorate si modifica, in pieno XIII secolo, in blocchetti
ben squadrati, sbozzati o rifiniti, per poi nuovamente assumere una conformazione meno regolare nel corso del
XIV secolo e nei primi decenni del secolo successivo.
Sono casi, questi, riscontrabili nella struttura muraria della Tor Maggiore, sulla via Ardeatina (ante 1195), nei resti della Rocca Savelli sull’Aventino (terzo quarto del XIII
secolo), nella cappella di S. Nicola a Capo di Bove, sulla via Appia antica (1302) (fig. 10) 10. La tecnica e il ta-
Varianti tecnico-esecutive
La tecnica costruttiva medievale in blocchetti, come
quella con paramenti in laterizi e in listato, segue dunque alcune ‘regole’ generali di esecuzione che, per le
murature in blocchetti, possono essere sintetizzate in:
la configurazione quadrangolare e cuneiforme in sezione
degli elementi lapidei, la loro lavorazione e livello di
finitura, le loro caratteristiche dimensionali, le modalità della messa in opera a corsi orizzontali ed infine la
composizione e le caratteristiche meccaniche delle
stesse malte utilizzate.
Molto forte risulta soprattutto l’influenza della cultura romana, testimoniata peraltro dalla stessa tecnica
a blocchetti ed anche dalla presenza di particolari valori dimensionali riferiti ad unità di misura in uso nella
città ed in buona parte dell’’area romana’. Alcune varianti tecnico-esecutive, come la ricorrenza di blocchetti
di taglio e dimensioni in altezza tipiche di alcuni gruppi
di murature localizzate in ambiti regionali particolari o
il loro livello di finitura e le modalità di lavorazione,
anch’essi legati a maestranze specifiche, rappresentano
altrettante realtà costruttive locali connotate da caratteri distintivi peculiari che si differenziano da quelli ge-
Fig. 10. - Roma, Rocca Savelli, cinta muraria: particolare del paramento in blocchetti di tifo litoide lionato (seconda metà XIII secolo).
Fig. 11. - Cisterna di Latina, Castello di Ninfa, rocca: particolare del
paramento merlato (XIII secolo) con soprelevazione (XIV secolo).
ai limiti dell’area di diffusione della muratura nel XIII e
XIV secolo si possono individuare esempi nei quali la conformazione e la lavorazione dei
blocchetti per la costruzione
era piuttosto irregolare, con lavorazione appena accennata, a
spacco o a sbozzatura, con la
martellina, e spesso senz’altra
finitura sulla faccia esterna
del blocchetto. Si trattava, in
questi casi, di consuetudini
costruttive di maestranze locali, spesso influenzate anche
dalla natura del materiale lapideo utilizzato, come è possibile osservare, ad esempio, in
Sabina, nei blocchetti calcarei
presenti a Nerola, nella chiesa
di S. Maria del Colle a PontiFig. 12. - Palombara Sabina, Castello di Castiglione: particolare del paramento interno della muracelli, presso Scandriglia, neltura di un edificio adiacente alla torre interna alle mura (XIII secolo).
la chiesa di S. Paolo a Poggio
glio dei blocchetti raggiunse, fra la prima e la seconda metà
Nativo, in quella di S. Alessandro a Toffia, a Fara in Sadel XIII secolo, un livello di regolarità notevoli anche nebina e a Poggio Mirteto (fig. 12) 12.
gli immediati dintorni di Roma o a Cave, Paliano, RocAnche sui monti Cornicolani, Lucretili ed in area tica Massima, Sermoneta, Ninfa, o anche al castello di Corburtina sono stati riscontrati numerosi esempi in boznazzano, presso Galeria (fig. 11) 11. In alcuni settori posti
zette, prevalentemente calcaree, come nel castello di
10
Nel 1334 Tor Maggiore apparteneva ai Savelli col nome di
Turris maior; ma le caratteristiche della struttura muraria a bozzette
tufacee fa ipotizzare un’origine anteriore a questa data, collocabile
alla fine circa del secolo XII (cfr. TOMASSETTI 1979, II, pp. 514515; DE ROSSI 1980, pp. 74-76). La rocca dei Savelli fu costruita
nel XIII secolo sui resti di una precedente fortificazione (cfr. KRAUTHEIMER 1980, pp. 385-386 e DELOGU 1983, p. 711). La chiesa di
S. Nicola sorgeva nel castrum Caietani, acquistato dal cardinale Fran-
cesco Caetani nei primi anni del XIV secolo (cfr. RIGHETTI TOSTI
CROCE 1983, pp. 497-510, con riferimenti bibliografici).
11
A proposito del castello di Cornazzano cfr. TOMASSETTI 1979,
pp. 72-74; DE ROSSI 1980, pp. 193-194).
12
Per la chiesa di S. Alessandro a Toffia e dell’annesso convento
(i suoi resti sono stati recentemente distrutti per far posto ad una
nuova costruzione) si rimanda a THEULI, COCCIA 1967, pp. 290-293.
TECNICHE MURARIE E ORGANIZZAZIONE DEL CANTIERE A ROMA E IN AREA ROMANA NEI SECOLI XII-XIV: ALCUNI INDICATORI
353
tempo permette così, da una parte, di risalire ad una distinzione fra le consuetudini locali e, dall’altra, d’interpretare con chiavi di lettura specifiche, proprie della
cultura locale, lo sviluppo della tecnica costruttiva a
blocchetti lapidei.
Bibliografia
Fig. 13. - Tivoli (RM), Casa in via del Tempio d’Ercole 16: particolare della facciata (XIII secolo).
Grotta Marozza (XIII secolo), a Montecelio, nei ruderi
del castello di Marcellino, presso Marcellina (primi del
XIII secolo), e di Saracinesco (XIII secolo) ed ancora
nel castello sul colle S. Croce (XIII secolo) 13; a Tivoli,
dove il materiale, quasi del tutto di recupero, risulta appena sbozzato o spaccato (fig. 13).
Si può dunque riconoscere, nella conformazione, più
o meno regolare e squadrata, e nel grado di lavorazione
dei blocchetti lapidei (semplicemente sbozzati o finiti
almeno sulla faccia a vista), due parametri significativi
(e oltre a quelli dimensionali, della messa in opera e
delle caratteristiche dei giunti e della malta) ai fini della
loro collocazione entro cantieri e ambiti cronologici definiti.
Il riconoscimento del carattere degli elementi distintivi precedentemente descritti e del loro sviluppo nel
13
Per Grotta Marozza, i castelli di Marcellino e Saracinesco e
l’insediamento sul colle di S. Croce, cfr. COSTE 1988, pp. 398-400.
BARCLAY LLOYD 1985 = J. BARCLAY LLOYD, Masonry tecniques in medieval Rome c. 1080-1300, in BSR, LIII, 1985,
pp. 225-276.
BERNARDI, ESPOSITO 2009 = PH. BERNARDI, D. ESPOSITO, Recyclage, récuperation, remploi. Les diverses formes
d’usage de l‘«ancien» dans l’architecture du Xe au XIIIe
siècle, in P. TOUBERT, P. MORET (edd.), Remploi, citation,
plagiat. Conduites et pratiques médiévales (Xe-XIIe siècle), Madrid 2009, pp. 191-210.
BIANCHI 1996 = G. BIANCHI, Trasmissione dei saperi tecnici
e analisi dei procedimenti costruttivi, in AArchit, 1, 1996,
pp. 53-65.
BRACCIOLINI 1940 = P. BRACCIOLINI, Narracio de varietate
Fortunae, in R. VALENTINI, G. ZUCCHETTI (a cura di), Codice topografico della città di Roma, III, Roma 1940, p.
245.
CAMPONESCHI, NOLASCO 1978-1986 = B. CAMPONESCHI, F. NOLASCO, Le risorse naturali della Regione Lazio, I-VIII,
Roma 1978-1986.
COSTE 1988 = J. COSTE, I villaggi medievali abbandonati dell’area dei Monti Lucretili, in G. DE ANGELIS (a cura di),
Monti Lucretili. Invito alla lettura del territorio, Roma
1988, pp. 398-400.
DELOGU 1983 = P. DELOGU, Castelli e palazzi: la nobiltà duecentesca nel territorio laziale, in ROMANINI 1983, pp.
705-716.
DE ROSSI 1980 = G.M. DE ROSSI, Torri medievali della Campagna romana, Roma 1980.
DOGLIONI, PARENTI 1993 = F. DOGLIONI, R. PARENTI, Murature a sacco o murature a nucleo in calcestruzzo? Precisazioni preliminari desunte dall’osservazione di sezioni
murarie, in G. BISCONTIN, D. MIETTO (a cura di), Calcestruzzi antichi e moderni: storia, cultura e tecnologia. Atti
del Convegno di Studi (Bressanone, 6-9 luglio 1993), Padova 1993, pp. 137-156.
ESPOSITO 1998 = D. ESPOSITO, Tecniche costruttive murarie
medievali. Murature ‘a tufelli’ in area romana, Roma
1998.
ESPOSITO 2005 = D. ESPOSITO, Architettura e costruzione dei
casali nella Campagna Romana fra XII e XIV secolo,
Roma 2005.
ESPOSITO 2008 = D. ESPOSITO, Selezione e posizione degli elementi di reimpiego nelle tessiture murarie: osservazioni
su alcuni esempi in area romana fra XII e XIV secolo, in
J-FR. BERNARD, Ph. BERNARDI, D. ESPOSITO (a cura di),
Il reimpiego in architettura. Recupero, trasformazione,
uso, Roma 2008, pp. 625-637.
ESPOSITO 2009 = D. ESPOSITO, Realidad de la arquitectura y
técnicas constructivas de los muros medievales en Roma
y en Lazio (Italia). Reflexiones sobre la recuperación del
opus caementicium romano, in S. HUERTA, R. MARÍN, R.
SOLER, A. ZARAGOZÁ (edd.), Actas del Sesto Congreso Na-
354
DANIELA ESPOSITO
cional de Historia de la Construcción (Valencia, 21-24
de octubre de 2009), I, Madrid 2009, pp. 415-424.
ESPOSITO 2014 = D. ESPOSITO, The reuse building site in the
Roman area through the Middle Ages and contemporary
times, in V. RUSSO (ed.), Landscape as Architecture. Identity and conservation of Crapolla cultural site, Firenze
2014, pp. 233-240.
FORNASERI, SCHERILLO, VENTRIGLIA 1963 = M. FORNASERI,
A. SCHERILLO, U. VENTRIGLIA, La regione vulcanica dei
Colli Albani. Vulcano Laziale, Roma 1963.
KRAUTHEIMER 1980 = R. KRAUTHEIMER, Roma. Profilo di una
città 312-1308, Roma 1980.
LUGLI 1957 = G. LUGLI, La tecnica edilizia romana, Roma
1957.
MANCINI 2001 = R. MANCINI, Le mura aureliane di Roma:
atlante di un palinsesto murario, Roma 2001.
MONTELLI 2011 = E. MONTELLI, Tecniche costruttive mura-
rie medievali. Mattoni e laterizi in Roma e nel Lazio fra
X e XV secolo, Roma 2011.
RIGHETTI TOSTI CROCE 1983 = M. RIGHETTI TOSTI CROCE,
Un’ipotesi per Roma angioina: la cappella di S. Nicola nel
castello di Capo di Bove, in ROMANINI 1983, pp. 497-510.
RODOLICO 1965 = F. RODOLICO, Le pietre delle città d’Italia,
Firenze 1965.
ROMANINI 1983 = A.M. ROMANINI (a cura di), Roma anno
1300. Atti della IV settimana di studi di Storia dell’Arte
Medievale dell’Università di Roma “La Sapienza” (1924 maggio 1980), Roma 1983.
THEULI, COCCIA 1967 = B. THEULI, A. COCCIA, Apparato minoritico della Provincia di Roma, Roma 1967.
TOMASSETTI 1979 = G. TOMASSETTI, La campagna romana
antica, medioevale e moderna, Firenze 1979.
VENTRIGLIA 1971 = U. VENTRIGLIA, La geologia della città
di Roma, Roma 1971.
PRODUZIONE EPIGRAFICA TRA TARDA ANTICHITÀ ALTO MEDIOEVO
DISCONTINUITÀ E TRADIZIONE
Carlo Carletti
Premessa
Allo stato attuale il patrimonio epigrafico finora pervenuto, prodotto tra il VII secolo a.C. e il VII d.C., si
può verosimilmente quantificare in circa 600.000 esemplari latini e greci, dei quali 400.000 (2/3 del totale) in
lingua latina. Un accumulo di ‘conoscenze’ perennemente ‘in fieri’, suscettibile cioè di continui nuovi incrementi, stimati solo per l’Italia in circa 1.000 esemplari
all’anno, dei quali più della metà riferibili a Roma.
Dietro e dentro questi numeri – che restano parziali
e solo indiziari di una realtà produttiva non definibile
nelle sue effettive dimensioni – si muove comunque una
storia articolata e progressiva di lunga durata – circa
dieci secoli – che allo stato attuale si lascia leggere con
sufficiente attendibilità almeno nelle sue linee portanti.
La scansione temporale dei flussi di produzione – almeno nelle sue linee essenziali – è ormai generalmente
definita nei seguenti termini: una crescita continua e ininterrotta – quasi impetuosa – tra la nascita del principato
e l’età severiana; un sensibile rallentamento nella seconda metà del III secolo e, in sequenza, un ciclo non
lineare – di ascesa e discesa – dall’età protocostantiniana fino ai secoli dell’altomedioevo, decisivi per
Roma come terminali irreversibili di processi secolari
in relazione alla stabilità, alla fruizione, alla diffusione
sociale, ai diversificati caratteri assunti nel tempo dalla
produzione epigrafica, dunque un diagramma diacronico
di espansione e contrazione dell’uso di ‘scrittura esposta’ 1. Si trattò – in principio – di una vera e propria
‘esplosione epigrafica senza precedenti’ 2, cresciuta costantemente nel corso dei primi tre secoli nelle città dell’impero, piccole e grandi che fossero, fino a configurare
una ‘koiné epigrafica’ che, almeno fino al V secolo, rimane sostanzialmente omogenea 3 pur considerando le
variabili di densità e diffusione che emergono soprattutto a Roma, in Italia e in alcune aree provinciali dell’Impero come l’Africa e le Gallie.
L’avvio di un fenomeno di queste dimensioni – che
trova il suo epicentro in età augustea – ha la sua ragion
d’essere in una molteplicità di motivazioni tra loro complementari, relative ad una apprezzabile diffusione dell’alfabetizzazione, alle dinamiche demografiche, alla
economia, agli assetti politico-ideologici, all’immaginario collettivo: tutti fattori che, nel loro sviluppo estensivo,
si collocano non a caso nell’età proto e medio imperiale
«in concomitanza, da un lato con la formazione di un largo
senso di appartenenza...dall’altro con il convincimento indotto e diffuso tra gli utenti di essere partecipi di una svolta
epocale, dell’inizio di un nuovo saeculum in cui l’ordine
instaurato si sarebbe perpetuato» 4.
In questo orizzonte quasi naturalmente si andò consolidando una vera e propria ‘consuetudine’ all’uso della
scrittura epigrafica, che la storiografia contemporanea
ha condensato nel concetto di epigraphic habit 5. E, in
effetti, soprattutto nei primi tre secoli dell’impero il me-
PETRUCCI 1986, p. 3.
2
PANCIERA 2006, p. 100.
3
MZOREK 1973, pp. 113-118 e MZOREK 1988, pp. 61-64; nel diagramma annesso (MZOREK 1973, p. 114) si osserva come nell’arco
temporale compreso tra l’età augustea e il 268-284 le iscrizioni latine (Mzorek fonda l’esemplificazione sulle testimonianze datate)
raggiungano il picco massimo nell’età di Settimio Severo; HARRIS
1991, pp. 320-324. Le statistiche elaborate da Mzorek sono riprese
e adeguatamente commentate da MACMULLEN 1982, pp. 243-245.
4
PANCIERA 2006, p. 100.
5
Su questo concetto vd. MANN 1985, pp. 204-206; MEYER 1990,
pp. 74-96; BODEL 2001, pp. 6-10 il quale nella genesi e nello sviluppo di questo fenomeno vede piuttosto una pluralità di fattori concomitanti, oltre a quello di ‘ordine psicologico’ (fiducia nei riguardi
del futuro) sottolineato da MacMullen; per una sintesi aggiornata
1
356
CARLO CARLETTI
dium epigrafico sembra riflettere una società di dialogo,
nella quale emittenti e riceventi sono molteplici e di fatto
socialmente trasversali 6: un macrofenomeno che trova
la sua giustificazione prossima nella complementarietà
degli elementi di complessità che qualificano lo spazio
fisico e culturale, che per eccellenza può ritenersi il terreno di gestazione e di sviluppo dell’uso di ‘scrittura
esposta’, vale a dire la città. È, infatti, negli insediamenti urbani – piccoli o grandi che fossero – e nel loro
immediato suburbio, che si registra una estesa e diffusa
esposizione di prodotti epigrafici, presenti dappertutto
in tutte le loro declinazioni funzionali, che prevedevano
ciascuna specifiche norme e procedure - testuali e formali - consolidate e generalmente osservate 7.
Fino all’età severiana, la pluralità funzionale e la prevalente ubicazione in spazi aperti dei prodotti epigrafici ne avevano deterrminato una sostanziale omogeneità
produttiva nei suoi esiti formali, estetici, trasmissivi. A
tale risultato concorrevano l’elaborazione di un linguaggio con proprie strutture testuali e con un repertorio formulare codificato dall’uso (e perciò più
facilmente riconoscibile e memorizzabile dal pubblico
anche nelle forme abbreviate), nonché la progressiva canonizzazione di uno stilema grafico uniforme: la «capitale epigrafica».
Sul piano tecnico-esecutivo si erano consolidate specifiche competenze nella scelta di supporti adeguati agli
scopi previsti e compatibili ai contesti monumentali di
appartenenza, nell’organizzazione degli spazi di scrittura e nel trattamento delle forme grafiche: la scomposizione prospettica dei tratti delle lettere ottenuta
mediante la tecnica – tipicamente romana – dell’incisione a sezione triangolare; l’impaginazione armoniosamente simmetrica nell’equilibrio tra spazi vuoti e
pieni e nella variazione modulare dei caratteri e degli
spazi interlineari e dei margini; la definizione di uno
specchio epigrafico con modanature e cornici; infine l’inserimento sintatticamente coerente di apparati figurativi. Tecniche e dispositivi, che concorrevano alla
realizzazione di prodotti formalmente rigorosi e pienamente leggibili o quantomeno percepibili sul piano figurale, esito dell’attività di botteghe epigrafiche nelle
quali si erano radicate eccellenti abilità professionali.
Litteras lapidarias scio dice Hermeros nel Satityricon
(58, 7) quasi a significare che il suo livello di alfabe-
di queste problematiche e delle relative interpretazioni vd. TROUT
2009, pp. 170-186.
6
PETRUCCI 1986, pp. 3-6; CAVALLO 1991, pp. 203-204.
tizzazione derivava anche dalla consuetudine con le
scritture esposte, che lui come altri potevano quantomeno visivamente percepire se non compiutamente leggere negli spazi aperti della città. Di fatto nei pimi tre
secoli dell’età imperiale l’espansione e l’alto livello
tecnico-esecutivo raggiunto dalla produzione scritta
esposta aveva condotto la scrittura epigrafica (e soprattutto quelle monumentale di apparato) al vertice di
una gerarchia ideale della norma grafico-espressiva.
Le trasformazioni nel tardo antico, ovvero ‘la terza età
dell’epigrafia’
Nel corso dell’età severiana nella produzione epigrafica iniziano a manifestarsi le prime alterazioni, destinate ad una sempre maggiore incidenza nel corso
della tarda antichità e dell’altomedioevo. Questa fase
ultima dell’epigrafia romana è stata efficacemente definita da Gabriel Sanders come ‘terza età dell’epigrafia’: un concetto storiografico che non vuole indicare
né stigmatizzare un’epoca di irreversibile senescenza,
ma individuare nella produzione dei secoli IV-VIII
aspetti e momenti «di sopravvivenza, di rinnovamento
o di caduta dei linguaggi epigrafici» 8.
In questa direzione particolarmente significativi si
rivelano – sopratutto a Roma – i materiali conservati
negli insediamenti catacombali romani che, seppure generalmente trascurati nella storia della scrittura epigrafica tardo antica, non passarono però inosservati
all’attenzione di uno studioso come Armando Petrucci,
che ne intuì il notevole potenziale documentario per la
storia ‘globale’ della scrittura romana e, in particolare,
in direzione della sua diffusione sociale, tanto da suggerirgli l’icastica immagine delle catacombe come «vere
e proprie città sotterranee dello scritto» 9.
Negli oltre km 100 di estensione lineare delle gallerie dei cimiteri di Roma, in un insieme di oltre 50.000
esemplari, si conserva una sorprendente varietà di soluzioni epigrafiche. Accanto alle iscrizioni lapidarie,
normative per eccellenza, convivono quelle rubro, nigro
o albo pictae, quelle a mosaico e in opus sectile, quelle
‘a sgraffio’ su intonaco e talora su marmo o supporto
fittile, quelle variamente impresse a sigillo e quelle infine, numerosissime e neglette, cosiddette ‘a nastro’,
PETRUCCI 1986, p. 3.
Vd. in DONATI 1988, pp. 5-6.
9
PETRUCCI 1995, p. 49.
7
8
PRODUZIONE EPIGRAFICA TRA TARDA ANTICHITÀ ALTO MEDIOEVO. DISCONTINUITÀ E TRADIZIONE
tracciate cioè sulla malta ancora molle che fissava le lastre di chiusura (marmoree o fittili) alle bocche dei loculi. Questa convivenza di tecniche tra loro diverse e
per molti aspetti ‘empiriche’ e talvolta palesemente ‘extraofficinali’ non costituisce in sé sintomo di una complessiva crescita dell’utenza, come anche indicato in
piena età tardoantica dall’aumento delle sepolture anepigrafi.
Un insediamento emblematico di questa realtà è il
cimitero di Commodilla sulla via Ostiense 10. In questa
vasta necropoli, attiva con diversificate fasi di intensità
dalla metà del IV secolo alla seconda metà del VI,
emerge in termini espliciti come si fosse ormai ineluttabilmente avviata una accentuata disomogeneità sociale
nella utenza delle ‘iscrizioni ultime’. Due regioni campione, particolarmente significative per il numero altissimo di sepolture ancora intatte – quella di Leone
officialis annonae e della galleria Bb – presentano dati
significativi: su un complesso di 852 sepolture, tutte o
quasi nella tipologia del loculo parietale, soltanto 68 recano una iscrizione, cioè l’8% 11. Per tutte le altre gli
unici ‘segnacoli’ visibili – ma non identificativi dei defunti – sono i segni cristologici tracciati sulla malta ancora fresca dei loculi e/o la presenza, sul medesimo
supporto, di lucerne fittili, recipienti vitrei, oggettini di
avorio e osso, pezzetti di marmo multicolore, ovvero
resti del pasto rituale (refrigerium) come valve di conchiglie, chiocciole, lische di pesce 12: una gran parte degli
inumati giaceva in definitiva nel più totale anonimato.
Una realtà speculare si osserva in altre coeve aree funerarie: nella regione del I piano del cimitero di Panfilo sulla via Salaria vetus (gallerie A13-A24) 13, nel
cimitero di S. Agnese sulla via Nomentana 14, in quello
dei SS. Marcellino e Pietro sulla via Labicana 15, le sepolture iscritte si attestano rispettivamente al 3%, al 14%,
al 10%.
Questo squilibrio si avverte sensibilmente anche
nelle enormi basiliche cimiteriali a deambulatorio
erette tra circa il 330 e il 350 16. Sulla via Appia entra
in attività la basilica Apostolorum, dove tra il primo
CARLETTI 1994, pp. 3-27; DE SANTIS 1994, pp. 23-51.
La sua azione come committente di una vasta regione cimiteriale è documentata da una iscrizone rubro picta esposta nel suo cubicolo di famiglia (ICVR III, 8669)
12
Vd. FÉVRIER 1978, pp. 262-263.
13
ICVR X, 26549, 26550, 26556, 26571, 26576, 26583, 26590,
26592, 26609, 26613.
14
ARMELLINI 1880, pp. 354-361.
15
GUYON 1986, pp. 315-317.
10
11
357
quadriennio del IV secolo e la metà del VI secolo (il
periodo di massima attività) 17, trovarono posto circa
1.000 inumati: 200 negli arcosoli ricavati lungo il perimetro, 800 nelle forme scavate sul piano di calpestio. Qui, rispetto ai coevi cimiteri ipogei, le
differenze, oltre che nelle ovvie diversità morfologiche e strutturali delle sepolture, emergono anche e –
soprattutto – nella frequenza della memoria scritta che
accompagna le sepolture visibili: l’incidenza delle
iscrizioni (586), tutte lapidarie, raggiunge un livello
altissimo, attestandosi quasi sul 60%. È il segno inequivocabile della presenza di un’utenza in gran parte
diversa per estrazione sociale e culturale e per capacità economiche rispetto alle masse per lo più anonime deposte in alcune aree dei cimiteri sotterranei.
E, in effetti, le grandi basiliche martiriali dislocate
sulle vie Appia, Cornelia, Ostiense, Flaminia, Nomentana, Tiburtina, Labicana per il prestigio dei martiri eponimi (Pietro, Paolo, Valentino, Agnese,
Lorenzo, Marcellino e Pietro) e per la loro visibilità
monumentale, si configurano fin dal loro sorgere
come dimora ultima prediletta dalle ‘gerarchie’ della
società, ecclesiastiche e laiche. In questi insediamenti
– quasi quartieri esclusivi in termini di effettiva visibilità – fondano la loro ultima dimora personaggi di
altissimo rango come Iunius Bassus praefectus urbi 18,
Sextus Claudius Petronius Probus prefetto del pretorio 19, Amnia Demetrias della famiglia degli Anicii 20,
Anicius Probus console del 525 21, Flavius Avitus Marinianus console del 423 22, Rufius Postumianus praefectus urbi dell’anno 400 23 e un gran numero di viri
clarissimi e clarissimae feminae, ecclesiastici, funzionari dell’amministrazione pubblica ed ecclesiastica, facoltosi commercianti, artisti famosi, come
Vitale, mimo e ventriloquo 24. Il prestigio di questi defunti eminenti è anche significato dalle dimensioni
enormi dei supporti che accolgono gli elogia funerari,
come si può osservare in alcune esemplari della basilica di S. Paolo f.l.m. per le iscrizioni del lettore Cin-
TOLOTTI 1982, pp. 153-211; TORELLI 1992, pp. 203-217; FIOCNICOLAI 1995-1997, pp. 776-786.
17
Questa l’attendibile stima formulata da TOLOTTI 1982, p. 161.
18
ICVR II, 4164, a. 359.
19
ICVR II, 4219 † 388.
20
ICVR VI, 15764, metà V secolo.
21
ICVR II, 4222.
22
ICVR II, 4102.
23
ICVR II, 4782.
24
ICVR V, 13655; COLAFRANCESCO 2006, pp. 213-228.
16
CHI
358
CARLO CARLETTI
Fig. 1. - Palermo. Insegna bilingue di una bottega epigrafica.
namius Opas 25, della clarissima femina Matrona 26,
del presbitero Felix 27, di Mandrosa 28.
Questi contenitori funerari di committenza imperiale ed ecclesiastica si imponevano come grandiose
strutture monumentali, come catalizzatori della pratica
funeraria tardo antica e, più in generale, come strutture
‘nuove’ nel paesaggio suburbano della città. Subentrano
gradualmente alla sepoltura sotterranea nelle catacombe,
caratterizzandosi come giganteschi e razionali container, capaci di accogliere migliaia di tombe: iscritte per
le élites, anepigrafi per ‘i comuni mortali’ per lo più stratificati nelle grandi fosse terragne.
Fig. 2. - Roma. Insegna di una bottega epigrafica.
Per l’ars epigraphica non abbiamo un corrispettivo
del de Architectura. Nondimeno – almeno ‘metaforicamente’ – si può tentare di entrare in una bottega epigrafica, sottolineando subito che allo stato attuale non
abbiamo evidenze archeologiche attribuibili alla struttura fisica, alla articolazione, alla contestuale strumentazione di un definito e riconoscibile impianto di
produzione 29. E tuttavia la possibile testimonianza archeologica di un atelier epigrafico può forse riconoscersi in due ambienti rinvenuti ad Ostia nel 1913 in
prossimità del teatro romano, forse riferibili al labora-
torio di un marmorarius, dove – secondo una recente
‘rilettura’ di Buonopane – venivano prodotti anche monumenti iscritti: lo indicherebbero la presenza di scaglie di marmo e una lastra con molte lettere tracciate
in rosso, riconducibile plausibilmente ad una minuta
epigrafica 30.
La sostanziale assenza di informazioni sui luoghi fisici di produzione è – seppur molto parzialmente –
compensata da alcuni esemplari epigrafici che si riferiscono a officine epigrafiche, a procedure di lavorazione,
al nome di qualche lapicida o calligrafo, come attestato
dalle insegne di Palermo (fig. 1) 31 e di Roma (fig. 2) 32,
da un’iscrizione sacra di Philippi (Macedonia) 33, da due
testi mutili urbani (fig. 3) 34, nonché dalla firma del celeberrimo calligrafo Furius Dionysius Philocalus incisa sul margine di alcuni elogia martyrum composti da
papa Damaso (fig. 4) 35. Da questa documentazione tuttavia emerge per un verso un lessico generico (scribere,
inscribere, incidere, sculpere, insculpere, scariphare) –
e non sempre propriamente tecnico – per indicare
l’azione «del produrre un’iscrizione», per l’altro l’occorrenza di un apax come il lemma ordinare dell’insegna di Palermo, certamente in antico recepita come un
ICVR II, 4815, a. 377.
ICVR II, 4928, a. 452.
27
ICVR II, 4958, a. 471
28
ICVR II, 4985, a. 485. È quanto opportunamente osservato da
FIOCCHI NICOLAI 2009, pp. 330-331.
29
Sulle linee guida preliminari per l’analisi dei molteplici aspetti
connessi alla produzione e alla organizzazione del lavoro di una bot-
tega epigrafica vd. SUSINI 1966; SUSINI 1979, pp. 45-62; MANACORDA
1980; SUSINI 1982, pp. 78-79.
30
CIL XIV, 5305; BUONOPANE 2012, pp. 201-206.
31
CIL X, 7296.
32
CIL X, 7296; CIL VI, 9556.
33
CIL III, 633, 2; RICCI, NONNIS 2007, pp. 49-50, 56, n. 22.
34
CIL VI, 5064, 9557; MANACORDA 2000, pp. 277-289.
35
ED, nn. 18, 182, 27.
La bottega epigrafica: discontinuità e trasformazioni
delle tecniche produttive
25
26
PRODUZIONE EPIGRAFICA TRA TARDA ANTICHITÀ ALTO MEDIOEVO. DISCONTINUITÀ E TRADIZIONE
Fig. 3 (a sinistra). - Roma. Frammento di un’insegna di bottega epigrafica.
Fig. 4 (a destra). - Roma. Musei Vaticani. Firma del calligrafo Furius Dionysius Filocalus sul margine sinistro di un frammento di un
elogio damasiano
tecnicismo, che secondo la vulgata storiografica avviata
da Jean Mallon, si riferibbe alla seconda fase della «genesi del prodotto epigrafico», quella «de la composition épigraphique», in cui un artigiano ‘specializzato’ –
che Mallon chiama ordinator in riferimento all’insegna
palermitana – «muni d’un morceau de craie ou de charbon ou d’une pointe sèche ou d’un pinceau, traduit en
lettres monumentales sur la surface de la pierre la rédaction qui on lui a remise» 36.
Sulla scorta di quanto esposto si deve riconoscere
che i nostri elementi di conoscenza relativi ai mutamenti
intervenuti nelle tecniche esecutive epigrafiche non sono
sostenuti nè da una ‘teorica’ nè da una definito lessico
di tecnicismi nè dalla presenza degli ambienti fisici di
produzione. In questa direzione pertanto lo strumento
di indagine pressoché esclusivo rimane quello dell’osservazione autoptipca di prodotti ‘finiti’, e ancor più di
quelli ‘non finiti’, riutilizzati, ovvero anche scartati.
I concreti e più evidenti indicatori che progressivamente intervengono nella produzione epigrafica postclassica, come sintomi di allontanamento e devianza
rispetto al modello normativo della prassi epigrafica romana dei primi tre secoli, possono così sintetizzarsi:
359
Fig. 5. - Catacomba di S. Callisto. Epitaffio di Titus Eupor.
(a) Un primo palese mutamento si riconosce nell’inosservanza di una preventiva deliminazione dello
‘specchio epigrafico, cioè della superficie destinata
ad accogliere il blocco-testo. Di conseguenza in
molti prodotti, superficie del supporto e specchio epi-
grafico coincidono, ovvero anche su supporti di
medio-grandi dimensioni il testo si dispone in maniera asimmetrica o comunque decentrata, per l’assenza di una squadratura preventiva, di linee di
guida funzionali all’allineamento e alla giustezza dei
righi e all’uniformità modulare delle lettere. In questo sostanziale empirismo, risulta compromesso
anche l’equilibrio tra testo scritto e apparato figurativo, con esiti talvolta paradossali, ma in qualche
caso – va riconosciuto – vivacemente espressivi
(fig. 5) 37.
(b) Per quanto riguarda più specificamente l’uso e il trattamento dei sistemi di scrittura, già intorno alla
metà del IV secolo, nel tessuto grafico si inseriscono
tipologie in sé non destinate alla produzione epigrafica, e men che mai a quella lapidaria. Mi riferisco ai due sistemi peculiarmente tardo antichi e –
nei loro successivi sviluppi – largamente impiegati
anche nella produzione altomedievale: la minuscola
– o corsiva nuova – (con ductus posato o corsivo a
seconda dei contesti, delle tecniche scrittorie usate
e del livello di competenza degli scriventi) e l’onciale, presenti, l’una e l’altra, per lo più nelle iscrizioni ‘a sgraffio’ e in quelle ‘a nastro’ (tracciate su
supporto molle), ma ben individuabili dove meno
ce lo aspetteremmo, cioè nei titoli lapidari. Si osserva dapprima una presenza sporadica con la presenza di singole lettere (soprattutto la E e la D per
l’onciale, la S, la R, la A per la minuscola) in iscri-
36
MALLON 1952, p. 58. Credo tuttavia che non si possa in assoluto dare per scontata la lettura proposta da Mallon, anche perché la forma ordinare dell’insegna di Palermo – un unicum
nell’accezione proposta da Mallon – si palesa con ogni evidenza
come riferita ad una produzione destinata ad edifici pubblici e
sacri, cioè ad una epigrafia monumentale di apparato, che in ultima analisi sembra essere stata la ‘specializzazione’ propria della
bottega palermitana, non a caso espressemente descritta nell’insegna. È dunque possibile che ordinare si rifesca ad un passaggio preliminare relativo alla simmetrica collocazione di un testo
epigrafico nello spazio ‘preordinato’ di una struttura architettonica complessa. Ma su questo problema mi riprometto di ritornare in seguito.
37
ICVR IV, 12499.
360
CARLO CARLETTI
Fig. 8. - Catacomba di S. Callisto. Epitaffio di Leopardus del 369.
Fig. 6. - Napoli (da una catacomba romana). Epitaffio di Victorinus
del 330.
Fig. 7. - Catacomba di S. Sebastiano. Epitaffio di Sanctula del 402.
zioni ancora di impianto capitale fino a giungere a
prodotti di impianto totalmente onciale o minuscolo
(figg. 6-7) 38, con esempi non infrequenti di commistione, chiaramente derivata dalla scrittura usuale,
nella quale – come indicato dai graffiti – spesso sono
simultaneamente presenti le tre tipologie capitale,
minuscola e onciale (fig. 8 ) 39. L’uso della capitale
pur rimanendo dominante – almeno nella produzione
corrente lapidaria – mostra evidenti sintomi di distacco rispetto alla norma officinale di tradizione al
punto da legittimare la definizione di ‘capitali atipiche’ per indicare tutte quelle forme grafiche caratterizzate da un tratteggio disarticolato ovvero
modificato – talvolta anche sensibilmente – nella sua
struttura formale. In questi esiti si coglie un evidente
contagio con le scritture usuali ‘elementari di base’,
veicolate dalla miriade di iscrizioni a sgraffio e a
‘nastro’ (fig. 9) 40.
(c) Emerge poi un aspetto nevralgico, che si propone come
sintomo profondamente divisivo rispetto alla più peculiare delle abilità tecniche di una bottega epigrafica di età proto e medio imperiale. È la progressiva
riduzione dell’uso dell’intaglio a ‘sezione triangolare’ che, generando una scomposizione prospettica di
ogni tratto della lettera, produceva un forte effetto chiaroscurale e dunque un alto tasso di leggibilità. A questa tecnica, non sempre e non dovunque, subentra l’altra – di più semplice e rapida esecuzione –
dell’incisione ‘a cordone’ realizzata non già con lo
scalpello (scalprum) a tagliente rettilineo, ma con uno
strumento a punta conica, piramidale o curva (subbia-subula) disposto perpendicolarmente al piano di
incisione. Gli esiti sono evidenti nei solchi pesanti,
slabbrati, disomogenei o all’inverso, nei tracciati filiformi più graffiti che incisi o, ancora, nella frequentissima spezzatura dei tratti curvi. E proprio da
questo ultimo fenomeno – quello appunto della ten-
CARLETTI 2003, pp. 53-55, n. 7; CARLETTI 2012, pp. 223-242.
ICVR IV, 11101.
40
ICVR III, 6498 dell’anno 348: è qui notevole la locuzione iscrise
Donatus tracciato dall’esecutore di questa iscrizione ‘a nastro’ con
il modulo.
38
39
PRODUZIONE EPIGRAFICA TRA TARDA ANTICHITÀ ALTO MEDIOEVO. DISCONTINUITÀ E TRADIZIONE
361
denza alla spezzatura dei tratti
curvi – deriva la ‘teorizzata’ tipologia delle «lettres carres», ritenuta impropriamente come
una sorta di ‘stilizzazione’ correlata ad una improbabile oltre
che indimostrabile influenza
dell’originario alfabeto germanico, appunto il runico 41. Si tratta invece – anche qui – come indicato da Paola Supino
Martino 42, dell’esito mediato
della generalizzata semplificazione delle tecniche esecutive:
in definitiva di un processo
‘dal basso’ che veicolò nelle Fig. 9. - Catacomba di Domitilla. Iscrizione ‘a nastro’ del 348.
scritture epigrafiche le forme di
una ‘vulgata grafica’ sostazialmente empirica e non
normativa, caratteristica di quei non pochi scriventi
rimasti ai primi rudimenti dell’insegnamento elementare di base.
(d) Un altro sintomo evidente della progressiva e diffusa alterazione qualitativa delle procedure officinali va individuato nel ricorso sempre più frequente
alla pratica del reimpiego e dunque dell’uso di ‘materia scrittoria’ occasionale (per lo più stele, coperchi e fronti di sarcofago, elementi architettonici,
scarti di lavorazione), che spesso per natura, forma
e lavorazione si rivelavano generalmente poco funzionali ad accogliere scrittura nelle sue molteplici
procedure normative e strumentali. La riutilizzazione poi di materiali epigrafici – e non di rado di
quelli ancora in uso – proprio perché già iscritti, poteva determinare ulteriori alterazioni ed empiriche
semplificazioni. Sempre più frequenti, e certo molto
più che nell’età precostantiniana, le lastre opistoFig. 10. - Catacomba di S. Callisto. Lastra marmorea del 542 riutigrafe: nel già ricordato cimitero di Commodilla raglizzata - previa abrasione - nel 565.
giungono il 6% e non di rado vengono ‘strappate’
dalle originarie sepolture, sicchè uno stesso supporto
mente diffusa nel corso del IV secolo 44, si giunge
epigrafico in breve lasso di tempo emigra più volte
alla cancellazione più o meno accurata di testi già
da una tomba all’altra 43. Ma la crescente penuria
iscritti (e talvolta ancora in uso) per inciderne di
dei materiali – soprattutto marmorei – e il loro costo
nuovi o all’introduzione di nuovi testi negli spazi
commerciale sollecitano altre soluzioni: dall’opiinterlineari e nei margini, spesso capolvolgendo le
stografia, che è la modalità di reimpiego maggiortabulae (fig. 10) 45. Su un medesimo supporto, in un
Così GRAY 1948, pp. 60-61.
SUPINO MARTINI, PETRUCCI 1978, pp. 45-101; SUPINO MARTINI
2001, pp. 922-968.
43
CARLETTI 2001, pp. 340-341; ICVR II, 6035 (a. 381), 6069 (aa.
385, 386).
41
42
44
ICVR II, 6035 (a. 381), 6069 (aa. 385-386), 6072 (a. 415),
6078 (a. 428-429), 6079 (a. 430) e inoltre 6103, 6116, 6123, 6251,
6264, 6296, 6299 assegnabili tra la fine del IV e la metà del V
secolo.
45
ICVR IV, 11174
362
CARLO CARLETTI
Fig. 11. - Roma. Macellum Liviae sull’Esquilino. Graffiti di una taberna.
arco di tempo anche breve, si susseguono due, tre,
quattro epitaffi successivi e non sempre si ha cura
di cancellare i testi precedenti: una lastra di S. Paolo
f.l.m. 46 accolse il primo epitaffio all’inizio del V secolo e poi, nel corso di circa 120 anni, quelli di Dextrus, di Viator vir honestus horrerarius, infine di
Istephania morta nell’anno 555 26. Analogamente
all’inizio del VI secolo nella chiesa di S. Prassede
per la sepoltura di Adeodatus, trovò la sua ultima
collocazione una lastra marmorea già impiegata tre
volte – evidentemente in un cimitero suburbano –
per le sepolture di Aurelia Victoria, di Sabbatius, di
Palumbus 47.
(e) La gran parte degli esiti grafici cui si è sopra accennato trovano il loro primario ambito di gestazione
nella pratica della epigrafia funeraria di routine e
soprattutto delle scritture estemporanee a sgraffio,
che si propongono come il più vasto e variegato deposito di scrittura usuale. Uno sguardo, anche sommario, all’ubicazione, ai contenuti e alle forme di
queste ‘performaces’ grafiche individuali fornisce
un’idea sufficientemente definita dei mutamenti che
si introducono in questo ambito della produzione epigrafica nei secoli centrali della tarda antichità 48. A
fronte di una sensibile riduzione degli spazi di esposizione fisica e della generalizzata cristallizzazione
dei messaggi, si osserva negli impianti grafici un
progressivo mutamento della prassi tradizionale con
la simultanea e disordinata compresenza – a partire
in particolare dal IV secolo – di elementi capitali,
minuscoli, onciali. L’emergenza sincronica di que-
ICVR II, 5732; IREP, 2096, fig. 208.
IC, I, 937.
48
Per uno sguardo di insieme sulle iscrizioni estemporanee a sgraffio tra tarda antichità e altomedioevo vd. WARD PERKINS 2005, pp.
46
47
sti fenomeni è il segnale esplicito che un
tratto peculiare della società urbana romana
- la cosiddetta ‘letteratura di strada’ – stava
ormai volgendo al termine. In questo panorama una delle ultime e più significative
testimonianze ancora ‘laiche’ – e quasi residuali – di scrittura estemporanea è costituita dai graffiti tracciati in età
protocostantiniana sulle pareti di un’osteria adiacente al macellum Liviae sull’Esquilino (fig. 11) 49: sono iscrizioni di
argomento del tutto profano (elenchi di
nomi, giochi di parole, immagini varie)
tracciate in una regolare e controllata minuscola posata.
Nel corso degli ultimi decenni del IV secolo il luogo
dell’esposizione dei graffiti, da plurale e spazialmente
estensivo quale era stato per circa quattro secoli, si
avvia a concentrarsi nel chiaroscuro delle chiese e nel
buio dei santuari ubicati nelle catacombe. Questa diversa
dislocazione fisica culturale e sociale è un diretto indotto dell’emergenza di due fattori sostanzialmente concomitanti: per un verso una progressiva e generalizzata
riduzione dell’alfabetizzazione soprattutto nell’ambiente
laico, per l’altro l’improvvisa e tumultuosa esplosione
del culto dei martiri. A Roma – almeno fino all’VIII secolo (cioè fino all’avvio delle traslazioni in urbe) – i
poli di attrazione sono i santuari del suburbio dove continuano ad abitare i ‘defunti eccellenti’ – i martiri – ai
quali i devoti visitatori (soprattutto gli ecclesiastici) indirizzano messaggi devozionali spesso autografi 50.
Epilogo
I fenomeni ora esposti – con diversi livelli di incidenza e con esiti dissimili da luogo a luogo – si manifestano dapprima nel corso del IV secolo per poi
accentuarsi sensibilmente nei due secoli successivi e
quindi affermarsi nell’altomedioevo, quando ‘lo
strappo’ rispetto alla tradizione tardoantica di fatto si
‘normalizza’ e produce – almeno in apparenza – nuovi
‘stili epigrafici’, che non a caso sempre più guardano
ai modelli della produzione libraria financo nell’im-
163-167; CARLETTI 2011, pp. 682-683.
49
CASTRÉN 1972, pp. 69-87, vd. in particolare i nn. 17, 18, 25,
27, 40.
50
CARLETTI 1995, pp. 197-226; CARLETTI 2002, pp. 323-360.
PRODUZIONE EPIGRAFICA TRA TARDA ANTICHITÀ ALTO MEDIOEVO. DISCONTINUITÀ E TRADIZIONE
363
spondore con le abilità
del passato alla committenza più alta, quella appunto della curia
apostolica. Di qui l’attività della bottega di
Furius Dionysius Philocalus (fig. 12) 52 o di
quelle che elaboravano
gli epitaffi degli alti
gradi del clero, e soprattutto le iscrizioni
dedicatorie prodotte
durante i pontificati di
Leone I (fig. 13) 53,
Simmaco, Vigilio (fig.
Fig. 12. - Catacomba di S. Sebastiano. Elogio di Damaso in onore di S. Eutichio.
14) 54, per giungere ad
esemplari come il constitutum di Gregorio
Magno e, nel pieno altomedioevo, al capovaloro assoluto che
conclude un secolo:
l’epitaffio su marmo
nero dedicato da Carlo
Magno da papa Adriano (fig. 15) 55, un prodotto di assoluta eccellenza, che però non
a Roma fu concepito e
prodotto ma nel regno
Franco e su committenza ‘dichiarata’ di
Carlo Magno: post paFig. 13. - Basilica di S. Paolo f.l.m. Dedica di Leone Magno per i restauri della basilica.
trem lacrimans haec
paginazioni dei testi, come si osserva soprattutto nei
Karolus scribsi, laddove scribsi in tal caso è evidentemente
prodotti altomedievali 51. Emerge in sostanza una sorta
da intendere come scribendum curavit.
di stilizzazione della ‘semplificazione’, che diventa
Una conclusione definitiva che organicamente tenesse
norma.
conto di quanto esposto o soltanto accennato nel corso
E tuttavia a Roma, dove il consumo di produzione epidi questo contributo rischierebbe – credo – di tracimare
grafica già verso la fine della tarda antichità tende a ponella semplificazione o sottovalutazione di temi e prolarizzarsi nell’ambito dell’élites ecclesiastiche, si registra
blemi, che quantomeno richiedono ulteriori dati e con– almeno fino all’età di Gregorio Magno – una vivace soseguenti approfondimenti. Almeno in via provvisioria si
pravvivvenza di esemplari di ‘nicchia’, prodotti in botpossono però indicare le cause interposte che tra la fine
teghe di buon livello artigianale, ancora in grado di ridel mondo antico e l’altomedioevo – seppure con un trend
PETRUCCI 1992, pp. 41-43.
ED.
53
ICVR II, 4738.
51
52
54
55
ICVR IX, 24313.
MEC I, tav. II, n.6.
CARLO CARLETTI
desultorio – determinarono le molteplici e non
irrilevanti trasformazioni che coinvolsero la
produzione di scrittura esposta a Roma e nel
suo immediato suburbio.
Sul piano della diffusione sociale il mutamento più rilevante ed evidente rispetto al passato, coinvolge in pieno dislocazione,
committenza e utenza delle scritture esposte,
che da fenomeno plurale – quale era stato pienamente nei primi tre secoli – tende a concentrarsi in ambiti sociali e culturali sempre
più ristretti, anche in conseguenza del progressivo ridursi dell’alfabetismo, vale a dire
della premessa culturale che sola poteva soFig. 14. - Catacomba dei Giordani. Dedica di papa Vigilio per i restauri eseguiti dopo
stenere in vita la circolazione di scrittura espola scorreria di Vitige nel 545.
sta con una funzione realmente trasmissiva:
come concettualizzato da G. Cavallo – ad «una pratica
aperta» si andava sostituendo «una pratica chiusa» 56.
Era anche questo l’esito non già di un’irreversibile frattura epocale, ma di un processo di lenta ‘ridefinizione’
del rapporto tra scritture esposte e realtà urbana, che
coinvolgeva spazi e supporti di esposizione, protagonisti e loro scelte, organizzazione e tecniche di produzione,
nonché forme e contenuti dei messaggi veicolati, che,
con le ovvie variabili spaziali e temporali, riproponevano il passato ovvero lo ‘rileggevano’ e lo modificavano in ragione di nuovi assetti e di nuove emergenze.
In questa direzione – per richiamare una esemplificazione macroscopica di accumulo di prodotti epigrafici
– i monumenti più appariscenti, vale a dire le chiese
(urbane e suburbane) – diversamente dagli edifici pubblici della Roma imperiale – si presentavano all’esterno
in veste quasi ‘dimessa’ e sistematicamente prive di iscrizioni. L’ostentata ricchezza e la monumentale sontuosità, visibile e godibile negli spazi aperti della città
come rappresentata dall’epigrafia monumentale di apparato romana «finì lentamente per non essere più esteriore, diretta ai cittadini nel loro complesso, come
avvenne nel primo Impero. Gli edifici delle chiese si risolvevano nella costruzione di facciate esterne abbastanza ‘spartane’ solo al loro interno si dispiegava la vera
ricchezza di mosaici e di tendaggi» 57, di suppellettile
liturgica, di marmi preziosi e multicolori e – si deve pur
aggiungere – solo al loro interno si esponeva quella molteplicità di prodotti epigrafici (dedicatori, votivi, devozionali, funerari), che in età imperiale avrebbero trovato
la loro naturale collocazione negli spazi aperti delle
56
Fig. 15. - Basilica Vaticana. Epitaffio di Adriano I.
57
CAVALLO 1991, p. 220; CARLETTI 2001, pp. 325-392.
WICKHAM 1988, p.109.
PRODUZIONE EPIGRAFICA TRA TARDA ANTICHITÀ ALTO MEDIOEVO. DISCONTINUITÀ E TRADIZIONE
365
città e nelle superfici esterne degli edifici, sacri o profani essi fossero, quando le iscrizioni esposte imponevano la loro visibilità, rivolgendosi di fatto non solo alla
collettività dei potenziali leggenti ma anche a quei molti
che in un’iscrizione potevano cogliere soltanto valori
estetici, figurali, autoritativi. Non così negli edifici di
culto cristiani dove per leggere o soltanto guardare i messaggi epigrafici bisognava – consapevolmente – varcare
un limen che separava le suitable homes for Saints 58
dallo spazio pubblico esterno.
Le cause remote dei fenomeni che coinvolgono la
produzione epigrafica in età tardoantica e altomedievale
vanno ricercate nella sincronica azione di molteplici fattori tra loro interdipendenti: la rarefazione dell’insegnamento elementare di base con il conseguente
decadimento dell’alfabetizzazione sociale e più in generale gli elementi di ‘indebolimento’ delle forme materiali della città, tra i quali naturalmente emergono –
in stretta relazione alle nostre problematiche – la riduzione quantitativa e qualitativa della produzione, la conseguente rarefazione di una manodopera specializzata
con il conseguente ricorso a tecniche di lavorazione semplificate, spesso connotative di interi complessi epigrafici, dove come in molti insediamenti catacombali si
moltiplicano prodotti ‘fai da te’ e comunque chiaramente
ormai extraofficinali.
In tale contesto appare emblematica anche la forte
riduzione dell’uso delle ‘scritture ultime’ – quelle destinate ai morti – che da sempre erano state il propulsore primo di produzione epigrafica e che soprattutto
avevano avuto larghissima e trasversale utenza sociale.
In questa direzione i luoghi della sepoltura dell’altomedioevo, nella loro ubicazione spaziale, nelle loro
morfologie, nella loro diversificate utenze, testimoniano
una divaricazione ormai irreversibile: da una parte i cimiteri collettivi subdiali (cioè all’aperto) popolati da una
folla di defunti anepigrafi e dunque anonimi; dall’altra
la nicchia di rispetto delle gerarchie laiche e soprattutto
ecclesiastiche, le cui sepolture vengono accolte, tutelate, rese visibili e ‘scritte’ nell’interno delle chiese urbane e comunque entro il ‘ristretto’ spazio della città.
Questa forte e generalizzata contrazione, indotta da uno
sviluppo cumulativo e sincronico di diversificati processi culturali, economici e sociali, produsse l’inevitabile effetto di allontanare dall’utenza epigrafica la
cosiddetta ‘gente comune’, sia nel senso della promozione sia nel senso della fruizione: produrre iscrizioni
Fig. 16. - Basilica di S. Prassede. Iscrizione di Pasquale I commemorativa della traslazione di reliquie dai santuari extra moenia.
58
L’espressone è di WARD PERKINS 2005, pp. 148-149.
366
CARLO CARLETTI
nell’altomedioevo equivaleva in definitiva a ‘scrivere i
grandi’, come efficacemente concettualizzato da Armando Petrucci 59.
Anche per la storia plurisecolare della scrittura epigrafica romana si possono indicare momenti ed eventi
che si propongono emblematicamente come espliciti
indicatori di determinati percorsi di trasformazione. In
tal senso particolarmente eloquente si rivela il fenomeno
dell’ingresso dei morti in città. A Roma nel corso del
IX secolo cadono nel più totale abbandono quegli spazi
funerari del suburbio che per sette secoli – prima come
luoghi ordinari di sepoltura (III-V secolo) poi come
santuari martiriali – si erano proposti come protetti
‘spazi speciali’ di esposizione epigrafica, prima funeraria poi devozionale. A sigillo defintivo di questo processo è quasi d’obbligo il richiamo all’iscrizione
commisionata da Pasquale I (817-824) esposta nella
chiesa di S. Prassede, che certifica la traslazione di
2300 veneranda sanctorum corpora prelevati ex cymiteriis seu cryptis (fig. 16) 60. In definitiva un accumulo
indistinto di ossa, che Pasquale I in prima persona sub
sacro sancto altare summa cum diligentia propriis manibus condidit. E ancora a Roma – e sempre nel IX secolo – in un graffito di contenuto liturgico tracciato da
un anonimo ecclesiastico su un affresco della catacomba
di Commodilla, si colgono evidenti sintomi di una precoce ‘coscienza romanza’: una testimonianza di eccezionale importanza che segna un taglio epocale con il
passato 61.
Il percorso del mio contributo – come evidente – si
è mosso essenzialmente nel panorama epigrafico della
tarda antichità e dell’altomedioevo. Non si è trattato evidentemente di un’emarginazione di quanto passa e si
trasforma nei secoli immediatamente seguenti, ma anzi
– all’opposto – di un tentativo di mettere a fuoco la natura e la genesi degli aspetti caratterizzanti della prassi
epigrafica post-classica. In queste dinamiche emerge con
nettezza un dato significativo sul versante dei vettori
che regolano e governano la produzione: è la sensibile
riduzione delle iscrizioni di apparato di estrazione laica,
che, per quantità e per qualità, risultano del tutto miPETRUCCI 1995, pp. 49-59.
MEC I, tav. XXIX, n.1.
61
CARLETTI 1994, pp. 23-24.
62
PETRUCCI 1992, PP. 38-39.
63
CAVALLO 1991, P. 220.
64
CARLETTI 2000, PP. 439-459.
65
WARD-PERKINS 2005, P. 167.
59
60
noritarie rispetto alla produzione commissionata dalle
gerarchie ecclesiastiche 62.
Se nel mondo romano, in cui vi era una diffusa alfabetizzazione estesa trasversalmente a tutte le categorie sociali, l’uso delle scritture esposte (in tutte le loro
declinazioni) si poneva come ‘pratica aperta’, all’opposto, tra la fine della tarda antichità e l’altomedioevo,
la produzione epigrafica, rispetto al mondo antico, si
era gradualmente ridotta nelle tipologie e nelle funzioni, diventando sempre più una ‘pratica chiusa’ riservate a ristretti ambiti sociali e/o agli stretti e limitanti
ambiti dell’ecclesia 63. In questo orizzonte le iscrizioni
accentuano la loro valenza autorappresentativa, autoritativa e simbolica come emerge con il massimo della
evidenza nelle iscrizioni di apparato esposte nelle chiese
urbane 64.
E tuttavia non si trattò di un processo di rinnovamento susseguente ad un collasso, ma degli esiti intermedi – destinati cioè nel tempo ad ulteriori sviluppi –
dei molteplici mutamenti intervenuti nella epigrafia tardoantica: un esito – certo non secondario – dello «extraordinary and faschinating decline in complexity that
occured at the end of the empire» 65.
Bibliografia
ARMELLINI 1880 = M. ARMELLINI, Il cimitero di s. Agnese sulla
via Nomentana, Roma 1880.
BODEL 2001 = J.P. BODEL, The Roman Epigraphic Habit, in
J.P. BODEL (a cura di), Epigraphic Evidence. Ancient History from Inscriptions, London-New York 2001, pp. 1-54.
CARLETTI 1994 = C. CARLETTI, Storia e topografia della catacomba di Commodilla, in J.G. DECKERS, G. MIETKE, A.
WEILAND, La catacomba di Commodilla. Repertorio delle
pitture, Città del Vaticano 1994, pp. 3-27.
CARLETTI 1995 = C. CARLETTI, Viatores ad martyres. Testimonianze scritte altomedievali nelle catacombe romane,
in G. CAVALLO, C. MANGO (a cura di), Epigrafia medievale greca e latina. Ideologia e funzione. Atti del Seminario (Erice, 12-18 settembre 1991), Spoleto 1995, pp.
197-226.
CARLETTI 2000 = C. CARLETTI, L’epigrafia di apparato negli
edifici di culto da Costantino a Gregorio Magno, in L. PANI
ERMINI, P. SINISCALCO (a cura di), La comunità cristiana
di Roma: la sua vita e la sua cultura dalle origini all’alto
medio evo, Città del Vaticano 2000, pp. 439-459.
CARLETTI 2001 = C. CARLETTI, Dalla “pratica aperta” alla
“pratica chiusa”: produzione epigrafica a Roma tra V e
VIII secolo, in Roma nell’Alto Medioevo. Atti della XLVIII
Settimana di studio del CISAM (Spoleto, 27 aprile-1 maggio 2000), Spoleto 2001, pp. 325-389.
CARLETTI 2002 = C. CARLETTI, “Scrivere i santi”: epigrafia
del pellegrinaggio a Roma nei secoli VII-IX, in Roma tra
Oriente ed Occidente. Atti della XLIX Settimana di studio
del CISAM (Spoleto, 19-24 aprile 2001), Spoleto 2002, pp.
323-360.
PRODUZIONE EPIGRAFICA TRA TARDA ANTICHITÀ ALTO MEDIOEVO. DISCONTINUITÀ E TRADIZIONE
CARLETTI 2003 = C. CARLETTI, Nuove iscrizioni dalla regione
di S. Eutichio nel cimitero di S. Sebastiano, in RACr, 79,
2003, pp. 45-89.
CARLETTI 2011 = C. CARLETTI, Scrivere sulla pietra tra tarda
antichità e altomedioevo: tradizione e trasformazioni, in
Scrivere e leggere nell’alto Medioevo. Atti della LIX Settimana di studio del CISAM (Spoleto, 28 aprile-4 maggio
2011), II, Spoleto 2012, pp. 669-700.
CARLETTI 2012 = C. CARLETTI, Minuscole lapidarie. A proposito di un’iscrizione funeraria urbana dell’anno 330, in
P. FIORETTI (cura di), Storie di cultura scritta. Studi per
Francesco Magistrale, Spoleto 2012, pp. 223-242.
CASTRÉN 1972 = P. CASTRÉN, Appendice sui graffiti del vano
XVI, in F. MAGI, Il calendario dipinto sotto Santa Maria
Maggiore, in MemPontAc, 11, 1, 1972, pp. 69-87.
CAVALLO 1991 = G. CAVALLO, Gli usi della cultura scritta nel
mondo romano, in B. ANDREAE (a cura di), Princeps urbium: cultura e vita sociale dell’Italia romana, Milano
1991, pp. 171-251.
COLAFRANCESCO 2006 = P. COLAFRANCESCO, Il mimo Vitale,
in L. CARDINALI, C. SANTINI, Z. LORIANO (a cura di), Concentus ex dissonis. Scritti in onore di Aldo Setaioli, Perugia 2006, pp. 213-228.
DE SANTIS 1994 = P. DE SANTIS, Elementi di corredo nei sepolcri delle catacombe romane: l’esempio della regione
di Leone e della galleria Bb nella catacomba di Commodilla, in VeteraChr, 31, 1994, pp. 23-51.
DONATI 1988 = A. DONATI (a cura di), La terza età dell’epigrafia, Faenza 1988.
ED = Epigrammata damasiana, rec. et adn. A. FERRUA, Città
del Vaticano 1942.
FÉVRIER 1978 = P.A. FÉVRIER, Le culte des morts dans les communautés chrétiennes durant le IIIe siècle, in Atti del IX
Congresso internazionale di Archeologia Cristiana (Roma,
21-27 settembre 1975), I, Città del Vaticano 1978, pp. 211302.
FIOCCHI NICOLAI 1995-1997 = V. FIOCCHI NICOLAI, Una nuova
basilica a deambulatorio nel complesso callistiano della
catacomba di S. Callisto a Roma, in Akten des XII. Internationalen Kongresses für christliche Archäologie (Bonn,
22-28 September 1991), II, Münster - Città del Vaticano
1995-1997, pp. 776-786.
FIOCCHI NICOLAI 2009 = V. FIOCCHI NICOLAI, Vocazione funeraria della basilica di S. Paolo sulla via Ostiense
(Roma), in RACr, 85, 2009, pp. 313-354.
GRAY 1948 = N. GRAY, The Paleography of Latin Inscriptions
in the Eighth, Ninth and Tenth Centuries in Italy, in BSR,
16, 1948, pp. 38-163.
GUYON 1986 = J. GUYON, Dal praedium imperiale al santuario dei martiri. Il territorio ad duas lauros, in A. GIARDINA
(a cura di), Società romana e impero tardo antico. 2.
Roma. Politica, economia, paesaggio urbano, Bari 1986,
pp. 315-317.
HARRIS 1991 = W.V. HARRIS, Lettura e istruzione nel mondo
antico, trad. it., Roma-Bari 1991.
IC = Inscriptiones Christianae Urbis Romae septimo saeculo
antiquiores, voll. I-II, ed. I. B. de Rossi, Romae 1862-1888;
vol. I suppl., ed. I. Gatti, Romae 1915.
ICVR = Inscriptiones Christianae Urbis Romae septimo saeculo antiquiores. Nova series, voll. I-X, edd. A. Ferrua, D.
Mazzoleni, C. Carletti, Romae - In Civitate Vaticana 19221992.
367
IREP = Indice della raccolta epigrafica di San Paolo fuori le
mura, a cura di G. Filippi, Città del Vaticano 1998.
MACMULLEN 1982 = R. MACMULLEN, The Epigraphic Habit
in the Roman Empire, in AJPh, 103, 1982, pp. 243-245.
MALLON 1952 = J. MALLON, Paléographie romaine, Madrid
1952.
MALLON 1955 = J. MALLON, L’ordinatio des inscriptions, in
CRAI, 99, 1955, pp. 126-137.
MANACORDA 1980 = D. MANACORDA, Un’officina lapidaria
sulla via Appia, Roma 1980.
MANACORDA 2000 = D. MANACORDA, Archeologia ed epigrafia: problemi di metodo a proposito di CIL VI 8960, in
A. BUKO, P. URBAŃCZYK (a cura di), Archeologia w teorii
i w praktyce, Warszawa 2000, pp. 277-293.
MANN 1985 = J.C. MANN, Epigraphic consciousness, in JRS,
75, 1985, pp. 204-206.
MEC = Monumenta epigraphica christiana saeculo XIII antiquiora quae in Italiae finibus adhuc exstant edita, curante A. Silvagni, In Civitate Vaticana 1943.
MEYER 1990 = E.A. MEYER, Explaning the epigraphic habit
in the Roman Empire: the evidence of epitaphs, in JRS,
80, 1990, pp. 74-96.
MZOREK 1973 = S. MZOREK, A propos de la répartition chronologique des inscriptions latines dans le Haut-Empire,
in Epigraphica, 35, 1973, pp. 113-118.
MZOREK 1988 = S. MZOREK, A propos de la répartition chronologique des inscriptions latines dans le Haut-Empire,
in Epigraphica, 50, 1988, pp. 61-64.
PANCIERA 2006 = S. PANCIERA, L’epigrafia latina nel passaggio dalla Repubblica all’Impero, in PANCIERA (a cura di),
Epigrafi, epigrafia, epigrafisti. Scritti vari editi e inediti
(1956-2005) con note complementari e indici, Roma 2006.
PETRUCCI 1985 = A. PETRUCCI, Potere, spazi urbani, scritture
esposte, in Culture et idéologie dans la genèse de l’État
moderne. Actes de la table ronde (Rome, 15-17 octobre
1984), Roma 1985, pp. 85-97 (Collection de l’École française de Rome, 82).
PETRUCCI 1986 = A. PETRUCCI, La scrittura. Ideologia e rappresentazione, Torino 1986.
PETRUCCI 1992 = A. PETRUCCI, Medioevo da leggere. Guida
allo studio delle testimonianze scritte del Medioevo italiano, Torino 1992.
PETRUCCI 1995 = A. PETRUCCI, Le scritture ultime, Torino 1995.
RICCI, NONNIS 2007 = C. RICCI, D. NONNIS, Scriptura e scriptores: alcune riflessioni sul mondo romano, in G. FIORENTINO (a cura di), Scrittura e Società. Storia, Cultura,
Professioni, Roma 2007, pp. 33-56.
SUPINO MARTINI 2001 = P. SUPINO MARTINI, Aspetti della cultura grafica a Roma fra Gregorio Magno e Gregorio VII,
in Roma nell’Alto Medioevo. Atti della XLVIII Settimana
di studio del CISAM (Spoleto, 27 aprile-1 maggio 2000),
Spoleto 2001, pp. 922-968.
SUPINO MARTINI, PETRUCCI 1978 = P. SUPINO MARTINI, A. PETRUCCI, Materiali ed ipotesi per una storia della cultura
scritta nella Roma del IX secolo, in ScrCiv, 2, 1978, pp.
45-101.
SUSINI 1966 = G. SUSINI, Il lapicida romano, Roma 1966.
SUSINI 1979 = G. SUSINI, Officine epigrafiche: problema di
storia del lavoro e della cultura, in Actes du VIIe Congrès
International d’épigraphie greque et latine (Constantza,
9-15 septembre 1977), Bucuresti-Paris 1979, pp.45-62.
SUSINI 1982 = G. SUSINI, Epigrafia romana, Roma 1982.
368
CARLO CARLETTI
TOLOTTI 1982 = F. TOLOTTI, Le basiliche cimiteriali con deambulatorio del suburbio romano: questione ancora
aperta, in RM, 89, 1982, pp. 153-211.
TORELLI 1992 = M. TORELLI, Le basiliche circiformi di Roma.
Icnografia, funzione, simbolo, in G.S. CHIESA, E.A. ARSLAN (a cura di), Felix temporis reparatio. Atti del Convegno archeologico internazionale Milano capitale
dell’Impero Romano (Milano, 8-11 marzo 1990), Milano
1992, pp. 203-217.
TROUT 2009 = D.E. TROUT, Inscribing Identity: the Latin Epi-
graphic Habit in Late Antiquity, in P. ROUSSEAU (a cura
di), A Companion to Late Antiquity, Cambridge 2009, pp.
170-186.
WARD-PERKINS 2005 = B. WARD-PERKINS, The Fall of Rome
and the End of Civilization, Oxford 2005.
WICKHAM 1988 = C. WICKHAM, L’Italia e l’alto medioevo, in
AMediev, 15, 1988, pp. 105-124.
WICKHAM 2009 = C. WICKHAM, La società dell’alto medioevo.
Europa e Mediterraneo. Secoli V-VIII, trad. it., Roma
2009.
I RIVESTIMENTI PAVIMENTALI E PARIETALI A ROMA
FINO AL IX SECOLO: LE DINAMICHE
DELLE SCELTE DECORATIVE E DELLA PRODUZIONE
Federico Guidobaldi, Alessandra Guiglia
rezza, anche delle radici delle tipologie nei periodi precedenti 3 – per poi proporre qualche riflessione preliminare sugli aspetti specifici della fabbricazione e posa
in opera dei rivestimenti pavimentali e parietali e sulla
incisività di tale ‘comparto’ nel campo più generale
delle attività produttive di Roma nella sua transizione
dall’antichità al medioevo.
L’attività di progettazione, realizzazione e posa in
opera dei rivestimenti pavimentali e parietali è certamente
da annoverare tra i più importanti settori produttivi che si
svilupparono nella Roma imperiale e tardo antica. Si tratta
in effetti di un insieme assai articolato di dinamiche di
produzione e commercio che dovevano coinvolgere sia
le professionalità artigianali e tecnico-artistiche, sia l’imprenditoria privata o anche statale. Forse proprio per la
complessità del tema, legata alla molteplicità degli aspetti
coinvolti, e anche per l’incompletezza e disorganicità dei
dati disponibili, non se ne è finora proposto uno studio
d’insieme né per il periodo indicato né tanto meno per
l’alto medioevo 1.
Ciò d’altronde è facilmente giustificabile se si tiene
conto della disomogeneità del tema nella sua globalità.
La varietà delle tipologie dei rivestimenti pavimentali
e parietali, evidente non solo nella struttura e composizione, ma anche nelle caratteristiche stilistiche e iconografiche e nelle specifiche funzioni decorative,
diventa infatti ancora maggiore – o comunque diversa
– se è vista nell’ottica della realizzazione tecnica che
di fatto è quella più adeguata quando si vogliono studiare le modalità della produzione. Potrà allora essere
utile delineare, innanzitutto, un quadro diacronico delle
tipologie decorative di rivestimento in uso nell’area di
Roma 2 nel periodo indicato come tema di questo Convegno – ma tenendo conto, per inevitabili motivi di chia-
Il mosaico pavimentale, che nella sua struttura canonica ereditata dal mondo ellenistico è composto soprattutto di tessere di materiali litici (palombino, leucitite, calcari), mostra già al tempo di Adriano alcuni
segni di innovazione tecnica, anche se inizialmente limitati forse al solo caso particolare della residenza suburbana di quell’imperatore. Troviamo infatti proprio
a Villa Adriana redazioni musive in cui le tessere litiche sono in più casi sostituite da quelle marmoree policrome (fig. 1 e tav. 00) 4. A fianco di questa nuova variante, che mantiene comunque le dimensioni delle
tessere nella misura canonica (intorno al centimetro),
ne compare un’altra, anch’essa da considerare solo sperimentale, con tessere litiche o anche marmoree decisamente più grandi, da cm 2-3, che si mantiene però in
modeste stesure monocrome, destinate principalmen-
1
Non ci risulta infatti, a tutt’ora, uno studio d’insieme dedicato ai manufatti in questione analizzati nell’ottica specifica della
produzione. È semmai nel settore dello sfruttamento delle cave e
della commercializzazione dei marmi che si dispone oggi di studi
più estesi ed approfonditi: cfr. ad esempio DE NUCCIO, UNGARO
2002; LAZZARINI 2006; PENSABENE 2013. Anche gli aspetti tecnici
della messa in opera sono stati indagati nell’ambito di più vasti
contesti (cfr. ad es. GIULIANI 1998, pp. 137-145) e in modo più
specifico per i rivestimenti marmorei parietali in BRUTO, VANNICOLA 1990 e, da ultimo, BITTERER 2013, con particolare attenzione
agli edifici di età imperiale e tardo antica di Roma e con bibliografia precedente.
2
Un excursus sintetico su tale tema era stato proposto qualche
anno fa da chi scrive: GUIDOBALDI 2000.
3
Ovviamente non si terrà conto di quelle forme di rivestimento
pavimentale e parietale esistenti in età repubblicana o nella piena
età imperiale ma già in disuso nella tarda antichità (cementizi decorati, sectilia non marmorei, emblemata musivi, commessi laterizi,
etc.).
4
VINCENTI c.s.
Mosaici pavimentali
370
FEDERICO GUIDOBALDI, ALESSANDRA GUIGLIA
Fig. 1. - Tivoli, Villa Adriana, mosaico con tessere marmoree di giallo
antico alternate con quelle di materiali litici (leucitite e palombino)
in un ambiente del complesso detto Roccabruna (foto V. Vincenti
per gentile concessione).
Fig. 2. - Roma, Terme di Caracalla, mosaico a tessere esclusivamente marmoree e porfiretiche da cm 1 circa nella palestra nord
(foto F. Guidobaldi).
Fig. 3. - Roma, Terme di Diocleziano, mosaico a tessere marmoree
e porfiretiche da cm 2-3 nella palestra nord (foto F. Guidobaldi).
te a pavimenti esposti all’aperto 5. Si tratta comunque di
innovazioni che, essendo riscontrabili soprattutto nel
contesto di un cantiere residenziale imperiale, sono da intendere come esperienze circoscritte, che tuttavia, all’inizio del III secolo, vengono recuperate ed ampliate, anche
se sempre in collegamento a committenze di alto livello.
Possiamo infatti riscontrare, in grandi impianti termali della Roma di quel periodo, che le composizioni musive pavimentali a tessere di dimensioni tradizionali si arricchiscono di un’altra soluzione redazionale, che aggiunge alla
compagine policroma tessellae di porfido rosso egiziano
e porfido verde greco, le quali, associate con quelle di pavonazzetto e di giallo antico, tendono ad imitare la ben nota
quadricromia di marca neroniana, esistente nei più preziosi
sectilia pavimenta già dal I secolo d.C. 6. Le Terme di Caracalla ci offrono esempi eccezionali di questa ulteriore innovazione (fig. 2 e tav. 00) 7, alla quale si affiancano le altrettanto innovative redazioni a grandi tessere, stavolta
anch’esse policrome e in parte porfiretiche, pur se in stesure assai semplici 8. Logico attribuire questo più largo e
intenso uso di tessere di marmi policromi, riscontrabile in
grandi cantieri di committenza imperiale e soprattutto di
funzione termale, alla presumibile larga disponibilità di
frammenti di tali materiali, anche di quelli più pregiati, come
residui della estesa produzione e lavorazione delle incrustationes marmoree destinate a rivestire le pareti che ne erano ricoperte fino a notevole altezza.
Alcune delle superstiti pavimentazioni musive delle
Terme di Diocleziano (fig. 3 e tav. 00) 9, si pongono su
5
Anche in questo caso gli esempi più antichi sembrano individuabili a Villa Adriana: BETORI, MARI 2006; VINCENTI c.s.
6
GUIDOBALDI 2003.
7
GUIDOBALDI 1983. Anche le Terme Alessandrine, di poco più
tarde delle antoniniane, offrono altri significativi esempi di queste
redazioni in tessere marmoree e porfiretiche
8
Ibidem. Si tratta soprattutto dei pavimenti periferici della natatio che sono redatti con grandi tessere quadrangolari in vaste e
semplici campiture di porfido verde greco e di giallo antico.
9
GUIDOBALDI 2014.
I RIVESTIMENTI PAVIMENTALI E PARIETALI A ROMA FINO AL IX SECOLO
371
una linea di continuità con quelle delle altre grandi terme
e mostrano come, alla fine del III secolo o, piuttosto,
ormai all’inizio del IV, la redazione in materiali marmorei
e la quadricromia neroniana fossero divenute quasi canoniche nel mosaico pavimentale destinato ai più importanti ambienti termali, ma con la variante del citato
aumento delle dimensioni delle tessere 10. Questa moda
del mosaico a grandi tessere marmoree, con o senza l’inclusione di materiali porfiretici, si estende da allora
anche all’ambito privato: Ostia ce ne mostra numerosi
esempi, attribuiti talvolta anche alla fine del III secolo,
ma ascrivibili soprattutto al IV secolo 11, e anche Roma
conserva vari pavimenti della stessa epoca, tra i quali ricordiamo quello di un’aula sotto la basilica di S. Cecilia in Trastevere (fig. 4 e tav. 00) 12, ove file di tessere
litiche tradizionali di media dimensione, sono utilizzate
per definire l’intelaiatura reticolare, le maglie della quale
sono interamente campite a grandi tessere marmoree.
Tuttavia, proprio le tessere litiche da cm 1 circa, che
restano comunque in uso in gran parte del mondo romano
per tutto il periodo paleocristiano e anche oltre, sono impiegate sempre meno a Roma, città ormai traboccante di
marmi, ove esse si trovano ormai solo in quantità minoritarie in composizioni redatte insieme a quelle marmoree più grandi che tendono spesso - ma non sempre 13 ad assumere una forma più disinvoltamente irregolare e
ad utilizzare per le campiture semplici - un tempo decisamente monocrome - marmi di tono chiaro ma di specie diverse, come vediamo ad esempio nell’edificio sotto
la chiesa di S. Teodoro (fig. 5 e tav. 00) 14.
Il mosaico tradizionale non marmoreo, insomma, si
può considerare pressoché estinto nella Roma del V secolo, tranne che per qualche esempio di livello qualitativo relativamente modesto 15, mentre i pavimenti a
tessere marmoree irregolari sopravvivono, ma in stesure
assai semplificate e spesso prive di motivi decorativi,
tanto da ridursi talvolta a campiture pressoché omogenee, pur se animate da un tenue cromatismo interno. Ne
vediamo esempi all’inizio del secolo, nell’edificio con
stibadium presso l’Arco di Tito 16, nei resti recuperati a
S. Sisto Vecchio, che recano anche inserti di dimensioni
difformi rispetto al tessuto d’insieme 17, in alcuni tratti
di integrazione del pavimento di S. Pudenziana 18 e in-
Le Terme della Marciana a Ostia, del IV secolo (OLEVANO,
ROSSO 2001), ripropongono una linea di gusto analoga, pur se le
tessere sono di dimensioni ancora maggiori e, stavolta, non è presente il porfido rosso. Per altri pavimenti in edifici termali ostiensi
più modesti cfr. BECATTI 1961, n. 347, p. 186 (Terme Reg. IV, Is.
IV, 8) e n. 407, pp. 212-213, tav. CCIII (Terme del Filosofo), entrambi della seconda metà-fine del III secolo.
11
Come ad esempio nella domus Reg. IV, Is. IV, 7: GUIDOBALDI
1995.
12
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 207-211, 259, figg.
56-57, tav. I, 4 (inizio del IV secolo); PARMEGIANI, PRONTI 2004,
pp. 65-67, fig. 56 (pieno IV secolo).
13
Come si vedrà anche dagli esempi che illustreremo, non è raro
che, in tratti musivi di queste tarde tipologie redazionali, le tessere
marmoree tornino talvolta ad essere quadrangolari e relativamente
omogenee nelle dimensioni: l’irregolarità della forma di esse, in-
somma, sembra essere più una caratteristica di diverse maestranze
o un segno di diversa qualità dell’esecuzione, piuttosto che un indizio di diversa cronologia.
14
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 217-224, 259, figg.
62-63, tav. I, 5 (intorno alla metà del IV secolo); MILELLA 2009, pp.
228, 231, fig. 6.
15
Ci si può riferire al grande mosaico con le stagioni e una scena
mitologica del Museo Nazionale Romano, attribuito appunto al V
secolo: PARIS, DI SARCINA 2012, n. 29, pp. 181-183 (scheda di A.
ROTONDI).
16
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 230-238, 258, figg.
66-69 (non anteriore al V secolo); SAGUÌ 2012, pp. 346-347, fig. 10,
con segnalazione di numerosi altri esempi e relativa bibliografia.
17
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 227-230, fig. 65
(primi anni del V secolo).
18
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 202-206, figg. 54-
10
Fig. 4. - Roma, ambiente sotto la chiesa di S. Cecilia in Trastevere,
mosaico a grandi tessere marmoree da cm 2-2,5 circa inquadrato da
un reticolato in tessere litiche da cm 1-1,5 circa (foto F. Guidobaldi).
Fig. 5. - Roma, edificio sotto la chiesa di S. Teodoro, mosaico a
grandi tessere marmoree irregolari da cm 2-5 inquadrato da un reticolato in tessere litiche da cm 1-2 circa (foto F. Guidobaldi).
372
FEDERICO GUIDOBALDI, ALESSANDRA GUIGLIA
Fig. 6. - Roma, Basilica Emilia, taberna VII, particolare del pavimento in sectile-tessellato marmoreo, ora ricoperto, con tessere marmoree da cm 3-5 di media (foto F. Guidobaldi).
Fig. 7. - Roma, S. Maria Antiqua, pavimento in sectile-tessellato
marmoreo (foto F. Guidobaldi).
fine nelle vaste specchiature trapezoidali dell’ultima
navata anulare di S. Stefano Rotondo, collegabili probabilmente al pontificato di papa Simplicio (468-483) 19.
Nonostante i segni evidenti di una decadenza, apparentemente irreversibile, della produzione assistiamo invece nel corso del VI secolo ad una inaspettata ripresa,
certo parziale e contenuta nella durata, ma non priva di
innovazione. La tipologia ‘elementare’ del mosaico marmoreo a grandi tessere irregolari viene infatti inquadrata
quasi sempre entro un reticolo di fasce marmoree o comunque suddivisa in pannelli separati da tali fasce, si arricchisce di nuovo di motivi decorativi, pur se semplici e
lineari, e si impreziosisce con l’inserzione di elementi marmorei, anche porfiretici, di varie forme geometriche, provenienti con ogni probabilità da tratti di reimpiego di
sectilia pavimenta o di incrustationes parietali.
Un primo esempio di questa nuova soluzione redazionale lo vediamo già in una taberna della Basilica
Emilia (fig. 6) 20. Tale tecnica, che per brevità abbiamo
definito a suo tempo «sectile-tessellato marmoreo», resta
comunque un prodotto originale e specifico della cultura
di Roma e viene adottato in numerose chiese o complessi
cultuali edificati o decorati in quel periodo, da S. Maria
Antiqua (fig. 7) a S. Clemente (fig. 8), da S. Marcello al
battistero lateranense, da S. Crisogono ai SS. Apostoli,
etc. 21.
Anche questa tipologia ha tuttavia una durata contenuta che non oltrepassa i primi decenni del VII secolo;
riappare poi, ma solo sporadicamente, nell’età carolingia, sia in solo sectile-tessellato, come nella chiesa di S.
Agnese in Agone, forse ancora dell’VIII secolo 22, sia in
55; le numerose e diversificate fasi del pavimento, incluse quelle
databili all’inizio del V secolo, sono state recentemente analizzate
in modo più specifico ed approfondito: ANGELELLI 2011.
19
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 238-241, 260, fig.
71; BRANDENBURG 2004, p. 209, fig. 124, tav. XXXI, 19 a p. 311: i
resti del pavimento sono stati rinvenuti nel settore diagonale orientale.
20
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 350-353, figg. 79,
106 (taberna VII). Proprio in altre due tabernae adiacenti troviamo
invece pavimenti con analoghe intelaiature a pannelli, ma campite
con un tipo di opus sectile geometrico a piccolo modulo che, in se-
guito, sarà assai spesso associato, come poi vedremo, con le stesure
a mosaico marmoreo.
21
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 349-459; per altri
pavimenti di S. Clemente e per quello dei SS. Apostoli, di recente
scoperta, cfr. GUIGLIA, GUIDOBALDI 2014.
22
A quell’epoca, o poco dopo, potrebbe essere infatti datato
il pavimento con fioroni a tessere di porfido rosso e porfido verde
greco che ancora esiste, pur se incisivamente restaurato nel XIX
secolo, in un ambiente sotterraneo: GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 435-440, 458-459, figg. 149-150; GUIDOBALDI
2011-2012, pp. 441-448, figg. 30, 32-33.
Fig. 8. - Roma, S. Clemente, pavimento in sectile-tessellato marmoreo nella chiesa inferiore (foto F. Guidobaldi).
I RIVESTIMENTI PAVIMENTALI E PARIETALI A ROMA FINO AL IX SECOLO
373
Fig. 9. - Roma, SS. Quattro Coronati, pavimento in sectile-tessellato marmoreo nella navata destra della chiesa carolingia (foto F.
Guidobaldi).
contesti misti con opus sectile, come nella chiesa dei
SS. Quattro Coronati (fig. 9 e tav. 00) del tempo di
Leone IV 23.
Sectilia pavimenta
Una dinamica in parte analoga a quella già osservata per i mosaici si registra nell’altro principale settore dei rivestimenti pavimentali, cioè quello dei sectilia
pavimenta, che nell’età imperiale erano certamente considerati, nelle loro varie forme, le più lussuose soluzioni
possibili per i pavimenti di ambienti sia pubblici che
privati. Nelle residenze imperiali dei primi due secoli
se ne trovano le più originali ed elaborate realizzazioni,
pur se su schemi di dimensioni modulari minori di
quelle adottate nel caso di edifici pubblici. Le domus
neroniane (fig. 10) e la domus Flavia del Palatino, insieme alle ville di Domiziano a Sabaudia, di Traiano ad
Arcinazzo e di Adriano a Tivoli 24 bastano da sole a mostrarci i livelli qualitativi ai quali potevano giungere queste pavimentazioni, ma, nel contempo, le domus
aristocratiche di medio livello documentano le forme
più usuali e più diffuse che permettevano di ostentare
un certo lusso contenendo comunque i costi. Dominano
23
148.
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 418-435, figg. 133-
24
Si rinvia, per le domus neroniane, a LUGARI, GUIDOBALDI 2013;
per Sabaudia, a GUIDOBALDI 2004b e ANGELELLI 2004; per Arcinazzo,
a FIORE, MARI 2005 e FIORE, APPETECCHIA 2013; infine per Villa
Adriana, a GUIDOBALDI, OLEVANO, PARIBENI et alii 1994, tutti con
bibliografia precedente.
25
Prevalgono tra essi certamente i motivi a quadrati con quadrati inscritti e soprattutto quello a tre quadrati che offre varie possibilità di concordanze cromatiche e notevoli vantaggi di
fabbricazione a partire da semplici parallelepipedi di due o quattro
Fig. 10. - Roma, prima residenza imperiale neroniana sul Palatino
(Domus Transitoria), particolare del pavimento in sectile dell’ambiente A6 (da Lugari, Guidobaldi 2013).
tra gli schemi più comuni quelli a modulo quadrato 25,
inventati certo nella prima età imperiale per favorire una
dimensione ‘industriale’ della produzione dei sectilia pavimenta: si è già altrove sottolineato, infatti, che l’iterazione di elementi disegnativi uguali si poteva
realizzare utilizzando formelle modulari quadrate 26 che
potevano essere prefabbricate anche in grandi quantità
in laboratorio entro casseforme e rese compatte con rinforzi delle giunte e gettatine di malta sul retro (fig.
11,a). I motivi geometrici potevano essere abbastanza
variati (fig. 11,b), ma il più conveniente per motivi tecnici – e quindi il più diffuso in assoluto – era quello che
definiamo Q3 (fig. 11,c) 27.
È logico pensare che gli stock di mattonelle modulari prefabbricate che sviluppavano i disegni più semplici e più richiesti fossero almeno in parte già
disponibili presso la bottega-laboratorio, alla quale l’acquirente poteva rivolgersi direttamente sia per scegliere
tra le partite di formelle già pronte sia per commissionare, in base ad un eventuale ‘campionario’, un sectile
più insolito ed originale, magari con disegni complessi
marmi diversi (GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 174184; DUNBABIN 1999, pp. 254-261, in particolare pp. 257-259)
26
Il modulo quadrato era certamente quello più adatto a questo
fine, ma anche altre forme geometriche semplici (esagonali, triangolari rettangolari etc.) potevano essere prodotte con esiti analoghi.
27
GUIDOBALDI, OLEVANO, PARIBENI et alii 1994, pp. 49-55 e figg.
3-4. Questa tecnica era certamente assai più pratica di quella applicata per i sectilia più antichi che, nel I secolo a.C. e almeno per
tutta l’età augustea, venivano montati in situ, elemento per elemento,
con ovvie complicazioni operative e notevole dilatazione dei tempi
di esecuzione. Le formelle in cassette così ottenute potevano facilmente essere poi trasportate sul luogo di installazione per essere al-
c
a
Fig. 11. - a) Schema della prefabbricazione di una formella per sectilia pavimenta a modulo quadrato (motivo QkQ) (dis. Studio Azimut,
Roma); b) Esempi di motivi geometrici semplici per formelle a modulo quadrato (dis. F. Guidobaldi); c) Rappresentazione schematica della
composizione di formelle a modulo quadrato con motivo Q3 a due sole specie marmoree, a partire da due blocchi calibrati dei due marmi
componenti (dis. F. Guidobaldi).
b
I RIVESTIMENTI PAVIMENTALI E PARIETALI A ROMA FINO AL IX SECOLO
375
e mistilinei, quindi da eseguire ex-novo, con tempi di
attesa più lunghi e a costi ovviamente più alti.
L’ipotetico iter che abbiamo appena suggerito lascia
intravedere un sistema produttivo di tipo quasi industriale che si serviva di professionalità diverse, operanti
almeno in parte in tempi e luoghi separati, secondo una
catena di montaggio che, partendo dalle cave di marmo
passava ai cantieri di produzione delle lastre, poi ai laboratori di allestimento delle formelle e infine al cantiere edilizio nell’ambito del quale si eseguiva
l’installazione materiale del pavimento.
Si comprende facilmente come questo insieme di
operazioni comportasse non solo un notevole impiego
di mano d’opera ma anche un sistema imprenditoriale
piuttosto articolato che a Roma doveva corrispondere
ad un movimento economico non certo trascurabile.
Questo sistema produttivo era alimentato, nei primi
secoli dell’impero, con materiali di primo impiego e
quindi con lastre di marmi tagliate, specie per specie,
dallo stesso blocco, e ridotte in elementi geometrici per
lo più interi, ottenuti con tagli assai accurati e commessi
con precisione secondo concordanze cromatiche rigorosamente rispettate 28. Nel III secolo, invece, e ancor
più nel IV si verificano vistose variazioni nelle modalità tecniche di redazione che si sviluppano comunque
secondo due filoni paralleli, corrispondenti a qualità e
costi diversi.
Nella produzione diretta ad una clientela di medio
livello si riscontrano una evidente e graduale semplificazione degli assemblaggi, un uso di lastrine di reimpiego e una associazione di elementi spesso non interi
ma giuntati, quasi mai ben accostati e con concordanze
cromatiche non rispettate 29. È tipico in questo senso
il caso dei motivi più comuni, in specie quello a tre
quadrati inscritti, che indichiamo come Q3, nel quale
viene abbandonato qualunque vincolo e vengono proposte intenzionalmente formelle a cromatismo misto.
Questa nuova soluzione, economicamente assai conveniente, viene di fatto imposta come una sorta di
‘moda’ e viene evidentemente accettata come tale da
tutti poiché nel IV e nel V secolo i sectilia pavimenta
più semplici non vengono prodotti se non con questo
disordine cromatico. Lo dimostrano le testimonianze
superstiti sia di livello modesto come, ad esempio, i
tratti pavimentali rinvenuti sotto il portico della chiesa
di S. Sabina, nella prima basilica di S. Marco (fig. 12)
e nel complesso di S. Alessandro sulla via Nomentana 30
sia di livello medio alto come nella domus sotto Palazzo Valentini (fig. 13) 31.
Nel settore produttivo rivolto invece ai committenti
delle fasce aristocratiche più alte che prediligevano i sectilia pavimenta con motivi complessi, in genere esclu-
lettate in serie ortogonali sulla malta fresca del sottofondo pavimentale.
28
Naturalmente non mancano eccezioni a questa regola: il caso
di Ercolano, che recentemente è stato oggetto di un corpus delle pavimentazioni e, quindi, anche dei sectilia pavimenta, ha permesso
di individuare tra questi ultimi, nell’ambito del modulo quadrato,
non solo esempi con concordanze rigorosamente rispettate, ma anche
testimonianze di soluzioni redazionali ‘a campionario’ sia con motivi variatissimi e talvolta quasi unici sia con i più comuni motivi
Q2 e Q3 ma con concordanze cromatiche del tutto irregolari (GUI-
DOBALDI, GRANDI, PISAPIA et alii 2014, passim). Si tratta comunque
di redazioni da inquadrare nel campo delle sperimentazioni (GUIDOBALDI, ANGELELLI 2008) piuttosto che in quello delle proposte di
nuove modalità compositive, poi consolidate da un uso più frequente.
29
GUIDOBALDI 1985.
30
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, rispettivamente pp.
99-110, 74-90, 133-139. Per S. Alessandro si veda inoltre FIOCCHI
NICOLAI 2009, pp. 343-346.
31
BALDASSARRI 2008, pp. 61-67; LUMACONE, QUATTROCCHI 2008,
pp. 95-99, con datazione alla prima metà del IV secolo.
Fig. 12. - Roma, S. Marco, pavimento della prima chiesa in opus
sectile a modulo quadrato (foto F. Guidobaldi).
Fig. 13. - Roma, scavi sotto Palazzo Valentini, domus B, ambiente
5, pavimento in opus sectile a modulo quadrato (da Lumacone, Quattrocchi 2008).
376
FEDERICO GUIDOBALDI, ALESSANDRA GUIGLIA
sivi e di costo evidentemente maggiore, si mantiene comunque, pur se a diversi livelli, la cura nel disegno e
la regolarità nelle concordanze e sussiste come elemento connotante anche l’uso dei porfidi all’interno
della classica quadricromia di età neroniana (porfido
rosso, porfido verde greco, pavonazzetto e giallo antico),
come si vede in molti esempi non solo in ambito urbano e suburbano (fig. 14) 32 ma anche in buona parte
dell’area dell’impero 33. Questi preziosi sectilia pavimenta con motivi complessi sembrano però ‘fuori produzione’ già entro la prima metà del V secolo: potrebbe
esserne una delle ultime e più nobili manifestazioni
l’articolata pavimentazione rinvenuta sotto Villa Medici
e attribuibile alla domus Pinciana, nella sua fase di età
onoriana (fig. 15 e tav. 00) 34.
Si prolungò invece ancora per qualche decennio la
forma decorativa pavimentale più economica, che sopravvisse certamente a Roma nella seconda metà del V
secolo, quando fu adottata anche per chiese di imponenti dimensioni come S. Stefano Rotondo 35, ed è possibile che fosse in uso nel VI secolo, se è corretta la
datazione agli anni di papa Vigilio (537-555) dei resti
di sectile rinvenuti nello scavo della chiesa dei SS. Quirico e Giulitta 36.
È proprio a questo punto, nel pieno VI secolo, ma
certo indipendentemente dall’iter fin qui descritto,
che compare un nuovo genere di pavimentazione in
opus sectile, decisamente diversa dalle precedenti: i
sectilia geometrici a piccolo modulo, o a piccoli elementi, entro pannelli bordati da fasce marmoree. I motivi iterativi utilizzati nelle campiture sono molto
semplici e utilizzano solo poche forme geometriche
realizzate con elementi marmorei di piccole dimensioni: si tratta, in effetti, di una soluzione decorativa
che, di fatto, era stata già sperimentata a Roma in età
tardorepubblicana 37, ma senza le partizioni a pannelli
e poi era riaffiorata nella tarda antichità sia in Italia
settentrionale 38 che in Oriente 39. I sectilia dell’ambiente davanti all’ingresso della Basilica Emilia, con
schema decorativo centralizzato (fig. 16 e tav. 00), e
della contigua taberna VIII costituiscono forse i primi
esempi di questa tipologia 40, ai quali si affiancano il
più noto pavimento di S. Maria Antiqua (fig. 17), del
VI secolo inoltrato, ed altre testimonianze sopravvissute quasi solo in impronte, come quella dell’oratorio sotto S. Saba e della basilica pelagiana di S. Lorenzo
Particolarmente significativo è il caso del pavimento dell’edificio fuori Porta Marina a Ostia: BECATTI 1969, pp. 151-154, tavv.
LXXVIII, 2-LXXIX; ARENA 2005, pp. 20-22.
33
GUIDOBALDI 2001.
34
BRUNO 2005.
35
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 142-149; BRANDENBURG 2000, pp. 48-50, figg. 55, 58.
36
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 149-153.
37
GUIDOBALDI 1994.
GUIDOBALDI 2009.
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 327-339; GUIGLIA
GUIDOBALDI 1984 per la diffusione della tipologia in Grecia; DONCEEL-VOUTE 1988 per l’area siriaca; MICHAELIDES 1993 per i numerosi e significativi esempi di Cipro; GUIGLIA GUIDOBALDI 2011,
pp. 422-424 per Costantinopoli con qualche aggiornamento per
l’area microasiatica.
40
GUIGLIA GUIDOBALDI 1983; GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI
1983, pp. 264-280, pianta a fig. 79; COATES-STEPHENS 2011, pp. 389390, fig. 1.
Fig. 14. - Roma, Museo dell’Alto Medioevo, da Ostia, edificio con
opus sectile fuori Porta Marina (da Becatti 1969).
Fig. 15. - Roma, domus Pinciana, pavimento (foto M. Bruno per
gentile concessione).
32
38
39
I RIVESTIMENTI PAVIMENTALI E PARIETALI A ROMA FINO AL IX SECOLO
377
Fig. 17. - Roma, S. Maria Antiqua, particolare del pavimento in opus
sectile a piccoli elementi nel presbiterio (foto F. Guidobaldi).
fuori le mura, quest’ultima nota anche da una documentazione grafica 41 . Il riapparire a Roma di questo tipo di
sectilia pavimenta – con radici antiche ‘autoctone’, ma
dopo lunga assenza e in versioni rielaborate soprattutto
nell’Oriente bizantino – coincide cronologicamente in
modo non certo casuale con le vicende storiche che portarono, nel terzo decennio del VI secolo, all’intensificarsi
delle relazioni con Costantinopoli e poi alla riconquista
giustinianea dell’Italia e di Roma 42 . È probabile dunque che maestranze bizantine abbiano contribuito al diffondersi di questa tipologia, che comunque assunse sin
dall’inizio una connotazione tutta romana per la costante
presenza, alimentata certo da materiali di reimpiego, dei
porfidi rosso e verde, solo assai di rado individuabili nei
pavimenti che già da tempo si erano affermati e diffusi
nei territori orientali dell’impero.
Gli esempi romani di questi sectilia sono relativamente numerosi, ma comunque circoscritti ad un periodo
piuttosto limitato che non oltrepassa i primi decenni del
VII secolo, e si trovano associati in molti casi a tratti
in sectile-tessellato marmoreo, la forma decorativa pavimentale descritta nel precedente paragrafo, che è invece tutta romana, ma che ha in comune, con quella in
oggetto, l’intelaiatura in pannelli bordati da fasce marmoree.
Come abbiamo osservato per i mosaici ed i loro
‘succedanei’ del VI secolo anche nel campo dei sectilia si verifica una improvvisa pur se breve ripresa
di interesse in età carolingia e in varianti anche insolite. Un intenzionale reimpiego e/o riassemblaggio di
sectilia pavimenta più antichi, spesso arricchiti di porfidi, ma con motivi decorativi elementari, si riscontra, infatti, in alcune chiese di quell’epoca, come ben
testimoniano i resti di S. Maria in Cosmedin (fig. 18),
verosimilmente pertinenti alla fase di Adriano I, che
recuperano il motivo a quadrati inscritti realizzato appunto con assoluta predominanza di porfidi 43. In parallelo vengono adottate originali stesure marmoree a
scacchiera disposte intorno a dischi o quadrati centrali, come nella cappella di S. Zenone a S. Prassede,
del tempo di Pasquale I (817-824) 44 o nel presbiterio
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, rispettivamente pp.
280-294, 294-307, 307-310.
42
Una recente analisi in COATES-STEPHENS 2006; COATES-STEPHENS 2011.
43
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 461-468, e per
un pannello laterale con motivo a scacchiera già MCCLENDON 1980,
p. 158, tav. XXXb.
44
MCCLENDON 1980, p. 157, tav. XXXa; GUIDOBALDI, GUIGLIA
GUIDOBALDI 1983, pp. 468-469.
Fig. 16. - Roma, Basilica Emilia, ex ambiente d’ingresso, il pavimento in opus sectile a piccoli elementi nel disegno di Maria Barosso che include anche i restauri ‘filologici’ in laterizio ideati da
Giacomo Boni (Archivio della SSBAR riprodotto da Coates-Stephens 2011).
41
378
FEDERICO GUIDOBALDI, ALESSANDRA GUIGLIA
Fig. 20. - Roma, SS. Quattro Coronati, pavimento in opus sectile
nella navata destra della chiesa carolingia (foto F. Guidobaldi).
Fig. 18. - Roma, S. Maria in Cosmedin, pavimento in opus sectile
intorno all’altare (foto F. Guidobaldi).
di S. Giorgio in Velabro, attribuibile a Gregorio IV
(827-844) (fig. 19) 45, dove i porfidi costituiscono,
anche se con minore impatto visivo, una componente
essenziale del linguaggio decorativo. Epigono del piccolo gruppo di sectilia è l’articolato pavimento sopravvissuto nell’antica navata destra della chiesa dei
SS. Quattro Coronati (fig. 20), della metà del IX secolo, nel quale i pannelli con motivi a scacchiera si
affiancano a quelli già visti in sectile-tessellato marmoreo e in opus sectile a piccoli elementi, riproponendo associazioni già riscontrate nel VI secolo e,
forse, anche riciclando elementi pavimentali di quell’epoca 46.
Una conferma delle scelte ‘filologiche’ dei marmorari di età carolingia che, certo consapevoli dei livelli
artistici raggiunti nel passato, ne recuperavano – o rimontavano – talvolta integralmente i sectilia della piena
età imperiale, proviene dall’eccezionale pavimento dell’abbazia di Farfa (fig. 21), che compone e armonizza
i nuovi motivi a scacchiera con vasti tratti di antichi sectilia a modulo quadrato, recuperati probabilmente da
qualche villa in rovina, un tempo costruita da un membro dell’aristocrazia senatoria romana nei dintorni stessi
dell’abbazia 47.
Mosaici parietali
Tutt’altro discorso è quello relativo al mosaico parietale, tecnica solo apparentemente simile a quella pa-
Fig. 19. - Roma, S. Giorgio in Velabro, pavimento in opus sectile
nel presbiterio (foto F. Guidobaldi).
MCCLENDON 1980, p. 158, tav. XXXIa; GUIDOBALDI, GUIGLIA
GUIDOBALDI 1983, pp. 470-476; P.C. CLAUSSEN, in CLAUSSEN, MONDINI, SENEKOVIC 2010, p. 43, fig. 31.
46
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 418-435, in particolare pp. 419-420, 430, figg. 133-135, 137, 143, 146.
45
47
MCCLENDON 1980, pp. 158-165, tavv. XXXIb-XXXII, anche
per il contemporaneo sviluppo delle pavimentazioni in opus sectile
nelle città d’Oltralpe, a cominciare dalla Cappella Palatina di Aquisgrana, analogamente realizzate con marmi di reimpiego; GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, pp. 477-482, figg. 161-162;
MCCLENDON 1987, pp. 56-57.
I RIVESTIMENTI PAVIMENTALI E PARIETALI A ROMA FINO AL IX SECOLO
379
Fig. 22. - Roma, ambienti sotto la casema dei Corazzieri, sul Quirinale, tratto musivo parietale del I secolo d.C. di un grandioso ninfeo (da de Vos 1997).
vimentale dalla quale si differenzia invece decisamente,
come è ben noto, sia per i materiali impiegati, soprattutto vitrei, sia per lo spessore delle tessere, sia per la
tecnica di posa in opera. Questa forma artistica ebbe in
età imperiale, e soprattutto nel I secolo d.C., una larghissima applicazione nella decorazione di ninfei e fontane, o comunque di ambienti legati all’acqua,
giungendo talvolta ad esiti di notevolissimo impegno,
come dimostrano i celebri esempi di Pompei ed Ercolano 48, e talvolta ad estensioni notevoli, come risulta
anche a Roma specialmente dai ritrovamenti del Quirinale (fig. 22) 49 e da quelli assai più recenti del Pincio 50
e soprattutto del Colle Oppio 51. Nel II secolo si registra una certa continuità di impiego di questa tecnica,
sempre limitatamente agli edifici delle tipologie indicate 52, ma già per la fine del III secolo le fonti lettera-
rie ci segnalano realizzazioni musive parietali poste talvolta in ambienti domestici interni e anche in decisa
competizione con la pittura perché sviluppate non solo
come decorazioni aniconiche, ma anche come rappresentazioni figurate e persino di soggetto ‘storico’ 53.
L’impiego nelle terme e nei ninfei resta comunque predominante, con espressioni di incredibile monumentalità anche se purtroppo giunte fino a noi solo in minime
tracce 54.
È poi certamente l’età costantiniana che rappresenta
un momento di incisiva ripresa di questa tecnica particolarmente versatile per le applicazioni su superfici
concave e quindi sulle absidi e sulle cupole, elementi
strutturali, questi, prediletti dall’innovativa architettura
di quel tempo.
Poche tessere ancora in situ nella cupola e nei catini absidali del cosiddetto Tempio di Minerva Medica, recentemente interpretato come settore privato
del Sessorium costantiniano (fig. 23) 55, attestano
l’uso su tali superfici di stesure musive continue,
anche con l’uso relativamente innovativo delle tessere d’oro rilevato pure nel costantiniano mausoleo
di Elena 56. Ma è soprattutto il mausoleo di Costan-
48
SEAR 1977; GUIDOBALDI, GRANDI, PISAPIA et alii 2014, nn. 121
(Casa dello Scheletro), 223 (Casa dei Cervi), 259 (Casa di Nettuno
e Anfitrite), pp. 145-150, 246-248, 287-289, tavv. CXLI-CL.
49
Per il ninfeo rinvenuto nell’ambito della caserma dei Corazzieri sul Quirinale cfr. DE VOS 1997.
50
Per il mosaico del ninfeo rinvenuto sotto la Bibliotheca Hertziana cfr. F. FELICI in BARTOLI, FELICI, SANTOPADRE et alii 2013.
51
VOLPE 2010, in particolare tavv. 4,1 e 5,1.
52
Di particolare interesse è certamente la decorazione musiva
superstite delle Terme dei Sette Sapienti a Ostia, pubblicata dal Sear
(SEAR 1977, n. 106, pp. 112-113, tavv. B e 46, 3; 47, 1.2) al quale
si rinvia anche per la consueta, dettagliatissima, rassegna di altri resti
musivi del II e del III secolo; per Ostia si veda anche VINCENTI 2000;
altre utili indicazioni in SALVETTI 2013.
53
Ci riferiamo alle menzioni di grandi mosaici, purtroppo perduti, che decoravano la Casa dei Tetrici sul Celio, con rappresentazioni di Aureliano che conferiva la dignità senatoria ai due futuri
imperatori (Hist. Aug., Tyranni triginta, 25,4).
54
Per le esigue, ma in origine estesissime, superfici decorate a
mosaico, sia esterne che interne, nelle Terme di Diocleziano cfr. GUIDOBALDI 2014, pp. 121-123, figg. 22-28.
55
GUIDOBALDI 2004a; GUIDOBALDI, PEDONE 2011, p. 97, fig. 58.
56
VENDITTELLI 2011, p. 43.
Fig. 21. - Farfa, chiesa abbaziale, pavimento in opus sectile della
navata carolingia, attuale transetto (foto T. Vicinelli per gentile concessione).
380
FEDERICO GUIDOBALDI, ALESSANDRA GUIGLIA
Fig. 23. - Roma, c.d. Tempio di Minerva Medica, resti di tessere
musive nella cupola (foto M. Magnani Cianetti per gentile concessione).
Fig. 24. - Roma, mausoleo di Costantina, mosaico di una campata
della volta anulare (foto F. Guidobaldi).
tina che ci offre la testimonianza più nota e significativa del pieno IV secolo, documentabile solo graficamente per la cupola perduta 57, ma concreta invece
nelle parti originali dell’esteso rivestimento musivo,
pur se incisivamente restaurato, della volta della navata anulare 58 (fig. 24).
Quest’ultimo presenta un particolare tecnico assai interessante: è infatti redatto secondo schemi decorativi
più propri dei pavimenti tessellati e presenta il fondo
bianco tipico di gran parte di questi ultimi. Ciò sembrerebbe indicare, come è stato già ampiamente osservato 59, che alla progettazione e stesura di questi mosaici
abbiano partecipato anche alcune maestranze attive nella
produzione di tessellata pavimenta.
Questa interpretazione, che contiene certamente elementi di oggettiva validità, va però intesa più come una
occasionale collaborazione tra le due professionalità dei
tessellarii e dei musivarii in un momento di transizione
della cultura decorativa, piuttosto che come indizio di
un fenomeno di generale riconversione delle maestranze
‘pavimentali’ in quelle ‘parietali’: è infatti assai poco
probabile che le prime possano essersi in breve tempo
rese esperte nelle ben diverse attività svolte dalle seconde che avevano competenze specifiche ben proprie
nelle tecniche di preparazione e manipolazione di tessere in vetro, nelle modalità di posa in opera su superfici non certo orizzontali ma verticali o curvilinee e nella
realizzazione di complesse ed estesissime rappresentazioni figurate, che richiedevano una assai più incisiva
capacità artistica.
Resta in ogni caso da tener presente la contemporaneità tra il declino della produzione musiva pavimentale e il crescente dilagare di quella parietale che,
già nel IV secolo, è testimoniata da numerosi tratti superstiti di ambito funerario 60 – ma doveva essere presente anche nelle basiliche costantiniane – e che poi
troviamo, sempre più incisivamente arricchita dalla
connotante presenza di tessere d’oro, in moltissimi
edifici cristiani urbani e suburbani soprattutto a partire dal V secolo e con notevole continuità fino a buona
parte del IX, il che permette di considerare Roma uno
dei più importanti centri autonomi di stabile produzione
del mosaico parietale dell’età paleocristiana e altomedievale. Basterà ricordare in tal senso i ben noti rivestimenti musivi del V secolo nelle chiese di S.
Pudenziana, S. Sabina, S. Maria Maggiore, S. Paolo
fuori le mura e nel battistero lateranense con le relative cappelle (fig. 25) 61, quelli del VI secolo nei SS.
AMADIO 1986; PIAZZA 2006, pp. 72-78.
BRANDENBURG 2004, pp. 73-86, in particolare pp. 82-84; PIAZZA
2006, pp. 54-66.
59
BOVINI 1954, p. 12; MATTHIAE 1967, pp. 5-9; PIAZZA 2006, pp.
54-55 con relativa discussione.
60
Si ricordano, ad esempio, i mosaici nel Mausoleo dei Giulii
nella necropoli vaticana, dell’inizio del IV secolo (MENNA 2006a),
nella catacomba di Domitilla, del tempo di papa Damaso (POGLIANI
2006), nella catacomba di Sant’Ermete, della seconda metà del IV
secolo (GIULIANI 2006), e infine dell’ipogeo di via Livenza, della
metà del IV secolo (CROISIER 2006), per i quali si rinvia alle recenti
schede del I volume del Corpus della pittura medievale a Roma,
curato da Maria Andaloro (ANDALORO 2006a).
61
Anche per questi mosaici si rinvia alle recenti schede del I volume del Corpus della pittura medievale a Roma, curato da Maria
Andaloro (ANDALORO 2006a), che aggiornano ed integrano la ‘classica’ monografia di Matthiae (MATTHIAE 1967) e le successive pubblicazioni. Si vedano rispettivamente ANDALORO 2006b; LEARDI
2006c, pp. 292-297; MENNA 2006b; MORETTI 2006; BORDI 2006;
PENNESI 2006, pp. 425-432; per il battistero lateranense e le cappelle di S. Giovanni Evangelista e S. Giovanni Battista si veda anche
BRANDT, GUIDOBALDI 2008, pp. 266-272.
57
58
I RIVESTIMENTI PAVIMENTALI E PARIETALI A ROMA FINO AL IX SECOLO
Fig. 25. - Roma, Battistero Lateranense, cappella di S. Giovanni
Evangelista, mosaico della volta (foto O. Brandt per gentile concessione).
381
Fig. 27. - Roma, S. Maria in Cosmedin, frammento musivo proveniente dall’oratorio di Giovanni VII in S. Pietro in Vaticano (foto
A. Guiglia).
Fig. 26. - Roma, S. Lorenzo fuori le mura, mosaico dell’arco absidale (foto A. Guiglia).
Fig. 28. - Roma, S. Cecilia in Trastevere, mosaico absidale (foto A.
Guiglia).
Cosma e Damiano, a S. Teodoro e a S. Lorenzo fuori
le mura (fig. 26), quelli del VII secolo a S. Agnese
fuori le mura, nella cappella di S. Venanzio nel complesso del battistero lateranense e in quella dei SS.
Primo e Feliciano a S. Stefano Rotondo 62, quelli dell’VIII secolo nell’oratorio mariano di Giovanni VII
(705-707), un tempo nell’antica basilica vaticana (fig.
27) ed ora dispersi in disiecta membra in chiese e musei
di diverse città 63, e nella perduta decorazione di Paolo
I (757-767) sulla facciata della chiesa di S. Maria in
Cancellis, poi in Turris (nella parte anteriore del portico di S. Pietro) 64; infine, quelli delle chiese di Roma
costruite o ricostruite in età carolingia, largamente noti
ed anche caratterizzati da una fortunata sopravvivenza 65, come SS. Nereo e Achilleo, S. Prassede, S.
Cecilia (fig. 28), S. Maria in Domnica, S. Marco,
etc. 66.
Sarà poi proprio la evidente consistenza culturale acquistata nel tempo da questa ‘scuola romana’ del mosaico parietale a permetterne la sopravvivenza anche
dopo i momenti di interruzione della richiesta e quindi
della produzione: ci riferiamo alla pausa, coincidente
con la generale difficoltà economica legata alle vicende
del X e dell’XI secolo, dopo la quale, con il mosaico
di S. Clemente 67, rinasce, più vigorosa che mai, la produzione di mosaici parietali che arricchiranno le chiese
di Roma per tutto il medioevo.
Si rinvia anche in questo caso ad un riferimento bibliografico
di base, poiché non è questa la sede per approfondire analiticamente
i singoli esempi: MATTHIAE 1967, pp. 135-198, tavv. 78-124.
63
ANDALORO 1989; da ultime BALLARDINI, POGLIANI 2013, con
bibliografia.
64
ALFARANO-CERRATI 1914, p. 151; KRAUTHEIMER, CORBETT,
FRAZER 1980, pp. 275-276.
65
Sembra logico, peraltro, attribuire almeno in parte ad una solida professionalità delle maestranze questa ‘resistenza al tempo’ dei
mosaici di IX secolo.
66
MATTHIAE 1967, pp. 225-275, tavv. 136-227; GOODSON 2010;
THUNØ 2015.
67
RICCIONI 2006.
62
382
FEDERICO GUIDOBALDI, ALESSANDRA GUIGLIA
Incrustationes
L’ultima tecnica che prendiamo in considerazione è
quella che impiega le crustae marmoree per il rivestimento
delle pareti, l’incrustatio appunto. L’uso di rivestire di
marmo le pareti, se si eccettuano le menzioni di sporadici usi di luxuria riportate dalle fonti per il I secolo a.C.
(Plin. nat. 36,48), inizia a Roma in forma più specifica
ed estesa nell’età di Augusto, anche con soluzioni di
estrema raffinatezza, in cui il marmo bianco era addirittura dipinto 68, ma che poi non ebbero seguito. Il I secolo
d.C. è comunque il periodo di indiscussa affermazione
di questa tecnica decorativa che all’inizio prediligeva le
forme più semplici ed eleganti a partizioni geometriche
di minima articolazione, come nella domus neroniana del
Palatino (fig. 29) 69 e nella successiva domus Flavia 70.
Anche in ambiente privato le semplici partizioni ebFig. 29. - Roma, prima residenza imperiale neroniana sul Palatino
bero largo uso nel I e II secolo, come vediamo in vari
(Domus Transitoria), particolare del sottofondo e di qualche resto
71
delle incrustationes marmoree che rivestivano le pareti dell’ambiente
esempi tuttora conservati ad Ercolano e in area roA6 (da Lugari, Guidobaldi 2013)
72
mana . Non abbiamo per ora dati sufficienti per stabilire la dinamica produttiva di questo settore nel corso
del III secolo, ma sembra probabile che, già in età tetrarchica, i rivestimenti parietali si
siano orientati verso tipologie di
maggiore articolazione. Lo dimostrerebbe, ad esempio, un
documento grafico relativo alla
Curia di Diocleziano (fig. 30) 73,
sempre che il rivestimento rappresentato sia coevo alla costruzione: i pannelli qui si
arricchiscono di più articolati
motivi geometrici e prefigurano
l’innovativo sviluppo decorativo che si concretizza in coincidenza con l’età costantiniana.
I resti superstiti delle sole preparazioni che vediamo tuttora
nel cosiddetto Tempio di Minerva Medica 74 e le documentazioni grafiche dei rivestimenti Fig. 30. - Roma, Curia di Diocleziano, resti del perduto rivestimento ad incrustationes marmoree in
parietali del mausoleo di Co- un disegno segnalato da Rodolfo Lanciani (da Mancini 1967-68).
68
Significativa è ad esempio l’Aula del Colosso nel Foro di Augusto: UNGARO 2002.
69
LUGARI, GUIDOBALDI 2013, p. 616, figg. 5, 7.
70
FOGAGNOLO 2009; BITTERER 2013, pp. 98-144, tavv. 30-49.
71
GUIDOBALDI, GRANDI, PISAPIA et alii 2014, pp. 445-447, tavv.
CLI-CLXVIII.
72
GUIDOBALDI 2003, p. 58, figg. 70-71 e passim per lo sviluppo
di questa tipologia decorativa fino al VI secolo.
73
MANCINI 1967-1968, p. 195, fig. 2.
74
GUIDOBALDI, PEDONE 2011, p. 97.
Fig. 31. - Roma, Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo, pannello che un tempo faceva parte del rivestimento parietale ad incrustationes marmoree dall’aula absidata della domus di Giunio
Basso (da Becatti 1969).
Fig. 33. - Roma, catacomba dei SS. Marcellino e Pietro, cubicolo
con opus sectile (foto F. Guidobaldi).
Fig. 32. - Roma, scavi sotto Palazzo Valentini, domus B, ambiente
5, rivestimento parietale ad incrustationes marmoree (da Lumacone,
Quattrocchi 2008).
Fig. 34. - Roma, Museo Nazionale Romano, lastra funeraria con figura di marmorario che compone un pannello per incrustatio parietale (da Becatti 1969).
stantina 75 e dell’aula in cui si insediò la chiesa dei SS.
Cosma e Damiano 76 possono dare una prima idea dei
nuovi orientamenti decorativi. La difficoltà di conservare in situ questi rivestimenti, soggetti facilmente al
distacco se esposti alle intemperie, ma rimossi anche
intenzionalmente sia perché degradati e non sostituibili,
sia per più pratici fini di reimpiego, ha comportato la
perdita di gran parte di tali manufatti che dovevano essere assai diffusi nei più importanti edifici pubblici e
privati di Roma e Ostia del IV secolo, come dimostrano
i ben noti e più cospicui resti delle aule absidate come
quella, con riquadri anche figurati, della domus di Giunio Basso (fig. 31) 77, o, su toni più contenuti, di sale
meno sontuose come quella rinvenuta sotto Palazzo Valentini (fig. 32) 78. Significativi per la diffusione di que-
sta tecnica sono anche i resti tuttora esistenti in alcuni
cubicoli delle catacombe romane, come quello del cimitero di Callisto e quello più noto del cimitero dei SS.
Marcellino e Pietro sulla via Labicana (fig. 33) 79, ove
è facile ravvisare proprio un pannello identico a quello
su cui lavorava il marmorarius della lapide funeraria
pubblicata a suo tempo dal Garrucci poi dal Becatti e
da attribuire non ad un pavimento, come si era ipotizzato inizialmente, ma ad un rivestimento parietale (fig.
34) 80. Altre domus 81 romane ci offrono documentazioni
di rivestimenti marmorei parietali piuttosto articolati in
uso nel IV secolo: basterà ricordare quella di via in Arcione, che conserva tuttora tratti superstiti del registro
inferiore 82, quella sopra le Sette Sale, che nell’aula di
rappresentanza recava una ricchissima decorazione
AMADIO 1986; PIAZZA 2006, pp. 79-80 e figg. 19, 25.
LUSCHI 1997 e TUCCI 2001, con bibliografia precedente.
77
BECATTI 1969, pp. 181-215; LEARDI 2006a, con bibliografia precedente. Ampiamente rivestite di marmi, come testimoniano le estese
tracce della preparazione, dovevano essere le pareti dell’edificio nel
Foro Romano divenuto poi chiesa di S. Maria Antiqua, in particolare
l’ambiente centrale e quello laterale sinistro (poi cappella dei SS. Quirico e Giulitta), ove l’opus sectile rimase verosimilmente in situ al-
meno fino all’VIII secolo: GUIGLIA GUIDOBALDI 2004.
78
BALDASSARRI 2008, pp. 65-66, figg. 62-64; LUMACONE, QUATTROCCHI 2008, pp. 100-106, figg. 11-18.
79
SPERA 1995, anche per altri esempi in catacomba.
80
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983, p. 122, fig. 34. Si veda
anche BISCONTI 2000, p. 245.
81
BECATTI 1969, pp. 152-153, tav. XXXIV, 1.
82
LISSI CARONNA 1985, p. 364; ASTOLFI 1999.
75
76
Fig. 35. - Roma, Museo dell’Alto Medioevo, da Ostia, edificio con
opus sectile fuori Porta Marina tratto delle incrustationes marmoree parietali riassemblate e rimontate nel museo (da Arena 2005).
anche figurata, della quale si sono potuti recuperare i
frammenti caduti al suolo 83, e quella di via in Selci, per
la quale dobbiamo invece contentarci di descrizioni, pur
se dettagliate, delle decorazioni poi scomparse 84.
La situazione sembra restare stabile per tutto il IV
secolo come ci dimostra la lussuosissima aula della
domus di Porta Marina ad Ostia interamente rivestita
da incrustationes (fig. 35) oggi ricostruite e musealizzate 85, con alcune raffigurazioni pressochè identiche (pannelli con le tigri che assalgono altri animali)
a quelle riscontrabili nella citata domus di Giunio
Basso.
Nel passaggio al V secolo il settore continua a presentare una notevole vitalità, trovando applicazione
soprattutto in diverse chiese di quel tempo: di redazione del tutto originale sembrano peraltro alcuni notissimi esempi, come quelli in gran parte ancora in
situ a S. Sabina (fig. 36), del tempo di Sisto III (432440) 86, quelli raffinatissimi nell’atrio del Battistero
Lateranense (fig. 37) 87, dello stesso papa, e quelli della
Santa Croce del tempo di Ilaro (461-468) 88, con soluzioni stilisticamente e tecnicamente ben differenziate
sia negli schemi sia nei contenuti decorativi. A questi si possono aggiungere i rivestimenti marmorei
della basilica celimontana di S. Stefano Rotondo, dell’età di Simplicio (468-483), noti sia da descrizioni e
disegni rinascimentali sia da scarsi lacerti di lastre,
ma soprattutto da numerose tracce degli agganci di
83
BIANCHI, BRUNO, COLETTA et alii 2000; BIANCHI, BRUNO, DE
NUCCIO 2002, pp. 168-169 e schede nn. 179-180, p. 466 (F. BIANCHI), figg. a pp. 465 e 467.
84
SERLORENZI 2004, p. 359.
85
BECATTI 1969; ARENA 2005; LEARDI 2006b, con bibliografia
precedente.
86
RICKERT 1998; LEARDI 2006c, pp. 297-301.
87
ALFANO 2006; BRANDT, GUIDOBALDI 2008, pp. 260-266.
88
PENNESI 2006, pp. 432-435; BRANDT, GUIDOBALDI 2008, pp.
260-266.
Fig. 36. - Roma, S. Sabina, rivestimento parietale ad incrustationes
sopra il colonnato della navata centrale (foto F. Guidobaldi).
Fig. 37. - Roma, Battistero Lateranense, rivestimento in opus sectile dell’atrio sulla parete di facciata (foto O. Brandt per gentile concessione).
esse alle pareti, evidenziate dalle recenti indagini 89;
da attribuire ad epoca imprecisata, ma forse anche a
diverse fasi decorative collocabili tra il IV e il VI secolo 90, sono invece vari resti di incrustationes marmoree visti ancora in situ nel XVI secolo nella basilica
di S. Pietro 91 e periti con l’intero edificio costantiniano all’inizio del XVII secolo.
L’arte dell’incrustatio non sembra che a Roma si
sia estesa molto oltre il VI secolo, quando viene te-
89
BRANDENBURG 2000, pp. 51-54, figg. 61-68; BRANDENBURG
2004, p. 208. Non va esclusa una datazione al tempo dei pomtefici
Giovanni I (523-526) e Felice IV (526-530), come attestava una perduta iscrizione: BRANDENBURG 2004, p. 205; GUIGLIA 2015, p. 118.
90
KRAUTHEIMER, CORBETT, FRAZER 1980, pp. 176-182 e passim.
91
UGONIO 1588, f. 96v. Per la decorazione del portico cfr. la descrizione dell’Anonimo del XVI secolo, f. 1 (p. 15): «Nel porticho
de sancto Pietro ponete mente sono crustamenti de porfidi et serpentini et chalcidoni, dipinte de dette pietre, ovvero commesse,
ch’abbia dentro uccegli, fatte con tanto artificio, che ne piglierete
Fig. 38. - Roma, S. Clemente, resti della preparazione e di pochi
frammenti di lastrine marmoree del rivestimento ad incrustationes
del battistero nella chiesa inferiore (foto F. Guidobaldi).
Fig. 40. - Istanbul, Santa Sofia, i pannelli in opus sectile della parete nord del bema (foto A. Guiglia).
Fig. 39. - Roma, S. Agnese fuori le mura, rivestimento marmoreo
del semicilindro absidale (foto A. Guiglia).
stimoniata nel battistero di S. Clemente 92, superstite
purtroppo quasi solo in impronte (fig. 38). L’intera superficie parietale era articolata su almeno tre ordini in
pannelli rettangolari separati da lesene, arricchiti all’interno da dischi o rombi o rettangoli, di cui oggi è difficile definire l’esatta struttura; minimi resti di lastrine di
marmi ancora in situ permettono di delineare la fascia
decorativa che coronava il secondo ordine e di stabilire
che anche i porfidi erano utilizzati nelle composizioni.
Una piccola abside completava la struttura del battistero
ed era anch’essa rivestita interamente di fasce verticali
di marmo separate da listelli di porfido, tranne che nel
catino absidale dove restano tracce di tessere musive.
È invece nel VII secolo che questo tipo di decorazione sembra rarefarsi, almeno nelle sue forme più com-
plesse ed articolate: ne troviamo infatti solo esempi decisamente ridimensionati e semplificati, come nell’abside della basilica di S. Agnese fuori le mura (fig. 39),
dove l’emiciclo conserva il rivestimento a lastre marmoree omogenee inquadrate da fasce porfiretiche secondo schemi che richiamano gli esempi più antichi,
anche per la presenza di capitelli di lesena e cornici scolpite di reimpiego 93. Qualcosa di simile poteva forse esistere anche nell’abside di S. Giorgio in Velabro, oggi
pressoché integralmente restaurata 94, che così dimostrerebbe, insieme a S. Prassede, una sopravvivenza
della tradizione antica fino all’età carolingia.
Tradizione antica che già nel VI secolo aveva lasciato
esplicite tracce nella lontana Costantinopoli, Nuova
Roma, sulle pareti della chiesa di Santa Sofia (fig. 40) 95.
gran consolazione et sono spoglie de grandissimo spendio». Si veda
inoltre ALFARANO-CERRATI 1914, pp. 115 e 153.
92
GUIDOBALDI 1997, pp. 483-486, figg. 19-22; GUIDOBALDI,
LALLI, PAGANELLI et alii 2004, pp. 408-410, figg. 28-29.
93
BRANDENBURG 2004, pp. 246-247; GUIGLIA GUIDOBALDI, PEN-
SABENE
2005-2006, pp. 42-45, figg. 78-81.
MUÑOZ 1926, pp. 33-34, tav. XXXI, fig. 46; MELUCCO VACCARO 1974, pp. 62-63; P.C. CLAUSSEN in CLAUSSEN, MONDINI, SENEKOVIC 2010, p. 43.
95
GUIGLIA GUIDOBALDI 2007.
94
386
FEDERICO GUIDOBALDI, ALESSANDRA GUIGLIA
Analisi d’insieme
Mentre nella piena età imperiale prevale una certa
stabilità delle soluzioni tipologiche disponibili nel
campo delle pavimentazioni, nella tarda antichità si assiste a dinamiche assai più discontinue che si manifestano a Roma sia con ‘invenzioni’ di nuove forme
pavimentali sia con modificazioni di quelle esistenti
sia, infine, con l’estinzione graduale di soluzioni tecniche in precedenza largamente diffuse.
Nel campo del mosaico la prima innovazione ben
individuabile, cioè quella legata alle prime sperimentazioni di compagini con tessere marmoree e porfiretiche
di dimensioni ancora tradizionali, introdotta in età severiana nelle Terme di Caracalla, non comportò particolari modificazioni delle tecniche di esecuzione e
quindi, probabilmente, non richiese la formazione di
maestranze diverse da quelle esistenti. Il problema assume invece ben diversa connotazione se si tiene conto
dell’altra scelta innovativa del settore, cioè quella che
consistette nel sostituire gradualmente, soprattutto dal
IV secolo, le tessere di forma e dimensione tradizionale
con quelle marmoree di dimensioni maggiori, di spessore minore e di forma sempre meno regolare, ricavate
per lo più da lastrine di marmo. La preparazione e la
posa in opera di tali tessere – che divennero di fatto semplici frammenti di lastrine di forma quadrangolare, ma
poi sempre più irregolare – richiedeva infatti perizia e
specializzazione assai minori rispetto a quelle necessarie nelle redazioni musive canoniche. Anche la levigatura finale, che nel mosaico classico era una operazione
necessaria di finitura, poteva essere omessa poiché le
tessere marmoree, data la loro provenienza, erano già
lisce su almeno uno dei lati e quindi potevano non richiedere tale operazione 96. Per di più, la quasi totale
eliminazione di elementi figurati e di complessi disegni geometrici rendeva inutile l’impiego di veri artifices, quali erano certamente i tessellarii 97, e permetteva
di servirsi, con costi ovviamente minori, di semplici scalpellini.
Anche la scelta di impiegare materiale marmoreo recuperato da manufatti in disuso, o eventualmente da lastrame di scarto dei laboratori in cui si producevano
rivestimenti marmorei parietali e pavimentali di qualità,
cioè di ‘prima scelta’, doveva comportare notevoli risparmi sul prezzo finale.
Emblematico è, in tal senso, il fenomeno della contemporanea rarefazione a Roma, appunto nell’arco del
IV secolo 98, dei mosaici pavimentali tradizionali (cioè
con tessere litiche di forma regolare e di dimensioni prossime a un centimetro), che lascia ipotizzare come, mentre si formavano le nuove maestranze di modesto livello
artigianale, i più professionali tessellarii che avevano
operato a Roma fino al IV secolo 99 abbiano subìto le
conseguenze della drastica riduzione della richiesta ed
abbiano spostato la loro attività verso le molte aree in
cui si continuò per alcuni secoli a produrre mosaici pavimentali a tessere medie 100. La residua attività pro-
96
Era infatti sufficiente porre in opera ‘in piano’ i frammenti di
lastrine di marmo per ottenere superfici abbastanza lisce.
97
È interessante constatare che, tra gli artifices elencati in una
legge di età costantiniana, così come era trascritta nel Codice Teodosiano (COD. Theod., XIII, 4, 2), sono elencati i tessellarii insieme
ai marmorarii e ai musivarii, mentre nel Codice Giustinianeo (COD.
Iust. 10, 66, 1) troviamo soltanto i marmorarii e i musarii (= musivarii). Sarebbe suggestivo considerare questa eliminazione come
indizio di una sorta di decadenza ‘artistica’ dei tessellarii, ma, dato
che la legge era destinata all’intera area dell’impero e che, al di fuori
di Roma, questo mestiere continuò ad essere largamente praticato
(crf. infra) non possiamo certo azzardare estrapolazioni in tal senso.
Per una analisi delle diverse terminologie, basata sulle firme degli
artisti, cfr. BALMELLE, DARMON 1986.
Cfr. supra.
Si deve tener conto, a tal proposito, che a Roma operavano
certamente, nel settore del mosaico pavimentale, anche maestranze
‘allogene’ o comunque di cultura più generalmente mediterranea,
che essendo almeno in parte itineranti non avranno avuto difficoltà
a riciclarsi dove la richiesta della loro opera era più incisiva.
100
È opportuno ricordare, anche se già ampiamente osservato in
precedenza, che il fenomeno della caduta di interesse per il mosaico
pavimentale di tipo tradizionale nel IV secolo, è specifico dell’area
di Roma: in gran parte dell’impero questa tecnica decorativa pavimentale restò largamente in uso anche nel V e VI secolo e oltre –
a seconda delle zone geografiche – e anche con esiti di altissima
qualità, come dimostra, già da solo, il mosaico del Grande Palazzo
Imperiale di Costantinopoli, verosimilmente di età giustinianea. Per
Nelle pagine precedenti abbiamo sinteticamente delineato un panorama delle tipologie di rivestimento pavimentale e parietale in uso a Roma dall’epoca
tardoimperiale all’altomedioevo ed abbiamo posto in evidenza gli ambiti cronologici di produzione delle varie
tipologie. Possiamo ora proporre un’analisi d’insieme
dei risultati di questa prima schematizzazione dedicando anche una maggiore attenzione agli aspetti più
pertinenti alla produzione e separando inizialmente il
campo dei manufatti pavimentali da quello dei rivestimenti parietali, proprio perché i dati finora riportati
hanno permesso di evidenziare ‘andamenti’ piuttosto diversi nelle attività produttive relative ai due comparti
indicati.
Rivestimenti pavimentali
98
99
I RIVESTIMENTI PAVIMENTALI E PARIETALI A ROMA FINO AL IX SECOLO
387
duttiva nel settore restò così concentrata nei semplici
pavimenti a tessere marmoree policrome di forma sempre più irregolare che, nel VI secolo, trovarono una più
concreta via di sopravvivenza nelle campiture interne
dei reticolati di fasce marmoree dei nuovi pavimenti in
sectile-tessellato. Anche questa nuova tipologia pavimentale non ebbe tuttavia una lunga vita dopo l’inizio
del VII secolo, pur se, in effetti, sembra riemergere sporadicamente con qualche esempio concreto nell’VIIIIX secolo 101.
Ripercorrendo l’arco cronologico dal IV al IX secolo, anche per i sectilia pavimenta possiamo individuare un iter che risulta almeno in parte analogo a
quello appena descritto a proposito del mosaico.
Abbiamo già osservato che, in età imperiale, erano
operative, nel settore dei pavimenti a commesso marmoreo, maestranze di altissima specializzazione che a
Roma avevano avuto certamente il centro di produzione più importante e più innovativo in assoluto e lo
avevano conservato anche nella tarda antichità 102
quando la produzione del settore si era mantenuta comunque su due linee ben diverse: quella del lusso e
quindi della manifattura di sectilia di disegno sempre
più complesso e comunque originale o addirittura
unico 103, e quella del reimpiego, rivolta invece al riciclaggio di commessi pavimentali dei tipi più semplici,
rimossi dalla giacitura originaria e riassemblati in composizioni imitative delle precedenti stesure, ma senza
rispetto delle iterazioni precise dei moduli e delle concordanze cromatiche.
Queste due linee di produzione sembra siano sopravvissute, la prima almeno fino al V secolo, la seconda
forse anche all’inizio del VI, ma con un impoverimento
qualitativo sempre più accentuato.
Sta di fatto, comunque, che il periodo che va dalla
metà del V secolo a quella del successivo corrisponde
ad un drastico ridimensionamento della produzione pa-
vimentale con conseguente riduzione delle attività
umane che ne traevano lavoro e sostegno economico.
In particolare è la produzione di qualità che tende addirittura a scomparire a Roma a partire dal pieno V secolo, quando non troviamo più i sectilia pavimenta con
motivi complessi e redatti con cura utilizzando soprattutto materiali di primo impiego. Nel periodo immediatamente successivo anche i sectilia ricomposti e
riassemblati diventano più rari, finché nel pieno VI secolo, si registra una temporanea rivitalizzazione, stavolta
però con apporti di cultura esterna, testimoniata dai sectilia a piccolo modulo, di matrice bizantina. La soluzione redazionale dell’intelaiatura entro pannelli bordati
da fasce marmoree accomuna questi sectilia pavimenta
con quelli in sectile-tessellato e testimonia, di fatto, una
unificazione delle due tecniche in una sola tipologia
‘mista’ nella quale i due antichi settori produttivi dei
sectilia pavimenta e dei tessellata pavimenta, un tempo
rigidamente separati sono ormai fusi in un unico percorso.
I pavimenti a pannelli in varie redazioni e composizioni restano di fatto le uniche tipologie pavimentali di
un certo pregio in uso nel VI e VII secolo e corrispondono comunque ad una produzione circoscritta geograficamente, cronologicamente e quantitativamente. Le
maestranze impiegate nel settore dovevano essere quindi
poco numerose e non altamente specializzate, anzi di
professionalità piuttosto ‘mista’, cioè non più organizzata in comparti ben definiti, ma ormai trasversale rispetto ai più numerosi e più specialistici mestieri
ricordati nel Codice Teodosiano 104.
È infatti probabile che la semplificazione delle tecniche esecutive, non richiedesse più, come nel passato,
particolari capacità ed esperienze di taglio ‘artistico’ e
che quindi la assai più contenuta volumetria delle commesse 105 potesse essere assorbita da maestranze di modesto livello artigianale e semmai relativamente
le epoche ancora più avanzate nel tempo i casi più significativi si
possono facilmente individuare sia nelle chiese della Giordania la
cui datazione si estende anche oltre la metà dell’VIII secolo (ad esempio PICCIRILLO, ALLIATA 1994), sia nei contemporanei castelli e palazzi omayyadi della medesima regione e dell’antico territorio
palestinese (PARIBENI 2004).
101
Ci riferiamo al tratto in sectile-tessellato marmoreo tuttora visibile nei sotterranei della chiesa di S. Agnese in Agone e pertinente
all’edificio di culto già esistente alla fine dell’VIII secolo e ad alcuni pannelli del pavimento marmoreo dei SS. Quattro Coronati (cfr.
supra).
102
Sembra si possa affermare, in effetti, che solo nel III secolo
e solo in un’area particolare, cioè quella alessandrino-cirenaica, si
può individuare un centro di produzione di sectilia pavimenta di tipologia originale ed indipendente da quelle che, per caratteri co-
muni, sembrano da ricondurre esclusivamente a Roma. Si tratta di
quei pavimenti marmorei che abbiamo definito ‘plurilistellati’ perché caratterizzati dalla presenza di delineature con più listelli sottili di più colori contrastanti e organizzate per formelle singole e
indipendenti. Questa tipologia si diffuse già nei secoli successivi,
non solo in gran parte dell’area mediterranea meridionale e orientale, ma anche verso nord: ne troviamo infatti esempi ad Ostia – ma
finora non a Roma – già nel IV secolo (GUIDOBALDI 2005).
103
GUIDOBALDI 2001.
104
COD. Theod. XIII, 4, 2.
105
Le cause dell’evidente contrazione dei volumi di lavoro provenienti dal ‘comparto’ della produzione pavimentale a Roma, nel
periodo che va dal V al VII secolo, sono ovviamente da ricercare
nella riduzione della richiesta, a sua volta legata sia al depopolamento che alla decadenza economica. Inutile ribadire che tali fe-
388
FEDERICO GUIDOBALDI, ALESSANDRA GUIGLIA
Se si guarda solo alla produzione pavimentale si ricava probabilmente un’immagine troppo riduttiva dell’attività artigianale relativa ai rivestimenti decorativi
nella Roma tardoantica e altomedievale: infatti, come
abbiamo indicato nelle pagine precedenti, al crollo verticale della richiesta di nuovi pavimenti non corrisponde
affatto una altrettanto drastica diminuzione nel settore
dei rivestimenti parietali. Già nel IV secolo, quando i
tradizionali tessellata pavimenta vanno in disuso a
Roma, assistiamo infatti ad un improvviso ed incisivo
sviluppo non solo dei rivestimenti musivi parietali, che
ora non sono più limitati, come in precedenza, quasi
esclusivamente ad edifici termali o a ninfei, ma anche
dei commessi marmorei che diventano una sorta di status symbol specialmente nell’ambito dell’edilizia di
committenza imperiale e, in generale, in quella residenziale di alto e medio livello.
È evidente, peraltro che le due tecniche di rivestimento citate, che si pongono ad un livello qualitativa-
mente assai superiore a quello che compete alla pur diffusissima alternativa della decorazione pittorica, sono
spesso associate tra loro in singoli edifici.
Emblematico in tal senso è il caso del mausoleo di
Costantina, del pieno IV secolo, nel quale, come abbiamo ricordato, la volta della navata anulare e le absidi conservano tuttora buona parte dei rivestimenti
musivi che si svolgevano anche nella cupola, mentre il
tamburo interno e le pareti perimetrali erano ricoperte
da incrustationes marmoree e ciò anche in base ad ovvi
accorgimenti pratici 107. Così anche nel mausoleo di
Elena, nel cosiddetto tempio di Minerva Medica e in
molti degli altri edifici residenziali di Roma e di Ostia
che hanno conservato gli alzati e le tracce dei relativi
rivestimenti.
Dopo le prime realizzazioni in mausolei e palazzi
imperiali o in residenze aristocratiche i rivestimenti parietali assunsero una diffusione sempre maggiore nelle
chiese che si appropriarono con decisione di queste tecniche decorative e soprattutto del mosaico parietale.
Esso si prestava infatti assai bene non solo alle esigenze
di rappresentare simbologie e figurazioni cristiane talora complesse, ma anche alla nuova concezione dell’architettura, che, a partire da Costantino, aveva scelto
la luce e il cromatismo delle superfici lisce e riflettenti
come elementi connotanti degli interni 108 e in quest’ottica aveva impiegato, in modo sempre più incisivo
proprio nelle chiese, le tessere d’oro che meglio accompagnavano gli intenti rappresentativi della religione
nei suoi contenuti spirituali.
Le incrustationes non avevano le stesse valenze ed
è forse per questo motivo che, mentre nella stessa capitale si formò ben presto e prosperò per molti secoli
una vera e propria ‘scuola romana’ del mosaico parietale, la produzione di rivestimenti marmorei dopo una
prima ‘impennata’ nel IV e V secolo, che rese Roma
nomeni, già innescati almeno a partire dalla morte di Valentiniano
III – coincidente peraltro con il sacco vandalico (455) – e poi incrementati con l’estinzione dell’impero d’occidente (476) e con la
migrazione di parte dell’aristocrazia a Costantinopoli, giunsero a un
punto critico di caduta verticale nel disastroso ventennio delle guerre
gotiche (535-555), al termine delle quali sia gli abitanti che le risorse economiche dovevano essere ridotti a quantità insignificanti
rispetto alla situazione della metropoli del IV secolo.
106
Va detto, a questo punto, che pur se inizialmente era nostra
intenzione affrontare l’argomento della produzione nel settore
dei rivestimenti decorativi sulla base dei mestieri antichi quali risultavano dalle fonti e dall’epigrafia, abbiamo poi preferito rinunciare a questa impostazione dopo la constatazione delle
notevoli ambiguità interpretative che sembrano sussistere in letteratura sui vari termini come marmorarius, crustarius, musivarius, etc. Cogliamo qui l’occasione per esprimere un sincero e
amichevole ringraziamento a Gian Luca Gregori, che ci è stato
prodigo di indicazioni su questo argomento, in realtà poco frequentato, se si eccettuano alcuni importanti contributi (cfr. ad es.
BALMELLE, DARMON 1986, con bibliografia precedente e con interessante discussione alle pp. 248-249; DUNBABIN 1999, pp. 236,
275-276). Sembra comunque che si sia ancora lontani da inquadramenti univoci delle varie professionalità, nonostante la notevole quantità dei dati ricavabili dai repertori epigrafici ai quali si
è recentemente aggiunto anche quello specifico dell’epigrafia cristiana di Roma (BISCONTI 2000).
107
In realtà le superfici semicilindriche come quelle della base
delle absidi, o cilindriche, come i tamburi delle cupole, sono state
talvolta rivestite da commessi marmorei, ma le volte, le cupole e i
catini absidali non potevano ricevere quel tipo di decorazione, notevolmente pesante, per ovvi motivi di sicurezza.
108
GUIDOBALDI, PEDONE 2011, pp. 104-109; GUIDOBALDI 2013.
versatili, tanto da ricoprire i vari ruoli, di marmorarii,
tessellarii etc. che in precedenza erano nettamente separati anche nell’inquadramento ‘ufficiale’ dei mestieri 106.
Si deve ammettere, tuttavia, che questo mestiere
‘misto’, che le contingenze storiche ed economiche avevano fatto sviluppare, permise di fatto la sopravvivenza,
pur se in tono minore, di una cultura decorativa pavimentale tipicamente romana che anche dopo periodi di
evidente ‘latenza’ riuscì a riemergere e a riacquistare
anche livelli di ben più alta professionalità come testimonia la lunga e folta serie dei pavimenti cosmateschi
prodotti a partire dall’inizio del XII secolo.
Rivestimenti parietali
I RIVESTIMENTI PAVIMENTALI E PARIETALI A ROMA FINO AL IX SECOLO
389
Estendendo finalmente l’analisi all’intero insieme
dei manufatti finora presi in considerazione, si può a
questo punto generalizzare sottolineando che, mentre i
rivestimenti pavimentali nel loro insieme, cioè sia quelli
a mosaico sia quelli marmorei, subiscono già nel V secolo un notevole decremento della richiesta, i rivestimenti parietali sia musivi che ad incrustationes tendono
ad un incremento della produzione almeno per il periodo che va dal IV al VI secolo. Per il successivo intervallo che va dal VII al IX secolo dobbiamo ammettere
invece che, mentre il mosaico parietale resiste anche alla
generale decadenza economica che si riscontra soprattutto all’interno del VII e VIII secolo, il settore produttivo delle incrustationes di una certa articolazione
scompare quasi del tutto: il rivestimento marmoreo
ormai assai semplificato di S. Agnese fuori le mura, è
un indizio prezioso di questo ridimensionamento delle
qualificazioni artistiche nel settore che si avvia ad una
più modesta continuazione dell’attività, orientata ormai
sempre più verso i semplici e resistenti rivestimenti a
lastre bianche omogenee 110, certo in gran parte recuperate da edifici più antichi.
Ciò ci ricorda che, parlando di attività produttive nella
Roma tardoantica e, soprattutto, in quella altomedievale,
non dobbiamo mai omettere la componente fondamentale che ebbero, in tutti i settori, le complementari attività del reimpiego, che sono da considerare uno dei
principali elementi dell’economia globale di Roma, sia
in quei tempi – e in parte già in quelli precedenti – sia
in quelli successivi fino al XVII secolo e oltre.
Le fonti che alimentarono a Roma questa ‘industria
del reimpiego’ sono davvero innumerevoli ed è interessante sottolineare che anche i rivestimenti marmorei
e musivi prodotti con materiali recuperati da altri edifici furono poi essi stessi oggetto di ulteriore reimpiego
per i rivestimenti dei periodi successivi. Così le formelle
dei sectilia pavimenta, che già erano soggette al riciclaggio almeno dal IV secolo, continuarono ad essere
riutilizzate più volte anche per rappezzi nei mosaici pavimentali e se provenivano da composizioni a lastre più
grandi, furono usate nei numerosi e semplicissimi pavimenti a lastricato irregolare, in uso nell’alto medioevo
e oltre. Anche le incrustationes, specialmente quelle ottenute con grandi specchiature contenenti lastre intere,
tonde, ovali, rettangolari rombiche etc., un tempo solidamente ancorate alle pareti, ben presto, quando persero aderenza e si distaccarono dai supporti per effetto
dell’assenza di manutenzione in molti edifici ormai abbandonati, divennero anch’esse una fonte di facile approvvigionamento, prima per le pavimentazioni in
sectile-tessellato o in sectile che si andavano affermando
nel VI e IX secolo poi per i manufatti prodotti dalle maestranze ‘cosmatesche’. Lo stesso dovette verificarsi con
le tessere musive che, come abbiamo accennato, potevano trovarsi in tratti estesissimi soprattutto nelle grandi
terme, ma poi anche negli edifici di IV e V secolo che,
già in disuso alla fine del VI secolo, erano diventate possibili cave incustodite di quelle preziose tessere vitree,
facilmente recuperabili e riutilizzabili, delle quali si saranno sicuramente alimentate sia la fiorente industria
109
Significativo in tal senso è il recente accertamento di un rivestimento musivo su una parete esterna delle terme di Diocleziano
che poteva estendersi per parecchie centinaia di metri quadrati (GUIDOBALDI 2014, pp. 121-123 e 125-126): dell’originaria superficie
musiva policroma restano oggi poche decine di tessere in situ, ma
è facile ipotizzare che i milioni di tessere che certo componevano
la superficie originaria nel IV secolo, una volta cadute oppure intenzionalmente rimosse, siano state per secoli oggetto di recuperi
intensivi a scopo di reimpiego.
110
Un caso particolarmente integro è quello della cappella di S.
Zenone in S. Prassede, del tempo di Pasquale I (817-824).
non solo centro di manifattura ma anche di irradiazione
ed esportazione, sopravvisse ancora attivamente nel VI
secolo, ma già verso la fine di esso sembra decrescere
velocemente nella qualità e nella quantità. Contemporaneamente, invece, il mosaico parietale mantenne connotazioni stilistiche proprie e superò brillantemente
anche la crisi delle guerre gotiche e, nei tre secoli successivi, continuò a produrre opere di notevole impegno
e qualità che dimostrano la vitalità pressoché ininterrotta delle maestranze attive nel settore. La serie delle
decorazioni musive parietali sopravvissute o documentate nelle chiese di Roma dal IV secolo fino alla metà
del IX, che abbiamo delineato, pur se sommariamente,
nel paragrafo dedicato a questa tecnica di rivestimento,
presenta in effetti solo minime soluzioni di continuità
e quindi la corrispondente attività produttiva può essere
considerata stabile e costante; lo stesso vale per altri settori collaterali di notevole importanza, cioè quello della
produzione del vetro e quello della lavorazione dell’oro, ai quali si deve certo aggiungere anche quello più
modesto, ma certo non trascurabile, del recupero delle
tessere vitree da più antiche decorazioni musive di
grande estensione, come quelle presenti nei più importanti complessi termali ormai da tempo abbandonati 109.
Conclusioni
390
FEDERICO GUIDOBALDI, ALESSANDRA GUIGLIA
dei mosaici cristiani sia quella altrettanto attiva del
vetro e dei prodotti ad esso associati.
Il reimpiego dei materiali che erano stati essenziali
nella produzione di rivestimenti parietali e pavimentali
della Roma antica e tardoantica resta dunque un elemento fondamentale dell’economia della Roma altomedievale, anzi si può forse affermare che proprio la
disponibilità larghissima di marmi da riutilizzare fu una
componente essenziale della sopravvivenza di vari settori produttivi nel campo dei rivestimenti decorativi, che
conservarono, anche nei momenti di più profonda decadenza economica, una sorta di ‘continuità latente’
della cultura artistica legata alle decorazioni marmoree
e musive.
Bibliografia
ALFANO 2006 = G. ALFANO, 42. I mosaici e la decorazione
ad opus sectile nell’atrio del battistero lateranense: 42c.
La decorazione ad opus sectile, in ANDALORO 2006a, pp.
355-357.
ALFARANO-CERRATI 1914 = TIBERII ALPHARANI, De basilicae
vaticanae antiquissima et nova structura, pubblicato per
la prima volta con introduzione e note dal Dott. D. Michele Cerrati, Roma 1914.
AMADIO 1986 = A.A. AMADIO, I mosaici di S. Costanza: disegni, incisioni e documenti dal XV al XIX secolo, Roma
1986.
ANDALORO 1989 = M. ANDALORO, I mosaici dell’Oratorio di
Giovanni VII, in M. ANDALORO, A. GHIDOLI, A. IACOBINI
et alii (a cura di), Fragmenta picta. Affreschi e mosaici
staccati del Medioevo romano (catalogo della mostra,
Roma, Castel S. Angelo, 15 dicembre 1989-18 febbraio
1990), Roma 1989, pp. 169-177.
ANDALORO 2006a = M. ANDALORO (a cura di), La pittura medievale a Roma 312-1431, Corpus, volume I, L’orizzonte
tardoantico e le nuove immagini 312-468, Milano 2006.
ANDALORO 2006b = M. ANDALORO, 8. Il mosaico absidale di
Santa Pudenziana, in ANDALORO 2006a, pp. 114-124.
ANGELELLI 2004 = C. ANGELELLI, Sectilia pavimenta minori
e/o inediti della Villa di Domiziano, in V. LIVI, R. RIGHI
(a cura di), Studi e ricerche sul patrimonio archeologico
del Parco Nazionale del Circeo. Atti del Convegno (Sabaudia, 27 marzo 2004), Sabaudia 2004, pp. 83-95.
ANGELELLI 2011 = C. ANGELELLI, Le pavimentazioni musive
a grandi tessere della basilica titolare di S. Pudenziana:
nuove osservazioni, in O. BRANDT, PH. PERGOLA (a cura
di), Marmoribus vestita. Miscellanea in onore di Federico Guidobaldi, Città del Vaticano 2011, pp. 25-53 (Studi
di Antichità Cristiana, LXIII).
Anonimo del XVI secolo = Anonimo del XVI secolo, Nota d’anticaglie et spoglie et cose meravigliose et grande sono
nella cipta de Roma da vederle volentieri (B.I.A.S.A.
Ms.51A), ed. A. Fantozzi, Roma 1994 (Monografie romane, 10- Alma Roma).
ARENA 2005 = M.S. ARENA, L’opus sectile di Porta Marina,
Roma 2005.
ASTOLFI 1999 = F. ASTOLFI, Il quartiere romano di via in Ar-
cione, Roma 1999 (Supplemento al n. 1/99 di Forma
Urbis, Itinerari nascosti di Roma antica).
BALDASSARRI 2008 = P. BALDASSARRI, Indagini archeologiche a Palazzo Valentini. La campagna 2005-2007, in DEL
SIGNORE 2008, pp. 29-93.
BALLARDINI, POGLIANI 2013 = A. BALLARDINI, P. POGLIANI, A
reconstruction of the oratory of John VII (705-707), in R.
MCKITTERICK, J. OSBORNE, C.M. RICHARDSON et alii (a cura
di), Old St. Peter’s, Rome, Roma 2013, pp. 190-213.
BALMELLE, DARMON = C. BALMELLE, J.-P. DARMON, L’artisan-mosaïste dans l’Antiquité tardive. Réflexions à partir des signatures, in X. BARRAL I ALTET (a cura di),
Artistes, artisans et production artistique au Moyen Age,
Volume I. Les hommes. Actes du colloque international
(Rennes, 2-6 mai 1983), Paris 1986, pp. 235-253.
BARTOLI, FELICI, SANTOPADRE et alii 2013 = M. BARTOLI, F.
FELICI, P. SANTOPADRE, M. VERITÀ, Il mosaico parietale
del ninfeo sotto il Palazzo Nuovo della Bibliotheca Hertziana a Roma: le nuove acquisizioni, in Bollettino ICR,
26, 2013, pp. 3-27.
BECATTI 1961 = G. BECATTI, Mosaici e pavimenti marmorei,
Roma 1961 (Scavi di Ostia, IV).
BECATTI 1969 = G. BECATTI, Edificio con opus sectile fuori
Porta Marina, Roma 1969 (Scavi di Ostia, VI).
BETORI, MARI 2006 = A. BETORI, Z. MARI, Villa Adriana: novità da recenti scavi e considerazioni su significato e cronologia delle stesure musive omogenee a grandi tessere,
in C. ANGELELLI (a cura di), Atti dell’XI Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione
del Mosaico (Ancona, 16-19 febbraio 2005), Tivoli 2006,
pp. 393-404.
BIANCHI, BRUNO, COLETTA et alii 2000 = F. BIANCHI, M.
BRUNO, A. COLETTA, M. DE NUCCIO, Domus delle Sette
Sale. L’opus sectile parietale dell’aula basilicale: studi
preliminari, in F. GUIDOBALDI, A. PARIBENI (a cura di), Atti
del VI Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio
e la Conservazione del Mosaico (Venezia, 20-23 gennaio
1999), Ravenna 2000, pp. 351-360.
BIANCHI, BRUNO, DE NUCCIO 2002 = F. BIANCHI, M. BRUNO,
M. DE NUCCIO, La Domus sopra le Sette Sale: la decorazione pavimentale e parietale dell’aula absidata, in DE
NUCCIO, UNGARO 2002, pp. 161-169.
BISCONTI 2000 = F. BISCONTI, Mestieri nelle catacombe romane. Appunti sul declino dell’iconografia del reale nei
cimiteri cristiani di Roma, Città del Vaticano 2000 (Studi
e ricerche della Pontificia Commissione di Archeologia
Sacra, 2).
BITTERER 2013 = T. BITTERER, Marmorverkleidung stadtrömischer Architektur. Öffentliche Bauten aus dem 1. Jahrhundert v. Chr. bis 7. Jahrhundert n. Chr.
Inauguraldissertation zur Erlangung des Doktorgrades der
Philosophie an der Ludwig-Maximilians-Universität München, München 2013.
BORDI 2006 = G. BORDI, 44c. I mosaici e i dipinti murali esistenti e perduti di San Paolo fuori le mura. Il mosaico
dell’arco trionfale, in ANDALORO 2006a, pp. 395-407.
BOVINI 1954 = G. BOVINI, Origine e tecnica del mosaico parietale paleocristiano, in FelRav, 14, 1954, pp. 5-21.
BRANDENBURG 2000 = H. BRANDENBURG, S. Stefano Rotondo.
Der letzte Grossbau der Antike in Rom. Die Typologie des
Baues. Die Ausstattung der Kirche. Die kunstgeschichtliche Stellung des Kirchenbaues und seiner Ausstattung, in
H. BRANDENBURG, J. PÁL (a cura di), Santo Stefano Rotondo
I RIVESTIMENTI PAVIMENTALI E PARIETALI A ROMA FINO AL IX SECOLO
in Roma. Archeologia, storia dell’arte, restauro. Atti del
convegno internazionale (Roma, 10-13 ottobre 1996),
Wiesbaden 2000, pp. 35-65 (Spätantike – frühes Christentum – Byzanz. Kunst im ersten Jahrtausend. Reihe B: Studien und Perspektiven, Band 8).
BRANDENBURG 2004 = H. BRANDENBURG, Le prime chiese di
Roma IV-VII secolo, Milano 2004.
BRANDT, GUIDOBALDI 2008 = O. BRANDT, F. GUIDOBALDI, Il
battistero lateranense: nuove interpretazioni delle fasi strutturali, in RACr, 84, 2008, pp. 189-282.
BRANDT, PERGOLA 2011 = O. BRANDT, PH. PERGOLA (a cura
di), Marmoribus vestita. Miscellanea in onore di Federico
Guidobaldi, Città del Vaticano 2011, pp. 25-53 (Studi di
Antichità Cristiana, LXIII).
BRUNO 2005 = M. BRUNO, Rivestimenti marmorei dalla domus
Pinciana a Roma, in H. MORLIER (a cura di), Actes du IXème
Colloque international pour l’Étude de la mosaïque antique
et médiévale (Rome, 5-10 novembre 2001), I, École française de Rome 2005, pp. 603-628 (La Mosaïque Gréco-romaine, IX).
BRUTO, VANNICOLA 1990 = M.L. BRUTO, C. VANNICOLA, Ricostruzione e tipologia delle crustae parietali in età imperiale, in ArchCl, 42,1990, pp. 325-376.
CLAUSSEN, MONDINI, SENEKOVIC = P.C. CLAUSSEN, D. MONDINI, D. SENEKOVIC, Die Kirchen der Stadt Rom im Mittelalter 1050-1300, Band 3 G-L, S. Giacomo alla Lungara
bis S. Lucia della Tinta, Stuttgart 2010 (Corpus Cosmatorum II, 3).
COATES-STEPHENS 2006 = R. COATES-STEPHENS, La committenza edilizia bizantina a Roma dopo la riconquista, in A.
AUGENTI (a cura di), Le città italiane tra la tarda Antichità
e l’alto Medioevo. Atti del convegno (Ravenna, 26-28 febbraio 2004), Firenze 2006, pp. 299-316.
COATES-STEPHENS 2011 = R. COATES-STEPHENS, The Forum Romanum in the Byzantine Period, in BRANDT, PERGOLA 2011,
I, pp. 385-408.
CROISIER 2006 = J. CROISIER, 34. Pitture e mosaici dell’ipogeo di via Livenza, in ANDALORO 2006a, pp. 253-258.
DEL SIGNORE 2008 = R. DEL SIGNORE (a cura di), Palazzo Valentini. L’area tra antichità ed età moderna: scoperte archeologiche e progetti di valorizzazione, Roma 2008.
DE NUCCIO, UNGARO 2002 = M. DE NUCCIO, L. UNGARO (a
cura di), I marmi colorati della Roma imperiale, Roma
2002.
DE VOS 1997 = M. DE VOS, Dionysus, Hylas e Isis sui monti
di Roma. Tre monumenti con decorazione parietale in
Roma antica (Palatino, Quirinale, Oppio), Roma 1997.
DONCEEL-VOUTE 1988 = P. DONCEEL-VOUTE, Les pavements
des églises byzantines de Syrie et du Liban: décor, archéologie et liturgie, Louvain-La-Neuve 1988.
DUNBABIN 1999 = K.M.D. DUNBABIN, Mosaics of the Greek
and Roman World, Cambridge University Press 1999.
FIOCCHI NICOLAI 2009 = V. FIOCCHI NICOLAI, I cimiteri paleocristiani del Lazio, II. Sabina, Città del Vaticano 2009
(Monumenti di Antichità Cristiana, II serie, XX).
FIORE, APPETECCHIA 2013 = M.G. FIORE, A. APPETECCHIA, I rivestimenti marmorei parietali e pavimentali della villa di
Traiano ad Arcinazzo Romano (RM). Primi dati dalla campagna di scavo 2011, in C. ANGELELLI (a cura di), Atti del
XVIII Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e
la Conservazione del Mosaico (Cremona, 14-17 marzo
2012), Tivoli 2013, pp. 577-590.
FIORE, MARI 2005 = M.G. FIORE, Z. MARI, Pavimenti e rive-
391
stimenti in opus sectile della Villa di Traiano ad Arcinazzo
Romano, in H. MORLIER (a cura di), Actes du IXème Colloque international pour l’Étude de la mosaïque antique
et médiévale (Rome, 5-10 novembre 2001), École française
de Rome 2005, I, pp. 629-644 (La Mosaïque Gréco-romaine, IX).
FOGAGNOLO 2009 = S. FOGAGNOLO, Esempi di schemi decorativi dell’opus sectile parietale dalla zona inferiore della
Domus Augustana sul Palatino, in C. ANGELELLI (a cura
di), Atti del XIV Colloquio dell’Associazione Italiana per
lo Studio e la Conservazione del Mosaico (Spoleto, 7-9 febbraio 2008), Tivoli 2009, pp. 489-500.
GIULIANI 1998 = C.F. GIULIANI, L’edilizia nell’antichità, Roma
1998.
GIULIANI 2006 = R. GIULIANI, 23. I mosaici dell’arcosolio
nelle catacombe di Sant’Ermete sulla via Salaria Vetus, in
ANDALORO 2006a, pp. 182-183.
GOODSON 2010 = C.J. GOODSON, The Rome of Pope Paschal
I: papal power, urban renovation, church rebuilding and
relic translation, 817-824, Cambridge University Press
2010.
GUIDOBALDI 1983 = F. GUIDOBALDI, Mosaici con tessere porfiretiche a Roma tra III e IV secolo, in R. FARIOLI CAMPANATI (a cura di), Atti del III Colloquio Internazionale sul
Mosaico Antico (Ravenna, 6-10 settembre 1980), Ravenna
1983, II, pp. 491-503.
GUIDOBALDI 1985 = F. GUIDOBALDI, Pavimenti in opus sectile
di Roma e dell’area romana: proposte per una classificazione e criteri di datazione, in P. PENSABENE (a cura di),
Marmi antichi. Problemi d’impiego, di restauro e di identificazione, Roma 1985, pp. 171-233 (Studi Miscellanei, 26).
GUIDOBALDI 1994 = F. GUIDOBALDI, Sectilia pavimenta: la
produzione più antica in materiali non marmorei o misti,
in R. FARIOLI CAMPANATI (a cura di), Atti del I Colloquio
dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione
del Mosaico (Ravenna, 29 aprile-3 maggio 1993), Ravenna
1994, pp. 451-471.
GUIDOBALDI 1995 = F. GUIDOBALDI, Una domus tardo antica
inedita di Ostia ed i suoi pavimenti, in I. BRAGANTINI, F.
GUIDOBALDI (a cura di), Atti del II Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico (Roma, 5-7 dicembre 1994), Bordighera 1995, pp.
525-540.
GUIDOBALDI 1997 = F. GUIDOBALDI, Gli scavi del 1993-1995
nella basilica di S. Clemente a Roma e la scoperta del battistero paleocristiano. Nota preliminare, in RACr, 73, 1997,
pp. 461-491.
GUIDOBALDI 2000 = F. GUIDOBALDI, La produzione di mosaici
e sectilia pavimentali e parietali, in L. PANI ERMINI (a cura
di), Christiana loca. Lo spazio cristiano nella Roma del
primo millennio, Roma 2000, pp. 275-281.
GUIDOBALDI 2001 = F. GUIDOBALDI, I sectilia pavimenta a modulo quadrato con motivi complessi: componibilità degli
schemi disegnativi e unicità dei motivi, in D. PAUNIER, CH.
SCHMIDT (a cura di), Actes du VIIIème Colloque International pour l’Étude de la Mosaïque Antique et Médiévale
(Lausanne, 6-11 octobre 1997), Lausanne 2001, pp. 64-110
(La Mosaïque Gréco-romaine, VIII).
GUIDOBALDI 2003 = F. GUIDOBALDI, Sectilia pavimenta e incrustationes: i rivestimenti policromi pavimentali e parietali in marmo o materiali litici e litoidi dell’antichità
romana, in A. GIUSTI (a cura di), Eternità e nobiltà di ma-
392
FEDERICO GUIDOBALDI, ALESSANDRA GUIGLIA
teria – Itinerario artistico fra le pietre policrome, Firenze
2003, pp. 15-75.
GUIDOBALDI 2004a = F. GUIDOBALDI, Caratteri e contenuti della
nuova architettura dell’età costantiniana, in RACr, 80,
2004, pp. 233-276.
GUIDOBALDI 2004b = F. GUIDOBALDI, Il repertorio dei sectilia
pavimenta della Villa di Domiziano a confronto con quelli
delle altre residenze imperiali, in V. LIVI, R. RIGHI (a cura
di), Studi e ricerche sul patrimonio archeologico del Parco
Nazionale del Circeo. Atti del Convegno (Sabaudia, 27
marzo 2004), Sabaudia 2004, pp. 71-81.
GUIDOBALDI 2005 = F. GUIDOBALDI, Sectilia pavimenta. Le tipologie a schema reticolare con motivi complessi e quelle
a schema unitario plurilistellate, in H. MORLIER (a cura di),
Actes du IXè Colloque International sur l’Étude de la Mosaïque Antique et Médiévale (Rome, 5-10 novembre 2001),
Roma 2005, pp. 803-821.
GUIDOBALDI 2009 = F. GUIDOBALDI, Sectilia pavimenta tardoantichi e paleocristiani a piccolo modulo dell’Italia Settentrionale, in RACr, 85, 2009, pp. 355-410.
GUIDOBALDI 2011-2012 = F. GUIDOBALDI, La chiesa medievale
di S. Agnese in Agone, in RACr, 87-88, 2011-2012, pp. 401452.
GUIDOBALDI 2013 = F. GUIDOBALDI, Leggere l’architettura costantiniana, in Costantino I. Enciclopedia costantiniana
sulla figura e l’immagine dell’imperatore del cosiddetto
Editto di Milano 313-2013, Istituto della Enciclopedia Italiana fondato da Giovanni Treccani, Roma 2013, I, pp. 493516.
GUIDOBALDI 2014 = F. GUIDOBALDI, Mosaici pavimentali e parietali delle Terme di Diocleziano, in R. FRIGGERI, M. MAGNANI CIANETTI (a cura di), Le Terme di Diocleziano. La
Certosa di Santa Maria degli Angeli, Milano 2014.
GUIDOBALDI, OLEVANO, PARIBENI et alii 1994 = F. GUIDOBALDI,
F. OLEVANO, A. PARIBENI, D. TRUCCHI, Sectilia pavimenta
di Villa Adriana, Roma 1994 (Mosaici antichi in Italia, serie
monografica).
GUIDOBALDI, LALLI, PAGANELLI et alii 2004 = F. GUIDOBALDI,
C. LALLI, M. PAGANELLI, C. ANGELELLI, San Clemente. Gli
scavi più recenti (1992-2000), in L. PAROLI, L. VENDITTELLI
(a cura di), Roma dall’antichità al medioevo II. Contesti
tardo antichi e altomedievali, Milano 2004, pp. 390-415.
GUIDOBALDI, GRANDI, PISAPIA et alii 2014 = F. GUIDOBALDI,
M. GRANDI, M.S. PISAPIA, R. BALZANETTI, A. BIGLIATI,
Mosaici Antichi in Italia. Regione Prima. Ercolano, PisaRoma 2014.
GUIDOBALDI, ANGELELLI 2008 = F. GUIDOBALDI, C. ANGELELLI,
Sectilia pavimenta a modulo quadrato “a campionario”:
gli esempi pompeiani e le analogie con quelli ercolanesi,
in C. ANGELELLI, F. RINALDI (a cura di), Atti del XIII Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico (Canosa di Puglia, 21-24 febbraio
2007), Tivoli 2008, pp. 145-156.
GUIDOBALDI, GUIGLIA GUIDOBALDI 1983 = F. GUIDOBALDI, A.
GUIGLIA GUIDOBALDI, Pavimenti marmorei di Roma dal IV
al IX secolo, Città del Vaticano 1983 (Studi di Antichità
Cristiana, XXXVI).
GUIDOBALDI, PEDONE 2011 = F. GUIDOBALDI, S. PEDONE, Il viraggio delle scelte decorative nei rivestimenti pavimentali
e parietali in età costantiniana: dagli antefatti agli esiti,
in Musiva et Sectilia, 8, 2011 (2014), pp. 35-162.
GUIGLIA GUIDOBALDI 1983 = A. GUIGLIA GUIDOBALDI, I pavimenti in opus sectile delle tabernae della Basilica Emilia:
testimonianze Bizantine a Roma nel VI secolo, in R. FARIOLI CAMPANATI (a cura di), Atti del III Colloquio Internazionale sul Mosaico Antico (Ravenna, 6-10 settembre
1980), Ravenna 1983, II, pp. 505-513.
GUIGLIA GUIDOBALDI 1984 = A. GUIGLIA GUIDOBALDI, I pavimenti in opus sectile di Filippi: tipologia e ascendenze, in
Actes du Xe Congrès International d’Archéologie Chrétienne (Thessalonique, 28-9/4-10 1980), Città del Vaticano
1984, vol. II, pp. 153-166.
GUIGLIA GUIDOBALDI 2004 = A. GUIGLIA GUIDOBALDI, La decorazione marmorea dell’edificio di Santa Maria Antiqua
fra tarda antichità e alto medioevo, in J. OSBORNE, J. R.
BRANDT, G. MORGANTI (a cura di), Santa Maria Antiqua
al Foro Romano cento anni dopo. Atti del colloquio internazionale (Roma, 5-6 maggio 2000), Roma 2004, pp. 4865.
GUIGLIA GUIDOBALDI 2007 = A. GUIGLIA GUIDOBALDI, I marmi
di Giustiniano: sectilia parietali nella Santa Sofia di Costantinopoli, in A.C. QUINTAVALLE (a cura di), Medioevo mediterraneo: l’Occidente, Bisanzio e l’Islam. Atti del
Convegno internazionale di studi (Parma, 21-25 settembre
2004), Milano 2007, pp. 160-174 (I convegni di Parma, 7).
GUIGLIA c.s. = A. GUIGLIA, Il VI secolo: da Simmaco (498-514)
a Gregorio Magno (590-604), in M. D’ONOFRIO (a cura
di), La committenza artistica dei papi a Roma nel Medioevo,
Roma c.s.
GUIGLIA GUIDOBALDI 2011 = A. GUIGLIA GUIDOBALDI, The
Marble Floor Decoration in Constantinople: Prolegomena
to a Corpus, in M. ŞAHIN (a cura di), Proceedings of the
11th International Colloquium on Ancient Mosaics (Bursa,
16th-20th October 2009), Istanbul 2011, pp. 413-436.
GUIGLIA, GUIDOBALDI 2015 = A. GUIGLIA, F. GUIDOBALDI, I
pavimenti marmorei delle chiese di Roma tra IV e VII secolo: aggiornamenti e novità, in M. GIANANDREA, F. GANGEMI, C. COSTANTINI (a cura di), Il potere dell’arte nel
medioevo. Studi in onore di Mario D’Onofrio, Roma 2015,
pp. 79-106.
GUIGLIA GUIDOBALDI, PENSABENE 2005-2006 = A. GUIGLIA
GUIDOBALDI, P. PENSABENE, Il recupero dell’antico in età
carolingia: la decorazione scultorea absidale delle chiese
di Roma, in RendPontAc, LXXVIII, 2005-2006, pp. 3-74.
KRAUTHEIMER, CORBETT, FRAZER 1980 = R. KRAUTHEIMER, S.
CORBETT, A.K. FRAZER, Corpus Basilicarum Christianarum Romae, V, Città del Vaticano 1980.
LAZZARINI 2006 = L. LAZZARINI, Poikiloi Lithoi, Versiculores
Maculae: i marmi colorati della Grecia antica, Pisa-Roma
2007 (Marmora, 2/2006, Supplemento 1).
LEARDI 2006a = G. LEARDI, 33. La decorazione ad opus sectile della basilica di Giunio Basso, in ANDALORO 2006a,
pp. 247-252.
LEARDI 2006b = G. LEARDI, 39. Sectilia e mosaici dell’aula
con esedra della domus fuori Porta Marina a Ostia, in ANDALORO 2006a, pp. 276-285.
LEARDI 2006c = G. LEARDI, 40. I mosaici e la decorazione ad
opus sectile di Santa Sabina, in ANDALORO 2006a, pp. 292304.
LISSI CARONNA 1985 = E. LISSI CARONNA, Un complesso edilizio fra Via in Arcione, Via dei Maroniti e Vicolo dei Maroniti, in A.M. BIETTI SESTIERI (a cura di), Roma.
Archeologia nel centro. II. La “città murata”, Roma 1985,
pp. 360-365.
LUGARI, GUIDOBALDI 2013 = A. LUGARI, F. GUIDOBALDI, I rivestimenti marmorei pavimentali e parietali delle residenze
I RIVESTIMENTI PAVIMENTALI E PARIETALI A ROMA FINO AL IX SECOLO
di Nerone sul Palatino alla luce dei recentissimi restauri,
in C. ANGELELLI (a cura di), Atti del XVIII Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione
del Mosaico (Cremona, 14-17 marzo 2012), Tivoli 2013,
pp. 613-626.
LUMACONE, QUATTROCCHI 2008 = A. LUMACONE, M. QUATTROCCHI, I rivestimenti in opus sectile della domus B, in
DEL SIGNORE 2008, pp. 95-107.
LUSCHI 1997 = L. LUSCHI, Gli antichi edifici della basilica dei
SS. Cosma e Damiano: osservazioni sui disegni ligoriani,
in Corsi di Cultura sull’Arte Ravennate e Bizantina, XLIII,
1997, pp. 429-452.
MANCINI 1967-1968 = A. MANCINI, La chiesa medioevale di
S. Adriano nel Foro Romano, in RendPontAc, XL, 19671968, pp. 191-245.
MATTHIAE 1967 = G. MATTHIAE, Mosaici medioevali delle
chiese di Roma, Roma 1967.
MCCLENDON 1980 = CH. MCCLENDON, The revival of opus sectile pavements in Rome and the vicinity in the Carolingian
period, in BSR, 48, 1980, pp. 157-165.
MCCLENDON 1987 = CH. MCCLENDON, The Imperial Abbey of
Farfa. Architectural Currents of the Early Middle Ages, Yale
University Press, New Haven – London 1987.
MELUCCO VACCARO 1974 = A. MELUCCO VACCARO, La Diocesi di Roma. La II regione ecclesiastica, Spoleto 1974
(Corpus della scultura altomedievale, VII, 3).
MENNA 2006a = M.R. MENNA, 9. Il mosaico con Cristo-Helios nel sepolcro dei Giulii nella necropoli vaticana, in ANDALORO 2006a, pp. 126-130.
MENNA 2006b = M.R. MENNA, 41. I mosaici della basilica di
Santa Maria Maggiore, in ANDALORO 2006a, pp. 305-346.
MICHAELIDES 1993 = D. MICHAELIDES, Opus sectile in Cyprus,
in A.A.M. BRYER, G.S. GEORGHALLIDES (a cura di), The
Sweet Land of Cyprus. Papers Given at the Twenty-Fifth
Jubilee Spring Symposium of Byzantine Studies (Birmingham, March 1991), Nicosia 1993, pp. 69-113.
MILELLA 2009 = A. MILELLA, Nuove acquisizioni sulla diaconia di S. Teodoro al Palatino a Roma: notizia preliminare,
in M. ROTILI (a cura di), Tardo antico e alto medioevo. Filologia, storia, archeologia, arte, Napoli 2009, pp. 225-233.
MORETTI 2006 = F.R. MORETTI, 42. l mosaici e la decorazione
ad opus sectile nell’atrio del battistero lateranense, in ANDALORO 2006a, pp. 348-354.
MUÑOZ 1926 = A. MUÑOZ, Il restauro della basilica di S. Giorgio al Velabro in Roma, Roma 1926.
OLEVANO, ROSSO 2001 = F. OLEVANO, M. ROSSO, Il mosaico
a grandi tessere marmoree delle terme «della Marciana»
a Ostia, in F. GUIDOBALDI, A. PARIBENI (a cura di), Atti dell’VIII Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e
la Conservazione del Mosaico (Firenze, 21-23 febbraio
2001), Ravenna 2001, pp. 561-572.
PARIBENI 2004 = A. PARIBENI, Osservazioni sui mosaici pavimentali dei palazzi omayyadi, in A.C. QUINTAVALLE (a cura
di), Medioevo: arte lombarda. Atti del Convegno internazionale di studi (Parma, 26-29 settembre 2001), Milano
2004, pp. 634-642 (I convegni di Parma, 4).
PARIS, DI SARCINA 2012 = R. PARIS, M.T. DI SARCINA (a cura
di), Museo Nazionale Romano. Palazzo Massimo alle
Terme. I mosaici, Milano 2012.
PARMEGIANI, PRONTI 2004 = N. PARMEGIANI, A. PRONTI, S. Cecilia in Trastevere. Nuovi scavi e ricerche, Città del Vaticano 2004 (Monumenti di Antichità Cristiana, II serie,
XVI).
393
PENNESI 2006 = S. PENNESI, 48. I mosaici delle cappelle del
battistero lateranense, in ANDALORO 2006a, pp. 425-435.
PENSABENE 2013 = P. PENSABENE, I marmi nella Roma antica,
Roma 2013.
PIAZZA 2006 = S. PIAZZA, I mosaici esistenti e perduti di Santa
Costanza, in ANDALORO 2006a, pp. 53-86.
PICCIRILLO, ALLIATA 1994 = M. PICCIRILLO, E. ALLIATA, Umm
al-Rasas Mayfa’ah, I, Gli scavi del complesso di Santo Stefano, Jerusalem 1994 (Studium Biblicum Franciscanum,
Collectio Maior 28).
POGLIANI 2006 = P. POGLIANI, 20. Il mosaico con la Maiestas
Domini, la Resurrezione di Lazzaro e i Tre Fanciulli nella
fornace della catacomba di Domitilla, in ANDALORO 2006a,
pp. 175-178.
RICCIONI 2006 = S. RICCIONI, Il mosaico absidale di S. Clemente a Roma exemplum della chiesa riformata, Spoleto
2006 (Studi e ricerche di storia dell’arte, 7).
RICKERT 1998 = F. RICKERT, Zum Inkrustationsschmuck von S.
Sabina in Rom, in Chartulae. Festschrift für Wolfgang
Speyer, Münster 1998, pp. 263-270.
SAGUÌ 2012 = L. SAGUÌ, Pendici nord orientali del Palatino:
“Terme di Elagabalo”. Pavimenti tardo repubblicani,
medio imperiali e tardo antichi, in F. GUIDOBALDI, G. TOZZI
(a cura di), Atti del XVII Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico (Teramo, 10-12 marzo 2011), Tivoli 2012, pp. 343-352.
SALVETTI 2013 = C. SALVETTI, I mosaici antichi pavimentali e
parietali e i sectilia pavimenta di Roma nelle Collezioni
Capitoline, Pisa-Roma 2013 (= Musiva et Sectilia, 6, 2009).
SEAR 1977 = F.B. SEAR, Roman Wall and Vault Mosaics, Heidelberg 1977 (DAI, Ergänzungsheft, 23).
SERLORENZI 2004 = M. SERLORENZI, Santa Lucia in Selcis. Lettura del palinsesto murario di un edificio a continuità di
vita, in L. PAROLI, L. VENDITTELLI (a cura di), Roma dall’antichità al medioevo II. Contesti tardoantichi e altomedievali, Milano 2004, pp. 350-379.
SPERA 1995 = L. SPERA, Decorazioni in marmo delle catacombe
romane: osservazioni preliminari, in I. BRAGANTINI, F. GUIDOBALDI (a cura di), Atti del II Colloquio dell’Associazione
Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico
(Roma, 5-7 dicembre 1994), Bordighera 1995, pp. 433-446.
THUNØ 2015 = E. THUNØ, The Apse Mosaic in Early Medieval Rome. Time, network, and repetition, Cambridge University Press 2015.
TUCCI 2001 = P.L. TUCCI, Nuove acquisizioni sulla basilica dei
Santi Cosma e Damiano, in StRom, 49, 2001, pp. 275-293.
UGONIO 1588 = P. UGONIO, Historia delle stationi di Roma che
si celebrano la Quadragesima, Roma 1588.
UNGARO 2002 = L. UNGARO, Il Foro di Augusto, in DE NUCCIO, UNGARO 2002, pp. 109-121.
VENDITTELLI 2011 = L. VENDITTELLI (a cura di), Il Mausoleo
di Sant’Elena. Gli scavi, Roma 2011.
VINCENTI 2000 = V. VINCENTI, Mosaici parietali di Ostia, in
F. GUIDOBALDI, A. PARIBENI (a cura di), Atti del VI Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico (Venezia, 20-23 gennaio 1999),
Ravenna 2000, pp. 373-384.
VINCENTI in c.s.= V. VINCENTI, I mosaici di Villa Adriana (Mosaici Antichi in Italia, serie monografica), in c.s.
VOLPE 2010 = R. VOLPE, Edifici precedenti le Terme di Traiano, in BCom, 111, 2010, pp. 283-300.
TRA PITTURA E PARETE. PALINSESTI, RIUSI E OBLITERAZIONI
NELLA DIACONIA DI SANTA MARIA IN VIA LATA TRA VI E XI SECOLO
Giulia Bordi
La ‘parete palinsesto’ di S. Maria Antiqua
rappresenta sin dalla sua scoperta nel 1900
l’immagine più straordinaria, complessa e
stratificata dell’alto Medioevo romano (fig.
1) 1. Abituati a studiare la pittura medievale
per lo più attraverso la documentazione fotografica, la maggior parte degli specialisti di
storia dell’arte si concentra in particolare sull’individuazione di nessi formali tra i vari
testi pittorici e raramente si accorge che la ‘parete palinsesto’ di S. Maria Antiqua non è
un’eccezione ma è la norma. Un numero cospicuo di chiese romane presenta, infatti, decorazioni stratificate, le quali, una volta
superati i limiti imposti dalla frammentarietà,
rivelano le loro distinte ‘pelli pittoriche’ 2.
Da tempo gli storici dell’arte di area anglosassone denunciano i limiti di un approccio esclusivamente stilistico nello studio della
pittura altomedievale proponendo chi, come
John Osborne, di considerarlo una testimonianza della cultura materiale 3, chi, come Fig. 1. - S. Maria Antiqua. Parete ‘palinsesto’.
Beat Brenk, di concentrarsi sulla committenza 4 e chi, come Leslie Brubaker, di legla superficie dipinta attraverso un’analisi stratigrafica
gere il testo pittorico come un documento storico 5. Lo
‘verticale’. Lo scopo è quello di sfogliare, strato dopo
studio della pittura medievale, in realtà, richiede oggi
strato, il palinsesto pittorico. I singoli livelli sono ricoun approccio multi e inter disciplinare, che non può prenosciuti e isolati in base ai precipui materiali costituscindere dalla lettura storico-artistica.
tivi e alle tecniche esecutive impiegate. In seconda
La metodologia che ho sperimentato per lo studio
battuta, con un occhio più propriamente storico-artistico,
delle decorazioni pittoriche delle chiese romane indaga
1
NORDHAGEN 1962, pp. 54-66; ANDALORO 2004, pp. 97-111;
BORDI c.s.
2
Si ricordano a titolo esclusivamente esemplificativo le decorazioni stratificate conservate sulle pareti della chiesa inferiore di S.
Saba, nelle nicchie di S. Balbina, sulle pareti della chiesa inferiore
di S. Crisogono e nell’absidiola settentrionale della chiesa inferiore
dei SS. Quirico e Giulitta.
3
OSBORNE 2001, pp. 694-711.
4
BRUBAKER 2006, pp. 41-47.
5
BRENK 2003, pp. 971-974, 1047-1053.
396
GIULIA BORDI
cerco di leggere e integrare l’ordito iconografico e formale di ogni singola ‘pelle pittorica’. La sfida è quella
di capire fino a che punto ci si possa spingere nell’interpretazione di pareti dipinte ritenute illeggibili e sia
possibile superare, mediante un’‘integrazione mentale’,
il limite della frammentarietà di un testo pittorico 6.
L’obiettivo è quello di restituire visibilità a ciò che irrimediabilmente sta scomparendo, di riconoscere, registrare e quindi recuperare ogni minima traccia di
decorazione dipinta al tessuto figurativo originario,
senza mai oltrepassare la soglia della ricostruzione arbitraria.
Un rapporto dinamico con la parete dipinta permette
inoltre di riconoscere la coesistenza di fasi pittoriche risparmiate accanto a obliterazioni e aggiornamenti. La
frequenza di casi di questo tipo induce a proporre l’introduzione, anche in pittura, del concetto di ‘riuso’ che
di norma ci è più familiare in architettura e scultura. Gli
intonaci dipinti, infatti, possono essere ‘riusati’ sia per un mero sfruttamento materiale sia per il loro
valore cultuale o ideologico 7.
Ho scelto come osservatorio privilegiato per indagare il rapporto
tra parete e pittura nel Medioevo gli
ambienti sotterranei dell’antica diaconia di S. Maria in via Lata (fig.
2), poiché rappresentano con la loro
decorazione pittorica stratificata,
oggi in gran parte decontestualizzata, un caso emblematico 8.
Questa scelta vale una provocazione per esplicitare come un’indagine sui cantieri e sulla circolazione
delle maestranze pittoriche a Roma
nel Medioevo debba scontrarsi necessariamente con la realtà molteplice e mutevole della parete dipinta
intessuta di palinsesti, riusi e obliterazioni.
La chiesa di S. Maria in via Lata nella sua maestosa
veste barocca, opera di Pietro da Cortona (1658-1662),
si affaccia su via del Corso, antica via Lata 9.
I dipinti murali medievali tornarono alla luce tra il
1904 e il 1914 durante le campagne di scavo condotte
da Luigi Cavazzi nella cripta barocca 10. Essi sono caratterizzati da una stratificazione complessa della quale
sono andati perduti gran parte dei nessi quando, negli
anni 1959-1961, a causa dell’eccessiva umidità degli ambienti, l’Istituto Centrale per il Restauro decise di staccarli e trasferirli in un luogo più idoneo 11. Conservate
per quaranta anni nei depositi dell’Istituto, le pitture di
S. Maria in via Lata nel 2000 hanno finalmente trovato
uno spazio espositivo permanente nel Museo Nazionale
Romano della Crypta Balbi 12.
I pochi dipinti rimasti in situ, negli ambienti sottostanti all’attuale chiesa seicentesca, versano oggi in uno
6
Questo approccio metodologico nasce da un modello di indagine applicato alla parete dipinta di epoca paleocristiana e medievale messo a punto a partire dal 1996 nell’ambito dei progetti di
ricerca diretti da Maria Andaloro (Università egli studi della Tuscia) in Asia Minore. Vd. ANDALORO 2002, pp. 163-164; ANDALORO
2005a, pp. 147-162; BORDI 2008, pp. 9-11.
7
Si tratta in entrambi i casi di spolia in se. Cfr. BRILLANT 1982.
Per una riflessione a tutto campo sul concetto di spolia si veda da
ultimo il volume a cura di Richard Brillant e Dale Kinney, Reuse
value. Spolia and Appropriation in Art and Architecture from Constantine to Sherrie Levine, Farnham 2011.
8
Lo studio della decorazione pittorica della diaconia di S. Maria
in via Lata è stato condotto da chi scrive a partire dall’elaborazione
della tesi di perfezionamento in discipline storico-artistiche, di-
scussa nel 2008 presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, dal titolo Pittura e parete a Roma tra VII e XI secolo. Gli affreschi di
San Saba e Santa Maria in via Lata.
9
Sulle fasi post medievali della chiesa si veda da ultimo: PIERDOMINICI 2010.
10
La prima campagna di scavo fu intrapresa da Cavazzi tra il
1904 e il 1905, dopo una lunga pausa i lavori furono ripresi nel 1914
sotto la guida di Antonio Muñoz, allora funzionario della Regia Sopraintendenza per la conservazione dei Monumenti. Vedi: CAVAZZI
1908, pp. 200-240; CAVAZZI 1914, pp. 64-71, 151-152; PARDI 2006,
pp. 21-24.
11
BERTELLI, GALASSI PALUZZI 1971, pp. 16-17; TAMANTI 2001,
pp. 466-469.
12
BETTI 2001, pp. 455-465; MORETTI 2014, pp. 207-214.
Fig. 2. - S. Maria in via Lata. Sotterranei della chiesa. Vano II.
TRA PITTURA E PARETE. PALINSESTI, RIUSI E OBLITERAZIONI NELLA DIACONIA DI SANTA MARIA IN VIA LATA TRA VI E XI SECOLO
397
stato di conservazione critico, ma restano l’unico appiglio per ricostruire
questo importante complesso pittorico
medievale.
La diaconia, rinvenuta nel 1904, si
era insediata all’interno di strutture
più antiche (fig. 3). Gli scavi di Cavazzi, infatti, portarono alla scoperta
di un organismo architettonico che
aveva subìto diverse trasformazioni
d’uso nel corso dei secoli. Il complesso altomedievale, con orientamento inverso a quello dell’edificio
barocco, si era inserito all’interno di
sette vani comunicanti tra loro, che appartenevano ad una grande porticus
del I-II secolo 13. Nel III-IV secolo il
portico monumentale era stato convertito in horreum 14 o in un’insula con
tabernae 15, mediante l’inserimento di
lunghi muri trasversali, che crearono
una doppia fila di celle a pianta qua- Fig. 3. - S. Maria in via Lata. Planimetria dei sotterranei della chiesa (da Arena 2001).
drata, coperte con volte a crociera e
ante quem è fornito dalle pitture più antiche datate,
dotate tutte di un piano mezzanino 16.
come si vedrà a breve, tra la fine del VI e la metà del
La diaconia di S. Maria in via Lata è attestata per la
VII secolo. La cristianizzazione dell’edificio comportò
prima volta nel Liber Pontificalis, nella biografia di
l’abolizione dei mezzanini, l’inserimento di nuove coLeone III (795-816) 17, come già esistente. Le fonti tacperture con volta a botte e la progressiva apertura di
ciono sulla sua fondazione. Erik Sjöqvist data la cripassaggi e archivolti tra un ambiente e l’altro 21. Infine,
stianizzazione del luogo al VI secolo e l’insediamento
18
nel vano II fu chiusa la porta orientale con l’innesto di
della diaconia intorno alla metà dell’VIII secolo . Riun’abside 22.
chard Krautheimer e Spencer Corbett, invece, riconoLa prima campagna decorativa della diaconia è stata
scono una trasformazione degli horrea già agli inizi del
datata da Marina Righetti Tosti-Croce e da Fabio Betti
V o al VI secolo e il loro adattamento a scopi ecclealla fine VI-inizi VII secolo 23 mentre da Carlo Bertelli
siastici non più tardi del primo quarto del VII secolo 19.
alla metà del VII 24. Secondo questi studiosi si trattò di
Secondo una recente ipotesi di Robert Coates-Stephens,
un intervento di vasto respiro, manifesto purissimo delS. Maria in via Lata potrebbe rientrare nel novero degli
l’immissione a Roma della pittura greca, che interessò
edifici di culto dedicati alla Theotòkos passati sotto sialmeno quattro dei sei vani dell’edificio. In base a conlenzio dal Liber Pontificalis, in quanto fondazioni imfronti stilistici, spesso non esplicitati, sono stati riuniti
periali bizantine posteriori alla riconquista 20. Il terminus
13
KRAUTHEIMER, CORBETT, FRANKL 1971, pp. 75-77, fig. 69;
ARENA 2001, pp. 448-449, fig. 134; PARDI 2006, pp. 3-8.
14
SJÖQVIST 1946, p. 78; KRAUTHEIMER, CORBETT, FRANKL 1971,
p. 77.
15
PARDI 2006, p. 29.
16
KRAUTHEIMER, CORBETT, FRANKL 1971, pp. 76-77, figg. 7071; PARDI 2006, p. 29.
17
LP II 98, cc. 46, 70.
18
SJÖQVIST 1946, p. 94.
19
KRAUTHEIMER, CORBETT, FRANKL 1971, pp. 78-79, 81.
20
COATES-STEPHENS 2006, pp. 158-160; COATES-STEPHENS 2012,
pp. 87-88.
21
KRAUTHEIMER, CORBETT, FRANKL 1971, pp. 78-79; PARDI 2006,
pp. 30-31.
22
KRAUTHEIMER, CORBETT, FRANKL 1971, p. 79. L’abside fu
scoperta nel 1961, quando Bertelli, con l’appoggio finanziario di
Krautheimer, fece tre saggi nella parete orientale del vano II nella
muratura del XVII secolo, inserita a sostegno del portico d’ingresso della chiesa superiore (BERTELLI, GALASSI PALUZZI 1971,
p. 30).
23
RIGHETTI TOSTI-CROCE 1989, pp. 180-181; BETTI 2001, pp. 453454.
24
BERTELLI, GALASSI PALUZZI 1971, pp. 33-35; BERTELLI 1974,
p. 27; BERTELLI 1994, p. 209.
398
GIULIA BORDI
ce e Betti su una cronologia di
fine VI-inizi VII secolo 27, ha riguardato solo il vano IV. Sulle
pareti fu dipinto, distribuito su
tre registri, un ciclo veterotestamentario, articolato, sulla
base dei brani di pittura ancora
in situ, in almeno venti scene.
Due furono identificate da
Josef Wilpert: il Giudizio di Salomone (1 Re 3, 16-28), già sulla parete ovest, oggi esposto al
Museo Nazionale Romano della Crypta Balbi e Mosé che
scrive la legge (Dt 31, 24-25),
già sulla parete sud e perduto
all’indomani dello stacco del
1959-1961 (fig. 4) 28. Una terza scena si conserva parte in
situ e parte staccata: si tratta dei
due pannelli in origine dipinti
all’attacco dell’arco tra i vani I
Fig. 4. - Ricostruzione 3D del vano IV. Angolo sud-ovest. Fase fine VI-inizi VII secolo, Mosè che
scrive la legge e Giudizio di Salomone (realizzata da M. Viscontini).
e IV. A destra è rappresentato
un tempietto mentre a sinistra,
in uno stesso gruppo: i Quaranta martiri di Sebaste nelin base alla mia lettura, una figura stante (fig. 5). Lo strinl’abside (vano II); l’Orazione nell’orto e le teste nimgente confronto con una miniatura dell’Ottateuco vatibate (già nel vano III); il frammento con il tempietto e
cano 29, consente di riconoscervi l’episodio di Aronne
l’orante, il Mosè che scrive la legge, il Giudizio di Saal tempio: la figura a sinistra dell’arco è Aronne che inlomone e le storie dei Sette dormienti di Efeso (già nel
cede verso il tempio, quest’ultimo rappresentato a devano IV); l’arcone con i volti clipeati di santi e la fistra come un ciborio retto da colonne. Sul piedritto degura stante in palinsesto (già nel vano V) 25. Un gruppo
stro dell’arco si conserva traccia di pannelli iconici: una
decisamente troppo ampio ed eterogeneo per la plurasanta orante, sotto al tempietto della scena di Aronne,
lità di esiti stilistici, come già denunciato da Maria Ane più in basso un’altra figura di santo, del quale è giundaloro 26.
ta a noi solo la testa incorniciata da un’ampia aureola.
Per sondare i criteri che hanno governato l’organizSul montante sinistro è ipotizzabile che fossero dipinzazione e la distribuzione della decorazione pittorica
ti altri due santi, obliterati dall’inserimento del riquasulle pareti di S. Maria in via Lata e riconoscere e isodro con i Sette dormienti di Efeso, che pertanto appartiene
lare i singoli programmi iconografici sono partita dalla
a una fase decorativa successiva e distinta. Figure di sanmappatura capillare di tutte le tracce superstiti in situ,
ti erano rappresentate anche negli intradossi della finesopravvissute nonostante gli stacchi.
stra aperta sulla parete occidentale (fig. 4). Sulla pareIn base alla mia ricognizione, la più antica campagna
tina destra ho ritrovato tracce di panneggi della veste di
decorativa, per la quale concordo con Righetti Tosti-Crouna figura e dell’iscrizione Κοσμάς, già vista da Ca-
25
I dipinti già conservati nei vani III, IV e V sono oggi ospitati
presso il Museo Nazionale Romano della Cryta Balbi, esposti o in
deposito.
26
ANDALORO 1992, p. 601, nota 105.
27
RIGHETTI TOSTI-CROCE 1989, pp. 180-181; BETTI 2001, pp. 453,
455-456. Le scene veterotestamentarie del vano IV, nonostante l’ingente depauperamento della pellicola pittorica tradiscono ancora una
sintassi compositiva, una spazialità e una scioltezza dei movimenti
delle figure che trovano un confronto solo nelle straordinarie miniature del VI secolo del Codex purpureus Rossanensis (CAVALLO,
GRIBOMONT, LOERKE 1985-1987). Si veda ad esempio la pagina del
codice con il Processo davanti a Pilato e il Pentimento di Giuda
(fig. 8, recto) a confronto con la scena del Giudizio di Salomone.
28
WILPERT 1916, II, pp. 698-700; IV, taf. 138.3.
29
Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Grec. 749, fol. 241r;
WEITZMANN, BERNABÒ 1999, p. 179, pl. 777.
TRA PITTURA E PARETE. PALINSESTI, RIUSI E OBLITERAZIONI NELLA DIACONIA DI SANTA MARIA IN VIA LATA TRA VI E XI SECOLO
vazzi 30, chiaro indizio che qui
erano raffigurati, uno di fronte all’altro, i SS. Cosma e Damiano.
Nel pannello con il tempietto e la santa orante, esposto
nel Museo della Crypta Balbi,
si conserva, infine, una ghirlanda di fiori, a bottone giallo e
a calice rosso alternati, e foglie
(fig. 6). Ho trovato la stessa
ghirlanda nell’abside di S. Maria Antiqua, dipinta in prossimità degli spigoli tra l’emiciclo
e le paretine absidali. Questa
cornice fa parte di una campagna decorativa riferibile alla
fine del VI-inizi del VII secolo,
datazione che si accorda con
quella della prima fase pittorica di S. Maria in via Lata 31.
Nonostante la propensione
diffusa tra gli studiosi ad assimilare la disposizione dei vani
di S. Maria in via Lata a un edificio chiesastico a tre navate
(fig. 3), la concentrazione dei dipinti più antichi nel vano IV induce a ritenere che solo questo
ambiente, nell’iniziale uso cristiano del complesso, sia stato
valorizzato e reso specificamente connotato, probabilmente
in senso cultuale, dalla decorazione pittorica 32, e che solo in
seguito il vano II, con l’inserimento di un’abside, sia presumibilmente diventato l’oratorio
principale della diaconia. Va
però evidenziato che, se da una
parte la lettura dei programmi
decorativi deve essere necessariamente associata alla riflessione sulla funzione degli ambienti cui sono destinati,
riguardo al complesso di S.
Maria in via Lata, in effetti, spe-
Fig. 5. - Vano IV. Lato est. Aronne al tempio. Ricostruzione grafica della scena (realizzata da G.
Bordi e M. Viscontini).
a
b
Fig. 6. - Ghirlanda con fiori e foglie: a) S. Maria in via Lata, vano IV, ghiera dell’arcone est; b) S.
Maria Antiqua, emiciclo absidale.
CAVAZZI 1914, p. 69. Oggi dell’iscrizione restano solo due lettere finali: [Κοσυ]ας.
31
BORDI c.s.
30
399
32
Bertelli suggerì che in una prima fase il vano IV potesse essere stato un oratorio isolato, trasformato poi, insieme al vano I,
nella navata destra quando la chiesa assunse la sua forma definitiva. BERTELLI 1974, p. 27.
400
GIULIA BORDI
gesse funzioni legate al riuso
cristiano, rivelando una interessante analogia con la ‘sala a sei
vani’ del complesso dei SS. Silvestro e Martino ai Monti 34, ambienti aperti e adibiti dal VI al IX
secolo ad un uso cristiano, ma di
non immediata lettura funzionale.
Alla metà circa del VII secolo, in base alla nuova ricostruzione delle fasi che qui si propone, nell’angolo nord-est del
vano IV viene incastonato nel
preesistente ciclo veterotestamentario il miracolo dei Sette
dormienti di Efeso dipinto sulle
due paretine adiacenti (fig. 7) 35.
La scena, articolata in due riquadri attigui, racconta l’incontro del vescovo di Efeso, MartiFig. 7. - Ricostruzione 3D del vano IV. Angolo nord-est. Fase metà VII secolo, Miracolo dei Sette
no, accompagnato da Teodosio II
dormienti di Efeso (realizzata da M. Viscontini).
o dal suo proconsole, Antipatro,
cie per la fase più antica, si palesano non pochi problecon i sette giovani che escono dalla caverna dove erano
mi circa la sicura attribuzione ad un luogo di culto, poistati murati per ordine dell’imperatore Decio 36. In alto si
chè, in questo caso, configurazione dell’ambiente e
conserva l’iscrizione in greco [---]αν γλοσσο[κομον] / [soggetti iconografici delle pitture non appaiono dirimenti
--]αντες di cui si ricostruisce solo la parola τὸ γλοσσόκοin modo univoco sulla trasformazione del vano in oratorio.
μον che designa l’astuccio trovato dal vescovo presso la
Benchè le caratteristiche monumentali degli interi comcaverna 37. Questi dipinti non trovano nel panorama pitplessi diaconali nella Roma altomedievale siano ancora
torico romano un diretto confronto e in base a valutaziotutte da indagare 33, anche con approfondimenti archeoni di ordine epigrafico Guglielmo Cavallo ne ha proposto
logici, e di questi emergano con sicura riconoscibilità soluna datazione intorno agli anni di Martino I (649-655), batanto le chiese – pur essendo ovvio che a queste dovessandosi sui nessi riscontrati con le coeve iscrizioni pictae,
sero connettersi una serie di strutture di servizio –, per
conservate a S. Maria Antiqua 38. Sotto alla scena era dila diaconia di S. Maria in via Lata non è da escludere che,
pinta una teoria di sette santi stanti, di cui restano solo le
malgrado la concentrazione delle pitture nel vano IV, l’araureole, probabilmente gli stessi sette dormienti (fig. 7).
ticolato insieme di vani nell’arco di circa due secoli svolSi tratta del primo caso attestato nell’Urbe di una parete
Cfr. Bertolini 1947, pp. 1-145; Durliat 1990, pp. 165-184; Falesiedi 1995. Si veda da ultimo Cecchelli 2010 pp. 539-573.
34
Un parallelo tra la diaconia di S. Maria in via Lata e la ‘sala
a sei vani’ del complesso dei SS. Silvestro e Martino ai Monti è
stato proposto da Margherita Cecchelli (CECCHELLI 2001, pp. 4647, 90-91). Vd. inoltre: SERRA 1999, pp. 325-328.
35
A partire dalla lettura di Bertelli tutti gli studiosi hanno considerato le scene dell’Antico Testamento e i due riquadri dei Sette
dormienti di Efeso appartenenti ad una stessa fase pittorica. Bertelli
riteneva, infatti, che sotto alle scene veterotestamentarie, nei due registri inferiori delle pareti del vano IV, fossero dipinte storie agiografiche, chiuse in basso da figure iconiche di santi. Questa
decorazione è stata datata dallo studioso alla metà del VII secolo
(BERTELLI 1974, p. 25), mentre Righetti Tosti-Croce, seguita da Andaloro e Betti, ne ha proposto, come abbiamo già visto, un’antici33
pazione alla fine del VI-inizi VII secolo (RIGHETTI TOSTI-CROCE
1989, pp. 180-181; ANDALORO 1992, p. 601; BETTI 2001, pp. 453,
455-457).
36
I due riquadri dipinti tornarono alla luce nel 1960, durante le
operazioni di stacco dell’Istituto Centrale per il Restauro, sotto alle
scene con il Martirio di sant’Erasmo. Una volta separati dallo strato
superiore, furono posti su un nuovo supporto e sono oggi esposti
nel Museo Nazionale Romano della Crypta Balbi (BERTELLI 1974,
pp. 23-35; BETTI 2001, pp. 456-457). Sul culto dei Sette dormienti
di Efeso si veda da ultimo: PIATNITSKY 1999, pp. 361-366.
37
La trascrizione e l’integrazione dell’iscrizione sono state proposte da Bertelli in base alla versione del racconto del X secolo di
Simone Metafraste (PG 115, col. 445). BERTELLI, GALASSI PALUZZI
1971, p. 54.
38
CAVALLO 1988, p. 488.
TRA PITTURA E PARETE. PALINSESTI, RIUSI E OBLITERAZIONI NELLA DIACONIA DI SANTA MARIA IN VIA LATA TRA VI E XI SECOLO
401
che presenta una decorazione ad
assetto tripartito, decorazione
che diventerà poi consueta nel
corso dell’VIII secolo 39.
Il miracolo dei Sette dormienti ridestati è tradizionalmente interpretato come prefigurazione della Resurrezione
dell’umanità 40. L’introduzione
della scena in questo angolo del
vano potrebbe trovare una spiegazione nella scelta di allestire
qui un’area di culto privato,
patrocinata da un benefattore
laico della diaconia, probabilmente greco. Questa funzione
sembra confermata anche dalle
decorazioni aggiunte successivamente nel vano, tutte concentrate proprio su queste due
pareti. Va inoltre ricordato che
il culto di santi di origine orien- Fig. 8. - Ricostruzione 3D del vano III. Pareti ovest e sud. Orazione nell’Orto e Pentecoste (realiztale si diffonde a Roma tra zata da M. Viscontini).
VII e VIII secolo per influenper essere identificati. Queste pitture non hanno niente
za greca, e che i racconti agiografici vengono dipinti in
a che vedere con le figure esili del Giudizio di Saloaree secondarie delle chiese, in piccoli oratori, spesso
mone o del miracolo dei Sette dormienti alle quali sono
legati a laici, che si affidano all’intercessione di questi
state accomunate in passato 42. Come già notato da Per
santi 41.
Jonas Nordhagen 43, la costruzione ampia e plastica
Agli inizi dell’VIII secolo, la decorazione viene
delle masse, creata per mezzo di generose pennellate
estesa ad altri due vani: il III e il V, che accolgono scene
brune, ocra e bianche, è la stessa dei volti del tempo di
del Nuovo Testamento. Nel vano III, sulla parete ovest,
Giovanni VII (705-707) a S. Maria Antiqua, in partiviene inserita l’Orazione nell’orto (fig. 8). La figura di
colar modo di quello dell’angelo dell’Annunciazione del
Cristo è rappresentata nei tre momenti della preghiera,
pilastro sud orientale e di S. Cosma nella cappella dei
mentre in basso gli apostoli giacciono addormentati, in
SS. Medici 44. Anche l’ambientazione paesaggistica, che
ottemperanza a quanto narrato nel Vangelo di Matteo
si è arricchita di dettagli quali le rocce dipinte a gra(Mt 26, 36-46). Probabilmente sulle pareti del vano dodoni, trova anch’essa un confronto preciso nelle pitture
vevano figurare altri episodi legati alla Passione e Redi S. Maria Antiqua 45. È questo il raro caso in cui si
surrezione di Cristo, dei quali restano brani troppo esigui
Si intende per assetto tripartito della parete una decorazione
articolata in: scene a carattere narrativo, teoria di santi stanti, zoccolo decorato con velari dipinti. Sui sistemi di impaginazione tripartita della parete dipinta a Roma nell’alto Medioevo si veda:
BORDI 2008, pp. 147-152.
40
I sette dormienti si sarebbero risvegliati per testimoniare l’attesa della resurrezione sperimentata durante il sonno della morte
(KAZDHAN, PATTERSON ŠEVČENKO 1991, p. 1883).
41
JESSOP 1999, pp. 278-279. Leslie Jessop, nel suo studio sui cicli
pittorici romani dedicati ai santi ‘non biblici’, fa solo un riferimento
fugace alla scena dei Sette dormienti. La studiosa prende invece in
esame le Storie di sant’Erasmo, dipinte sullo strato superiore, ipotizzando la presenza nel vano IV di un altare con reliquie del santo
(ibidem, pp. 259-266). Si veda inoltre: MACKIE 2003, pp. 69-90.
39
Bertelli, seguito da Andaloro, Righetti Tosti-Croce e Betti, colloca l’Orazione nell’orto nella prima fase decorativa, ipotizzando
tuttavia la presenza, nel vano III, di una bottega differente da quella
attiva nel vano IV (BERTELLI, GALASSI PALUZZI 1971, pp. 34-35; ANDALORO 1987, p. 253; RIGHETTI TOSTI-CROCE 1989, p. 180; BETTI
2001, pp. 453, 463-464).
43
Lo studioso riconosce nella scena dell’Orazione nell’orto lo
‘step’ immediatamente successivo alle pitture volute da Giovanni
VII in S. Maria Antiqua (NORDHAGEN 1988, p. 610).
44
Cfr. NORDHAGEN 1968, pl. LXXXIII, XCIX.
45
Cfr. NORDHAGEN 1968, pl. LXXXVI. La scena, oggi assai depauperata dal punto di vista pittorico, è apprezzabile nella foto acquerellata Wilpert-Tabanelli, realizzata poco dopo la sua scoperta
nel 1905 (WILPERT 1916, IV, taf. 171.1).
42
402
GIULIA BORDI
Fig. 9. - Museo Nazionale Romano della Crypta Balbi. Parete ‘palinsesto’ già nel vano V di S. Maria in via Lata.
può constatare la presenza delle stesse maestranze all’opera in cantieri diversi della città.
Nel vano V, furono, inoltre, inserite scene della vita
e dei miracoli di Cristo, di cui si conserva la Moltiplicazione dei pani e dei pesci sul secondo strato del palinsesto, staccato dalla paretina est dell’ambiente (fig.
9) 46.
Alla metà dell’VIII secolo, si torna a decorare il vano
IV, insistendo sempre sull’angolo nord-est. Si oblitera
il miracolo dei Sette dormienti, sovrapponendovi le Storie di S. Erasmo di Antiochia chiuse in basso da una
teoria di santi (fig. 10) 47, mentre il resto dell’ambiente
continua a conservare il ciclo veterotestamentario della
fine del VI-inizi del VII secolo. Per la scelta iconografica e per il linguaggio figurativo adottato, che sottolinea l’enfasi dei gesti e indulge nei particolari truculenti
del martirio, le storie di S. Erasmo, al pari della decorazione della cappella dei SS. Quirico e Giulitta in S.
Maria Antiqua 48, sono un prodotto dell’innesto a Roma
di influssi probabilmente siro-palestinesi, effetto della
presenza nell’Urbe di monasteri orientali 49. Ma, occorre
osservare che a S. Maria Antiqua, come nella diaconia
di via Lata, le iscrizioni pictae ora sono in latino.
Sempre alla metà dell’VIII secolo, si interviene
anche nel vano III, aggiornando il ciclo cristologico, ma
lasciando in vista la più antica Orazione nell’orto. Si
ridipinge la parete sud inserendo una scena della quale
restano solo quattro teste nimbate (fig. 8) 50, i cui volti
presentano un’impostazione assai vicina a quella dei protagonisti delle storie di S. Erasmo. Le quattro teste facevano forse parte di una scena della Pentecoste 51.
Il pannello, oggi conservato al Museo della Crypta Balbi, presenta un palinsesto di tre stati dipinti. Il primo, di cui resta solo la
parte inferiore di una figura di un santo in piedi, potrebbe essere attribuito alla fase pittorica dei Sette Dormienti di Efeso o poco più
tardi, nella seconda metà del VII secolo. Nel secondo strato Bertelli
ha riconosciuto elementi affini alle pitture di Giovanni VII in S. Maria
Antiqua (BERTELLI, GALASSI PALUZZI 1971, p. 35; BETTI 2001, pp.
459-461).
47
Il racconto dei due martiri di S. Erasmo è narrato in cinque
scene condensate in due riquadri. Nel primo riquadro, già sulla parete nord, il santo, vescovo di Antiochia, è rappresentato due volte
al cospetto dell’imperatore Diocleziano, la prima mentre viene interrogato e costretto ad abiurare la religione cristiana, la seconda
mentre è fustigato da due carnefici. Nel secondo riquadro, staccato
dalla parete est, Erasmo subisce un nuovo martirio a Sirmio ordinato, questa volta, dall’imperatore Massimiano. Il santo è colto, in
alto a sinistra, nel momento in cui è miracolosamente trasportato in
Campania, in basso mentre, obbligato da due carnefici, sta per indossare una tunica di bronzo arroventata, a destra poi è rappresentata la mano di Dio che chiama a sé Erasmo e in alto, in fine, un
angelo che reca sulle mani velate l’anima del santo in cielo (Acta
Sanctorum, Iunii, I, Parigi-Roma 1867, coll. 208-211).
ANDALORO 1987, pp. 272-273; MATTHIAE 1987, p. 152, figg.
101-116, tav. 9; JESSOP 1999, pp. 259-266; BETTI 2001, p. 458.
49
Il culto di S. Erasmo fu introdotto a Roma alla metà del VII
secolo da monaci ellenofoni che fondarono un monastero sul Celio
in suo onore (SANSTERRE 1983, I, p. 35) e le sue reliquie erano conservate nella chiesa di S. Angelo in Pescheria, come ricorda l’epigrafe commemorativa di Teodoto primicerio (755) esposta nella
chiesa stessa (JESSOP 1999, pp. 264-265; sull’epigrafe di S. Angelo
in Pescheria: DE RUBEIS 2001, pp. 118-119, fig. 80).
50
L’osservazione autoptica ravvicinata dei brani di intonaco rimasti
in situ e della documentazione fotografica anteriore al 1961 ha permesso di appurare un dato rilevante: lo strato d’intonaco delle tre teste
nimbate non poggiava direttamente sulla muratura ma su uno strato
precedente. La scena, pertanto, non appartiene alla prima decorazione
dell’ambiente e quindi non è contemporanea all’Orazione nell’orto,
come ritenuto in passato da gran parte degli studiosi (BERTELLI, GALASSI PALUZZI 1971, p. 34; ANDALORO 1987, p. 253; BETTI 2001, p.
464), fatta eccezione di Matthiae (MATTHIAE 1987, p. 151).
51
Sull’identificazione della scena si è espresso, in passato, solo
Wilpert, proponendo di riconoscervi un frammento dell’Ultima cena
o dell’Incredulità di Tommaso (WILPERT 1916, IV, tav. 177.1; BETTI
2001, p. 464). Ma nell’iconografia canonica di entrambe le scene
46
48
TRA PITTURA E PARETE. PALINSESTI, RIUSI E OBLITERAZIONI NELLA DIACONIA DI SANTA MARIA IN VIA LATA TRA VI E XI SECOLO
Negli ultimi decenni dell’VIII secolo i vani II e V, come
attestano i brani conservati in
situ, furono oggetto di una
estensiva campagna decorativa.
Nel vano V fu aggiornato, sulle pareti sud ed est, il ciclo cristologico già esistente, dedicato ai miracoli di Cristo. La
parete est, infatti, accolse, come
terzo strato, una nuova Moltiplicazione dei pani e dei pesci,
che andò a sostituire la precedente dipinta agli inizi dell’VIII
secolo (fig. 9) 52. Le scene erano disposte su due registri e
chiuse in basso da velari (fig.
11). Sulla parete nord e su quella adiacente est, invece, correva una teoria di figure stanti,
concluse sempre da vela 53. Nel
passaggio tra i vani IV e V furono inserite, inoltre, le due figure dei martiri celimontani
Giovanni e Paolo (fig. 11) 54.
Sull’arco di passaggio tra i vani
V e II furono dipinti, entro clipei, l’Agnus Dei tra Pietro e
Paolo e gli apostoli (fig. 11),
403
Fig. 10. - Ricostruzione 3D del vano IV. Angolo nord-est. Fase metà VIII secolo, Martirio di S. Erasmo (realizzata da M. Viscontini).
gli apostoli non sono aureolati, mentre lo sono nella Pentecoste dove si
dispongono a raggiera intorno alla
Vergine, come ad esempio nella miniatura dei Vangeli di Rabbula (VI
secolo; Firenze, Biblioteca Medicea
Laurenziana, ms. Plut. I.56, f. 14v.).
52
Sulla parete sud adiacente si
conservano tracce di un’altra scena,
oggi di difficile lettura, nella quale
Bertelli riconobbe un cielo azzurro,
delle rocce rosate e le ali e i capelli
di un angelo (BERTELLI, GALASSI PALUZZI 1971, p. 26).
53
Si tratta di un ampio brano con
la parte inferiore di quattro figure, di
cui le due centrali clamidate, chiuse
in basso dall’attacco di vela e di un
frammento più piccolo con il piede di
Fig. 11. - Ricostruzione 3D del
un santo stante e tre panneggi di un
velario. Quest’ultimo fu staccato dalla
paretina est del vano e non da quella
nord come ritiene Bertelli, seguito da Betti (BERTELLI, GALASSI PALUZZI 1971, p. 24; BETTI 2001, pp. 461-462). I due riquadri sono
oggi conservati nel Museo della Crypta Balbi.
54
I due pannelli, oggi esposti nel Museo della Crypta Balbi, erano
vano V. Fase metà VIII secolo (realizzata da M. Viscontini).
chiusi in basso da un velario dipinto visto da Bertelli prima dello
stacco nel 1961 (BERTELLI, GALASSI PALUZZI 1971, p. 23). La datazione alla fine dell’VIII secolo è generalmente accolta (ANDALORO
1987, p. 285; BETTI 2001, p. 459, figg. III.7-III.8).
404
GIULIA BORDI
quel quinquennio, negli anni
caldi che preparano la fine della crisi iconoclasta e prima della Synodica all’imperatrice Irene e al patriarca Tarasio (785),
nella quale Adriano I cederà alla
richiesta del patriarca di accettare le delibere del Canone
82 57.
L’arco di S. Maria in via
Lata mostra, a mio avviso, di
inserirsi in questo circuito di
cantieri adrianei. Sembra dimostrarlo, non solo la presenza
dell’Agnus dei, ma anche la
sorprendente consonanza con il
sottarco dell’arcosolio già in S.
Lorenzo fuori le mura, dove al
culmine era la Vergine clipeata
con il capo velato dal maphorion e ai lati due figure di santi,
uno dei quali reggeva, come a
Fig. 12. - S. Maria in via Lata. Arcone tra i vani II e V: a) sottarco, imago clipeata della Vergine
col Bambino tra due santi stanti; b) rilievo grafico; c) e d) particolari.
S. Maria in via lata, una lunga
croce astile 58. Mentre tangenze
mentre nell’intradosso due figure stanti ai lati dell’imatra i frammenti ricomposti di S. Susanna, specialmente
go clipeata della Vergine (fig. 12) 55.
con la Vergine col Bambino tra sante 59, e la decorazione
Bertelli si appiglia alla presenza dell’Agnus dei in quetutta del vano V si avvertono nella tavolozza di colori
sta decorazione per datarla a un’epoca anteriore al 692,
chiari e freddi e nel linearismo marcato dei panneggi,
anno di promulgazione del canone 82 del Concilio Quisegnati da larghe e nette pennellate.
nisesto che vietava di rappresentare Cristo con le semDella decorazione del vano II sono rimasti pochi
bianze dell’agnello 56. In realtà la questione dell’Agnus
brani pittorici concentrati nella zona absidale che tutdei a Roma risulta essere assai più complessa e, come Antavia è stata completamente tamponata nel XVII secolo
daloro ha dimostrato, tra il 775 e il 780, durante il pone oggi è esplorabile soltanto attraverso alcuni tagli pratificato di Adriano I, è ricostruibile una fitta rete iconoticati nella muratura nel 1961 (fig. 2) 60. Nella breccia
grafica che ruota intorno al Cristo-Agnus Dei, documentato
aperta sul lato destro della tamponatura è ancora visiin pittura sull’arco dei SS. Silvestro e Martino ai Monbile la decorazione dell’emiciclo che impedì a Krauti, sull’arcosolio di S. Susanna e su quello perduto del nartheimer e a Corbett di pronunciarsi sulle caratteristiche
tece della basilica pelagiana di S. Lorenzo fuori le
della muratura nascosta da due strati di intonaco dimura. Secondo la studiosa l’immagine dell’Agnus Dei,
pinto 61. Nel primo strato Betti ha identificato i Qualatitante nella pittura dell’VIII secolo, ricompare in
ranta martiri di Sebaste in gloria (fig. 13 e tav. 00),
La decorazione del fronte ovest dell’arco di passaggio tra i
vani V e II fu staccata per tre quarti della sua superficie nel 19591961 (cfr. BETTI 2001, fig. 136) ed è oggi conservata nei depositi
del Museo della Crypta Balbi, mentre quella dell’intradosso è ancora in situ.
56
Lo studioso colloca anche queste pitture nella prima fase decorativa della diaconia, senza tenere conto della stratigrafia degli
intonaci (BERTELLI, GALASSI PALUZZI 1971, pp. 25-26, 33-34). Le
pitture che si conservano ancora in situ, infatti, mostrano chiaramente che questa decorazione poggia su uno strato preesistente.
55
ANDALORO 2005b, pp. 528-534.
Dipinti murali perduti, ma documentati visivamente da un disegno acquerellato conservato nella Raccolta Lanciani (Biblioteca
dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, Roma
XI.45.III., fol. 33). Si veda da ultimo: BORDI 2006a, pp. 77, 81, fig.
32.
59
Sui dipinti frammentati di S. Susanna si veda: ANDALORO 2003
e ANDALORO 2005b, fig. 4.
60
Vedi supra.
61
KRAUTHEIMER, CORBETT, FRANKL 1971, p. 79.
57
58
TRA PITTURA E PARETE. PALINSESTI, RIUSI E OBLITERAZIONI NELLA DIACONIA DI SANTA MARIA IN VIA LATA TRA VI E XI SECOLO
405
Fig. 13. - S. Maria in via Lata. Vano II, abside. Quaranta martiri di
Sebaste (I strato); S. Giuliana (II strato).
Fig. 14. - Ricostruzione grafica della scena dei Tre giovani nella
fornace (realizzata da M. Viscontini).
proponendone una datazione alla più antica fase decorativa della chiesa, fine del VI-inizi VII secolo 62.
Tuttavia, i Quaranta martiri di Sebaste non mostrano caratteristiche formali ed esecutive paragonabili
alle pitture del primo strato del vano IV, e a mio parere,
invece vanno contestualizzate alla decorazione di fine
VIII secolo del vano V. Se un confronto iconografico
stringente si riscontra proprio tra la fine dell’VIII e gli
inizi del IX secolo nell’omonimo oratorio nel Foro romano 63, da un punto di vista stilistico un accostamento
più convincente va cercato ancora una volta nella ‘sala
a sei vani’ del complesso dei SS. Silvestro e Martino ai
Monti (778-779), nella fisionomia, nell’acconciatura e
nell’abbigliamento di S. Processo, rappresentato nel
pannello con Cristo tra santi dell’ambiente M 64.
La decorazione continuava sulle pareti adiacenti all’abside, a destra della quale ho riconosciuto la rappresentazione dei Tre giovani nella fornace (Dn 3, 19-100),
confermata dal nome Misae[l], vergato nell’iscrizione
picta letta da Cavazzi, ma ignorata dagli studi successivi 65. I tre ebrei Anania, Misail e Azaria dovevano essere rappresentati uno accanto all’altro dentro la fornace,
protetti alle spalle da un grande angelo (fig. 14) 66. Pertanto, è plausibile che negli anni del pontificato di
BETTI 2001, p. 453.
63
Sulle pitture della parete nord dell’oratorio dei Quaranta Martiri al Foro romano si vedano: WILPERT 1916, IV, taf. 200.2; ROMANELLI, NORDHAGEN 1999, p. 45; GULOWSEN 2001, pp. 235-248.
64
Sul pannello con Cristo tra i santi Pietro e Paolo, Processo e
Martiniano della ‘sala a sette vani’ si veda: DAVIS-WEYER, EMERICK
1984, pp. 26-28. Cfr. WILPERT 1916, IV, taf. 205.2.
CAVAZZI 1908, p. 227. Hoogewerff vi lesse Elisab[et] mentre
Bertelli [---]NISA[---]. HOOGEWERFF 1946, p. 96; BERTELLI, GALASSI
PALUZZI 1971, p. 32.
66
Della scena, dipinta sul primo strato steso sulla parete restano,
partendo dall’alto: la figura a mezzo busto di uno degli ebrei, la
spalla e l’ala destra dell’angelo, parte della fornace, l’iscrizione Misail. Sull’iconografia dei Tre giovani nella fornace si veda: MAZZEI
2000, pp. 177-178.
65
62
406
GIULIA BORDI
1491 della rimozione dell’altare maggiore della chiesa medievale, nel momento in cui
Innocenzo VIII (1484-1492)
dava inizio ai lavori per la costruzione di una nuova chiesa 68.
Secondo Cavazzi, Krautheimer
e Corbett, seguiti da Bertelli, la
deposizione delle reliquie del
1049 fu l’atto conclusivo di
una campagna di ristrutturazione del complesso di S. Maria in via Lata, che implicò la
fondazione di una nuova chiesa e la trasformazione dei vani
I e II dell’antica diaconia in cripta 69. Molti elementi, tuttavia, inducono a ritenere che l’intervento si sia limitato, come già
pensava Martinelli 70, al solo restauro dell’antica diaconia e
alla sua dotazione di un nuovo
Fig. 15. - Ricostruzione 3D del vano II. Abside e parete sud. Fase metà XI secolo (realizzata da M.
Viscontini).
altare maggiore.
L’abside fu rinnovata con
Adriano I (772-795) i vani II 67 e V, interessati da una
l’inserimento di una nuova decorazione della quale sono
campagna decorativa unitaria, abbiano assunto l’aspetto
ancora visibili due sante clipeate nell’emiciclo (fig. 13) e
di un’aula absidata a navata unica divenendo il fuoco
due figure stanti nella calotta. Secondo la ricostruzione da
liturgico della diaconia.
me proposta lo schema compositivo adottato doveva avNegli anni del pontificato di Leone IX (1049-1054)
vicinarsi a quello di lunga durata dell’abside di S. Maria
il vano II fu oggetto di un radicale restauro che investì
in Pallara al Palatino (955-977) 71. Il catino doveva ospinon solo l’abside, ma tutte le pareti dell’ambiente; si
tare, al centro, la figura di Cristo affiancata da almeno due
intervenne anche nel vano IV e I aggiornando, in aree
santi per parte (fig. 15). Al di sotto, nell’emiciclo, correlimitate, le pitture.
va una banda con l’iscrizione dedicatoria di cui si legge solo
Nel 1049, secondo quanto è ricordato in una pergal’ultimo tratto: [---] renovari feci A[---] e una teoria di immena trovata nel 1491, furono deposte nell’altare magmagini clipeate di sante, almeno sette, calcolando lo spagiore della chiesa le reliquie dei SS. Ippolito, Dario, Agazio a disposizione. Le due sante, apprezzabili nei due tapito, e altri ancora, dal pontefice Leone IX. La notizia è
gli della muratura, sono Iulianes (S. Giuliana) e Iust[i]nes
tramandata da Stefano Infessura, nel suo Diario della cit(S. Giustina) 72, entrambe celebrate come vergini e martità di Roma, il quale fu testimone oculare il 23 agosto del
ri 73, le cui reliquie erano attestate in S. Maria in via Lata 74.
67
Sul primo tratto della parete sud, attigua a quella absidale, si
conservano due riquadri con figure stanti e sulla parete nord del vano
altre tracce di panneggi di vesti. Questi brani, data l’estrema frammentarietà, consentono unicamente di affermare che tutte le pareti
del vano, in origine, presentavano una decorazione pertinente a questa fase pittorica.
68
INFESSURA 1890, p. 269.
69
CAVAZZI 1908, pp. 79-82; KRAUTHEIMER, CORBETT, FRANKL
1971, pp. 79-80; BERTELLI 1982, pp. 299-300.
70
MARTINELLI 1655, p. 64.
71
BORDI 2006b, pp. 37-39. Sulla decorazione absidale di S.
Maria in Pallara/S. Sebastiano al Palatino vd., da ultimo: MARCHIORI
2009. Sulla fortuna dell’iconografia del mosaico absidale dei SS.
Cosma e Damiano tra X e XII secolo vd. da ultimo: ROMANO 2006c,
pp. 169-171.
72
L’iscrizione, oggi velata da una garza di restauro, è trascritta
da PARDI 2006, p. 73.
73
Va ricordato che dalla metà del X secolo alla chiesa di S. Maria
in via Lata era affiliata una comunità monastica femminile (ROMANO
2006a, pp. 16-17), pertanto non è da escludere che nell’emiciclo absidale fosse stata inserita una teoria di figure clipeate composta da exempla di santità muliebre (BORDI 2006b, p. 38; ROMANO 2006a, p. 19).
74
Le reliquie di Giuliana e Giustina furono trovate nell’altare
maggiore di S. Maria in via Lata nella ricognizione dell’8 maggio
TRA PITTURA E PARETE. PALINSESTI, RIUSI E OBLITERAZIONI NELLA DIACONIA DI SANTA MARIA IN VIA LATA TRA VI E XI SECOLO
407
La decorazione era chiusa
in basso da uno zoccolo, probabilmente con velari dipinti,
di cui si vedono deboli tracce
in corrispondenza di S. Giustina, e ai lati da due colonne
scanalate dipinte, che dovevano reggere, molto probabilmente, un festone analogo a
quello della già citata decorazione di S. Maria in Pallara. Le
pareti absidali ospitavano, invece, due figure iconiche, di
cui resta quella di destra: un vescovo con in mano un tomo
(fig. 15) 75.
Le pareti del vano accolsero, invece, un ciclo cristologico, di cui restano, sul tratto
orientale della parete sud (fig.
15): la scena mutila del Battesimo di Cristo, di cui si leg- Fig. 16. - Ricostruzione 3D del vano IV. Angolo nord-est. Fase metà XI secolo, Vergine in trono tra
gono solo la figura di Giovanni santi e Benedicta mulier e Cristo in trono tra santi e Silbester maritus (realizzata da M. Viscontini).
Battista, accompagnato dalquest’ultima di una lunga veste bianca decorata con mol’iscrizione S(anctus) Ioh(anne)s BB[T], e il braccio detivi ornamentali rossi. Nel secondo è Cristo in trono anstro della figura di Cristo; l’iscrizione Ecce mater [tua],
ch’esso tra santi e il donatore Silbester maritus 79, che
titulus della scena della Crocifissione, già dipinta nel
indossa una veste corta, le gambe avvolte nelle fasciae
registro superiore e oggi perduta 76. Sulla parete nord fu
ed è ritratto nell’atto di donare dei ceri. Una coppia di
aggiunto un altare a blocco decorato da croci bicolore
donatori laici conforme alle numerose figure di coniugi
e tralci vegetali 77.
evergeti che proliferano tra X e XI secolo nella pittura
Nel vano IV, si interviene per la quarta volta nelromana e hanno in Maria Macellaria e Beno de Rapiza,
l’angolo nord-est dove furono inseriti, nello zoccolo sotto
raffigurati nella chiesa inferiore di S. Clemente, gli
alle Storie di S. Erasmo, due pannelli votivi (fig. 16 e
esponenti più celebri 80.
tav. 00). Nel primo è raffigurata la Vergine con il Bam78
La campagna decorativa fin qui delineata, che coinbino tra santi e la donatrice Benedicta mulier , vestita
1639. E’ assai probabile che facessero parte del gruppo di reliquie
deposte da Leone IX nel 1049, come ricordato nella pergamena a
esse allegata vista nella precedente ricognizione del 23 agosto 1491,
e successivamente nel 1639, e poi perduta (MARTINELLI 1655, pp.
164-165).
75
CAVAZZI 1908, p. 204; BERTELLI, GALASSI PALUZZI 1971, pp.
31-32.
76
Cavazzi e Bertelli considerano la scena del Battesimo e l’iscrizione Ecce Mater appartenenti a due strati differenti, databili, secondo Bertelli, la prima all’XI-XII secolo e al X la seconda (CAVAZZI
1908, p. 204-207; BERTELLI, GALASSI PALUZZI 1971, p. 32. Ho rilevato ulteriori tracce della presenza di scene del ciclo cristologico,
quali cornici e panneggi di vesti di figure, anche sulla parete nord,
che consentono di affermare che il racconto si snodava, in origine,
lungo tutte le pareti del vano.
77
Bertelli data invece la decorazione dell’altare alla fine del XV
secolo, momento in cui viene aggiunto il pannello soprastante con
la Trinità (BERTELLI, GALASSI PALUZZI 1971, p. 31).
78
Cavazzi vide nel riquadro tracce di sette figure allineate, mentre io ne ho individuate solo cinque, di cui la centrale in trono è verosimilmente la Vergine con il Bambino affiancata da quattro santi.
Lungo la cornice superiore il prelato lesse l’iscrizione, oggi perduta,
[---]Benedicta mulier (CAVAZZI 1908, p. 220), che fa riferimento alla
piccola donatrice dipinta, come Silbester, nella parte inferiore del
pannello sul lato sinistro, non vista in precedenza.
79
Quest’ultimo è stato creduto un monaco, a causa dell’erronea
trascrizione Ego Silbester mon[---], proposta da Wilpert, integrata
da Bertelli con mo[achus] (WILPERT 1916, IV, taf. 191.2; BERTELLI,
GALASSI PALUZZI 1971, pp. 21-22), di contro alla corretta lettura avanzata da Cavazzi, Ego Silbester MA[---] (CAVAZZI 1914, p. 68), della
quale propongo la più plausibile l’integrazione ma[ritus].
80
Sulle pitture della basilica inferiore di S. Clemente vd. da ultimo: ROMANO 2006b, pp. 129-150.
408
GIULIA BORDI
volse, come abbiamo appena visto i vani II e IV, spinge
a riconsiderare le ipotesi avanzate da Cavazzi, Krautheimer, Corbett e Bertelli circa la trasformazione, alla
metà dell’XI secolo, della diaconia in cripta di una
nuova chiesa medievale costruita al di sopra di essa. Alcuni elementi inducono a sospettare che l’antica diaconia sia rimasta in uso come edificio di culto oltre il 1049.
Innanzitutto, l’inserimento nel vano IV dei due pannelli
votivi di Silbester e Benedicta dimostra che nell’XI secolo anche questo ambiente fosse ancora praticabile e
non chiuso come ritengono Krautheimer e Corbett 81. Nel
vano II, poi, l’aggiornamento della decorazione dell’abside e della navata non sembra un’impresa attuata
per riqualificare un ambiente adibito a cripta. Infine, nel
vano I l’inserimento sulla parete orientale di una scala
di raccordo tra la nuova chiesa superiore e la cripta non
può essere avvenuto alla metà dell’XI secolo 82, poiché
la scala taglia un intonaco dipinto proprio in quegli
anni 83, ed è pertanto successiva. In base a queste considerazioni la deposizione delle reliquie da parte di
Leone IX, nel 1049, va letta, a mio parere, come l’atto
conclusivo del restauro dell’antica diaconia, voluto dal
pontefice, il quale la dotò di una nuova veste pittorica
e di un nuovo altare maggiore con preziose reliquie. La
chiesa superiore fu eretta, pertanto, successivamente, non
prima della fine dell’XI secolo-inizi del XII secolo 84.
Bibliografia
ANDALORO 1987 = M. ANDALORO, Aggiornamento scientifico,
in G. MATTHIAE, Pittura romana nel Medioevo. Secoli IVX, I, Roma 1987.
ANDALORO 1992 = M. ANDALORO, Pittura romana e pittura
a Roma da Leone Magno a Giovanni VII, in Committenti
e produzione artistico-letteraria nell’alto medioevo occidentale. Atti della XXXIX Settimana di Studio del CISAM
(Spoleto, 4-10 aprile 1991), II, Spoleto 1992, pp. 569-609.
ANDALORO 2002 = M. ANDALORO, La decorazione pittorica
della cripta altomedievale e l’inaspettata scoperta di un
ciclo di san Benedetto, in G. BENAZZI, G. CARBONARA (a
KRAUTHEIMER, CORBETT, FRANKL 1971, p. 80.
Ibidem.
83
Si tratta di un brano di intonaco dipinto con una ghirlanda di
fiori e foglie, parte del montante verticale di una cornice che doveva circondare, in origine, un ampio riquadro posto a decorazione
della parete est del vano I. L’intonaco presenta la caratteristica colorazione rossa data dalla presenza di polvere di cocciopesto comune
a tutti gli intonaci di XI secolo conservati nei vani della diaconia.
83
Sulla controversa sopraelevazione della chiesa di S. Maria in
via Lata è intervenuto di recente anche Federico Guidobaldi con il
quale ho avuto modo di discutere lungamente sugli interventi urbanistici che hanno toccato la città di Roma negli anni del pontificato di Pasquale II (1099-1118). Cfr. GUIDOBALDI 2014, pp. 11-13.
81
82
cura di), La cattedrale di Spoleto. Storia, arte, conservazione, Milano 2002, pp. 163-175.
ANDALORO 2003 = M. ANDALORO, I dipinti murali depositati
nel sarcofago dell’area di Santa Susanna a Roma, in E.
RUSSO, 1983-1993: dieci anni di archeologia cristiana in
Italia. Atti del VII Congresso internazionale di archeologia cristiana (Cassino, 20-24 settembre 1993), I, Cassino
2003, pp. 377-386.
ANDALORO 2004 = M. ANDALORO, La parete palinsesto:1900,
2000, in J. OSBORNE, J.R. BRANDT, G. MORGANTI (a cura
di), Santa Maria Antiqua al Foro Romano cento anni dopo.
Atti del colloquio internazionale (Roma, 5-6 maggio
2000), Roma 2006, pp. 97-111.
ANDALORO 2005a = M. ANDALORO, Küçük Tavsan Adasï nel
Golfo di Mandalya, in A. TANGIANU (a cura di), Dall’Eufrate al Mediterraneo. Ricerche delle Missioni Archeologiche Italiane in Turchia, Ankara 2005, pp. 147-162
(Istituto Italiano di Cultura di Ankara).
ANDALORO 2005b = M. ANDALORO, I papi e l’immagine prima
e dopo Nicea, in A.C. QUINTAVALLE (a cura di), Medioevo:
immagini e ideologie. Atti del Convegno internazionale
di studi (Parma, 23-27 settembre 2002), Milano 2005, pp.
525-540.
ARENA 2001 = M.S. ARENA, La chiesa di Santa Maria in via
Lata. Storia dell’edificio, in ARENA, DELOGU, PAROLI, et
alii 2001, pp. 448-449.
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001 = M.S. ARENA, P. DELOGU, L. PAROLI, M. RICCI, L. SAGUÌ, L. VENDITTELLI (a
cura di), Roma dall’antichità al medioevo. Archeologia e
storia nel Museo Nazionale Romano Crypta Balbi, Roma
2001.
BERTELLI 1974 = C. BERTELLI, The Seven Sleepers, a Medieval Utopia, in Paragone. Arte, 25, 1974, pp. 23-35.
BERTELLI 1982 = C. BERTELLI, San Benedetto e le arti in Roma:
pittura, in San Benedetto e le arti a Roma, in Atti del VII
congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo
(Norcia-Subiaco-Cassino-Montecassino, 29 settembre-5
ottobre 1980), I, Spoleto 1982, pp. 271-302.
BERTELLI 1994 = C. BERTELLI, La pittura medievale a Roma
e nel Lazio, in C. BERTELLI (a cura di), La pittura in Italia. L’Altomedioevo, Milano 1994, pp. 206-242.
BERTELLI, GALASSI PALUZZI 1971 = C. BERTELLI, C. GALASSI
PALUZZI, S. Maria in via Lata. La chiesa inferiore e il problema paolino, I, Roma 1971 (Le chiese di Roma illustrate,
114).
BERTOLINI 1947 = O. BERTOLINI, Per la storia delle diaconie
romane nell’alto medioevo sino alla fine del secolo VIII,
in ArchSocRom, 70, 1947, pp. 1-145.
BETTI 2001 = F. BETTI, La chiesa di Santa Maria in via Lata.
La decorazione pittorica, in ARENA, DELOGU, PAROLI et
alii 2001, pp. 450-465.
BORDI 2006a = G. BORDI, San Lorenzo fuori le mura (testi),
in M. ANDALORO (a cura di), Atlante. Percorsi visivi, I,
Milano 2006, pp. 77-94 (La pittura medievale a Roma,
312-1431. Corpus e Atlante).
BORDI 2006b = G. BORDI, Le figure di sante nella chiesa sotterranea di Santa Maria in via Lata, in S. ROMANO (a
cura di), Riforma e tradizione, Corpus (La pittura medievale a Roma, 312-1431. Corpus e Atlante), IV, Milano
2006, pp. 37-39.
BORDI 2008 = G. BORDI, Gli affreschi di San Saba sul Piccolo Aventino. Dove e come erano, Milano 2008.
BORDI c.s. = G. BORDI, Santa Maria Antiqua. The Apse and
TRA PITTURA E PARETE. PALINSESTI, RIUSI E OBLITERAZIONI NELLA DIACONIA DI SANTA MARIA IN VIA LATA TRA VI E XI SECOLO
its Palimpsest, in G. BORDI, E. RUBERY (a cura di), Santa
Maria Antiqua: the Sistine Chapel of the Middle Ages.
Proceedings of the Conference held at the British School
at Rome (December 4-6 2013), c.s.
BRENK 2003 = B. BRENK, Kultgeschichte versus Stilgeschichte von der ‘raison d’être’ des Bildes im 7. Jahrhundert
in Rom, in Uomo e spazio nell’Alto Medioevo. Atti della
L Settimana di Studio del CISAM (Spoleto, 4-8 aprile
2002), II, Spoleto 2003, pp. 971-1054.
BRILLANT 1982 = R. BRILLANT, I piedistalli di del giardino
di Boboli: spolia in se, spolia in re, in Prospettiva, 31,
1982, pp. 2-17.
BRUBAKER 2006 = L. BRUBAKER, 100 Years of Solitude: Santa
Maria Antiqua and the Byzantine Art History, in J.
OSBORNE, J.R. BRANDT, G. MORGANTI (a cura di), Santa
Maria Antiqua al Foro Romano cento anni dopo. Atti del
colloquio internazionale (Roma, 5-6 maggio 2000), Roma
2006, pp. 41-47.
CAVALLO, GRIBOMONT, LOERKE 1985-1987 = G. CAVALLO, J.
GRIBOMONT, W. C. LOERKE (a cura di), Codex Purpureus
Rossanensis. Museo dell’Arcivescovado, Rossano Calabro, I-III, Roma-Graz 1985-1987.
CAVALLO 1988 = G. CAVALLO, Le tipologie della cultura nel
riflesso delle testimonianze scritte, in Bisanzio, Roma e
l’Italia nell’Alto Medioevo. Atti della XXXIV Settimana
di Studio del CISAM (Spoleto, 3-9 aprile 1986), Spoleto
1988, pp. 469-516.
CAVAZZI 1908 = L. CAVAZZI, La diaconia di S. Maria in Via
Lata e il monastero di S. Ciriaco, Roma 1908.
CAVAZZI 1914 = L. CAVAZZI, Chiesa di S. Maria in via Lata,
in StRom, 1-2, 1914, pp. 64-71, 151-152.
CECCHELLI 2001 = M. CECCHELLI, Le strutture murarie di
Roma tra IV e VII secolo, in M. CECCHELLI (a cura di),
Materiali e tecniche dell’edilizia Paleocristiana a Roma,
Roma 2001, pp. 11-101.
CECCHELLI 2010 = M. CECCHELLI, Temi di approfondimento
sui problemi del servizio assistenziale, in Diakonia, Diaconiae, Diaconato. Semantica e storia nei Padri della
Chiesa. XXXVIII Incontro di studiosi dell’antichità cristiana (Roma, 7-9 maggio 2009), Roma 2010, pp. 539573 (Studia Ephemeridis Augustinianum, 115).
COATES-STEPHENS 2006 = R. COATES-STEPHENS, Byzantine
building patronage in post-reconquest Rome, in M. GHILARDI, C.J. GODDARD, P. PORENA (a cura di), Les cités de
l’Italie tardo-antique (IVe-VIe siècle). Istitutions, économie,
société, culture et religion, Roma 2006, pp. 149-166.
COATES-STEPHENS 2012 = R. COATES-STEPHENS, Sulla fondazione di S. Maria in Domnica, in H. BRANDENBURG, F.
GUIDOBALDI (a cura di), Scavi e Scoperte recenti nelle
chiese di Roma. Atti della giornata tematica dei Seminari
di Archeologia Cristiana (Roma, 13 marzo 2008), Città
del Vaticano 2012, pp. 77-91.
DAVIS-WEYER, EMERICK 1984 = C. DAVIS-WEYER, J. EMERICK,
The early sixth-century frescoes at S. Martino ai Monti
in Rome, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte,
21, 1984, pp. 1-60.
DE RUBEIS 2001 = F. DE RUBEIS, Epigrafi a Roma dall’età
classica all’alto medioevo, in ARENA, DELOGU, PAROLI et
alii 2001, pp. 104-121.
DURLIAT 1990 = J. DURLIAT, De la ville antique à la ville
byzantine. Le problème des subsistances, Rome 1990
(Collection de l’ÉcoleFrançaise de Rome, 136).
FALESIEDI 1995 = U. FALESIEDI, Le diaconie. I servizi assi-
409
stenziali nella Chiesa antica, Roma 1995 (Sussidi patristici, 8).
GUIDOBALDI 2014 = F. GUIDOBALDI, Un estesissimo intervento
urbanistico nella Roma dell’inizio del XII secolo e la
parziale perdita della «memoria topografica» della città
antica, in MEFRM, 126-2, 2014, pp. 2-47.
GULOWSEN 2001 = K. GULOWSEN, The Cult of the Forty Martyrs on Forum Romanum, in J. FLEISCHER, J. LUND, M.
NIELSEN (edd.), Late Antiquity. Art in Context, Washington- Copenhagen 2001, pp. 235-248 (ActaHyp, 8).
HOOGEWERFF 1946 = G.J. HOOGEWERFF, Le pitture murali, in
SJÖQVIST 1946, pp. 95-98.
INFESSURA 1890 = S. INFESSURA, Diarium, éd. O. Tommasini,
Roma 1890.
JESSOP 1999 = L. JESSOP, Pictorial cycles of non-biblical
saints: the seventh-and eight-century mural cycles in
Rome and contexts for their use, in BSR, 67, 1999, pp.
233-279.
KAZDHAN, PATTERSON ŠEVČENKO 1991 = A. KAZDHAN, N. PATTERSON ŠEVČENKO, Seven Sleepers, in A. KAZDHAN (ed.),
The Oxford Dictionary of Byzantium, New York-Oxford
1991, p. 1883.
KRAUTHEIMER, CORBETT, FRANKL 1971 = R. KRAUTHEIMER,
S. CORBETT, W. FRANKL, Corpus Basilicarum Christianarum Romae. Basiliche paleocristiane di Roma (IV-IX
sec.), III, Città del Vaticano-New York 1971.
LP = Le Liber Pontificalis. Texte, introduction et commentaire par L. Duchesne, I-II, Addictions et corrections de
L. Duchesne, publ. par C. Vogel, III, Paris 1955-1957.
MACKIE 2003 = G. MACKIE, Early Christian Chapels in the
West: decoration, function and patronage, Toronto 2003.
MARCHIORI 2009 = L. MARCHIORI, Medieval wall painting in
the church of Santa Maria in Pallara, in BSR, 77, 2009,
pp. 225-255.
MARTINELLI 1655 = F. MARTINELLI, Primo trofeo della SS.
Croce eretto in Roma nella via Lata da S. Pietro Apostolo, Roma 1655.
MATTHIAE 1987 = G. MATTHIAE, Pittura romana nel Medioevo. Secoli IV-X, con aggiornamento scientifico di M.
Andaloro, I, Roma 1987.
MAZZEI 2000 = B. MAZZEI, Fanciulli ebrei, in F. BISCONTI (a
cura di), Temi di iconografia cristiana, Città del Vaticano
2000, pp. 177-178.
MORETTI 2014 = S. MORETTI, Roma bizantina. Opere d’arte
dall’impero di Costantinopoli nelle collezioni romane,
Roma 2014.
NORDHAGEN 1962 = P.J. NORDHAGEN, The earliest decorations in S. Maria Antiqua and its date, in ActaAArtHist,
1, 1962, pp. 53-72.
NORDHAGEN 1968 = P.J. NORDHAGEN, The frescoes of John
VII a.D. 705-707 in S. Maria Antiqua in Rome, Roma 1968
(ActaAArtHist, III).
NORDHAGEN 1988 = P.J. NORDHAGEN, Italo-Byzantine wall
painting of Early Middle Ages: An 80-year old enigma in
scholarship, in Bisanzio, Roma e l’Italia nell’Alto Medioevo. Atti della XXXIV Settimana di Studio del CISAM
(Spoleto, 3-9 aprile 1986), Spoleto 1988, pp. 593-624.
OSBORNE 2001 = J. OSBORNE, The Artistic Culture of Early
Medieval Rome: a Research Agenda for the 21st century,
in Roma nell’Alto Medioevo. Atti della XLVIII Settimana
di Studio del CISAM (Spoleto, 27 aprile-1 maggio 2000),
II, Spoleto 2001, pp. 693-711.
410
GIULIA BORDI
PARDI 2006 = R. PARDI, La Diaconia di Santa Maria in Via
Lata, Roma 2006 (Itinerari dei musei, gallerie, scavi e
monumenti d’Italia. Nuova serie, 66).
PG = J.P. MIGNE, Patrologiae cursus completes, series
Graeca, Paris 1857-1866 ss.
PIATNITSKY 1999 = Y. PIATNITSKY, The Cult of ‘The Seven Sleepers of Ephesos’ in Byzantine and Postbyzantine painting,
in H. FRIESINGER, F. KRINZINGER (edd.), 100 Jahre österreichische Forschungen in Ephesos. Akten des Symposions
Wien 1995, I, Wien 1999, pp. 361-366.
PIERDOMINICI 2010 = M.C. PIERDOMINICI, La chiesa di Santa
Maria in via Lata. Note di storia e di restauro, Roma 2010.
RIGHETTI TOSTI-CROCE 1989 = M. RIGHETTI TOSTI-CROCE, Gli
affreschi di Santa Maria in Via Lata, in M. ANDALORO,
A. GHIDOLI, A. IACOBINI et alii (a cura di), Fragmenta picta.
Affreschi e mosaici staccati del Medioevo romano. Catalogo della Mostra (Roma, 15 dicembre 1989-18 febbraio
1990), Roma 1989, pp. 179-182.
ROMANELLI, NORDHAGEN 1999 = P. ROMANELLI, P.J. NORDHAGEN, S. Maria Antiqua, Roma 1999.
ROMANO 2006a = S. ROMANO, Roma XI secolo. Da Leone IX
a Ranieri di Bieda, in S. ROMANO (a cura di), Riforma e
tradizione, Corpus IV, Milano 2006, pp. 15-35 (La pittura medievale a Roma, 312-1431. Corpus e Atlante).
ROMANO 2006b = S. ROMANO, Le pareti e i pilastri con le
storie di san Clemente e sant’Alessio nella chiesa inferiore di San Clemente, in S. ROMANO (a cura di), Riforma
e tradizione, Corpus IV, Milano 2006, pp. 15-35 (La pittura medievale a Roma, 312-1431. Corpus e Atlante).
ROMANO 2006c = S. ROMANO, La chiesa trionfante (11001143 ca.), in S. ROMANO (a cura di), Riforma e tradizione,
Corpus IV, Milano 2006, pp. 15-35 (La pittura medievale
a Roma, 312-1431. Corpus e Atlante).
SANSTERRE 1983 = J.-M. SANSTERRE, Les moines grecs et
orientaux à Rome aux époques byzantine et carolingienne:
milieu du VIe s.-fin du IXe s., I-II, Bruxelles 1983 (Académie royale des sciences, des lettres et des beaux-arts
de Belgique. Classe des beaux-arts, 2e série, t. LXVI, fasc.
1).
SERRA 1999 = S. SERRA, s.v. SS. Silvester et Equitius, titulus, in LTVR, IV, Roma 1999, pp. 325-328.
SJÖQVIST 1946 = E. SJÖQVIST, Studi archeologici e topografici intorno alla piazza del Collegio Romano, in Opuscola
archaeologica, 4, 1946, pp. 47-153.
TAMANTI 2001 = G. TAMANTI, La chiesa di Santa Maria in
via Lata. Storia conservativa degli affreschi, in ARENA,
DELOGU, PAROLI et alii 2001, pp. 466-469.
WEITZMANN, BERNABÒ 1999 = K. WEITZMANN, M. BERNABÒ,
The Byzantine Octateuchs: Mount Athos, Vatopedi Monastery, Codex 602; Florence, Biblioteca Medicea Laurenziana, Codex Pluteus 5.38; Istanbul, Topkapi Sarayi
Library, Codex G. I. 8; Rome, Biblioteca Apostolica Vaticana, Codex Vaticanus Graecus 746 and Codex Vaticanus Graecus 747; Smyrna (Olim), Evangelical School
Library, Codex A.1, Princeton N.J. 1999.
WILPERT 1916 = J. WILPERT, Die römischen Mosaiken und
Malereien der kirchlichen Bauten vom IV. bis XIII.
Jahrundert, I-IV, Freiburg im Breisgau 1916.
GIOIELLI E OGGETTI IN METALLO PREZIOSO
Isabella Baldini
Anche a Roma, come in altri centri importanti dell’impero tardoantico, le tracce della lavorazione dei metalli per la produzione di oggetti d’uso personale
rimangono piuttosto labili, nonostante una tradizione di
indagini di scavo lunga e che, nel caso nell’Urbe, non
ha eguali nella storia dell’archeologia. Tracce dei processi artigianali sono noti solo attraverso il rinvenimento sporadico di crogioli 1 o degli strumenti specifici
della professione 2, mentre manca quasi del tutto la documentazione relativa alle matrici 3.
In questo quadro, l’evidenza offerta dalla Crypta
Balbi rivela senza dubbio un carattere di eccezionalità
– e non solo per Roma – per la possibilità di conoscere
concretamente la storia dello spazio utilizzato per le attività produttive in relazione agli stessi manufatti eseguiti in loco: è ormai ben noto negli studi archeologici
questo atelier dotato di un’organizzazione complessa,
comprendente un insieme articolato di artigiani specializzati in varie tecniche e impegnati nell’esecuzione di
prodotti diversi (gioielli, armi, finimenti da cavallo,
utensili, manufatti in osso, corno e avorio) 4.
Gli oggetti di ornamento rinvenuti, di valore limitato salvo poche eccezioni, rispecchiano un sistema di
produzione standardizzata, che, sulla base dei ritrovamenti e della carta di diffusione delle tipologie corrispondenti 5, non sembra di fatto molto dissimile da
quello ipotizzabile per molte altre realtà artigianali del
periodo. Questo carattere fa meglio comprendere il perché delle attuali difficoltà di attribuzione delle produ-
zioni ai singoli centri, in un quadro generale policentrico e con una forte tendenza all’omologazione, contraddistinto da una circolazione a breve e a largo raggio
di prodotti e di maestranze. La lampada d’argento trovata nel 1632 presso S. Martino ai Monti, un donativo,
come mostra l’iscrizione latina Sancto Silvestro ancilla
sua votum solvit (fig. 1) 6, non si differenzia ad esempio per tipologia e decorazione dalla serie prodotta in
Oriente tra V e VI secolo 7, rispecchiando anche la medesima prassi devozionale attuata dalle classi elevate nei
confronti degli edifici di culto.
Le costanti già riscontrate a proposito degli orafi
orientali, delle loro specializzazioni tecniche, degli
aspetti corporativi e dei possibili trasferimenti da una
città all’altra a seconda delle necessità di mercato, già
Oltre alle testimonianze della Crypta Balbi v. ad esempio,
i rinvenimenti archeologici segnalati in SERLORENZI, SAGUÌ 2008;
SCIORTINO, SEGALA 2010, pp. 227-307; SERLORENZI 2010, p.
132.
2
BALDINI, NOWAK 2012.
3
RICCI 2001b, p. 333. Sulle matrici nell’oreficeria protobizantina: BROKALAKIS 2012.
RICCI 2001a e RICCI 2001b.
RICCI 2001b, p. 546, IV.10.31 (Crypta Balbi, Collezioni storiche, inv. 262747, VIII-IX secolo).
6
SERAUX D’AGINCOURT 1808-1823, II, p. 38; SHELTON 1981, p.
36, fig. 15.
7
BOYD 1988; BOURAS, PARANI 2008, pp. 42-43.
Fig. 1. - Lampada d’argento dall’area di S. Martino ai Monti (da
Seraux d’Agincourt 1808-1823).
1
4
5
412
ISABELLA BALDINI
affrontato soprattutto sulla base delle fonti letterarie ed
epigrafiche 8, sembrano riguardare anche gli artigiani romani, di cui restano purtroppo scarse testimonianze epigrafiche. Nell’Urbe un numero estremamente limitato
di iscrizioni funerarie ricordano orafi tardoantichi o altri
artigiani del metallo e delle pietre preziose, come ad
esempio Amantius, un aurifex sepolto nel 572 nell’oratorio dei Quaranta Martiri di S. Maria Antiqua 9. A volte
si tratta di donne, come Vicentia, auri netrix (tessitrice
d’oro) 10, o Masumilla, aurifex 11. Sembrano coesistere
forme produttive organizzate e articolate, come quelle
evidenziate nella Crypta Balbi, accanto ad attività più
limitate, le cui tracce archeologiche risultano inevitabilmente meno evidenti per le caratteristiche stesse della
professione, che prevedeva l’uso di pochi strumenti, alcuni dei quali in materiale deperibile, e un riutilizzo completo dei residui del materiale lavorato. La ricerca sugli
oggetti di ornamento di produzione romana, quindi, più
che sul processo di produzione, deve concentrarsi necessariamente sugli aspetti della fruizione degli oggetti,
per cercare di delineare parametri che possano servire
ad identificarne le caratteristiche e lo sviluppo.
Innanzitutto è necessario valutare diversamente i manufatti in bronzo rispetto a quelli in argento e in oro: come
si è già accennato, infatti, alcune produzioni di oggetti
di ornamento e accessori per l’abbigliamento, come ad
esempio gli orecchini a cerchio, gli aghi crinali, le fibbie, mostrano un carattere molto omogeneo nel panorama
generale, non permettendo una chiara definizione degli
elementi distintivi delle botteghe di provenienza: gli stessi
rinvenimenti della Crypta Balbi, fuori contesto, non consentirebbero probabilmente alcun collegamento con
Roma e forse neanche con l’Italia centrale, trattandosi generalmente di oggetti semplici e prodotti in serie. Le difficoltà riscontrate nelle attribuzioni certamente possono
dipendere dalla parzialità delle nostre conoscenze, anche
considerando la scarsa percentuale delle analisi archeometallurgiche, ma è necessario tenere presente che l’omologazione è anche una caratteristica propria del sistema
produttivo tardoantico, un fattore non secondario da considerare nei tentativi di interpretazione dei singoli manufatti e dei luoghi di provenienza.
In maniera diversa anche nell’esecuzione degli oggetti
in oro è presente una tendenza alla ripetizione dei modelli
e delle associazioni (set di argenterie per il banchetto e
per le pratiche termali, parure di gioielli femminili, oggetti di ornamento personale con significato di status), ma
nei manufatti si riscontrano specificità tipologiche e stilistiche più accentuate: non sempre tuttavia tali caratteristiche possono essere ricondotte facilmente ad un ambito
produttivo. Un esempio è rappresentato dalla fibula rinvenuta nel 1895 nell’area del Palatino (fig. 2) 12, simile ad
altre in oro rinvenute in contesti diversi: un’osservazione
analitica delle caratteristiche tecniche, in particolare dell’opus interassile, ha permesso a B. Toth di collegare il
gioiello ad uno specifico gruppo occidentale databile attorno alla metà del V secolo, di cui farebbe parte anche
la fibula del tesoro di Reggio Emilia, con la quale quella
di Roma presenterebbe strettissimi contatti nel sistema di
foratura della lamina 13. L’attribuzione ad una bottega romana del gioiello, tuttavia, rimane incerta: parte del materiale del tesoro di Reggio Emilia, infatti, tra cui le
BALDINI, NOWAK 2012.
CIL VI, 37782; ICUR I (n.s.), 1403; FERRUA 1981, p. 18. In generale: Lipinsky 1962.1.
10
CIL VI, 9213.
11
CIL VI, 9206.
12
Roma, Museo dell’Alto Medioevo. BALDINI LIPPOLIS 1999, p.
162, 2.IV.1, con bibliografia precedente. Sulla tipologia v. anche
DANDRIDGE 2000; DEPPERT-LIPPITZ 2000, pp. 66-69.
13
TOTH 2012.
Fig. 2. - Roma, Museo dell’Alto Medioevo, fibula dal Palatino.
8
9
GIOIELLI E OGGETTI IN METALLO PREZIOSO
413
monete rinvenute nello stesso contesto e la stessa «Zwiebelknopffibel» viene collegato alla corte gota di Ravenna 14
ed è pertanto difficile stabilire, nell’arco temporale al
quale sono assegnati i due manufatti, quale possa essere
stato il loro luogo di produzione, Roma o Ravenna, anche
considerando il possibile valore originario di donativo nell’ambito della corte e l’uso da parte di membri di alto grado
dell’esercito o dell’amministrazione imperiale.
Oltre che da rinvenimenti sporadici di ornamenti
personali di notevole livello, come appunto la fibula del
Palatino oppure il bracciale in oro e ametiste del Foro
Romano 15, le produzioni di lusso sono attestate a Roma
anche attraverso un limitato numero di tesori di argen-
terie e di corredi funerari.
Iniziando dal primo
ambito, può essere ricordato il rinvenimento di
manufatti dell’Esquilino,
oggi diviso tra il British
Museum (fig. 3), il Louvre e il Museo Nazionale
di Napoli 16. L’insieme
venne descritto a pochi
mesi dalla scoperta da
Ennio Quirino Visconti,
direttore del Museo Capitolino e bibliotecario
del Principe Chigi. Gli
oggetti, del peso complessivo di ben 1029
once 17 (quasi kg 30),
erano stati rinvenuti durante lavori condotti nel
1793 nella «chiesa di S.
Lucia in Selci, al Monastero delle Religiose Minime» 18, «dietro al coro a cornu evangelii dentro
all’angolo del monastero» 19 stesso, in un «avanzo di
camere antiche di una fabbrica, murate ed ingombre delle
ruine de’ superiori edifizi» 20. Il primo lotto portato alla
luce comprendeva il celebre cofanetto decorato a sbalzo,
con invocazione augurale agli sposi Secundus e Proiecta
(Secunde et Proiecta vivatis in Chris[to]) 21 e un secondo
cofanetto con la raffigurazione cesellata delle Muse,
scompartito all’interno per accogliere cinque recipienti
destinati a unguenti e profumi 22; inoltre, cinque piatti
quadrangolari con un monogramma dorato e niellato
entro una corona di alloro 23, quattro «scodelle leggermente concovate» con lo stesso monogramma (fig. 4)
BALDINI, PINAR GIL 2010.
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, II. 4. 514, p. 364 (VIVII secolo).
16
VISCONTI 1793 (lettera riprodotta integralmente in VISCONTI
1825, VISCONTI 1827 e FEA 1836). Sul tesoro vd. soprattutto SHELTON 1981; CAMERON 1985 (380 circa); SHELTON 1985 (330/370);
PAINTER 2000 e bibliografia citata alle note seguenti.
17
VISCONTI 1793, p. 3.
18
VISCONTI 1793, p. 3.
19
FEA 1836, p. 47.
20
VISCONTI 1793, p. 3. Sulla profondità di rinvenimento e sulle
incertezze nella localizzazione: PAINTER 2000, pp. 140-141, con bibliografia precedente.
21
Londra, BM, 66, 12-29, 1: argento; 55,9 x 43,2 x (alt.) 2 cm
(indicazione graffita del peso di 22 once e 3 semionce sul bordo
verticale del coperchio). VISCONTI 1793, pp. 4-7; Age of Spirituality 1979, pp. 330-332; SHELTON 1981, pp. 72-75, n. 1; CAMERON
1985; PIRZIO BIROLI STEFANELLI 1991, pp. 302-303; BARATTE 1993,
pp. 86-88, 160-161, 187, 190, 201, 226; MUNDELL MANGO, BENNET
1994, p. 53; PAINTER 2000, pp. 493-495 (seconda metà del IV secolo); ELSNER 2003; PAPAGIANNAKI 2013, p. 81.
22
Londra, BM, 66, 12-29, 2: argento; 32,7 x 26,7 cm. VISCONTI
1793, pp. 7-11; SHELTON 1981, pp. 75-77, n. 2; PIRZIO BIROLI STEFANELLI 1991, p. 303; BARATTE 1993, p. 162; PAINTER 2000, pp. 495496 (seconda metà del IV secolo). Un altro cofanetto cilindrico,
decorato con figure femminili, proviene dal tesoro di Sevso (V secolo): MUNDELL MANGO, BENNET, pp. 445-473; MRÁV, DÁGI 2014.
23
VISCONTI 1793, pp. 11-13. 1) Londra, BM, 66, 12-29, 15: argento e niello; 20,2 x 14,6 cm. SHELTON 1981, p. 81, n. 10. 2) Londra, BM, 66, 12-29, 16: argento e niello; 20,2 x 14,6 cm; SHELTON
1981, p. 81, n. 11. 3) Londra, BM, 66, 12-29, 17: argento e niello;
Fig. 3. - Londra, British Museum, oggetti del tesoro dell’Esquilino.
14
15
Fig. 4. - Londra, British Museum, piatto con monogramma.
e, in un caso, anche con un’iscrizione augurale graffita
sul piede (vivas in Deo Marciana vivas) 24, cinque «vasi
di bella forma», uno dei quali era una brocca con l’iscrizione Pelegrina utere felex 25, una lucerna «d’un sol lucignolo» 26, una «gran conca a forma di conchiglia[…]in
parte frammentata», che conservava un frammento di
tessuto 27. Al nucleo di argenterie appartenevano inoltre quattro applicazioni raffiguranti le Tychai di Antiochia, Alessandria, Costantinopoli e Roma 28, forse
elementi di una sedes gestatoria 29 e due elementi, probabilmente dello stesso mobile, a forma di braccia (destra e sinistra) che impugnano uno scettro terminante
in un globo sormontato da un elemento floreale 30.
Nel rendiconto del Visconti viene citata anche la pre-
senza di anse «d’altri vasi e utensili perduti» 31, in numero imprecisato (forse i tre esemplari conservati al British Museum con indicazione di provenienza dal
20,2 x 14,6 cm. SHELTON 1981, pp. 81-82, n. 12. 4) Londra, BM,
66, 12-29, 18: argento e niello; 20.2 x 14,6 cm. SHELTON 1981, n.
9; PIRZIO BIROLI STEFANELLI 1991, p. 303; 5) PAINTER 2000, pp. 499500 (seconda metà del IV secolo). Del quinto esemplare, citato in
VISCONTI 1793, non si conosce il luogo di conservazione.
24
VISCONTI 1793, pp. 11-13. 1) Londra, BM, 66, 12-29, 11 (con
iscrizione): argento e niello; diam. 16,1 cm. SHELTON 1981, p. 80,
n. 6; PAINTER 2000, p. 499 (seconda metà del IV secolo). 2) Londra, BM, 66, 12-29, 12: argento e niello; diam. 16,1 cm (con indicazione del peso complessivo corrispondente ai quattro gli esemplari,
indicati come scutellae = 5 libbre). Sui sistemi ponderali e sul valore degli oggetti in argento: MUNDELL MANGO 1994, pp. 38-43.
SHELTON 1981, p. 80, n. 5; BARATTE 1993, p. 262. 3) Londra, BM,
66, 12-29, 14: argento e niello; diam. 16,1 cm. SHELTON 1981, p.
80, n. 7; 4) Londra, BM, 66, 12-29, 13: argento e niello; diam. 16,1
cm. SHELTON 1981, p. 80, n. 8.
25
VISCONTI 1793, pp. 13-14. 1) bottiglia senza anse e con decorazione a rilievo con girali ed eroti: Londra, BM, 66, 12-29, 4; argento; alt. 34,6 cm. SHELTON 1981, pp. 82-83, n. 16; BARATTE 1993,
p. 162. 2) brocca con iscrizione: Londra, BM, 66, 12-29, 5; argento
e niello; alt. 27,9 cm. SHELTON 1981, pp. 83-84, n. 17; BARATTE 1993,
pp. 74- 79. 3) anfora: Londra, BM, 66, 12-29, 6; argento; h 20,2
cm. SHELTON 1981, p. 84, n. 19; BARATTE 1993, p. 82. 4) anfora:
Londra, BM, 66, 12-29, 7; argento; h 20,3 cm. SHELTON 1981, p.
85, n. 20; BARATTE 1993, p. 82.
26
VISCONTI 1793, p. 14. Di questo manufatto non si conosce la
collocazione attuale.
27
VISCONTI 1793, p. 14. Londra, BM, 66, 12-29, 3: argento; diam.
56,2 cm; SHELTON 1981, pp. 78-79, n. 4; PIRZIO BIROLI STEFANELLI
1991, p. 303, n. 182; PAINTER 2000, pp. 498-499 (seconda metà del
IV secolo).
28
VISCONTI 1793, pp. 14-18. Londra, BM, 66, 12-29, 21-24: argento dorato. Age of Spirituality 1977, pp. 176-177; SHELTON 1981,
pp. 87-89, nn. 30-33; PAINTER 2000, pp. 491-493 (seconda metà del
IV secolo).
29
VISCONTI 1793, p. 16; SERAUX D’AGINCOURT 1810-1823, II, p.
39.
30
VISCONTI 1793, p. 11. Braccio destro: Londra, BM, 66, 12-29,
20: argento dorato; h 33 cm; SHELTON 1981, pp. 88-89, n. 34; PAINTER 2000, p. 500 (seconda metà del IV secolo). Braccio sinistro: Londra, BM, 66, 12-29, 19: argento dorato; h 33 cm; SHELTON 1981, p.
89, n. 35; PAINTER 2000, pp. 500-501. I manufatti sono stati presi a
confronto per una delle insegne del Palatino: PANELLA 2011, p. 252.
31
VISCONTI 1793, p. 14.
Fig. 5. - Napoli, Museo Nazionale, brocca configurata del tesoro
dell’Esquilino (da Aurea Roma 2000).
GIOIELLI E OGGETTI IN METALLO PREZIOSO
415
tesoro) 32 e «diversi cocchiari per uso delle manteche e
de’ belletti» 33. Di questi ultimi il museo londinese conserva nove esemplari, catalogati come pertinenti al tesoro 34; il più antico, mai esplicitamente menzionato dal
Visconti e quindi probabilmente da escludere, si data al
I secolo e reca un’iscrizione votiva a Giunone Lanuvina da parte di Servio Sulpicio Quirino 35, mentre gli
altri potrebbero essere coevi ai due cofanetti già citati,
come farebbero pensare le iscrizioni niellate su due di
essi, uno contrassegnato dalle lettere impresse «MA» 36,
l’altro con un monogramma nel quale sono riprodotte
le stesse due lettere 37. Il Visconti nomina la presenza
di particolari bardature da parata per cavalli: anche queste, decorate con pendenti lunati e a goccia, protomi leonine e aquile a rilievo su placche a doppia pelta, sono
attualmente conservate al British Museum 38.
In un post scriptum alla lettera di E.Q. Visconti,
vengono infine enumerati altri oggetti, venuti alla luce
nello stesso contesto a distanza di qualche tempo rispetto
al lotto originario 39: ne facevano parte un candelabro
con elementi in cristallo di rocca 40, un piatto «decorato
con degli arabeschi senza rilievo ma soltanto battuti e
graffiti» 41, una brocca configurata a testa femminile (fig.
5) 42 e una patera con una raffigurazione di Afrodite al
centro e di Adone sul manico (fig. 6) 43.
Il rinvenimento del 1793, fin dall’inizio, suscitò notevole attenzione presso i circoli culturali romani: fu32
1) Londra, BM, 66, 12-29, 57: argento; L 14,3 cm; SHELTON
1981, p. 93, n. 57. 2) Londra, BM, 66, 12-29, 58; argento; L 14,3
cm; SHELTON 1981, p. 93, n. 58. 3) Londra, BM, 66, 12-29, 59; argento; L 19,7 cm; SHELTON 1981, p. 93, n. 56.
33
1) Londra, BM (66, 12-29, 22): argento dorato; h 14 cm. VISCONTI 1793; SHELTON 1981, p. 88, n. 33. 2) Londra, BM, 66, 1229, 24. SHELTON 1981, p. 87, n. 31. 3) Londra, BM 66, 12-29, 23.
SHELTON 1981, p. 86, n. 30. 4) Londra, BM, 66, 12-29, 21; SHELTON 1981, pp. 87-88, n. 32.
34
Già illustrati in VISCONTI 1827, tav. XVI.
35
Londra, BM, 66, 12-29, 35: argento; L 20,2 cm. SHELTON 1981,
p. 85, n. 21.
36
Londra, BM, 66, 12-29, 33: argento e niello; L 19,1 cm. SHELTON 1981, p. 85, n. 22.
37
1) Londra, BM, 66, 12-29, 34: argento; L 22,2 cm. SHELTON
1981, p. 85, n. 23. Gli altri sei, uno dei quali contrassegnato da un’epigrafe graffita non leggibile, sembrano appartenere a tre serie diverse.
Prima serie (due cucchiai): 1) Londra, BM, 66, 12-29, 31; argento;
L 21 cm. SHELTON 1981, n. 24. 2) Londra, BM, 66, 12-29, 32; argento; L 20,2 cm. SHELTON 1981, p. 85, n. 25. Seconda serie (tre
cucchiai): 1) Londra, BM, 66, 12-29, 36; argento; L 15,1 cm; SHELTON 1981, p. 85, n. 26. 2) Londra, BM, 66, 12-29, 37; argento; L
14,4 cm; SHELTON 1981, 86, n. 27. 3) Londra, BM, 66, 12-29, 39;
argento; L 15,2 cm. SHELTON 1981, p. 86, n. 28. Terza serie (un solo
esemplare, con iscrizione graffita illeggibile): Londra, BM, 66, 1229, 38; argento; L 9,8 cm; SHELTON 1981, p. 86, n. 29.
38
1) Londra, BM, 66, 12-29, 26; argento dorato; alt. 63,5 cm.
VISCONTI 1793; SHELTON 1981, p. 91, n. 40. 2) Londra, BM, 66, 1229, 27; argento dorato; alt. 29,5 cm. SHELTON 1981, p. 91, n. 41. 3)
Fig. 6. - Parigi, Musée du Petit Palais, patera del tesoro dell’Esquilino (da Aurea Roma 2000).
Londra, BM, 66, 12-29, 28; argento dorato; alt. 63,5 cm. SHELTON
1981, p. 90, n. 37; PAINTER 2000, p. 50 (seconda metà del IV secolo, con confronti di metà V-fine VI secolo). 4) Londra, BM, 66,
12-29, 29; argento dorato; alt. 63,5 cm. SHELTON 1981, pp. 89-90,
n. 36. 5) Londra, BM, 66, 12-29, 30; argento dorato; alt. 14,8 cm
SHELTON 1981, pp. 90-91, n. 38. 6) Londra, BM, 66, 12-29, 25; argento dorato; alt. 63,5 cm. SHELTON 1981, p. 91, n. 39.
39
VISCONTI 1793, pp. 20-22. L’informazione su questi ultimi reperti è confermata (1803) dal fratello di Ennio Quirino Visconti, Filippo Aurelio, Commissario delle Antichità tra il 1784 e il 1799:
VENUTI 1803.
40
VISCONTI 1793, p. 20. L’esemplare è perduto.
41
VISCONTI 1793, pp. 20-21. Non se ne conosce l’attuale collocazione. Non può trattarsi, infatti, né del piatto del British Museum
66, 12-29, 10 (SHELTON 1981, pp. 81-82, n. 13 e p. 22, fig. 7), pertinente in realtà al Tesoro di Maçon (BARATTE 1977), né del piatto
privo di decorazione (BM, 66, 12-29, 9: SHELTON 1981, p. 82, n.
14).
42
VISCONTI 1793, p. 21. Napoli, Museo Nazionale, inv. n. Borgia 28.69086: argento e niello; alt. 21,5 cm. SHELTON 1981, p. 84,
n. 18; PAINTER 2000, pp. 496-497 (seconda metà del IV secolo). L’oggetto è stato riesaminato in KAUFMANN-HEINIMANN 2010.
43
VISCONTI 1793, pp. 21-22. Parigi, Musée du Petit Palais, inv.
n. Dut 171 (coll. Dutuit): argento; diam. 24,2, L 37 cm, peso 62
once. SHELTON 1981, p. 78, n. 3; BARATTE 1993, p. 170; PAINTER
2000, pp. 497-498.
416
ISABELLA BALDINI
rante Pallade […]: una collana
montata in oro con camei […] una
imagine clipeata […] in marmo
bianco […] con busto in mezzo
[…] rappresentante un giovane» 47.
Le fonti appena citate (Seraux
d’Agincourt, Fea), che attingono a
informazioni di prima mano, in aggiunta alla lettera del Visconti e ad
una lettera di autore sconosciuto
pubblicata da R. Ridley e databile
agli stessi anni 48, costituiscono l’ultima testimonianza diretta, coerente, e quindi attendibile, sulla
composizione originaria del tesoro
emerso nel 1793.
Quasi tutti gli oggetti vennero
acquistati l’anno successivo al rinvenimento dal barone Friedrich
Christian Heinrich Ludwig von
Schellersheim 49, un collezionista
prussiano residente a Firenze, per
passare successivamente (entro il
1825, data della ripubblicazione
della lettera del Visconti a cura di
Pietro Paolo Montagnani MiraFig. 7. - Oggetti attribuiti al tesoro dell’Esquilino (da Seraux d’Agincourt 1808-1823).
bili) 50 nelle mani del duca Pierre
rono testimoni oculari delle operazioni di scavo anche
Louis Jean Casimir de Blacas, diplomatico francese
lo storico dell’arte francese J.B.L.G. Seraux d’Aginpresso il Regno delle Due Sicilie. Dal suo successore,
court 44 e il Commissario alle Antichità Carlo Fea 45. Il
Louis de Blacas d’Aulps, la collezione passò infine al
Seraux d’Agincourt nel secondo volume della propria
British Museum nel 1866 51.
opera enciclopedica (1810-1823), pubblicò una tavola
L’edizione della lettera del Visconti del 1825, reaeseguita ad hoc (fig. 7) per illustrare gli oggetti del telizzata probabilmente al momento del passaggio dei
soro 46: essi coincidono sostanzialmente con l’elenco già
beni nella proprietà del duca de Blacas, contiene anche
fornito dal Visconti nel 1793. Il Fea in un testo del 1836
25 tavole grafiche che integrano i disegni già eseguiti
rivela di aver assistito anche ad altri ritrovamenti, dei
dal Seraux d’Agincourt: rispetto a quanto già noto,
quali successivamente si è persa traccia: «diversi schiffi
tuttavia, il tesoro appare notevolmente accresciuto nel
tondi d’argento, uno quadro con in mezzo un cervo, colla
numero degli oggetti 52. Tra i materiali aggiunti (fig.
marca dietro del nome dell’artista: un finimento di ca8) sono tre aghi crinali, due dei quali con la terminavallo in argento: una statuetta pure d‘argento raffiguzione superiore raffigurante Afrodite 53, due fibule a
SERAUX D’AGINCOURT 1810-1823, II, p. 37.
45
VISCONTI 1825.
46
SERAUX D’AGINCOURT 1810-1823, tav. IX.
47
FEA 1836, p. 47. Viene aggiunta (FEA 1836, p. 48) la notizia
dell’avvenuto ritrovamento nella stessa area, nel 1774, di un’iscrizione protoimperiale posta a ricordo della costruzione di un muro
nel santuario di Giunione Lucina: CIL VI, 358.
48
RIDLEY 1996: Roma, Archivio dello Stato, Camerale II, Antichità e Belle Arti, vol. 6, 161. V. anche PAINTER 2000, pp. 141-142.
49
RIDLEY 1996, p. 220; PAINTER 2000, p. 142. Il peso del mate44
riale (1014 once), era di poco inferiore a quello originario registrato
dal Visconti (1029 once).
50
VISCONTI 1825.
51
PAINTER 2000, p. 142. Dei manufatti elencati dal Fea, apparentemente esclusi dalla vendita al barone Schellersheim, non si conosce la sorte.
52
VISCONTI 1825 e VISCONTI 1827. Viene inclusa anche una coppa
che non era stata descritta precedentemente: Londra, BM, 66, 12-29,
8: argento; diam. 11,7, h 5,1 cm; SHELTON 1981, p. 82, n. 15.
53
Estremità superiore con Afrodite Anadiomene: Londra, BM,
66, 12-29, 42; argento; L 8,3 cm. SHELTON 1981, p. 92, n. 46. Estre-
GIOIELLI E OGGETTI IN METALLO PREZIOSO
417
Fig. 8. - Oggetti attribuiti al tesoro dell’Esquilino (da Visconti 1825).
staffa 54 e tre fibule ad arco 55 di diversa datazione, una
statuetta miniaturistica raffigurante un topo 56, un amuleto a forma di braccio che regge una fiaccola 57, un manico a sezione ottagonale con iscrizione niellata Μὴ λύπι
σ’ αυτόν 58, un elemento a forma di mano (forse l’estremità di uno stilo) con iscrizione Byzan e le due lettere
greche Λ e Σ 59, un anello digitale con una Nike incisa
sul castone 60, un elemento decorativo a forma di felino 61.
Risaltano per la cronologia, nel contesto già molto eterogeneo, anche tre ornamenti femminili, erroneamente
considerati orecchini 62, ma in realtà riconoscibili come
«kolt» databili tra il XII e il XIII secolo 63. È quasi certo,
a questo punto, che tutti gli ultimi manufatti siano stati
uniti al nucleo originario del tesoro in un secondo
tempo, probabilmente durante il transito attraverso la
collezione del barone von Schellersheim, alla quale il
nucleo era giunto con lo stesso peso.
La premessa mostra come possa essere difficile distinguere, in contesti con una storia così stratificata e
complessa, in un ambiente tradizionalmente cosmopolita come quello di Roma, non solo le specificità dei
singoli oggetti ma la stessa pertinenza ad un unico in-
mità superiore con Afrodite che si allaccia il sandalo: Londra, BM,
66, 12-29, 41; argento; L 10,2 cm. SHELTON 1981, p. 92, n. 47. Estremità superiore sferica: Londra, BM, 66, 12-29, 40; argento; L 7 cm.
SHELTON 1981, p. 92, n. 48.
54
Londra, BM, 66, 12-29, 52: argento dorato; L 6 cm. SHELTON
1981, p. 92, n. 49. Londra, BM, 66, 12-29, 53: argento dorato; L
7,1 cm. SHELTON 1981, p. 92, n. 50.
55
1) Londra, BM, 66, 12-29, 54: argento; L 4,9 cm. SHELTON
1981, p. 93, n. 52. 2) Londra, BM, 66, 12-29, 55: argento; L 4,4
cm. SHELTON 1981, pp. 92-93, n. 51. 3) Londra, BM, 66, 12-29, 56:
argento; L 4,4 cm. SHELTON 1981, p. 93, n. 53.
56
Londra, BM, 66, 12-29, 49: argento dorato; L 2,2 cm. SHELTON 1981, p. 93, n. 54.
57
Londra, BM, 66, 12-29, 47: argento; a 3,2 cm. SHELTON 1981,
p. 93, n. 55.
58
Londra, BM, 66, 12-29, 58: argento e niello; L 6,9 cm. SHELTON 1981, p. 95, n. 59; MUNDELL MANGO 2007, p. 136.
59
Londra, BM, 66, 12-29, 48; argento; L 2,5 cm. SHELTON 1981,
p. 94, n. 60.
60
Londra, BM, 66, 12-29, 43; argento dorato; diam. 2,2 cm. VISCONTI 1793, SHELTON 1981, p. 91, n. 42.
61
Londra, BM, 66, 12-29, 51; argento; L 3,7 cm. SHELTON 1981,
p. 94, n. 61. Potrebbe trattarsi di un elemento di thiasos marino.
62
VENTURI 1827, tav. XXV, 5-6; SHELTON 1981, p. 91, n. 43.
63
Londra, BM (66, 12-29, 44-45). Primo esemplare con estre-
418
ISABELLA BALDINI
sieme. A proposito delle argenterie del nucleo rinvenuto
nel 1793, si può osservare inoltre, che esse appartennero con certezza a personaggi diversi. I monogrammi
sui piatti quadrangolari e sulle scutellae, diversamente
a quanto a volte sostenuto 64, possono essere letti regolarmente con il sistema identificativo dei tria nomina,
in quanto pertinenti a L. Apronianus Turcius, che fu praefectus urbi tra il 362 e il 364 65. L’iscrizione relativa ad
una Marciana di religione cristiana, graffita sul fondo
di un piatto in maniera poco rifinita, è molto probabilmente un’aggiunta successiva, forse in seguito ad un passaggio di mano degli oggetti, per vendita o per eredità.
Le bardature di cavallo e le applicazioni di mobilio (Tychai e scettri) sembrano riflettere un ambito pubblico,
come già osservato 66, adattandosi perfettamente alle
cariche occupate da alcuni componenti della famiglia
dei Turcii Aproniani 67.
Il set di manufatti per le pratiche termali destinati
agli sposi cristiani Proiecta e Secundus, ricordati in uno
dei cofanetti, potrebbe essere leggermente posteriore e
appartenere ad un discendente del personaggio menzionato, un esponente della stessa famiglia convertitosi
al cristianesimo 68. Generalmente la cronologia di questa conversione viene fissata attorno al 380 per il supposto collegamento con una Proiecta celebrata da papa
Damaso morta nel 383 a 16 anni 69. Che la Proiecta citata sul recipiente argenteo sia la stessa giovane ricordata dall’epitaffio damasiano, tuttavia, non è certo 70 e
la datazione su base stilistica del manufatto, come hanno
opportunamente osservato A. Cameron 71 e F. Baratte 72,
rimane necessariamente incerta. Un ulteriore personaggio è infine la Pelegrina non meglio nota, anch’essa cristiana, nominata nell’iscrizione augurale su una brocca
con caratteri diversi rispetto a quelli del cofanetto di Proiecta e Secundus.
I personaggi menzionati sugli oggetti sono, quindi,
complessivamente cinque e l’arco cronologico dei manufatti sembra compreso tra la metà del IV e gli inizi
del V secolo, con un certo excursus attribuibile ai diversi passaggi di proprietà. É possibile, ma non sicuro,
che la circostanza dell’abbandono del tesoro sia l’assedio visigoto del 410, situazione alla quale viene generalmente attribuito il seppellimento degli oggetti
preziosi e in cui, secondo Zosimo, i senatori avrebbero
nascosto i propri beni preziosi per non doverli consegnare ai barbari di Alarico 73. La stessa situazione potrebbe essersi verificata anche nel 455, all’epoca del
sacco di Genserico, il quale lasciò Roma carico di bottino dopo un saccheggio durato quattordici giorni 74. Il
contesto rispecchia la dotazione in vasellame di una famiglia fortemente radicata nell’Urbe e a lungo caratterizzata da una persistente adesione alle forme di culto
tradizionali, secondo quanto confermato anche dalle
fonti letterarie ed epigrafiche: al momento dell’abbandono degli oggetti d’argento, però, la maggioranza dei
suoi componenti si era ormai convertita al cristianesimo,
avvertendo la necessità di mostrare tale adesione religiosa attraverso le iscrizioni sugli oggetti preziosi 75.
La sporadicità dei confronti possibili a Roma non consente di stabilire con certezza se gli oggetti del tesoro
siano stati eseguiti in loco, ma le caratteristiche tipologiche, le scelte iconografiche e l’importanza della
committenza rendono estremamente verosimile che
provengano da uno dei maggiori laboratori artigianali
dell’Urbe 76.
La stessa ipotesi può essere formulata per un altro
celebre insieme di argenterie, rinvenuto sul Celio e già
mità a losanga: argento; diam. 3,8 cm. SHELTON 1981, nn. 43-44.
Secondo esemplare: Londra, BM (66, 12-29, 46); argento; diam. 2,2
cm. SHELTON 1981, p. 91, n. 45. Cfr., ad esempio, BALDINI LIPPOLIS 2007, p. 317, fig. 6.
64
Tra le identificazioni proposte: Proiecta Turci (VISCONTI 1793;
FEA 1936, p. 34; PLRE I, p. 750); Pelegrina Turci (SHELTON 1981,
p. 33; LOVERANCE 2004, p. 10), un nome femminile non leggibile
seguito dal genitivo Turci (PAINTER 2000, p. 499).
65
PLRE I, pp. 88-89. Sono grata a Salvatore Cosentino per il
suggerimento epigrafico.
66
PAINTER 2000, p. 493
67
Sulla famiglia: PANCIERA 1990; PAINTER 2000, p. 146.
68
PLRE I, p. 1147; SHELTON 1985, p. 153; CAMERON 1985, p.
145; PANCIERA 1990; SALZMAN 2002, pp. 80-81.
69
ILCV, 3446; ED, n. 51; PLRE I, p. 750. Commento in CAMERON 1985 e SHELTON 1985.
70
La difficile questione viene ampiamente dibattuta in CAMERON
1985, secondo il quale il padre di Proiecta, Floro sarebbe il magi-
ster officiorum del 380-381, prefetto del pretorio d’Oriente nel 381383 (PLRE I, pp. 367-368). Risulta veramente strano, nonostante le
spiegazioni addotte, che nell’epigramma non figuri l’identità del marito, che secondo un’interpretazione del testo potrebbe essersi chiamato Primo.
71
CAMERON 1985, pp. 139-140.
72
BARATTE 1993, pp. 226-229.
73
ZOS. Hist. 5, 37-51; 6, 6-13. SPERA 2013, pp. 170-178, con bibliografia. Due basi iscritte relative ad esponenti della famiglia confermerebbero l’ipotesi (SHELTON 1981, pp. 13-17; CAMERON 1985,
p. 136) che il luogo di rinvenimento del tesoro sia quello delle residenze sull’Equilino dei Turcii Aproniani: PANCIERA 1990.
74
Per gli aspetti archeologici: SPERA 2013, pp. 179-180.
75
Sul contesto sociale: GWYNN 2011 (in particolare pp. 152-153).
La raccolta di argento, anche in forma di suppellettile, è una delle
forme di tesaurizzazione più diffusa presso le classi sociali elevate
in età tardoantica: GRIERSON 1993, pp. 140-141
76
BARATTE 1993, p. 226.
GIOIELLI E OGGETTI IN METALLO PREZIOSO
419
ritenuto di proprietà della famiglia senatoria dei Valerii 77: gli studi di C. Lega hanno permesso di ricostruire
esattamente la storia di tale nucleo (fig. 9), probabilmente databile al V secolo, e la sua composizione originaria prima della dispersione: si tratta di manufatti di
ambito ecclesiastico, almeno in parte votivi, ai quali nel
tempo sono stati erroneamente accostati, come nel caso
precedente, oggetti argentei di provenienze diverse 78.
I gioielli costituiscono un ambito di studio complementare rispetto a quello condotto sulle argenterie, risentendo spesso delle stesse difficoltà di raccolta dei dati.
Un esempio significativo è, ad esempio, il tesoro emerso
nel 1908 in piazza della Consolazione, per il quale si
ipotizza, come per quelli dell’Esquilino e del Celio, un
abbandono in occasione del sacco Visigoto o di quello
Vandalo di Roma 79. Il nucleo, molto cospicuo, era composto da almeno ventisei gioielli, divisi e dispersi subito
dopo il rinvenimento: sei collane 80, cinque coppie di orecchini 81, due aghi crinali riccamente decorati 82, dodici
anelli 83 e un bracciale 84. Si tratta dunque di un insieme
corrispondente a sei parure femminili complete; manca,
come nel caso precedente, il materiale numismatico a
volte associato a questo tipo di rinvenimenti. In uno degli
anelli 85, venduti a E. Guillhou già prima del 1912, con
Fig. 9. - Roma, ampolla del tesoro del Celio (da Brenk 1999).
77
Gli oggetti vennero venduti nel 1757 a papa Benedetto XIV
dal marchese Angelo Gabrielli. L’insieme comprendeva due ampolle
lenticolari con la raffigurazione dei busti di Pietro e Paolo (Musei
Vaticani, Museo Profano, inv. 60862 e 60857), un piatto con una
scena di caccia al cinghiale (Musei Vaticani, reimpiegato nell’anta
di un armadio collocato nell’Atrio dei Quattro Cancelli, inv. 65178),
un bicchiere con iscrizione votiva Petibi et accipi votum solvi (Musei
Vaticani, Museo Profano, inv. 60857), un cratere con decorazione
figurata, 4 specilla e un cucchiaio: questi ultimi oggetti sono dispersi. Per una interpretazione dei manufatti in riferimento alla
domus dei Valerii: BRENK 1999. Contra: LEGA 2003.
78
LEGA 2003.
79
DE RICCI 1912; Kalebdjiian 1913; ROSS 1965, pp. 1-4; MANIÈRE-LÉVÊQUE 1997, pp. 82-83; BALDINI LIPPOLIS 1999, pp. 34-35;
DEPPERT-LIPPITZ 2000.
80
1) collana a catena con due pendenti, uno dei quali nuziale:
New York, Metropolitan Museum of Arts (1958, 58.12); oro; L 78,7
cm; diam., medaglione nuziale 5,6 cm. BALDINI LIPPOLIS 1999,
2.III.1.b.3. 2; DEPPERT-LIPPITZ 2000, pp. 61-62. 2) collana a catena
con due pendenti: coll. Baurat-Schiller; coll. Eva Merz (Berna); oro;
L 106 cm. BALDINI LIPPOLIS 1999, 2.III.1.b.7. 3; DEPPERT-LIPPITZ
2000, pp. 61-62. 3) collana a catena con pietre, fermagli circolari:
Washington, Dumbarton Oaks Collection (28.8), ex coll. Bliss,
1928; oro, perle, smeraldi, zaffiri, calcedoni; L 37. BALDINI LIPPOLIS 1999, 2.III.1.c.28; DEPPERT-LIPPITZ 2000, pp. 58-59. 4) collana
a catena con pietre, fermagli cuoriformi: Washington, Dumbarton
Oaks Collection (28.9), ex coll. Bliss, 1928; oro, perle, smeraldi,
zaffiri; L 40 cm. BALDINI LIPPOLIS 1999, 2.III.1.c.29. 5; DEPPERTLIPPITZ 2000, pp. 58-59. 5) collana a treccia con pietre: Washington, Dumbarton Oaks Collection (28.10), ex coll. Bliss, 1928; oro,
perle, smeraldi, zaffiri; L 69. BALDINI LIPPOLIS 1999, 2.III.2.b.5. 6;
DEPPERT-LIPPITZ 2000, pp. 58-59. 6) collana a catena con medaglione
di Onorio e medaglione nuziale Liverpool Museum (N 95, 2475),
ex coll. Schiller e coll. P. Nelson, 1953; oro. ODGEN 1996; DEPPERTLIPPITZ 2000, pp. 59-61; PINAR GIL 2007, pp. 172-173.
81
Coppia di orecchini ad anello con pendenti (senza chiusura):
1) Washington, Dumbarton Oaks Collection (52.7.1-2), ex coll. J.
Pierpont Morgan; B. Da Costa Green, 1952; oro, perla, zaffiro; L
6.5 cm. BALDINI LIPPOLIS 1999, 2.II.4.a.3. 2; DEPPERT-LIPPITZ 2000,
p. 62. 2) Washington, Dumbarton Oaks Collection (28.12 a-b), ex
coll. Bliss, 1928; oro, perle, smeraldi, zaffiri; L 7.5. BALDINI LIPPOLIS 1999, 2.II.4.a.4. 3) Washington, Dumbarton Oaks Collection
(28.14-15), ex coll. Bliss, 1928; oro, perle, smeraldi, zaffiri; L 6.5.
BALDINI LIPPOLIS 1999, 2.II.4.a.5. Coppia di orecchini ad anello con
pendenti (chiusura a gancio): Washington, Dumbarton Oaks Collection (28.16-17), ex coll. Bliss, 1928; oro, perle, zaffiri; L 6,3-6,6
cm; BALDINI LIPPOLIS 1999, 2.II.4.b.6. Coppia di orecchini: Washington, Dumbarton Oaks Collection (28.13 a-b), ex coll. Bliss,
1928; oro, perle; diam. 2.
82
Washington, Dumbarton Oaks Collection (inv. 28.11), ex coll.
Bliss, 1928; cm 3,4 e 4. ROSS 1965, p. 1.
83
DE RICCI 1912, tav. XIII.
84
Il gioiello presenta un castone raffigurante il busto della personificazione di Roma: New York, Metropolitan Museum of Arts
(inv. 17.190.2053), ex coll. J. Pierpont Morgan, 1917; oro; diam.
6,4 cm. BALDINI LIPPOLIS 1999, 2.VI.1.c.7; DEPPERT-LIPPITZ 2000,
p. 63.
85
DE RICCI 1912, p. 92, n. 815; BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 212,
2.VII.4.a.2; DEPPERT-LIPPITZ 2000, p. 62.
420
ISABELLA BALDINI
Fig. 11. - New York, Metropolitan Museum of Arts, bracciale del
Tesoro di via della Consolazione.
verga ottagonale e chrismon inciso, secondo una tipologia diffusa nel IV secolo, era nominata una Septimina
Severina 86, probabilmente l’ultima proprietaria dei gioielli. Tre anni dopo la scoperta tre collane e un bracciale furono esposti in una mostra a Parigi: di una delle
collane, che alla fine degli anni ’60 si trovava nella collezione privata di Eva Merz, è stata pubblicata un’immagine 87. La seconda, databile alla prima metà del V
secolo 88, è stata riconosciuta da J. Ogden in un gioiello
del Museo di Liverpool forse ottenuto dall’unione di due
gioielli diversi 89. La terza è al Metropolitan Museum
di New York insieme all’unico bracciale del contesto
(figg. 10-11) 90. Cinque coppie di orecchini e altre tre
collane, con pietre policrome, sono invece conservate
presso la Dumbarton Oaks Collection di Washington.
Gli esemplari corrispondono a tipologie ben note in età
tardoantica: nel caso degli orecchini e di una delle collane, ad esempio, stretti confronti sono emersi di recente
dalla sepoltura della basilica di papa Marco sulla via
Ardeatina (fig. 12), contenente gioielli attribuiti ad una
bottega urbana databile tra la fine del IV e la metà del
V secolo 91. Anche la coppia bracciale-medaglione nuziale di New York sembra presentare uno stile peculiare
nella resa delle decorazioni figurate, tale da far ritenere
i due preziosi manufatti il prodotto di un medesimo atelier, probabilmente romano.
Il riferimento alla sepoltura della basilica sull’Ardeatina, uno dei pochi esempi di cui si conosca il contesto stratigrafico, introduce il tema, troppo complesso
per essere affrontato in questa sede, degli oggetti di ornamento trasmessi come corredi funerari. In una città in
cui sembra poco frequente in età tardoantica l’uso di deporre ornamenti personali all’interno delle sepolture 92,
risaltano alcune situazioni in cui l’importanza del defunto
giustifica una deroga a tale consuetudine. Spesso si tratta
di situazioni compromesse, nelle possibilità di analisi,
dalla continuità del culto, come mostrano ad esempio
alcuni reperti della basilica Vaticana che sembrano strettamente legati a funzioni rituali (fig. 13) 93. La docu-
È improbabile che il personaggio possa essere identificato (ROSS
1965, p. 3) con Septimia Severina (PLRE I, p. 830), moglie di Flavius Iulius Catervius, comes sacrarum largitionum nel 379 (PLRE
I, pp. 186-187): si tratterebbe infatti della difficile modifica del gentilizio Septimia in Septimina (un cognomen). Sono grata ad Antonio Felle per un parere sugli aspetti onomastici ed epigrafici.
87
V. nota 80, n. 2.
88
V. nota 80, n. 6. Per la datazione: PINAR GIL 2007, pp. 272273.
89
OGDEN 1996, p. 87; DEPPERT-LIPPITZ 2000, p. 59.
90
V. nota 80, n. 1.
91
FIOCCHI NICOLAI 2013. Del rinvenimento fanno parte una collana a catena in oro, con fermaglio circolare in lamina decorato con
un chrismon (Roma, Museo Nazionale Romano, inv. 572053), una parure formata da una collana in oro, perle e smeraldi (inv. 572052) e
da un paio di orecchini con smeraldi e granati (inv. 572054), quattro
anelli (inv. 572055-8) ed elementi sparsi (vaghi e lamine decorate).
92
Vd. ad esempio la documentazione emersa nell’area del Lungotevere Testaccio (RIEMER 2000, pp. 392-393), del Palatino (M.
Vitale, in ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, pp. 231-237), dell’Oppio (C. Panella, in ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, pp.
238-242).
93
Vd. ad esempio uno spillone in oro con chrismon (Fabbrica
Fig. 10. - New York, Metropolitan Museum of Arts, collana del Tesoro di via della Consolazione.
86
GIOIELLI E OGGETTI IN METALLO PREZIOSO
421
Fig. 12. - Roma, Museo Nazionale Romano, collana di una tomba della via Ardeatina
(da Fiocchi Nicolai 2013).
Fig. 13. - Città del Vaticano, Fabbrica di S. Pietro, spillone dalla necropoli Vaticana
(da Sena Chiesa 2012).
Fig. 14. - Parigi, Louvre, Department des Objects
d’Art, pendente di Maria, prima moglie di Onorio,
dalla sepoltura imperiale nella Cappella di Santa
Petronilla presso San Pietro.
mentazione restituisce anche corredi deposti accanto
alle sepolture e non all’interno di esse, una casistica quest’ultima emersa ad esempio nella stessa Crypta Balbi 94
e a Capena 95.
Il caso più eclatante di corredo funerario è quello
delle sepolture imperiali rinvenute nel XVI secolo nel
mausoleo di S. Petronilla, attiguo alla basilica di S. Pietro: la ricostruzione di questo contesto da parte di F. Paolucci 96 permette di valutarne appieno il carattere
eccezionale, rispecchiato dalla quantità dell’oro ricavato
dai sudari aurei e dal numero di manufatti in materiale
prezioso fusi o dispersi dopo il ritrovamento. Il pendente
di Maria (fig. 14), prima moglie di Onorio, unico gioiello sopravvissuto alla distruzione del materiale, è sufficiente a valutarne la raffinatezza e la qualità tecnica:
non esistono confronti tipologici per il manufatto, che
tuttavia viene verosimilmente attribuito a botteghe occidentali per la tecnica della sbiancatura delle lettere dell’iscrizione in forma di chrismon e per alcuni particolari
epigrafici 97.
di S. Pietro, inv. FSP 0003) e una lamina votiva (Fabbrica di S.
Pietro, inv. FSP 0002): P. Zander, in SENA CHIESA 2012, pp. 241242.
94
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, I.12.6.
95
RIEMER 2000, pp. 389-390; L. Paroli, in ARENA, DELOGU, PA-
ROLI et alii 2001, pp. 174-178: si tratta di un corredo datato tra V e
VI secolo.
96
PAOLUCCI 2008, con bibliografia precedente.
97
Parigi, Louvre, Department des Objects d’Art (inv. OA.9523).
DE ROSSI 1863; Age of Spirituality 1979, p. 306, n. 279; BALDINI
422
ISABELLA BALDINI
L’unicità dei più importanti manufatti sopravvissuti
alla dispersione limita le possibilità di dare efficacia alle
ipotesi riguardanti le produzioni romane, consentendo
di apprezzarne soprattutto la varietà e l’alto livello di
raffinatezza. Un altro esempio è la croce d’oro pendente
rinvenuta nel 1863 dal de Rossi in una sepoltura maschile della basilica di S. Lorenzo fuori le mura, non
lontano dalla tomba del santo titolare (fig. 15) 98. Il manufatto, in lamina d’oro decorata a niello, presentava alcune iscrizioni (Emmanouel-Nobiscum Deus e Crux est
vitam mihi-Mors inimice tibi) 99, scelte evidentemente
come augurio di protezione nei confronti del proprietario del gioiello 100. Sullo spessore dei bracci trasversali
e della parte inferiore del braccio verticale erano due
monogrammi resi a niello, uno dei quali ripetuto due
volte: evidentemente, quindi, si trattava di un oggetto
di valore fabbricato su commissione. Il nome e forse la
qualifica del proprietario della croce, purtroppo, non sono
stati ancora definiti 101 e la decorazione, pur confrontabile con schemi ornamentali diffusi tra il V e il VI secolo, epoca alla quale viene assegnato il gioiello, non
trova confronti nell’abito dell’oreficeria nota, probabilmente a causa dell’alta qualità del manufatto, finora un
unicum. Anche in questo caso all’incertezza sulla cronologia si aggiunge anche quella sul luogo di fabbricazione del gioiello: la proposta di riconoscere nel sistema
di fissaggio dell’anello di sospensione - a vite - un elemento distintivo delle botteghe romane 102 è infatti contraddetto dalla ampia diffusione di questo elemento in
gioielli tardoantichi in oro di provenienza orientale 103,
soprattutto bracciali, che presentano una chiusura a
perno filettato proprio come nell’esemplare descritto.
Gli spunti emersi da una verifica preliminare della
documentazione disponibile sui prodotti in materiale prezioso di epoca tardoantica rinvenuti a Roma sottolineano,
in sostanza, un quadro ancora estremamente frammentario, con un panorama documentario che oscilla tra produzioni standardizzate e oggetti di eccezionale qualità
e valore, tali da poter essere confrontati con difficoltà.
Il rinvenimento del laboratorio della Crypta Balbi ha
dato nuova consistenza e nuove prospettive alle ricerche sull’oreficeria tardoantica a Roma e in Italia, consentendo da un lato di verificare concretamente le fasi
e il carattere specializzato del processo produttivo, dall’altro di rimettere in discussione alcune attribuzioni preconcette in riferimento a classi e a tipologie di ampia
diffusione, frutto in realtà di un sistema produttivo complesso e dislocato in più sedi.
L’omologazione degli oggetti di ornamento è in genere espressione di fenomeni di condivisione sociale di
comportamenti e di simboli, un aspetto evidente so-
LIPPOLIS 1999, p. 145, 2.III.6.d; D. Gaborit-Chopin in Aurea Roma
2000, pp. 468-469.
98
Musei Vaticani, Museo Cristiano, inv. 1101: oro e niello. 4 x
3 x 0,5 cm. DE ROSSI 1863, pp. 31-38. Sul manufatto: LIPINSKY 1962;
FARIOLI CAMPANATI 1982, p. 356; FARIOLI CAMPANATI 1990, p. 133,
n. 48; BALDINI LIPPOLIS 1999, p. 149, III.10.c.7; RICCI 2001a, p. 79;
L. Franco, in SENA CHIESA 2012, pp. 271-272.
99
ILCV, 3466.
100
SANDERS 1982, p. 375.
101
Il secondo monogramma è simile a quello di Teoderico, ma
manca la lettera ‘o’ e forse è presente una ‘elle’: considerando la
notorietà del re goto e della rappresentazione grafica del suo nome,
è possibile che la croce romana possa essere attribuita all’età teodericiana o poco dopo.
102
LIPINSKY 1962.
103
Ad esempio vd. i bracciali del Paul Getty Museum, di Bakodpuszta (Ungheria, V secolo) e di Malaia Pereschepina (Russia
meridionale): DEPPERT-LIPPITZ 1993, pp. 114-115.
Fig. 15. - Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Cristiano, croce
pettorale da San Lorenzo fuori le mura (da Sena Chiesa 2012).
GIOIELLI E OGGETTI IN METALLO PREZIOSO
prattutto nei manufatti di maggiore pregio, spesso caratterizzati dalla presenza di iscrizioni. Alcuni ornamenti, come il pendente di Maria, vennero eseguiti per
essere unici e come tali sfuggono alle possibilità di una
comparazione tipologica. I gioielli del tesoro di piazza
della Consolazione, invece, sia nella tipologia che nell’assortimento degli oggetti rispecchiano i comportamenti e i gusti di una classe specifica, quella senatoria,
che aveva i tratti di un ceto elitario ma che era sufficientemente numerosa da permettere fenomeni di imitazione: ancora legata a forme espressive tradizionali (i
busti nuziali degli sposi, la personificazione di Roma
sul medaglione del bracciale, i pendenti con gemme gnostiche), la proprietaria del tesoro mostra in maniera palese la propria adesione al cristianesimo solo nell’anello,
mentre la tecnica degli oggetti rivela presumibilmente
un carattere specifico, locale. Lo stesso livello elevato
è riflesso dalle argenterie dell’Esquilino, probabilmente
un tesoro trasmesso attraverso l’arco di qualche decennio in un contesto familiare di notevole rilevanza pubblica che aderisce progressivamente al cristianesimo,
aspetto percepibile prevalentemente in riferimento a figure femminili. Lo sviluppo delle produzioni destinate
alla Chiesa, progressivamente prevalenti nell’impegno
dei committenti e dei donatori, è invece ben esemplificato dal tesoro del Celio.
Un ambito produttivo corrispondente ad una committenza elitaria è evidente nel corredo personale, quasi
coevo, della basilica della via Ardeatina, in cui l’importanza sociale della deposizione si esprime ormai secondo nuove forme, tipicamente cristiane: la famiglia
ha la possibilità di collocare all’interno della tomba oggetti preziosi eseguiti secondo la moda dei ceti eminenti
del periodo, ai quali evidentemente la defunta appartiene; tra questi gioielli solo una collana presenta un
chiaro riferimento al credo religioso della defunta e
l’adesione religiosa, al pari dell’importanza sociale, si
esprimono pubblicamente soprattutto attraverso la vicinanza della sepoltura al centro cultuale principale dell’area funeraria. Il medesimo sistema gerarchico delle
tombe doveva interessare anche la basilica Vaticana,
dalla quale provengono oggetti legati in modo specifico al rituale funerario, un settore del mercato orafo
con caratteristiche tipologiche e funzionali proprie.
Anche nella difficoltà di riconoscere con chiarezza
le linee di sviluppo e i particolari tecnici specifici della
tradizione orafa tardoantica di Roma, quello che sembra emergere chiaramente è comunque il carattere stabile del modello locale attraverso alcuni elementi
distintivi, che rimangono costanti per molto tempo: an-
423
cora nel VI e nel VII secolo, ad esempio, alcuni ricchi
tesori orientali presenteranno manufatti e associazioni
di oggetti (collane e orecchini a pietre policrome, bracciali con medaglioni) ispirati a gioielli simili a quelli
del tesoro di piazza della Consolazione, segno del ruolo
eminente e riconosciuto, sebbene ancora indistinto a livello tecnologico e stilistico, dalle produzioni romane.
Bibliografia
Age of Spirituality 1979 = K. WEITZMANN (a cura di), Age of
Spirituality: Late Antique and Early Christian Art, Third
to Seventh Century, New York 1979.
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001 = M.S. ARENA, P. DELOGU, L. PAROLI, M. RICCI, L. SAGUÌ, L. VENDITTELLI (a
cura di), Roma dall’antichità al medioevo, archeologia e
storia, nel Museo Nazionale Romano Crypta Balbi, Venezia 2001.
Aurea Roma 2000 = E. LA ROCCA, S. ENSOLI (a cura di), Aurea
Roma, dalla città pagana alla città cristiana, Roma 2000.
BALDINI LIPPOLIS 1999 = I. BALDINI LIPPOLIS, L’oreficeria nell’impero di Costantinopoli tra IV e VII secolo, Bari 1999.
BALDINI LIPPOLIS 2007 = I. BALDINI LIPPOLIS, Segni di distinzione sociale tra l’età tardoantica e il Medioevo, in
G.L. BONORA, F. MARZATICO (a cura di), Ori dei cavalieri
delle steppe: collezioni dai musei dell’Ucraina, Milano
2007, pp. 310-319.
BALDINI, MORELLI 2012 = I. BALDINI, A.L. MORELLI (a cura
di), Luoghi, artigiani e modi di produzione nell’oreficeria antica, Bologna 2012.
BALDINI, NOWAK 2012 = I. BALDINI, Z. NOWAK, Ceti artigiani
e modi di produzione nell’oreficeria protobizantina, in
BALDINI, MORELLI 2012, pp. 253-276.
BALDINI, PINAR GIL 2010 = I. BALDINI, J. PINAR GIL, Osservazioni sul Tesoro di Reggio Emilia, in M. ROTILI, C. EBANISTA (a cura di), Ipsam Nolam Barbari vastaverunt,
L’Italia e il Mediterraneo Occidentale tra il V e la metà
del VI secolo, Cimitile 2010, pp. 113-128.
BARATTE 1977 = F. BARATTE, Le plat d’argent du Château
d’Albâtre à Soissons, in RLouvre, 27, 1977, pp. 12-130.
BARATTE 1993 = F. BARATTE, La vaisselle d’argent en Gaule
dans l’antiquité tardive, IIIe-Ve siècle, Paris 1993.
BOURAS, PARANI 2008 = L. BOURAS, M.G. PARANI, Lighting
in early Byzantium, Washington 2008.
BOYD 1988 = S. BOYD, A Bishop’s Gift: Openwork Lamps
from the Sion Treasure, in F. BARATTE (a cura di), Argenterie romaine et byzantine, Paris 1988, pp. 191-209.
BRENK 1999 = B. BRENK, La cristianizzazione della domus
dei Valerii sul Celio, in W.V. HARRIS (a cura di), The Transformation of Urbs Roma in Late Antiquity, Portsmouth,
Rhode Island 1999, pp. 69-84.
BROKALAKIS 2012 = Y. BROKALAKIS, Matrici di età protobizantina dall’impero bizantino, in BALDINI, MORELLI 2012,
pp. 213-234.
CAMERON 1985 = A. CAMERON, The date and owners of the
Esquiline Treasure, in AJA, 89, 1985, pp. 135-145.
CIL = Corpus Inscriptionum Latinarum, Berolini 1863 ss.
DANDRIDGE 2000 = P. DANDRIDGE, Idiomatic and Main-
424
ISABELLA BALDINI
stream: the Technical Vocabulary of a Late Crossbow
Roman Fibula, in MetrMusJ, 35, 2000, pp. 71-86.
DE RICCI 1912 = S. DE RICCI, Catalogue of a Collection of
Ancient Rings Formed by the Late E. Guilhou, Paris 1912.
DE ROSSI 1863 = G.B. DE ROSSI, Disegni d’alquanti vasi del
mondo muliebre sepolto con Mania moglie di Onorio imperatore, in Bullettino di Archeologia Cristiana, I, 1863,
pp. 53-56.
DEPPERT-LIPPITZ 1993 = B. DEPPERT-LIPPITZ, A group of late
Antique Jewelry in the P. Getty Museum , in M. TRUE, K.
HAMM (a cura di), Studia Varia for the J. Paul Getty Museum, I, Malibu 1993, pp. 107-140.
DEPPERT-LIPPITZ 2000 = B. DEPPERT-LIPPITZ, Late Roman and
early Byzantine Jewelry, in K. REYNOLDS-BROWN, D.
KIDD, C.T. LITTLE (a cura di), From Attila to Charlemagne: Arts of the Early Medieval Period in the Metropolitan Museum of Art, New York 2000, pp. 58-67.
ELSNER 2003 = I. ELSNER, Visualising Women in Late Antique Rome: The Projecta Casket, in C. ENTWISTLE (a cura
di), Through a Glass Brightly: Festschrift for David Buckton, Oxford 2003, pp. 22-36.
FARIOLI CAMPANATI 1982 = R. FARIOLI CAMPANATI, La cultura artistica nelle regioni bizantine d’Italia dal VI all’XI
secolo, in G. CAVALLO (a cura di), I Bizantini in Italia,
Milano 1982, pp. 138-426.
FARIOLI CAMPANATI 1990 = R. FARIOLI CAMPANATI, Il reliquiario e l’arte per la liturgia, in Splendori di Bisanzio.
Testimonianze e riflessi d’arte e cultura bizantina nelle
chiese d’Italia, Milano 1990, pp. 125-205.
FEA 1836 = A. FEA, Miscellanea filologica critica e antiquaria,
II, Roma 1836.
ED = A. FERRUA, Epigrammata Damasiana, Roma 1942.
FERRUA 1981 = A. FERRUA, Nuove correzioni alla Silloge del
Diehl Inscriptiones Latinae Christianae veteres, Città del
Vaticano 1981.
FIOCCHI NICOLAI 2013 = V. FIOCCHI NICOLAI, Corredi aurei
da una tomba della basilica di papa Marco sulla via Ardeatina, in M. BARBERA (a cura di), Costantino 313 d.C.,
Roma 2013, pp. 60-66.
GRIERSON 1993 = P. GRIERSON, The Role of Silver in the Early
Byzantine Economy, in S. BOYD, M. MUNDELL MANGO (a
cura di), Ecclesiastical Silver Plate in Sixth-Century Byzantium, Washington 1993, pp. 137-146.
GWYNN 2011 = D.M. GWYNN, The ‘End’ of Roman Senatorial Paganism, in L. LAVAN, M. MULRYAN (a cura di), The
Archaeology of Late Antique Paganism, Leiden 2011,
pp.135-164.
ILCV = Inscriptiones Latinae Christianae Veteres, éd. E.
Diehl, Berlin 1925-1931.
Kalebdjiian 1913 = A. SAMBON, Exposition de bijoux antiques, Collection Kalebdjian, Paris 1913.
KAUFMANN-HEINIMANN 2010 = A. KAUFMANN-HEINIMANN, in
C. EBNÖTHER, R. SCHATZMANN (a cura di), Oleum non perdidit. Festschrift für Stefanie Martin-Kilcher zu ihrem 65.
Geburtstag. Basel 2010, pp. 337-345 (Antiqua, 47).
LEGA 2003 = C. LEGA, Il cd. tesoro di argenteria della domus
dei Valerii al Museo Sacro Vaticano. Alcune osservazioni
critiche, in BMonMusPont, 33, 2003, pp. 7-105.
LIPINSKY 1962 = A. LIPINSKY, La croce di S. Lorenzo, la fibula del Palatino e le oreficerie tardo-romane a vite, in
Palatino, 6, 1962, pp. 52-58.
LIPINSKY 1962.1 = A. LIPINSKY, Orafi e argentieri nella Roma
pagana e cristiana: epigrafia latina minore, in Corso di
Cultura dell’arte ravennate e bizantina, 9, 1962, pp. 315366.
LOVERANCE 2004 = R. LOVERANCE, Byzantium, Cambridge
2004.
MANIÈRE-LÉVÊQUE 1997 = A.M. MANIÈRE-LÉVÊQUE, L’évolution des bijoux «aristocratiques» féminins à travers les
trésors proto-byzantins d’orfèvrerie, in RA, 1, 1997, pp.
79-106.
MRÁV, DÁGI 2014 = Z. MRÁV, M. DÁGI, Under the Spell of
Silver. The Seuso Silver, in Hungarian Archaeology, 2014,
pp. 1-9.
MUNDELL MANGO 2007 = M. MUNDELL MANGO, From ‘glittering sideboard’ to table: silver in the well-appointed triclinium, in L. BRUBAKER, - K. LINARDOU (a cura di), Eat,
Drink, and Be Merry (Luke 12:19) - Food and Wine in
Byzantium, Burlington 2007, pp. 127-164.
MUNDELL MANGO, BENNET 1994 = M. MUNDELL MANGO, A.
BENNET, The Sevso Treasure, Ann Arbor 1994.
OGDEN 1996 = J. Ogden, Lost and Found, in JewelSt, 7, 1996,
pp. 87-88.
PAINTER 1977 = K.S. PAINTER, The Mildenhall Treasure, London 1977.
PAINTER 2000 = K.S. PAINTER, Il Tesoro dell’Esquilino, in
Aurea Roma 2000, pp. 140-146; pp. 491-501 (schede).
PANCIERA 1990 = S. PANCIERA, III, 39 – Un protettore di Spoleto, in Spoletium, 34-35, 1990, pp. 889-901.
PANELLA 2011 = C. PANELLA (a cura di), I segni del potere. Realtà e immaginario della sovranità nella Roma imperiale,
Bari 2011.
PAOLUCCI 2008 = F. PAOLUCCI, La tomba dell’imperatrice
Maria e altre sepolture di rango di età tardoantica a San
Pietro, in Temporis signa. Rivista di archeologia della
tarda antichità e del medioevo, 3, 2008, pp. 225-252.
PAPAGIANNAKI 2013 = A. PAPAGIANNAKI, Nereids and Hippocamps: the Marine Thiasos on Late Antique and Medieval Byzantine Ivory and Bone Casket, in L. KOUNENI
(a cura di), The Legacy of Antiquity: New Perspectives in
the Reception of the Classical World, Cambridge 2013,
pp. 71-105.
PINAR GIL 2007 = J. PINAR GIL, Some remarks on early fifthcentury gold necklaces with pin-shaped pendants. With
regard to an ancient find from la Valletta del Valero (Sose,
Leida, Spain), in ActaArchHung, 58, 2007, pp. 165-185.
PIRZIO BIROLI STEFANELLI 1991 = L. PIRZIO BIROLI STEFANELLI,
L’argento dei Romani. Vasellame da tavola e d’apparato,
Roma 1991.
PLRE I =, The Prosopography of the Later Roman Empire,
I, J. R. Martindale, A.H.M. Jones, J. Morris, Cambridge
1971.
RICCI 2001a = M. RICCI, La produzione di merci di lusso e
di prestigio a Roma da Giustiniano a Carlo Magno, in
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, pp. 79-87.
RICCI 2001b = M. RICCI, Produzioni di lusso a Roma da Gustiniano I (527-565) a Giustiniano II (685-695): l’atelier
della Crypta Balbi e i materiali delle collezioni storiche,
in ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, pp. 331-336.
RIDLEY 1996 = R.T. RIDLEY, The Finding of the Esquiline Silver: an Unpublished Letter, in Archaelogia, 76, 1996, pp.
215-222.
RIEMER 2000 = E. RIEMER, Romanische Grabfunde del 5.-8.
Jahrhunders in Italien, Leidorf 2000.
GIOIELLI E OGGETTI IN METALLO PREZIOSO
ROSS 1965 = M.C. ROSS, Catalogue of the Byzantine and Early
Medieval Antiquities in the Dumbarton Oaks Collection,
I. Metalworks, Ceramics, Glass, Glipties and Painting,
Washington 1965.
SALZMAN 2002 = M. SALZMAN, The Making of a Christian
Aristocracy: Social and religious Change in the Western
Roman Empire, Cambridge 2002.
SANDERS 1982 = G. SANDERS, L’idée du salut dans les inscriptions latines chrétiennes (350-700), in U. BIANCHI,
M.J. VERMASEREN (a cura di), La soteriologia dei culti
orientali nell’Impero romano, Leiden 1982, pp. 351-402.
SCIORTINO, SEGALA 2010 = I. SCIORTINO, E. SEGALA, Scavi
della Soprintendenza Archeologica di Roma nell’angolo
sudorientale delle Terme di Traiano, in BCom, 111, 2010,
pp. 243-257.
SENA CHIESA 2012 = G. SENA CHIESA (a cura di), L’Editto di
Milano e il tempo della Tolleranza. Costantino 313 d.C.,
Milano 2012.
SERAUX D’AGINCOURT 1810-1823 = J.B.L.G. SERAUX
D’AGINCOURT, L’histoire de l’art par les monuments: depuis sa decadence au IVe siècle jusqu’à son renouvellement au XVIe, 1-6, Paris 1810-1823 (ed. Torino 2005).
SERLORENZI 2010 = M. SERLORENZI, Le testimonianze medievali nei cantieri di piazza Venezia, in R. EGIDI, F. FILIPPI, S. MARTONE (a cura di), Archeologia e infrastrutture.
Il tracciato fondamentale della linea C della metropolitana di Roma: prime indagini archeologiche, Roma 2010,
pp. 131-170 (BdA, volume speciale).
SERLORENZI, SAGUÌ 2008 = M. SERLORENZI, L. SAGUÌ, Roma,
425
piazza Venezia. L’indagine archeologica per la realizzazione della metropolitana. Le fasi medievali e moderne,
in AMediev, 35, 2008, pp. 175-198.
SHELTON 1981 = K. SHELTON, The Esquiline Treasure, London 1981.
SHELTON 1985 = K. SHELTON, The Esquiline Treasure: The
Nature of the Evidence, in AJA, 89, 1985, pp. 147-155.
SPERA 2013 = L. SPERA, Roma, gli imperatori e i barbari nel
V secolo, in I. BALDINI, S. COSENTINO (a cura di), Potere
e politica nell’età della famiglia teodosiana (395-455). I
linguaggi dell’impero, le identità dei barbari, Bari 2013,
pp. 163-193.
TOTH 2012 = B.L. TOTH, Identifying pierced jewellery made
in the imperial workshops of the palaces of Costantinople and Ravenna in the 5th century on technical and historical grounds, in I. BALDINI, A.L. MORELLI (a cura di),
Luoghi, artigiani e modi di produzione nell’oreficeria antica, Bologna 2012, pp. 277-298.
VENUTI 1803 = R. VENUTI, Accurata e succinta descrizione
topografica della città di Roma, I-II, Roma 1803.
VISCONTI 1793 = E.Q. VISCONTI, Lettera di E. Q. Visconti su
di una antica argenteria nuovamente scoperta in Roma,
Roma 1793.
VISCONTI 1825 = E.Q. VISCONTI, Lettera di Ennio Quirino
Visconti su di una antica suppellettile d’argento scoperta
in Roma nell’anno 1793, Roma 1825.
VISCONTI 1827 = E.Q. VISCONTI, Lettera di Ennio Quirino
Visconti su di una antica suppellettile d’argento scoperta
in Roma nell’anno 1793, Roma 1827.
ATTIVITÀ ARTIGIANALI E BOTTEGHE
ATTRAVERSO LE FONTI SCRITTE
CRAFTSMANSHIP AND WORKSHOPS
THROUGH THE WRITTEN SOURCES
GLI ARTIGIANI NEI DOCUMENTI ITALIANI DEI SECOLI XI E XII:
ALCUNI CASI DI STUDIO
Chris Wickham
Lo scopo di questo contributo è di mettere i documenti di Roma dei secoli XI-XII in un contesto più
ampio, confrontandoli con quelli di alcune altre città.
Questo è in parte perché ho già affrontato le evidenze
specificamente romane altrove; in parte perché, come
sempre, non si possono bene capire la natura e lo sviluppo di una realtà senza confrontarli con quelli di altre.
Bisogna subito dire, comunque, che questo confronto,
poiché i documenti che discuterò provengono dai secoli centrali del medioevo, ci porta sin dall’inizio a
dover affrontare quella che si può definire la metanarrazione del decollo artigianale e industriale del basso
medioevo italiano. Dunque, prima di tutto, voglio mettere in evidenza alcuni problemi che riguardano il rapporto fra la natura dei documenti stessi e lo svolgimento
di quella narrazione.
Nei secoli XI-XII, come in verità anche prima, gli artigiani appaiono nei documenti che ci sono sopravvissuti
solamente se sono proprietari o affittuari di terra, dal momento che le transazioni fondiarie sono il tema di base
di quasi tutte le cartulae, notitiae o brevia dei secoli precedenti al 1200, oppure se sono testimoni a tali transazioni. Anche in questi casi, sappiamo dell’esistenza degli
artigiani solo se i formulari dei documenti dell’epoca
prevedono la citazione dei mestieri, che non è sempre il
caso. Non possiamo, dunque, se non con molta cautela,
costruire una storia completa delle attività economiche
non agricole solo sulla base delle citazioni di artigiani nei
nostri testi. Lucca, ad esempio, avrebbe uno sviluppo
molto strano se lo facessimo. Nell’VIII secolo, ci sono
dei riferimenti, fra gli altri, ai calderai e agli orefici, e ai
magistri casarii, i costruttori delle case, che comprano
terra in campagna; questo sarebbe in sintonia con quanto
è contenuto in un testo tecnico, scritto in città nello
stesso periodo, che tratta di vari mestieri artigianali, la
tintura, la metallurgia e il pellame fra gli altri. In breve,
per Lucca si potrebbe dunque parlare di una buona evidenza di attività artigianali nell’VIII secolo 1. Se tenessimo fede all’andamento quantitativo della documentazione scritta, questo fervore di attività comunque finirebbe subito dopo, dal momento che abbiamo pochi altri riferimenti all’artigianato lucchese fra l’800 e il 1050.
Solo d’allora in poi alcuni artigiani ricominciano a comparire, diventando relativamente numerosi dopo il 1140
circa. Poi, negli anni ’20 e ’30 del XIII secolo vedremmo
un rapidissimo decollo artigianale in città, soprattutto
connesso all’industria tessile, che continuerebbe poi fino
a tutto il medioevo. L’abbassamento delle attività nei secoli IX-X però non è altro che la conseguenza della fine
delle donazioni fondiarie alle chiese lucchesi nel periodo carolingio, che prima avevano portato negli archivi
ecclesiastici un insieme di documenti riguardanti le transazioni fra laici per le stesse terre; successivamente, per
due secoli, abbiamo poco altro che cessioni di terra ecclesiastica in affitto, soprattutto alle élites locali, documenti che danno molto meno spazio alle attestazioni di
artigiani. In maniera simile, il ‘decollo’ verso il 1230 è
semplicemente il risultato della sopravvivenza a Lucca
di registri notarili dal 1220 in poi, che, per la prima
volta, evidenziano molte transazioni commerciali senza
una base fondiaria 2. In sintesi: tutta questa traiettoria è
puramente il risultato dei cambiamenti nella tipologia
1
Calderarii: Chartae latinae antiquiores, XXXI, n. 921; XXXIV,
n. 996; XXXV, n. 1032; XXXVI, n. 1041; aurefices: XXXI, n. 916a;
XXXIV, n. 1001; XXXVI, n. 1041; casarii: XXXVIII, n. 1117;
LXXIV, nn. 18, 42. Per il testo tecnico, HEDFORS 1932.
2
Per i registri, MEYER 2000, pp. 235-502; per il decollo, BLOMQUIST 2005.
430
CHRIS WICKHAM
delle nostre fonti scritte. Può darsi che sia vera, almeno
in parte – vedremo che, soprattutto per l’inizio del ‘200,
un autentico cambiamento economico può essere effettivamente ipotizzato – ma non si può dirlo solamente
sulla base delle menzioni di artigiani nei testi.
Queste constatazioni non costituiscono una novità.
È comunque utile continuare a svilupparle. Quasi tutto
quello che sappiamo dei secoli d’oro del commercio e
dell’industria medievale italiani fra il ‘200 e il ‘400 si
basa sulla documentazione notarile: prima, nel tardo XII
secolo, genovese, poi, nel XIII secolo, lucchese o bergamasca, quindi nel tardo XIII e nel XIV secolo di moltissime altre città, inclusa Roma. Come risultato, le
attività artigianali e commerciali si accendono per noi,
come delle lampadine, città per città, l’una dopo l’altra. È comunque vero che, se non si ha documentazione
notarile in loco, si può in alcuni casi utilizzare quella
di altre città, soprattutto, all’inizio, quella di Genova.
Le analisi dettagliate dell’attività febbrile di Milano nel
‘200, soprattutto nelle industrie tessili e metallurgiche,
messe in evidenza nel libro di Paolo Grillo sulla città
lombarda, provengono, nell’assenza di un notarile milanese, soprattutto da quello genovese, grazie al fatto
che Genova era in effetti il porto di Milano; persino il
rapporto, sempre più co-dipendente, fra Milano e i borghi del contado come Monza e Cantù, si vede più facilmente attraverso i documenti di Genova 3. A Lucca,
il decollo dell’industria della seta è stato datato da Florence Edler negli anni ’30 e di recente da Alma Poloni
negli anni ’90 del XII secolo perché è in quel momento
che i mercanti lucchesi della seta compaiono nei registri genovesi 4. Almeno a Lucca i registri notarili cominciano un trentennio dopo e ci danno quindi una
visione meno esterna dei processi in questione; ne sappiamo parecchio d’allora in poi. Abbiamo però sempre
la sensazione della piena luce nel ‘200 (oppure nel ‘300
a Roma) e del buio prima.
La differenza fra il buio e la luce può tenderci due
trappole. La prima, per gli storici del basso medioevo,
è di persuadersi che la storia commerciale e produttiva
comincia solamente nel 1200 e che (almeno fuori di Genova) i secoli precedenti esistano appena. Se Grillo e
Poloni non ci sono cascati, gli storici americani dell’economia medievale d’Italia attivi alla metà del ‘900,
che dominano anche adesso la metanarrazione del periodo, un poco sì. La seconda trappola, per gli storici
3
GRILLO 2001, pp. 209-234; per un elenco completo dei registri notarili fino al 1300, vedi MEYER 2000, pp. 179-222.
dei secoli precedenti, è di considerare tutti i segni sparsi
dell’attività artigianale come i semplici prodromi di un
decollo commerciale che deve essere avvenuto, prima
o poi (un fatto su cui, per la verità, non possiamo essere in disaccordo) e che dunque (ed è qui la trappola)
è il solo fenomeno economico che merita di essere studiato e magari identificato più precocemente possibile.
Le città nelle quali questo decollo non è avvenuto (di
cui un esempio è Roma) sono invece state considerate
fallite per questo motivo, anche per quanto riguarda i
secoli precedenti al ‘200. Sono sempre ostile alle teleologie e certamente sono ostile a questa; bisogna sempre provare a capire le strutture e gli sviluppi del periodo
che si sta studiando e non vederli solo attraverso l’ottica di quello successivo.
Questo sarà ad ogni modo il filo conduttore del resto
dell’articolo: voglio semplicemente guardare ciò che si
può trarre dalla documentazione scritta che abbiamo per
i secoli XI-XII e come si più spiegarlo. Considererò a
volte il rapporto fra questo materiale e quello successivo, ma senza alcuna preoccupazione teleologica. Voglio inoltre presentare questo materiale per un pubblico
tanto archeologico che storico. In parte perché è questo lo scopo del libro; ma in parte anche perché se c’è
una disciplina che scoprirà alla fine le vere modalità della
traiettoria economica italiana fra (diciamo) il 950 e il
1250, sarà l’archeologia, e non, se non in maniera molto
più mediata, la storia dei documenti, proprio per le ragioni che si sono già esposte. In questo momento, vale
insistere semplicemente che non sappiamo quando e
come e dove il decollo commerciale italiano sia cominciato. La convinzione di un inizio precoce, nel IX
secolo, è meno diffusa oggi che non 60 anni fa, quando
Cinzio Violante scrisse il suo libro classico su Milano 5.
Attualmente penso che ci sia un dibattito quasi celato
fra quelli che sembrano preferire, detto in maniera molto
schematica, il 950 circa e quelli che guarderebbero invece al 1150 (incluso, come penso, vari archeologi). So
tuttavia per certo che ancora non siamo in grado di stabilire quale delle due date sia la più proficua da scegliere e propongo dunque che la cosa migliore da fare,
adesso, è di seguire le tracce, che abbiamo ed avremo,
e studiarle per il periodo in cui le abbiamo senza il senno
di poi. In questa ottica, analizzerò qui i documenti per
tre casi di studio, la stessa Roma, Lucca e Milano, aggiungendo qualche commento anche su Ravenna e Na-
4
5
POLONI 2009, pp. 46-55, che cita la bibliografia anteriore.
VIOLANTE 1953, pp. 3-53.
GLI ARTIGIANI NEI DOCUMENTI ITALIANI DEI SECOLI XI E XII: ALCUNI CASI DI STUDIO
poli, per provare a mettere in evidenza quello che possiamo o non possiamo dire. Salvo che per Roma, mi
baserò in questa sede quasi interamente sui documenti
editi e aggiungo l’avvertimento che un tale studio non
è stato affrontato in maniera sistematica per nessuna
delle altre città; questo limita la profondità del confronto
che è finora possibile. Alcune conclusioni si possono
comunque trarre, come vedremo.
Tra le città che ho citato, quella che ha più documentazione per il periodo qui discusso è sicuramente
Roma. Comincerò quindi da qui anche per questo motivo e non solo perché Roma è il tema principale che si
affronta in questo volume. Roma è unica in questo contesto perché era normale nell’XI secolo e comune anche
nel XII, attribuire una definizione professionale agli attori e ai testimoni di ogni sorta di documento. Per citare qualche esempio di questo uso possiamo ricordare
un documento del 1017 in cui i figli di un tessitore vendono a un erario (cioè ramaio o lavoratore del bronzo)
una casa nella regione del Colosseo, confinante con
un’altra di un altro erario, con testimoni al documento
che sono tutti artigiani, tre erari e due rotarii (cioè carrai); oppure un testo del 1019 in cui il monastero di SS.
Ciriaco e Nicola in Via Lata allivella a un pistrinario
(cioè fornaio) e al suocero un terreno per costruire una
casa nella regione di Trevi, con testimoni un calzolario
e un saponario; oppure ancora uno del 1062 in cui nella
regione del Colosseo la chiesa di S. Maria Nova cede
una casa a un sartor, con testimoni due calzolai 6, e così
via. Tali citazioni sono rare nel X secolo (prima del 980,
quando cominciano a essere più frequenti, ci sono solo
un paio di menzioni di opifices, una parola molto generica per artigiano, e una di un candeggiatore) 7, ma
aumentano rapidamente nel nuovo millennio, in accordo
con l’espansione della tipologia dei documenti, e continuano dopo senza soluzioni di continuità, anche se con
una lieve flessione nel XII secolo. Per i due secoli qui
considerati sono presenti più di trecento di tali citazioni
e oltre cento mestieri sono identificabili nei testi.
I lavoratori della pelle e dei metalli sono i mestieri
più citati nella documentazione romana per questo periodo: una sessantina di menzioni ciascuno. Poi, vengono i lavoratori tessili (sempre di lana, non di lino) e
i venditori di cibo e bevande, ambedue dei quali ne contano una cinquantina. Ma ci sono pure parecchi lavoratori del legno, vasai (un gruppo che compare molto
6
FEDELE 1900, nn. 4, 19; HARTMANN, MERORES 1895-1913, I,
n. 41.
431
raramente altrove nei documenti scritti, malgrado la
loro importanza per gli archeologi), operai edili, addetti
ai trasporti e trasportatori di animali (ad esempio porcari). Ci sono inoltre molti altri mestieri, ciascuno attestato da un numero ristretto di addetti, come i pittori
ed i vetrai. Ci sono anche delle differenziazioni interne
in questi grandi gruppi di attività. Persino i vasai (figuli) includono uno specialista di orci o anfore (lagunarius), fatto che combacia con la divisione fra tre reti
di officine di vasai ipotizzata da Marco Ricci per questo periodo sulla base dei reperti archeologici. I lavoratori del metallo includono molti più specialisti:
ferrarii, scudarii, erarii, caldararii, malleatores, maniani, iaculatores, palumbatores, aurefices, maniscalci,
fusores e semplici fabri. Qui, evidentemente, c’è una
separazione fra tipi di metallo, ferro, piombo, oro e
bronzo; ma c’è anche una specializzazione funzionale,
una sensibile divisione del lavoro, ad esempio all’interno dei ferrai fra specialisti delle chiavi, dei ferri di
cavallo, degli scudi, etc. Ovviamente, non possiamo sapere quanto queste specializzazioni fossero interamente
mantenute - se, per esempio, un magnano poteva o
meno ferrare un cavallo. Tuttavia questo non ha molta
importanza. Il punto centrale è invece che era possibile
concepire tali differenziazioni e che ci si poteva autodefinire specialisti e non semplicemente ferraio o altre
denominazioni più generiche. Questo indica quanto era
complesso il mondo artigianale di Roma, già nell’XI secolo. Sarei contento di ipotizzare che lo fosse sempre
stato, almeno in parte, per quanto non ci siano prove
documentarie; d’altronde il resto di questo libro mi
sembra che ne possa dare parecchie prove materiali. In
ogni caso se era stato così prima oppure no, dopo il 1000
lo era di sicuro 8.
Sulla base dei documenti, si può anche affermare
come Roma abbia visto una certa specializzazione regionale delle attività artigianali dentro la città. Sarò qui
molto sintetico, perché ho discusso altrove il tema, ma
il fatto non può essere omesso in questa sede. Trastevere mostrava una specializzazione nei lavoratori della
pelle, della ceramica e del ferro. La regione di Pigna, a
nord dell’attuale Piazza Venezia, era invece un’area di
concentrazione dei ferrai, come pure dei lavoratori del
legno. Nella regione di Campo Marzio, al nord del
Montecitorio, c’erano più lavoratori tessili. La regione
di S. Maria Nova, oppure del Colosseo, conteneva tutti
i ramai conosciuti in città in questo periodo e gran parte
7
8
RS, nn. 89, 59.
RICCI 2009; WICKHAM 2013, pp. 177-192.
432
CHRIS WICKHAM
dei calzolai e dei pellicciai (anche se questi ultimi si
trovavano pure vicino a Piazza Navona). Il Celio ospitava la maggior parte dei candeggiatori, almeno all’inizio dell’XI secolo (nei secoli successivi i documenti
per questa zona si diradano rapidamente). Anche con
questo semplice e parziale elenco, alcune tendenze appaiono già chiare. La lavorazione del ferro era abbastanza comune nella maggior parte di queste regioni
cittadine. Si trovavano pressoché ovunque anche gli addetti ai diversi tipi del lavoro tessile e i lavoratori della
pelle, anche nelle regioni in cui non appaiono particolarmente dominanti. Si può supporre che questi tre mestieri iper attestati siano stati così essenziali che era utile
trovare spazio per loro ovunque. Sono i mestieri con
meno artigiani (stando sempre ai documenti), che si trovano per lo più in una singola regione dell’urbe – i vasai
in Trastevere, i fabbricanti di scudi in Pigna, i ramai al
Colosseo, i candeggiatori sul Celio. Questi prodotti più
specializzati dovevano necessariamente essere commercializzati, da una regione all’altra e con l’aiuto senz’altro del grande mercato cittadino del Campidoglio.
Vale la pena aggiungere che non vedo una ragione particolare per queste scelte topografiche; l’eccezione sarebbero i candeggiatori, perché questo tende a essere
un mestiere che si pratica, grazie alle sue possibilità di
inquinamento, ai margini delle zone urbanizzate e il
Celio, sebbene non ancora disabitato, era comunque
decisamente marginale. A Roma, i candeggiatori quasi
certamente includevano anche i tintori, perché i tinctores, comuni altrove in Italia, non sono menzionati nei
documenti romani del periodo; l’argomento della marginalità vale pure per loro. In sintesi, anche senza delle
ragioni particolari per queste specializzazioni, il risultato era certamente una scala intra-urbana di scambi assai
grande 9.
Bisogna riconoscere che queste configurazioni si basano solo su una parte della città, all’incirca il 40% delle
zone abitate. Non abbiamo documenti per tutta l’ansa
del Tevere, all’ovest e sud di Piazza Navona, nè per la
zona portuale di Ripa, fra il Campidoglio e il fiume; ne
abbiamo relativamente pochi per le regioni di Colonna
e di Trevi, oppure di Biberatica e Monti sopra i Fori
Imperiali. Il risultato è che, sulla base delle fonti documentarie, non è possibile avere un’assoluta certezza
sull’esatta distribuzione dei mestieri. Ad esempio: nel
basso medioevo, gran parte dei vasai di Roma si trovavano nella regione Arenula, non in Trastevere; possiamo dunque dire con sicurezza che Trastevere era più
importante per la ceramica nel nostro periodo che successivamente, ma non che questa vocazione fosse nuova
per Arenula, perché non abbiamo nessuna informazione
al riguardo per Arenula prima del 1200 10. Comunque,
si può almeno insistere sul fatto che alcuni mestieri erano
certamente ‘regionalizzati’, almeno in buona parte. È
possibile che ci fossero vasai in più regioni fuori di Trastevere per le quali i documenti mancano, ma senz’altro non sono per niente visibili in regioni importanti e
ben documentate come Pigna e Colosseo. C’è, poi, almeno una zona della città per la quale le assenze sono
significative: la città leonina. Questa zona (tecnicamente, non era una regione, perché non faceva ancora
parte dell’urbs) è ben documentata e vi compaiono
molti mercanti (negotiatores, mercatores), ma pochi artigiani: senza alcun dubbio, la funzione di questa zona
era di vendere ai pellegrini e di ospitarli, non di fabbricare merci 11. Anche considerando la parzialità della
nostra documentazione, come pure il fatto che, come
altrove, le nostre informazioni provengono solamente
dalle transazioni fondiarie, la conclusione che ci fossero delle concentrazioni regionali di mestieri in città
già nell’XI secolo sembra essere fuori discussione. E
sicuramente tale ‘regionalizzazione’ continuò anche
dopo, sebbene con cambiamenti. Ad esempio, Isa Lori
Sanfilippo, nel suo libro fondamentale sugli artigiani romani del ‘300 (il primo periodo per cui abbiamo dei registri notarili) mostra come Pigna dovette diventare più
centrale, rispetto ai secoli precedenti, per gli artigiani
della lana e della pelle; viceversa, i ferrai trecenteschi
si trovavano ancora dappertutto 12.
WICKHAM 2013, pp. 151-152, 179-180.
GÜLL 2003, pp. 49-79 (Trastevere tornò a essere importante
solo nel ‘500). Per una discussione sugli scarti di produzione della
ceramica, registrati dali archeologi in più parti della città si rimanda
ai testi di M.E. Calabria et alii e G. Rascaglia, J. Russo in questo
volume.
11
WICKHAM 2013, pp. 173-177.
12
LORI SANFILIPPO 2001, pp. 150, 222, 297, 300.
9
10
***
Per mettere questi dati a confronto con altri, passiamo
ora a considerare due città ben documentate del centronord, Lucca e Milano, che hanno infatti, in ambedue i
casi, più documenti di Roma. Ho già accennato all’andamento dei riferimenti agli artigiani nei documenti di
Lucca. Guardiamo ora con maggior dettaglio ai secoli
GLI ARTIGIANI NEI DOCUMENTI ITALIANI DEI SECOLI XI E XII: ALCUNI CASI DI STUDIO
433
XI-XII per mettere a fuoco il confronto, in particolare
al periodo dopo il 1050 quando le citazioni degli artigiani lucchesi cominciano lentamente a comparire, e il
periodo dopo il 1140 quando sono più comuni. Se a
Roma i primi artigiani nei documenti del X secolo sono
denominati opifices, senza ulteriore definizione, a Lucca
sono fabri. Questi dominano, nei nostri pochi riferimenti
agli artigiani, fino al 1140, come testimoni e come proprietari di terra agricola nella piana di Lucca, attorno
alla città, come pure qualche volta dentro le mura, ad
esempio vicino alla chiesa di S. Alessandro nella parte
occidentale della città. Chi sono questi ‘fabbri’?. Una
traccia è in un testo del 1075, dove un faber risulta possedere una gualchiera a Brancoli, 10 km a nord di
Lucca: dunque è in realtà un follatore. Il manipolo di
pellettieri o coiai o sarti menzionati nei testi avrebbero
potuto quindi senz’altro essere ugualmente chiamati
‘fabbri’. Non si tratta di un mondo dominato dai ferrai;
la parola faber è qui indeterminata, come opifex a Roma.
Un mestiere era forse già specificato, quello degli speziali, che appaiono in una famosa iscrizione del 1111
sulla cattedrale lucchese; questo è inoltre probabile per
i fornai e i venditori di cibo, che appaiono con una certa
regolarità con le proprie denominazioni; ma gli altri artigiani lucchesi erano probabilmente tutti ‘fabbri’ per
molti decenni 13.
A Lucca la gamma dei mestieri identificabili si allarga parecchio alla metà del XII secolo. D’allora in poi
sappiamo di una trentina di vocazioni diverse, sebbene
ci siano percentualmente molto meno menzioni che a
Roma, rispetto alla quantità dei documenti. Qui spicca
la lavorazione della pelle: calzolarii (i più numerosi),
pellarii, coiarii, sellarii. Seguono i venditori di cibo,
quindi gli addetti al lavoro tessile (soprattutto i tintori,
che hanno una presenza pari ai calzolai). La metallurgia è meno presente, molto meno che a Roma, il che
rafforza ulteriormente l’argomento appena messo in
evidenza sulla mancata precisione della parola faber
nella città toscana. Questi artigiani non sono visibilmente
ricchi (lo stesso è vero anche a Roma); vendono, comprano e affittano pezzi di terra agricola a prezzi normalmente bassi. Solo alla fine del secolo – nel caso ad
esempio del figlio di un pelliparius nel 1187 o di un
fabbro nel 1194 – troviamo compravendite per somme
più elevate. In generale, stando ai documenti lucchesi,
fino al tardo XII secolo, abbiamo segni della lavorazione
della pelle, che risulta più significativa della lavorazione
della lana. In generale, l’attività artigianale è assai in
sordina, se seguiamo le indicazioni delle fonti 14.
Se guardiamo, invece, i registri notarili lucchesi degli
anni ’20 del XIII secolo in poi, la situazione si rivela
ben diversa. Lucca era ormai una città con un’industria
tessile, sia di lana che di seta, molto marcata. Quest’industria si basava alle origini, e il fatto è importante,
soprattutto sulle importazioni di stoffe già tessute:
stando al notarile genovese (anche se le menzioni precoci al riguardo sono relativamente poche), i Lucchesi
compravano stoffe di lana a Genova nel tardo XII secolo, le tingevano (la ‘scarlatta lucchese’) e rivendevano
i panni rifiniti, ancora una volta attraverso il mercato
genovese. Questo, di sicuro, spiegherebbe l’importanza
dei tintori fra i mestieri tessili nei documenti della nostra città. Dalla fine del XII in poi, le stoffe importate
includevano ormai la seta grezza, e Lucca nel XIII secolo doveva molta della sua forza economica a un monopolio sulla lavorazione e, soprattutto, la rifinitura
della seta 15. Tuttavia, anche questo non avrebbe cambiato in modo così decisivo l’economica della città in
generale. Ciò che era a mio avviso più importante era
l’inizio della produzione della lana nella stessa Lucchesia, grazie alle greggi della Garfagnana, che divennero più numerose e importanti con lo sviluppo della
transumanza in Maremma nel tardo XII e soprattutto
nel XIII secolo; ormai, la lana era per lo più tessuta nella
campagna lucchese e poi comprata dai pannarii cittadini e portata in città per una rifinitura che era già una
specialità locale. In questo sviluppo vediamo un rapporto più organico fra città e campagna che agirebbe
come base per una produzione di massa 15. Che Lucca
fosse presto eclissata nell’industria della lana da Firenze,
la quale seguì la stessa strada mezzo secolo dopo e più
rapidamente, non cambia il discorso 16.
Si sa che la produzione di massa delle città italiane
era intimamente collegata con l’economia internazionale, perché le città dovevano vendere a un mercato più
grande di quello della penisola per mantenersi. Quando
Queste constatazioni derivano da una lettura dei documenti
lucchesi editi e inediti fra il 1050 e il 1140, nell’Archivio arcivescovile di Lucca, il RCL (I, nn. 358, 627 per S. Alessandro), e AZZI
VITELLESCHI 1903-1911 (I, n. 256 per il documento del 1075). Per
l’iscrizione, vedi BARACCHINI, CALECA 1973, p. 57.
14
Qui il campione si basa sul RCL; III, nn. 1556 e 1723 per gli
anni 1187 e 1194.
15
POLONI 2009, pp. 36-60.
16
Per la transumanza, vedi la bibliografia citata in WICKHAM
1988, p. 25; per dei commenti sui pannarii etc., vedi BLOMQUIST
2005, article VI.
13
434
CHRIS WICKHAM
tuttavia anche la materia prima veniva da fuori, come
per la lana a Lucca nel XII secolo, la produzione rimaneva per forza al livello del lusso, semplicemente perché i costi della materia erano più alti (l’industria della
seta rimase, invece, sempre nella sfera delle produzioni
di lusso, anche quando la seta lucchese si produceva in
loco, alla fine del medioevo). Per l’industria della lana
era la localizzazione della produzione della materia
prima e un conseguente abbassamento dei suoi costi,
che avrebbe permesso un cambiamento di livello nell’economica cittadina. Direi che le informazioni che abbiamo sull’espansione della transumanza delle greggi
garfagnine indicherebbero che questo dovette avere
luogo a Lucca verso o dopo il 1200. Questo vuol dire
che una conclusione attendibile che si può trarre dai documenti lucchesi per il tardo XII secolo, anche se sono
più opachi di quelli di Roma, è che Lucca era in quel
periodo una città certamente prospera, ma con una prosperità non così tanto basata sull’attività artigianale,
certamente meno di Roma. Se guardiamo la Lucca del
tardo XII come una città che si prepara già per il decollo economico, imponiamo una teleologia che non è
appropriata.
A Milano, invece, era probabilmente diverso. Si ha
già un’idea chiara della forza di Milano come centro
produttivo e commerciale, specialmente nel ‘200,
quando era di gran lunga la città più grande d’Italia, con
un’industria sia tessile che metallurgica di scala internazionale. Nei documenti del XII secolo, però, non
compare quasi niente di simile e qui dobbiamo considerare se quest’assenza sia semplicemente un problema
di fonti. Cinzio Violante, come si è detto sopra, cercò
di trovare i prodromi della grandezza economica di Milano già nel IX secolo, con menzioni di mercanti, come
pure, con più sicurezza, nel X-XI secolo con un innalzamento dei prezzi della terra sia in città che nel suburbio. Non ci sono infatti molti dubbi che questo sia
stato un periodo di una crescita almeno demografica e
topografica nella città lombarda. Tuttavia, degli artigiani
del periodo non sappiamo quasi nulla. I mercanti sono
comuni nei documenti fino al 1060 circa, ma dopo
quella data anche qui - il fatto è curioso - scompaiono 17.
Questi mercanti trafficavano qualcosa in città, di sicuro,
ma non sappiamo che cosa e quanto era prodotto in loco.
Gli artigiani milanesi, sia in città che in campagna,
cominciano a essere documentati in più dettaglio nell’ultimo quarto dell’XI secolo. Il fatto che molti siano
visibili in un contesto rurale, come a Lucca, non è problematico, perché ogni cittadino italiano con un po’ di
soldi comprava terra nel contado. Bisogna, tuttavia, dire
che, a Milano, delle figure assai minori potevano possedere dei campi più distanti dalle mura cittadine rispetto
a Lucca. Ad esempio, i figli di Bombello, tinctor di Milano, con la famiglia, allivellarono fra il 1128 e il 1135
della terra a Villamaggiore nel sud della diocesi milanese, 20 km dalla città; il cittadino milanese Pietro
Millemerce, un nome assai suggestivo, prese terra in affitto a Vimercate, un borgo 30 km dalla città a nord-est,
nel 1161. Queste sono, come al solito, operazioni fondiarie, non segni del funzionamento di un’economia artigianale; ma almeno sono segni di un rapporto
economico fra città e campagna, che si estendeva notevolmente. Detto questo, è anche possibile che Pietro
di Marchisio, tinctor della stessa Vimercate, che donò
della terra alla chiesa locale nel 1137, potrebbe aver partecipato anche lui all’economia cittadina – proprio come
sarebbe successo nel ‘200, quando il rapporto economico organico fra i borghi del contado e la città è ben
documentato 18.
Ho seguito i documenti editi di Milano in maniera
sistematica fino al 1162, data della distruzione temporanea della città da parte di Federico Barbarossa e dell’inizio di un periodo di guerre, che cambiò parecchio
il contesto economico della città. La metallurgia domina:
la metà delle citazioni di artigiani nei documenti milanesi nel secolo prima della distruzione sono ferrai. Ferrarius è una parola più univoca di faber, dunque non
dubiterei che abbia un significato preciso in questi testi,
anche se manchiamo quasi del tutto della gamma di mestieri metallurgici più specifici che sono attestati a
Roma 19. Questo concorda con l’importanza ben attestata della metallurgia a Milano nel ‘200. Gli artigiani
tessili sono secondi nella lista, ma sono meno di un
quarto del totale, malgrado la loro vasta importanza successiva. Il resto dell’elenco degli artigiani milanesi non
fornisce particolari sorprese. I ferrai sono più spesso cittadini milanesi, gli altri mestieri sono più sparsi fra città
e campagna. Come a Lucca e a Roma, nessuno fra que-
17
VIOLANTE 1953, pp. 41-70, 99-127, per i secoli dal IX al primo
XI (pp. 47-49 elencano le poche citazioni degli artigiani del periodo,
più della metà dei quali sono, come successivamente, dei ferrai).
18
Pergamene milanesi, XVII, nn. 39-40, 47, 52-53; XIV, nn. 30,
65.
19
Questo si basa su una lettura dei documenti milanesi fino al
1162 editi in VITTANI, MANARESI, SANTORO 1933-1969; Pergamene
milanesi; e i documenti pubblicati in rete (che includono la maggior parte dei volumi di Pergamene milanesi ma anche altri fondi)
su http://cdlm.unipv.it/.
GLI ARTIGIANI NEI DOCUMENTI ITALIANI DEI SECOLI XI E XII: ALCUNI CASI DI STUDIO
sti risulta essere notevolmente ricco. Sul rapporto fra
gli artigiani e l’élite urbana di Milano, infatti, il massimo che si può dire è che una famiglia consolare dell’élite non aristocratica, i Zavatari, aveva un cognome
probabilmente di mestiere dal 1130; questo forse dimostra che si poteva riuscire ad arricchirsi con la fabbricazione delle ciabatte già nell’XI secolo 20.
La documentazione che abbiamo per Milano, dunque, attesterebbe un’economia artigianale che, prima del
1162, sembrerebbe incentrata più sulla lavorazione del
metallo che su quella dei tessuti e sembrerebbe mostrare
un rapporto fra città e campagna che si estendeva in una
zona geografica più grande rispetto a quanto si può ricostruire per Lucca. Non si tratta di constatazioni molto
complicate, ma sulla base delle evidenze disponibili c’è
poco altro che si possa dire. Tuttavia, qui non è necessario guardare all’economia milanese con la visione teleologica di che cosa sarebbe successo un secolo dopo
per capire che la presenza relativamente marginale dell’artigianato nei nostri documenti, in contrasto con la
situazione a Lucca, è decisamente fuorviante. Già prima
del 1162, la grandezza fisica della città, il suo notevole
protagonismo politico, la precoce visibilità dei suoi
mercanti (anche se questi scompaiono presto dai documenti), non avrebbero senso se non ci fosse stato un artigianato assai attivo, e per la verità molto più attivo di
quello che compare nei documenti. D’altronde, persino
nel ‘200, non sono le pergamene sciolte milanesi a dirci
quello che sappiamo dell’industria cittadina, ma una
gamma di altre fonti, che adesso esistono come mai
prima. Si può concludere che, a Milano, semplicemente
non era mai stato necessario specificare i mestieri
quando le persone apparivano nei documenti; qui non
possiamo essere sicuri di niente sulla base di tali citazioni. Può sicuramente darsi che la principale forza artigianale, verso diciamo il 1100, sia stata nel settore del
ferro; la lenta emergenza delle evidenze per la transumanza lombarda attraverso il XII secolo ne è forse
un altro segno, perché, come a Lucca, indicherebbe che
la domanda per la lana non era ancora alta; ma non possiamo esserne sicuri 21. Se ci asteniamo dal senno di poi,
dobbiamo semplicemente riconoscere che ci sono delle
assenze, che rimarranno incolmabili se non ci sarà un’ar-
20
MANARESI 1919, n. 3; da aggiungere forse gli Scaccabarozzi,
un’altra famiglia consolare, che presero in affitto un forno da pane
in città nel 1143: Pergamene milanesi, XV, Capitolo Maggiore, n.
12; per la famiglia, FASOLA 1972.
21
Per la documentazione, GRILLO 2001, pp. 209 ss. E, infatti, i
primi riferimenti ai fustagni milanesi provengono già dal primo registro notarile genovese – si tratta di due documenti in CHIAUDANO,
435
cheologia più attenta nella città lombarda. Ci sono, infatti, veramente pochi dati archeologici editi per Milano,
tuttavia lo scavo di una bottega vicino alla cattedrale
mostrerebbe una continuità di attività dal X secolo al
XII, con un focolare apparentemente per la metallurgia nell’ultimo livello 22. Nondimeno, un focolare senza
un contesto più ampio non ci porta molto oltre le conoscenze tratte dai documenti scritti. Per questa città
bisogna decisamente aspettare nuovi scavi per saperne
di più.
***
Torniamo a Roma infine, perché queste assenze sono
decisamente minori nell’urbs e adesso bisogna chiedersi
perché. Roma è unica in Italia per la densità di riferimenti agli artigiani nei documenti di questi secoli. Ciò
non vuol dire, comunque, che abbia avuto una struttura
economica altrettanto unica. Ho altrove sostenuto che
Roma era molto più ricca ed economicamente complessa
di quanto non si tenda a presumere in questo periodo e
che fino al 1100 circa era la città più grande d’Italia (e
dell’Europa latina), prima che fosse sorpassata da Milano. Tuttavia, non è possibile sostenere che era veramente la sola città italiana ad avere una tale gamma di
mestieri. A Roma, era semplicemente normale, specificare il mestiere di quelli che sottoscrivevano gli atti pubblici, come sicuramente non era a Milano. Il risultato è
che abbiamo, anche tenendo conto dei problemi dell’evidenza discussi prima, una visione relativamente
accurata dell’attività artigianale a Roma, già prima del
1200, come non abbiamo altrove. Vale, tuttavia, la pena
di discutere anche le ragioni di questa differenza e qui
penso che dobbiamo introdurre un altro elemento della
società artigianale, non discusso prima, e cioè l’organizzazione dei mestieri. A Roma troviamo menzioni di
più scolae di mestieri, che erano enti strutturati, a volte
con priores o patroni citati nei testi: i candeggiatori già
nel 978, gli erarii nel 1025, i fullones nel 1034, i muratores nel 1120; poi, nel 1192 (nel Liber Censuum), i
fiolarii (cioè fabbricanti di oggetti di vetro), i ferrai della
regione Colonna, i calderai, i carbonai e due scolae cia-
MORESCO 1935, nn. 383, 678, dagli anni 1158 e 1160. Bisogna dire,
comunque, che due documenti sui 1306 nel registro non sono prove
di un’industria con uno sbocco ancora internazionale. MENANT 1993,
pp. 249-287, data il vero decollo della transumanza lombarda (anche
se non specificamente milanese) alla fine del XII secolo.
22
ANDREWS 1991.
436
CHRIS WICKHAM
scuna di muratori e di bandonarii, che facevano bandiere 23.
Queste menzioni sono casuali, ma danno l’idea di
una strutturazione normale dei mestieri che senz’alcun
dubbio si estendeva anche agli altri. Si è dibattuto parecchio sull’origine e sulla natura di queste scolae; la
terminologia rimonta di sicuro all’impero romano/bizantino, ma questo vuol dire che le arti medievali hanno
necessariamente avuto un’origine, senza successive soluzioni di continuità, sin nell’antichità 24? Si tratta di un
dibattito vecchio e inutile. È invece sicuramente vero
che ci sia stato un collegamento geneologico, fragile ma
appena visibile, fra queste scolae e le arti del ‘300. Tuttavia la citazione del 1192 ci dà l’opportunità di meglio
comprendere proprio il nostro periodo: l’identificazione
del gruppo di mestieri, di cui stiamo parlando, proviene
da un elenco papale di molte scolae, per lo più di dipendenti papali e non di artigiani, che ricevevano doni
a Natale e a Pasqua da parte del papa. Le scolae alle
origini erano senz’altro tutti gruppi cerimoniali, che facevano parte del rituale pubblico, denso e ben documentato, dell’urbs; solo lentamente – verosimilmente
nel nostro periodo per almeno alcune, anche se non necessariamente tutte 25 – divennero anche arti nel senso
socio-economico della parola. In ogni caso è almeno
plausibile che questa identità anche cerimoniale abbia
permesso di strutturare i membri di ciascun mestiere
come gruppo, per cui poteva apparire utile specificare
chi erano quando apparivano nei documenti. Questo valeva persino per mestieri di basso status, quelli del futuro ‘popolo minuto’, come porcari e vaccari, che
appaiono pure loro con una certa regolarità.
Questa spiegazione almeno trova un interessante
corrispettivo nella discreta presenza di indicazioni di mestiere in due altre città ex-bizantine: Ravenna e Napoli.
A Ravenna, i documenti editi evidenziano non solo gli
artigiani, ma anche lì delle scolae di pescatori, calzolai
e mercanti già nel X, e quella dei macellai nell’XI secolo. La scola dei calzolai aveva una sede fissa, citata
più volte nei documenti 26. A Napoli, per la quale ci sono
quasi altrettanti documenti che a Roma, non ci sono sco-
lae documentate, ci sono però parecchi mestieri citati
nei testi: in primo luogo sono attestati i ferrai, come a
Milano. Si tratta di un gruppo consistente che è attivo
negli affari fondiari; alcuni di loro sono più ricchi di
qualsiasi altro artigiano romano, lucchese o milanese del
nostro periodo. Ci sono poi dei mestieri connessi con
il porto e ancora almeno trenta altri, inclusi alcuni (come
i vasai, chiamati qui fictiliarii), che sono rarissimi altrove, ad eccezione di Roma. I mestieri di Napoli, come
quelli di Ravenna, sono già visibili nel pieno X secolo,
cioè prima di Roma, anche se, stando ai documenti, sono
ancora una volta meno numerosi che nella città laziale.
Rappresentano inoltre un problema per la storia economica di Napoli, in quanto la città campana era famosa
per la produzione del lino, ma gli artigiani tessili sono
pressoché assenti nei testi 27. Tuttavia, la notevole visibilità dei ferrai colpisce e anche qui mi sentirei di sostenere che ci troviamo di fronte, in una maniera ancora
non ben indagata, ad un’eredità bizantina almeno per
quello che riguarda la visibilità dell’artigianato.
23
WICKHAM 2013, pp. 189-190; per il 1192, vd. FABRE, DUCHESNE
1905, pp. 304-306.
24
Vedi la discussione critica della storiografia in LORI SANFILIPPO 2001, pp. 15-32.
25
La documentazione migliore per l’organizzazione interna delle
scolae proviene dalla campagna, non dalla città, cioè dai salinarii
e i piscatores delle saline e le lagune di Porto e da una scola di ortulani sulle via Portuense: vedi WICKHAM 2013, pp. 119-122, 135137. Ma queste sono probabilmente delle guide anche per delle scolae
urbane; aggiungerei che il fatto che le scolae potevano essere sia
rurali che urbane spiegherebbe anche il fatto che i porcari, etc., avrebbero potuto essere ugualmente organizzati.
26
Scolae: BENERICETTI 1999-2002, I, nn. 48, 77-78; III, nn. 213
(sede fissa), 248 (sede fissa), 276 (sede fissa); BENERICETTI 20032011, I, n. 33 (sede fissa); II, n. 178 (sede fissa); III, n. 298.15; V,
n. 417; VII, n. 611.
27
FENIELLO 2011, pp. 171-172 (vasai); 194-202 (la documentazione per la fabbricazione del lino); 80-82, 219-223 (ferrai).
***
Questi esempi di città portano in varie direzioni,
anche al livello sintetico che ho scelto in questa sede.
Vale comunque la pena di ripetere che senza uno studio accurato di ogni città sotto questo aspetto, che ancora manca, è difficile dire molto di più. Tutti gli esempi
che ho proposto hanno i loro problemi, se cerchiamo di
offrire un’interpretazione generale affidabile. Per capirli
bene, inoltre, bisognerebbe sviluppare un modello economico per ciascuna città e per il suo rapporto con il
territorio (e a volte anche con il mercato internazionale),
un modello che, anche in questo caso, manca nel nostro periodo per quasi ogni città italiana e che sarebbe
arduo – anche se necessario – costruire. Ho però provato a delineare un profilo socio-economico per Roma,
Lucca e Milano che permetta di evidenziare degli elementi utili per un confronto fra queste città; ho inoltre
proposto che la visibilità degli artigiani nei documenti
romani riflette il livello della loro importanza in città e
GLI ARTIGIANI NEI DOCUMENTI ITALIANI DEI SECOLI XI E XII: ALCUNI CASI DI STUDIO
con i confronti qui messi in evidenza ho tentato di spiegare in quale contesto sociale potremmo vedere bene la
gamma dei mestieri dell’urbs. Si può tentare anche una
graduatoria della complessità: possiamo concludere che
la gamma dei mestieri specializzati è ben visibile anche
a Napoli e forse a Ravenna; un po’ meno a Lucca e molto
meno a Milano, dove la documentazione al riguardo è
decisamente fuorviante. Bisogna però insistere sull’eccezionalità della quantità di mestieri a Roma nel nostro
periodo; la quasi totalità di quelli che si trovavano a Milano o a Firenze nel 1300 si riscontra a Roma già nel
1100. Sebbene, senza alcun dubbio, Roma nel 1100
aveva molti meno artigiani in ciascun mestiere di Milano nel 1300, come pure una minore complessità interna della maggior parte delle arti, ad ogni modo quasi
nessun tipo di lavoro artigianale mancava nell’urbs nel
nostro periodo ed anche quando c’è un’assenza nei documenti (come nel caso dei tintori) si può fornirne una
spiegazione attendibile.
A Roma, come si sa, non ci fu un sensibile decollo
economico. Almeno quest’assenza, riconosciuta da tutti,
ha fatto si che le distorsioni teleologiche che ho criticato sopra non siano presenti nella storiografia dell’urbs. Viceversa, altre distorsioni sono state più serie:
infatti, fino a poco tempo fa era comune, sostenere che
a Roma non ci fosse nemmeno una struttura commerciale, persino nel basso medioevo: era solamente la città
dei papi, una città di consumi e nient’altro. Una generazione di studi sui secoli XIII-XIV, con studiosi come
Isa Lori Sanfilippo, Jean-Claude Maire Vigueur e Marco
Vendittelli, ha dimostrato come tale visione non era per
nulla adeguata a questo periodo 28. L’economia romana
del basso medioevo era un’economia con meno cambiamenti rispetto a città come Milano, ma aveva una
complessità che colpisce comunque. Ora possiamo riconoscere questo anche per i secoli precedenti, perché
i documenti per i secoli XI-XII dimostrano esattamente
la stessa cosa. Detto questo, non è necessario preoccuparsi troppo del problema che Roma non abbia vissuto
un decollo come quello di Milano; per capire Roma,
basta capire la sua complessità interna. Si potrebbe certamente provare a continuare il confronto qui schizzato
per comprendere la stabilità dell’economia dell’urbs
nel periodo successivo, quando altre città vissero cambiamenti economici più radicali. Per farlo, sarebbe necessario ritornare sul rapporto con la campagna e con
28
LORI SANFILIPPO 2001; VENDITTELLI 2001; MAIRE VIGUEUR
2011, pp. 87-120.
437
altre città e borghi laziali, come ho accennato per Lucca
e Milano. Tuttavia in questa sede una tale analisi non è
essenziale, perché Roma dentro le mura è il tema principale del libro. Allora una cosa deve essere qui enfatizzata: Roma aveva una stabilità duratura nella sua
struttura economica di base, nel rapporto fra offerta e
domanda appropriata a una città grande, con una ricchezza locale sufficientemente diversificata, che poteva
sostenere per lungo tempo una divisione del lavoro notevolmente complessa. Questo dimostra che non era necessario il mercato internazionale per sostenere una tale
divisione del lavoro: una grande città era sufficiente.
Questa è, infine, una conclusione che sarebbe utile applicare anche altrove, se vogliamo capire meglio la traiettoria dell’economia medievale italiana.
Ringrazio Alessandra Molinari per una lettura serrata di
questo testo.
Bibliografia
ANDREWS 1991 = D. ANDREWS, Lo scavo di piazza Duomo:
età medioevale e moderna, in D. CAPORUSSO (a cura di),
Scavi MM3: ricerche di archeologia urbana a Milano durante la costruzione della linea 3 della metropolitana
1982-1990. I. Gli scavi, Milano 1991, pp. 163-210.
AZZI VITELLESCHI 1903-1911 = G. AZZI VITELLESCHI, Reale
archivio di Stato in Lucca. Regesti. I. Pergamene del Diplomatico. Parte 1 (790-1081). Parte 2 (1082-1155),
Lucca 1903-1911.
BARACCHINI, CALECA 1973 = C. BARACCHINI, A. CALECA, Il
duomo di Lucca, Lucca 1973.
BENERICETTI 1999-2002 = R. BENERICETTI, Le carte ravennati del decimo secolo. Archivio arcivescovile, I-III, Ravenna-Faenza 1999-2002.
BENERICETTI 2003-2011 = R. BENERICETTI, Le carte ravennati del secolo undicesimo, Faenza 2003-2011.
BLOMQUIST 2005 = T. W. BLOMQUIST, Merchant families,
banking and money in medieval Lucca, Aldershot 2005.
Chartae latinae antiquiores = Chartae latinae antiquiores,
éd. A. Bruckner, R. Marichal et alii, Olten/Zürich 1954
ss.
CHIAUDIANO, MORESCO 1935 = M. CHIAUDANO, M. MORESCO (a cura di), Il cartolare di Giovanni Scriba, I-II, Torino 1935.
FABRE, DUCHESNE 1905 = P. FABRE, L. DUCHESNE (a cura di),
Le Liber Censuum de l’Église romaine, I, Paris 1905.
FASOLA 1972 = L. FASOLA, Una famiglia di sostenitori milanesi di Federico I, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, LII, 1972, pp.
116-218.
FEDELE 1900 = P. FEDELE, Tabularium S. Mariae Novae ab
an. 982 ad an. 1200, in ArchStorRom, XXIII, 1900, pp.
171-237.
FENIELLO 2011 = A. FENIELLO, Napoli. Società ed economia
(902-1137), Roma 2011 (Nuovi Studi Storici, 89).
GRILLO 2001 = P. GRILLO, Milano in età comunale (11831276). Istituzioni, società, economia, Spoleto 2001.
438
CHRIS WICKHAM
GÜLL 2003 = P. GÜLL, L’industrie du quotidien: production,
importations et consommation de la céramique à Rome
entre XIVe et XVIe siècle, Roma 2003 (Collection de
l’Ecole française de Rome, 314).
HARTMANN, MERORES 1895-1913 = L. M. HARTMANN, M. MERORES (a cura di), Ecclesiae S. Maria in Via Lata tabularium, I-III, Vindobonae 1895-1913.
HEDFORS 1932 = H. HEDFORS (a cura di), Compositiones ad
tingenda musiva, Uppsala 1932.
LORI SANFILIPPO 2001 = I. LORI SANFILIPPO, La Roma dei romani. Arti, mestieri e professioni nella Roma del Trecento,
Roma 2001 (Nuovi studi storici dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo, 57).
MAIRE VIGUEUR 2011 = J.-C. MAIRE VIGUEUR, L’altra Roma.
Una storia dei romani all’epoca dei comuni (secoli XIIXIV), Torino 2011.
MANARESI 1919 = C. MANARESI (a cura di), Gli atti del Comune di Milano fino all’anno MCCXVI, Milano 1919.
MENANT 1993 = F. MENANT, Campagnes lombardes du moyen
âge. L’économie et la société rurales dans la région de
Bergame, de Crémone et de Brescia du Xe au XIIIe s.,
Roma 1993.
MEYER 2000 = A. MEYER, Felix et inclitus notarius, Studien
zum italienischen Notariat vom 7. bis zum 13. Jahrhundert, Tübingen 2000 (Bibliothek des Deutschen historischen Institut in Rom, 92).
Pergamene milanesi = M. F. BARONI et alii (a cura di), Pergamene milanesi dei secoli XII-XIII, Milano 1984 ss.
POLONI 2009 = A. POLONI, Lucca nel Duecento. Uno studio
sul cambiamento sociale, Pisa 2009.
RCL = Regesto del Capitolo di Lucca, a cura di P. Guidi, O.
Parenti, 3 voll., Roma 1910-1933.
RICCI 2009 = M. RICCI, La bottega delle olle acquarie in età
federiciana: dalla dipinta in rosso alla laziale, in E. DE
MINICIS (a cura di), Le ceramiche di Roma e del Lazio in
età medievale e moderna. Atti del VI Convegno di Studi
‘La ceramica dipinta in rosso. I contesti laziali a confronto
con altre realtà italiane’ (Segni, 6-7 maggio 2004), Roma
2009, pp. 42-46.
RS = Il Regesto Sublacense del secolo XI, a cura di L. Allodi, G. Levi, Roma 1885.
VENDITTELLI 2001 = M. VENDITTELLI, «In partibus Anglie».
Cittadini romani alla corte inglese nel Duecento: la vicenda di Pietro Saraceno, Roma 2001 (La corte dei papi,
7).
VIOLANTE 1953 = C. VIOLANTE, La società milanese nell’età
precomunale, Bari 1953.
VITTANI, MANARESI, SANTORO 1933-1969 = G. VITTANI, C.
MANARESI, C. SANTORO (a cura di), Gli atti privati milanesi e comaschi del secolo XI, I-IV, Milano 19331969.
WICKHAM 1988 = C. WICKHAM, The mountains and the city.
The Tuscan Appennines in the Early Middle Ages, Oxford 1988.
WICKHAM 2013 = C. WICKHAM, Roma medievale. Crisi e stabilità di una città, 900-1150, Roma 2013.
IL MONDO DEI MESTIERI A ROMA
Jean-Claude Maire Vigueur
Il popolo dei mestieri non esce realmente dall’oscurità, a Roma, che a partire dal momento in cui si
dispone, per studiarlo, dei registri notarili, a partire cioè
dalla metà del XIV secolo. Prima di questa data si assiste a frequenti, e spesso improvvise, apparizioni sulla
scena politica del cosiddetto popolo, un termine che definisce, nelle fonti dell’epoca, l’insieme della popolazione che si contrappone alla nobiltà, ma senza che sia
possibile, tranne rare eccezioni, d’intravedere qualcosa
delle sue attività professionali, del suo livello di ricchezza e delle sue condizioni di vita 1. Il quadro cronologico del mio intervento è quindi in parte condizionato
dallo stato della documentazione: tratterò di un periodo
relativamente breve che inizia alla metà del XIV secolo
e non va oltre il pontificato di Martino V (1417-1431).
Gli storici in genere concordano nel far risalire a questo pontificato l’inizio del processo che porterà, nel
corso del XV secolo, a delle significative trasformazioni
tanto nel campo dell’economia che in quello delle strutture della società romana. La fine del pontificato di Martino V coincide inoltre, più o meno, con la scomparsa
di quello che, fino a quel momento, era stato, almeno
a giudicare dai registri che ci sono pervenuti, il più attivo e il più ricercato tra i notai in attività a Roma in
quest’epoca. La morte, a più di ottant’anni, di Nardo
Venettini non ha evidentemente niente a che fare con i
grandi cambiamenti annunciati dal pontificato di Martino V, ma, per uno studioso che si è dedicato a lungo
ai suoi registri, la sua scomparsa può suonare come la
campana a morto di un’intera epoca 2.
A Roma, come ovunque, i notai sono ben lontani dal
fare luce allo stesso modo su tutti gli strati della popolazione. È ben noto che, in tutti i luoghi e in tutte le epoche, i notai preferiscono la compagnia dei ricchi a quella
dei poveri, e questo è d’altra parte inevitabile perché una
buona parte della loro attività consiste nel redigere degli atti che trattano di beni fondiari, di cui i ricchi sono
evidentemente molto più forniti che gli altri strati della
popolazione. Tuttavia anche le persone di condizione
più modesta non possono evitare, di tanto in tanto, di ricorrere ai servizi di un notaio. Non c’è da stupirsi quindi
se, nella Roma della fine del Medioevo, dove gli strati
popolari rappresentano tra i tre quarti e i nove decimi
della popolazione, la clientela di ogni notaio si compone, in una proporzione che varia molto da un notaio
all’altro, di personaggi appartenenti a quella categoria
della popolazione che chiamerò il popolo dei mestieri e
sulla quale verterà la maggior parte del mio intervento.
Definire i confini di questa categoria non presenta particolari problemi se ci si attiene a dei criteri puramente
professionali: essa comprende tutti coloro, uomini e
donne, che praticano un’attività manuale, sia nel campo
della vendita al dettaglio che in quella della produzione
d’oggetti d’artigianato. Ne sono evidentemente esclusi
i grandi proprietari fondiari e gli imprenditori agricoli,
i grandi mercanti e i banchieri-cambiavalute, gli uomini
di legge e i notai, anche se la posizione sociale di alcuni
1
Per il periodo anteriore al 1150, Ch. Wickham non ha potuto far altro, per analizzare il grado di sviluppo e di complessità dell’economia romana, che appoggiarsi alle citazioni di
artigiani e commercianti nei documenti conservati nei fondi archivistici delle chiese. Queste citazioni possono certamente dare
un’idea dell’economia romana di quest’epoca ma non permettono di rispondere alle domande che mi pongo in questo articolo,
anche se è vero, come sottolinea giustamente lo stesso Wickham,
che i notai di XI e XII secolo hanno l’abitudine di menzionare
la professione dei testimoni degli atti rogati molto più frequentemente dei loro colleghi del XIV e XV secolo. Cfr. WICKHAM
2013, pp. 172-206.
2
Per i riferimenti archivistici dei notai citati in questo articolo
cfr. LORI SANFILIPPO 2007, pp. 143-148.
440
JEAN-CLAUDE MAIRE VIGUEUR
notai appare molto più vicina, a ben guardare, a quella
del popolo dei mestieri che a quella delle classi più
elevate. Pur così delimitata, la categoria del popolo dei
mestieri è ben lontana da essere omogenea. Quel che
colpisce è anzi la sua grande eterogeneità, che mi propongo di analizzare, nella prima parte del mio studio,
sulla base di tre criteri assai semplici ma tuttavia capaci
di mettere in luce qualcuna delle differenze più significative tra i principali gruppi professionali: analizzerò innanzitutto il numero delle persone che li compongono,
e quindi il loro peso numerico nell’economia urbana, la
loro distribuzione nello spazio urbano, che si collega al
loro grado di concentrazione o dispersione topografica,
e infine il tipo di organizzazione di cui si sono dotati.
Queste differenze sono evidentemente in rapporto con
il livello di ricchezza al quale possono aspirare i membri delle diverse professioni e hanno una incidenza diretta sulla possibilità di migliorare la loro posizione
sociale. Queste differenze non sono tuttavia tali, e questo sarà il secondo punto della mia trattazione, da mettere in discussione la coesione, all’interno di ciascuna di
queste professioni, di un vasto gruppo di artigiani e di
commercianti, che beneficiano tutti di una certa agiatezza, anche se di un livello solitamente modesto, partecipano tutti di un medesimo stile di vita e restano
legati al loro ambiente di origine anche quando riescono a raggiungere un livello di ricchezza paragonabile
a quello delle classi più elevate. Si tratta, ben inteso, di
una condizione privilegiata che riguarda, in ciascuna categoria professionale, solo un numero limitato di artigiani e commercianti che svolgono il ruolo di piccoli
imprenditori. Ma quale è la condizione di tutti gli altri,
di tutti quelli che lavorano come salariati agli ordini di
un padrone al quale offrono il loro servizio per un periodo o per un lavoro specifico, come avviene in settori
interi dell’economia romana come ad esempio i trasporti o lo sfruttamento dei grandi possedimenti fondiari? I notai sono piuttosto avari di informazioni sul
loro conto, e dunque noi non sappiamo granché delle
loro condizioni di vita. Il solo punto che emerge con una
certa chiarezza dai registri notarili è la necessità in cui
si trova un buon numero di essi di far ricorso con una
certa regolarità al credito, il che non vuol però necessariamente dire, come si vedrà nella terza parte della mia
esposizione, che essi vivano in uno stato di totale precarietà.
SELLA 1965.
4
LORI SANFILIPPO 2001. La maggior parte dei dati che utilizzerò
3
I mestieri a Roma: uno sguardo d’insieme
Sommando tutti i termini utilizzati dai notai per indicare la professione dei loro clienti o dei testimoni degli
atti, si arriva a un totale di un centinaio di nomi di mestieri. Una decina di questi termini non figurano né nel
Ducange né nel Sella 3, e confesso che non ho nessuna
idea di quale tipo di attività si nasconda sotto questi nomi
misteriosi. Gli altri novanta mestieri non impegnavano
evidentemente tutti lo stesso numero di lavoratori. Il mio
primo obiettivo, nelle pagine che seguono, sarà quindi
quello di valutare il numero delle persone che lo praticavano. Per diversi motivi, ma innanzitutto per lo stato
estremamente lacunoso della documentazione notarile
pervenutaci, per molte di queste professioni si tratta di
una operazione assai aleatoria e i cui risultati potranno
essere rimessi in discussione dall’analisi di fonti che finora non ho potuto consultare. Per il momento non ho
nulla di meglio da offrire al lettore, che quindi si dovrà
accontentare. Non mi attarderò a giustificare la scelta
che ho fatto di raggruppare in sette grandi settori di attività la quasi totalità dei mestieri menzionati nei registri, se non per dire che mi è sembrato un sistema di
classificazione molto più adatto alle caratteristiche del
sistema economico romano della griglia fornita dal sistema delle corporazioni, se non altro perché queste ultime lasciano da parte interi settori dell’economia.
Preciso infine che una buona parte degli elementi sui
quali mi baso per tentare di valutare gli effettivi dei differenti mestieri figurano già nel saggio sulle corporazioni romane di I. Sanfilippo, che fornisce inoltre per
ciascuna di esse una gran quantità di informazioni preziose, ma che non ho potuto prendere in considerazione
qui per non perdere di vista il mio obiettivo principale 4.
Sempre per le stesse esigenze di chiarezza e di efficacia, e anche in considerazione dello spazio a disposizione, esporrò i dati ottenuti su ciascuno dei sette gruppi
di mestieri in modo schematico, per non dire telegrafico, riservandomi di essere più discorsivo al momento
di trarre le conclusioni.
La produzione tessile
La produzione delle stoffe di lana è senza dubbio,
di tutte le attività manifatturiere romane, l’unica che
esporti parte della sua produzione fuori Roma. Niente
a che vedere, naturalmente, con la grande industria lain questo articolo sono già presenti nel libro della Lori Sanfilippo,
il che non deve stupire in quanto abbiamo lavorato a partire dai medesimi registri notarili.
IL MONDO DEI MESTIERI A ROMA
niera fiorentina che esporta i suoi tessuti di lusso in tutto
l’Occidente e anche oltre. Dalle botteghe romane escono
solo delle stoffe di qualità mediocre che non trovano
mercato, fuori Roma, che nei villaggi del Lazio e forse
in Abruzzo. La produzione del lino non era certamente
sconosciuta ai Romani, che riservavano alcuni dei loro
possedimenti destinati a cultura intensiva alla coltivazione di questa pianta, ma non sappiamo nulla né sullo
svolgimento delle operazioni che compongono il ciclo
produttivo dei tessuti di lino né sulla manodopera incaricata di svolgerle. Sarebbe strano che a Roma si
ignorasse la produzione del cotone, ma ho trovato nei
registri notarili una sola menzione di un bombaciarius
(lavoratore del cotone) e quindi non posso dirne nulla.
L’industria della lana, o almeno le botteghe dei maestri
lanaioli, sembra essere stata fortemente concentrata in
due rioni della città, S. Eustachio e Pigna 5. Una ventina di imprenditori lanaioli sono infatti menzionati nel
solo registro che ci è pervenuto di un importante notaio
del rione S. Eustachio, Staglia, mentre la menzione di
lanarolus è molto meno frequente nelle minute degli altri
notai, ad eccezione di quelle dei Serromani, una famiglia di notai installata nel rione Pigna. Una disposizione
statutaria del 1425/6 parla di 47 mercanti lanaioli chiamati a votare sull’opportunità di modificare alcuni statuti della loro arte, il che lascia supporre a Roma non
ci fossero in quest’epoca più di una cinquantina di capomastri lanaioli 6. Il problema è che la produzione dei
tessuti di lana comprende, lo sappiamo bene, tutta una
serie di operazioni alcune delle quali, come la cardatura, la lavatura, la follatura, la tintura e la stiratura,
erano, in molte città, quasi tutte ‘esternalizzate’ e dunque affidate a degli artigiani indipendenti che disponevano di loro proprie installazioni situate spesso in
periferia o addirittura fuori dalle città. Accadeva lo
stesso anche a Roma? Penso di si, ma la mia convinzione si basa più sul volume degli acquisti di lana effettuati dai più importanti maestri lanaioli del rione S.
Eustachio che sulle rarissime apparizioni di questi artigiani ultra specializzati nei registri notarili. Se le cose
stanno così, dobbiamo ammettere che l’industria della
lana doveva impiegare un centinaio almeno di artigiani
indipendenti, ai quali bisogna aggiungere la cinquantina di maestri lanaioli e un numero certamente molto
più alto di salariati che lavoravano nelle loro botteghe.
La più antica versione degli statuti dell’ars lanarolorum che ci è giunta risale al 1327. Tutti i mestieri che
5
6
Ibidem, p. 150.
Ibidem, p. 151.
441
concorrono alla produzione dei tessuti di lana rientrano
comunque sotto la giurisdizione dei consoli dell’Arte,
eletti dai soli maestri lanaioli, che sono anche i soli membri di pieno diritto dell’Arte. Nulla negli statuti impedisce agli artigiani autonomi e specializzati in una o
nell’altra delle fasi del processo di fabbricazione delle
stoffe di dotarsi di una propria organizzazione, ma sembra che solo i fulloni e i tintori abbiano dato vita a due
associazioni professionali, che sono restate peraltro subordinate all’Arte dei maestri lanaioli.
La produzione e la lavorazione dei metalli
Sotto la penna dei notai, lo stesso termine – ferrarius – viene impiegato per indicare sia coloro che lavorano il minerale di ferro per ricavarne il metallo, sia
quelli che utilizzano il metallo uscito dalle fornaci per
fabbricare oggetti e utensili di ogni tipo. I registri notarili attestano l’esistenza di un gran numero di ferriere
quasi tutte localizzate nella pianura a est di Roma, nella
zona dei Castelli, oppure nel territorio di città e villaggi
come Tivoli, Palestrina e Ninfa. Esse appartengono a
degli enti religiosi, tra i quali compare in prima fila il
monastero di Grottaferrata, proprietario di vaste distese
di boschi e di corsi d’acqua, ma anche a dei ricchi romani, e sono di solito locate a degli imprenditori che
lavorano del minerale estratto sul posto o importato dall’isola d’Elba. Le officine sono sempre poste su dei corsi
d’acqua che producono l’energia motrice necessaria al
funzionamento delle ventole idrauliche e, se possibile,
non lontano dalle foreste dove operano i carbonarii che
riforniscono le fornaci di carbone di legna. All’interno
delle mura i notai attestano la presenza di fabbri in tutti
i quartieri della città, ma mostrano anche una loro forte
concentrazione nei rioni S. Angelo, Campitelli e Ripa.
È impossibile stabilirne con precisione il numero totale,
che tuttavia deve essere compreso tra i cento e i centocinquanta. Nessuno di essi sembra aver avuto i mezzi
per lanciarsi nella conduzione di un altoforno e di assicurarsi così il controllo dell’approvvigionamento del
ferro per la sua bottega. Si può concludere che la professione non consentiva l’accumulo di grandi ricchezze,
il che è ampiamente confermato da quel che sappiamo
del patrimonio dei fabbri, che raramente possedevano
più di qualche vigna e di una o due case.
L’esistenza di un’arte dei ferrarii è attestata per la
prima volta da un atto del notaio Capogalli nel 1378 7.
7
Un notaio romano del Trecento 1994, n. 213, pp. 164-165 (=
Notaio Francesco di Stefano Capogalli).
442
JEAN-CLAUDE MAIRE VIGUEUR
È molto probabile che, insieme ai fabbri, l’ars ferrariorum riunisse tutti i mestieri specializzati nella lavorazione anche degli altri metalli, oltre al ferro, o nella
fabbricazione di tipi particolari di oggetti metallici.
Questi mestieri erano in quest’epoca così numerosi
come saranno in epoca moderna, quando gli statuti del
1690 rivelano l’esistenza, all’interno dell’arte e insieme
ai fabbri, di tredici altre associazioni di mestiere? 8 È
lecito dubitarne, ma si avrebbe torto di considerare
come trascurabili le rare attestazioni di fabbricanti di
corazze, spade, lance, elmi, dardi o calderoni che si incontrano nei registri notarili: ciascuna di queste professioni non avrà, senza dubbio, contato che un numero
molto limitato di officine, ma sommandole tutte dobbiamo rivalutare in modo sostanziale il numero degli
effettivi dell’ars ferrariorum.
I mestieri del cuoio e dell’abbigliamento
Riunisco sotto questo titolo un gruppo di mestieri
ben distinti tra di loro, ma di cui solo i due più importanti, almeno per numero di membri, dispongono di una
loro specifica corporazione: i calzolai e i sarti, che sono
chiamati a Roma con il termine sutores. Gli altri mestieri sono specializzati in una o nell’altra delle fasi di
lavorazione della pelle: si tratta dei vaccinarii, che sono
insieme cuoiai e conciatori, dei pellarii, di cui non si
conosce l’esatta natura delle lavorazioni che effettuavano sulle pelli, e infine dei pelliparii o pellicciai. Ciascuno di queste tre professioni non conta che qualche
decina di botteghe. Mentre un buon numero di vaccinarii e di pellarii si concentrano nel rione Arenula, non
lontano dal Tevere dove sono localizzate le vasche necessarie per la pulizia e la conciatura delle pelli, i pellicciai sembrano mostrare una leggera preferenza per il
rione Pigna, almeno a giudicare dalla frequenza con cui
appaiono nei registri dei notai che operano in questo
rione, come Staglia e i Serromani 9. Calzolai e sarti si
ritrovano invece in tutti i quartieri della città, e questa
dispersione nello spazio urbano, insieme al fatto che non
si conoscono che pochi esempi di calzolai e sarti che si
siano arricchiti con l’esercizio della loro professione,
fa ritenere che per lo più si contentassero di lavorare
per una clientela di vicinato che non offriva loro l’occasione di fare grandi profitti. Sembra tuttavia che la
situazione di un certo numero di sarti sia migliorata considerevolmente, a partire dalla fine del XIV secolo, gra-
8
9
LORI SANFILIPPO 2001, p. 223.
Ibidem, pp. 300-301.
zie al ritorno a Roma della Curia e, quindi, alla presenza in città di una clientela particolarmente esigente
riguardo al lusso nel vestire.
Quanti potevano essere i sarti e i calzolai nella Roma
della fine del Medioevo? Come per la maggior parte
delle professioni, non si dispone di nessuna cifra precisa, ma a giudicare dal numero di calsolarii e sutores
di cui fanno menzione i registri notarili, non sarei stupito se ciascuno di questi due mestieri contasse tra i centocinquanta e i duecento piccoli imprenditori. Questi
numeri non potevano non riflettersi su quelli delle loro
due corporazioni, che dovevano pertanto rientrare nel
gruppo di testa delle corporazioni romane, insieme agli
imprenditori agricoli (bobacterii) e ai macellai, anche
se erano evidentemente ben lontani dall’avere la stessa
importanza economica. I registri menzionano talvolta
l’esistenza di sarti specializzati nella realizzazione di
questo o quell’altro indumento, come i farsetti e i pantaloni. Facevano parte anch’essi dell’Ars dei sarti? È più
che probabile, ma in assenza degli statuti e di ogni altra
fonte in grado di dare informazioni sulle arti dei sarti e
dei calzolai, è impossibile dire di più.
I mestieri del costruire
Come abbiamo visto per le professioni relative all’abbigliamento, tutte le attività connesse con quella che
oggi chiameremo l’industria dell’edilizia appartengono
a due corporazioni nettamente distinte: da un lato l’arte
dei marmorari, dall’altro quella dei muratori e dei carpentieri. Come indica il nome stesso, i primi sono specializzati nella lavorazione di una materia prima assai
costosa e dalla quale ricavano dei prodotti destinati sia
a essere venduti sia a essere utilizzati dagli stessi marmorari per decorare o ornare edifici sia laici che religiosi. I marmorari non possiedono tutti lo stesso grado
di qualificazione. La maggior parte di essi esegue un
lavoro che si avvicina a quello di uno scalpellino, ma
con delle particolarità per quanto riguarda la qualità e
la provenienza del materiale utilizzato: questo materiale
proviene essenzialmente dai monumenti antichi, che
era necessario sfruttare con oculatezza, sia per non essere colpiti dalle sanzioni delle autorità comunali 10, sia
per sfruttare al meglio le risorse disponibili, che non
erano inesauribili. Il marmorario utilizza il materiale che
ha personalmente recuperato per realizzare dei prodotti
in marmo di varie forme e dimensioni che serviranno
10
Archivio storico dell’Accademia di San Luca, Statuti, 1, 18v19r e LORI SANFILIPPO 2001, p. 232.
IL MONDO DEI MESTIERI A ROMA
per la costruzione, e specialmente per la decorazione di
edifici di diverso tipo. Molti di questi pezzi sono decorati con motivi ornamentali la cui esecuzione richiede
capacità che si avvicinano più a quelle di uno scultore
che a quelle di un semplice scalpellino. È il caso dei
pezzi più decorati e più preziosi come per esempio i capitelli, le balaustre, le lapidi funerarie, le lastre di marmo
decorate di motivi vegetali o animali, i pulpiti, gli amboni e tanti altri pezzi che fanno parte dell’arredo liturgico delle chiese. Si può obiettare che la domanda,
in questo settore dell’attività economica, deve aver subìto un forte calo nel XIV secolo a causa dell’allontanamento della corte pontificia e in conseguenza del
Grande Scisma che ha pesantemente colpito le risorse
del clero. Questo è senza dubbio vero per quel che riguarda le chiese, ma molto meno se si considera la domanda che proviene dai laici, che sembrano al contrario
assai desiderosi, a seconda delle loro capacità, di ingrandire le proprie case e di abbellirle con un impiego
massiccio dei materiali più preziosi, a cominciare dal
marmo. Se le cose stanno così, se ne deve concludere
che l’arte dei marmorari, lungi dall’essere riservata a
quella manciata di artisti ai quali si può attribuire la paternità di questa o quell’altra delle opere d’arte conservate nelle chiese romane, doveva riunire almeno qualche
decina di piccoli artigiani, dei quali, ovviamente, solo
qualcuno può essere considerato un vero artista.
Molto diversa è la situazione per quanto riguarda i
numeri dell’arte dei muratori e dei carpentieri. Innanzitutto perché le citazioni di muratores sono infinitamente più numerose nei registri notarili di quelle dei
marmorarii, e inoltre perché la corporazione riunisce,
oltre ai muratori e ai carpentieri, anche altri mestieri sottoposti alla giurisdizione esclusiva dei consoli dell’arte.
Si tratta dei calcarari, dei cavatori e mercanti di pozzolana oltre che dei produttori di laterizi. Come già nel
caso dei marmorari, anche la localizzazione di questi
mestieri non sembra obbedire ad alcuna regola particolare, e li si trova dispersi ai quattro angoli della città,
ed anche, nel caso dei calcarari e dei cavatori di pozzolana, della campagna circostante, che pullula di siti
adatti alla produzione della calce e della sabbia. Gli statuti della corporazione, che risalgono al 1397, non offrono nessuna indicazione sul numero degli iscritti, e
quindi bisogna ancora contentarsi di una stima grossolana fondata esclusivamente sull’occorrenza di questi
11
12
MODIGLIANI 1998, pp. 29-55.
MAIRE VIGUEUR 2010, pp. 127-147.
443
differenti mestieri nei registri notarili: con un centinaio
di attestazioni, i muratori costituiscono senza dubbio la
metà degli effettivi dell’ars, ai quali si devono aggiungere una cinquantina di carpentieri e un numero più o
meno equivalente di artigiani specializzati nella produzione della calce, della sabbia e dei laterizi, che porta
a un totale di circa duecento artigiani per i mestieri relativi all’ars muratorum. Notiamo per inciso che, a giudicare da quel poco che sappiamo dei loro patrimoni,
nessuno di questi artigiani sembra essersi veramente arricchito con l’esercizio della sua professione.
Il commercio al dettaglio
Non c’è bisogno di osservare che gli artigiani di
cui parliamo commercializzavano essi stessi una parte
più o meno importante della loro produzione. Come
è ancora oggi usuale in molte delle società tradizionali, ogni bottega svolgeva anche la funzione di negozio e ciascuno era libero di acquistare sul posto gli
articoli prodotti. A Roma esisteva per gli artigiani
anche un’altra opportunità per vendere i propri prodotti. Tutti i sabati si teneva alle pendici del Campidoglio un immenso mercato aperto a tutti gli artigiani
della città, che erano obbligati, in quel giorno, a tenere chiuse le proprie botteghe, in modo da offrire ai
romani la più grande scelta possibile di prodotti di artigianato. Più che di un mercato, si trattava di una vera
e propria fiera, dalla quale erano escluse le derrate alimentari 11. Per queste esistevano altri circuiti di commercializzazione, che cominceremo ad esaminare
prima di passare a tre commerci che sembrano anch’essi essere stati esclusi dal mercato del sabato: i
gioiellieri, i droghieri e i merciai.
Di tutti i mercanti di generi alimentari, quelli di gran
lunga meglio conosciuti sono i pescivendoli e i macellai, che figurano in gran numero tra la clientela dei due
notai che hanno lasciato le più belle serie di atti giunte
fino a noi. Venettini operava nel rione Monti, a due passi
dal mercato in cui si concentrava la maggior parte dei
banchi e delle botteghe dei macellai della città, mentre
la bottega o il portico dove i due Scambi, padre e figlio, avevano l’abitudine di operare, si aprivano direttamente sul grande mercato del pesce di S. Angelo in
Pescheria. Grazie a Venettini e ai due Scambi noi disponiamo per queste due professioni di una massa di
informazioni senza paragoni rispetto a quelle relative
agli altri mestieri, e io ne ho fatto largamente uso in alcuni dei miei precedenti lavori su Roma 12. Ecco quel
che possiamo trarne riguardo ai tre criteri che ci sono
ormai divenuti familiari:
444
JEAN-CLAUDE MAIRE VIGUEUR
Per quanto possa sembrare strano, considerando
l’importanza relativa di queste due professioni nella società contemporanea, i mugnai sembrano essere stati a
Roma nettamente più numerosi dei fornai. Questi ultimi fanno solo delle sporadiche apparizioni nei registri
notarili e la prima attestazione della loro ars non è anteriore al 1425 14. Sappiamo invece che all’interno di
Roma i mulini pullulavano sulle due rive del Tevere,
mentre, al di fuori delle mura, altri mulini utilizzavano
la forza motrice dei numerosi corsi d’acqua, o marrane,
che solcavano la Campagna romana. A seconda che lavorassero nei mulini galleggianti sul Tevere o nei mulini terrestri della Campagna romana, i mugnai facevano
parte di due corporazioni diverse, e i membri della
prima dovevano essere molto più numerosi di quelli della
seconda. Tenendo conto di questo squilibrio, e sapendo
che la corporazione dei mugnai ‘di terra’ comprendeva,
nel 1408, una decina di membri 15, si può stimare che
gli effettivi totali della professione superasse largamente
le cinquanta unità. Se il numero dei fornai è veramente
così basso come suggerisce la rarità delle loro attestazioni nei registri notarili, questo vuol dire che i Romani
hanno mantenuto a lungo l’abitudine di prepararsi e cuo-
cersi da sé il pane, cosa che non stupisce quando si sa
che esistevano, in ogni quartiere, un gran numero di forni
accessibili a tutti gli abitanti del vicinato 16. Questa situazione non poteva che trasformarsi molto rapidamente
nel corso del XV secolo a causa dello sviluppo della
burocrazia pontificia e dell’afflusso di stranieri in una
Roma divenuta la capitale di un grande Stato regionale,
e non c’è quindi da stupirsi nell’assistere, nei primi decenni del XV secolo, a una moltiplicazione del numero
dei forni, spesso gestiti da tedeschi, così come alla creazione di un’ars fornariorum et panacteriorum. Nulla ci
indica tuttavia che questi nuovi venuti abbiano avuto la
tendenza a concentrarsi in quei quartieri che accoglievano la maggior parte dei membri della curia e gli uomini d’affari gravitanti intorno al papato, come Ponte
e Parione, e si può escludere che questa professione
abbia conosciuto delle forme di concentrazione topografica, cosa che la distingue dai mugnai, obbligati ad
installarsi lungo il corso del Tevere e degli altri corsi
d’acqua che potevano fornire la forza motrice in grado
di far funzionare i loro mulini.
Visti attraverso la lente dei registri notarili, gli orefici, i droghieri e i merciai presentano un certo numero
di tratti in comune, che senza dubbio superavano, agli
occhi dei contemporanei, quelle che erano le particolarità di ciascuna delle tre professioni che, ovviamente,
fabbricavano e vendevano prodotti o merci ben diverse.
È probabile per esempio che gli orefici fabbricassero
da sé la maggior parte, o forse la totalità, dei gioielli e
degli altri oggetti, più o meno preziosi, che vendevano,
mentre i droghieri e i merciai non producevano, nelle
proprie botteghe, che una parte molto più limitata della
vasta gamma di merci che mettevano in vendita. Per
quanto mi riguarda preferisco usare il termine ‘droghiere’ piuttosto che ‘speziale’ per designare coloro che
i nostri notai chiamano ‘spetiarii’, poiché essi svolgevano la funzione di droghieri e venditori di chincaglierie tanto quanto quella di speziali e farmacisti che
producevano le proprie medicine 17. Più difficile è farsi
un’idea precisa di quel che poteva offrire la bottega di
un merciaio romano, anche se è chiaro che vi si trovavano molte più cose degli articoli per signora esposti
nelle vetrine delle mercerie dei tempi delle nostre nonne
e delle nostre bisnonne. Il merciarius forniva in effetti
ai suoi clienti non solamente tutta una serie di prodotti
13
A Piazza Giudea nel rione S. Angelo: cfr. MAIRE VIGUEUR 2010,
p. 129.
14
LORI SANFILIPPO 2001, p. 333.
15
MAIRE VIGUEUR 2010, p. 150.
16
BROISE, MAIRE VIGUEUR 1983, p. 123; LORI SANFILIPPO 2001,
p. 334.
17
Sulla varietà dei prodotti fabbricati e venduti dagli spetiarii,
cfr. AIT 1996, pp. 38-42, 85-94.
- numero: tra quaranta e cinquanta pescivendoli nel
mercato di S. Angelo, tra i cento e i centocinquanta
macellai in tutta la città;
- distribuzione nello spazio urbano: grande concentrazione nel solo mercato di S. Angelo per i pescivendoli, presenza di numerosi mercati per la carne,
dei quali almeno due specializzati nella carne di bufalo (presso la chiesa di S. Cecilia, nel rione Trastevere) e nella carne kosher 13, ma con una netta
prevalenza del mercato di Arcanoè, installatosi tra
i resti del foro di Nerva, dove si raccoglie la maggior parte dei macellai della città e da cui provengono alcuni dei migliori clienti di Venettini;
- Artes: ciascuna delle due professioni possiede la sua
propria corporazione, ma sembra che l’ars pescivendolorum comprendesse solo i pescivendoli del
mercato di S. Angelo, mentre quella dei macellai
comprendesse anche dei mestieri dagli effettivi
molto più limitati e specializzati nella vendita di
derrate particolari, come per esempio i mercanti del
lardo.
IL MONDO DEI MESTIERI A ROMA
per l’abbigliamento personale, come le cinture, le borse
e ogni tipo di copricapo, ma anche le selle, i finimenti
e tutto quello che serviva per l’equipaggiamento delle
cavalcature. L’esistenza di una ars dei merciai è attestata dall’inizio del XIV secolo, mentre bisogna aspettare il 1406 per trovare la prima attestazione di una
corporazione degli spetiarii e il 1432 per quella degli
orefici. Nel 1317 il vicario del re Roberto d’Angiò, titolare dal 1313 della carica di senatore, conferma quella
che è, senza dubbio, la prima redazione degli statuti dell’arte dei merciai. Il testo si conserva ancora oggi in un
registro che contiene anche i testi di altre rubriche, approvate nel 1375, insieme con due liste di membri dell’arte, datate tutte e due allo stesso anno 1375, e che
presentano poche differenze tra di loro, poiché 36 dei
38 nomi che figurano nella prima di queste liste si ritrovano anche nella seconda, che ne contiene 42 18. Tenendo conto degli assenti, sempre assai numerosi in
questo genere di liste, si può stimare che il numero dei
merciai attivi a Roma superasse largamente la cinquantina. A giudicare dal numero di orefici e spetiarii
che si trovano nei registri notarili, gli effettivi di queste due professioni non dovevano essere molto inferiori
a quello dei merciai, ciascuna di esse comprendente
quindi un numero di botteghe compreso tra le quaranta
e le cinquanta. L’unica di queste tre arti che sembra avere
un alto livello di concentrazione topografica è quella
degli orefici, che mostrano una netta preferenza per i
dintorni della chiesa di S. Lorenzo in Damaso, situata
in prossimità di una strada, la via Mercatoria, percorsa,
nelle grandi occasioni, da un flusso continuo di pellegrini provenienti da S. Pietro. Per quanto riguarda gli
spetiarii, si può certamente osservare una maggiore
densità delle loro botteghe in prossimità delle tre principali aree commerciali della città, nei pressi di S. Maria
sopra Minerva, di S. Angelo e a Campo de’ Fiori, ma
senza che questo comporti la loro scomparsa nel resto
dello spazio urbano, dove i notai attestano regolarmente
la loro presenza. In una delle due liste del 1375, che registra il rione di residenza di 38 merciai iscritti all’arte,
dieci di essi esercitavano la loro professione nel rione
Monti e otto nel rione Ponte, due quartieri molto distanti
l’uno dall’altro, mentre il resto dei merciai è ripartito
uniformemente negli altri quartieri, con la sola eccezione
dei rioni Trevi e Campo Marzio, dove ne è attestato uno
Statuti delle arti 1885, pp. 000-000.
Ibidem, p. 00.
20
MAIRE VIGUEUR 2010, pp. 147-151.
solo 19. Queste tre professioni permettono a una buona
parte di coloro che le esercitano, a condizione, come
sempre, di essere proprietari delle proprie botteghe e dei
propri strumenti di lavoro, di raggiungere un’agiatezza
che li pone un po’ al di sopra del livello medio degli
artigiani e dei commercianti. Diversa è la situazione se
si prende in considerazione, per ciascuno di questi tre
mestieri, il numero di coloro che si sono realmente arricchiti, arrivando a possedere, alla fine della loro vita,
un patrimonio di un valore dieci volte superiore a quello
posseduto all’inizio della carriera: si può vedere allora
che è la professione del droghiere a offrire le migliori
possibilità di arricchimento, seguita dalla oreficeria,
mentre la merceria si trova in posizione molto più distante 20.
I servizi
La parola servizi può evidentemente fare riferimento
a realtà ben diverse. Gli storici del Medioevo parlano
frequentemente di servizi sociali per riferirsi a quelle
istituzioni che forniscono aiuto alle classi più povere
della popolazione. Io utilizzerò qui questo termine per
riunire sotto una stessa rubrica un certo numero di professioni che non hanno a che fare né con l’artigianato
né con il commercio, nel vero senso della parola, e sulle
quali noi siamo per lo più assai male informati. È questo il caso dei lavori specializzati nell’igiene e nella cura
del corpo: barbieri, medici e chirurghi compaiono molto
raramente nei registri notarili, e per lo più come testimoni piuttosto che come attori di un qualche negozio
giuridico. Aggiungendo che i barbieri sembrano essere
stati esclusi dal sistema delle corporazioni, e che non
si sono conservati, per la nostra epoca, gli statuti del
collegio dei medici, la cui prima attestazione non è anteriore al 1425 21, si comprenderà come sia impossibile
avanzare ipotesi sul numero e la distribuzione topografica dei barbieri e dei medici che esercitavano la loro
professione nella Roma del XIV e XV secolo. Quello
che è certo, e che non sorprenderà nessuno, è che i medici occupavano nella scala sociale una posizione infinitamente superiore a quella dei barbieri, come si evince
tanto dalle dimensioni del loro patrimonio quanto dal
livello delle loro relazioni sociali 22.
Altre professioni molto mal conosciute sono quelle
degli albergatori e dei tavernieri. Benché i due mestieri
18
19
445
21
22
LORI SANFILIPPO 2001, p. 417.
Ibidem, pp. 422-423.
446
JEAN-CLAUDE MAIRE VIGUEUR
offrissero in pratica gli stessi servizi, poiché gli albergatori servivano del vino ai propri clienti e i tavernieri
tenessero dei letti a loro disposizione, ognuna possedeva
una sua corporazione, attestata per la prima volta nel
1376 23 per i tavernieri, più tardi per gli albergatori. Per
il resto, per quanto possa sembrare strano per una città
che accoglieva ogni anno folle di pellegrini e visitatori,
non abbiamo nessun dato per poter valutare il numero
e la localizzazione nello spazio urbano delle strutture
in grado di offrire vitto e alloggio a questa massa di turisti ante litteram. Quel che si può dire è che il loro numero subì un forte aumento a partire dalla fine del XIV
secolo e che un certo numero di loro cominciò allora a
concentrarsi attorno a Campo de’ Fiori. I registri sono
avari di informazioni per quanto riguarda i redditi e la
condizione sociale dei membri di queste due professioni.
Escono dall’ombra solo due o tre albergatori e tavernieri che, dopo essersi arricchiti con l’esercizio del loro
mestiere, si impegnarono a diversificare i propri investimenti 24.
In definitiva, l’unica branca dei servizi sulla quale
le nostre fonti permettono di fare un po’ di luce è quella
dei trasporti, almeno per quanto riguarda i trasporti terrestri perché, a mia conoscenza, non si fa mai riferimento, nei registri notarili, ai trasporti per via d’acqua,
sia effettuati da navi d’alto mare in grado di navigare
fino a Roma sia da barche o chiatte che risalivano il Tevere anche per lunghe distanze, sia pure con frequenti
trasbordi. Asinai, mulattieri, carrettieri e vetturini costituiscono un mondo variegato la cui gerarchia interna
è determinata dal numero e dalla natura degli animali
di cui dispongono questi specialisti del trasporto delle
merci. È fuor di dubbio che il primo posto spetta ai bubolarii, i soli che sono in grado, grazie ai loro possenti
attacchi di bufali, di trasportare le merci più pesanti,
come i blocchi di marmo o altri pezzi provenienti dai
monumenti antichi o i pesanti carichi di legname da costruzione. Vengono poi i carrettieri, i cui veicoli a due
ruote sono trainati da una o due paia di buoi. Gli effettivi di queste due categorie di trasportatori, considerate
insieme, a mio avviso non potevano superare di molto
la cinquantina di persone, tutte proprietarie dei loro animali e dei loro veicoli. Chiude il corteo, se così si può
dire, la lunga teoria dei conduttori di animali da basto,
principalmente asini e muli, infinitamente più numerosi
delle due precedenti categorie di trasportatori e che ga-
rantivano la maggior parte dei trasporti sia all’interno
della città che tra la città e la sua duplice cintura delle
particelle di coltura intensiva e delle grandi proprietà.
Quanti sono a praticare questo mestiere? Certamente non
meno di due o trecento, ma il loro numero poteva variare grandemente nel corso dell’anno ed è probabile
che solo una piccola parte lo svolgesse continuativamente e a tempo pieno. Nessuna di queste differenti categorie di trasportatori sembra aver mai avuto una
corporazione. La loro presenza è attestata in tutti i quartieri della città, senza che sia possibile vedere nessuna
forma di concentrazione topografica. Sembra infine, a
giudicare dai rari testamenti di casengi di cui disponiamo, che fare il trasportatore non sia mai stato il
modo migliore per fare fortuna.
Ibidem, p. 379.
MAIRE VIGUEUR 2010, pp. 149-150.
25
MAIRE VIGUEUR 1974a; MAIRE VIGUEUR 1974b, pp. 63-136;
MAIRE VIGUEUR 1976, pp. 4-26; MAIRE VIGUEUR 1984, pp. 213-224;
MAIRE VIGUEUR 2010, pp. 73-115.
26
MAIRE VIGUEUR 2010, p. 46.
23
24
Il lavoro della terra
L’ho già detto, scritto e ripetuto in tutti i modi: il
principale settore dell’economia romana, quello che
produceva le maggiori ricchezze e impiegava il maggior numero di persone, era il lavoro della terra 25. Innanzitutto la terra dei casali, queste grandi proprietà che
coprivano la quasi totalità dei 2000 km2 della Campagna romana, ma anche quella delle particelle recintate
a cultura intensiva che si stendono, sia all’interno che
all’esterno delle mura, per una superficie di parecchie
migliaia di ettari. In passato ho avuto la tendenza a sottovalutare l’importanza economica di queste particelle
per il fatto che le loro produzioni, rivolte principalmente
all’autoconsumo, non entravano nel circuito dell’economia mercantile, ciò che mi ha portato, ora me ne rendo
conto, a trascurare interi settori dell’economia romana
e a non comprendere l’originalità di un sistema economico che evidentemente non funzionava secondo le regole delle nostre economie contemporanee.
Comincerò quindi trattando delle particelle recintate.
Un contemporaneo ne stimava il numero in più di ventimila 26. In effetti, come si vedrà subito, questo tipo di
proprietà era accessibile alla maggior parte dei romani,
compresa la grande massa del popolo dei mestieri, ovviamente quelli che erano proprietari delle loro case e
dei loro strumenti di lavoro. Queste particelle, anche se
erano quasi sempre di piccole o piccolissime dimensioni,
richiedevano tuttavia delle lavorazioni intensive a causa
delle culture che vi erano praticate: tutte erano piantate
IL MONDO DEI MESTIERI A ROMA
447
a vigna e a frutteto, e vi si coltivavano degli ortaggi tra
i filari. Esisteva certamente a Roma una manodopera
specializzata nella coltivazione di queste particelle;
composta di salariati un po’ vignaioli e un po’ ortolani,
questa manodopera lavorava principalmente per le
chiese e le famiglie ricche che erano proprietarie di parecchie particelle e non disponevano sempre tra i propri salariati di personale specializzato per questo tipo
di lavoro. È raro che l’assunzione di questi specialisti
nella coltivazione di culture delicate, generalmente per
un tempo limitato, sia formalizzata con un contratto stipulato davanti a un notaio, e non si ha quindi l’occasione di incontrarli spesso nei registri notarili. A fianco
di queste figure un po’ ibride di vignaioli-ortolani, esiste un’altra categoria di lavoratori specializzati nelle sole
colture orticole che essi praticano su delle particelle
molto raggruppate e fornite di un sistema di irrigazione
collettivo. È a questa sola categoria di lavoratori che i
notai riservano il nome di ortolanus, mentre parlano piuttosto di potator per definire l’altra categoria di lavoratori, specializzati nella coltivazione delle ‘vigne’, nome
che si dava a Roma alle particelle recintate a coltura intensiva. Ognuna di queste due categorie di lavoratori
possedeva la sua propria corporazione, ambedue attestate per la prima volta nel 1425 in un registro del notaio Pietro di Giacomo Capogalli 27. Corporazioni di cui
bisogna stare attenti a non sovrastimare il numero dei
componenti. Le terre consacrate esclusivamente alle
colture orticole erano di superficie molto limitata, e
qualche decina di ortolani certamente erano sufficienti
per la loro coltivazione. Per quanto riguarda le vigne,
esse erano per la gran parte coltivate dagli stessi proprietari, aiutati dai membri della loro famiglia e solo
occasionalmente da una manodopera retribuita a giornata. È dunque poco probabile che il numero dei potatores fosse molto superiore a quello degli ortolani.
Completamente diverso è il caso della manodopera
impiegata nei quattro o cinquecento casali della Campagna romana. Anche se l’allevamento, e specialmente
l’allevamento transumante degli ovini, conobbe un
grande sviluppo nell’epoca di cui stiamo trattando 28, il
personale necessario alla guardia delle greggi, alla tosatura degli ovini, alla mungitura delle vacche, delle bufale e delle pecore, così come alla produzione del
formaggio, si limitava senza dubbio a qualche centinaio
di persone obbligate a seguire le greggi nei loro spostamenti e dei quali una buona parte proveniva senza
dubbio dai villaggi del Lazio e dell’Abruzzo. Infinitamente più numerosa era la manodopera necessaria alla
coltivazione delle terre cerealicole. Esse coprivano una
superficie che non scese mai sotto i 20.000 ettari e ogni
terra destinata alla semina era sottoposta, durante gli
otto-nove mesi precedenti la semina, a sei successive
arature, il che obbligava l’imprenditore del casale ad
avere a disposizione gli animali da tiro necessari per un
attacco completo per ciascuna delle laboreria (unità di
coltivazione di 8 rubbi, cioè poco meno di ha 15) di cui
si componeva la sua proprietà. Tra l’inverno e l’autunno
centinaia e centinaia di contadini, giunti per lo più da
Roma, erano dunque portati a lavorare sulle terre della
Campagna romana, che vedeva inoltre affluire, per la
sarchiatura delle terre seminate, per la mietitura e per
la trebbiatura, una folla ancora più imponente di braccianti giunti dalle regioni del Lazio più vicine a Roma.
Chi erano questi lavoratori? Alcuni erano senza dubbio
assunti a tempo pieno da chi gestiva la proprietà, e poco
importa qui sapere se si trattava o no del proprietario
del casale, che ovviamente forniva loro gli animali da
tiro e tutto il materiale necessario alla coltivazione dei
loro campi. Come sempre nel caso dei salariati, è assai
raro che i registri notarili ne facciano menzione ma, tenendo conto della quantità di buoi posseduti dai grandi
imprenditori agricoli, anche se un certo numero poteva
essere affittato a dei lavoratori indipendenti a seguito
di un contratto di soccida o di stalgium 29, non si vede
come i proprietari dei casali, definiti dalle fonti con il
nome di bobacterii, potessero utilizzarli in altro modo
che assumendo per tutto l’anno o per la sola stagione
dei lavori agricoli, che copriva comunque almeno nove
mesi, dei lavoratori incaricati di assicurare la guardia e
l’utilizzo dei loro buoi 30. Il gestore del casale poteva a
volte evitare, in tutto o in parte, di ricorrere a dei lavoratori salariati, ricorrendo a delle formule di conduzione indiretta che, a differenza dei contratti di
assunzione, danno spesso luogo alla stipula di un atto
notarile e che hanno dunque, ai nostri occhi, il vantaggio di essere molto più visibili del ricorso ai salariati.
Io non farò qui un’analisi approfondita di queste differenti formule, alle quali ho già dedicato alcuni studi 31.
Sarà sufficiente ricordare che esse permettono a un gran
27
Archivio di Stato di Roma (=ASR). not. Pietro di Giacomo
Capogalli, 477, quad. 15, ff. 405-424.
28
MAIRE VIGUEUR 1974a, pp. 252-316; MAIRE VIGUEUR 2003,
pp. 219-237.
29
MAIRE VIGUEUR 1974a, pp. 232-234.
30
Sulle tecniche agricole utilizzate nella Campagna romana cfr.
CORTONESI 2005, pp. 123-145.
31
MAIRE VIGUEUR 1974a, pp. 232-234; MAIRE VIGUEUR 2010,
pp. 104-109; cfr. anche CORTONESI 2005.
448
JEAN-CLAUDE MAIRE VIGUEUR
numero di cittadini di partecipare allo sfruttamento delle
terre cerealicole, investendo ciascuno in queste operazioni a seconda delle sue capacità economiche, del
tempo di cui dispone e delle sue attitudini personali. Nel
caso dei contratti ad laborerium, nei quali il concessionario s’impegna a coltivare per due anni una superficie mai inferiore ai 15 ettari, è assai frequente che sia
egli stesso obbligato a far ricorso a una manodopera salariata, esattamente come fa, per un’altra porzione delle
sue proprietà, lo stesso grande imprenditore. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, i concessionari dei contratti
di conduzione indiretta sono in grado di lavorare da sé
le terre che ricevono dai proprietari dei casali, sia che
essi stessi dispongano di animali da tiro, sia che se li
procurino con uno dei contratti concepiti espressamente
per questo, come i contratti di soccida o di stalgium.
Quale che sia il tipo di contratto che li lega al padrone
del casale, tutti questi aratori sono dei lavoratori indipendenti, degli artigiani dell’aratura, si potrebbe dire,
obbligati ad aspettare la fine dei lavori per ricevere la
parte del raccolto che spetta loro, e che rappresenta, insieme a un piccola somma in denaro versata alla stipula
del contratto, la loro sola retribuzione. Molti di loro sono
degli artigiani o dei piccoli commercianti di Roma che
si associano per la stipula del contratto e che si dividono i lavori da compiere. Altri sono dei contadini venuti dai villaggi del Lazio o dell’Umbria le cui
competenze sono apprezzate dai cittadini che li associano volentieri alle loro attività di imprenditori cerealicoli.
Come si vede, nella Campagna romana vi sono molti
modi di partecipare alla messa a frutto delle terre cerealicole. Insieme a qualche centinaio di romani che dedicano a questa attività la maggior parte del loro tempo
e che possiamo considerare dei coltivatori professionisti, una grande quantità d’altri romani, che non appartengono necessariamente alle fasce più basse della
popolazione, investono in questa attività una parte più
o meno importante del loro tempo e delle loro disponibilità economiche. La maggior parte di loro è costituita
da lavoratori che cercano in questo modo di fare ulteriori profitti o, più semplicemente, di integrare le risorse
che derivano dalla loro principale attività professionale.
A differenza del vino, della frutta e degli ortaggi forniti dalle particelle a coltura intensiva, solo una parte
del frumento raccolto da tutti quelli che prendevano
parte, in una forma o in un’altra, allo sfruttamento delle
32
LORI SANFILIPPO 1981, pp. XII-XIII; GÜLL 2003, pp. 49-65.
terre cerealicole, era destinato all’autoconsumo, l’altra
parte era destinata ad essere immessa sul mercato. In
un modo o nell’altro, migliaia di romani si dedicavano
ogni giorno a lavorare la terra, pur esercitando, almeno
la maggior parte di essi, un’attività professionale praticata da un numero molto più limitato di persone e destinata dunque a giocare, nel processo di costruzione
dell’identità sociale, un ruolo molto più determinante
del fatto di lavorare nelle vigne o sui campi di frumento
dei casali. Il posto riservato alle differenti categorie dei
lavoratori agricoli all’interno di quella che si definisce
a volte l’arte dell’agricoltura non poteva ostacolare o
modificare questo processo: tutto il potere, all’interno
di quella che è certamente, sia dal punto di vista politico che economico, la più potente tra le corporazioni
di Roma, è nelle mani dei bobacterii, cioè dei grandi
imprenditori agricoli, che almeno fino al 1425 non riconoscevano, a coloro che lavoravano sulle loro terre,
altro diritto che quello di potersi rivolgere ai tribunali
della corporazione in caso di contenzioso con i loro datori di lavoro.
I mestieri invisibili
Il quadro dei mestieri romani che vado delineando
ha delle evidenti lacune. La più clamorosa è senza alcun
dubbio quella dei vasai, destinati in tutte le società tradizionali a produrre una grande quantità di oggetti di
uso comune come le stoviglie da mensa e la maggior
parte dei recipienti destinati alla conservazione e al trasporto dei liquidi e di alcune merci solide. Roma, con
una popolazione tra i trenta e i cinquantamila abitanti,
non poteva contare meno di qualche decina di botteghe
di vasai, ma quel che ne sappiamo, per il periodo precedente la metà del XV secolo, è troppo poco per poter
sperare di ricavarne indicazioni precise sul loro numero
e sulla loro distribuzione nello spazio urbano 32. Un
altro mestiere del quale nessuna società preindustriale
può fare a meno è quello del cordaio, che fornisce un
prodotto indispensabile sia alla vita di tutti i giorni sia
allo svolgimento di numerose attività professionali. Il
caso ha voluto che il notaio Scambi abbia avuto tra i
suoi clienti un ricco cordaio del rione Campitelli, rione
presso il quale sorge una chiesa, ricostruita nella seconda
metà del XVI secolo e che assunse allora il nome di S.
Caterina dei Funari, proprio per la presenza nel quartiere di numerosi cordai 33. Era così anche due secoli
prima? È possibile, ma non si può dire di più sulla pre-
33
PIETRANGELI 1976, pp. 72-76.
IL MONDO DEI MESTIERI A ROMA
senza di cordai nella Roma della fine del Medioevo. Ancora meno sappiamo di numerosi altri artigiani e commercianti che fanno solo delle rare apparizioni nei
registri notarili, e quasi sempre in qualità di testimoni,
il che evidentemente non ci dice molto su di loro; è il
caso per esempio dei barilarii (fabbricanti di barili), dei
candelocterii (fabbricanti di candele e ceri ), dei cartarii (fabbricanti di carta), dei flasconarii (fabbricanti di
fiaschi), dei soffaroli (venditori di zolfo?), dei suverarii (fabbricanti di tappi e altri oggetti in sughero) e di
altri ancora. Si può pensare, per consolarsi, che in
ognuno dei mestieri che abbiamo citato non fosse impiegata più di una decina o una ventina di persone, ma
senza dubbio questo non era il caso di altri mestieri totalmente assenti nelle nostre fonti anche se la loro presenza è ampiamente attestata per l’epoca immediatamente posteriore: penso ai venditori o ai mercanti di
frutta e verdura, così come ai commercianti che vendevano i loro prodotti nei mercati della città, sia che disponessero di banchi fissi sia che offrissero le loro merci
in ceste o contenitori poggiati a terra, come i mercanti
di grano e di farina.
Conclusioni
Dei tre criteri che ho proposto d’applicare per giudicare il posto dei differenti mestieri nella società romana, il primo è certamente quello che ha fornito i
risultati più aleatori, in quanto mancano, per la maggior
parte dei mestieri, dei dati affidabili per valutare il numero di coloro che lo praticavano. Disponiamo di liste
nominative, peraltro incomplete, solo per quattro corporazioni, quelle dei lanaioli, dei merciai, dei pescivendoli e dei mugnai ‘di terra’. Se si aggiungono ai rari
mulini di terra qualche decina di mulini installati sulle
rive del Tevere, si ottengono, per ciascuno di questi quattro mestieri, dei numeri assai simili, più o meno una
cinquantina di ‘imprese’ d’importanza, nell’insieme,
assai limitata. Tra la corporazione dei lanaioli e le altre
tre, tuttavia, c’è una differenza fondamentale, il quanto
la prima riunisce, a differenza delle altre tre, un certo
numero di mestieri subordinati, i cui effettivi totali erano
certamente da due a tre volte superiori a quelli del mestiere da cui la corporazione prendeva il nome. Lo stesso
ragionamento vale senza alcun dubbio per i mestieri relativi ai cicli lavorativi del metallo (paragrafo 2) e dell’edilizia (paragrafo 4); ciascuno di questi due settori
poteva contare, secondo me, non meno di centocinquanta o duecento piccoli imprenditori; a maggior ra-
449
gione questo vale per i mestieri relativi alla lavorazione
della pelle e all’abbigliamento, i cui effettivi totali dovevano essere certamente più vicini ai duecento che alle
trecento persone. In totale, l’insieme dei settori relativi
alla produzione artigianale, ai quali appartengono i mestieri che abbiamo trattato nei paragrafi 1-4, dovevano
contare un numero di botteghe variabile tra le ottocento, nell’ipotesi più bassa, a più di mille. A confronto
il commercio al dettaglio, anche con l’aggiunta dei mulini, non doveva raggiungere che la metà di questa cifra,
almeno se teniamo conto solo dei commercianti che possedevano una propria bottega o punto di vendita, il cui
numero doveva essere, come si è detto prima, di circa
cinquanta per ciascuno dei sei tipi di commercio esaminati nel paragrafo 5, con la sola eccezione dei macellai che erano forse due o anche tre volte più numerosi.
I miei calcoli e le mie ipotesi mi portano a dei risultati
più o meno analoghi per il settore dei servizi, tra i quali
i trasporti si riservano la parte del leone. Servizi e commercio al dettaglio formeranno quindi in totale un
blocco di ottocento/mille piccole imprese (se è lecito
impiegare anche in questo caso questo termine), analogo per quantità al blocco formato dai mestieri legati
alle produzioni artigianali. A questi due blocchi ne va
aggiunto un terzo, quello dei lavoratori agricoli impegnati nella coltivazione delle particelle a coltura intensiva e delle terre cerealicole nei grandi domini della
Campagna romana. Quest’ultimo settore era senza dubbio il più importante dei tre, e i suoi effettivi saranno
stati superiori a quelli degli altri due blocchi messi insieme. Il problema è che essi si compongono, per una
parte importante ma impossibile da calcolare, di artigiani e di commercianti che dividono il loro tempo tra
la città e la campagna, che, in altri termini, praticano
una forma di poliattività che non è peraltro la sola a cui
si dedicano i romani di quest’epoca. Tornerò su questo
tema della pluralità di attività svolte, ma va sottolineato
come la diffusione di questa pratica spinge a relativizzare sensibilmente l’importanza del calcolo degli effettivi occupati nei diversi mestieri.
La distribuzione dei diversi mestieri nello spazio urbano solleva meno problemi di quella del numero di coloro che li svolgevano. Alcune professioni sono
indiscutibilmente molto più concentrate di altre. Il caso
limite è quello dei pescivendoli, che esercitavano quasi
tutti sul sagrato di S. Angelo in Pescheria e tra le colonne del portico d’Ottavia. L’antico Foro di Nerva era
stato allestito per accogliere decine e decine di macellerie, dotate tutte di un annesso nel quale i macellai ospitavano gli animali prima dell’abbattimento; due ufficiali
450
JEAN-CLAUDE MAIRE VIGUEUR
eletti dai macellai erano preposti alla gestione di quello
che sembra più un centro commerciale ante litteram che
un mercato a cielo aperto 34. Si è visto come, senza mai
giungere a questi livelli di concentrazione, altri commerci al dettaglio mostrano ugualmente una tendenza a
raggrupparsi nei quartieri più centrali o a formare delle
nebulose più o meno dense in luoghi a volte anche sensibilmente distanti gli uni dagli altri. Per i mestieri relativi alle produzioni artigianali, gli esempi di
concentrazione topografica si spiegano essenzialmente
con motivi di ordine tecnico e, oltre ai maestri lanaioli,
raggruppati, per ragioni ancora misteriose, nei rioni S.
Eustachio e Pigna, riguardano quei mestieri che necessitano di molta acqua per svolgere il loro lavoro, come
i cuoiai, i conciatori e i tintori, e scelgono per questo
di installarsi nelle vicinanze del Tevere, oppure, come
nel caso dei mugnai, sulla riva stesse del fiume. Queste differenti forme di concentrazione riguardano un numero limitato di mestieri e va sottolineato che si tratta
sempre, con la sola eccezione dei macellai, di professioni che impiegano un numero limitato di persone.
Quando si passa invece ad osservare i mestieri che coinvolgono un gran numero di lavoratori, la situazione si
presenta completamente diversa: fabbri, cordai, sarti, lavoratori dell’edilizia, conducenti di animali da soma, vignaioli e contadini sono attestati in tutti i quartieri della
città e, quale che sia il loro livello sociale o la natura
del loro mestiere, non sono fatti oggetto di nessuna segregazione sociale o professionale. Roma, non va mai
dimenticato, è una città dove ricchi e poveri vivono
fianco a fianco in tutti i rioni e in tutte le contrade, dove
la promiscuità sociale si estende alla totalità dello spazio urbanizzato, dove gli immigrati, anche gli ultimi arrivati, trovano alloggio in tutti i quartieri, una città che
nel Medioevo non ha sobborghi e nella quale la nozione
stessa di centro storico appare priva di senso.
Una città, inoltre, nella quale ciascuno è più o meno
libero di esercitare il mestiere che preferisce. È evidentemente il caso (e non c’è bisogno di insistervi) di
tutti quei mestieri che non dipendono da nessuna corporazione, e si è visto come alcune di queste professioni siano praticate da un numero considerevole di
persone, come ad esempio i conduttori di animali da
soma o i contadini, i quali non hanno nessun altro obbligo, quando lavorano alle dipendenze di un proprieMAIRE VIGUEUR 2010, pp. 128-129.
AIT 1996, p. 203.
36
Archivio storico capitolino (=ASC), Cred. XI, t. 56, f. 14r; Statuti delle arti 1885, p. 31.
tario o un affittuario di un casale, che di riconoscere la
giurisdizione dei tribunali dell’ars bobacteriorum in
caso di contenzioso con i loro datori di lavoro. La situazione non doveva essere troppo diversa anche per
quei mestieri che, in modo più o meno diretto, ricadevano sotto l’autorità di una corporazione. Questa è almeno l’impressione che si ricava da una attenta lettura
dei sei statuti di corporazione che ci sono giunti, quelle
dei lanaioli, dei merciai, dei pescivendoli, dei marmorari, dei muratori e degli speziali/droghieri. Innanzitutto l’iscrizione alla corporazione non è mai richiesta
per praticare la professione, con la sola eccezione dei
lanaioli, ma le condizioni richieste per essere ammessi
all’arte della lana non sono certo severe, poiché è sufficiente giurare di rispettare gli statuti dell’arte e di pagare una tassa di 10 lire. Coloro che vogliono esercitare
la professione di spetiarius dovranno dimostrare di possedere le conoscenze necessarie per la preparazione dei
medicinali, ma non sono per questo tenuti a iscriversi
alla corporazione 35. Le condizioni poste dai merciai e
dai muratori per l’esercizio della professione da parte
dei non iscritti sono leggermente più rigide: i muratori
‘indipendenti’, per così dire, non possono accettare lavori il cui importo superi una certa somma, mentre i
merciai autorizzano coloro che non sono iscritti alla loro
arte ad esercitare la sola vendita ambulante 36. La vendita dei pesci non è invece sottoposta a nessuna condizione e l’arte dei pescivendoli riconosce a tutti il diritto
di dedicarsi a questo commercio in ogni parte della
città 37. Quanto agli speziali/droghieri, essi riconoscono
persino agli ebrei e alle donne il diritto di esercitare la
loro arte, a condizione, ovviamente, che abbiano superato con successo l’esame di cui si è detto prima 38. Per
parte loro, i marmorari non pongono ostacoli alla presenza di colleghi ‘stranieri’ (advenae) sui cantieri della
città ma, nel caso che un marmorario romano volesse
associarsi con un collega giunto da fuori, richiedono da
quest’ultimo il pagamento dell’iscrizione nella corporazione 39. In generale sembra che le corporazioni abbiano cercato di incoraggiare piuttosto che di limitare
l’ingresso di nuovi iscritti. Per essere ammessi in una
corporazione bisognava certo pagare una tassa di iscrizione, generalmente fissata a 10 lire, ed essere stati accettati dalla maggioranza dei membri, ma si cercherebbe
invano la minima traccia di ‘malthusianesimo corpora-
34
35
LANCONELLI 1985, pp. 83-131, a p. 92.
AIT 1996, p. 198.
39
Statuti dell’arte dei marmorarii, a. 1406, 21v-22r.
37
38
IL MONDO DEI MESTIERI A ROMA
tivo’ negli statuti che ci sono giunti, e nulla indica che
i membri delle corporazioni favorissero oltre misura
l’ammissione dei loro parenti, con la sola eccezione dei
pescivendoli che abbassavano da 10 a 5 lire la tassa di
ammissione per i figli dei membri dell’arte. Questo comportamento in definitiva molto liberale, per non dire lassista, delle corporazioni romane in materia di accesso ai
vari mestieri, non ha peraltro nulla di eccezionale in quest’epoca anche se, nelle città più industrializzate, come
Firenze, si comincia, già dalla seconda metà del XIV secolo, ad osservare, da parte di alcune corporazioni, l’introduzione di una politica più ‘malthusiana’ volta a
riservare ai soli iscritti la pratica della professione 40.
Come ho detto, non è questo il caso di Roma, dove è
inoltre tranquillamente ammesso che la stessa persona
possa appartenere contemporaneamente a più corporazioni, e queste hanno essenzialmente la funzione di: 1)
regolare le liti che possono sorgere tra coloro che praticano lo stesso mestiere, sia che siano o no iscritti all’arte;
2) imporre il rispetto delle norme riguardanti la qualità
dei prodotti o la natura dei compiti da eseguire. Questa
seconda preoccupazione è particolarmente evidente negli
statuti delle corporazioni che riuniscono diversi mestieri,
come per esempio nel caso dell’arte della lana. La prima
è invece al centro di tutti gli statuti, nei quali è fatta oggetto di intere pagine, e a volte di quasi tutte le rubriche, come se il solo problema che realmente interessasse
i membri di un’arte fosse quello di potersi regolare da
se i propri conflitti interni, e di estendere questa prerogativa a tutti coloro che praticavano lo stesso mestiere,
senza far nessuna differenza tra coloro che erano iscritti
all’arte e coloro che non lo erano.
I livelli di ricchezza e stili di vita
Benché gli artigiani e i negozianti si rivolgessero raramente a un notaio al momento di assumere un apprendista o un operaio, esistono tuttavia nei registri
notarili un certo numero di contratti di lavoro grazie ai
quali ci possiamo fare un’idea dei salari praticati a
Roma alla fine del Medioevo. Al contrario i profitti dei
loro padroni ci sfuggono completamente. Il solo modo
per situare coloro che praticavano un mestiere nella gerarchia sociale dell’epoca è quello di calcolare il valore
del loro patrimonio a partire dai dati che i notai sono
invece ben in grado di fornire, visto che la loro funzione consiste proprio nel conferire valore giuridico a
40
DEGRASSI 1996, pp. 137-140.
451
tutta una serie di atti concernenti, nella maggior parte
dei casi, i beni fondiari e immobiliari dei loro clienti.
Si tratta ovviamente di una materia molto complessa,
che non potrò trattare in modo esaustivo nelle poche
pagine che seguono. Cercherò quindi di rispondere in
modo molto sintetico a tre domande, le prime due peraltro strettamente legate: che possiamo sapere della
scala di ricchezza all’interno dei differenti mestieri, e
quali sono le possibilità di arricchimento concesse da
ciascuno di essi? Quale è la composizione e il valore
del patrimonio posseduto dall’intero popolo dei mestieri?
La regola che vuole che, in tutte le economie libere,
le differenze nei profitti e nei patrimoni siano infinitamente più ampie tra i lavoratori indipendenti che tra i
salariati si applica ai mestieri romani come a quelli di
tutte le altre città italiane della stessa epoca. In ogni mestiere si trovano dunque degli artigiani e dei negozianti
che vivono di stenti e altri che si arricchiscono al punto
da essere ammessi senza problemi tra i ranghi della
classe superiore. Questa disparità è senza dubbio inferiore a Roma che altrove, per il fatto che gli artigiani
non producono che per il mercato locale, il che limita
il loro volume di affari e dunque l’ammontare dei loro
profitti; essa tuttavia è non di meno la regola all’interno
di ciascuna professione, anche se la sua ampiezza varia
sensibilmente tra un mestiere e l’altro, e tra i mestieri
stessi in quanto alcuni offrono delle possibilità di arricchimento ben superiori a quelle di altri.
Il solo mestiere per il quale si dispone di elementi
sufficienti per ricostruire la scala di ricchezza è quello
dei pescivendoli del mercato di S. Angelo in Pescheria
e questo, come si può immaginare, grazie alla frequenza
della loro comparsa nei registri del notaio Scambi. È,
in effetti, possibile, come penso di aver mostrato nel mio
libro su Roma 41, di collocare la maggior parte dei quaranta o cinquanta pescivendoli che operano su quel mercato ad un livello ben preciso d’una piramide che
dividerò, per brevità, in tre gruppi. Quello posto più in
basso è composto da venticinque/trenta pescivendoli
che possiedono ciascuno un patrimonio valutabile tra i
200 e i 300 fiorini, quello mediano, composto da
dieci/quindici pescivendoli il cui patrimonio è valutabile tra i 300 e i 1000 fiorini, e infine il gruppo più in
alto, composto da meno di dieci pescivendoli ma dotati
tutti di un patrimonio il cui valore supera i 1000 fiorini. Può certo accadere a un pescivendolo di S. Angelo,
41
MAIRE VIGUEUR 2010, pp. 136-147.
452
JEAN-CLAUDE MAIRE VIGUEUR
come a qualunque altro lavoratore di quell’epoca, di fare
dei cattivi affari o di cadere vittima di qualche imprevisto, il che comporta il suo declassamento e lo obbliga
a condividere, caduto in basso nella scala dei mestieri,
una condizione analoga a quella di numerosi altri artigiani e commercianti ma piuttosto eccezionale tra i pescivendoli il cui livello di ricchezza, nell’insieme della
professione, sembra essere stato nettamente superiore a
quello degli altri mestieri. Il che equivale a dire, in altre
parole, che anche il più modesto dei pescivendoli se la
passa meglio della maggior parte degli altri artigiani e
commercianti e che si hanno più possibilità di arricchirsi,
a Roma, vendendo pesce che facendo il fabbro, il cordaio, il muratore, l’asinaio e via dicendo. La domanda
da porsi è se si tratta di un caso isolato nel panorama
dell’economia romana o se è al contrario possibile estendere quel che chiamerò il ‘modello pescivendoli’ anche
ad altri mestieri. È una domanda alla quale è estremamente difficile rispondere, perché per nessun altro mestiere noi disponiamo, come per i pescivendoli, di
informazioni sufficienti a conoscere il ventaglio delle
ricchezze all’interno di ciascuno di essi e per ripartire
i membri della professione nelle differenti parti del ventaglio. Si ha tuttavia qualche motivo di pensare che il
‘modello pescivendoli’ non fosse così eccezionale come
potrebbe apparire a prima vista e che dovevano esservi
due o tre altri mestieri nei quali la distribuzione delle
ricchezze era molto vicina a quella che abbiamo visto
per quella dei pescivendoli. La categoria socioprofessionale che, per certi versi, si avvicina di più a quella
dei pescivendoli è quella dei droghieri. Noi non sappiamo se esistevano prima del XV secolo delle vere dinastie di droghieri come ve ne erano già tra i
pescivendoli, ma sembra che a partire dalla fine del XIV
secolo l’ascesa sociale fosse molto più rapida in questa
professione che nel commercio del pesce, al punto che
il numero dei droghieri molto ricchi ha senza dubbio
eguagliato nei primi decenni del XV secolo quello dei
più ricchi pescivendoli, e l’ha certamente superato nel
corso dei decenni seguenti 42. A differenza dei pescivendoli, gli spetiarii commerciano derrate e prodotti
molto costosi, e il valore delle merci immagazzinate può
facilmente raggiungere svariate centinaia di fiorini, il
che fa ritenere che la ricchezza media dei droghieri
fosse almeno uguale, se non superiore, a quella dei pescivendoli. Senza alcun dubbio questo doveva essere il
caso anche per gli orefici, ma la loro comparsa nei re-
42
AIT 1996, pp. 43-80; LORI SANFILIPPO 2001, pp. 205-209.
gistri notarili è purtroppo così sporadica che è impossibile ricavarne altro che la presenza, nei loro ranghi, di
personaggi capaci di investire forti somme per l’acquisto di metalli preziosi e che quindi dovevano essere ricchi tanto quanto i più ricchi tra i droghieri e i
pescivendoli. Benché la situazione fosse destinata a cambiare nel corso del XV secolo per il grande sviluppo degli
orefici e dei droghieri, è tuttavia tra i macellai che si possono seguire, durante tutto il periodo che stiamo esaminando, i più clamorosi e i più numerosi esempi di
mobilità sociale. Ne ho già parlato prima, e non ci tornerò qui, se non per ricordare che una o due generazioni
sembrano essere state sufficienti, in questa professione,
per passare da una condizione di piccolo commerciante
a quella di grande, e anche grandissimo, imprenditore
agricolo, con una disponibilità di migliaia di fiorini, e
per essere ammesso a frequentare, e anche a legarsi per
matrimonio, con le più ricche e più antiche famiglie della
nobiltà cittadina 43. Bisogna ricordare che a Roma i macellai erano almeno il doppio dei pescivendoli, il che relativizza, in qualche modo, il loro tasso di successo, e
consente di precisare che se l’élite dei macellai ci è ben
nota grazie alle minute di Venettini – l’amico dei ricchi!
– non sappiamo invece granché della condizione degli
altri macellai e dunque il ventaglio delle fortune consentite da questa professione, il che mi porta a chiedermi
quanto in fin dei conti sia realmente il caso di applicare
il ‘modello pescivendoli’ ai macellai.
La nostra immagine dell’ambiente dei macellai non
è la sola a soffrire di quella che definirei la sovraesposizione dei più ricchi rispetto ai meno ricchi. Vi è,
in effetti, un livello di fortuna a partire dal quale diviene obbligatorio ricorrere al notaio per un certo numero di affari. Non è questo certamente il caso degli
artigiani e dei commercianti più modesti, ma essi sono
talmente numerosi in certe professioni che si finirà inevitabilmente per incontrarne qualcuno nei registri notarili. È questo il caso di tutti i mestieri praticati dal
più alto numero di persone: i fabbri, i calzolai, i sarti,
gli artigiani edili, ad eccezione dei marmorari, i conduttori di animali da soma, per non parlare ovviamente
di tutti quelli che praticano uno dei mestieri che ho definito invisibili. All’interno di tutti questi mestieri la
mobilità sociale sembra essere stata molto bassa, e non
si trovano che rarissimi esempi di arricchimento, al di
fuori di un piccolo gruppo di sarti che, dopo il ritorno
del papato, hanno beneficiato delle ordinazioni della
43
MAIRE VIGUEUR 2010, pp. 127-136.
IL MONDO DEI MESTIERI A ROMA
453
curia 44. Quelli che compaiono nei registri, tuttavia, sembrano aver goduto di una modesta ma reale agiatezza,
di cui cercherò tra poco di precisare il tenore. Tutti questi mestieri condividono quindi un insieme di elementi
che li distinguono nettamente tanto dal ‘modello pescivendoli’ quanto dai mestieri di cui parlerò tra poco:
un alto numero di persone che lo praticano, una netta
prevalenza del fattore artigianale su quello commerciale,
una mobilità molto limitata, un livello di ricchezza modesto ma relativamente egualitario. Il profilo dell’ultimo
gruppo di mestieri da esaminare si avvicina di più a
quello dei pescivendoli che a quello dei calzolai o dei
fabbri. Lanaioli, conciatori, cuoiai, pellicciai, merciai,
albergatori, locandieri, mugnai, cordai sono dei mestieri praticati da poche persone ma che offrono delle
reali possibilità di arricchimento ai loro titolari. Ne ho
fornito un certo numero di esempi nel mio libro su
Roma 45. Altri se ne troveranno nel libro di I. Sanfilippo,
che riguarda in particolare una categoria di artigiani, i
conciatori e i pellicciai, alla quale non ho prestato tutta
l’attenzione che meritava, visto che conta nei suoi ranghi un numero non trascurabile di artigiani fortunati e
capaci, in certi casi, di arrivare ad assicurarsi il controllo delle loro fonti di approvvigionamento 46. Tutti questi mestieri condividono il fatto di essere praticati da un
numero piuttosto limitato di persone, con la sola eccezione forse dei locandieri/albergatori, sui quali siamo
particolarmente poco informati, e tuttavia di avere offerto delle reali possibilità di arricchimento ad alcuni
di essi. Raramente, tuttavia, a più di due o tre, il che è
molto al di sotto di quel che si osserva nei mestieri che
seguono il ‘modello pescivendoli’ e mi spinge a ritenere che essi occupino una posizione intermedia tra i
due modelli, quello dei pescivendoli e quello dei calzolai, alcuni avvicinandosi di più al primo, come i conciatori e i pellicciai, altri, come i mugnai e i cordai, più
al secondo.
Come ho già detto, non sappiamo nulla dei profitti
realizzati dai nostri artigiani-bottegai e non abbiamo
quindi nessuna idea dei denari che passavano per le loro
mani ogni giorno o ogni settimana, ma siamo invece
ben informati su quel che possedevano e anche sul valore delle loro proprietà. Ogni artigiano o commerciante
possedeva, in effetti, due tipi di beni immobili: una o
più case e una o più particelle a coltura intensiva. Il va-
lore di queste case varia ovviamente in funzione di diversi fattori, principalmente la loro superficie e la loro
posizione, e lo stesso vale per le vigne, il cui valore dipende non solo dalla superficie, che può andare da qualche ara a mezzo ettaro, ma anche dalla loro distanza
rispetto alla città, dalla qualità del suolo, dalle possibilità di irrigazione e da altri motivi ancora. I dati a nostra disposizione sono tuttavia abbastanza numerosi da
stabilire una forcella dei prezzi valida per la quasi totalità di questi due tipi di beni: essa va da 40 o 50 a 200
fiorini per le case e da qualche decina a più di cento
fiorini per le vigne 47. Vi sono certamente delle case che
valgono molto più di 200 fiorini, e senza dubbio non
c’è indicatore più visibile, e perciò più ricercato, della
posizione sociale di una famiglia che la grandezza, la
bellezza e il valore della casa o del palazzo dove abita.
Le vigne non hanno questo ruolo di indicatori sociali.
La loro principale funzione è quella di fare fronte ai bisogni alimentari della famiglia per quanto riguarda il
vino, la frutta e gli ortaggi, il che non esclude che esse
potessero fornire agli artigiani e ai commercianti più poveri un supplemento di risorse finanziarie con la messa
in vendita sul mercato di parte della vendemmia e dei
prodotti dell’orto. Sembra, e si tratta di un punto fondamentale nella mia visione della società romana, che
anche i più modesti o, non dobbiamo avere paura delle
parole, i più poveri degli artigiani e dei bottegai, fossero proprietari di una o due vigne, oltre alla casa dove
abitavano. Questa sarà certamente di un valore inferiore
a 50 fiorini e la sua morfologia sarà quella della piccola casa unifamiliare che costituiva allora i tre quarti
del patrimonio immobiliare romano: essa occupa una
particella tra i m2 50 e 100, si compone di un piano terra
e di un solo piano, con due stanze per ciascun piano e
si prolunga sovente in un cortile o un orto posto nella
parte interna della particella e a volte fornito di un
pozzo 48. Per quanto riguarda le vigne che possiede e
coltiva da sé con l’aiuto della famiglia, la loro superficie totale è al di sotto del mezzo ettaro e il loro valore
non è mai superiore ai 100 fiorini. La somma è presto
fatta: aggiungendo il valore della casa a quello di una
o due particelle a coltura intensiva, si ottiene una somma
compresa tra i 100 e i 150 fiorini che corrisponde, secondo me, al valore medio del patrimonio posseduto in
LORI SANFILIPPO 2001, pp. 259-260.
MAIRE VIGUEUR 2010, pp. 121-125, 147-151.
46
LORI SANFILIPPO 2001, pp. 294-296, 301-304.
47
Per le vigne: centinaia di casi nei registri di Scambi nella Biblio-
teca Apostolica Vaticana (=BAV) e di Venettini nell’Archivio Storico
Capitolino che stipulano ogni anno dai cinque ai dieci contratti di vendita di vigne. Per le case: BROISE, MAIRE VIGUEUR 1983, pp. 106-114.
48
Ibidem, pp. 146-148.
44
45
454
JEAN-CLAUDE MAIRE VIGUEUR
ciascun mestiere dalla parte più povera, o la meno
agiata, se preferite, di coloro che lo praticano.
Si tratta, non c’è bisogno di sottolinearlo, di una valutazione eseguita sulla base di indicatori che ritengo
molto affidabili ma che non provengono direttamente
dalle fonti stesse: queste ci informano di cosa si compongono i patrimoni degli artigiani e dei commercianti,
anche quando appartengono alla parte più povera della
loro professione, ci rivelano i prezzi di parecchie centinaia di case e di vigne, ma ci lasciano il compito di
procedere ai controlli incrociati necessari per calcolare,
a partire dai dati che ci forniscono, il valore dei patrimoni posseduti dalle differenti categorie di persone che
ci interessano. La mia valutazione del patrimonio della
parte più povera del mondo dei mestieri mi sembra
quindi tanto affidabile quanto quelle che io stesso e altri
storici abbiamo proposto per altre categorie della popolazione, come i baroni, i nobiles viri o gli strati superiori del popolo dei mestieri 49. Resta da provare, mi
si potrebbe obiettare, che non esista, al di sotto di quella
frazione a cui ho attribuito un patrimonio tra i 100 e i
150 fiorini, uno strato di artigiani e di bottegai ancora
più povero e privo di risorse, talmente povero da non
possedere né casa né vigna e che dunque ha ben poche
possibilità di avvalersi del servizio di un notaio. L’obiezione non è priva di fondamento, ed è, in effetti, possibile che vi sia stata, in qualche mestiere, una frangia
di artigiani e di bottegai non meno poveri dei propri dipendenti, ammesso che ne avessero, e privi di qualsiasi
proprietà. È tuttavia facile constatare che anche nei matrimoni più umili, il marito è sempre in grado di portare qualche bene a garanzia della dote, il cui valore può
non superare le 30 o le 50 lire 50. Credo dunque che, se
povertà, o anche estrema povertà, può esservi stata nel
mondo dei mestieri a Roma, non deve però aver interessato, e in modo più temporaneo che permanente, che
un piccolissimo numero di artigiani e di bottegai, mentre la quasi totalità di loro deve aver goduto, forse più
grazie al loro patrimonio fondiario che ai loro guadagni professionali, di una certa agiatezza, e deve aver vissuto senza temere troppo i colpi della sorte.
Questa condizione ordinaria peraltro non necessariamente soddisfaceva tutti ed era abbastanza normale
che in ogni mestiere un certo numero di artigiani e bottegai cercasse, praticando la propria arte, di elevarsi al
di sopra della massa. Il numero di quelli che sono veramente riusciti in questa impresa, al punto di collocarsi
al livello delle due o trecento famiglie più ricche di
Roma, varia molto da un mestiere all’altro, come si è
detto, e non rappresenta in definitiva che una infima percentuale dei duemilacinquecento o tremila piccoli imprenditori attivi nell’artigianato o nel piccolo
commercio. Diversa è la situazione se passiamo a considerare il numero di coloro che riuscirono, nel corso
della loro vita, a guadagnare abbastanza denaro da lasciare ai propri figli un patrimonio nettamente più consistente di quello che essi stessi avevano ereditato, il
che è testimoniato, per esempio, dal fatto che essi hanno
potuto offrire a ciascuna delle figlie una dote di valore
superiore alla dote della propria moglie. Ho già detto
quanto è difficile, per la maggior parte dei mestieri, di
valutare l’ampiezza numerica di questa classe media di
artigiani e commercianti con un patrimonio di alcune
centinaia di fiorini, due o tre volte più ricchi, quindi,
della maggior parte dei loro colleghi, ma mi sembra fuor
di dubbio che il loro numero non cessa di aumentare
durante il periodo oggetto di questo studio, anche se ogni
professione ha inevitabilmente la sua parte di famiglie
colpite dal declino e costrette a vendere tutti, o parte,
dei loro beni.
È rimarchevole che, anche giunto all’apice della sua
fortuna, nessun membro di questa classe media abbia
mai preso in considerazione l’idea di abbandonare l’attività professionale con la quale si era arricchito, anche
a costo di riversare su uno dei propri figli i sogni di promozione sociale, e che tutti abbiano mostrato una gran
voglia di diversificare le proprie attività, molto più investendo nella produzione agricola che in altri campi
dell’artigianato o del commercio. Non c’è da stupirsi.
Passata la grande mortalità dei decenni centrali del XIV
secolo, i prezzi dei generi alimentari e dei prodotti dell’allevamento, la lana e il cuoio innanzitutto, sono costantemente cresciuti, garantendo buoni guadagni a tutti
coloro che erano in grado di investire nella cerealicoltura e nell’allevamento. Nel campo dell’alimentazione
i romani hanno sempre cercato, per quanto possibile, di
usufruire dei prodotti dei propri possedimenti, rivolgendosi al mercato solo per la carne e il pesce, oltre
che, naturalmente, per i prodotti esotici come lo zucchero e le spezie. Le esigenze, in questo campo, aumentavano con la crescita del livello di vita, e si capisce
perché la prima preoccupazione di coloro che praticavano un mestiere, quando raggiungevano una certa agiatezza, era quella di aggiungere altre particelle a coltura
49
MAIRE VIGUEUR 1976; MAIRE VIGUEUR 2010, capp. III-V;
ESPOSITO 1992, pp. 571-587.
45v.
50
Per un esempio tra i molti possibili: BAV, Scambi, X, 44v-
IL MONDO DEI MESTIERI A ROMA
intensiva a quelle che possedevano già. C’è infine un
fattore di ordine mentale, o culturale, che, secondo me,
sarebbe errato sottovalutare: i romani sono vissuti per
secoli in una città piena di orti e vigne, nella quale gli
spazi coltivati coprivano una superficie ben maggiore
di quella degli spazi abitati 51; anche dopo essersi concentrati nella zona dell’ansa del Tevere, molti abitanti
potevano ancora raggiungere le loro vigne senza dover
superare le mura della città, poiché vi erano migliaia di
vigne e di orti al loro interno. Per i romani, coltivare la
vigna e l’orto e prendersi cura degli alberi da frutta erano
delle occupazioni che facevano parte della vita quotidiana e alle quali tutti i membri della famiglia erano
chiamati a partecipare. Certamente i più ricchi ricorrevano a una manodopera specializzata per i lavori più
faticosi, ma anche essi si recavano volentieri nella loro
vigna per sorvegliare i lavori, raccogliere frutta e ortaggi, partecipare alla vendemmia e alla spremitura dell’uva e via di seguito. Per tutti, non solamente per i più
ricchi, la vigna è anche uno spazio per il relax e il piacere, dove si può andare a dormire durante i periodi più
caldi, ricevere gli amici e i vicini nei giorni di festa, dedicarsi a ogni genere di piacere 52. La vigna in definitiva aveva, agli occhi dei romani, un duplice valore,
simbolico ed economico.
Torniamo un istante sulla funzione economica di queste vigne e delle altre particelle a coltura intensiva. Se
artigiani e bottegai vi dedicavano una parte così importante del loro tempo lavorativo, non è, evidentemente,
per semplice amore per la natura o per il piacere di giocare a fare il contadino. Vigne e orti avevano innanzitutto la funzione di garantire il rifornimento a tutti i
membri della famiglia, e probabilmente anche agli operai, agli apprendisti e ai ragazzi di bottega alloggiati nella
casa del padrone, di prodotti essenziali al loro sostentamento come il vino, gli ortaggi e la frutta. Una particella
di buone dimensioni poteva essere sufficiente, ma il poterne coltivare due o tre offriva maggiori garanzie e poteva all’occorrenza fornire un significativo incremento
delle entrate, poiché vi era a Roma tutto un settore della
popolazione, a cominciare dai religiosi e dai pellegrini,
che non disponevano di proprie fonti di approvvigionamento. Investire nella produzione cerealicola, ricorrendo
a una delle formule che permettevano ai cittadini di coltivare una parte di una grande proprietà compatibile con
i propri mezzi, offriva gli stessi vantaggi ma richiedeva
forse più tempo e più capacità. In ogni caso siamo in pre51
KRAUTHEIMER 1981, passim; HUBERT 1990, pp. 63-96; MAIRE
VIGUEUR 2010, pp. 38-44.
455
senza di un sistema economico che non era sottoposto
alle leggi del mercato e serviva innanzitutto a rispondere
ai bisogni essenziali del gruppo familiare. Artigiani e bottegai continuavano a produrre e vendere i prodotti che
costituivano la loro specializzazione ma questa attività,
che è sottoposta ai rischi del mercato, non è sempre, ai
loro occhi, quella che conta di più: senza dubbio consideravano più importante, almeno in alcuni momenti dell’anno, andare a lavorare nelle loro vigne o nelle loro terre
cerealicole dove sono certi di raccogliere di che nutrire
la famiglia. Artigiani e bottegai partecipavano insomma
a due sistemi economici paralleli e poco comunicanti, uno
la cui funzione principale è di garantire la sicurezza alimentare della famiglia, l’altro da cui la famiglia si aspetta
di ricavare i denari liquidi che le permettono di soddisfare le altre esigenze e, forse, di procedere a nuovi investimenti.
Pratiche del credito e forme di dipendenza
Se posso riassumere in una frase le condizioni di vita
di coloro che esercitavano un mestiere nella Roma della
fine del Medioevo, direi senza esitare che la maggior
parte godeva di una vera o discreta agiatezza. Questo
giudizio si basa più su quello che sappiamo sul valore
e la composizione del loro patrimonio che sui profitti
che potevano ricavare dalla loro produzione artigianale
o dalla loro attività commerciale, che sono dati che rimangono sconosciuti, ma credo che questo valga per
tutte le professioni e, all’interno di ciascuna di esse, per
la grande maggioranza di coloro che la praticano. Esiste tuttavia certamente in ogni mestiere una frangia di
artigiani e di bottegai la cui situazione è molto più precaria e che, anche se non sono del tutto privi di beni
fondiari, hanno bisogno, più o meno regolarmente, di
ricorrere al credito per far quadrare i conti. Non sono i
soli ad avere queste esigenze, perché ogni anno numerosi lavoratori della terra sono costretti alla vendita anticipata di parte del loro futuro raccolto, il che
costituisce, come è noto, il modo più usuale per questa
categoria di lavoratori di avere accesso al credito. Anche
per essi tuttavia questo può avvenire anche per altre vie,
e questa diversità dei modi di accesso al credito è ancora più visibile nel caso degli artigiani e dei commercianti, per i quali l’indebitamento era senza dubbio visto
come una forma di dipendenza ma senza che questa di-
52
MAIRE VIGUEUR 2010, pp. 44-50.
456
JEAN-CLAUDE MAIRE VIGUEUR
pendenza instaurasse necessariamente un rapporto di dominio tra il creditore e il suo debitore. Il rapporto tra le
due parti è in realtà ben lungi dall’essere univoco, e non
può in nessun caso ridursi a un semplice rapporto di dipendenza e men che mai di dominio: è quello che cercherò di dimostrare nei paragrafi seguenti. Prima di
arrivarci, tuttavia, vorrei ricordare l’esistenza, a Roma
come altrove, di due categorie di lavoratori di cui non
ho trattato finora ma che sono la perfetta illustrazione
di quello che può essere un rapporto di dominio nel
mondo del lavoro.
La prima è quella degli operai, dipendenti e apprendisti, che lavorano come salariati per conto di un
artigiano o un commerciante. Senza dubbio doveva essere piuttosto raro che un artigiano ne impiegasse più
di qualcuno, in quanto, come si è visto, la manifattura,
sia concentrata che diffusa, era quasi sconosciuta nel
paesaggio romano. Anche le più grandi botteghe dei lanaioli non dovevano impiegare più di qualche tessitore
e affidavano ad altri artigiani il compito di eseguire la
maggior parte delle altre operazioni necessarie alla produzione delle stoffe di lana, a cominciare dalla cardatura, la follatura e la tintura. A questo riguardo voglio
ricordare come nelle corporazioni che riunivano, come
nel caso dei lanaioli, dei merciai, dei muratori e altre
ancora, un’arte principale e altre che le erano subordinate, i membri della prima esercitano una doppia supremazia su quelli delle arti ‘minori’. Anche se
pienamente autonomi, essi dovevano tuttavia rispettare
le regole stabilite dai loro colleghi dell’arte ‘maggiore’
ed erano sottoposti, per tutti i contenziosi che non potevano mancare di sorgere tra essi e chi forniva loro il
lavoro, ai tribunali gestiti da questi ultimi. A questa forma
di supremazia giuridica e statutaria, chiaramente affermata negli statuti delle corporazioni in questione 53, se
ne aggiungeva frequentemente un’altra, sulla quale le
nostre fonti sono purtroppo molto più avare di informazioni: si tratta della supremazia economica dei più
forti sui più deboli e i più poveri, che può portare questi ultimi a indebitarsi verso i primi e li obbliga ad accettare condizioni di lavoro sempre più dure.
Torniamo un momento ai salariati. La prima cosa da
dire è che noi non sappiamo quasi nulla né del loro numero né delle loro remunerazioni. Quest’ultimo dato non
è tuttavia impossibile da conoscere perché, anche se la
maggior parte degli imprenditori evitava di rivolgersi a
un notaio al momento di assumere un apprendista o un
53
Statuti delle arti 1885, pp. 201 ss.
operaio, il numero dei contratti di assunzione contenuti
nei registri notarili è senza dubbio abbastanza elevato
per permetterci di conoscere le condizioni di remunerazione della manodopera utilizzata dagli artigiani e dai
principali commercianti. Lo studio sistematico di questi contratti resta purtroppo da fare. La sola cosa che mi
sento per ora di poter dire, sulla base dei miei spogli
archivistici, che però in questo campo sono ben lontani
dall’essere esaustivi, è che, nella maggior parte dei casi,
apprendisti e operai non godono di una vera indipendenza economica, nel senso che essi ricevono dal loro
padrone vitto e alloggio, e spesso anche qualcosa per
vestirsi e calzarsi, a cui si aggiunge una somma in denaro soggetta a grandi variazioni, senza dubbio in ragione dell’età e della qualificazione dell’operaio.
Sembra difficile pensare che con tali condizioni di vita
questi abbiano potuto sposarsi e mettere su famiglia.
Erano quindi condannati a rimanere celibi, o dovevano
aspettare di farsi una posizione in proprio per sposarsi
e avere dei figli? Penso che questa doveva essere la speranza di tutti i salariati, e che un certo numero di essi
deve essere riuscito a realizzarla, grazie proprio al denaro che i loro padroni versavano loro e del quale potevano risparmiarne una buona parte. Molti apprendisti
sono figli di artigiani o di piccoli commercianti che i
loro genitori, non essendo in condizione di offrire loro
un lavoro, hanno collocato come apprendisti presso un
collega o un vicino, con la speranza che un giorno sarebbero riusciti anch’essi a mettersi in proprio. Si tratta
di una forma di mobilità orizzontale che ha certamente
contribuito a rafforzare la coesione, tanto sociale che
politica, del mondo dell’artigianato e del piccolo commercio e che deve spingerci a non vedere in una luce
troppo drammatica la situazione di numerosi apprendisti e operai. Quanti tra loro sono riusciti a liberarsi dalla
dipendenza del padrone e a diventare padroni di loro
stessi? La domanda è destinata a rimanere senza risposta ma tutto lascia pensare che, se era usuale che un figlio succedesse al padre nell’esercizio di una attività
artigianale o commerciale, era invece molto più difficile per un semplice operaio, specialmente se si trattava,
come accadeva spesso, di un immigrato recente, divenire padrone di una attività in proprio. Se si ammette
che la Roma di quest’epoca contasse, secondo la stima
più bassa, un numero di salariati almeno uguale a quello
dei piccoli imprenditori del commercio o dell’artigianato, si può valutare a più di mille e cinquecento o anche
a più di duemila il numero degli operai destinati a passare tutta la loro vita alle dipendenze di un padrone e
privi per lo più di ogni autonomia, al punto di non po-
IL MONDO DEI MESTIERI A ROMA
tersi sposare né di disporre della propria abitazione. Essi
si trovano quindi in una situazione molto simile a quella
della seconda categoria di lavoratori a cui ho fatto cenno
prima, quella dei servitori e dell’altro personale domestico, obbligati anch’essi a vivere nella casa dei loro padroni e di essere al loro servizio ventiquattro ore al
giorno. Non meno sfruttata dei salariati dell’artigianato
e del commercio, questa categoria di lavoratori, che
conta a Roma parecchie migliaia di persone, è in gran
parte composta da donne, e si trova allo stesso tempo
esposta a forme di dominio alle quali sfuggono gli altri
salariati. Nonostante la loro importanza numerica e il
posto che i servitori e l’altro personale domestico rivestono nella vita delle famiglie romane e malgrado quel
che i registri notarili ci lasciano capire delle loro condizioni di vita, non dirò di più, per mancanza di tempo,
su questa categoria di lavoratori, pur essendo consapevole di espormi così alle critiche di coloro che stigmatizzano la propensione degli storici a tralasciare sempre
i più umili, e vengo all’ultimo punto della mia trattazione, che riguarda l’indebitamento degli artigiani e dei
piccoli commercianti.
L’indebitamento e non il credito. Questo è onnipresente nella vita degli artigiani e dei piccoli commercianti
come in quella dei grandi mercanti, dei grandi allevatori e dei grandi produttori di cereali. Ogni artigiano o
commerciante può aver avuto bisogno, in un momento
o nell’altro della propria vita sia professionale che familiare, di ricorrere al credito per fare fronte a una temporanea mancanza di liquidità, per procedere a un
investimento, per acquistare un bene fondiario o immobiliare, per pagare la dote di una figlia o per qualsiasi altra ragione. A differenza tuttavia dei grandi
uomini d’affari, per i quali il ricorso al credito è una
pratica usuale e riguarda somme molto elevate, artigiani
e piccoli commercianti fanno ricorso al credito molto
più raramente e per delle somme raramente superiori ai
50 o 100 fiorini, in rapporto dunque con il valore di un
patrimonio che oscilla di solito tra i 200 e i 400 fiorini.
Dare e ricevere prestiti di questo tipo, e se ne contano
decine nelle minute dei notai, non ci autorizza evidentemente a parlare d’indebitamento a proposito degli artigiani e dei commercianti che vi ricorrono, anche
perché non è raro vedere gli stessi personaggi passare
dal ruolo di chi presta a quello di chi riceve, e viceversa. Perché si possa parlare di indebitamento bisogna
che l’artigiano sia obbligato a prendere in prestito regolarmente delle piccole somme di denaro che, si può
capire, gli servono per continuare la sua attività professionale, o anche per far fronte ai suoi bisogni più ele-
457
mentari. L’indebitamento può essere considerato, non
senza ragione, come una forma di dipendenza ma, nel
mondo dell’artigianato e del piccolo commercio romano, questa dipendenza non è necessariamente sinonimo di miseria o di precarietà. Io sarei incline a
interpretarlo in molti casi come una forma di mutua assistenza o come uno scambio di servizi, certo squilibrato
perché chi fa il prestito è in grado di imporre le sue condizioni a colui che lo riceve, ma tuttavia calcolato in
modo di non comportare il fallimento di quest’ultimo
e a lasciargli una certa libertà di lavorare. Il problema
è che noi siamo di solito molto meglio informati su coloro che concedono il prestito più che su chi lo riceve,
e in queste condizioni non è facile capire l’esatta natura del rapporto che si instaura tra di essi. È quel che
cercherò di fare distinguendo tre casi.
Il primo è quello nel quale i due contraenti sono legati, anche prima che uno faccia un prestito all’altro,
dal fatto di far parte di uno stesso ambiente o di una
stessa comunità. Il caso meglio documentato è quello
dei pescivendoli del mercato di S. Angelo in Pescheria
e dei pescatori che li riforniscono di pesce 54. Sia che
essi esercitino la loro attività lungo il litorale o nelle
acque del Tevere, nei laghi vulcanici della Tuscia o
nelle distese di acque salmastre del Lazio meridionale,
tutti i pescatori intrattengono con i pescivendoli di S.
Angelo dei legami che vanno ben al di là dei semplici
rapporti di affari. Essi si incontrano decine di volte all’anno, i loro figli crescono insieme e continuano e frequentarsi quando raggiungono l’età per lavorare,
ambedue le parti sono ben consapevoli di avere bisogno l’una dell’altra, e mi sembra difficile pensare che,
anche se generalmente si trovano, da un punto di vista
finanziario, in una posizione di netta superiorità rispetto
ai pescatori, i pescivendoli siano rimasti insensibili alla
durezza del loro lavoro e al carattere così aleatorio della
loro attività, sottoposta all’imprevedibilità del clima e
ad altri fattori di rischio. Si capisce dunque perché i pescatori si siano rivolti ai loro abituali partners in affari
ogni volta che hanno avuto bisogno di liquidità, e perché questi abbiano accettato facilmente di prestare loro
del denaro. È vero che si tratta sempre di somme molto
modeste, raramente superiori a due o tre fiorini, e, come
sempre in materia di credito, non abbiamo alcuna idea
del tasso di interesse richiesto. Va notato anche che questi prestiti sono concessi solitamente senza che chi lo
54
139.
LANCONELLI 2005, pp. 181-203; MAIRE VIGUEUR 2010, pp. 136-
458
JEAN-CLAUDE MAIRE VIGUEUR
concede senta la necessità di rivolgersi a un notaio, cosicché questo tipo di credito ci è rivelato principalmente
dai testamenti dei prestatori, nei casi almeno in cui questi si preoccupino di fornire il nome dei loro debitori e
l’ammontare dei loro debiti, cosa che non sempre fanno
in modo esaustivo. Prendiamo per esempio il caso di
Paolo Rosso, un pescivendolo di media agiatezza, almeno a giudicare dal tenore generale del suo testamento, ma che sembra essere stato particolarmente ben
disposto nei riguardi dei pescatori con problemi di liquidità. Vi si trova una lista di 48 crediti con la specificazione per ciascuno di essi della somma dovuta a
Paolo e, nella maggior parte dei casi, del luogo di origine del debitore o, se si tratta di un romano, del suo
rione di appartenenza. Il totale di questi 48 crediti arriva a poco più di 160 fiorini, e il loro importo va da 1
a 12 fiorini. Questi non corrispondono tuttavia alla totalità dei prestiti concessi da Paolo, perché al termine
della sua enumerazione il notaio menziona l’esistenza
di numerosi altri crediti conservati «in cartabulo credentiarum dicti Paoli» 55. Tenuto conto del piccolissimo
numero di testamenti di pescivendoli che ci sono giunti,
è impossibile valutare l’ampiezza dell’indebitamento
dei pescatori verso i pescivendoli né di sapere se essi
erano disposti a prestare denaro a qualsiasi pescatore,
compresi quelli che non facevano parte dei loro fornitori abituali. Sembra evidente che Paolo Rosso fosse disposto a farlo ma forse applicando un tasso di interesse
un po’ più elevato di quello concesso dai pescivendoli
ai pescatori che li rifornivano, o che riservavano loro il
loro pescato. In un caso come nell’altro credo che si sia
in presenza di un tipo di credito che si basa certamente
su un rapporto di confidenza tra le due parti ma che suppone anche, da parte di chi si trova nella posizione più
vantaggiosa, nel caso specifico i pescivendoli, il desiderio di manifestare il suo sostegno a un collega in difficoltà. Senza voler arrivare a dire che tutti gli artigiani
che avevano fatto fortuna, o che semplicemente erano
forniti di una certa agiatezza, manifestassero lo stesso
desiderio di aiutare i colleghi all’inizio della carriera o
meno fortunati, credo che si possa attribuire lo stesso
comportamento a tre artigiani che si collocano, almeno
a giudicare dai loro testamenti, a tre differenti livelli sulla
scala della ricchezza. Il primo, il mugnaio Tucio Tordoneri, è a capo di uno dei più importanti patrimoni del
BAV, Scambi, III, 10v-13r.
Su Tucio Tordoneri e suo fratello Nicola cfr. LORI SANFILIPPO
2001, pp. 324-327; MAIRE VIGUEUR 2010, pp. 162-164; testamento
di Tucio in BAV, Scambi, VIII, 30v-32r.
rione S. Angelo 56, il secondo, il cordaio Vance, dispone
all’epoca del suo primo testamento di capitali molto consistenti 57, il terzo è un semplice fabbro al quale si può,
tutt’al più, attribuire una certa agiatezza 58. Tutti e tre
hanno in comune di avere come debitori esclusivamente
persone che praticano la loro stessa professione o che
operano in settori molto vicini, ai quali hanno fornito a
credito degli attrezzi o del materiale indispensabile all’esercizio della loro attività. Nicola Tordoneri e Vance
mi sembrano degli uomini d’affari troppo impegnati e
importanti per pensare che abbiano voluto aggiungere
qualche soldo ai loro guadagni speculando sulle difficoltà di un collega o sulle necessità di un giovane che
si avvia alla professione. Quanto al fabbro, originario
dell’Italia meridionale, i suoi debitori sono quasi tutti
dei vicini di quartiere, degli artigiani con i quali intrattiene continui rapporti di lavoro, dei carrettieri o dei contadini che fanno parte della sua clientela abituale, in
definitiva delle persone che appartengono tutte al mondo
del lavoro, hanno l’abitudine di aiutarsi a vicenda e ai
quali il fabbro fa credito sapendo che sarà per loro un
punto d’onore ripagarlo non appena ne avranno la possibilità. A questi legami che si basano sul vicinato, sui
rapporti di lavoro, sulla solidarietà tra persone che praticano lo stesso mestiere, se ne aggiunge a volte un altro
che è ben illustrato da un testamento del 1 luglio 1409,
datato quindi a un’epoca in cui numerosi immigrati
hanno già cominciato ad affluire a Roma da diverse regioni d’Italia e a volte anche da più lontano 59. Questo
testamento è quello di uno schiavone, cioè di un immigrato originario della costa dalmata che, prima di stabilirsi a Roma nel rione Ponte, il quartiere per eccellenza
degli immigrati, aveva vissuto per un certo tempo a Fara
Sabina. Il notaio non precisa il mestiere di questo schiavone, ma la sua principale attività doveva consistere nel
commercio del legno, non si capisce bene se legna per
il riscaldamento o legname da lavoro, il che non gli impediva però di fare anche il falegname perché tra i suoi
crediti figura il prezzo di una bara che non gli era stata
pagata. Matteo riconosce nel suo testamento di dovere
del denaro a nove persone, per un totale di circa 68 fiorini, e aggiunge di essere a sua volta creditore di ventuno persone per un totale di 167 fiorini. Motivazioni
di questi crediti? Una bara che non gli era stata pagata,
come abbiamo visto, delle forniture di legna e forse
55
56
BAV, Scambi, XV, 57v-59r.
ASC, Venettini, 795/9, 31r-33r.
59
BAV, Scambi, XXV, 53r-57r.
57
58
IL MONDO DEI MESTIERI A ROMA
459
anche di corde, ma soprattutto dei prestiti e, quel che
per noi è più interessante, dei prestiti nella maggior parte
dei casi concessi a degli schiavoni, dunque a delle persone che avevano la stessa origine etnico-geografica di
Matteo e con le quali avrà condiviso quell’insieme di
sentimenti fatto di solidarietà, di difesa identitaria, di
convivialità e di molte altre cose tipiche dei membri di
tutte le minoranze e che si possono vedere per tutta
l’epoca moderna all’interno delle comunità nazionali di
Roma. Va notato inoltre che se Matteo preferisce evidentemente prestare a degli schiavoni piuttosto che a
degli ‘stranieri’, è a degli schiavoni che si rivolge
quando è lui ad aver bisogno di credito.
Il secondo caso è quello dei contratti intercorsi tra
un imprenditore agricolo e il contadino, o i contadini
che si incaricano di coltivare una parte delle terre cerealicole del suo casale. Gli obblighi del locatario nei
riguardi del locatore dipendono essenzialmente dalla superficie della terra che è in grado di coltivare e dai mezzi
dei quali dispone per farlo. Solitamente, il locatario che
si impegna a effettuare l’intero ciclo di lavori previsti
dagli statuti dell’ars bobacteriorum su una superficie
di terra uguale o superiore ai 15 ettari è un romano
agiato, o anche molto agiato, che possiede più di un attacco di buoi e delle riserve di grano sufficienti per effettuare la semina della terra presa in locazione. Può
trattarsi di aratori qualificati, ma è raro che essi possano coltivare più di 15 ettari, o, ed è il caso più frequente, di artigiani o commercianti arricchiti, o anche
di altri imprenditori agricoli che preferiscono investire
in questo tipo di contratti di breve durata, stipulati per
un solo ciclo di lavori e che non sono mai di durata superiore ai 18 mesi, piuttosto che negli affitti a lungo termine. Questo tipo di contratto è molto vantaggioso per
il concessionario perché gli garantisce i tre quarti del
raccolto, benché non è privo di interesse anche per il
locatore che riceverà, in cambio della terra coltivata, una
buona quantità di grano, e questo senza dover sborsare
altro che i pochi fiorini che è usanza versare al locatore
a titolo di introytus o di merces. Questa è almeno la situazione più usuale. Tuttavia non è affatto raro che dei
contadini, degli artigiani o anche dei notai si lanciano
nell’avventura senza essere in grado di assolvere a tutte
le condizioni teoricamente necessarie per questo genere
di contratto, sia che non abbiano il grano sufficiente per
la semina, sia che manchi loro il denaro necessario per
rinnovare la loro attrezzatura o affittare uno o due buoi
o qualcos’altro ancora. Questa mancanza di risorse non
sembra tuttavia inquietare i locatori, che accettano di
anticipare agli affittuari il grano necessario per la semina, sapendo che gli sarà restituito dopo la mietitura,
a volte anche di prestare loro una somma di denaro che
può andare da 3 o 4 fino a 20 o 30 fiorini 60. Questa pratica, che è l’eccezione nei contratti ad laborerium (questo è il nome del tipo di contratti di cui abbiamo parlato),
è al contrario la regola nel caso dei contratti ad pomedium, che si riferiscono a superfici coltivate molto più
piccole, sempre inferiori a 8 ettari, nei quali il proprietario si contenta a volte di un ciclo di lavoro più corto
e quindi meno dispendioso per l’affittuario, che ha però
ovviamente degli obblighi molto più pesanti verso il proprietario del fondo, che si tiene la metà del raccolto e
a cui l’affittuario dovrà inoltre restituire il grano di cui
ha avuto bisogno per la semina 61. Il profilo dei locatori, in questo genere di contratto, è molto diversificato,
perché troviamo sia dei grandi imprenditori, come nei
contratti ad laborerium, sia degli artigiani e dei commercianti molto agiati che hanno preso in affitto delle
vaste superfici di terre cerealicole e ne subaffittano delle
particelle di qualche ettaro a dei lavoratori di condizione
evidentemente molto più modesta della loro; tra questi
ultimi vi sono sia degli abitanti della città che della campagna, giunti dai castelli del Lazio, e, tra i cittadini, i
piccoli artigiani e bottegai sembrano essere stati numerosi tanto quanto i veri specialisti nel lavoro agricolo, i quali, tra l’altro, svolgono anche essi un’attività
diversificata, perché dividono il loro tempo tra la cura
delle vigne e degli orti e la coltivazione dei campi a
grano. Non c’è bisogno di precisare che gli affittuari
dei contratti ad pomedium si trovano, in rapporto ai loro
locatori, in una condizione di netta inferiorità, se non
di vera dipendenza, e si potrebbe facilmente immaginare che questi ultimi ne abbiano approfittato per incrementare il tasso d’interesse dei prestiti e aumentare
le proprie pretese nei riguardi degli affittuari, cosa che
si può escludere nel caso dei contratti ad laborerium,
nei quali locatori e affittuari sono di condizione molto
simile e in grado di discutere da pari a pari. Sono con-
60
Sul contratto ad laborerium, cfr. MAIRE VIGUEUR 1974a, pp.
225-229; MAIRE VIGUEUR 2010, pp. 106-107; CORTONESI 2005.
Qualche esempio di contratto ad laborerium, tra molti altri, in:
ASC, Venettini, 785/4, 4r-5r; 785/7, 141v-142v, 153r-v; Andrea di
Antonio de Appollinariis, 136, 26v-27r, 38r-39r.
61
Sul contratto ad pomedium, cfr. MAIRE VIGUEUR 1974, pp. 229232; MAIRE VIGUEUR 2010, p. 108; CORTONESI 2005. Qualche esempio di contratto ad pomedium, ancora tra molti altri, in: ASC,
Venettini, 785/6, 92v; Paolo de Serromanis, 649/11, 47v-48r; BAV,
Scambi, II, 133rv; III, 85v-86r; V, 121v.
460
JEAN-CLAUDE MAIRE VIGUEUR
vinto tuttavia che questo non sia avvenuto, e che in una
città con una cronica scarsità di manodopera, come
Roma dopo la metà del XIV secolo, i locatori avessero,
al contrario, tutto l’interesse a fornire i loro prestatori
d’opera (perché di questo in fondo si trattava) di tutto
l’aiuto di cui potessero aver bisogno, sia sotto forma di
grano per la semina o di credito necessario a completare o migliorare il loro equipaggiamento. Aggiungo infine che coloro che investivano nella produzione
cerealicola stipulando un contratto ad laborerium o ad
pomedium, ben lungi dall’essere dei perfetti sconosciuti
agli occhi dei locatori che affidavano loro le terre da
coltivare, erano generalmente persone che esercitavano
un mestiere, erano proprietari di case e di vigne, partecipavano con loro al governo del comune e si consideravano, davanti a coloro dei quali coltivano le terre, più
come dei soci che come dei lavoratori dipendenti.
Vengo infine al terzo caso che, a differenza dei due
precedenti, mostra delle situazioni di maggiore fragilità, nelle quali il ricorso al credito rappresenta, per i
più poveri, il solo mezzo per mantenersi nella condizione di lavoratore indipendente. È evidente che chi si
trova in questa situazione non va davanti a un notaio a
mettere in piazza i suoi problemi, e dobbiamo dunque
rivolgerci a indizi di altro tipo per trovare situazioni di
questo genere. Il fatto di dover ricorrere a un notaio per
ottenere il prestito di una somma molto piccola è spesso
segno di una certa precarietà economica, ma non è sempre così, e va considerato insieme ad altri indizi. Uno
di questi può essere fornito dalla personalità di chi accorda un credito di questo tipo e più ancora dal numero
di prestiti che è disposto a concedere. Quando vi si aggiunge, da parte del prestatore, la richiesta di una garanzia che consiste quasi sempre nell’acquisto anticipato
di mosto, grano, lino o fieno, si può allora ritenere di
essere in presenza di una persona specializzata nei prestiti ai lavoratori più poveri, a coloro che hanno bisogno del credito non per aumentare i propri guadagni ma
semplicemente per sbarcare il lunario in attesa del prossimo raccolto o di riscuotere del denaro che tarda ad ar-
rivare. Ci si può chiedere anche se non vi siano stati a
Roma dei notai più disposti di altri a registrare questo
genere di prestiti, poiché è quanto meno strano vedere
che un notaio come Francesco Capogalli ha, in meno
di sei anni, rogato più di 300 atti di questo tipo 62, mentre i venticinque e ventitre registri di due notai ben più
famosi di lui, Scambi e Venettini, ne contengono meno
di un centinaio. Questi confermano però un fenomeno
già ampiamente attestato nei registri di Capogalli: il
ruolo delle donne nella concessione di questi prestiti destinati ad assicurare la sussistenza, per non dire la stessa
sopravvivenza, dello strato più basso di coloro che praticavano un mestiere e dei lavoratori agricoli 63. Molte
di queste donne sono vedove, quasi tutte sono di condizione agiata o molto agiata e si può pensare che la
pratica del credito, concesso d’altra parte non solo ai
più deboli, costituisse per loro uno dei rari mezzi per
esercitare un’attività lucrativa, forse anche una delle
poche occasioni di affermare la propria personalità fuori
dalla cerchia familiare. I registri di Capogalli sono invece i soli, grazie al gran numero di atti di depositum
che contengono, a rivelarci un altro aspetto, ancora più
caratteristico, del credito ‘di sussistenza’, cioè l’esistenza di un piccolo numero di persone specializzate in
questo tipo di prestiti, o almeno di persone alle quali
coloro che ne avevano bisogno sapevano di potersi rivolgere. Sui 281 prestiti di sussistenza stipulati da Capogalli, 170 sono stati concessi da una dozzina di
persone, in testa ai quali c’è il locandiere Anastasello
di Anastasio, con un totale di 34 prestiti, di cui 18 sotto
forma di acquisto anticipato di prodotti agricoli, tra i
quali il vino tiene, naturalmente, il primo posto. Per un
locandiere, l’acquistare già a gennaio o febbraio di
grandi quantità di mosto, che gli saranno consegnate
dopo la vendemmia, costituisce senza dubbio un buon
modo per rifornirsi la cantina a buon prezzo. Ma che
dire degli altri prestatori che, per il 30% dei prestiti che
accordano, ricorrono anche essi alla formula dell’acquisto anticipato di prodotti agricoli, principalmente
mosto e vino? E innanzitutto, chi sono? Allo stato at-
Si tratta degli atti definiti di depositum, più raramente di refutatio, nell’Index instrumentorum che accompagna l’edizione delle
minute di Francesco di Stefano Capogalli di R. Mosti: Un notaio
romano del Trecento 1994, pp. 643-658.
63
Nei registri di Francesco di Stefano Capogalli quasi un terzo
dei prestiti sono concessi da un po’ meno di trenta donne. Mi limito
qui a citare i nomi delle sei donne più attive nel campo del credito,
rinviando il lettore che volesse consultare gli atti dove esse compaiono all’indice dei nomi di persona elaborato da R. Mosti: cfr. Un
notaio romano del Trecento 1994, pp. 583-617. Si tratta di Margherita
moglie di Lorenzo Presbiteri Capogalli, di Perna moglie di Giovanni
di Lello Capogalli, di Petruzia moglie di Cecco di Lomolo Capogalli, di Giovanna moglie de Giannuzio di Lello Pocie, di Francesca vedova de Lorenzo di Nuzio Ammirate, della nobilis domina
Soresca moglie del nobilis vir Corrado de Marcellinis. Tre altri
esempi di donne ‘prestatrici’ tratti dalle minute di Scambi: Caterina
vedova di Cencio di Giovanni di Paolo Capozucca (BAV, Scambi,
III, 115r-118r), Margherita vedova del quondam nobilis vir Lello di
Crescenzio alias Rosso (BAV, Scambi, XI, 87r-88v) e di Caterina
figlia del quodam nobilis vir Andreozzo di Graziano de Pelleonibus e vedova di Saba Paronis (BAV, Scambi, XVIII, 47v-48v).
62
461
IL MONDO DEI MESTIERI A ROMA
tuale delle nostre conoscenze, un certo numero restano
per noi dei perfetti sconosciuti, ma tra gli altri conosciamo un mugnaio (15 prestiti), qualche artigiano, otto
membri della famiglia Capogalli, tra cui due notai, e
parecchi membri di due famiglie della nobiltà cittadina,
i Pappazurri e i Marcellini. Tutti risiedono nel rione
Trevi, come i Capogalli, o nel vicino rione Monti. Lo
stesso vale per la maggior parte dei loro debitori, ma
non per tutti, perché il notaio ci fornisce per poco meno
di sessanta di essi una indicazione che merita di essere
sottolineata: quasi trenta abitano nei castelli della fascia meridionale della Campagna romana, e un’altra trentina sono ex-abitanti di questi stessi castelli o di altri
castelli e città del Lazio, e anche dell’Umbria e delle
Marche, che si sono trasferiti a Roma dove abitano nei
rioni Trevi e Monti. È evidente che quasi tutti quelli che
abitano ancora nei castelli della Campagna romana sono
dei piccoli contadini che coltivano le terre prese in affitto da dei romani e sono obbligati, per soddisfare le
loro necessità, di vendere in anticipo una parte del loro
raccolto. L’origine rurale della maggior parte degli immigrati recenti lascia pensare che anche essi siano degli
antichi contadini che continuano a Roma ad esercitare
una attività agricola lavorando nelle vigne o sulle terre
cerealicole delle grandi proprietà. Resta da capire se questa è la loro sola attività o se dividono il loro tempo tra
l’agricoltura e altri lavori. Le nostre fonti sono mute al
riguardo ma sarebbe veramente strano se questa categoria di lavoratori non avesse avuto, più ancora della
massa degli artigiani e dei piccoli commercianti, la necessità di guadagnarsi il pane svolgendo diverse attività
e quindi dividendosi tra il lavoro dei campi e delle occupazioni urbane di carattere più o meno stagionale. La
condizione degli altri debitori era così precaria come
quella degli immigrati più recenti? Si può escluderlo per
quelli per i quali il notaio si prende la briga di specificare il mestiere; si tratta di artigiani, di bottegai, anche
di notai, che traggono la loro visibilità sociale da una
professione che costituisce la loro occupazione principale e dovrebbe, almeno in teoria, garantire loro una
certa sicurezza economica, ma che non impedisce però
che a volte anche essi si trovino nella condizione di dover
prendere in prestito delle piccole somme di denaro. Lo
stesso non si può tuttavia certamente dire degli altri debitori, quelli di cui il notaio non menziona la professione, e che rappresentano più del 60% del totale. Che
il notaio non abbia voluto, o non sia stato in grado, di
indicare il mestiere di un così gran numero di clienti,
non ha per me nulla di casuale: vuol dire che aveva davanti persone che non avevano un vero mestiere, cioè
un mestiere noto a tutti e capace di fissare l’identità sociale di chi lo pratica, delle persone estremamente modeste, di condizione molto inferiore a quella della media
dei romani che praticavano un mestiere e obbligate per
guadagnarsi da vivere a moltiplicare i lavori occasionali oltre al lavoro nelle vigne e nei campi che costituiva la loro sola occupazione regolare. Resta da
chiedersi se per queste persone il ricorso al credito fosse
una pratica usuale o se fosse al contrario visto come
qualcosa di eccezionale e traumatico. Senza avere molti
argomenti per poterlo dimostrare, sono però incline a
pensare che per la fascia più povera della popolazione
cittadina, composta principalmente da coloro che, non
possedendo un impiego stabile, tiravano avanti cumulando lavori occasionali e lavoro agricolo, il ricorso al
credito fosse una pratica usuale, così come lo è stato
per le classi popolari nell’Inghilterra tra le due guerre 64:
una pratica che faceva parte integrante dello stile di vita
delle classi più povere e ben accettato dal resto della
società, e che offriva a un certo numero di persone l’occasione di arrotondare le proprie entrate, ed eventualmente anche di riempire a prezzo vantaggioso le proprie
cantine e i propri granai.
***
I limiti di questo articolo sono fin troppo evidenti.
Come ho già avuto modo di sottolineare più volte, noi
ignoriamo quasi del tutto il volume della produzione artigianale nella Roma della fine del Medioevo e non sappiamo quasi nulla né dei profitti realizzati dai maestri
artigiani né del numero degli operai che impiegavano.
Lo stesso si può dire, più o meno, per la maggior parte
delle attività commerciali, tuttavia con qualche significativa eccezione. Queste riguardano in primo luogo il
commercio del pesce, della carne, delle spezie e degli
altri prodotti rari che erano la specialità degli spetiarii,
ma è possibile che vi si possano aggiungere, a partire
dall’inizio del XV secolo, altre attività allora in forte
crescita, come l’oreficeria, la pelletteria, la gestione
degli alberghi. Infatti, al di fuori dei produttori di stoffe
di lana che non è escluso che esportassero parte della
loro produzione nel Lazio e anche più lontano, tutti gli
artigiani e i commercianti che incontriamo nei registri
notarili lavoravano per una clientela locale, cioè per la
popolazione di una città che conta tra i 40 e i 50.000
64
79.
Confronto che devo al grande libro di HOGGART 1970, pp. 78-
462
JEAN-CLAUDE MAIRE VIGUEUR
abitanti, ma che presenta anche due particolarità suscettibili di influire in modo determinante sul livello della
domanda. La prima non può essere messa in discussione:
anche in assenza del papato, Roma è una città che trabocca di ricchezze. I principali detentori di queste ricchezze sono ben noti: si tratta innanzitutto delle chiese
romane, e specialmente delle comunità monastiche e di
canonici (Roma contava più di cinquanta capitoli, quasi
tutti dotati di grandi patrimoni), inoltre le famiglie baronali, divise in svariati rami tutti titolari di un numero
più o meno elevato di signorie castrali dalle quali traggono enormi rendite, infine le due o trecento famiglie
della nobiltà cittadina che possiedono o gestiscono la
quasi totalità del territorio che si stende in un raggio di
km 20 -25 intorno a Roma. Non è questa la sede per
tornare sul processo grazie al quale qualche decina di
chiese e qualche centinaio di famiglie romane sono venute a detenere, alla fine del Medioevo, una tale massa
di ricchezza. Questo processo non ha evidentemente
nulla a che fare con quello che ha permesso alle repubbliche marinare, Venezia, Genova e Pisa, e alle principali città manifatturiere, Milano e Firenze, di portarsi
allo stesso livello di ricchezza di Roma, e forse anche
di superarlo, ma resta il fatto che a Roma la domanda
è senza dubbio molto superiore a quello delle altre città
della stessa importanza demografica. Ma non è tutto:
nessun’altra città dell’Occidente medievale attira un
così gran numero di pellegrini come Roma, senza che
la presenza o l’assenza del papa abbia la minima influenza su questo flusso di visitatori. Certamente esso
è soggetto a delle forti variazioni, sulle quali siamo sfortunatamente poco informati, al di fuori dell’eccezionale
crescita negli anni giubilari, ma la presenza quasi permanente a Roma di una popolazione variabile da qualche centinaio a qualche migliaio di pellegrini non può
non aver avuto una forte incidenza sul livello della domanda.
L’economia locale era in grado di fare fronte a questa domanda? Certamente non per i preziosi tessuti di
lana o di seta né per gli articoli di lusso dei quali le famiglie più in vista della città erano appassionate non
meno di quelle delle più ricche città d’Italia. Questi prodotti erano oggetto di un commercio di importazione al
quale i grandi mercanti romani non mancavano d’altra
parte di partecipare. Invece, per i prodotti alimentari e gli
oggetti di uso corrente, il sistema economico romano era
perfettamente in grado di soddisfare i bisogni della popolazione, compresi quelli dei più ricchi e dei pellegrini. Non sono tuttavia convinto che tutti i mestieri
romani abbiano approfittato allo stesso modo dell’ecce-
zionale livello della domanda interna. Il consumo dei
prodotti d’uso comune non può, infatti, espandersi all’infinito, se non altro perché coloro che ne avevano la
possibilità avranno preferito concedersi l’acquisto di
qualche costoso prodotto di lusso importato piuttosto che
di moltiplicare gli acquisti di calzature, cappelli o vasellame di fabbricazione locale. Quello dei prodotti alimentari è molto più elastico e mi sembra logico pensare
che le professioni legate all’alimentazione, a cominciare da macellai, pescivendoli e droghieri-speziali, siano
stati i primi ad aver approfittato dell’alto livello di risorse
di una frazione importante della popolazione romana.
Pur non dandoci nessuna informazione sui profitti
degli artigiani e dei piccoli commercianti, i registri notarili ci danno invece una immagine precisa del loro patrimonio, e ci autorizzano a pensare che la maggior parte
di essi godessero di vera agiatezza, in quanto quasi tutti
erano proprietari della casa dove abitavano e lavoravano,
e possedevano inoltre una o più particelle a coltura intensiva che provvedevano largamente alle loro esigenze
di vino, frutta e ortaggi. La prima impressione del lettore sarà senza dubbio di vedervi una conferma di
quanto detto finora: stimolati dall’alto livello della domanda, il commercio e l’artigianato sono due settori dell’economia romana che permettono a una buona parte
di coloro che vi si dedicano di accumulare un patrimonio fondiario e immobiliare di un valore medio compreso tra i 200 e i 300 fiorini. In realtà, è necessario
rendersi conto che l’innegabile agiatezza degli artigiani
e dei commercianti romani del XIV e XV secolo ha delle
cause molto remote ed è, almeno in parte, la conseguenza
di un processo identico a quello che ha permesso l’arricchimento delle chiese e dell’aristocrazia: come le
chiese, dopo averle ricevute dal papato, si sono affrettate a concedere i grandi possedimenti della campagna
in locazione enfiteutica a lunghissima scadenza alla fascia più alta della popolazione cittadina, così, allo stesso
modo, hanno concesso, non più soltanto ai proceres ma
a tutta la popolazione romana, le migliaia e migliaia di
vigne e orti che circondano la città per un raggio di tre
o quattro km intorno alle mura. Secondo Wickham, al
quale si deve la più recente e migliore analisi di questo
lungo processo, i romani che hanno beneficiato di queste concessioni nel corso dell’XI e XII secolo hanno rapidamente acquisito la piena proprietà di queste
particelle a coltura intensiva, pur restando soggetti all’obbligo di versare alla chiesa che le aveva concesse
un quarto dei prodotti raccolti, obbligo ancora in vigore
nell’epoca che ci interessa. Ed è molto probabilmente
a un processo dello stesso tipo, sempre secondo Wic-
IL MONDO DEI MESTIERI A ROMA
kham, che si deve l’appropriazione da parte di laici di
ogni condizione sociale della maggior parte della superficie urbana, sia costruita che non, ed è questo che
avrebbe permesso alla maggior parte dei romani di diventare proprietari della loro casa 65. Come si vede dunque, a loro modo e in una misura evidentemente molto
inferiore a quella dell’aristocrazia, anche gli artigiani e
i commercianti hanno approfittato della ricchezza e
delle elargizioni delle chiese di Roma ed è senza dubbio questa una delle ragioni che spiega l’agiatezza di
cui essi godono ancora alla fine del Medioevo.
Una breve osservazione, infine, sul ruolo delle corporazioni nella vita politica romana. A Roma, come in
tutte le altre città dell’Italia comunale, le associazioni
di mestiere rappresentano una delle due forme di organizzazione utilizzate dal popolo per difendere i suoi interessi in seno alle istituzioni comunali e, infatti, a
Roma la loro presenza nei consigli e negli altri organi
dirigenti del comune è regolarmente attestata a partire
dal momento nel quale il popolo è riuscito a imporsi
come una delle principali forze politiche della città,
cioè a partire dal 1254 66. Ma a fianco delle corporazioni, il popolo dispone, con le associazioni di quartiere,
di un altro canale di partecipazione alla vita politica,
aperto all’insieme delle classi popolari e non più solo
ai membri delle corporazioni, e spesso portatore di un
programma più radicale di quello delle arti. La funzione
di questi due tipi di organizzazione nell’apparato comunale, il loro ruolo nell’evoluzione del sistema politico e i rapporti, a volte conflittuali e a volte consensuali,
che intrattengono lungo tutto il XIII e XIV secolo, sono
tra i problemi più dibattuti della storiografia sul comune.
Ci vorrebbero delle fonti per poterli risolvere, il che non
è il caso per quanto riguarda Roma, dove non si è conservato nulla degli archivi comunali. C’è tuttavia, nella
storia di Roma, un periodo un po’ meno oscuro degli
altri, e vale la pena di soffermarcisi un momento, poiché corrisponde agli ultimi quaranta anni del XIV secolo e quindi rientra in pieno nel periodo di cui stiamo
trattando. Dal 1358 o 1359 fino al 1398 il regime politico vigente a Roma si caratterizza per l’egemonia assoluta di una società popolare, la Felice Società dei
Balestrieri e Pavesati, che recluta i suoi membri nel quadro di quei mini-quartieri che a Roma si chiamano contrade e il cui numero, all’interno di ogni rione, varia in
ragione della superficie e della popolazione. Si è dunque in presenza di un sistema di organizzazione basato
esclusivamente sul luogo di residenza e sui legami che
uniscono delle persone che abitano all’interno di un perimetro limitato, molto più limitato rispetto a quello del
463
rione che costituiva fino a quel momento il solo quadro di riferimento topografico per la partecipazione alla
vita politica del comune. Ma chi sono le persone che la
Società recluta all’interno delle contrade? Non c’è alcun
dubbio: anche se non conosciamo che una minima parte
dei tremila membri della Società 67, tutti gli indizi a nostra disposizione indicano che almeno in tre casi su quattro si tratta di artigiani e di piccoli commercianti, che
si identificano quindi molto più con il mini-quartiere
dove risiedono e lavorano che con la corporazione di
cui la maggior parte di essi fa parte. Questa maggiore
importanza, per le persone del popolo, dei legami di vicinato rispetto alla solidarietà professionale non deve
stupire, se si tengono a mente i due tratti che caratterizzano la massa del popolo dei mestieri, costituito da
tutti coloro che lavorano nei settori dell’abbigliamento,
del metallo, dell’edilizia, dei trasporti, così come dalla
grande maggioranza dei contadini e dei vignaioli-ortolani: innanzitutto l’assenza quasi totale di concentrazione
topografica di questi lavoratori, sparsi in ogni rione e
spesso anche in ogni contrada della città, in secondo
luogo la forte omogeneità del loro modo di vita poiché
è per loro quasi impossibile superare un certo livello di
ricchezza, e possiedono tutti, più o meno, lo stesso tipo
di patrimonio immobiliare e fondiario, e infine il fatto
che sono tutti costretti, per scelta e/o per necessità, a
praticare una forma di pluriattività in cui il lavoro della
terra è sempre associato all’esercizio di un mestiere urbano. Quest’ultimo ha certo la sua importanza e fa
senza alcun dubbio parte degli indicatori dell’identità
individuale, ma nello spirito delle persone del popolo
il mestiere resta certamente in secondo piano tra i tratti
che segnano la loro identità collettiva e li distinguono
non solo, come è ovvio, dalle classi più elevate, ma
anche dai mestieri meno gravosi e più lucrativi. Presso
i quali si osserva esattamente l’inverso: per i pescivendoli, i macellai, i droghieri, per tutti quelli che esercitano un mestiere che offre delle reali possibilità di
arricchimento e assicura dei guadagni superiori alla
media degli altri mestieri, la professione è la base dell’identità individuale e sociale, la comunità di mestiere
prevale su tutti gli altri tipi di legame e la corporazione
rappresenta il miglior canale di partecipazione alla vita
politica. Da un lato la mentalità dei sanculotti, dall’altra lo spirito dei girondini.
65
WICKHAM 2013, pp. 80-90 per le terre della Campagna romana;
pp. 123-132 per le vigne e gli orti; pp. 157-158 per il suolo urbano.
66
MAIRE VIGUEUR 2001, pp. 141-151.
67
MAIRE VIGUEUR 2008, pp. 577-606.
464
JEAN-CLAUDE MAIRE VIGUEUR
Bibliografia
AIT 1996 = I. AIT, Tra scienza e mercato. Gli speziali a Roma
nel tardo Medioevo, Roma 1996.
BROISE, MAIRE VIGUEUR 1983 = H. BROISE, J.-C. MAIRE VIGUEUR, Strutture familiari, spazio domestico e architettura civile a Roma alla fine del Medioevo, in AA. VV.,
Storia dell’arte italiana. 12. III. Situazioni monumenti indagini. V. Momenti di architettura, Torino 1983, pp. 97160.
CORTONESI 2005 = A. CORTONESI, Il casale romano fra Trecento e Quattrocento, in ESPOSITO, PALERMO 2005, pp. 123145.
DEGRASSI 1996 = D. DEGRASSI, L’economia artigiana nell’Italia medievale, Roma 1996.
ESPOSITO 1992 = A. ESPOSITO, Strategie matrimoniali e livelli di ricchezza, in M. CHIABO’, G. D’ALESSANDRO, P.
PIACENTINI, C. RANIERI (a cura di), Alle origini della
Nuova Roma. Martino V (1417-1431), Roma 1992, pp.
571-587.
ESPOSITO, PALERMO 2005 = A. ESPOSITO, L. PALERMO (a cura
di), Economia e società a Roma tra Medioevo e Rinascimento, Roma 2005.
GÜLL 2003 = P. GÜLL, L’industrie du quotidien. Production,
importations et consommation de céramique à Rome entre
XIVe et XVIe siècle, Roma 2003.
HOGGART 1970 = R. HOGGART, La culture du pauvre. Étude
sur le style de vie des classes populaires en Angleterre
[1957], Paris 1970.
HUBERT 1990 = É. HUBERT, Espace urbain et habitat à Rome
du Xe siècle à la fin du XIIIe siècle, Roma 1990.
KRAUTHEIMER 1981 = R. KRAUTHEIMER, Roma. Profilo di una
città, 312-1308, Roma 1981.
LANCONELLI 1985 = A. LANCONELLI, Gli Statuta pescivendulorum Urbis (1405). Note sul commercio del pesce a
Roma fra XIV e XV secolo, in ArchStorRom, 108, 1985,
pp. 83-131.
LANCONELLI 2005 = A. LANCONELLI, Il commercio del pesce
a Roma nel tardo Medioevo, in ESPOSITO, PALERMO 2005,
pp. 181-203.
LORI SANFILIPPO 1981 = I. LORI SANFILIPPO, I documenti dell’antico archivio di S. Andrea «de Aquariciariis» 11151483, Roma 1981 (Codice Diplomatico di Roma e della
Regione Romana, 2).
LORI SANFILIPPO 2001 = I. LORI SANFILIPPO, La Roma dei romani. Arti, mestieri e professioni nella Roma del Trecento,
Roma 2001 (Nuovi studi storici dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo, 57).
LORI SANFILIPPO 2007 = I. LORI SANFILIPPO, Constitutiones
et Reformationes del Collegio dei notai di Roma (1446).
Contributi per una storia del notariato romano dal XIII
al XV secolo, Roma 2007 (Miscellanea della Società romana di Storia patria, 52).
MAIRE VIGUEUR 1974a = J.-C. MAIRE VIGUEUR, Les grands
domaines de la Campagne romaine, thèse de 3e cycle inédite (Université de Paris I, 1974).
MAIRE VIGUEUR 1974b = J.-C. MAIRE VIGUEUR, Les «casali»
des églises romaines à la fin du Moyen Âge (1348-1428),
in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen ÂgeTemps modernes, 86, 1974-1, pp. 63-136.
MAIRE VIGUEUR 1976 = J.-C. MAIRE VIGUEUR, Classe dominante et classes dirigeantes à Rome à la fin du Moyen
Âge, in Storia della città, 1, 1976, pp. 4-26.
MAIRE VIGUEUR 1984 = J.-C. MAIRE VIGUEUR, Capital économique et capital symbolique. Les contradictions de la
société romaine à la fin du Moyen Âge, in P. BREZZI, E.
LEE (a cura di), Gli atti privati nel tardo medio evo: fonti
per la storia sociale, Roma-Toronto 1984, pp. 213-224.
MAIRE VIGUEUR 2001 = J.-C. MAIRE VIGUEUR, Il comune romano, in A. VAUCHEZ (a cura di), Storia di Roma dall’antichità a oggi. Roma medievale, Roma 2001, pp.
141-151.
MAIRE VIGUEUR 2003 = J.-C. MAIRE VIGUEUR, Des brebis et
des hommes. La transhumance à Rome à la fin du Moyen
Âge, in D. BARTHÉLEMY, J.-M. MARTIN (edd.), Liber Largitorius. Mélanges en l’honneur de Pierre Toubert, Genève 2003, pp. 219-237.
MAIRE VIGUEUR 2008 = J.-C. MAIRE VIGUEUR, La Felice Societas dei Balestrieri e dei Pavesati a Roma: una società
popolare e i suoi ufficiali, in A. MAZZON (a cura di),
Scritti per Isa. Raccolta di studi offerti a Isa lori Sanfilippo, Roma 2008, pp. 577-606.
MAIRE VIGUEUR 2010 = J.-C. MAIRE VIGUEUR, L’Autre Rome.
Une histoire des Romains à l’époque communale (XIIeXIVe siècle), Paris 2010.
MODIGLIANI 1998 = A. MODIGLIANI, Mercati, botteghe e spazi
di commercio a Roma tra Medioevo ed età moderna,
Roma 1998.
PIETRANGELI 1976 = C. PIETRANGELI (a cura di), Guide rionali di Roma. Rione XI-S. Angelo, Roma 1976.
SELLA 1965 = P. SELLA, Glossario latino italiano. Stato della
Chiesa-Veneto-Abruzzo, Città del Vaticano 1965.
Statuti delle Arti 1885 = E. STEVENSON (a cura di), Statuti
delle Arti dei merciai e della lana di Roma, Roma 1885.
Un notaio romano del Trecento 1994 = R. MOSTI (a cura
di), Un notaio romano del Trecento. I protocolli di Francesco di Stefano de Caputgallis (1374-1383), Roma
1994.
WICKHAM 2013 = C. WICKHAM, Roma medievale. Crisi e stabilità di una città 900-1150, Roma 2013.
CONFRONTI CON ALTRE AREE ITALIANE ED EUROPEE
EUROPEAN AND ITALIAN COMPAATIVE EXAMPLES
MAESTRANZE, AMBIENTE TECNICO E COMMITTENZE
DEI CANTIERI NEL CENTRO NORD DELL’ITALIA
TRA ALTO E BASSO MEDIOEVO
Giovanna Bianchi, Aurora Cagnana
Costruire muri tra alto e basso Medioevo. Stato della
questione
Lo studio archeologico delle tecniche murarie costituisce un aspetto fondamentale dell’archeologia della
produzione. Le murature sono infatti l’esito di cicli produttivi che riguardano diversi materiali (pietra, calce,
ceramiche, vetro, legno), che coinvolgono differenti figure artigianali e che, in ogni società, coinvolgono una
notevole quantità di materiali e comportano una notevole concentrazione di lavoro umano. Lo studio delle
opere murarie costituisce pertanto una testimonianza materiale di grande valore per conoscere la transazione dall’antichità al Medioevo, periodo in cui l’industria
edilizia, soprattutto per le tecniche di approvvigionamento della materia prima, di trasporto, di sollevamento, attraversò cambiamenti assai profondi, in
relazione alle trasformazioni nell’organizzazione sociale e produttiva.
Lo sviluppo dell’archeologia postclassica, sia per
quanto riguarda lo scavo di edifici, sia per lo studio degli
elevati, ha offerto, negli ultimi decenni, una notevole
quantità di dati utili alla conoscenza dei cicli produttivi
dell’edilizia fra tarda antichità e altomedioevo 1.
Caratterizzano i secoli del tardo impero una progressiva interruzione dell’attività estrattiva e una crescente divaricazione fra Mediterraneo occidentale e
orientale.
Relativamente alla prima fase del ciclo, ovvero
quella estrattiva, si osserva una vistosa diminuzione
delle cave già nel III secolo e un sostanziale, definitivo
abbandono nel corso del IV e V secolo. Ciò vale, nel
Mediterraneo occidentale, sia per le estrazioni di pietra
calcarea 2, sia per quelle di marmi bianchi o colorati 3.
Differente è la situazione nel Mediterraneo orientale,
dove, in seguito alla fondazione di Costantinopoli, prendono avvio, proprio dal IV secolo in poi, importanti cave
di marmo 4 il cui massiccio utilizzo va avanti, perlomeno,
fino alla metà dell’VIII secolo, ovvero, per tutta l’epoca
Ommayade 5.
L’archeologia delle cave ha d’altra parte evidenziato
come nell’altomedioevo non siano scomparse del tutto
le attività estrattive, neppure in Occidente, ma siano
molto sporadiche 6, formate da coltivazioni poco estese,
di carattere episodico e occasionale e, soprattutto, caratterizzate da una geometria molto semplificata e da
una limitata gamma di strumenti 7.
Con la fine delle cave vengono meno anche le strutture in quadrato lapide, ovvero in grandi blocchi squadrati. Se un edificio come il mausoleo di Teodorico a
Ravenna rappresenta, all’inizio del VI secolo, forse l’ultima costruzione, in Occidente, con grandi blocchi squadrati estratti, altrove sono attestati, in maggior misura,
edifici realizzati in grandi spolia. Laddove l’archeologia ha consentito di elaborare datazioni oggettive 8, si è
constatato che opere quadrate di spolia sono presenti in
BROGIOLO, CAGNANA 2012, pp. 7-19.
2
BESSAC 1996, pp. 232-242.
3
CAGNANA 2014; CAGNANA c.s.
4
MARANO 2014.
5
ARCE 2014.
6
Un caso di studio di grande interesse è rappresentato dalla cava
altomedievale di Valdieri, sfruttata nell’VIII secolo per eseguire l’arredo liturgico della chiesa di Borgo San Dalmazzo di Pedona
(Cuneo). Cfr. MICHELETTO 1999; CROSETT 1999; FRISA MORANDINI,
GOMEZ SERITO 1999.
7
BESSAC 1987.
8
Per il tratto delle mura di Verona, datate ad età teodoriciana,
cfr. CAVALIERI MANASSE, HUDSON 1999; per il tratto di mura di Opitergium posteriormente al VI secolo, cfr. CASTAGNA, TIRELLI 1995.
Per Roma, le mura in opera quadrata di spolia sono datate al IX-X
secolo, cfr. SANTANGELI VALENZANI 2002; SANTANGELI VALENZANI
2004.
1
468
GIOVANNA BIANCHI, AURORA CAGNANA
Fig. 1. - Lo sviluppo diacronico dei principali tipi di opere murarie fra alto e basso medioevo (da Brogiolo, Cagnana 2012).
tutto il territorio italiano dall’età tardo antica al X secolo 9. Si tratta, generalmente, di opere pubbliche di notevole importanza (mura, torri, ridotte difensive) più
raramente di luoghi di culto (fig. 1). Studiato prevalentemente sotto l’aspetto ideologico, il fenomeno del
reimpiego rappresenta, innanzi tutto, un espediente tecnologico per imitare l’opera quadrata 10, in un ambiente
in cui la coltivazione estesa di cave era divenuta pressoché impossibile, anche a causa della mancata manutenzione di ponti e strade. La realizzazione di opere di
spolia è comunque frutto di un notevole sforzo tecnico,
in particolare per affrontare il trasporto, il sollevamento
e la posa in opera di blocchi che potevano comunque
raggiungere il peso di centinaia di chili 11.
Rispetto all’opera quadrata, il ciclo produttivo di
questo tipo di muratura è semplificato, in quanto le
complesse operazioni estrattive sono sostituite dallo
smontaggio di edifici precedenti, in genere ubicati non
lontano dal cantiere del reimpiego, onde evitare impegnative opere di trasporto (fig. 2). Le lavorazioni a
piede di muro sono limitate a sgrossature a picco o a
punta grossa che sovente si sovrappongono a quelle originali, più fini.
Quanto alle maestranze è plausibile pensare che si
tratti di specialisti itineranti, come quei marmorarii peritissimi ai quali farebbe riferimento lo stesso re Teodorico a proposito di una fornitura di materiali da Roma
a Ravenna 12. Pochi specialisti e un coagulo di forza lavoro reclutata nelle domuscultae alla periferia di Roma,
alle quali alluderebbero alcuni passi del Liber Pontificalis, sarebbero invece all’origine delle domus carolingie rinvenute nel foro di Nerva e, soprattutto, delle
mura leonine che cingevano lo Stato della Chiesa, fra
IX-X secolo 13.
Fenomeni analoghi a quelli descritti sembrano avere
caratterizzato anche le murature in opera listata e quelle
in petit appareil, particolarmente diffuse nelle provincie occidentali dell’Impero. Anche in questo caso i cubilia, o blocchetti, erano prodotti dall’estrazione in cava,
ma effettuata con sistemi meno impegnativi rispetto al-
CAGNANA 2005a; CAGNANA 2010.
10
CAGNANA 2008, pp. 42-44.
11
Per lo studio delle domus edificate nel foro di Nerva nel IX
secolo, cfr. SANTANGELI VALENZANI 2002; SANTANGELI VALENZANI
2004.
12
CASSIOD. var., I, 6.
13
SANTANGELI VALENZANI 2004.
9
MAESTRANZE, AMBIENTE TECNICO E COMMITTENZE DEI CANTIERI NEL CENTRO NORD DELL’ITALIA TRA ALTO E BASSO MEDIOEVO
469
murature che imitano il petit appareil, per lo più realizzate in blocchetti di reimpiego o in ciottoli,
tanto da conferire alle murature
quell’aspetto irregolare che ha portato a coniare la definizione di piccolo apparato ‘degradato’ 15.
Lo studio di diversi monumenti
porta alla constatazione che, in alcune regioni (come nella Liguria
Maritima), la tradizione costruttiva
del piccolo apparato sia continuata
Fig. 2. - Schema dei cicli produttivi delle murature (da Brogiolo, Cagnana 2012).
anche dopo la fine delle attività
estrattive su grande scala. Dal IV-V
secolo i blocchetti, non più forniti
da apposite cave, vengono ricavati
dallo spoglio di precedenti edifici
non più in uso (fig. 3). Le città di
Albintimilium e di Albingaunum,
molto studiate sotto questi aspetti,
testimoniano l’esistenza di una
forma ‘degradata’ del petit appareil, caratterizzata da un aspetto irregolare, dovuto all’eterogeneità dei
materiali di recupero. La vasta casistica di edifici studiati porta a ritenere che dopo il VII secolo anche
questo tipo di muratura scompare,
insieme con il declino definitivo
dell’organizzazione dei collegia urbani. Se ne deduce che, anche il
piccolo apparato non ha avuto una
continuità nell’altomedioevo, ma ha
Fig. 3. - Esempio di muratura in piccolo apparato degradato (Albenga, chiesa paleocristiana
conosciuto una battuta di arresto.
di S. Clemente, foto A. Cagnana).
Anche per due delle maggiori città
l’opera quadrata: al distacco di lastre coincidenti con
dell’Occidente, quali Roma e Milano, l’attività edilizia
gli strati naturali di rocce (per lo più sedimentarie) faviene basata sulla progressiva scarnificazione dei mocevano seguito operazioni di spacco a martello (a dopnumenti antichi e su un continuo riciclo. Di notevole
pia punta o semplice, o dentato) che consentivano di
interesse è lo studio del mercato dei reimpieghi, che è
produrre, in poco tempo, molto materiale 14. Gli scarti
stato avviato, proprio partendo dai monumenti tardo anvenivano impiegati nell’interno dei muri, mentre i bloctichi di Milano 16.
chetti costituivano i paramenti esterni degli edifici.
Interrotti il ciclo dell’opera quadrata e quello del picL’approvvigionamento da cava viene meno anche nel
colo apparato, si direbbe che l’unica muratura che concaso delle coltivazioni più semplici, ovvero quelle che
tinuò ad essere prodotta nell’altomedioevo sia stata
sfruttavano strati naturali per ottenere lastre da ridurre
l’opus incertum (ovvero in pietra e calce) ritenuto ‘anin blocchetti, impiegati nelle murature a bozzette, o in
tiquum’ all’epoca di Vitruvio, il quale, significativapiccolo apparato. Fra V e VI secolo si trovano ancora
mente, lo considerò non bello, ma più solido
14
15
BESSAC 1996.
CAGNANA 2005b, pp. 100-102.
16
FIENI 2004.
470
GIOVANNA BIANCHI, AURORA CAGNANA
(‘firmiorem’) dell’opera in cubilia 17. Se si esamina una
carta di distribuzione dell’opus incertum altomedievale,
si riscontra che esso è presente, con poche varianti, in
tutto il territorio nazionale, nei monumenti più importanti dell’altomedioevo 18.
Le ricerche condotte sulle opere murarie fra V e X
secolo hanno permesso di operare una rilettura delle fonti
scritte rappresentate, soprattutto, dalle fonti legislative
longobarde e ha consentito di riesaminare la questione
dei magistri commacini, posta già nel 1725, l’anno dell’edizione muratoriana dell’Editto di Rotari. Negli anni
seguenti, molte sono state le osservazioni e le ipotesi
interpretative del testo, in particolar modo per quanto
riguarda i tipi di murature e di opere citati nelle fonti
longobarde 19.
Alla luce dei dati materiali sembra oggi possibile
comprenderne le parti più problematiche dei testi. Vale
la pena ricordare che tali fonti sono costituite da due
capitoli dell’Editto di Rotari (144 e 145), dal memoratorium de mercede commacinorum, o prezziario, forse
dell’epoca di Grimoaldo e da un atto notarile del 739
che menziona un magister commacinus Rodpert 20. Altri
due documenti risalgono, rispettivamente, all’XI e al
XIII secolo 21.
I due capitoli dell’Editto sono da considerare fonti
legislative valide per tutto il Regno longobardo, così
come il memoratorium, come è stato ribadito anche di
recente 22.
Gli altri tre documenti attestano la presenza di magistri commacini nell’Italia centrale e nella Langobardia Minor. Non si evince, pertanto, alcun rapporto con
una città e, nella fattispecie, con Como. L’editto prescrive quali comportamenti si debbano tenere in caso
di incidenti che coinvolgano magistri appaltatori di
un’opera (insieme ai soci, o collegantes), oppure in
caso di magistri assoldati (conducti) da un proprietario,
per dirigere i suoi servi nella costruzione di un edificio. È quindi abbastanza chiaro che il testo fa riferimento
ad artigiani itineranti e che riguarda tutto il Regno Longobardo. Un maggior numero di notizie si ottiene, invece, dal Memoratorium de mercedibus commacinorum;
esso reca una serie di lavorazioni vistosamente scarna:
le varie prestazioni artigianali sono meno di una decina.
Il tariffario è suddiviso in dieci paragrafi che non paiono, però, ordinati secondo una sequenza logica, ma
piuttosto disarticolati. I capitoli che fanno riferimento
alla costruzione di particolari edifici, o annessi (de sala,
de caminata, de furnum, de puteum) sono intercalati dai
paragrafi che fanno riferimento alle murature e alle finiture delle pareti.
Un dato interessante è costituito dalla quantificazione
della ricompensa per il muratore, dato che rivela, fra il
resto, un costo del lavoro molto alto 23.
Si dice inoltre che con un solidus si possono acquistare 225 piedi di muro. Il prezzo varia, inoltre, a seconda dello spessore: è da duplicare fino alla larghezza
di un piede, da quintuplicare nel caso di strutture che
raggiungono cinque piedi di spessore.
Quanto alla tipologia delle murature, si fa cenno
soltanto all’opera ‘gallica’ e alla ‘romanense’, termini
sul cui significato molto si è dibattuto. Il senso della
prima si può meglio chiarire laddove si precisa «si cum
axibus clauserit et opera gallica fecerit […]», espressione che lascia intendere una struttura a pareti lignee,
probabilmente di tipo stabbau piuttosto che standerbau.
Riguardo all’opera ‘romanense’, il significato del
termine è una delle questioni più controverse e dibattute.
Dopo diversi anni di ricerche archeologiche, di scavi, di
ricognizioni e studi sulle opere murarie di età altomedievale penso sia possibile identificare tale tipo di opera
con le murature, di origine romana, in pietra e calce,
quelle che Vitruvio aveva definito come opus incertum;
questa è, infatti, l’unica tradizione costruttiva di età classica che non viene abbandonata durante i secoli dell’altomedioevo, neppure quando l’attività costruttiva si
riduce drasticamente 24. La ricerca archeologica mostra
anche l’esistenza di una sostanziale uniformità di tecniche su un vasto areale geografico, ciò che rispecchia proprio una realtà di maestri itineranti (fig. 4).
Un altro punto importante è la cura per le rifiniture,
manifestata dalle testimonianze materiali, talora costituite, semplicemente, da una stuccatura o rinzaffo dei
giunti, talora da un più complesso rivestimento a intonaco. L’espressione «si muro dealbaverit», e le relative
VITR. II, 8,1.
CAGNANA 2010.
19
Una esauriente e aggiornata raccolta di scritti è costituita dal
volume I magistri commacini 2009.
20
ROTHARI, Edictus 144, 145, éd. F. Bluhme, in Edictus Langobardorum, 1868, p. 33 (MGH, LL IV). Memoratorio de Mercedes
commacinorum, éd. F. Bluhme, in Edictus Langobardorum, 1868,
pp. 176-180 (MGH, LL IV).
21
Nel 1058 un «Leo f.q. Ursi magistri commacini» è attestato a
Salerno (cod. dipl. Cavensis, t. VIII, p. 83); mentre nel 1262 è menzionato un «Gualterius magister comacenus habitator civitatis
Trani» (cod. dipl. Barese, t. VIII, 1899, p. 301, doc. n. 278).
22
JARNUT 2009, pp. 2 ss.
23
BROGIOLO 2008, p. 13.
24
CAGNANA 2005b.
17
18
MAESTRANZE, AMBIENTE TECNICO E COMMITTENZE DEI CANTIERI NEL CENTRO NORD DELL’ITALIA TRA ALTO E BASSO MEDIOEVO
471
precisazioni del prezzo sembrano infatti fare riferimento all’operazione di intonacatura,
che comportava, ovviamente,
un costo maggiore, e che era
conteggiata a parte.
Collegato a questo significato è anche quello di machina,
termine che ha rappresentato,
per molto tempo, il punto di più
controversa interpretazione del
testo. Va osservato che tale
espressione ricorre quando si
parla del costo del muro in relazione all’altezza («si machina
mutaverit[…]»), ciò che induce
a ritenere che il termine faccia
riferimento a ponteggi lignei,
una delle tante macchine descritte da Vitruvio 25. Questo si- Fig. 4. - Muratura in opera incerta o romanense. Castelseprio chiesa di S. Maria (foto A. Cagnana).
gnificato, reso evidente dalla
lettura del contesto, è confermato anche da un’altra
fonte: un passo dell’Etymologicon di Isidoro di Siviglia
nel quale si afferma: «machiones dicti a machinis in quibus insistunt propter haltitudinem parietum» 26.
Fonti scritte e dati materiali indicano, dunque, che
nel pieno altomedioevo (fra VII e IX secolo), le attività
costruttive furono quantitativamente ridotte e rappresentate soprattutto dalle strutture in materiali deperibili,
dai muri in spolia (più rari) e, soprattutto dall’opera incerta, in pietra e buona calce, definita opera romanense.
Sembra dunque possibile concludere che, nei secoli dell’altomedioevo, la murature in opera incerta, intonacate,
siano l’unica tradizione costruttiva dell’età classica ad
essersi mantenuta (fig. 5).
Un argomento di notevole importanza è quello relativo alla produzione laterizia, che nei secoli dell’alto medioevo non scomparve del tutto, ma fu soppiantata da
piccole fabbricazioni destinate ad alcune parti degli edifici, mentre la grande quantità era tratta dai prelievi degli
edifici non più in funzione. Lo si è constatato nei casi
in cui sia stato possibile effettuare datazioni in termoluminescenza oltre che, nei rari casi, di laterizi bollati
‘a crudo’. Gli studi archeometrici di dettaglio effettuati
sul battistero paleocristiano di Santa Tecla di Milano 27
o sulla basilica milanese di S. Lorenzo 28 hanno dimoFig. 5. - Muratura di spolia, ottenuta con frammenti di mattoni romani (Palazzo Pignano, foto A. Cagnana).
strato che, nella quantità dei mattoni di reimpiego, una
25
26
VITR. VII, 2, 2.
ISID. orig. XIX, 8.
27
28
FIENI, MARTINI, RICCI 1998.
FIENI 2004.
472
GIOVANNA BIANCHI, AURORA CAGNANA
piccola percentuale era costituita da mattoni prodotti per
quel determinato cantiere, segno che l’attività produttiva non si era spenta. Interessanti ricerche dimensiocronologia sono state effettuate anche sui materiali
reimpiegati, giungendo a dimostrare l’esistenza di un
mercato del reimpiego 29.
La grande fornace rinvenuta presso il monastero di
San Vincenzo al Volturno rappresenta un impianto assai
evoluto, per il quale si è anche proposta l’attività di artigiani provenienti dall’area medio bizantina 30. Non si
conosce ancora quale meccanismo portò, in un momento dell’altomedioevo, a produrre mattoni di un piede
per mezzo piede, ossia molto più maneggevoli rispetto
ai pedali romani e ai loro multipli.
Alla crescita demografica e al consolidamento dei
poteri locali fa seguito, dal IX-X secolo in poi, un decisivo aumento quantitativo di queste murature 31. Il
fatto che le testimonianze aumentino consente inoltre
di cogliere anche le trasformazioni che avvengono: si
evince, in particolare, una progressiva ricerca della regolarità, attraverso una maggiore selezione del materiale
raccolto. Dai muri albati altomedievali si passerà alle
strutture a corsi sub-orizzontali e, quindi, alle opere a
corsi di bozzette lapidee, molto simili al piccolo apparato di età classica. Questo passaggio sembra essere graduale e, ancora una volta, attestato in un vasto areale
geografico, non limitato solo al Regno Italico. È interessante osservare che nello stesso periodo compare,
nelle fonti scritte, l’uso del termine ‘quadrato’ (quadris
lapidis) riferibile, a quanto pare, al recupero delle murature in piccolo apparato 32. La maggiore regolarità del
paramento si ottiene anche attraverso un uso più sistematico e ragionato del materiale di spoglio che, proprio
fra X e XI secolo, diviene più sistematico. Tutte queste
trasformazioni consentirono di limitare, sempre più,
l’impiego dei muri albati e di recuperare i muri a vista.
Anche in questo caso l’ampia estensione areale del fenomeno lascia intuire l’azione di una committenza a
largo raggio, quale può essere identificata, forse nella
rete dei monasteri benedettini 33.
Quanto al recupero della vera e propria opera quadrata, costituita da grandi elementi geometrici, esso si
colloca, in alcuni territori, fra la fine del X e l’inizio
dell’XI secolo 34 e, a livello più generale, nel corso del
MANNONI 2000.
MORAN 2000.
31
Cfr. infra.
32
MORTET, DESCHAMPS 1995.
XII secolo. L’elemento promotore, in questo caso, sembra da individuarsi nelle città, dove si afferma sempre
più, economicamente e politicamente, il ceto mercantile, che tende a investire i proventi del commercio nell’architettura per rappresentare lo status raggiunto.
L’introduzione dell’opera quadrata costituisce un balzo
tecnologico importante e segna una differenza fondamentale con le tradizioni costruttive precedenti.
Un caso di studio interessante è Genova, dove si dispone di una notevole ricchezza delle fonti scritte e materiali 35; qui si evidenzia una ‘improvvisa’ reintroduzione
delle cave e dell’opera quadrata 36. Questo fenomeno, è
da mettere in relazione, fuori di ogni dubbio, con i rinnovati e frequenti contatti con la Terrasanta e con l’Armenia, regioni dove le tecniche estrattive e di lavorazione
della pietra avevano mantenuto una maggiore continuità
durante i secoli dell’altomedioevo.
(A.C.)
Brevi considerazioni sulle trasformazioni del cantiere
tra altomedioevo e secoli centrali
All’organizzazione dei cantieri edili di età preindustriale si lega una realtà complessa nella quale interagiscono fattori dipendenti, in particolar modo, dalla
disponibilità delle materie prime, dalle conoscenze tecniche dei costruttori, dalla condizione economica sia
della singola committenza, sia del generale contesto
storico. Si potrà obiettare che queste siano caratteristiche proprie anche di altri cicli produttivi. La differenza
con il ciclo legato al costruire è insita, però, nel fatto
che molti dei luoghi dell’abitare, ma anche dell’esercizio di svariati poteri pubblici laici od ecclesiastici, hanno
da sempre svolto un ruolo di forte rappresentanza nei
confronti di chi li aveva commissionati, divenendo, di
conseguenza, uno degli indicatori più significativi di mutamenti di tipo economico, sociale e politico. Nell’analisi dei cambiamenti nell’organizzazione di cantiere
è, pertanto, importante anche la valutazione del ruolo
di coloro che recepivano queste architetture, le cui impressioni, il cui giudizio potevano acquisire una significativa rilevanza per le stesse committenze.
Da questa sintetica premessa si può evincere quanto
29
33
30
34
35
36
BIANCHI 2003.
Per Pisa: QUIRÒS CASTILLO 2005.
CAGNANA 2005a.
CAGNANA 2008; CAGNANA, MUSSARDO 2012.
MAESTRANZE, AMBIENTE TECNICO E COMMITTENZE DEI CANTIERI NEL CENTRO NORD DELL’ITALIA TRA ALTO E BASSO MEDIOEVO
473
rischiose possano essere le generalizzazioni sulle caratteristiche dei cantieri soprattutto per un periodo
ampio, come quello analizzato in questo contributo. Per
tale motivo le successive considerazioni sono rapportabili ad un ambito geografico più ristretto, riferibile al
Centro-Nord della penisola. Inoltre, per cercare di cogliere nella lunga diacronia i momenti più evidenti di
possibili cambiamenti nell’organizzazione del cantiere,
si farà riferimento alle costruzioni in materiale non deperibile, le quali sono più rappresentative di fasi di transizione o di repentine modifiche, essendo maggiormente
legate a dinamiche di committenza articolate, a loro volta
connesse a trasformazioni di ordine politico ed economico 37.
Prima di ogni riflessione sulle trasformazioni del cantiere edilizio e degli altri aspetti ad esso connessi, è necessario definire che cosa distingue un’organizzazione
complessa del costruire da una più semplificata. Ormai
da tempo ed in più sedi di edizione si è precisato, mutuando tali termini dalla ricerca antropologica, come
l’’ambiente tecnico’, definibile come l’insieme delle
conoscenze necessarie a presiedere i vari aspetti della
vita tecnica legati alla sfera domestica e lavorativa, sia
costituito anche dall’insieme delle catene operative finalizzate alla produzione di beni per singoli individui
o per l’intera comunità 38. L’insieme degli oggetti e dei
gesti necessari per la realizzazione delle singole catene
operative sono definiti ‘gruppi tecnici’. Nel mondo del
costruito non si può parlare di un unico gruppo tecnico
ma di più gruppi. A titolo esemplificativo, tra i principali gruppi possiamo individuare l’estrazione del materiale dalla cava (pietra); la produzione del materiale
da costruzione (laterizi, terra, legno); la lavorazione e
finitura del materiale; la realizzazione dei leganti (malta
di calce); la produzione di pavimentazioni, di vetri, di
rivestimenti parietali (intonaci, affreschi, marmi etc.) o
di elementi di arredo scultoreo.
Gli studi antropologici dimostrano che ad una maggiore articolazione dell’ambiente tecnico corrisponde un
maggior numero di gruppi tecnici che lo compongono.
Un cantiere di tipo semplificato prevedeva la presenza
di operatori che potevano occuparsi di più gruppi tec-
nici contemporaneamente. Al contrario un cantiere complesso era caratterizzato dalla specializzazione massima
di chi vi lavorava, ovvero era composto da un alto numero di gruppi tecnici presieduti da operatori diversificati 39. In questo cantiere i compiti erano ben divisi in
base alle specifiche competenze delle varie maestranze.
I gesti, gli strumenti, i passaggi della catena operativa
pertinenti un singolo gruppo tecnico erano riferibili a
saperi che potevano interagire anche relativamente con
quelli di altri gruppi. Il cantiere di età classica rientra
in questo tipo di organizzazione, data la presenza degli
ampi collegia, caratterizzati da un alto livello di specializzazione dei vari artigiani 40.
Rispetto a quest’ultimo tipo di cantiere, possiamo individuare un radicale cambiamento a partire dal VII secolo. Una prima testimonianza di ciò proviene dagli
stessi dati documentari. Un’organizzazione di cantiere
semplificata è ben testimoniata dai testi di VII e di VIII
secolo riferibili ai maestri comacini di cui si è scritto
nel precedente paragrafo. Dai grandi collegia di età
classica si passò, infatti, a gruppi di maestranze molto
più ridotti, itineranti tra la campagna e la città, composti da soggetti capaci di concentrare nella propria persona più specialismi e svolgere una pluralità di azioni.
Secondo Lomartire la definizione di questi compiti,
nelle fonti riferite ai comacini, delle volte poteva essere
intesa come sinonimo. Tale difficoltà, quindi, nel trovare nei documenti dei sicuri riferimenti ad una precisa
distinzione dei ruoli farebbe ipotizzare la presenza di
muratori che all’occorrenza potevano anche provvedere
a predisporre la decorazione scultorea 41. È, quindi, ipotizzabile che cicli produttivi, prima affidati a differenti
figure, fossero divenuti di competenza spesso di unici
operatori.
Per trovare, quindi, un cantiere complesso sul modello di quello tratteggiato poco sopra e tipico dell’età
classica è indubbio che, nel centro-nord della penisola,
bisogna attendere i grandi e numerosi progetti dei secoli centrali del Medioevo, relativi alla costruzione di
cattedrali, chiese, palazzi civici, cinte urbiche o castelli
nelle campagne.
Le considerazioni sinora elaborate indirizzano però
Per i casi di architetture in legno o materiale deperibile è, infatti, più difficile cogliere delle trasformazioni significative, nell’arco
cronologico qui esaminato, sia nel trattamento dei materiali impiegati, sia nella tipologia planimetrica o nelle trasformazioni interne.
Ciò non significa che tali cambiamenti non fossero presenti, come
dimostra l’ampia letteratura in proposito. Questi però avvennero in
maniera meno percettibile rispetto alle architetture in pietra o in altro
materiale non deperibile. A riguardo, per una più recente trattazione
di questo tema, si rimanda a SANTANGELI VALENZANI 2011; BIANCHI 2012a.
38
BIANCHI 2008; BIANCHI 2011; BIANCHI 2013.
39
Su questi temi si veda anche BROGIOLO 2008.
40
Per una sintesi su questo tema, in ultimo CAGNANA 2008.
41
BROGIOLO 2008; LOMARTIRE 2009.
37
474
GIOVANNA BIANCHI, AURORA CAGNANA
verso due correlate domande: un livello di specializzazione massimo o minimo può realmente essere indicativo
della reale complessità del cantiere?. La concentrazione
dei saperi in un numero più ridotto di figure fu legata ad
un impoverimento degli stessi saperi, così come spesso
sostenuto a proposito del cantiere altomedievale?.
Per una adeguata risposta a tali quesiti è, quindi, importante ricordare, seppure in estrema sintesi, quali fossero le conoscenze circolanti nel lungo periodo
compreso tra VII e XI secolo. Per questo è necessario
fare riferimento soprattutto alle evidenze materiali, tenendo a mente però una più generale considerazione.
Così come dimostrato nel precedente paragrafo, con lo
sviluppo dell’archeologia dell’architettura, le caratteristiche delle tecniche murarie sono divenute i parametri
di lettura più utilizzati per la comprensione dei livelli
di conoscenza dei costruttori e del tipo di investimento
riferibile alla generale condizione economica delle committenze. Per il periodo altomedievale l’uso esclusivo
di questi indicatori non è, però, sufficiente, perché, proprio la presenza diffusa di figure, simili ai maestri comacini, caratterizzate da specialismi multipli, induce a
valutare la reale complessità del cantiere tenendo conto
anche di altri aspetti della produzione legati al costruito.
Nel precedente paragrafo sono già stati ricordati alcuni dei gruppi tecnici ancora attivi nell’altomedioevo
in continuità o meno con l’età classica. Nella costruzione dei paramenti murari sappiamo che la chiusura
delle grandi cave a partire dal periodo tardo antico comportò spesso l’utilizzo di pietre di raccolta od estratte
da piccoli fronti di cava. Le pietre in genere presentano
scarsi segni di lavorazione e solo in rari casi si registra
una squadratura o sbozzatura del pezzo, spesso destinato a specifiche parti del paramento come cantonali o
aperture 42. Di conseguenza, come si è scritto nel precedente paragrafo, la posa in opera nei vari ambiti regionali risulta piuttosto irregolare e caratterizzata spesso
dall’impiego di materiali di diversa provenienza. Rari
e puntuali furono anche le produzioni di laterizi.
Per tutto l’altomedioevo nelle architetture in materiale non deperibile registriamo, invece, un uso costante
di malta di calce, indicativo di come tale gruppo tec-
nico continuasse ad essere presente seppure in casi più
ridotti numericamente, analogamente alla produzione di
intonaci, abbondantemente usati anche per celare un paramento murario spesso irregolare 43.
Strumenti come scalpello, gradina o subbia che i costruttori non utilizzarono diffusamente nella lavorazione
della pietra erano, invece, usati negli elementi di arredo
ed architettonici, a partire soprattutto dalla metà
dell’VIII secolo 44. Stucchi, intonaci dipinti e affreschi
continuarono ad abbellire le pareti interne delle architetture, sebbene le analisi archeometriche evidenzino,
talora, la scelta di pigmenti più economici 45. Nei primi
secoli dell’altomedioevo la costruzione di chiese, di
nuovi palazzi vescovili o di monasteri urbani e rurali,
malgrado la scala dimensionale spesso più ridotta, evidenzia una circolazione non interrotta di saperi relativi
alla progettazione architettonica ed alla misurazione
degli spazi 46.
Il sintetico riepilogo dei principali gruppi tecnici
presenti nel cantiere altomedievale non solo, quindi, limitato all’analisi della tecnica muraria, consente di rispondere in contemporanea ad ambedue le domande
formulate in precedenza.
La presenza nell’altomedioevo di gruppi tecnici legati ad un alto livello di specializzazione attesta, comunque, una circolazione di tali saperi e non una loro
interruzione drastica. In questo caso, quindi, la definizione di cantiere semplificato, soprattutto nei casi di architetture di un certo rilievo, non diviene indicativa di
una riduzione delle conoscenze tecniche e di un loro
impoverimento, ma è sintomatica di una generale semplificazione dell’organizzazione dei ruoli nello stesso
cantiere. Tale semplificazione rimanda, come sappiamo
dai numerosi studi in proposito, al più generale contesto politico-economico di quei secoli. Alla diminuzione
drastica delle committenze, rispetto anche alla tarda antichità, ora rappresentate dai più alti livelli del potere
laico ed ecclesiastico ed in minor misura dai membri
delle aristocrazie urbane e rurali e dalle medio-alte élites, corrispose un generale restringimento delle possibilità di investimento, proprio di sistema caratterizzato
Per il caso toscano, vd. BIANCHI 2008.
In ultimo, vd. VECCHIATTINI 2009, ma anche CAGNANA 2000
e infra, pp. 00.
44
BELCARI 2006; LOMARTIRE 2009.
45
Ad esempio i falsi blu nel caso del tempietto di Cividale, su
cui vd. CAGNANA, ZUCCHIATTI, ROASCIO et alii 2003.
46
Per quanto riguarda la trascrizione e diffusione dei codici agri-
mensori nell’altomedioevo si rimanda a DEL LUNGO 2004; sul tema
della trattatistica e la trasmissione di saperi si veda TOSCO 2003; sul
variare delle dimensioni degli edifici con particolare riferimento a
quelli ecclesiastici si veda l’ormai noto WARD PERKINS 1984 ed, in
riferimento a Roma e Ravenna, in ultimo AUGENTI 2008. Per un rimando bibliografico più completo a queste tematiche si veda BIANCHI 2013.
42
43
MAESTRANZE, AMBIENTE TECNICO E COMMITTENZE DEI CANTIERI NEL CENTRO NORD DELL’ITALIA TRA ALTO E BASSO MEDIOEVO
475
da scambi più localizzati e da una base economica principalmente basata sul possesso fondiario 47.
Naturalmente anche i vari specialismi risentirono di
questa frammentazione e localizzazione che, sino perlomeno all’XI secolo caratterizzò altri cicli produttivi,
come, ad esempio, quello della ceramica 48. La più ridotta disponibilità economica di queste committenze, a
cui probabilmente fu conseguente un minor numero di
maestranze impiegate, portò, pertanto, a fare degli investimenti più puntuali e mirati, soprattutto, ad enfatizzare e caricare di valore simbolico gli interni delle
architetture. Questo a discapito di una maggiore accuratezza dei muri portanti che avrebbe richiesto un maggiore dispendio economico legato ai tempi e alla
manodopera necessaria per lavorare e rifinire gli stessi
materiali da costruzione, come dimostrato dall’uniforme
distribuzione dell’opera incerta in base a quanto scritto
nel precedente paragrafo. I gruppi tecnici da attivare nel
cantiere legati ai diversi cicli produttivi sarebbero, pertanto, stati selezionati da una committenza interessata
a contenere i costi dell’intera operazione costruttiva. La
diffusione di tali saperi specializzati relativi al costruire
fu legata anche alla costante mobilità dei gruppi di specialisti chiamati in cantieri urbani e rurali per organizzare il cantiere, coordinando i costruttori locali o la stessa
manovalanza non specializzata 49. In recenti analisi archeologiche di murature in pietra altomedievali si è potuto distinguere il lavoro delle maestranze specializzate,
caratterizzato dall’adozione di una tecnica di più alto
impegno costruttivo, rispetto a quella delle ipotetiche
maestranze facenti riferimento ad un ambiente tecnico
costruttivo locale più semplificato, chiamate a coadiuvare gli specialisti nel cantiere 50. Per alcuni studiosi,
inoltre, la scomparsa, dalla fine dell’VIII secolo, del termine commacino, quasi sinonimo di specifici saperi
tecnologici, sarebbe indicativo proprio dell’accresciuto
numero di maestranze specializzate a riprova, quindi,
del mantenimento di un livello di specializzazione nel
cantiere di questi secoli 51.
La selezione dei gruppi tecnici e la maggiore attenzione all’interiorità degli edifici può forse ritenersi
anche l’esito di una differente percezione delle archi-
tetture, conseguente ad un cambio culturale rispetto all’età classica. Già nel VII secolo, secondo Tosco, il vescovo Isidoro di Siviglia, nelle sue Etimologie, sembra
riprendere il termine vitruviano di vetustas, originariamente indicativo di proporzioni e ritmo, per conferirgli
un nuovo significato riferibile all’ornamento aggiunto
dell’edificio 52. Per Isidoro, quindi, la bellezza dell’edificio deriverebbe maggiormente dalla magnificenza e
dall’importanza delle decorazioni applicate all’architettura 53. Il valore dell’architettura risiedeva, pertanto,
soprattutto al suo interno e il parametro della ricchezza
della stessa committenza ed il valore insito nella simbologia associata a ciò, oltre alle decorazioni architettoniche dipendeva anche dai ‘tesori’ contenuti dagli
stessi edifici 54. Pertanto, all’interno di una cultura ed
un’economia evidentemente in forte trasformazione, appare pienamente comprensibile la minore cura che si
prestava ‘all’involucro’ di questi spazi interni, ovvero
allo stesso paramento murario. Non bisogna, inoltre, dimenticare che la stessa chiesa, come dimostrano gli
scritti di X secolo del vescovo Raterio di Verona, indicava come elementi distintivi del dives, almeno per le
élites di età post carolingia una serie di caratteristiche
riguardanti soprattutto manifestazioni esteriori e ‘mobili’ della ricchezza come vesti, gioielli, pellicce 55. E’,
comunque, indubbio che i materiali costruttivi durevoli,
come la pietra, anche se di riuso, continuarono ad avere
un forte significato di potere e ricchezza nei primi secoli dell’altomedioevo, differenziando le architetture
dove questi materiali furono impiegati. Ciò è, del resto,
attestato dalle differenti definizioni delle abitazioni presenti nelle fonti scritte di area longobarda significative
di una diversità di status dei loro abitanti, con il palatium al vertice della scala di importanza, seguito da
domus o sala ed in ultima posizione da curtis e casa 56.
Prima, però, di arrivare di nuovo al cantiere complesso
della piena età romanica, caratterizzato da più specialismi legati al lavoro di diversificate maestranze, è, quindi, importante individuare i possibili cenni di cambiamento
che, data la rilevanza dell’’industria’ del costruire, possono divenire anche esplicativi di trasformazioni nella fi-
WICKHAM 2009, pp. 184-196, 231-260.
Per il caso toscano, si veda CANTINI 2011.
49
GALETTI 1997, pp. 100-103.
50
BIANCHI 2013.
51
In AZZARA 2009, pp. 20-31 si ricorda che nell’Italia centronord il termine commacino non venne più usato dal 720, a fronte
di una sua diffusione sino all’XI secolo, nei territori della Langobardia minor.
TOSCO 1993.
Oltre a Tosco, a proposito del cambio di retorica della costruzione si veda anche WICKHAM 1988.
54
Sul concetto di ricchezza nell’altomedioevo italiano si veda
GELICHI, LA ROCCA 2004 e DEVROEY, FELLER, LE JAN 2010.
55
LA ROCCA 2004, p. 131
56
JARNUT 2005, p. 344.
47
48
52
53
476
GIOVANNA BIANCHI, AURORA CAGNANA
sionomia economica delle stesse committenze e nel livello
di percezione delle stesse architetture.
In base ai dati archeologici a nostra disposizione è
più facile riconoscere tali segnali nelle campagne. È,
infatti, in questo ambito che, a partire soprattutto dalla
disgregazione dell’impero carolingio, quindi dalla seconda metà-fine IX secolo, si registra la diffusa riorganizzazione di molte aziende rurali (inserite o meno nel
sistema curtense) coincidente con più incisive iniziative
da parte delle signorie fondiarie, coinvolte, dal regno
di Beregario I, in un maggiore numero di concessioni
e privatizzazioni di diritti prima di prerogativa statale 57.
Nel momento in cui la fisionomia di queste signorie si
avviò dalla dimensione pubblica a quella privata, nel
graduale passaggio da signoria fondiaria a locale, è evidente un aumento dei cantieri nelle campagne finalizzato a ridefinire nuclei abitati, preesistenti o meno, con
nuove cinte murarie, più sporadiche architetture in pietra od edifici religiosi interni agli stessi circuiti 58.
Spesso, in particolare nell’Italia padana, tale ridefinizione si legò ad ampie progettazioni degli spazi costruiti 59 che, pur riguardando nuclei abitativi ancora in
legno, sono comunque indicative di una più ampia scala
di cambio di assetto 60. Sino all’XI secolo, le caratteristiche generali del cantiere, tratteggiate in precedenza,
non sembrano però cambiare, dal momento che fonti
scritte e materiali indicano ancora la circolazione di piccoli gruppi di maestranze specializzate, depositarie di
più saperi spesso concentrati nello stesso operatore.
Quello che sembra mutare è, invece, la scala ed il numero degli interventi che andò di pari passo ad un aumento dei cantieri e alla presenza di una manodopera
non specializzata più numerosa, forse anche perché sottoposta ai più incisivi poteri coercitivi delle nuove signorie locali. Tale contesto legato al costruire, che si
sviluppò parallelamente ad altri importanti cambi nelle
campagne riguardanti l’aumento demografico, la maggiore razionalizzazione delle risorse agricole, il progressivo aumento delle produzioni ceramiche, mantenne
però il carattere di una forte localizzazione e frammentazione che comportò l’applicazione dei saperi ancora in puntuali contesti edilizi legati, a volte, a
specifiche condizioni strettamente connesse alle vicende
storico-politiche. È questo il caso dei miscelatori da
malta, diffusi in Toscana e non in altre regioni italiane
(nemmeno nei grandi cantieri romani) a causa, ipotizziamo, di forti legami e conseguenti flussi di saperi tra
la Marca di Tuscia e l’area germanica, dove tali miscelatori furono ampliamenti diffusi 61; oppure il caso
dell’impiego diffuso della litotecnica nel cantiere ottoniano della basilica di S. Lorenzo a Milano, frutto probabilmente di un flusso di saperi sempre provenienti
dall’area germanica 62 od ancora l’adozione di icnografie uniche alla metà dell’XI secolo, come per la chiesa
da poco riportata in luce in località Canonica a Montieri, simbolo di un forte investimento del vescovo di
Volterra finalizzato ad un maggiore controllo dello sfruttamento dell’argento 63.
Il vero cambiamento, come abbiamo anticipato in
precedenza, è, quindi, registrabile solo a partire dal XII
secolo, quando anche si verifica una sempre più massiccia diffusione di murature costruite con pietre sbozzate o squadrate, così come si è sottolineato nel
precedente paragrafo. Esaminando le caratteristiche materiali dei cantieri di questo periodo, è evidente di nuovo
una specializzazione massima accompagnata dall’apertura di un impressionante numero di cantieri sia in città
come in campagna. La crescita politica ma anche economica delle ormai formate signorie locali, il loro radicamento nelle campagne, l’esigenza di intercettare
ricchezze ormai non più garantite dalle autorità centrali
e la conseguente dialettica messa in moto dalla forte
competizione tra gli stessi esponenti signorili, attivò dei
meccanismi di impresa indicativi dello spessore e maturità economica raggiunto dalle stesse aristocrazie rurali nel loro processo di formazione, iniziato nei primi
decenni del X secolo 64.
L’archeologia dell’architettura mostra in maniera
chiara all’interno dei cantieri rurali ancora la presenza di
maestranze specializzate itineranti, al servizio dei nuovi
committenti, con il compito di coordinare quelle locali
sovente legate da un rapporto di dipendenza ai nuovi signori. L’aumentata entità degli operatori impiegati nei
nuovi cantieri e dei relativi livelli di specializzazione,
connessa ad un numero sicuramente maggiore di maestranze circolanti nel centro-nord della penisola, è desumibile anche analizzando alcuni dati provenienti
dall’archeologia sperimentale. La simulazione di alcuni
CAMMAROSANO 1996; CAMMAROSANO 2009.
BIANCHI 2014.
59
Come nel caso di Piadena o S. Agata Bolognese BROGIOLO,
MANCASSOLA 2005; GELICHI, LIBRENTI, MARCHESINI 2014.
60
Per considerazioni generali su questo tema BIANCHI 2013.
BIANCHI 2012b.
FIENI 2004.
63
BIANCHI, BRUTTINI, GRASSI 2012.
64
Per una sintesi su questi temi e relativa bibliografia si veda
BIANCHI 2014.
57
58
61
62
MAESTRANZE, AMBIENTE TECNICO E COMMITTENZE DEI CANTIERI NEL CENTRO NORD DELL’ITALIA TRA ALTO E BASSO MEDIOEVO
cicli del cantiere edilizio mostra che per costruire 2 m3
di muratura, corrispondenti, quindi, ad una piccola porzione di paramento murario, fossero necessari kg 520 di
calce viva e 1000 litri di acqua per produrre kg 420 di
‘grassello’ che mescolato poi con kg 600 di aggregati
(sabbie) avrebbe portato alla produzione di circa kg
1100 di malta di calce 65. Sempre dall’archeologia sperimentale sappiamo che per squadrare un concio di medio grandi dimensioni erano necessarie dalle cinque alle
sei ore di lavoro 66. Solamente questi dati, se rapportati
alle realtà architettoniche del tempo, forniscono un quadro davvero impressionante della nuova forza lavoro
impiegata, specializzata o meno. Basti solo considerare
che per una pieve di media grandezza, come ad esempio
quella di S. Giovanni a Campiglia Marittima, è stato calcolato l’impiego (per difetto) di circa 8000 conci squadrati per la sua costruzione nella seconda metà del XII
secolo 67. Tale conteggio acquisisce un maggiore spessore
se rapportato all’immaginabile e altissimo numero di
conci prodotti, ad esempio, nello stesso secolo per costruire un intero castello, seppure di non grandi dimensioni, ad esempio sul modello del noto Rocca San
Silvestro che occupava circa un ettaro di estensione. Altrettanto significativo è il dato relativo all’acqua necessaria per produrre il giusto quantitativo di malta di calce
per edificare un intero castello o grandi architetture religiose (cattedrali ma anche i nuovi monasteri rurali, ad
esempio). Tale quantità di acqua presuppone il suo trasporto (nel caso che il cantiere fosse lontano da fonti idriche) da parte di un notevole numero di persone e tale
lavoro fu più impegnativo nel caso dei castelli costruiti
o riedificati nel corso del XII secolo, locati nella maggioranza dei casi in alture di variabile altezza, sprovviste di fonti idriche capaci di fornire l’acqua necessaria.
Tali informazioni, con dati sicuramente in eccesso in alcuni casi od in difetto per altri, da un lato sono indicative del numero di persone impiegate e dall’altro,
soprattutto in ambito rurale, della capacità coercitiva
del signore nel richiedere prestazioni d’opera, la cui entità a volte è solo intuibile dalle fonti documentarie. Al
tempo stesso, però, questi dati sono indicativi della
nuova situazione economica dei committenti e della loro
capacità di impresa che, in ambito urbano, portò all’innalzamento delle grandi cattedrali o dei nuovi circuiti
murari sorti in gran numero proprio nel corso del XII secolo. In contemporanea, il ricorso ad una tecnica regoFICHERA 2012.
CAGNANA 2000.
67
BIANCHI 2004.
65
66
477
lare, composta da conci sbozzati o squadrati, seguendo
una posa in opera che caratterizzerà ogni tipo di architettura edificata in pietra tra XII e XIII secolo, mostra
come il paramento murario, la superficie dei muri, contrariamente all’altomedioevo, avesse allora acquisito un
valore simbolico legato ai poteri della stessa committenza e all’entità di investimento.
Dal XII secolo si era, quindi, concluso il tempo degli
investimenti nel costruito limitati e selezionati e non ci
fu più necessità di scegliere quale gruppo tecnico privilegiare, con l’uscita dei maestri costruttori e progettisti dal precedente e diffuso anonimato, per legare il
proprio nome ad architetture simbolo a tutto tondo di
una nuova dimensione del costruito.
(G.B.)
Bibliografia
ARCE 2014 = I. ARCE, Late antique and Umayyad quarries
in the Near East. A model of optimization of resource, in
BONETTO, CAMPOREALE, PIZZO 2014, pp. 383-412.
AUGENTI 2008 = A. AUGENTI, A tale of two cities. Rome and
Ravenna between 7th and 9th century AD, in S. GASPARRI
(a cura di), 774. Ipotesi su una transizione, Turnhout
2008, pp. 175-198.
AZZARA 2009 = C. AZZARA, Magistri commacini, maestranze
e artigiani nella legislazione longobarda, in I magistri
commacini 2009, pp. 19-34.
BELCARI 2006 = R. BELCARI, Elementi architettonici e di arredo dal monastero altomedievale di S. Pietro in Palazzuolo a Monteverdi (Pisa), in R. FRANCOVICH, M. VALENTI
(a cura di), Atti del IV Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Chiusdino-Siena, 26-30 settembre
2006), Firenze 2006, pp. 581-586.
BESSAC 1987 = J.C. BESSAC, Matériaux et construction de
l’enceinte augustéenne de Nîmes, in M.J. COLIN (a cura
di), Les enceintes augustéennes dans l’Occident roman
(France, Italie, Espagne, Afrique du Nord), in EcAntNimes, 18, 1987, pp. 25-38
BESSAC 1996 = J.C. BESSAC, La pierre en Gaule narbonnaise
et le carrières du Bois des Len (Nîmes): histoire, archéologie, ethnographie et techiques, in JRA, suppl. 16,
Ann Arbor (Michigan) 1996.
BIANCHI 2003 = G. BIANCHI, Costruire un castello, costruire
un monastero. Committenze e maestranze nell’alta Maremma tra X e XI secolo attraverso l’archeologia dell’architettura, in R. FRANCOVICH, S. GELICHI (a cura di),
Monasteri e castelli fra X e XII. Il caso di San Michele
alla Verruca e le altre ricerche storico-archeologiche
nella Tuscia occidentale, Firenze 2003, pp. 143-158.
BIANCHI 2004 = G. BIANCHI, La pieve di S. Giovanni: la costruzione dell’edificio, in G. BIANCHI (a cura di), Campiglia Marittima: un castello ed il suo territorio, Firenze
2004, pp. 687-692.
BIANCHI 2008 = G. BIANCHI, Costruire in pietra nella Toscana
medievale. Tecniche murarie dei secoli VIII-inizio XII, in
AMediev, XXXV, 2008, pp. 23-38.
478
GIOVANNA BIANCHI, AURORA CAGNANA
BIANCHI 2011 = G. BIANCHI, Archeologia dell’Architettura e
indicatori materiali di storia sociale: il caso toscano e
l’Italia centro Nord tra IX e XII secolo, in AArchit, XV,
2011, pp. 205-210.
BIANCHI 2012a = G. BIANCHI, Building, inhabiting and “perceiving” private houses in early medieval Italy, in Arqueología de la Arquitectura, 9, 2012, pp. 195-212.
BIANCHI 2012b = G. BIANCHI, Miscelare la calce tra lavoro
manuale e meccanico. Organizzazione del cantiere e possibili tematismi di ricerca, in G. BIANCHI (a cura di),
Dopo la calcara: la produzione della calce nell’altomedioevo. Nuovi dati da Lazio e Toscana fra ricerca sul
campo, archeologia sperimentale e archeometria, in AArchit, XVI, 2012, pp. 9-18.
BIANCHI 2013 = G. BIANCHI, Modi di costruire, organizzazione del cantiere e politiche edilizie nelle campagne del
regno italico tra seconda metà IX e X secolo: continuità
o rinnovamento?, in M. VALENTI, C. WICKHAM (a cura di),
Italia 888-962: una svolta?, Turnhout 2013, pp. 365-395.
BIANCHI 2014 = G. BIANCHI, Archeologia della signoria di
castello (X-XIII secolo), in S. GELICHI (a cura di), Quarant’ anni di Archeologia Medievale in Italia. La rivista,
i temi, la teoria, i metodi, in AMediev, n. speciale, 2014,
pp. 157-172.
BIANCHI, BRUTTINI, GRASSI 2012 = G. BIANCHI, J. BRUTTINI,
F. GRASSI, Lo scavo della Canonica di San Niccolò a Montieri (Gr), in Notiziario della Soprintendenza per i Beni
Archeologici della Toscana, 8, 2012, pp. 564-567.
BONETTO, CAMPOREALE, PIZZO 2014 = J. BONETTO, S. CAMPOREALE, A. PIZZO (a cura di), Arqueología de la construcción IV. Las canteras en el mundo antiguo: sistemas
de explotación y procesos productivos. Actas del congreso
(Padova, 22-24 novembre de 2012), Mérida 2014.
BROGIOLO 2008 = G.P. BROGIOLO, Aspetti e prospettive di ricerca sulle architetture altomedievali tra VII e X secolo,
in AMediev, XXXV, 2008, pp. 9-22.
BROGIOLO, CAGNANA 2012 = G.P. BROGIOLO, A. CAGNANA,
Archeologia dell’Architettura. Metodi e interpretazioni,
Firenze 2012.
BROGIOLO, MANCASSOLA 2005 = G.P. BROGIOLO, N. MANCASSOLA (a cura di), Scavi al castello di Piadena (Cr), in
S. GELICHI (a cura di), Campagne medievali. Strutture materiali, economia e società nell’insediamento rurale dell’Italia settentrionale (VIII-X secolo). Atti del Convegno
(Nonantola-Mo, San Giovanni in Persiceto-Bo, 14-15
marzo 2003), Mantova 2005, pp. 147-248.
CAGNANA 2000 = A. CAGNANA, Archeologia dei materiali da
costruzione, Padova 2000.
CAGNANA 2005a = A. CAGNANA 2005, L’introduzione dell’opera quadrata medievale a Genova: aspetti tecnologici e contesto sociale, in Arqueología de la Arquitectura,
4, 2005, pp. 23-46.
CAGNANA 2005b = A. CAGNANA, Le tecniche murarie prima
del Romanico: evidenze archeologiche, fonti scritte, ipotesi interpretative, in R. SALVARANI, G. ANDENNA, G.P.
BROGIOLO (a cura di), Alle origini del Romanico. Atti
delle III Giornate di studi medievali (Castiglione delle Stiviere, 25-27 settembre 2003), Brescia 2005, pp. 93-122.
CAGNANA 2008 = A. CAGNANA, Maestranze e opere murarie
nell’alto Medioevo: tradizioni locali, magistri itineranti,
importazione di tecniche, in AMediev, XXXV, 2008; pp.
39-54.
CAGNANA 2010 = A. CAGNANA, Materiali da costruzione e
cicli produttivi fra IX e X secolo, in P. GALETTI (a cura
di), Edilizia residenziale tra IX e X secolo. Storia e archeologia, Firenze 2010.
CAGNANA 2014 = A. CAGNANA, I cavatori del marmo di Luni:
il lavoro e la cultura attraverso le fonti epigrafiche, in
BONETTO, CAMPOREALE, PIZZO 2014, pp. 167-178.
CAGNANA c.s. = A. CAGNANA, La fine delle cave dell’Africa
romana spunti di riflessione, in c.s.
CAGNANA, MUSSARDO 2012 = A. CAGNANA, R. MUSSARDO,
“Opus Novum” Murature a bugnato del XII secolo a Genova: caratteri tipologici, significato politico, legami con
l’architettura crociata, in F. REDI, A. FORGIONE (a cura
di), Atti del VI Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (l’Aquila, 12-15 settembre 2012), Firenze 2012,
pp. 87-92.
CAGNANA, ZUCCHIATTI, ROASCIO et alii 2003 = A. CAGNANA,
A. ZUCCHIATTI, S. ROASCIO, P. PRATI, A. D’ALESSANDRA,
Indagini archeometriche sui materiali da costruzione del
tempietto di S. Maria in Valle di Cividale del Friuli. I
parte: gli affreschi altomedievali, in AArchit, VIII, 2003,
pp. 69-88.
CAMMAROSANO 1996 = P. CAMMAROSANO, Nobili e re. L’Italia politica dell’alto Medioevo, Roma-Bari 1996.
CAMMAROSANO 2009 = P. CAMMAROSANO, Società e politica
nel Regnum Italiae tra X e XI secolo, in I magistri commacini 2009, pp. 275-290.
CANTINI 2011 = F. CANTINI, Dall’economia complessa al
complesso di economie (Tuscia V-X secolo), in Post Classical Archaeologies, 1, 2011, pp. 159-194.
CASTAGNA, TIRELLI 1995 = D. CASTAGNA, M. TIRELLI, Evidenze archeologiche di Oderzo tardoantica ed altomedievale: i risultati preliminari di recenti indagini, in G.P.
BROGIOLO (a cura di), Città, castelli, campagne nei territori di frontiera (secoli VI-VII). V. Seminario sul Tardoantico e l’Altomedioevo in Italia Centro-settentrionale
(Montebarro-Galbiate, 9-10 giugno 1994), Mantova 1995,
pp. 121-134.
CAVALIERI MANASSE, HUDSON 1999 = G. CAVALIERI, P.J. HUDSON, Nuovi dati sulle fortificazioni di Verona (III-XI secolo), in G.P. BROGIOLO (a cura di), Le fortificazioni del
Garda e i sistemi di difesa dell’Italia settentrionale tra
tardo antico e alto medioevo, Mantova 1999, pp. 71-92.
CROSETTO 1999 = A. CROSETTO, L’arredo scultoreo altomedievale: prime riflessioni, in MICHELETTO 1999, pp. 117148.
DEL LUNGO 2004 = S. DEL LUNGO, La pratica agrimensoria
nella Tarda Antichità e nell’Alto Medioevo, Spoleto 2004.
DEVROEY, FELLER, LE JAN 2010 = J.-P. DEVROEY, L. FELLER,
R. LE JAN (a cura di), Les élites et la richesse au Haut
Moyen Âge, Turnhout 2010.
FICHERA 2012 = G. FICHERA, Archeologia sperimentale alla
Rocca di San Silvestro (LI). Dal ciclo di produzione della
calce alla costruzione di una casa, in G. BIANCHI (a cura
di), Dopo la calcara: la produzione della calce nell’altomedioevo. Nuovi dati da Lazio e Toscana fra ricerca
sul campo, archeologia sperimentale e archeometria, in
AArchit, XVI, 2012, pp. 86-95.
FIENI 2004 = L. FIENI, La costruzione della basilica di San
Lorenzo di Milano, Cinisello Balsamo 2004.
FIENI, MARTINI, RICCI 1998 = L. FIENI, S. MARTINI, R. RICCI,
Il battistero di San Giovanni alle Fonti di Milano. Un caso
di studio archeologico-archeometrico, in AArchit, III,
1998, pp. 91-108.
MAESTRANZE, AMBIENTE TECNICO E COMMITTENZE DEI CANTIERI NEL CENTRO NORD DELL’ITALIA TRA ALTO E BASSO MEDIOEVO
FRISA MORANDINI, GOMEZ SERITO 1999 = A. FRISA MORANDINI, M. GOMEZ SERITO, Riconoscimento e ipotesi sulla
provenienza di elementi marmorei, in MICHELETTO 1999,
pp. 149-153.
GALETTI 1997 = P. GALETTI, Abitare nel Medioevo. Forme e
vicende dell’insediamento rurale nell’Italia altomedievale, Firenze 1997.
GELICHI, LA ROCCA 2004 = S. GELICHI, C. LA ROCCA (a cura
di), Tesori. Forme di accumulazione della ricchezza nell’alto medioevo (secoli V-XI), Roma 2004.
GELICHI, NOVARA 2000 = S. GELICHI, P. NOVARA (a cura di),
I laterizi nell’alto Medioevo italiano, Ravenna 2000.
GELICHI, LIBRENTI, MARCHESINI 2014 = S. GELICHI, M. LIBRENTI, M. MARCHESINI (a cura di), Un villaggio nella pianura. Ricerche archeologiche in un insediamento
medievale del territorio di S. Agata Bolognese, Firenze
2014.
JARNUT 2005 = J. JARNUT, Dove abitavano le aristocrazie longobarde?, in G.P. BROGIOLO, A. CHAVARRIA ARNAU, M.
VALENTI (a cura di), Dopo la fine delle ville: le campagne dal VI al IX secolo. 10. Seminario sul tardo antico e
l’alto medioevo (Gavi, 8-10 maggio 2004), Mantova 2005,
pp. 343-348 (Documenti di Archeologia, 39).
JARNUT 2009 = J. JARNUT, I maestri commacini come indicatori della situazione culturale del Regno Longobardo,
in I magistri commacini 2009, pp. 1-18.
I magistri commacini 2009 = I magistri commacini. Mito e
realtà del Medioevo lombardo. Atti del XIX Congresso internazionale di studio sull’alto medioevo (Varese, Como,
23-25 ottobre 2008), Spoleto 2009.
LA ROCCA 2004 = C. LA ROCCA, Tesori terrestri, tesori celesti, in S. GELICHI, C. LA ROCCA (a cura di), Tesori.
Forme di accumulazione della ricchezza nell’alto medioevo (secoli V-XI), Roma 2004, pp. 123-142.
LOMARTIRE 2009 = S. LOMARTIRE, Commacini e marmorarii.
Temi e tecniche della scultura tra VII e VIII secolo nella
Longobardia maior, in I magistri commacini 2009, pp. 151210.
MANNONI 2000 = T. MANNONI, I problemi dei laterizi altomedievali, in GELICHI, NOVARA 2000, pp. 213-221.
MARANO 2014 = Y. MARANO, Le cave di marmo nella tarda
479
antichità: aspetti organizzativi e produttivi, in BONETTO,
CAMPOREALE, PIZZO 2014, pp. 413-427.
MGH = Monumenta Germaniae Historica, Hannoverae-Berolini 1826 ss.
MICHELETTO 1999 = E. Micheletto (a cura di), La chiesa di
San Dalmazzo a Pedona: archeologia e restauro, Madonna
dell’Olmo (Cuneo) 1999.
MORAN 2000 = M. MORAN, Produzione di laterizi in un monastero meridionale in epoca carolingia: San Vincenzo al
Volturno (IS), in GELICHI, NOVARA 2000, pp. 169-184.
MORTET, DESCHAMPS 1995 = V. MORTET, P. DESCHAMPS (a
cura di), Recueil de textes relatifs à l’histoire de l’architecture et à la condition des architectes en France au
Moyen Âge, XIe-XIIIe siècles, (1911-1929), Paris 1995.
QUIRÒS CASTILLO 2005 = J.A. QUIRÒS CASTILLO, Tecnicas costructivas altomedievales en la ciudad de Pisa y en la Toscana nordoccidentale, in Arqueología de la Arquitectura,
4, 2005, pp. 81-112.
SANTANGELI VALENZANI 2002 = R. SANTANGELI VALENZANI,
Il cantiere altomedievale. Competenze tecniche, organizzazione del lavoro e struttura sociale, in RM, 109, 2002,
pp. 419-426.
SANTANGELI VALENZANI 2004 = R. SANTANGELI VALENZANI,
Abitare a Roma nell’alto medioevo, in L. PAROLI, L. VENDITELLI (a cura di), Roma dall’antichità al Medioevo. II. Contesti tardoantichi e altomedievali, Milano 2004, pp. 41-59.
SANTANGELI VALENZANI 2011 = R. SANTANGELI VALENZANI,
Edilizia residenziale in Italia nell’altomedioevo, Roma
2011.
TOSCO 1993 = C. TOSCO, Isidoro di Siviglia e l’architettura
dell’Alto Medioevo, in Studi Storici, XXXIV, n. 1, 1993,
pp. 95-119.
VECCHIATTINI 2009 = R. VECCHIATTINI, La civiltà della calce.
Storia, scienza e restauro, Genova 2009.
WARD PERKINS 1984 = B. WARD PERKINS, From classical antiquity to the Middle Ages. Urban public building in northern and central Italy, AD 300-850, Oxford 1984.
WICKHAM 1988 = C. WICKHAM, L’Italia e l’alto Medioevo,
in AMediev, XV, 1988, pp. 105-124.
WICKHAM 2009 = C. WICKHAM, Le società dell’alto medioevo. Europa e Mediterraneo, secoli V-VIII, Roma 2009.
LA CONSTRUCTION ET LES CHANTIERS DE LA FRANCE MEDIEVALE
Philippe Bernardi
C’est dans le cadre d’une confrontation entre le cas
romain et les autres aires géographiques que la présente
contribution prend place. Vaste sujet en vérité que celui
des chantiers médiévaux, même si – comme cela sera
le cas ici – le propos est réduit au territoire de la France
actuelle et aux derniers siècles du Moyen Âge.
Il n’est pas question de prétendre proposer dans les
quelques pages qui vont suivre un bilan et, moins encore, une synthèse des travaux menés actuellement en
France dans un domaine aussi dynamique que celui de
la construction médiévale. Sous les effets conjoints du
développement, depuis les années 1970, de l’archéologie médiévale et, plus récemment, de l’archéologie du
bâti, d’un renouvellement des études sur les comptabilités de chantiers, et d’un recours croissant aux sciences
dures (à travers la dendrochrononologie, l’analyse pétrographique ou l’archéométallurgie, entre autres), ce
champ de recherches s’est considérablement élargi; se
fragmentant en diverses spécialités aux méthodes et aux
avancées diverses. L’une des manières d’évoquer «La
construction et les chantiers de la France médiévale»
peut être de chercher à rendre compte de cette diversité. C’est ce que j’essaierai de faire au cours dans cet
article, sans entrer dans le détail des résultats et en me
concentrant sur trois questions majeures en ce qui
concerne l’histoire de la construction: celle des rythmes
économiques, celle des matériaux et celle de la main
d’œuvre.
L’étude des chantiers médiévaux a, en France, une
longue histoire qui s’ancre fortement dans l’attention
que le XIXe siècle a pu porter au Moyen Âge. Antoine
Quatremère de Quincy 1 consacre une vingtaine de pages
à l’«architecture gothique» 2 dans le second (1801-1820)
des trois volumes dédiés à l’Architecture qu’il rédige
pour l’Encyclopédie méthodique 3. L’auteur y porte un
jugement encore sévère sur un art qu’il estime être le
«produit de la corruption du goût, de l’ignorance de
toutes règles, de l’absence de tout sentiment original [...]
sorte de monstre engendré dans le chaos de toutes les
idées, dans la nuit de la barbarie, mélange incohérent
de souvenirs confus, de traditions oblitérées, de modèles
disparates» 4. Il se livre néanmoins à une analyse de cette
architecture, tente de rendre compte de son origine, de
son caractère distinctif et de son goût du décor; témoignant, ainsi, des prémices d’un intérêt pour l’architecture médiévale dont l’étude connaîtra, dans les
décennies suivantes, un grand développement grâce,
notamment à des personnages comme Arcisse de Caumont (1801-1873). Cet historien, après avoir créé la Société des antiquaires de Normandie (1824), dispensa à
partir de 1830 son «Cours d’antiquités monumentales»
et créa en 1834 la Société française pour la conservation et la description des monuments historiques – qui
deviendra la Société française d’archéologie – à laquelle il associa une revue, le Bulletin monumental, et
qui, depuis la même date, prend en charge l’organisation et la publication des Congrès archéologiques de
France. Le «dénombrement complet des monuments
français» que cette Société (règlement constitutif art. II)
s’est assigné comme tâche, accompagne l’inscription des
premiers monuments à préserver sur la liste des Monuments historiques, établie par Prosper Mérimée
(1840), et où figurent, entre autres, des édifices médiévaux tels que la cathédrale de Laon, la basilique Saint-
1
Archéologue, philosophe, critique d’art et homme politique
français, 1755-1849.
2
L’épithète n’a alors pas encore le sens restreint que nous lui
donnons et couvre une grande part de l’architecture médiévale.
3
QUATREMÈRE DE QUINCY 1801-1820, pp. 455-474.
4
QUATREMÈRE DE QUINCY 1801-1820, p. 463.
482
PHILIPPE BERNARDI
Rémi de Reims, les abbayes de Conques, et de Montmajour, le Palais des Papes d’Avignon ou le donjon du
château de Beaugency.
C’est dans les mêmes années que furent créés l’Ecole
nationale des Chartes (1821), le Comité des travaux historiques et scientifiques (1834) ou les Annales archéologiques (1844), qui précédèrent de peu la publication
des premiers volumes du Dictionnaire raisonné de l’architecture française du XI au XVIe siècle d’Eugène Emmanuel Viollet-Le-Duc (10 volumes, 1854-1868) 5.
Le fait que la plupart des associations, comités et revues mis en place dans les premières décennies du XIXe
siècle soient encore très actifs aujourd’hui montre, s’il
en était besoin, que l’histoire des constructions médiévales s’inscrit dans une tradition à la fois longue et vivace. Cette dimension historiographique est une richesse
mais elle fait parfois peser sur la discipline le poids de
notions ou de présupposés sur lesquels il est nécessaire
de revenir.
L’architecture envisagée a ainsi longtemps été une
architecture monumentale, ne prenant en compte que les
édifices insignes; le «monument» se définissant, pour
Aubin-Louis Millin (1759-1818), comme un «ouvrage
de l’art érigé dans une place publique, pour conserver
et transmettre à la postérité la mémoire des personnages
illustres ou des événements remarquables» 6. L’archéologie médiévale apparaît ainsi, dans un premier temps,
«pour l’essentiel» comme une archéologie monumentale: une «branche de l’histoire de l’art tournée uniquement vers l’analyse des monuments de pierre
(églises ou châteaux)», pour reprendre les termes d’André Debord 7. Elle se trouvait en quelque sorte subordonnée à l’étude des archives qui, elle aussi, concerna
avant tout les entreprises les plus prestigieuses.
Pendant plus d’un siècle, jusque dans les années
1960, l’approche de l’architecture médiévale se fit en
grande partie par ce biais, ce qui a orienté notablement
notre perception de ce domaine. Les grandes synthèses
sur la construction médiévale qui marquent la fin des
années 1950 8 évoquent ainsi essentiellement des ouvrages monumentaux. C’est dans ce contexte que l’on
trouve mention du terme «chantier» 9 qui s’impose à nous
comme une évidence pour parler de la construction médiévale.
Le chantier est monumental ou cathédral par excel-
lence mais à concentrer la critique sur l’objet somme
toute limité du chantier, le mot «chantier» lui-même en
apparaît anodin. Est-ce bien le cas? Revenir sur ce que
peut véhiculer ce terme comme présupposés pour notre
approche de la construction médiévale s’impose, à mon
sens, comme un préalable.
«Chantier», vous avez dit «chantier»?
Le mot «chantier» vient du latin classique cantherius (cheval hongre, mauvais cheval de charge) et désigne chez Vitruve, par métaphore, le chevron. Il a, au
Moyen Âge, le sens de «support», désignant en particulier les pièces de bois sur lesquelles on place des tonneaux (1261), la cale supportant l’objet que l’on veut
façonner (1611), d’où l’expression mettre en chantier,
«commencer (un travail)» (1753). Il désigne, dès 1400
au moins, un «entassement de matériaux», ne prenant
que dans la seconde moitié du XVIIe siècle (1680) le
sens moderne, demeuré usuel, d’«atelier en plein air»,
«lieu où l’on construit un bâtiment», «où on le démolit» (chantier de construction, de démolition), «où l’on
effectue divers travaux» (construction ou réfection des
voies, etc.). Il implique l’idée d’un «grand travail en progression» 10.
Ce triple sens de lieu, d’action et du résultat de l’action se retrouve dans la difficulté que les principales
langues européennes ont trouvée pour traduire le mot
«chantier»:
- espagnol: obra, mais poner en marcha;
- italien: cantiere, mais una strada con lavori in corso
(une rue en chantier);
- allemand: baustelle;
- anglais: building site, construction site, mais workings (travaux) et yard (pour indiquer le lieu de
construction de quelque chose d’autres qu’un bâtiment - boatyard).
L’usage même du mot «chantier» dans les études sur
la construction n’est pas linéaire. Dans son étude sur
Le chœur de la cathédrale d’Evreux depuis sa restauration, Robert-Auguste-Louis Avril, comte de Burey, en
1898, fait, par exemple, mention de «pierres tombales,
DU COLOMBIER 1953; GIMPEL 1958; AUBERT 1960-1961.
Par exemple dans le titre de l’ouvrage de Pierre du Colombier:
Les chantiers des cathédrales.
10
Trésor de la Langue Française informatisé: http://atilf.atilf.fr.
8
VIOLLET-LE-DUC 1854-1868.
6
MILLIN 1806, définition citée par POULOT 2006, p. 30.
7
DEBORD 1991, p. 219.
5
9
LA CONSTRUCTION ET LES CHANTIERS DE LA FRANCE MEDIEVALE
dont celle qui nous occupe, et qu’on avait reléguées en
dehors de la cathédrale, dans le chantier, au milieu des
matériaux et des décombres de toutes sortes» 11. Mais,
on le voit, c’est le sens d’«entassement de matériaux»
qui est ici sollicité. Une décennie plus tôt, Eugène Lefèvre-Pontalis, use aussi du terme dans son travail sur
la nef de la cathédrale du Mans, notant que «les artistes
du moyen âge ne terminaient pas toujours leurs chapiteaux sur le chantier et qu’ils se contentaient quelquefois de les dégrossir avant de les mettre en place» 12. Le
«chantier» paraît alors réduit à la loge des tailleurs de
pierre, sens qui est celui attesté, par exemple, en 1854
chez l’abbé Crosnier 13 et en 1913 chez René Fage 14.
Un rapide sondage dans les publications disponibles sur
le site Gallica de la Bibliothèque nationale de France 15
pour les occurrences communes à chantier et cathédrale
laisse entrevoir un développement de l’usage du terme
– avec le triple sens que nous lui donnons – autour de
1920, en relation étroite, semble-t-il, avec les restaurations imposées par les bombardements de la première
guerre mondiale. Tout se passe comme si, à la lumière
des chantiers de restauration, l’aspect organisationnel
ou technique de la construction des bâtiments médiévaux s’imposait avec plus d’évidence aux historiens.
Jusque dans les années 1950-1960, les études utilisant le terme «chantier» dans leur titre demeurent toutefois rares 16. Les auteurs préfèrent se référer à la
«construction», dans des travaux qui s’avèrent essentiellement monographiques et s’intitulent simplement La
cathédrale ou le château de…, voire La construction de
la cathédrale de…ou du château de… Le titre du livre
de Pierre du Colombier formalise, de ce point de vue,
une certaine rupture décalant le centre d’intérêt de l’édifice vers sa mise en œuvre; ce que tentent à leur maCOMTE DE BUREY 1898, p. 18.
LEFÈVRE-PONTALIS 1889, p. 35.
13
CROSNIER 1854, p. 116: «Nous avons présumé que, ne voulant
pas que les ouvriers fussent gênés dans leurs travaux, les architectes,
après avoir établi le plan général et fondé en conséquence, mettaient
simultanément les maçons à l’oeuvre aux deux extrémités, laissant
la partie centrale pour la libre circulation des travailleurs, ou pour
servir de chantier aux tailleurs de pierre».
14
FAGE 1913, p. 92: «Au XVIe siècle la sculpture se faisait encore assez souvent dans le chantier avant la pose […]».
15
http://gallica.bnf.fr.
16
La bibliographie donnée dans l’édition de 1975 de l’ouvrage
de Du Colombier, ne fait apparaître que quatre occurrences de ce
terme dont deux antérieures à 1950: BRUTAILS 1899-1901 et PIETRESSON DE SAINT-AUBIN 1928-1929.
17
GIMPEL 1958.
18
AUBERT 1960-1961.
19
BEAUJOUAN 1963; DAVID 1965.
483
nière les deux synthèses contemporaines de Jean Gimpel et Marcel Aubert respectivement intitulées Les bâtisseurs de cathédrales 17 – ce qui met l’accent sur les
hommes – et La construction au Moyen Âge 18 – qui dégage la construction, l’action de construire, d’un objet
particulier pour l’envisager comme un domaine, un métier.
Si le chantier a dès lors pleinement droit de cité dans
le corps des études, il s’affiche encore peu dans leurs
titres. Il ne se rencontre guère que dans quelques travaux comme ceux de Guy Beaujouan ou Marcel
David 19, dans les années 1960, ou de quelques autres,
dont Philippe Braunstein 20, dans les années 1980.
«Chantier» devient, en revanche, un mot incontournable dans les années 1990-2000 21.
Plusieurs phases sont ainsi observables, après les années 1920, dans l’usage du mot «chantier». A partir des
années 1950 – et surtout 1960-1970 – nous assistons,
en effet, au développement d’une archéologie médiévale «en tant qu’activité réellement scientifique» 22; développement qui voit se diversifier l’archéologie
médiévale et la recherche s’ouvrir à l’ensemble du bâti
y compris le plus modeste, notamment celui du village.
Parallèlement, l’attention des historiens se porte sur les
aspects économiques et sociaux du bâtiment 23.
Les années 1960-1970 marquent ainsi une césure
forte et un passage d’une histoire stylistique de la
construction, à la recherche d’une appréhension de la
réalité quotidienne des chantiers: des infrastructures
techniques, de l’origine, du prix et du transport des matériaux, de l’outillage et du recrutement de la main
d’œuvre. Si le recours au mot «chantier» devient relativement courant, il s’affiche encore peu, nous l’avons
vu, dans le titre des travaux. Il fallut, pour cela, que la
11
12
20
BRAUNSTEIN 1985; YANTE
STEIN1986; BRAUNSTEIN 1990.
1985; LEGUAY 1985; BRAUN-
21
Citons simplement les ouvrages collectifs GUILLAUME 1991;
CHAPELOT 2001; CROUZET-PAVAN 2003; L’Échafaudage 1996; ACETO,
ANDALORO, CASSANELLI et alii 1996.
22
DEBORD 1991, p. 219. C’est, par exemple, en 1961 que débutent les premières enquêtes de la VIe section de l’EPHE sur les villages désertés, d’une part, et la fouille du village de Rougiers par
Gabrielle Démians d’Archimbaud, de l’autre. C’est en 1971 qu’est
créée la revue Archéologie médiévale et quatre ans plus tard que
sort le Manuel d’archéologie médiévale de Michel de Bouärd (DE
BOUÄRD 1975).
23
C’est, par exemple, en 1971 qu’est publiée l’enquête dirigée
par Pierre Chaunu Le bâtiment, enquête d’histoire économique XIVeXIXe siècles (CHAUNU 1971) et un an plus tard qu’a lieu le Congrès
de la Société des Historiens Médiévistes de l’Enseignement Supérieur Public consacré à La construction au Moyen Âge (La construction au Moyen Âge 1973).
484
PHILIPPE BERNARDI
recherche en matière de construction franchisse une seconde étape, dans les années 1990-2000, avec un renouveau du recours aux textes, y compris dans
l’approche du bâti le plus monumental 24.
L’usage du mot ‘chantier’ peut, on le voit, être mis
en relation avec une attention portée au processus de
construction qui dépasse ou transcende l’objet construit
lui-même: c’est la construction (à la fois acte de
construire et domaine d’activité) qui est au centre de
l’enquête et qu’illustre parfois la monographie. Mais son
affichage dans le titre des travaux semble lié à un renouveau de l’approche monumentale qui, à partir d’une
reprise des sources écrites, se réapproprie une partie de
la démarche développée par les archéologues et historiens médiévistes à partir des année 1960-1970. Or,
l’usage du terme ‘chantier’ paraît fortement lié à l’approche que l’on peut avoir du bâti et plus particulièrement aux sources dont nous disposons pour envisager
ce bâti. En effet, si par chantier nous considérons l’organisation mise en place pour édifier un bâtiment, les
comptes de construction ou comptes de chantier se présentent comme une source majeure sinon pour la qualité des détails fournis, au moins par l’ampleur des
renseignements qu’ils fournissent. Or ces comptes
concernent, il faut bien le reconnaître, avant tout de
grands édifices.
Nous trouvons confirmation de cette tendance dans
les récents congrès de l’Association francophone d’histoire de la construction (Paris, 19-21 juin 2008, et Lyon,
29-31 janvier 2014). Les actes du premier congrès, publiés en 2010 sous le titre Edifices et artifices 25, regroupent 125 contributions. Si l’une des grandes parties
qui structurent le volume est bien intitulée «Les chantiers», ce terme est peu utilisé dans les titres des différents articles (treize contributions y recourent). Il s’agit
alors de traiter du théâtre antique de Vaison-la-Romaine 26, du Palais du Trône de Bangkok 27, de diverses
églises rouennaises et troyennes 28, de l’hôtel de ville
d’Arles 29, du temple de Vernègues 30, des «grands chan-
tiers de la première Naples angevine» 31, c’est-à-dire de
‘grands chantiers’, jamais de ‘petits’. Il en va de même
pour le congrès de 2014 qui ne compte que 7 références
au chantier dans les 140 intitulés contenus dans le programme. Et là encore les grands chantiers dominent. Le
terme de ‘chantier’ n’est généralement pas mis en avant
dans le cas des constructions les plus modestes; ce que
confirment les publications consacrées à ce type de bâti
tels les deux volumes envisageant La maison au Moyen
Âge dans le Midi de la France 32, édités en 2002 et 2008.
Là encore, le terme chantier n’apparaît pas dans les titres. Et il en va de même dans l’importante bibliographie sur la maison médiévale rassemblée sur le site des
sociétés savantes de Toulouse 33.
Les habitudes prises sont tenaces mais, même si les
titres n’en rendent pas vraiment compte, les travaux de
recherche se multiplient sur les chantiers médiévaux plus
modestes, sur leur approvisionnement, l’organisation
du travail ou l’économie de ces constructions: à partir
des sources archéologiques mais également des sources
écrites qui, pour les derniers siècles du Moyen Âge, ne
manquent pas pour l’habitat privé.
L’usage du terme chantier demeure pratique pour désigner «l’atelier de construction à l’air libre» ou «le lieu
où s’effectue la construction d’un bâtiment» et nous l’entendrons en ce sens malgré son anachronisme s’agissant du Moyen Âge. Depuis le XIXe siècle, ce sens
restreint a toutefois – c’est ce que j’ai essayé de montrer – été chargé de certains a priori qui peuvent influer
sur notre lecture des chantiers médiévaux. Au-delà de
son caractère monumental, sur lequel j’ai déjà insisté,
le chantier est en premier lieu un objet isolé par l’historien.
La palissade qui clôture, qui isole la construction du
reste de la cité est, pour nous, une image forte relayée
par l’expression «chantier interdit au public» apposée
sur les barrières de chantier. Cela contribue à l’isolement du chantier comme une entité forte, fermée sur
elle-même, et détermine en partie la manière dont nous
24
Ce regain d’intérêt est bien marqué, par exemple, par le dossier de la Revue de l’art (1995, n. 110) dirigé par René Locatelli et
Eliane Vergnolle et intitulé «Les comptes de construction médiévaux et l’histoire de l’architecture». En ce qui concerne le recours
au mot «chantier» dans les titres, citons, outre les ouvrages collectifs déjà mentionnés les articles et ouvrages suivants: TEYSSOT 1992;
BECK 1993; JENZER 1994; LARDIN 1998; CAILLEAUX 1999; SALAMAGNE 2001; COSTANTINI 2003; BAUD 2003; REVEYRON 2005;
HAMON 2008; BAUDEZ 2008. C’est aussi dans ces années que sont
réédités l’ouvrage de Pierre du Colombier (DU COLOMBIER 1953),
le recueil de Victor Mortet et Paul Deschamps (MORTET, DESCHAMPS
1911-1929) et l’enquête dirigée par Pierre Chaunu (CHAUNU 1971).
CARVAIS, GUILLERME, NÈGRE et alii 2010.
MIGNON 2010.
27
FILIPPI 2010.
28
L’HÉRITIER, DILLMANN 2010.
29
TAMBORÉRO 2010.
30
BADIE, ZUGMEYER 2010.
31
BÉRENGER 2010.
32
NAPOLÉONE, SCELLÈS 2002; NAPOLÉONE, SCELLÈS 2008.
33
http://www.societes-savantes-toulouse.asso.fr/samf/grmaison/
bibligen.htm.
25
26
LA CONSTRUCTION ET LES CHANTIERS DE LA FRANCE MEDIEVALE
l’abordons. Cette clôture était-elle, cependant, une réalité à l’époque médiévale?.
Alors que des structures éphémères telles que les cintres ou les échafaudages ont laissé des traces aussi bien
sur les bâtiments que dans les sources écrites, aucune attestation de barrières de chantier n’a, à ma connaissance,
été relevée pour la période médiévale. Les représentations de travaux de construction contemporaines, pourtant assez nombreuses, n’en donnent pas non plus à voir.
L’absence de mentions et de figurations de palissades
n’implique bien sûr pas que ces dernières n’aient jamais
existé. Il faut bien constater, toutefois, que la clôture du
chantier n’apparaît pas aussi marquée que de nos jours.
Cela ne semble pas un point si secondaire que cela
car la clôture réelle ou idéologique du chantier a une
grande incidence sur la manière dont il a été abordé.
Quand le bâtiment va…
La construction a souvent été considérée comme un
domaine à part dans les activités de production, notamment sous l’effet de cette entité que serait le chantier: à la fois lieu de travail et objet du travail.
Dans une note fameuse sur «Le maçon médiéval: problèmes de salariat», parue en 1935 dans les Annales,
Marc Bloch 34 revient, en quelques phrases, sur la singularité de cette activité: «La construction d’une cathédrale, d’un monastère avec son église et ses multiples
édifices, d’un château, voire d’un pont, exigeait une
main-d’œuvre considérable, groupée en un ample atelier. [...] dans un monde dominé presque tout entier par
l’artisanat, la production des grands ouvrages architecturaux dut, par une exception quasiment unique, s’organiser, au contraire, sous la forme de vastes entreprises
et entraîna, de bonne heure, un régime de salariat [...]».
Que l’on perçoive l’organisation des grands chantiers comme une «exception quasiment unique», comme
Marc Bloch, ou que l’on considère, avec Jacques Le
Goff, que «La production en grand des matières premières (pierre, bois, fer), la mise au point de techniques
et la fabrication d’un outillage pour l’extraction, le
transport, l’érection de matériaux de taille et de poids
BLOCH 1935, p. 216.
LE GOFF 1964, pp. 46-47.
36
LOPEZ 1952, p. 438.
37
BIGET 1974, p. 160.
38
CONTAMINE 1978, p. 23.
34
35
485
considérables, le recrutement de la main-d’œuvre, le financement des travaux, tout cela a fait des chantiers de
construction [...] le centre de la première, et presque de
la seule industrie médiévale» 35; le résultat est un isolement du domaine de la construction du fait de sa démesure ou de son «anormalité».
Cet isolement n’a pas été sans incidence sur la difficulté ou les réticences à envisager la construction
comme un domaine de «production» à part entière. Il a
contribué au soupçon de «pétrification» des richesses
qui pèse sur des entreprises édilitaires dont les fins seraient «économiquement improductives» 36. L’idée a été
contestée, depuis la parution de l’article de Robert
Lopez, en 1952, notamment par Jeran-Louis Biget qui
met en avant le fait que «le développement de l’architecture et du décor gothiques dans le Midi de la France
[épouse] étroitement l’évolution des revenus ecclésiastiques» 37 et pèse donc d’un poids moindre sur l’économie des villes que ce que le supposait Lopez.
Plus que la notion d’«investissement défensif» défendue par Philippe Contamine pour qui «les dépenses
militaires étaient susceptibles, en fin de compte, d’être
inférieures aux pertes matérielles et humaines qu’entraînerait leur absence ou leur insuffisance» 38, les recherches de Jean-Louis Biget reviennent sur le caractère
soit disant ‘improductif’ de l’édification des cathédrales;
relevant que «Au contraire, elle draine vers elles [les
cités] une part du revenu agricole supérieure à la normale et contribue par-là à vivifier les activités urbaines» 39.
Ce que Jean-Louis Biget met en évidence avec cette
vivification des activités urbaines est le caractère abusif de l’image, employée, par exemple, par Henry Kraus
dans son étude sur le financement des cathédrales, selon
laquelle gold was the mortar 40. Le raccourci met en
avant de manière efficace le coût de ces entreprises édilitaires, mais en gommant leur dimension productive,
c’est-à-dire le nécessaire passage par une phase de transformation qui par combinaison du travail et du capital
donne lieu à un revenu en contrepartie 41.
Il n’y pas immobilisation simple d’un capital de la
part du ou des commanditaires, mais transformation de
ce capital en revenus perçus par les personnes contri-
BIGET 1974, p. 158.
C’est la première partie du titre original de son ouvrage, KRAUS
1979.
41
C’est une des définitions de la production retenue dans ALBERTINI, SILEM 1995.
39
40
486
PHILIPPE BERNARDI
buant à la production du bien matériel projeté: l’édifice. Le fait qu’une cathédrale ne puisse pas se vendre
paraît rendre l’immobilisation définitive d’où sans doute
l’image de la pétrification. Outre le fait qu’une église
neuve puisse drainer des fidèles et des dons – donc des
revenus – en plus grand nombre, il faut souligner une
fois de plus que le bâti ne se réduit pas aux lieux de
culte et que la revente possible de divers immeubles –
y compris sous forme de matériaux 42 – rend cette immobilisation de capital très relative.La construction apparaît, en cela, non comme un domaine clos mais
comme une activité économique, productive parmi les
autres. Constatant que «les cathédrales sont le fruit des
moissons», qu’elles «s’enracinent dans la prospérité de
leur terroir», Jean-Louis Biget 43 met en avant leur soumission à des rythmes économiques.
Peut-on pour autant «faire émerger des rythmes économiques» - comme y invitaient les organisateurs de ce
colloque - en ce qui concerne les chantiers médiévaux
français?
Cela semble bien difficile dans l’état de nos connaissances à l’échelle d’un pays. La fin de l’«âge classique
de l’architecture gothique» – généralement fixée dans
les années 1270-1280 – ne marqua aucunement, en
France, en matière d’architecture, le terme des grandes
entreprises de construction. Pour ne s’en tenir qu’aux
cathédrales, de nombreux chantiers se poursuivent passée cette date: celle de Narbonne est en travaux à partir de 1286; le choeur de celle de Toulouse à partir de
1300; celle de Perpignan, en 1324. La guerre de Cent
ans, elle-même, ne marqua pas un coup d’arrêt pour le
domaine du bâtiment. Elle suscita même de nombreux
chantiers de fortification 44. La «conjoncture de 1300»
n’empêcha pas l’érection du Palais de Papes d’Avignon
ou du Louvre de Charles V (env. 1360-1364). L’atonie
qui paraît avoir marqué le milieu parisien des premières
décennies du XVe siècle n’est pas générale puisque c’est
autour de 1400 que l’on commence à bâtir, par exemple, le château de Pierrefonds ou la chartreuse de
Champmol; en 1429 et 1434 que débutent respectivement les constructions des cathédrales de Saint-Pol-deLéon et de Nantes, avant que l’on assiste, à partir des
années 1490, à ce «renouveau flamboyant» qui a dura-
blement marqué le paysage architectural parisien, entre
autres.
Suivant la nature des chantiers considérés, suivant
les lieux aussi, la conjoncture peut apparaître très diverse à l’échelle de la France actuelle. Et quand tout va
mal, le bâtiment peut assez bien se porter, comme nous
l’observons, par exemple, au cours de la guerre de Cent
ans.
Nous sommes, de plus, dépendants des enquêtes menées. Les recherches sur l’activité du bâtiment conduites
à l’échelle d’une ville sont très rares en France 45. L’intérêt porté á l’éclosion du gothique a longtemps occulté
les productions postérieures. Les chantiers les mieux documentés ont, de même, pris le pas sur les entreprises
moins bien servies par les sources écrites. Et nous revoilà face aux grands chantiers, souvent considérés
comme des cas un peu particuliers. Ces entreprises ‘exceptionnelles’ fonctionnèrent-elles sur un mode si différent des autres chantiers?
L’encadrement de cette main d’œuvre considérable
a, bien sûr, suscité la mise en place de structures comme
les fabriques, ou œuvres, qui apparaissent au début du
XIIIe siècle pour des raisons diverses: le besoin de centraliser des ressources d’origines multiples; la nécessité
de répondre par une structure spécifique à une direction polycéphale; ou le besoin d’assurer, par l’assignation, des revenus plus stables permettant de pérenniser
l’entreprise.
A échelle plus réduite, le besoin d’un personnel d’encadrement ne se faisait certes pas sentir, mais la rationalisation n’était pas étrangère au monde des petits
chantiers. Elle se manifeste, par exemple, dans l’adoption d’un vocabulaire relativement normalisé pour désigner aussi bien les divers matériaux que les modes de
rémunération du travail 46.
L’adoption d’étalons, véritables «pierres de compte»
auxquelles peuvent être réduites toutes les autres pierres,
est ainsi mentionnée dans les statuts marseillais du milieu du XIIIe siècle et se retrouve appliquée à l’ensemble de la Provence au XIVe siècle 47. Le recours à ces
étalons va de pair avec la normalisation du vocabulaire
qui facilite les échanges par la fixation d’un certain nombre de formes types de matériaux ou de rémunérations.
Les termes vagues de pièce de bois ou de pierre, par
Sur ce point voir BERNARD, BERNARDI, ESPOSITO 2008.
43
BIGET 1974, p. 156.
44
Cfr., par exemple, CONTAMINE 1978; RIGAUDIÈRE 1985; BLIECK,
CONTAMINE, FAUCHERRE et alii 1999; NICOLAS 2005; LOPPE 2010.
45
Pour la France, l’industrie du bâtiment est envisagée globale-
ment pour diverses cités, bien que de manière plus ou moins poussée, notamment dans LEGUAY 1969; ROUDIÉ 1975; BERNARDI 1995;
LARDIN 1998; MOULIN 2007.
46
Sur ce dernier point voir la récente étude BECK, BERNARDI,
FELLER 2014.
47
BERNARDI 2004.
42
LA CONSTRUCTION ET LES CHANTIERS DE LA FRANCE MEDIEVALE
487
Les historiens de l’architecture ont accordé une
grande attention à l’apparition de loges «où les ouvriers
travaillaient à l’abri des intempéries, rangeaient leurs
outils, prenaient leurs repas» 48. Cette installation semble nouvelle au XIIIe siècle: époque à laquelle elle est
pour la première fois figurée sur un vitrail de la cathédrale de Chartres.
Certaines représentations médiévales ne montrent
qu’un simple appentis mais les ouvriers pouvaient aussi
disposer de véritables bâtiments en dur. C’est, ainsi, d’un
bâtiment ne mesurant pas moins de 50 m de long sur
14 m de large dont disposaient en 1385 les ouvriers travaillant à Poitiers. Et nombre de bâtiments préexistants,
promis ou non à la démolition ont pu jouer ce rôle. La
«loge» a eu, d’après les historiens, une grande importance dans la mesure où, permettant la taille des pierres
à l’abri des intempéries, elle aurait conduit à une certaine permanence du travail et atténué les effets de l’hi-
ver sur le rythme des constructions. Ce que sous-tend
cette proposition est, au-delà, d’une modification dans
l’organisation du chantier, une possibilité de spécialisation du travail; les tailleurs de pierre qualifiés se
voyant employables sur l’année. Mais la loge ne doit
pas cacher le chantier. Toutes les activités liées à une
construction ne sauraient se concentrer dans la loge
dont l’image forte participe à son niveau de la clôture
«conceptuelle» du chantier.
Le terme de chantier, nous l’avons vu, a longtemps
été appliqué au lieu de stockage des matériaux, mais en
milieu urbain, ce stockage se faisait-il toujours sur le
lieu de la construction? On peut en douter. La standardisation de certains éléments, leur taille en série, bien
mise en évidence sur le chantier d’Amiens 49, permet
une relative distance entre production et mise en oeuvre.
Dans la mesure où une partie au moins de la taille
des pierres s’effectuait en carrière, le stockage sur le
chantier se voyait considérablement réduit. L’emploi, démontré depuis plusieurs années maintenant 50, de pièces
de bois vert pour les charpentes va dans le même sens.
Carrière, forêt, quais de débarquement apparaissent ainsi
comme des annexes du lieu de construction. Encore que
le terme d’annexe soit ambigu dans la mesure où il laisse
supposer un rattachement exclusif au lieu de construction, alors qu’une carrière ou une forêt pouvait desservir plusieurs chantiers et fonctionner de manière
relativement autonome.
C’est le cas, par exemple, des carrières de la Couronne qui, de l’Antiquité à l’époque moderne, ont approvisionné l’ensemble du bassin marseillais 51. C’est
le cas également des carrières parisiennes dont la production fut utilisée jusqu’en Bourgogne, via les vallées
de la Seine et de l’Yonne, pour édifier les portails des
cathédrales de Sens ou d’Auxerre 52.
La plupart des charpentes du sud-est de la France,
furent édifiées, pour leur part, avec des bois issus des
forêts des Alpes distantes de centaines de kilomètres et
achetées à des producteurs alpins 53. Une standardisation relative pouvait faciliter cette dissociation.
En France, la recherche s’est développée ces dernières années, «par matériau». Des questionnements de
plus en plus pointus, conjuguant les approches archéo-
48
COLDSTREAM 1992, p. 10. Les travaux déjà un peu anciens de
MORTET 1904 et AUBERT 1958 ont été en partie renouvelés par
RECHT 1995.
49
KIMPEL 1977.
50
Voir notamment CHAPELOT 2003.
Voir PÉDINI 2013.
Voir BLANC, LEROUX 2008.
53
L’étude la plus développée et la plus récente sur la question
BOUTICOURT 2014.
exemple, font ainsi place dans nos sources à des appellations correspondant à des pièces de dimensions relativement standardisées que l’on retrouve, notamment,
dans les tarifs de péages. Le vocabulaire, commun à l’ensemble des constructeurs, marque à sa manière un recours à une relative standardisation qui dégage, au
moins partiellement, la production de la commande, du
‘sur mesure’.
Les organisateurs de ce colloque invitaient dans leur
programme à «saisir les transformations de l’organisation productive au cours des siècles: des types de matière première employés à la complexité des processus
productifs et des objets produits, à la spécialisation du
travail, à l’organisation topographique des ateliers».
Même si de nombreuses contributions rassemblées dans
ce volume envisagent les productions liées au monde
du bâtiment (chaux, pierre, bois…), «Objets produits»,
«organisation topographique des ateliers» semblent des
notions un peu éloignées du monde du chantier médiéval tel qu’il a longtemps été envisagé. L’évolution de
la recherche dans le domaine de l’histoire de la construction médiévale engage à en douter.
Chantier ou atelier: les matériaux du bâtiment
51
52
488
PHILIPPE BERNARDI
logiques, l’étude des sources écrites et les analyses de
laboratoire ont entraîné une forte spécialisation dont rendent compte, depuis les années 1980, de nombreux colloques et publications collectives consacrées à la pierre,
à la terre cuite architecturale, à la terre crue, au bois ou
au verre 54.
La cession ou l’achat des droits de quelques carrières
ou forêts dans le cadre d’un chantier a amené souvent
à conclure à une forme d’autarcie, contredite par l’étude
même des matériaux, à l’exemple de ces traces archéologiques ténues d’un transport par voie d’eau, inscrites sur les poutres de bâtiments provençaux 55. Les
enquêtes, historiques, archéologiques, physico-chimiques, géologiques, dendrochronologiques et autres
mettent, en effet, en évidence la diversité des provenances et, à travers cela, l’importance du marché. Toutefois, la spécialisation par matériau débouche encore
trop souvent sur une forme d’enfermement problématique concentrant les recherches sur des caractérisations
de plus en plus poussées et délaissant les aspects économiques de l’approvisionnement, encore peu traités,
sauf dans le cas de la pierre et de la terre cuite.
L’autonomie des grands chantiers est aussi à reconsidérer sur un autre plan. Gros acheteurs de matériaux,
ces derniers pouvaient aussi, à l’occasion, se présenter
comme des plaques tournantes d’un commerce de redistribution des matières premières. Ce peut être par la
revente des matériaux surnuméraires, des provisions ou
«garnisons» trop importantes, mais aussi par la mise sur
le marché des matériaux récupérés lors de démolitions,
comme le montre l’étude du chantier de l’église de Gisors, dans le Vexin français 56.
Ce rôle de moteur reste cependant encore à étudier.
Une relative division du travail entre la carrière, la
forêt, le four à chaux aussi ou la tuilerie, ou la forge,
ou la verrerie, laisse entendre que ces travaux pouvaient
être confiés à des équipes différentes de celles des maçons et des manoeuvres montant les murs ou des charpentiers installant les échafaudages, fabricant les cintres
et posant les charpentes.
Nous ne sommes plus alors face à un chantier mais
à une mosaïque d’ateliers répartis selon une logique propre à leur activité: au débouché de la voie par où arrive
le bois, pour les charpentiers; juste hors des remparts,
54
La bibliographie dans ce domaine est foisonnante. Citons à
titre d’exemples, outre les ouvrages déjà mentionnés, quelques références de volumes publiés au cours de ces cinq dernières années:
LAGABRIELLE, PHILIPPE 2009; TIMBERT 2009; JAMES-RAOUL, THOMASSET 2010; DE CHAZELLES 2011; GÉLY, LORENZ 2011; HOFFSUMMER 2011; BLARY, GÉLY, LORENZ 2014.
pour les fabricants de plâtre; au plus près du bois et des
pierres pour les chaufourniers, en carrière,…
A une mosaïque d’équipes également.
Le statut des constructeurs: Main d’œuvre considérable?
Les sources conservées pour quelques grands chantiers ont, de ce point de vue, «contaminé» l’image que
nous pouvons avoir de l’organisation du chantier médiéval. L’organisation pyramidale allant du commanditaire et de son représentant, aux exécutants, dirigés par
le maître d’oeuvre ou architecte, les chefs d’équipes et
les manoeuvres n’est pas à rejeter totalement mais elle
s’avère en partie idéale ou, si l’on préfère, comptable.
Les études d’archéologie du bâti font généralement
apparaître plusieurs équipes travaillant conjointement ou
successivement mais, surtout, la régie directe par laquelle
le maître d’ouvrage, le commanditaire, rémunère individuellement, à la journée ou à la pièce, l’ensemble des
intervenants et fait travailler l’ensemble des matières premières par ses équipes, est très rarement bien attestée.
Quand, par exemple, Marcel Aubert inventorie les
diverses dépenses à la charge d’une fabrique, il note que
celle-ci «paye les honoraires de l’architecte et de son
adjoint, les salaires des maîtres artisans et ouvriers;
l’achat et le transport des matériaux, qui souvent viennent des bois et des carrières appartenant à l’évêché ou
au chapitre; l’entretien des machines et des outils, des
animaux utilisés sur le chantier; toutes dépenses très élevées» 57. Et cite à l’appui de cela les fragments de
comptes parvenus jusqu’à nous, dont ceux relatifs à la
construction de la cathédrale d’Autun, datés de la fin
du XIIIe siècle 58. Si l’on reprend les extraits de compte
publiés par Paul Deschamps, nous trouvons bien mention de versements effectués selon toute vraisemblance
pour des salaires hebdomadaires (Primo, dicta septimana, in lathomis et minutis operariis, IIII lib. XIIII sol.
VIII d.) mais aussi des paiements plus complexes (in
forgia Eduensi per annum, XII lib. X s. VI d.; in forgia
perrerie, LXII s., ferro non computato; Item, magistro
Stephano pro verreriis beatorum Nazarii et Lazeari reficiendis, XI lb. XVI s. VIII d.) qui ne correspondent pas
BOUTICOURT 2014. Pour la pierre, voir la récente étude FOU2014.
56
HAMON 2008.
57
AUBERT 1960-1961, pp. 248-249.
58
MORTET, DESCHAMPS 1911-1929, pp. 956-960.
55
CHER
LA CONSTRUCTION ET LES CHANTIERS DE LA FRANCE MEDIEVALE
nécessairement à des salaires ou à des dépenses d’entretien mais peuvent, tout aussi bien être considérée
comme la rémunération d’artisans indépendants et inclure le prix des fournitures et du travail. Et que dire
des matériaux (chaux, clous, cordes et autres) manifestement achetés à des marchands?
Quoi qu’il en soit, dès le XIVe siècle au moins, nous
voyons intervenir sur les chantiers, de manière indubitable, des équipes indépendantes, rémunérées au forfait
ou à prix-fait, qui, une fois la tâche exécutée, s’en repartent. Il n’est pas question alors des tailleurs de pierre
passant de grand chantier en grand chantier, précurseurs,
en quelque sorte, de ce que les compagnons appelleront
leur «Tour de France». Il s’agit au contraire d’entrepreneurs pour l’essentiel locaux qui, au sein de la cité
ou d’un territoire plus large, passent de la construction
d’une église à celle d’une maison, d’une grange ou
d’une tour de rempart 59.
L’histoire de la construction en se décloisonnant
sous l’effet, à partir des années 1970 en France, du développement de l’archéologie médiévale a donné droit
de cité à l’architecture commune et aux chantiers les
plus modestes découvrant ainsi l’arrière-plan du grand
chantier, fait de petits travaux plus ou moins alimentaires permettant une relative sédentarisation des artisans mais également une porosité entre le monde des
grands chantiers et celui de la construction courante.
Cette nouvelle approche des constructions courantes,
bien mise en évidence pour l’Italie dans la présentation
d’Aurora Cagnana et de Giovanna Bianchi, a montré,
par exemple, que l’habitat urbain pouvait, dès le XIe siècle au moins, nécessiter l’intervention d’ouvriers qualifiés et de matériaux commercialisés (briques ou pierres
de taille) 60.
La question des chantiers médiévaux s’ouvre du
point de vue qualitatif mais également de manière chronologique ce qui engage à reconsidérer ce qui a été un
peu rapidement présenté comme des innovations dans
un temps plus long, en termes de développement ou de
diffusion; l’archéologie donnant leurs lettres de noblesse à des périodes moins bien desservies par les
sources écrites.
J’achèverai un propos sans doute trop ramassé, sans
nuances, par la question de la «main-d’œuvre considérable». La masse des manoeuvres, des ouvriers non
qualifiés qui forme le gros du contingent des grands
Voir sur ce point les exemples qu’en donne VICTOR 2008.
DE MONTJOYE 2002, p. 115.
61
Voir, par exemple, SAPIN 2011; ANDREAULT-SCHMITT 2013.
59
60
489
chantiers était-elle formée d’autre personnes que les
hommes, femmes et parfois enfants de la cité: employés
sur les chantiers quand l’occasion se présentait de gagner quelques pièces ou travaillant aux champs quand
la moisson ou les vendanges le réclamaient?
Loin d’être un lieu clos, le chantier participe de la
vie de la cité à travers le flux des personnes et des véhicules qu’il suscite quotidiennement. Véritable poumon
économique, il dynamise le marché du travail et celui
des matériaux.
Nous sommes loin toutefois de pouvoir bien saisir
la place de ce secteur ou de cet acteur, dans la vie économique des cités médiévales, précisément parce que
la construction n’est en rien une activité close sur ellemême: le bois, la chaux, le métal, le plâtre ou le verre
ne servent pas qu’au bâtiment.
La recherche française après les différentes étapes
que j’ai essayé de retracer à grands traits tend aujourd’hui à se recentrer sur l’objet construit; revenant
à des études monographiques qu’enrichissent les acquis
récents de l’archéologie du bâti comme de l’analyse des
matériaux ou de l’approche socio-économique des chantiers 61. Ces travaux montrent que l’analyse fine des chantiers ne peut se faire qu’à partir d’une connaissance la
plus approfondie possible des ressources disponibles à
l’échelle du territoire dans lequel ils sont implantés. Les
études d’ensemble ou globales de l’activité constructive au niveau d’une ville, proposée par le présent volume, ne sont assurément pas aisées à mettre en œuvre.
Elles se présentent néanmoins comme le prochain enjeu
de la recherche dans ce domaine.
Bibliographie
ACETO, ANDALORO, CASSANELLI et alii 1996 = F. ACETO, M.
ANDALORO, R. CASSANELLI, CH. FREIGANG, D. HOCHKIRCHEN, D. KIMPEL, S. MORALEJO, P. SANVITO, F. ZULIANI
et alii, Chantiers médiévaux, Paris-Saint-Léger-en-Vauban, 1996.
ALBERTINI, SILEM 1995 = J.-M. ALBERTINI, A. SILEM (a cura
di), Economie, Paris 1995.
ANDREAULT-SCHMITT 2013 = CL. ANDREAULT-SCHMITT (a cura
di), La cathédrale Saint-Pierre de Poitiers. Enquêtes croisées, Poitiers 2013.
AUBERT 1958 = M. AUBERT, La construction au Moyen Âge.
Loges d’Allemagne, maçons et francs-maçons en Angleterre, in BMon, 116, 1958, 4, pp. 231-241.
AUBERT 1960-1961 = M. AUBERT, La construction au Moyen
Âge, in BMon, 118, 1960, pp. 241-259; 119, 1961, pp. 742, 81-120, 181-209, 297-323.
BADIE, ZUGMEYER 2010 = A. BADIE, S. ZUGMEYER, Trois
chantiers de construction en Narbonnaise gallo-romaine:
le temple de Vernègues, le théâtre d’Orange et l’amphi-
490
PHILIPPE BERNARDI
théâtre d’Arles, in CARVAIS, GUILLERME, NÈGRE et alii
2010, pp. 879-888.
BAUD 2003 = A. BAUD, Cluny. Un grand chantier médiéval
au cœur de l’Europe, Paris 2003.
BAUDEZ 2008 = B. BAUDEZ (a cura di), Grands chantiers et
matériaux, in Livraisons d’histoire de l’architecture, 16,
2008.
BEAUJOUAN 1963 = G. BEAUJOUAN, Calcul d’expert, en 1391,
sur le chantier du Dôme de Milan, in Le Moyen Âge. Revue
d’histoire et de philologie, 69, 1963, pp. 555-563.
BECK 1993 = P. BECK, Un chantier de construction en Châtillonnais à la fin du XIVe siècle: Aisey-sur-Seine (Côted’Or), 1389-1391, in Annales de Bourgogne, 65, 1993,
pp. 85-103.
BECK, BERNARDI, FELLER 2014 = P. BECK, PH. BERNARDI, L.
FELLER (a cura di), Rémunérer le travail au Moyen Âge.
Pour une histoire sociale du salariat, Paris 2014.
BÉRENGER 2010 = F. BÉRENGER, Edifier une capitale: le fonctionnement des grands chantiers de construction de la première Naples angevine, in CARVAIS, GUILLERME, NÈGRE
et alii 2010, pp. 899-906.
BERNARD, BERNARDI, ESPOSITO 2008 = J.-F. BERNARD, PH.
BERNARDI, D. ESPOSITO (a cura di), Il reimpiego in architettura. Recupero, trasformazione, uso, Roma 2008
(Collection de l’École française de Rome, 418).
BERNARDI 1995 = PH. BERNARDI, Métiers du bâtiment et techniques de construction à Aix-en-Provence à la fin de
l’époque gothique (1400-1550), Aix-en-Provence 1995.
BERNARDI 2004 = PH. BERNARDI, Pierres réelles ou pierres
de compte? Notes sur la mesure d’un matériau de
construction, in L. MOULINIER, L. SALLMANN, C. VERNA
et alii (a cura di), La juste mesure. Quantifier, évaluer,
mesurer, entre Orient et Occident (VIIIe-XVIIIe siècle), Vincennes 2004, pp. 35-47.
BIGET 1974 = J.-L. BIGET, Recherches sur le financement des
cathédrales du Midi au XIIIe siècle, in Cahiers de Fanjeaux, 9, 1974, pp. 127-164.
BLANC, LEROUX 2008 = A. BLANC, L. LEROUX, La pierre de
Paris sur les portails des cathédrales de Chartres,
d’Auxerre et de Sens, in F. BLARY, J.-P. GÉLY, J. LORENZ
(a cura di), Pierres du patrimoine européen, Paris 2008,
pp. 87-95.
BLARY, GÉLY, LORENZ 2014 = F. BLARY, J.-P. GÉLY, J. LORENZ
(a cura di), Construire la ville. Histoire urbaine de la pierre
à bâtir, Paris 2014.
BLIECK, CONTAMINE, FAUCHERRE et alii 1999 = G. BLIECK,
PH. CONTAMINE, N. FAUCHERRE, J. MESQUI (a cura di), Les
Enceintes Urbaines (XIIIe-XVIe siècles). Actes du 121e
Congrès des Sociétés historiques et scientifiques (Nice,
26-31 octobre 1996), Paris 1999.
BLOCH 1935 = M. BLOCH, Le maçon médiéval: problèmes de
salariat, in Annales d’histoire économique et sociale, VII,
1935, pp. 216-217.
BOUTICOURT 2014 = E. BOUTICOURT, Construire des charpentes autrement: le Midi rhôdanien à la fin du Moyen
Âge, thèse de doctorat d’archéologie, Université Paris
Panthéon-Sorbonne, 2014.
BRAUNSTEIN 1985 = PH. BRAUNSTEIN, Les débuts d’un chantier: le Dôme de Milan sort de terre, 1387, in O. CHAPELOT, P. BENOÎT (a cura di), Pierre et Métal dans le bâtiment
au Moyen Âge, Paris 1985, pp. 81-102.
BRAUNSTEIN 1986 = PH. BRAUNSTEIN, Les salaires sur les
chantiers monumentaux du Milanais à la fin du XIVe siè-
cle, in X. BARRAL I ALTET (a cura di), Artistes, artisans
et production artistique au Moyen Âge. I. Les hommes.
Colloque international (Renne-Haute Bretagne, 2-6 mai
1983), Paris 1986, pp. 123-132.
BRAUNSTEIN 1990 = PH. BRAUNSTEIN, Il cantiere del Duomo
di Milano alla fine del XIV secolo: lo spazio, gli uomini
e l’opera, in J.-C. MAIRE VIGUEUR, A. PARAVICINI BAGLIANI
(a cura di), Ars et Ratio. Dalla torre di Babele al ponte
di Rialto, Palermo 1990, pp. 147-164.
BRUTAILS 1899-1901 = J.-A. BRUTAILS, Deux chantiers bordelais (1486-1521), in Le Moyen Âge. Revue d’histoire et
de philologie, 12, 1899, pp. 385-412; 13, 1900, pp. 169192, 437-451; 14, 1901, pp. 1-30.
CAILLEAUX 1999 = D. CAILLEAUX, La cathédrale en chantier. La construction du transept de Saint-Étienne de Sens
d’après les comptes de la fabrique 1490-1517, Paris 1999.
CARVAIS, GUILLERME, NÈGRE et alii 2010 = R. CARVAIS, A.
GUILLERME, V. NÈGRE, J. SAKAROVITCH (a cura di), Édifice et artifice. Histoires constructives. Actes du Premier
congrès francophone d’histoire de la construction (Paris,
19-21 juin 2008), Paris 2010.
CHAPELOT 2001 = O. CHAPELOT (a cura di), Du projet au chantier. Maîtres d’ouvrage et maîtres d’œuvre aux XIVe-XVIe
siècles, Paris 2001.
CHAPELOT 2003 = O. CHAPELOT, Bois sec, bois vert. Vraie ou
fausse question, in J.-M. POISSON, J.-J. SCHWIEN (a cura
di), Le bois dans le château de pierre au Moyen Âge, Besançon 2003, pp. 79-89.
CHAUNU 1971 = P. CHAUNU (a cura di), Le bâtiment, enquête
d’histoire économique XIVe-XIXe siècles, Paris 1971 (nouvelle édition en 2002).
COLDSTREAM 1992 = N. COLDSTREAM, Les artisans du Moyen
Âge. Les maçons et les sculpteurs, Turnhout 1992.
COMTE DE BUREY 1898 = COMTE DE BUREY, Le chœur de la
cathédrale d’Evreux depuis sa restauration, Evreux 1898.
CONTAMINE 1978 = PH. CONTAMINE, Les fortifications urbaines
en France à la fin du Moyen Âge: aspects financiers et
économiques, in Revue historique, CCLX, 1, 1978, pp.
23-47.
COSTANTINI 2003 = F.-A. COSTANTINI, L’abbatiale Saint-Robert de La Chaise-Dieu. Un chantier de la papauté d’Avignon (1344-1352), Paris 2003.
CROSNIER 1854 = M. CROSNIER, Monographie de la cathédrale de Nevers, Nevers 1854.
CROUZET-PAVAN 2003 = É. CROUZET-PAVAN, Les grands chantiers dans l’Italie communale et seigneuriale, Rome 2003
(Collection de l’École française de Rome, 302).
DAVID 1965 = M. DAVID, La fabrique et les manœuvres sur
les chantiers des cathédrales en France jusqu’au XIVe siècle, in Etudes d’histoire du droit canonique dédiées à Gabriel Le Bras, II, 1965, pp. 1111-1130.
DEBORD 1991 = A. DEBORD, L’archéologie médiévale, in
L’histoire médiévale en France. Bilan et perspectives,
Paris 1991, pp. 219-245.
DE BOUÄRD 1975 = M. DE BOUÄRD, Manuel d’archéologie
médiévale. De la fouille à l’histoire, Paris 1975.
DE CHAZELLES 2011 = CL.-A. DE CHAZELLES (a cura di),
Échanges transdisciplinaires sur les constructions en terre
crue, 3. Les cultures constructives de la brique crue,
Montpellier 2011.
DE MONTJOYE 2002 = A. DE MONTJOYE, La maison médiévale en brique (XIIe-XIVe siècles) en France méridionale,
in NAPOLÉONE, SCELLÈS 2002, pp. 109-128.
LA CONSTRUCTION ET LES CHANTIERS DE LA FRANCE MEDIEVALE
COLOMBIER 1953 = P. DU COLOMBIER, Les chantiers des
cathédrales, Paris 1953.
FAGE 1913 = R. FAGE, La cathédrale de Limoges, Paris 1913.
FILIPPI 2010 = F.B. FILIPPI, Un chantier international à Bangkok: le nouveau Palais du Trône (1907-1916) et l’introduction du béton armé au Siam, in CARVAIS, GUILLERME,
NÈGRE et alii 2010, pp. 241-248.
FOUCHER 2014 = M. FOUCHER, La pierre et les hommes en
Bourgogne. Archéologie et histoire d’une ressource en
œuvre du Moyen Âge à l’époque moderne, thèse de doctorat d’archéologie, Université de Bourgogne, 2014.
GÉLY, LORENZ 2011 = J.-P. GÉLY, J. LORENZ (a cura di), Carriers et bâtisseurs de la période préindustrielle. Europe
et régions limitrophes, Paris 2011.
GIMPEL 1958 = J. GIMPEL, Les bâtisseurs de cathédrales, Paris
1958 (nouvelle édition 1980).
GUILLAUME 1991 = J. GUILLAUME (a cura di), Les chantiers
de la Renaissance, Paris 1991.
HAMON 2008 = É. HAMON, Un chantier flamboyant et son
rayonnement. Gisors et les églises du Vexin français, Besançon 2008.
HOFFSUMMER 2011 = P. HOFFSUMMER (a cura di), Les charpentes du XIe au XIXe siècle. Grand ouest de la France.
Typologie et évolution, analyse de la documentation de
la Médiathèque de l’architecture et du patrimoine, Turnhout 2011.
JAMES-RAOUL, THOMASSET 2010 = D. JAMES-RAOUL, C. THOMASSET (a cura di), La pierre dans le monde médiéval,
Paris 2010.
JENZER 1994 = M. JENZER, Le chantier de Saint-Hippolyte de
Poligny (1414-1457) d’après les comptes de construction,
in BMon, 152, 4, 1994, pp. 415-458.
KIMPEL 1977 = D. KIMPEL, Le développement de la taille en
série dans l’architecture médiévale et son rôle dans l’histoire économique, in BMon, 135, 3, 1977, pp. 195-222.
KRAUS 1979 = H. KRAUS, Gold was the Mortar. The Economics of Cathedral Building, Londres 1979.
La construction au Moyen Âge 1973 = La construction au
Moyen Âge. Histoire et archéologie. Actes du congrès de
la Société des historiens médiévistes de l’Enseignement
Supérieur Public (Besançon, 2-4 juin 1972), Paris 1973.
LAGABRIELLE, PHILIPPE 2009 = S. LAGABRIELLE, M. PHILIPPE
(a cura di), Verre et fenêtre de l’Antiquité au XVIIIe siècle, Paris 2009.
LARDIN 1998 = PH. LARDIN, Les Chantiers du bâtiment en
Normandie orientale (XIVe-XVIe s.): les matériaux et les
hommes, Villeneuve-d’Ascq 1998.
L’Échafaudage 1996 = L’Échafaudage dans le chantier médiéval, Lyon 1996 (Documents d’Archéologie en RhôneAlpes, 13).
LEFÈVRE-PONTALIS 1889 = E. LEFÈVRE-PONTALIS, Etude historique et archéologique sur la nef de la cathédrale du
Mans, Mamers 1889.
LE GOFF 1964 = J. LE GOFF, La civilisation de l’Occident
médiéval, Paris 1964 (réédition 1982).
LEGUAY 1969 = J.-P. LEGUAY, La ville de Rennes au XVe siècle à travers les comptes des Miseurs, Paris 1969.
LEGUAY 1985 = J.-P. LEGUAY, L’approvisionnement des chantiers bretons en matériaux de construction aux XIVe et XVe
siècles, in O. CHAPELOT, P. BENOÎT (a cura di), Pierre et
métal dans le bâtiment au Moyen Âge, Paris 1985, pp.
27-79.
DU
491
L’HÉRITIER, DILLMANN 2010 = M. L’HÉRITIER, PH. DILLMANN, L’Approvisionnement en fer des chantiers de
construction médiévaux: coût, quantités et qualité, in
CARVAIS, GUILLERME, NÈGRE et alii 2010, pp. 457-466.
LOPEZ 1952 = R.S. LOPEZ, Économie et architecture médiévales. Cela aurait-il tué ceci?, in AnnEconSocCiv, 7,
1952, 4, pp. 433-438.
LOPPE 2010 = F. LOPPE, Construire en terre pendant la guerre
de cent ans: les fortifications de Castelnaudary (Aude)
vers 1355-vers 1450, Carcassonne 2010.
MIGNON 2010 = J.-M. MIGNON, Au démarrage du chantier
de construction du théâtre antique de Vaison-la-Romaine
(France), in CARVAIS, GUILLERME, NÈGRE et alii 2010, pp.
867-878.
MILLIN 1806 = A.-L. MILLIN, Dictionnaire des Beaux-Arts,
Paris 1806.
MORTET 1904 = V. MORTET, La loge aux maçons et la forge
de Notre-Dame de Paris (XIIIe siècle), in BMon, 68, 1904,
pp. 373-376.
MORTET, DESCHAMPS 1911-1929 = V. MORTET, P. DESCHAMPS,
Recueil de textes relatifs à l’histoire de l’architecture et
à la condition des architectes en France au Moyen Âge,
Paris 1911-1929 (réédition 1995).
MOULIN 2007 = M.-A. MOULIN, Argentan au Moyen Âge. Aspects urbains, sociaux et économiques, thèse de doctorat
en Histoire et civilisation, Ecole des Hautes Etudes en
Sciences Sociales, Paris 2007.
NAPOLÉONE, SCELLÈS 2002 = A.-L. NAPOLÉONE, M. SCELLÈS
(a cura di), La maison au Moyen Âge dans le midi de la
France. Actes des journées d’étude de Toulouse (Toulouse,
19-20 mai 2001), Toulouse 2002.
NAPOLÉONE, SCELLÈS 2008 = A.-L. NAPOLÉONE, M. SCELLÈS
(a cura di), La maison au Moyen Âge dans le Midi de la
France. II. Actes du colloque de Cahors (6-8 juillet 2006),
Toulouse 2008.
NICOLAS 2005 = N. NICOLAS, La guerre et les fortifications
du Haut-Dauphiné. Étude archéologique des travaux des
châteaux et des villes à la fin du Moyen Âge, Aix-en-Provence 2005.
PÉDINI 2013 = C. PÉDINI, Les carrières de La Couronne de
l’Antiquité à l’époque contemporaine, Marseille 2013.
PIETRESSON DE SAINT-AUBIN 1928-1929 = P. PIETRESSON DE
SAINT-AUBIN, La fourniture de la pierre sur les grands
chantiers troyens du Moyen Âge et de la Renaissance, in
BAParis, 1928-29, pp. 569-600.
POULOT 2006 = D. POULOT, Une histoire du patrimoine en
Occident, Paris 2006.
QUATREMÈRE DE QUINCY 1801-1820 = A. QUATREMÈRE DE
QUINCY, Encyclopédie méthodique. Architecture, II, Paris
1801-1820.
RECHT 1995 = R. RECHT, Les loges de l’Empire et le savoir
des bâtisseurs, in R. RECHT, Le Dessin d’architecture. Origine et fonctions, Paris 1995, pp. 73-99.
REVEYRON 2005 = N. REVEYRON, Chantiers lyonnais du
Moyen Age, Lyon 2005.
RIGAUDIÈRE 1985 = A. RIGAUDIÈRE, Le financement des fortifications urbaines en France du milieu du XIVe siècle à
la fin du XVe siècle, in Revue historique, CCLXXIII, 1,
1985, pp. 19-95.
ROUDIÉ 1975 = P. ROUDIÉ, L’activité artistique à Bordeaux,
en Bordelais et en Bazadais de 1453 à 1550, Bordeaux
1975.
492
PHILIPPE BERNARDI
SALAMAGNE 2001 = A. SALAMAGNE, Construire au Moyen
Âge. Les chantiers de fortification de Douai, Lille 2001.
SAPIN 2011 = CH. SAPIN (a cura di), Saint-Étienne d’Auxerre,
la seconde vie d’une cathédrale. Sept ans de recherches
pluridisciplinaires et internationales (2001-2007),
Auxerre/Paris 2011.
TAMBORÉRO 2010 = L. TAMBORÉRO, La Voûte de l’hôtel de
ville d’Arles. Approche historique et technique du chantier (1673-1677), in CARVAIS, GUILLERME, NÈGRE et alii
2010, pp. 709-722.
TEYSSOT 1992 = J. TEYSSOT, Un grand chantier de construction à la fin du XIVe siècle en Auvergne: le palais ducal
de Riom, in Bulletin historique et scientifique d’Auvergne,
1992, pp. 155-166.
TIMBERT 2009 = A. TIMBERT, L’homme et la matière. L’emploi du plomb et du fer dans l’architecture gothique, Paris
2009.
VICTOR 2008 = S. VICTOR, La construction et les métiers de
la construction à Gérone au XVe siècle, Toulouse 2008.
VIOLLET-LE-DUC 1854-1868 = E.E. VIOLLET-LE-DUC, Dictionnaire raisonné de l’architecture française du XI au
XVIe siècle, Paris 1854-1868.
YANTE 1985 = J.-M. YANTE, Emploi et structures salariales
sur un chantier luxembourgeois à la fin du XIVe siècle, in
Hémecht, 37, 1985, pp. 493-509.
CASI SPECIFICI E CONSIDERAZIONI GENERALI
SUI TECNOCOMPLESSI DELL’ITALIA SETTENTRIONALE
Enrico Giannichedda
Partecipare, a Roma, ad un convegno dedicato all’archeologia della produzione ha per me un grande significato. Grazie a Alessandra Molinari, Lucrezia Spera
e Riccardo Santangeli Valenzani, ed ai loro collaboratori, un tema di ricerca a cui molto mi sono dedicato
viene, se non sdoganato, finalmente e ampiamente discusso in quello che resta il centro del potere. Aldilà
della qualità delle relazioni, la sola organizzazione del
convegno (e di una banca data georeferenziata sulle produzioni capitoline) credo sia un fatto importante che
potrà avere ripercussioni positive; non tanto per lo sviluppo di nuove ricerche, ma per stabilire relazioni stabili con chi di tecnica, produzione, cultura materiale,
abitualmente non si occupa.
In questi anni il rischio che mi sembra si sia corso,
per essere chiari, è difatti quello di un’archeologia della
produzione troppo tecnica, iperspecialistica, disattenta
alle questioni sociali ed economiche. Prime fra tutte le
questioni relative ai rapporti produzione – consumo e
produzione – scambi. E questo mentre gran parte degli
archeologi continuano a studiare i manufatti raccolti nei
siti di consumo sentendosi legittimati a non chiedersi
come venivano prodotti e a non farne per intero la storia. Contemporaneamente, ancora sopravvive fra gli
storici, e trova largo spazio sui media, un’attenzione alle
tecniche antiche sostanzialmente astorica, interessata
alle macchine e non agli uomini, ai congegni anziché
alle ripercussioni che i diversi manufatti hanno avuto
nel tempo.
Su alcune di queste tematiche tornerò, però, in conclusione del presente lavoro avvalendomi anche degli
stimoli offerti dalle numerose relazioni che hanno contraddistinto le giornate romane.
Come è noto, in Italia, solo con lo sviluppo dell’archeologia medievale, l’archeologia della produzione si
è affermata come disciplina autonoma e fondamentali,
al riguardo, sono stati i contributi di Riccardo Francovich (archeologia delle attività estrattive e metallurgiche) e di Tiziano Mannoni (archeometria e storia della
tecnica). Grazie a loro si è avuto un primo corso universitario dedicato all’archeologia della produzione ed
è uscito un manuale che in qualche misura ha fatto davvero scuola 1. Personalmente io stesso in più occasioni
mi sono occupato di archeologia della produzione, sia
indagando contesti specifici sia scrivendo di problematiche e metodologie di indagine, di rapporti interdisciplinari, di storia delle ricerche e quant’altro. Proprio il
rinvio a tali lavori, alcuni dei quali citati più avanti, credo
renda possibile, nel presente intervento, sintetizzare sia
le questioni generali più importanti sia non dilungarsi
in una storia delle ricerche di archeologia della produzione nell’Italia settentrionale. Per questo motivo, il
presente contributo è, con poche modifiche, conforme
all’intervento tenuto a Roma il 28 marzo 2014 e la bibliografia è volutamente ridotta al minimo. Fra l’altro
in un recente lavoro, a cui rinvio 2, ho sistematicamente
discusso le ricerche di archeologia della produzione
pubblicate fra il 1974 e il 2013 nella rivista Archeologia Medievale e affrontato sia il tema di un corpus di
informazioni importante sia la necessità di precisarne
le finalità: nell’ordine, valorizzazione degli indicatori,
studio dei cicli produttivi, ricostruzione dei contesti e
1
MANNONI, GIANNICHEDDA 1996. Un qualche successo dell’archeologia della produzione, anche come ‘contenitore’ di approcci
diversi è comprovata dagli spazi riservatigli, fra l’altro, nel Dizionario di archeologia curato da R. Francovich e D. Manacorda
(GIANNICHEDDA 2000) e nell’Enciclopedia Treccani (GIANNICHEDDA
2002). Sul tema cfr. anche MANNONI 1994; GIANNICHEDDA 2006.
2
GIANNICHEDDA 2014.
494
ENRICO GIANNICHEDDA
dei saperi specifici, attenzione per i cicli di vita dei manufatti finiti (scambi e consumo), storia della cultura materiale. Nella parte conclusiva di tale lavoro, vengono
inoltre discusse varie questioni più generali; la necessità di confrontare fra loro dati archeologici con sistemi
di fonti diverse (scritte, iconografiche, etno-archeologiche); la possibilità di ampliare le ricerche di archeologia della produzione ad altri ambiti (archeologia delle
attività agro-silvo pastorali, archeologia delle produzioni
alimentari, archeologia dell’architettura); la necessità di
quantificare produzioni e consumi per ricostruire gli
equipaggiamenti materiali; lo studio di innovazioni e persistenze. Questioni che in questa sede non riprendo benché importanti per definire il repertorio di attività svolto
in specifici siti e periodi, ricercare le relazioni tra attività che soddisfacevano bisogni diversi e, più in generale, per contribuire al riconoscimento dei modi di
produzione (gestione delle risorse e impatto ambientale,
spazi e tempi di lavoro, sapere tecnico, distinzioni di
genere e d’età, rapporti economici e sociali). Un compito che gli archeologi, impegnati come sono da una
mole enorme e sempre crescente di dati, troppo spesso
demandano agli storici dell’economia e alle loro fonti
appositamente selezionate.
Siti e territorio
L’argomento assegnatomi dagli organizzatori del
convegno prevedeva la disamina delle principali tematiche produttive in Italia settentrionale fra V e XV secolo. Un compito, che ho accettato, ma che ben presto
ho capito essere, almeno per le mie forze, impossibile.
Il territorio è, difatti, troppo vasto ed eterogeneo, sia dal
punto di vista geografico ambientale sia dal punto di
vista storico, e le mie competenze sfumano ogniqualvolta ci si allontana dalla Liguria e, più in generale, dal
nord-ovest. Via via che preparavo questo intervento, mi
rendevo sempre più conto che le perplessità iniziali a
trattare una tematica così vasta non dipendevano, però,
soltanto da personali lacune di conoscenza, solo in parte
colmate dallo spoglio sistematico delle principali riviste di settore, compresi i notiziari delle Soprintendenze
e Fasti online. Impegnatomi in tale lavoro, per un qualche periodo avevo difatti trascurato un problema ben
noto che, invece, non si può non affrontare.
Consapevole dell’impossibilità di raccontare una storia o descrivere la geografia dei modi di produzione nell’Italia settentrionale, la scelta più ovvia sarebbe difatti
stata ragionare dei casi migliori, presi, uno qua e uno
là, a coprire l’intero territorio. Tutto questo un po’ lo
farò, perché forse è nelle attese, ma tale descrizione, se
spinta troppo oltre, avrebbe il difetto di essere a macchia di leopardo evidenziando i pieni e finendo con il
celare i vuoti: ad esempio, la vetreria di Torcello a Venezia e quella di Monte Lecco presso Genova; la siderurgia alpina e quella appenninica; e così via
tralasciando tutto il resto. In ogni caso, non vorrei trascurare il problema di fondo che va affrontato per fare
storia e su cui tornerò in conclusione.
Un problema che può definirsi di scala e che è determinato dalla necessità di valorizzare osservazioni
puntuali, talvolta molto puntuali come sono una sezione di scavo o la raccolta di scorie in un sito, in un’ottica più ampia: talvolta di archeologia del territorio (o,
come attualmente si usa dire, del paesaggio), ma più
spesso per ricostruzioni socio economiche in cui, come
minimo, lo studio di una produzione non può essere separato da quello delle altre attività coeve. Un problema,
quindi, di relazione fra siti produttivi, che restano l’oggetto della relazione, e ambiente antropizzato (comprensivo quindi di altri siti). Per essere chiari, la
descrizione di pochi siti non risolve i problemi più interessanti che sono di relazione.
E, siccome di pochissimi siti produttivi è nota l’evoluzione nel tempo il problema di scala non si pone solo
in chiave geografica o sincronica ma si ha anche sull’asse del tempo. Come è noto, l’osservazione di singoli episodi produttivi non rende difatti agevole
coglierne i motivi del cambiamento e, già in altra sede,
è stato rilevato che, troppo spesso e troppo semplicisticamente, si tende a spiegare la nascita di un’attività
come determinata dalla disponibilità di risorse e la morte
della medesima come conseguenza di fatti sociali. Pensando, con tutta evidenza, che la natura è a disposizione
dell’uomo, che il progresso tecnico è carattere peculiare
del divenire storico, che la storia sociale delle tecniche
assomiglia alla parabola della vita umana (nascita, sviluppo, maturità e stasi, declino e, quindi, nuova nascita…) 3. La situazione, ovviamente, è molto più
complessa ma resta evidente che, fra V e XV secolo,
l’Italia settentrionale era un unico tecno-complesso, da
qui il titolo, che si evolveva con velocità crescente a
partire da una società agraria, con centri produttivi di
limitata estensione, tecnologie tanto più semplici quanto
più radicate, produzioni di prestigio diffuse soprattutto
3
In generale rinvio a MANNONI, GIANNICHEDDA 1996, ma si veda
anche GIANNICHEDDA 2006 (con ampia bibliografia) e GIANNICHEDDA
2007a.
CASI SPECIFICI E CONSIDERAZIONI GENERALI SUI TECNOCOMPLESSI DELL’ITALIA SETTENTRIONALE
in ambito urbano. Un insieme unitario che nel corso del
tempo mutava, con velocità molto differenti, in quantità e qualità. Sia accompagnando la crescita demografica sia in relazione allo sviluppo dei traffici marittimi.
Il termine «tecno-complesso», definito da David Clarke
alla fine degli anni Settanta, mi sembra perfettamente
idoneo per comprendere questo lungo periodo, in quanto
strumento flessibile capace di assorbire differenze anche
forti. Differenze che, il vasellame ceramico, evidenzia
più di altri materiali grazie soprattutto alla pluralità di
forme e decori caratterizzanti le diverse produzioni regionali. Un tecno-complesso, quindi, dai limiti incerti
perché dinamico e comprensivo di situazioni locali
molto differenziate che andrebbero ricostruite e raccontate singolarmente per coglierne le specificità e, soprattutto, il rapporto fra produzione e organizzazione
socio economica.
Politica della ricerca
A questo proposito è evidente quanto ogni trattazione
generale dipenda dalla politica della ricerca che si è avuta
nei passati decenni, dal numero e qualità dei progetti
aventi per oggetto le tematiche produttive, ma anche dal
rapporto fra ricerche effettuate, comprese quelle d’emergenza, e ricerche pubblicate. E se quest’ultimo è un tema
dolente un po’ in tutta Italia, è utile rilevare quanto sia
stata diversa l’organizzazione delle ricerche fra nord e
centro Italia 4. In pratica, quanto si sarebbe potuto fare
ma non si è fatto.
Come già accennato, l’archeologia della produzione
ha avuto, in Italia, i medesimi due padri nobili che sono
propri dell’archeologia medievale. E, forse, senza lo sviluppo di un’archeologia, medievale e postclassica, avente
per oggetto la storia della cultura materiale, l’archeologia della produzione neppure sarebbe nata. Le persone
a cui mi riferisco sono, ovviamente, Riccardo Francovich (1946-2007) e Tiziano Mannoni (1928-2010).
Francovich, il primo ad usare il termine ‘archeologia della produzione’ per designare la parte monografica di un corso universitario dedicato alle attività
estrattive e metallurgiche, era un archeologo con la formazione di uno storico. Grande organizzatore di ricerche sul campo, egli diede un fondamentale contributo
allo studio delle tecniche produttive a partire dallo scavo
del villaggio minerario di Rocca S. Silvestro: un’ar4
Al proposito si veda la relazione di Federico Cantini in questo
stesso convegno. La restante parte del presente paragrafo, con poche
495
cheologia, che mi ostino a definire di sito, perché capace di leggere in chiave sociale ed economica, o storica in senso lato, le attività produttive e il loro
modificarsi nel tempo: dallo studio del sito minerario,
in tutta la sua complessità, fino, nel caso specifico, alle
problematiche dell’incastellamento e oltre.
Mannoni, che di formazione era un naturalista, si
mosse, invece, dall’analisi di evidenze minute: sezioni
sottili di impasti ceramici, scorie metallurgiche, gocce
di vetro che arrivavano nel suo laboratorio da una pluralità di siti (un’archeologia delle tecniche produttive
attenta alle problematiche connesse alla trasmissione del
sapere tecnico in età preindustriale e, per certi versi,
aperta a ciò che oggi si designa come archeologia cognitiva; dallo studio delle attività alla comprensione
dell’uomo).
Molto si potrebbe ancora approfondire il parallelismo fra i due studiosi, ad esempio notando, da un lato,
quasi ad indiziare i diversi caratteri, la partenza ‘con il
botto’ di Francovich (Rocca S. Silvestro, indagato a partire dal 1984, è un sito, e ora un parco archeominerario, senza eguali) e quella lenta, per accumulazione
progressiva, di Mannoni che procedette a sondare mille
materiali per poi costruire un sistema di conoscenza. In
tal modo, e certo non per colpa di Mannoni, in Italia
settentrionale non si è, però, avuto alcuno studio ‘globale’ di un bacino minerario paragonabile al caso toscano, ma una miriade di ricerche sparse, note
preliminari, progetti avviati e mai conclusi. Nel complesso, in assenza di una politica della ricerca sostenuta
dagli enti preposti e, in particolare, dalle Università, in
Italia settentrionale lo stato delle ricerche consente di
tracciare solo un quadro estremamente disomogeneo a
cui tenteremo di accennare isolando singole tematiche.
Evidenziando, di ognuna, i caratteri principali, la rilevanza storica, e quindi la scala territoriale e i problemi
della ricerca.
Attività estrattive
L’archeologia mineraria più di altre attività, e con
tutta evidenza, ha a che fare con i caratteri del territorio e, quindi, con le risorse potenziali. Prima, però, devo
accennare ad alcuni aspetti ben noti del territorio in oggetto: la vastità degli spazi acuita, in termini di possibilità di rapporti, da fattori contingenti quali
modifiche, riprende considerazioni già espresse in GIANNICHEDDA
2014.
496
ENRICO GIANNICHEDDA
popolamento e viabilità; la presenza di confini naturali
da sempre valicati, ma non trascurabili; l’esistenza ai
due estremi ovest e est, di due grandi porti attivi su mari
diversi e con un retroterra anch’esso del tutto differente;
l’importanza di alcune vie d’acqua, e dei solchi vallivi
circostanti, per l’impianto di attività e lo svolgersi dei
traffici; la grande differenza fra la pianura e le aree montane, Appennino compreso.
A proposito, questa netta distinzione fra pianura e
montagna va intesa, storicamente, come distinzione fra
chi viveva in prossimità di strade e città e chi era ‘chiuso’
in sacche di maggiore arretratezza, spesso sfruttate e controllate da poteri radicati altrove. Ancora a metà XIV
secolo, il Filarete, con specifico riferimento ai metallurgisti, notava che nell’Appennino si aveva a che fare
con abitanti che sembravano zingari, poveri, pallidi, di
cattivo odore e, in tal modo, anche esteticamente, finiva
con dare un giudizio di parte 5. A proposito, è bene rilevare che la consueta contrapposizione città - campagna, con quello che si intende con tali termini nei diversi
periodi, andrebbe meglio approfondita distinguendo da
un lato, città manifatturiere e città mercantili, città piccole e grandi, città aperte sulla pianura e città maggiormente racchiuse in aree montane, e, dall’altro, le
aree rurali economicamente legate per l’approvvigionamento alle città da quelle distanti, isolate, autarchiche, impervie.
Archeologia mineraria significa tecniche estrattive,
conoscenza risorse, un qualche determinismo ambientale che nel caso non si può negare. Determinismo certamente temperato dalle scelte degli uomini che non
sempre sfruttano i materiali locali come sarebbe possibile, ma che, come minimo, impedisce la nascita di determinate attività dove gli stessi materiali mancano. Un
determinismo evidente anche in settori che molto hanno
a che fare con le attività estrattive, com’è l’edilizia
dove, proprio la diversa disponibilità di risorse, spinse
alcune aree all’uso della pietra e altre verso l’industria
del mattone. Aree ben distinte, ma in rapporto fra loro
e oggetto di studi particolarmente interessanti laddove
sono noti casi di tecniche miste (pietre e mattoni) dovute allo spostamento di maestranze, a specifiche esigenze anche di carattere estetico, all’organizzazione dei
cantieri. Nelle aree montane dove, per ragioni di conservazione delle testimonianze, si sono avuti gli studi
5
6
Citato in TIZZONI 2001, p. 295, nota 8.
Atti Como 1987; LUSUARDI SIENA 1995.
più approfonditi, sono almeno cinque le attività estrattive che necessita menzionare.
La pietra ollare è un materiale ben noto ai medievisti, proveniente da diverse aree alpine, archeologicamente
diffuso in maniera decrescente procedendo verso l’Italia centro meridionale. Un materiale che ha precocemente
richiamato l’attenzione degli studiosi che, oltre trent’anni fa, hanno distinto litotipi e, quindi, due macroaree produttive e le principali tecniche adottate in età
romana, alto e basso medievale. Oltre, ovviamente, ai
caratteri e alla funzione dei prodotti riconducibili peraltro
a pochi tipi, ognuno con molteplici varianti 6. Trattandosi di manufatti concorrenziali al pentolame ceramico
e metallico, si è verificato che livelli produttivi e aree
di commercializzazione mutarono drasticamente fra alto
e basso medioevo e recentemente è stato anche affrontato il problema della distribuzione che, per taluni, si
poteva avere, oltre che lungo il Po, anche scendendo il
Rodano e poi via mare. I siti produttivi noti sono numerosi anche in considerazione della facile riconoscibilità degli scarti di lavorazione, spesso recuperati in età
contemporanea per usi impropri, ma in nessun caso le
indagini hanno portato ad affrontare le questioni più importanti: l’origine della tornitura, probabilmente per modificazione dei torni da legno; la reale articolazione dei
cicli produttivi finora attuata guardando a pochi reperti
anziché valutando campioni quantitativamente significativi; la continuità, o meno, delle diverse produzioni
nel tempo; tempi e modi dell’adozione della tecnica ‘a
cipolla’, che si può presumere fosse attuata, in forme
semplificate, già in età altomedievale.
A partire dai siti estrattivi importanti passi avanti nella
ricerca sono stati compiuti relativamente alle macine.
Una produzione che, similmente alla pietra ollare, era
stagionale, altamente specializzata, economicamente rilevante, posta sotto il controllo feudale, e origine di dispute fra signori come ben dimostra la documentazione
d’archivio relativa ad Ivrea. Le ricerche, sviluppatesi soprattutto in valle d’Aosta hanno interessato, oltre a siti
estrattivi all’aperto e in grotta, anche i manufatti rinvenuti sul territorio 7.
Oggetto di studi piuttosto approfonditi è stato, in anni
recenti, anche un materiale fra i meno importanti. Ricognizioni e scavi in più siti, hanno dimostrato che fusaiole e vaghi di collana in steatite erano prodotti in gran
numero (migliaia e decine di migliaia di pezzi), so-
7
Cfr. Il grano e le macine 1994 e, fra i contributi più recenti,
CORTELLAZZO 2013; DAVITE, GIANNICHEDDA 2012.
CASI SPECIFICI E CONSIDERAZIONI GENERALI SUI TECNOCOMPLESSI DELL’ITALIA SETTENTRIONALE
prattutto fra X e XIII secolo, in decine di atelier ubicati
sia in prossimità degli affioramenti della materia prima
sia in castelli fra cui Groppallo di Cairoli nel parmense.
Proprio il controllo feudale della produzione dovette
comportare in alcuni siti una sorta di razionalizzazione
del ciclo produttivo, una organizzata gestione degli
scarti e, fatto importante, sottolinea la rilevanza dell’attività in alcune aree appenniniche, fra quelle che definiremmo più isolate e arretrate 8.
Diversamente dai casi precedenti, in cui gli indicatori di produzione sono facilmente riconoscibili e diagnostici, nelle Apuane, è stato lo studio degli accumuli
poco differenziati degli scarti delle attività estrattive del
marmo a consentire il riconoscimento di paleosuoli sviluppatisi nelle fasi di abbandono post romane e, quindi,
alla datazione C14 delle attività avutesi fra antichità e
bassomedioevo 9.
Nell’area alpina, la collaborazione archeologi-geologi da tempo ha portato a ricerche di archeologia mineraria nel senso più vero del termine e da ricordare
sono i lavori in corso nella valle Arnas a Usseglio (Piemonte) che ben esemplificano le difficoltà ambientali,
intorno ai m 2400 s.l.m., ma anche la ricchezza inaspettata di evidenze relative ad attività sì di lunga durata ma di cui è stata colta l’evoluzione temporale.
L’attività mineraria prevedeva, fra l’altro, una prima lavorazione in atelier dislocati presso i siti abitativi e, fra
XII e XIV secolo, era finalizzata all’esportazione di ferro
e argento verso Torino (e da qui l’interesse del Vescovo
e dei signori locali) ma anche oltralpe, mentre dal XVIII
secolo sarà il cobalto ad essere esportato verso l’area
tedesca 10. Proprio le ricerche in aree precedentemente
meno studiate, o non studiate affatto, grazie al riconoscimento di una siderurgia locale già sviluppata nel
XIII secolo, introduce un elemento nuovo nello studio
di un’attività che, in precedenza, sembrava essere stata
caratteristica importante solo di due differenti zone e,
in particolare, delle valli bresciane e del Genovesato 11.
Proprio il caso di Usseglio e l’archeologia mineraria in genere evidenziano quanto siano importanti gli
studi nelle aree estrattive per tutti quei materiali che poi
non si rinvengono se non in piccola quantità nei siti
d’uso. È il caso della pietra ollare, delle macine, dei
BIAGINI, GHIRETTI, GIANNICHEDDA 1995; BAZZINI, DEVOTI, GHIet alii 2008.
9
Per un esempio, ripreso anche in GIANNICHEDDA 2006, pp. 177178, cfr. BARTELLETTI, PARIBENI 2003; più in generale si vedano le
relazioni al convegno Carved mountains 2011.
10
ROSSI, GATTIGLIA 2011; ROSSI, GATTIGLIA 2013.
8
RETTI
497
vaghi in steatite, ma anche, per ragioni diverse, dei manufatti metallici. Nei siti estrattivi, con più facilità, si
riesce a ragionare di livelli produttivi, di discontinuità
nell’organizzazione del ciclo, di rilevanza economica
della produzione. A cui ovviamente concorrono, poi, le
carte distributive dei manufatti, talvolta semilavorati e
talvolta finiti, verso aree che spesso mutarono nel corso
del tempo anche in relazione a eventi geopolitici o in
relazione all’affermarsi di materiali concorrenziali o
nuove tecniche.
Attività manifatturiere
Per ragioni di tempo, e spazio, ancora più sintetica
e schematica sarà la discussione delle testimonianze di
attività propriamente manifatturiere. Per il ferro evito
di soffermarmi su considerazioni relative alla sempre
maggiore diffusione di manufatti in attività importanti,
dalla guerra all’agricoltura, sulla persistenza di molti tipi
funzionali, sul concorso tardivo del ferro alla progressiva meccanizzazione della società basso medievale che
dipese, in realtà, da bisogni crescenti e dalle esigenze
del commercio e fu in gran parte soddisfatta da ruote e
macchine lignee 12. Tematiche, quelle citate, comunque
importanti, ma due sono gli aspetti su cui è possibile
soffermarsi.
Il primo è conseguenza delle ricerche nelle valli
lombarde dove è importante la recente identificazione
di ghisa in contesti di V-VI secolo in val Gabbia, nel
bergamasco, a seguito dei lavori di Marco Tizzoni 13.
La ricerca, comprendente ricognizioni, scavi e analisi
archeometallurgiche dei materiali, segnala vari aspetti
interessanti. È difatti possibile che nelle valli alpine, già
dal V-VI secolo, molteplici piccole strutture di riduzione
produssero, con il metodo indiretto, quantità apparentemente esigue di ferro (kg 2000 di ferro è la quantità
stimata in val Gabbia e ancora nel IX secolo poche decine di chili di ferro erano portati annualmente dalla val
Camonica al monastero di S. Giulia a Brescia) dando
vita a una tradizione produttiva meglio nota per le età
successive.
Il secondo aspetto interessante si collega al primo e
Al proposito si vedano almeno le relazioni in CUOMO DI CASIMONI 1991 e in FRANCOVICH 1993.
12
Per una sintesi cfr. ZAGARI 2006.
13
CUCINI TIZZONI, TIZZONI 1999. Le complesse problematiche
relative alle ricerche archeometallurgiche sono ben rappresentate in
CUCINI 2012.
11
PRIO,
498
ENRICO GIANNICHEDDA
ha a che fare con la contrapposizione fra metodo indiretto, per l’appunto tipicamente lombardo e che porterà
agli altoforni, e il metodo diretto adottato dai metallurgisti liguri, corsi e genericamente tirrenici. Due parole
sul Genovesato perché è un caso significativo. In
un’area priva di minerale, ma ricca di legna e, fatto più
importante, di manodopera a basso costo, la Repubblica
di Genova organizzò dal XII secolo un sistema produttivo che segnerà la storia di intere valli. Un sistema che
collegava l’isola d’Elba, da cui si importava il materiale da ridurre nei bassi fuochi, alle aree di commercializzazione del prodotto
ubicate in tutto il
Mediterraneo. Un sistema che segnerà la storia genovese sia dal punto di vista politico, i feudi dell’interno
erano enclave produttive, sia nei secoli a seguire quando
le ferriere in crisi divennero cartiere, segherie, cotonifici, a comprovare quella che potrebbe definirsi una vocazione manifatturiera che dipese dalla flessibilità di un
sistema fatto di forza lavoro - rapporti feudali - strade
- uso della forza idraulica applicabile a materiali diversi
in tempi diversi. Ovviamente, ma non è questa la sede,
sarebbe di grande interesse approfondire come furono
possibili due sistemi tecnici distinti, in ambiti fra loro
lontani, ma fra cui è noto vi fossero relazioni comprensive anche di spostamento maestri e sperimentazioni, e il ruolo di centri di consumo importanti come
Milano 14.
Relativamente ai metalli, lo studio della bronzistica,
in Italia settentrionale ma non solo, negli ultimi dieci
anni ha compiuto notevoli progressi in un settore specifico, ma non isolato, com’è la realizzazione di campane. Si sono difatti avuti alcuni scavi fortunati che
hanno restituito nel medesimo sito evidenze di impianti
di più periodi, ricerche etno-archeologiche nelle fonderie
ancora attive, ma soprattutto la rilettura in chiave archeologica delle fonti, in particolare di Teofilo e Biringuccio, ha portato a una schematizzazione dei cicli utile
per la rilettura critica di vecchi (e nuovi) scavi condotti
spesso in maniera inadeguata 15. La messa in valore
degli indicatori di produzione, dei dati di scavo e perfino di manufatti musealizzati ha permesso di rilevare
i motivi delle scelte tecniche adottate, l’alternarsi nella
stessa area di impianti a cera persa e non a cera persa
e ha fornito elementi utili anche per lo studio di altre
produzioni destinate sia alla realizzazione di grandi
opere (le porte bronzee, ad esempio) sia a manufatti
d’uso comune per i quali, al momento, in Italia settentrionale, non sono note evidenze significative. Da notare che, proprio lo spostamento di maestranze ha fatto
sì che le due tradizioni tecniche adottate per la fusione
delle campane si ritrovino in tutta Italia e oltre 16.
Cambiando completamente orizzonte è possibile rilevare i recenti sviluppi e l’attenzione crescente per lo
studio delle produzioni tessili. Penso alla lana su cui in
molti hanno lavorato per l’età romana nella Cisalpina,
ma soprattutto all’identificazione di impianti di trasformazione grazie ad indicatori fino ad oggi trascurati.
Il riferimento è alle buche di palo che indiziano telai lignei allineati in grandi botteghe nell’area piemontese e
ai cuscinetti di vetro, unico resto di torcitoi da seta presenti, fra l’altro, nel XII-XIII secolo nel centro di Genova 17. Un caso, questo, importante perché conseguenza
di un insieme di fattori tecnici, economici e sociali di
cui informa: seta significa difatti importazione di conoscenze, crescente meccanizzazione del ciclo produttivo, avvio della bachicoltura, delocalizzazione in epoca
tarda, export extraregionale, connessioni con altri cicli.
Una vicenda, quella della seta, non del tutto dissimile da quella che nel Genovesato è ricostruibile per
un altro materiale di pregio: il vetro. Per ragioni di
tempo si può solo notare che l’archeologia della produzione vitrea in Italia settentrionale tutt’oggi si basa
su scavi vecchi di quarant’anni. Il riferimento è, ovviamente a Torcello e alle vetrerie cosiddette forestali
fra Genova e Savona. Due realtà separate da cinquecento anni (Torcello databile al VII-VIII secolo, le vetrerie liguri dal XII secolo), e quasi cinquecento
chilometri, ma accomunate a grandi linee da una similarità degli scarti di lavorazione che, quando sottoposti
ad analisi, rivelano però molteplici differenze nei materiali impiegati e nei processi 18. Le distanze che separano Torcello dal Genovesato evidentemente palesano
un vuoto di conoscenza sulla vetraria medievale, solo
in minima parte colmato dall’ubiquo rinvenimento di
frammenti di recipienti vitrei nei contesti di scavo sia
urbani sia rurali. Per fortuna ad arricchire il quadro
Per le questioni del cambiamento tecnologico cfr. anche GIAN2007b.
15
NERI 2006.
16
Alla produzione delle campane, e ai numerosi, ed importanti,
temi connessi alle medesime, sono stati dedicati due recenti convegni: REDI, PETRELLA 2007; LUSUARDI SIENA, NERI 2007. Per un
più recente contributo di sintesi cfr. NERI, GIANNICHEDDA c.s.
17
NEPOTI 2004; GIANNICHEDDA 2010.
18
Per il Genovesato CALEGARI, MORENO 1975; FOSSATI, MANNONI 1975; GIANNICHEDDA, DEFERRARI, LERMA et alii 2005; per Torcello LECIEJEWICZ, TABACZYNSKA, TABACZYNSKI 1977. In generale
cfr. anche STIAFFINI 1999; FOY 2000.
14
NICHEDDA
CASI SPECIFICI E CONSIDERAZIONI GENERALI SUI TECNOCOMPLESSI DELL’ITALIA SETTENTRIONALE
499
Per concludere, è evidente che non ho potuto evitare una trattazione a macchia di leopardo e con limitatissimi cenni alle classi di manufatti che più
frequentemente si rinvengono sul territorio. Senza alcuna pretesa di completezza e trascurando aspetti im-
portanti fra cui, ad esempio, i fabbri longobardi o la bronzistica minore o le produzioni artistiche, per dare spazio anche a casi d’importanza locale, penso alla steatite,
ma significativi, se non esemplari, trattandosi di ricerche condotte ragionando per cicli, non trascurando il
contesto (ambiente, ma anche strade, ruolo del mercato,
sistemi di potere) e insistendo, dove possibile, sulle cesure (innovazioni, mutamenti, crisi) con il fine di comprendere le persistenze. Ho tralasciato anche tutto
quanto pertinente al macchinismo, tema di grande importanza soprattutto per i secoli finali del medioevo e
per i periodi successivi.
Per semplicità ho anche proceduto a separare troppo
nettamente i singoli materiali, ma in realtà, aldilà dei
passaggi squisitamente tecnici, si potevano discutere insieme i modi generali di produzione dei beni d’uso comune (ceramiche, abiti e accessori, attrezzi metallici,
etc.) distinguendoli dai modi di produzione dei manufatti di pregio (ancora ceramiche, vetri, svariati oggetti
metallici, seta). In tal modo si sarebbe dato maggiore
risalto alle questioni economiche e di rilevanza della produzione e al loro mutare nel tempo, ad esempio per l’insorgere di nuovi mercati. Oppure si sarebbe potuto
cercare di descrivere dei quadri sincronici, ma sarebbe
stato enormemente più dispensioso, anche in termini di
tempo, e con il rischio di troppe ripetizioni e distinguo.
Certamente sarebbe risultato evidente che le discontinuità, nel periodo in esame, sono numerose; sia quelle
di carattere tecnico sia quelle economiche, ed entrambe
hanno tempi, e storie, diverse nelle diverse aree (e,
quindi, il tecno-complesso dai limiti incerti di cui si è
detto più sopra è passibile di frammentazione crescente
se solo si sceglie di valorizzare maggiormente le differenze interne anziché le somiglianze di fondo).
Un quadro sincronico, esemplare della complessità
dei sistemi tecnico produttivi, può essere accennato se,
ancora per un attimo, l’attenzione si concentra su Genova, nel periodo meglio conosciuto, i secoli XIII-XV.
All’epoca, il Comune, adottava strategie di controllo differenti a seconda degli ambiti produttivi: controllava
l’estrazione del ferro dal minerale elbano, che importava in regime di monopolio e lavorava grazie ad un sistema di feudi satellite delocalizzati nelle valli interne;
controllava, invece, direttamente la vetraria con lo strumento delle concessioni annuali e, addirittura, consentiva attività di tessitura a pochi passi dal castello dove
Cfr. le relazioni in MENDERA 1991.
In generale, per l’impostazione e la bibliografia cfr. LUSUARDI
SIENA 1995 e i contributi più recenti in Fornaci. Tecnologie e produzione 2010.
concorrono, però, le ricerche in ambiti estranei a questa relazione, come sono la Toscana e la Francia 19.
Detto del vetro, resta da affrontare il tema ceramica
ma benché i due materiali si ritrovino sulle medesime
tavole la loro storia produttiva è completamente diversa. Il dato di partenza è che per il periodo in questione, in Italia settentrionale, nessun impianto
produttivo, nessuna fornace, è stata indagata con risultati paragonabili a quelli ottenuti per la vetraria. Non
che non si conoscano indicatori di produzione, singole
fornaci o, addirittura, l’ubicazione di interi quartieri artigianali, penso a Savona in particolare, ma lo stato delle
testimonianze e delle ricerche fa sì che l’archeologia
della produzione ceramica sia uno studio che muove dai
prodotti finiti. Studio che ha consentito di distinguere
nettamente un’età tardo antica e altomedievale, caratterizzata dal terminare delle importazioni mediterranee
e dalla ripresa delle produzioni locali, dall’età basso medievale con lo sviluppo di centri produttivi ben noti. Gli
studi, grazie soprattutto alle ricerche di archeologia urbana e nei castelli, si sono basati per questo periodo sulle
caratterizzazioni mineralogiche, di impasti e rivestimenti, e su tipologie sempre più accurate 20.
Inutile in questa sede soffermarsi sulle diverse vicende relative alle produzioni d’uso comune e di pregio, su tecniche innovative e conservative, ma è evidente
che le aree costiere in questa storia hanno avuto la funzione di concentrare gli stimoli provenienti dal Mediterraneo, dall’area spagnola e da quella orientale, anche
per il tramite dell’Italia meridionale e della Sicilia, filtrando in modo diverso la diffusione di saperi, tecniche
e maestri, che poi si ritrovano nei siti dell’interno. In
tutto questo, oltre a Genova, Savona e Venezia ovviamente non si può non citare Pisa anche per la qualità
delle ricerche che sono state condotte sulle maioliche
toscane e per gli stimoli dati alla fondamentale questione
dei rivestimenti (ingobbio, vetrina, smalto).
Altre strade
19
20
500
ENRICO GIANNICHEDDA
trovavano spazio altri artigianati di pregio relativi soprattutto ai metalli. Nel settore ceramico maggiore spazio era lasciato alla libera imprenditoria e il controllo
si appuntava, semmai, sulle esportazioni e importazioni.
Ad accrescere la riconosciuta complessità di un sistema
socio produttivo erano le necessità di approvvigionamento alimentare di Genova e altre attività qui trascurate per ragioni di tempo, ma localmente importanti:
dalle lavorazioni per l’edilizia e la cantieristica, fino alla
lavorazione dell’osso e alle concerie in cui sono state
condotte indagini che evidenziano la poca attenzione alle
problematiche di impatto ambientale determinate dall’ubicazione urbana.
Nel complesso, sembra possibile sostenere che l’archeologia della produzione, in molti dei casi accennati,
ha fatto ampi progressi grazie alla messa in valore di
indicatori minuti o, in precedenza, trascurati, e meno,
almeno in Italia settentrionale, a seguito di estese ricerche sul campo. Talvolta hanno potuto più le analisi
che le edizioni di grandi complessi, ma, in genere, non
è tanto il ricorso all’archeometria ad avere modificato
il quadro delle conoscenze quanto la capacità di porre
domande esplicite sui modi di produzione e ricondurre
le evidenze nella logica dei cicli (siano essi del vetro,
della seta o dei metalli). In molti casi, risultati importanti sono stati ottenuti anche grazie ad un’archeometria di ‘basso livello’, ma applicata a grandi quantità di
materiali e meno con applicazioni iper analitiche limitate a pochi pezzi (penso alla caratterizzazione dei centri produttivi del vasellame rivestito che si basano, quasi
intuitivamente, sulla contemporanea messa in valore
dei caratteri tecnologici e di quelli formali o estetici).
Pur tenendo conto della limitatezza delle mie conoscenze su un areale così vasto, devo però rilevare che
le tematiche ancora poco sviluppate sono numerose e
che l’archeologia della produzione non solo ha bisogno
di scavi ben condotti ma, più di altre, necessita di pubblicazioni che vadano oltre le relazioni preliminari di
indagini in castelli, chiese, abitati rurali e città dove,
spesso, compaiono frequentissimi riferimenti a fornacette, probabili scorie e residui di attività che, se non
meglio specificati, valgono, però, meno di niente.
Ad alcune tematiche che ritengo importanti per lo
sviluppo di una migliore archeologia della produzione
avevo già fatto cenno in precedenti lavori 21 suggerendo
che fra le questioni da sviluppare è fondamentale ragionare di rapporti uomini-cose, e quindi, storia della
cultura materiale; almeno per alcuni periodi, del ruolo
del macchinismo nel progresso tecnico e pre-scientifico;
dell’importanza di quantificare per valutazioni socio
economiche; di archeologia cognitiva per ricostruire saperi e rapporti culturali. Ma a ciò aggiungerei la necessità
di ampliare le ricerche condotte con la logica propria
dell’archeologia della produzione (approccio tecnoantropologico, valorizzazione indicatori, ricostruzione dei
cicli, etc.) ad altri ambiti spesso più importanti, dal
punto di vista socio economico, delle stesse attività manifatturiere: all’archeologia delle attività agro silvo pastorali, delle produzioni alimentari, dell’architettura (o,
meglio, del costruire che è cosa distinta dall’abitare).
Il convegno romano ha, però, anche evidenziato due
aspetti che rinviano a questioni già rilevate da tempo,
ma, con tutta evidenza, irrisolte. La prima è relativa alla
perdurante difficoltà di fare corrette valutazioni tecnologiche in assenza di una specifica competenza o di una
adeguata attenzione 22. Da ciò, il rischio che più ricerche di archeologia della produzione significhino anche
più ricostruzioni inattendibili e non verificabili stante,
come minimo, le consuete modalità di pubblicazione (o
non pubblicazione) degli indicatori. La seconda questione è relativa alla parimenti perdurante subalternità
delle testimonianze di attività produttive schiacciate dal
rinvenimento, nel medesimo sito, di evidenze monumentali o di forte valore artistico. Un fatto, comprensibilissimo se si pensa alla storia della disciplina, che
contrasta però con le dichiarazioni di principio sulla pari
importanza delle diverse evidenze archeologiche e rischia di essere più forte nelle ‘città d’arte’ e laddove le
esigenze della valorizzazione siano preminenti rispetto
a quelle della ricostruzione storica. Quanto sopra, ovviamente, deve essere motivo per una archeologia della
produzione migliore e, quindi, non relegabile a specialismo d’appendice.
Guardando alla politica della ricerca credo si debba
rilevare che, finora, la migliore archeologia della produzione, la più completa, si è avuta a partire dallo studio dei siti di consumo. Questo forse potrà apparire
paradossale, ma è ben reso soprattutto dalla ceramica
che è la produzione meglio studiata. Partendo dai manufatti finiti sono, difatti, state studiate scelte tecniche,
GIANNICHEDDA 2006.
22
Tiziano Mannoni scriveva che: «chi non ha nessuna esperienza
di impianti produttivi, ad esempio, difficilmente coglie nello scavo
di un insediamento quei dati archeologici che suggeriscono il so-
spetto di qualche attività artigianale, ma può anche fare ipotesi di
una produzione senza nessun elemento che veramente la sostenga»
sviando, almeno per un qualche periodo, dalla possibilità di una corretta ricostruzione del contesto e della storia: MANNONI, GIANNICHEDDA 1996, pp. 47-48.
21
CASI SPECIFICI E CONSIDERAZIONI GENERALI SUI TECNOCOMPLESSI DELL’ITALIA SETTENTRIONALE
sperimentazioni, innovazioni e conservatorismi, movimenti di artigiani, logiche mercantili, conseguenze del
sistema viario, predilezioni locali, differenziazioni nelle
pratiche d’uso e molto altro. Forse restano da compiere
ancora due passi importanti: la realizzazione di pubblicazioni di sintesi che facciano il punto aggiornato almeno sulle aree meglio studiate e costituiscano nuove
basi da cui progredire; un maggior ricorso a quantificazioni, non di ciò che si è trovato sito per sito, ma degli
equipaggiamenti materiali in uso in aree, tipi insediativi e periodi differenti. Solo quantificando i materiali
nei siti di consumo si avrà difatti la comprensione della
rilevanza socio economico delle diverse produzioni. E,
solo guardando ai siti d’uso, si comprenderà l’esatta funzione di alcuni fra i materiali a cui si è fatto cenno; dall’esatta destinazione delle macine (non sempre
ipotizzabili per granaglie), all’uso dei vaghi di steatite
interpretati talvolta in modo troppo sbrigativo soltanto
come fusaiole. Proprio le quantificazioni, laddove attuate, hanno del resto dimostrato che, in molti casi, in
siti completamente differenti, erano grossomodo usate
ceramiche della medesima qualità, ma diversa era la proporzione fra vasellame importato e non; fra il pentolame indispensabile e le stoviglie da mensa ‘superflue’;
e, fra queste, fra i tipi di maggiore e minore pregio 23.
Per chiudere, torno per un attimo sui problemi di
scala a cui ho accennato in apertura. Le indagini in singoli siti determinano la conoscenza di fatti locali, ovviamente importantissimi e che spesso contribuiscono
alla conoscenza di tendenze generali, ma non sempre
sufficienti ad una comprensione globale e non solo
quando i vuoti sono troppi, ma quando l’indagine nel
singolo sito produttivo è tutta volta al suo interno senza
porlo in relazione al contesto storico e, quindi, alle altre
produzioni coeve. Tendenze generali, ben note ad esempio per quanto attiene alla pietra ollare o alla ceramica,
lo sono molto meno se si guarda alla vetraria e ad altre
arti del fuoco o lo sono diversamente se si guarda ai periodi che precedono o seguono l’ambito affrontato da
questo convegno. Tendenze generali che si possono
anche ravvisare in fenomeni distinti, ma di significato
analogo, come furono, per ragioni economiche, la riduzione della dimensione dei mattoni, del tenore di metallo nelle monete e, all’opposto, l’incremento delle
misure usate per quantificare i beni da coloro che li importavano.
23
Un esempio, credo significativo, delle potenzialità, e del rischio, di quantificare, differenziando, l’equipaggiamento materiale
in uso in specifici siti si ha in GIANNICHEDDA 2012.
501
Ovviamente i problemi di scala, il passare dal locale
al generale, dalle micro osservazioni al contesto, è un
problema di tutta l’archeologia ma l’archeologia della
produzione può, forse, muoversi più di altre, legando
fatti locali a tendenze generali, con due strumenti che
si rafforzano a vicenda e a cui ho già fatto cenno ricordando Riccardo Francovich e Tiziano Mannoni. Da
un lato, l’indagine di singoli siti produttivi, che rinvia
all’archeologia del territorio; dall’altro, lo studio propriamente tecnico antropologico di ogni possibile indicatore di attività così da comprendere fenomeni più
generali quali le modalità di trasmissione del sapere tecnico o le tendenze che, semplificando, definiamo con
innovazione e conservatorismo.
Bibliografia
Fornaci. Tecnologie e produzione 2010 = AA.VV., Fornaci.
Tecnologie e produzione della ceramica in età medievale
e moderna. Atti del XLII Convegno Internazionale della
ceramica (Savona, 29-30 maggio 2009), Firenze 2010.
Il grano e le macine 1994 = AA.VV., Il grano e le macine.
La macinazione di cereali in Alto Adige dall’Antichità al
Medioevo, Museo Provinciale di Castel Tirolo 1994.
Atti Como 1987 = La pietra ollare dalla preistoria all’età
moderna. Atti del Convegno (Como, 16-17 ottobre 1982),
Como 1987.
BARTELLETTI, PARIBENI 2003 = A. BARTELLETTI, E. PARIBENI
(a cura di), Ante et post Lunam. Splendore e ricchezza
dei marmi apuani. I. L’evo antico. Atti del Convegno di
studi per l’istituzione del Parco archeologico delle Alpi
Apuane (Marina di Carrara, 6 giugno 2003), Lucca 2003.
BAZZINI, DEVOTI, GHIRETTI et alii 2008 = M. BAZZINI, G.P.
DEVOTI, A. GHIRETTI, E. GIANNICHEDDA, R. PEREGO, S. PROVINI, Un’officina per la lavorazione della steatite (X-XII
secolo) ed un granaio carbonizzato (inizi XI) al Monte Castellaro di Groppallo (comune di Farini, media valle del
Nure, Piacenza), in AMediev, XXXV, 2008, pp. 453-489.
BIAGINI, GHIRETTI, GIANNICHEDDA 1995 = M. BIAGINI, A.
GHIRETTI, E. GIANNICHEDDA, La lavorazione della steatite: dalle ricognizioni allo scavo di un atelier medievale
a Pareto di Bardi (PR), in AMediev, XXII, 1995, pp. 147190.
CALEGARI, MORENO 1975 = M. CALEGARI, D. MORENO, Manifattura vetraria in Liguria tra XIV e XVII secolo, in AMediev, II, 1975, pp. 13-29.
Carved mountains c.s. = Carved mountains. Engraved stones. Contributions to the environmental resources archaeology of the Mediterranean mountains Montagne incise.
Pietre incise. Per una archeologia delle risorse delle
montagne mediterranee. Atti del Convegno (Borzonasca,
20-22 october 2011), in Archeologia Postmedievale 17,
2013.
CORTELAZZO 2013 = M. CORTELAZZO, Le macine in cloritoscisto granatifero (“pietra ollare”) della Valle d’Aosta:
Dai “moleria” al “molendinum ad brachia”. Un prodotto
d’esportazione dell’economia valdostana nel Medioevo,
in Actes du XIIIe Colloque sur les Alpes dans l’Antiquité
502
ENRICO GIANNICHEDDA
- Le Travail dans les Alpes (Brusson-Vallée d’Aoste, 1214 ottobre), in Bulletin d’Études Préhistoriques et Archéologiques Alpines, 2013, pp. 89-124.
CUCINI 2012 = C. CUCINI (a cura di), Acta mineraria et metallurgica. Studi in onore di Marco Tizzoni, in Notizie Archeologiche Bergomensi, 20, 2012.
CUCINI TIZZONI, TIZZONI 1999 = C. CUCINI TIZZONI, M. TIZZONI, La miniera perduta. Cinque anni di ricerche archeometallurgiche nel territorio di Bienno, Breno 1999.
CUOMO DI CAPRIO, SIMONI 1991 = N. CUOMO DI CAPRIO, C.
SIMONI (a cura di), Dal basso fuoco all’altoforno. Atti del
I Simposio Valle Camonica “La siderurgia nell’antichità”
(Bienno, 13-16 ottobre 1988), Brescia 1991.
DAVITE, GIANNICHEDDA 2012 = C. DAVITE, E. GIANNICHEDDA,
Le macine in pietra ollare della Valmeriana, in F. REDI,
A. FORGIONE (a cura di), Atti del VI Congresso Nazionale
di Archeologia Medievale (L’Aquila, 12-15 settembre
2012), FIRENZE 2012, PP. 626-629.
FOSSATI, MANNONI 1975 = S. FOSSATI, T. MANNONI, Lo scavo
della vetreria medievale di Monte Lecco, in AMediev, II,
1975, pp. 31-97.
FOY 2000 = D. FOY, Technologie, géographie, économie: les
ateliers de verriers primaires et secondaires en Occident:
Esquisse d’une évolution de l’Antiquité au Moyen Âge,
in M.D. NENNA, La route du verre. Ateliers primaires et
secondaires du second millénaire av. J.-C. au Moyen Âge,
Macon 2000, pp. 147-170.
FRANCOVICH 1993 = R. FRANCOVICH (a cura di), Archeologia
delle attività estrattive e metallurgiche. V Ciclo sulla ricerca applicata in archeologia (Certosa di Pontignano,
9-21 settembre 1991), Firenze 1993.
GIANNICHEDDA 2000 = E. GIANNICHEDDA, Archeologia della
produzione, in R. FRANCOVICH, D. MANACORDA (a cura
di), Dizionario di archeologia, Roma 2000, pp. 231-236.
GIANNICHEDDA 2002 = E. GIANNICHEDDA, L’archeologia della
produzione, in AA.VV., Il Mondo dell’archeologia, II, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 2002, pp.
797-806.
GIANNICHEDDA 2006 = E. GIANNICHEDDA, Uomini e cose. Appunti di archeologia, Bari 2006.
GIANNICHEDDA 2007a = E. GIANNICHEDDA, Tecnologie medievali e ricerca archeologica, in S. PATITUCCI UGGERI (a
cura di), Archeologia del Paesaggio Medievale. Studi in
memoria di Riccardo Francovich. III Conferenza Italiana
di Archeologia Medievale (Cassino, 17-19 dicembre
2003), Firenze 2007, pp. 49-61 (Quaderni di Archeologia Medievale, IX).
GIANNICHEDDA 2007b = E. GIANNICHEDDA, Metal Production
in Late Antiquity; from Continuity of Knowledge to Changes in Consumption, in L. LAVAN, E. ZANINI, A. SARANTIS (a cura di), Technology in Transition A.D. 300-650,
Leiden 2007, pp. 187-209 (Late Antique Archaeology, 4).
GIANNICHEDDA 2010 = E. GIANNICHEDDA, Lo scavo di Santa
Maria in Passione e l’industria della seta a Genova, in
AMediev, XXXVII, 2010, pp. 361-382.
GIANNICHEDDA 2012 = E. GIANNICHEDDA (a cura di), È sotto
terra la tradizione di Bano. Archeologia e storia di un
monastero femminile, Firenze 2012.
GIANNICHEDDA 2014 = E. GIANNICHEDDA, Archeologia della produzione, in S. GELICHI (a cura di), Quarant’anni di Ar-
cheologia Medievale in Italia. La rivista, i temi, la teoria e
i metodi, in AMediev, numero speciale, 2014, pp. 75-94.
GIANNICHEDDA, DEFERRARI, LERMA et alii 2005 = E. GIANNICHEDDA, G. DEFERRARI, S. LERMA, B. MESSIGA, M.P.
RICCARDI, A. SANTAGOSTINO, La vetreria della Val Gargassa, Rossiglione (Ge), in AMediev, XXXII, 2005, pp.
53-76.
LECIEJEWICZ, TABACZYNSKA, TABACZYNSKI 1977 = L. LECIEJEWICZ, E. TABACZYNSKA, S. TABACZYNSKI (a cura di), Torcello. Scavi 1961-1962, Roma 1977.
LUSUARDI SIENA 1995 = S. LUSUARDI SIENA (a cura di), Ad
mensam. Manufatti d’uso da contesti archeologici fra
tarda antichità e medioevo, Udine 1995.
LUSUARDI SIENA, NERI 2007 = S. LUSUARDI SIENA, E. NERI
(a cura di), Del fondere campane. Dall’archeologia alla
produzione. Atti del Convegno (Milano, 23-25 febbraio
2006), Milano 2007.
MANNONI 1994 = T. MANNONI, Archeologia delle tecniche produttive, Genova 1994 (Venticinque anni di archeologia globale, 4).
MANNONI, GIANNICHEDDA 1996 = T. MANNONI, E. GIANNICHEDDA, Archeologia della produzione, Torino 1996.
MENDERA 1991 = M. MENDERA (a cura di), Archeologia e storia della produzione del vetro preindustriale, Firenze
1991.
NEPOTI 2004 = S. NEPOTI, L’artigianato tessile: indicatori archeologici per il medioevo europeo, in E. GIANNICHEDDA
(a cura di), Metodi e pratica della cultura materiale. Produzione e consumo dei manufatti, Bordighera 2004, pp.
159-167.
NERI 2006 = E. NERI, De campanis fundendis. La produzione
di campane nel medioevo tra fonti scritte ed evidenze archeologiche, Milano 2006.
NERI, GIANNICHEDDA c.s. = E. NERI, E. GIANNICHEDDA, La
production des cloches: spécificités techniques et interactions avec d’autre savoirs. Les ateliers italiens dans un
cadre européen, in Medieval copper, bronze and brass,
History, archaeology and archaeometry of the production
of brass, bronze and other copper alloy objects in medieval Europe (12th-16th centuries) (Dinant-Namur, 1517 maggio 2014), c.s.
REDI, PETRELLA 2007 = F. REDI, G. PETRELLA (a cura di), Dal
fuoco all’aria. Tecniche, significati e prassi nell’uso delle
campane dal medioevo all’età moderna (Agnone, 6-9 dicembre 2004), Agnone 2007.
ROSSI, GATTIGLIA 2011 = M. ROSSI, A. GATTIGLIA (a cura di),
Terre rosse, pietre verdi e blu cobalto. Miniere a Usseglio. Prima raccolta di studi, Usseglio 2011.
ROSSI, GATTIGLIA 2013 = M. ROSSI, A. GATTIGLIA (a cura di),
Terre rosse, pietre verdi e blu cobalto. Miniere a Usseglio. Seconda raccolta di studi, Usseglio 2013.
STIAFFINI 1999 = D. STIAFFINI, Il vetro nel medioevo. Tecniche, strutture, manufatti, Roma 1999.
TIZZONI 2001 = M. TIZZONI, Tomaso Moroni da Rieti e le ferriere del Piacentino nel XV secolo, in P. BRAUNSTEIN (a
cura di), La sidérurgie alpine en Italie (XIIe-XVIIe siècle),
Rome 2001, pp. 289-326 (Collection de l’École francaise
de Rome, 290).
ZAGARI 2006 = F. ZAGARI, Il metallo nel Medioevo. Tecniche, strutture, manufatti, Roma 2006.
FORME, DIMENSIONI E LOGICHE DELLA PRODUZIONE NEL MEDIOEVO:
TENDENZE GENERALI PER L’ITALIA CENTRALE TRA V E XV SECOLO
Federico Cantini
In questo contributo cercheremo di evidenziare i
momenti in cui le attività produttive (perlomeno quelle
che sono state oggetto di approfondite ricerche archeologiche) mostrano fasi di recessione o sviluppo in termini di investimenti tecnologici, organizzazione del
lavoro e capacità di espandere il proprio mercato, lungo
il corso del Medioevo. Proveremo a verificare se per i
diversi tipi di produzione tali momenti coincidano, testimoniando macrofenomeni economici, oppure se vi
siano delle divergenze. In quest’ultimo caso tenteremo
di individuarne le ragioni. I fenomeni descritti saranno
illustrati attraverso casi esemplari di scavi di siti produttivi. Prima di entrare nel dettaglio del lavoro fatto,
sono necessarie alcune precisazioni.
Lo spazio geografico (l’Italia centrale) e l’arco cronologico che abbiamo inteso affrontare, dalla tarda Antichità alle soglie del Rinascimento, come si legge dal
titolo, è evidentemente smisurato e ambizioso. Lo sarebbe soprattutto se si fosse inteso affrontare l’oggetto
dell’analisi, la produzione nel Medioevo, sotto tutti i
punti di vista che solitamente, e spesso separatamente,
vengono affrontati dagli specialisti delle fonti materiali
e delle fonti scritte: i luoghi della produzione, gli oggetti prodotti, l’organizzazione del lavoro, le forme di
commercializzazione dei manufatti e le declinazioni del
consumo. L’ambizione sarebbe stata intollerabile se
ancor più si fosse voluto toccare i numerosi campi della
produzione, da quelli legati agli oggetti di consumo a
quelli connessi all’edilizia, solo per citarne alcuni.
Ovviamente non è stato così.
L’obbiettivo che ci siamo posti è stato quello di osservare esclusivamente i centri di produzione, contarli,
quando possibile, nel tempo, comprenderne la geografia in rapporto alle aree di ‘estrazione’ delle materie
prime e a quelle dove si concentrava la domanda, definire i modi di articolazione degli spazi dove si svolgevano, l’organizzazione del lavoro, le tecnologie
impiegate e la scala della produzione.
Ma ancor più ci interessava individuare i momenti
in cui queste variabili subivano delle alterazioni, dei mutamenti, per cui abbiamo privilegiato un arco temporale molto ampio.
Relativamente alle fasi di cesura ritenevamo poi interessante individuare quelle che non fossero state legate alla storia del singolo sito, ma a macrofenomeni
economici. Per far questo dovevamo verificare se quelle
stesse cesure si fossero ripercosse su più settori della
produzione. Tra quelli che potevano indagare abbiamo
preferito scegliere i settori che da una parte avevano lasciato più tracce archeologiche, anche per una questione
di competenze, e dall’altra che abbracciassero prodotti
di vasto consumo e che quindi non fossero legati a logiche proprie di cerchie molto ristrette della società o
ai complessi sviluppi o involuzioni dell’edilizia. Abbiamo quindi concentrato la nostra attenzione sulla ceramica, il metallo, il vetro e i tessuti.
Relativamente all’ambito geografico il lavoro si è
concentrato sulla Toscana, l’Umbria e le Marche, tralasciando il Lazio, che in qualche modo immaginavo
fosse già ampiamente oggetto di discussione o confronto nelle relazioni del convegno (fig. 1).
I dati archeologici ora a disposizione mi hanno poi
costretto a concentrarmi soprattutto sulla Toscana rispetto alle altre aree geografiche. Le informazioni di-
Un ringraziamento ad alcuni miei dottorandi per l’anticipazione
dei risultati di lavori ancora in corso a Pisa (Francesco Carrera,
Caterina Toscani, per lo scavo degli ex Laboratori Gentili, e Anto-
nino Meo, per quelli di S. Eufrasia), oltre a Marja Mendera per
l’aiuto che mi ha fornito relativamente ai centri di produzione vetraria.
504
FEDERICO CANTINI
vo, inizia una parabola
ascendente dall’XI fino al
XIII secolo, per poi avere
un balzo nel XIV secolo,
che si rinnova nel XV secolo (fig. 2) 1.
Se andiamo ad analizzare dove si collocano i resti di queste attività produttive notiamo che:
Iniziamo a contare i centri di produzione: in totale
ad oggi sono noti 91 centri di produzione ceramica
tra V e XV secolo in Toscana. Questo numero va considerato in difetto rispetto alla realtà, specie per il periodo precedente al XIII secolo, quando sono state
individuate, attraverso l’analisi del vasellame nei centri di consumo, diverse produzioni ma raramente le
officine.
Se si va a osservare lo stesso dato nel tempo, emerge come dopo una fase caratterizzata da una minima attestazione di ‘officine’ che dura per tutto l’alto Medioe-
- fino al XII secolo esse
sono tutte rurali, poste in
luoghi strategici per il reperimento delle materie
prime e la vicinanza con
le vie di comunicazione;
in età tardo antica sono
collocate dentro a realtà
insediative che potremmo definire vici e dall’età carolingia sempre in
villaggi collegati a centri
curtensi fiscali (vicus Wallari);
- solo dal XIII secolo, a seguito di una diminuzione
numerica delle officine rurali, iniziamo a trovare
tracce sicure di produzioni dentro le città, fenomeno che forse sottende anche l’inurbamento
dalle aree rurali di alcuni artigiani richiamati dalla
crescita della popolazione urbana che rendeva
comunque vantaggioso lavorare lontano dalle materie prime. Ne potrebbe essere testimonianza
anche il fatto che i primi vasai attestati a Pisa, Sigerius e Nicolus, provenivano dal territorio rurale 2;
- a partire dalla fine del XIII-XIV secolo e in misura
maggiore dal XV secolo, ritorniamo ad avere attività produttive che si radicano nelle campagne, a
seguito della crescita demografica che investe
anche il mondo rurale e alla diminuzione dei costi
dei prodotti smaltati. Lo sviluppo di alcuni di questi poli produttivi rurali, soprattutto dal XV secolo,
si lega strettamente a quello della città da cui dipendono, come nei casi di Montelupo Fiorentino e
Bacchereto rispetto a Firenze.
1
Per i centri di produzione ceramica nel territorio toscano cfr.:
BERTI, CAPPELLI, FRANCOVICH 1986; MILANESE 1997; CAROSCIO
2009; CANTINI 2010; GRASSI 2010; CANTINI 2011 e CANTINI, GRASSI
2012 per i quadri generali che possono essere integrati, specie per
il periodo tardo medievale, con BERTI, RENZI RIZZO 1997; GATTIGLIA 2013, per Pisa; BOLDRINI 1994 per Siena e BOLDRINI, GRASSI,
QUIRÓS CASTILLO 1999 per le produzioni di catini figlinesi.
2
RENZI RIZZO 2000, p. 146.
Fig. 1. - Carta con i siti citati nel testo.
sponibili per Marche ed Umbria rimangono infatti talmente sporadiche che non possono ad oggi essere considerate rappresentative, per cui le ho utilizzate solo per
confronto.
Il testo, da qui in avanti, sarà articolato per singola
produzione e poi nelle conclusioni cercheremo di tratteggiare un quadro di sintesi.
La ceramica
FORME, DIMENSIONI E LOGICHE DELLA PRODUZIONE NEL MEDIOEVO
505
Relativamente al raggio di diffusione delle produzioni regionali
si osserva poi come:
- fino alla prima metà del VI secolo il vasellame valichi i confini solo quando si tratta di
contenitori di prodotti alimentari (anfore);
- dal VII al XII secolo non si va
oltre ambiti locali o sovralocali
(km 35) che possono allargarsi, a partire dall’XI-XII secolo, seguendo l’espansione
delle città sul contado;
- solo a partire dalla seconda
metà - fine del XIII e inizio
XIV secolo si torna ad avere la
capacità di esportare i prodotti
in ambiti anche extraregionali,
ma solo relativamente al centro produttore urbano di Pisa, Fig. 2. - Grafico: numero di centri produttori di ceramiche dal V al XV secolo in Toscana.
che immette i propri vasi in
Nel IX secolo abbiamo poi il caso di vicus Wallari,
quella vasta rete commerciale che lo legava a molte
nel Valdarno, dove abbiamo trovato i resti di una foraree del tirreno (Lazio, Sicilia, Sardegna, Liguria,
nace per la produzione di vasellame dipinto con ingobbio
Provenza, Corsica);
rosso. Si tratta di una struttura di tipo verticale, di grandi
- dal XV secolo l’espansione territoriale di alcune
dimensioni (cm 250 x 150), realizzata con frammenti
città e il legame tra investimenti di capitali urbani
di laterizi romani legati da argilla e pezzi di arenaria
e centri manifatturieri rurali satelliti, posti su vie
per gli archi che sostenevano il piano forato. Poteva prodi transito strategiche, consentono di avere anche
durre fino a 200 oggetti per volta. Si inserisce in un’area
produzioni rurali che circolano in ambiti mediterartigianale che prevede fosse intercomunicanti per la deranei: è il caso di Montelupo Fiorentino che dopo
cantazione dell’argilla e aree destinate allo scarico degli
la conquista fiorentina del 1406 di Pisa, si trova a
scarti. Ha inoltre nelle vicinanze uno spazio destinato
mezza strada, sull’Arno, tra la città gigliata e i suoi
alla produzione dell’olio e molto probabilmente del
nuovi porti (in primis quello livornese).
vino, oltre alla macinazione del grano. Probabilmente
nella fornace si producevano anche i contenitori per imDiamo ora uno sguardo alle tecnologie e in particomagazzinare l’olio prodotto nello stesso centro, visto che
lare alle fornaci, di cui purtroppo rimangono pochissime
alcune brocche non sono dotate di versatoio e potrebtracce.
bero essere state facilmente tappate. L’area produttiva
Per il V - prima metà VI secolo gli scarichi emersi
occupa, allo stato attuale delle conoscenze, una supera Empoli ci parlano di fornaci di tradizione romana con
ficie di circa m2 2000. Si colloca all’interno di un cenvolte realizzate con vasi fittili e sistemi di tubuli per
tro curtense di proprietà del marchese di Tuscia
creare atmosfere perfettamente ossidanti per la cottura
Adalberto ‘il Ricco’, dotato di una pieve con antistante
di ceramiche ingobbiate di rosso. Queste fornaci, stando
cimitero e forse di un battistero, richiamando da vicino
alla distribuzione dei butti e degli scarti, potrebbero esle cosiddette domuscultae romane (fig. 3) 4. Dopo il IX
sere dislocate lungo la strada romana che univa Pisa a
3
secolo per ritrovare strutture produttive dobbiamo anFirenze e nei pressi dell’Arno .
3
CANTINI, BOSCHIAN, GABRIELE 2014.
4
Lo scavo, diretto da chi scrive, è ora in corso di edizione. Per
alcune notizie preliminari cfr. CANTINI, SALVESTRINI 2010.
506
FEDERICO CANTINI
ad un’attività gestita dall’alto, magari dai responsabili del centro curtense del
marchese, dove l’attività del
vasaio si integrava con
quella degli addetti alla spremitura dell’olio e alla produzione del vino e della
farina. La presenza di mezzi
di produzione e di prodotti
diversi nel centro garantiva
un costante afflusso di persone e quindi una domanda
forse tale da consentire l’esistenza di artigiani professionisti, che rifornivano coloro
che dipendevano dal centro
Fig. 3. - San Genesio, ricostruzione del sito nel IX secolo, di B. Fatighenti.
curtense e che vivevano nel
territorio circostante, come
dare a Rugano, a nord-ovest di Lucca, dove è stata troha dimostrato la ricognizione di superficie.
vata una fornace, di pianta circolare del diametro di cm
Ritroviamo questa integrazione tra differenti attività
240 e altezza ipotetica di cm 200, scavata in un verproduttive, in dimensioni e forme maggiori, solo in città
sante, di tipo orizzontale, alimentata da una camera di
a partire dal Duecento.
combustione posta ad un livello di poco inferiore a
A Firenze i ceramisti potevano acquistare il piombo
quella di cottura, dotata di pavimentazione compattata
dai bicchierai e dagli speziali, dai quali potevano troda schegge di pietra. Vi si producevano, tra fine XI e
vare anche lo stagno, mentre per Pisa si è ipotizzato che
inizio XII secolo, ceramiche con un impasto semidevi fosse un qualche rapporto tra i vasai che avevano inipurato, con raggio di circolazione dei prodotti sopratziato a produrre maiolica arcaica e i fabbri che avrebtutto locale che comprende l’area lucchese e la valle del
bero importato stagno dalle miniere del campigliese, che
Serchio 5.
dalla fine del XII secolo era diventato parte del contado
Infine, dobbiamo fare un altro salto temporale, per
pisano 7. Questi stessi ceramisti, almeno dagli inizi del
arrivare a Siena tra la metà del XV e l’inizio del XVI
XIII secolo, prelevavano il combustibile (paglia) nelle
secolo: ai margini della città è stata infatti indagata una
aree prossime alla foce dell’Arno, prese in affitto dal
fornace, scavata in grotta, con pianta di cm 200 x 250
vescovo o dal capitolo, in cambio di denaro e vasi 8.
con piano del forno in terra, lati rivestiti da laterizi leL’attività dei vasai sembra poi, insieme ad altre, congati da argilla e piano forato sostenuto da archetti. Vi
centrarsi, tra XIII/XIV e XV secolo, in alcune aree spesi produceva ceramica ingobbiata e graffita, invetriata
cifiche della città, spesso periferiche: a Pisa in quella d’ole acroma depurata 6.
tre Arno, Baractularia (1246-48) e Tegularia (1204), a
Passiamo ora all’organizzazione del lavoro, per caFirenze nel quartiere di S. Spirito, sempre oltre Arno, ad
pire la quale abbiamo ancora pochi dati perlomeno fino
Arezzo nell’area tra la Porta di Santo Spirito e S. Iacoal XIII secolo, quando anche le fonti scritte contribuipo, a Siena in quelli di Abbazia nuova, Stalloreggi e S.
scono a gettare luce su questo tema.
Marco (fig. 4) 9. In queste aree vanno probabilmente a laNel caso di vicus Wallari, la contiguità, nel IX sevorare anche gli artigiani che si inurbano dal contado. Quecolo, con altri tipi di produzione potrebbe far pensare
sto fenomeno, che possiamo ipotizzare per Pisa già agli
5
6
7
CIAMPOLTRINI 2004, pp. 159-161.
BOLDRINI 1994.
Per Firenze CAROSCIO 2009, p. 54; per Pisa GIORGIO 2012.
8
RENZI RIZZO 1994, pp. 67-70; BERTI, RENZI RIZZO 1997, pp.
499, 501-503.
9
Per Pisa RENZI RIZZO 1994, pp. 74-78; BERTI, RENZI RIZZO 1997;
per Firenze CAROSCIO 2009, pp. 56-57; per Arezzo FRANCOVICH, GELICHI 1983, pp. 16-24; per Siena FRANCOVICH 1982, pp. 40-51.
FORME, DIMENSIONI E LOGICHE DELLA PRODUZIONE NEL MEDIOEVO
507
inizi del XIII secolo 10, è evidente a
Firenze tra la metà del XIV e la metà
del XV secolo, quando troviamo ceramisti di Bacchereto e Montelupo 11. In questa città i vasai rappresentano comunque sempre una
componente minima della popolazione: dal catasto del 1427 la produzione della ceramica impiegava
infatti solo l’1,4% della popolazione attiva 12. Il numero dei vasai diminuisce poi alla fine del XV secolo,
quando Firenze punta su Montelupo, dove l’integrazione si osserva tra
i ceramisti nell’uso di una stessa fornace, che ha come corrispettivo la
comparsa dei marchi sulle maioliche, che garantivano il riconoscimento dell’appartenenza dei diversi lotti di vasi all’interno della
stessa fornace 13.
La circolazione di manodopera
sembra comunque limitata nel XIV Fig. 4. - Pisa, i quartieri artigianali di Baractularia e Tegularia, da Garzella 1990, p. 67, tav. VIII.
secolo tra centri produttori vicini e
maggiori, mentre alcuni ceramisti si
Relativamente al rapporto tra chi si occupava della
spostano su rotte extraregionali. Si osserva invece soproduzione e chi era dedito alla commercializzazione
prattutto a partire dal XV secolo un movimento di maepossiamo osservare casi diversi: a Pisa, a partire dalla
stranze in due direzioni 14:
fine del XIV secolo, potevano essere la stessa persona 17,
così come nel centro di Bacchereto 18 o a Prato nel XV
- dalle campagne alle città, dove forse sono attirate
secolo 19, mentre a Firenze la divisione tra le due fundalla possibilità di commercializzare i loro prozioni è netta già dal XIV secolo per poi diventare padotti, anche quelli realizzati nelle fornaci dei villese dalla fine del XV secolo 20, quando saranno le
laggi rurali da dove provengono, di cui spesso
aristocrazie urbane a investire capitali nei centri rurali
mantengono la proprietà (nel fiorentino e nel seiperspecializzati, come dimostra l’accordo del 1490 con
nese);
cui gli Antinori acquistarono la produzione di tre anni
- dai centri di produzione nati nel XIV secolo verso
della Lega di 23 orciolai di Montelupo Fiorentino 21. Ma
quelli sviluppatisi in campagna nel corso del XV
prima di loro, sempre in area fiorentina, sembra plausecolo (specie in area valdarnese).
sibile che l’intraprendenza di alcuni mercanti, come
Francesco di Marco Datini di Prato (1335-1410), possa
Dall’inizio del XV secolo si assiste all’instaurarsi
aver contribuito alla fortuna di alcune produzioni, come
anche di rapporti stretti tra vasai di diverse città (Pisa,
quella dei catini figlinesi 22.
Lucca) 15 e dalla fine del secolo al consolidarsi di Leghe
16
Passando alle altre due regioni i pochi dati a dispodi ceramisti di uno stesso centro (Montelupo) .
RENZI RIZZO 1994, pp. 62-67.
CAROSCIO 2009, pp. 55-56.
12
CAROSCIO 2009, p. 51.
13
CAROSCIO 2009, p. 75.
14
BERTI, CAPPELLI, FRANCOVICH 1986, pp. 503-504.
15
BERTI, CAPPELLI, FRANCOVICH 1986, p. 495.
16
CAROSCIO 2009, p. 75.
10
17
11
18
19
20
67.
21
22
RENZI RIZZO 1994, p. 83; BERTI, RENZI RIZZO 1997, p. 501.
CAROSCIO 2009, p. 69.
CAROSCIO 2009, p. 153.
CAROSCIO 2009, pp. 53-54, con relative tabelle nelle pp. 58CAROSCIO 2009, p. 75.
BOLDRINI, GRASSI, QUIRÓS CASTILLO 1999, p. 407 e nota 21.
508
sizione ci parlano di un centro di produzione,
quello di Eggi, posto a km 4 da Spoleto, con tre
fornaci impostate sui resti di una villa rustica,
che producono, in un’area ancora ben strutturata, anforette, olle, casseruole dipinte con ingobbio bianco, coperchi e lucerne del tipo a
ciabatta, diffuse nell’area umbra centro-meridionale e in quella alto-laziale 23.
Per trovare di nuovo traccia di produzioni ceramiche dobbiamo spostarci nelle città due-trecentesche, come Assisi, dove sono noti scarti di
maioliche arcaiche e acrome di metà XIV secolo 24, oppure ad Orvieto, con le due fornaci
della metà del XIV - metà XVI secolo trovate
in via della Cava 25, o ancora nella Deruta di fine
XIV - prima metà XV secolo, dove, tra il 2008
e il 2010, è stato riportato alla luce un complesso
produttivo dotato di due fornaci, a pianta subrettangolare, dotate di prefurnio e camera di
combustione profonda m 1, costruite con laterizi legati da argilla 26.
Relativamente alle Marche non sono note fornaci altomedievali e per il tardo Medioevo conosciamo solo quelle trovate a Piobicco,
nell’alto Pesarese, di cui non è però chiara la
destinazione 27.
FEDERICO CANTINI
Fig. 5. - Strutture per la lavorazione del vetro di Spolverino, rielaborata da Sebastiani, Chirico, Colombini et alii 2012, fig. 2.
Relativamente al vetro ci concentreremo sulla Toscana. La quantificazione dei siti di produzione vede 4
impianti (Spolverino, Torraccia, S. Cristina e Firenze)
tra IV e V secolo e poi il vuoto fino al pieno XII secolo, quando questa attività produttiva è di nuovo attestata a Pisa, seguita a partire dal XIII secolo da alcuni
centri della Valdelsa (San Gimignano, Montaione, Gambassi, Camporbiano), che aumentano di numero a partire dal XIV secolo; dal secolo successivo i vetrai di
quest’area si sposteranno in altri grandi borghi rurali
(Colle Valdelsa, Figline Valdelsa, San Miniato, Castelfiorentino, Certaldo, Empoli, San Giovanni Valdarno,
Prato), nelle città (Arezzo, Pistoia, Pisa, Firenze e Siena)
e nel Mugello (1480) 28.
In generale per l’età tardo antica abbiamo produzioni
in qualche modo ancora ben strutturate, come quella
emersa a Spolverino, il probabile approdo di Roselle sull’Ombrone, che presenta, tra IV e V secolo, un impianto
dove convivono un’attività per la produzione del vetro,
a cui sono riferibili tre forni, e un’officina per la rifusione dei metalli (leghe di rame) (fig. 5 e tav. 00) 29.
Anche la fornace che tra fine IV e V secolo si inserisce in uno degli ambienti dell’impianto termale di età
adrianea di Piazza della Signoria a Firenze, privatizzato
a partire dalla seconda metà del IV secolo, doveva comunque essere un tipo di bottega non provvisoria, come
dimostra l’estrema ricchezza delle forme prodotte
CARBONARA, VALLELONGA 2015.
24
BLAKE 1980.
25
http://www.pozzodellacava.it/grotte/cosa/fornace.htm. Sulla
possibile presenza di una fornace nei pressi della chiesa di S. Lorenzo cfr. SATOLLI 1981, p. 47.
26
Per una prima notizia: http://sistemamuseo.it/data/allegati_
news/20130902160301_depliant_fornaci_deruta.pdf; http://siste-
mamuseo.it/data/allegati_news/20130909170138_1%20FOREX%20
200%20X%20100%20SAN%20SALVATORE.pdf.
27
PROFUMO 2004, p. 173.
28
Per i temi legati allo studio dei centri di produzione del vetro
in Italia cfr.: MENDERA 1991a; STIAFFINI 1999; MENDERA 2000; per
l’area Valdelsana cfr. anche GALGANI 2001.
29
SEBASTIANI, CHIRICO, COLOMBINI et alii 2012; SEBASTIANI,
CHIRICO, CINI et alii 2013.
Vetro
23
Fig. 6. - Pisa, ex Laboratori Gentili, rielaborata da Carrera, Pasini, Bonaiuto 2013, fig. 5.
(coppe, bicchieri, piatti, balsamari, lucerne e forse bottiglie) e la quantità di resti di vetro che superano i kg
100 30.
Altre attività sembrano invece avere un carattere
meno stabile, ma forse ancora una gestione pubblica,
tra la metà del V e la metà del VI secolo: sono rivolte
alla rifusione del vetro e al riciclo sistematico dei materiali spoliati dai grandi complessi tipo villa, come
suggerisce il caso di S. Cristina (Si), dove tra la seconda
metà del IV e il V secolo è attiva una fornace da vetro,
costituita integralmente da materiali di reimpiego, vicino ad una zona dove si rifondevano i metalli 31, oppure quello di Torraccia di Chiusi (Si), dove, in alcuni
ambienti rettangolari intorno ad una sala da otium, viene
creato una sorta di centro di raccolta di ferro, lega di
rame, oro, pasta vitrea e frammenti di mosaici 32.
Possiamo immaginare che ci potesse essere una qualche forma di rapporto tra cantieri e officine legate alla
spoliazione delle grandi ville e botteghe urbane più
strutturate, dove forse confluivano le materie prime prelevate in campagna 33.
Una sorta di primato della città sulla campagna sembra emergere anche a partire dal XII secolo, quando torniamo ad avere dati sulla produzione, o già prima se si
considerano i crogioli trovati a Luni datati ad un generico alto Medioevo 34.
Per la seconda metà del XII secolo il recente scavo
del complesso degli ex Laboratori Gentili, posti a sud
della città medievale di Pisa, lungo il margine settentrionale della zona paludosa colmata tra il 1177 (alluvione) e la fine del XII secolo, sta portando alla luce
un’area con un edificio, H, che al piano terra era diviso
in due vani di cui quello sud ospitava un forno di ridotte
dimensioni per la fusione del vetro (Fv1), del quale sono
state riconosciute le pareti esterne, il condotto igneo, i
sostegni dei banconi laterali, e alcune buche di palo
forse pertinenti al matteo. L’edificio viene poi parzialmente abbattuto lungo il fronte nord per far posto ad una
strada coincidente con via Alberto Mario, mentre l’ambiente sud viene pavimentato e cambia funzione. Tra la
fine del XII e l’inizio del XIII secolo il fabbricato H è
infine demolito per la costruzione di un nuovo edificio
residenziale (B); nello stesso tempo le attività di lavorazione del vetro (Fv2) sono spostate nella parte a sud
del nuovo edificio e di quello posto ad ovest denominato A, residenziale (costruito sempre alla fine del XII
secolo), dietro al quale è realizzato anche un forno fusorio per le leghe di rame (Fb1). A inizio XIII secolo si
ha una nuova modificazione dell’assetto delle attività produttive. Quella del vetro (Fv3) viene collocata al piano
terra dell’edificio B, che viene diviso in due ambienti:
quello a est destinato al forno fusorio in mattoni e quello
a ovest a magazzino per lo stoccaggio dei crogioli, dei
semilavorati e dei prodotti finiti. Il tutto convive con le
attività metallurgiche (ferro e leghe metalliche) collocata
al piano terra dell’edificio A (fig. 6) 35.
CANTINI 2013.
ROFFIA 1973, p. 465.
35
DUCCI, CARRERA, PASINI et alii 2011; CARRERA, PASINI, BONAIUTO 2013.
33
DE MARINIS 1991.
31
VALENTI 2012.
32
CAVALIERI, GIUMLIA-MAIR 2009.
30
34
510
FEDERICO CANTINI
gioli; un’altra più grande a base rotonda di cm
230 di diametro (E), destinata sempre alla fusione della fritta preparata nella fornace A, a
cui erano aggiunti rottami di vetro, frantumati
nell’angolo sud-ovest su una pila di pietra con
un martello in ferro, utilizzato anche per spezzare i crogioli, che forse erano realizzati nella
stessa vetreria; accanto alla fornace era una
buca che ci parla del tentativo fallito di realizzare un’altro forno; nell’ambiente più piccolo (b) si trovava una terza fornace (D) usata
per la fusione del vetro in crogioli e la soffiatura del vasellame; un vicino pilastro poteva
essere usato come ripiano sul quale si accatastava la legna; altri ambienti collocati ad est
(c, d, e) erano usati per le attività produttive e
nel caso di quello ‘c’ come cucina (fig. 7) 36.
Relativamente alla gestione dei processi
produttivi a partire dal XV secolo si osserva
una loro semplificazione e specializzazione: la
produzione della fritta è distinta da quella dei
manufatti, mentre si consolida la figura dell’imprenditore, che nasce nella seconda metà
del XIV secolo, estraneo alla lavorazione, che
investe nell’allestimento delle vetrerie e si assicura una parte dei guadagni 37.
Relativamente all’Umbria e alle Marche le
Fig. 7. - Germagnana, resti archeologici della produzione vetraria, da Mendera
uniche notizie edite riguardano: per l’Umbria
1991b, fig. 3.
il ritrovamento di un crogiolo da vetro in strati
di VI-IX secolo a Narni 38 e le attestazioni di
Se la coesistenza e contiguità fisica tra attività provetrai a Perugia e Orvieto (Piegaro, Monteleone) a parduttive diverse caratterizza Pisa, così non è per le aree
tire dal XIV secolo 39; per le Marche sempre le attestarurali della Valdalsa dove a partire dal XIII secolo, spezioni di vetrai a partire dalla seconda metà del XIV
cie in prossimità delle zone di estrazione delle sabbie
secolo ad Ancona e dal XV ad Urbino 40. Sono dati che
silicee si sviluppano numerosi centri di produzione. Uno
confermano quanto delineato per la Toscana.
di questi, Germagnana, è stato oggetto di scavi stratigrafici. Si tratta di un complesso esteso non meno di m2
225, con un edificio con pareti parzialmente aperte,
Metallo
composto da almeno 5 ambienti con ulteriore area produttiva esterna (area I), che accoglieva una grande forRelativamente al metallo l’archeologia fornisce innace da fritta (A), una più piccola da vetro (B) e una
formazioni più ricche e numerose, ma riguardano quasi
zona per la raccolta delle ceneri. All’interno dell’edifiesclusivamente l’area toscana.
cio, realizzato con murature a sacco, si distinguono due
In linea generale si osserva una presenza di attività
ambienti principali. In quello più grande (a) si trovano
produttive abbastanza costante in città e in campagna,
due fornaci: una di piccole dimensioni di forma rettancon una rarefazione delle informazioni che riguarda sogolare (C; cm 150 x 100) per la fusione del vetro in croprattutto il IX secolo.
MENDERA 1991b.
MENDERA 1991b, p. 22.
38
CAMPOREALE 2012, p. 259.
36
37
39
40
MENDERA 2000, pp. 132-133.
MENDERA 1991b, pp. 16-17; TADDEI 1954, doc. VII.
FORME, DIMENSIONI E LOGICHE DELLA PRODUZIONE NEL MEDIOEVO
511
In età tardo antica (IV-V
secolo), a parte Lucca, dove
sono evidenti le tracce di attività metallurgica che si protraggono tra IV e V secolo e
che richiamano da vicino la
fabbrica di spade imperiali
nota dalle fonti 41, e Firenze,
dove le evidenze si riducono
a strati con scorie di difficile
interpretazione (IV-VII secolo) 42, le realtà produttive, sia
urbane (Roselle-Gr), che rurali
(Spolverino-Gr, S. Cristina-Si)
sono perlopiù rivolte alla rifusione del metallo (fig. 8).
Queste attività sono ancora
ben strutturate all’interno di
edifici tra IV e V secolo, Fig. 8. - Lucca, l’area dello scavo Galli Tassi con i forni da fucina, rielaborata da Ciampoltrini 2007,
come dimostra il caso di Ro- fig. 5.
selle e del suo approdo di
Spolverino (fig. 9 e tav. 00) 43.
In quest’ultimo sito accanto
alla fusione del vetro è stata,
infatti, trovata un’officina per
la rifusione dei metalli (leghe
di rame) con forgia, tettoia, ripostiglio, alloggio per mantice e incudine, oltre a una vasca in cocciopesto.
Le attività metallurgiche
legate ai cantieri di spoliazione delle ville tardo antiche
possono essere invece meno
strutturate come nel caso di S.
Cristina, dove tra la seconda
metà del IV e il V secolo sono
stati individuati forni per la rifusione del metallo prelevato
Fig. 9. - Officina metallurgica di Spolverino, da Sebastiani, Chirico, Colombini et alii 2012, fig. 9.
da un impianto termale, posti
in un’area collocata ad ovest
e nel centro della stessa città (Piazza dei Cavalieri), andell’edificio romano 44.
che se la datazione di entrambi i contesti è al momento
A volte si vanno a installare in alcuni ambienti delle
45
incerta 46. A Firenze, ad oggi, abbiamo invece ancora solo
stesse ville, come nel caso di Torraccia di Chiusi .
strati con scorie.
A partire dal VII secolo troviamo resti di attività di riEvidenze di lavorazione del ferro e del bronzo sono
duzione del ferro nei pressi di Pisa (ex area Scheilbler)
CIAMPOLTRINI 2007, pp. 18-21.
SCAMPOLI 2010, p. 90.
43
SEBASTIANI, CHIRICO, COLOMBINI et alii 2012; SEBASTIANI,
CHIRICO, CINI et alii 2013.
41
42
VALENTI 2012.
CAVALIERI, BALDINI, D’ONOFRIO et alii 2010.
46
Da ultimo cfr. GATTIGLIA 2013, pp. 163-164.
44
45
512
FEDERICO CANTINI
Un salto di qualità si osserva dal X-XI secolo: sono
fondati ex novo castelli minerari (Rocca San SilvestroLi) 50, mentre i villaggi
altomedievali d’altura si dotano di mura che vanno a racchiudere
le
strutture
produttive (Rocchette, Cugnano).
Intanto ricompaiono tracce
evidenti di attività metallurgiche anche in città.
A Lucca, tra VIII e IX secolo, nell’area dell’ex Galli
Tassi, è strutturata una sorta
di officina dotata di due forni
Fig. 10. - Vicus Wallari, ricostruzione della fase di VII secolo, di B. Fatighenti.
(uno largo cm 180 e uno più
piccolo di cm 40), con a
poi emerse nel Valdarno a vicus Wallari, dove si collofianco una zona di lavorazione con scorie e tracce di
cano in un sito dotato di una torre, probabilmente lerame, dotata di una tettoia (fig. 11) 51. Tra il X e l’XI
47
gato a Lucca (fig. 10) . Le strutture produttive si
secolo, sotto la casa-torre annessa alla Loggia dei Merlimitano a bassofuochi (cm 46 di diametro a vicus Walcanti, sono poi impiantati forni da ferro, riferibili a fasi
lari) e a forge per il ferro, associati nei casi pisani e nel
successive d’uso di una fucina posta all’aperto: si
caso di vicus Wallari ad ematite; in quest’ultimo sito
tratta di ampie fosse circolari con pareti rivestite di arsono emersi anche modelli in piombo per stampi. In
gilla, frammenti ceramici e soprattutto ciottoli, fortepiazza dei Cavalieri, a Pisa, in strati datati tra VII e VIII
mente arrossati dal calore; sul fondo resti di scorie,
secolo si trovano anche tuyeres.
carboni e cenere 52.
Tra la fine del VII e l’VIII secolo iniziano poi a
A Pisa, in Piazza dei Cavalieri, si osserva una conentrare in scena villaggi d’altura collocati nei pressi
tinuità produttiva che non si arresta tra la fine del IXdelle aree di estrazione dei minerali nelle Colline metalX fino alla seconda metà del XII - prima metà del XIII
lifere e ai loro margini: Miranduolo (Si) per il ferro 48,
secolo, in concomitanza con la crescita delle fabbriche
Cugnano (Gr) e Rocchette (Gr) soprattutto per il
comunali. In particolare si susseguono:
piombo argentifero 49. A Miranduolo si trovano minerale, scorie, frammenti di forni (scavati nel banco di
- tra la fine del IX e il X secolo un fondo di forno
roccia e rivestiti di argilla), aree di frantumazione e
da riduzione (depressione a forma di settore circotracce di arrostimento del minerale, oltre ad una possilare di raggio cm 40-45);
bile forgia, accompagnata da banco da lavoro, una
- tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo uno strato
grande pietra squadrata e levigata, e una piccola vasca.
di colmata, su cui si impostano nuove attività meA Rocchette tra l’VIII e il IX secolo è attestata solo
tallurgiche (crogioli);
l’estrazione e al massimo il test del minerale o prime
- nella prima metà dell’XI secolo un nuovo forno da
lavorazioni dentro il sito. A Cugnano tra VIII e X
riduzione e una forgia (chiazza di concotto di cm
secolo state datate tracce di escavazioni minerarie a
30 di diametro, con vicino due pietre squadrate e
cielo aperto al di fuori di un fossato che delimita l’abisovrapposte; chiazza di terreno rossastro argilloso
tato.
di cm 50 x 60 con vicino lastra di ardesia, buche
I dati sono in corso di edizione da parte dello scrivente.
LA SALVIA 2012.
49
GRASSI 2013; per Cugnano BIANCHI, BRUTTINI, QUIRÒS CASTILLO et alii 2012.
47
48
FRANCOVICH 1991.
ABELA, BIANCHINI 2006, pp. 53-55.
52
ABELA, BIANCHINI 2002, p. 24.
50
51
FORME, DIMENSIONI E LOGICHE DELLA PRODUZIONE NEL MEDIOEVO
513
di palo e pietre; depressione a forma di settore
semicircolare con intorno pietre) 53.
L’intensa attività di lavorazione del ferro pisana si
lega naturalmente soprattutto
allo sfruttamento dei bacini
minerari dell’Isola d’Elba,
dove sappiamo che, dall’XI
al XIV secolo, i fabbri della
città marinara si recavano
stagionalmente. La ricerca
archeologica ha permesso il
riconoscimento di resti di attività di riduzione in bassifuochi (bacini parzialmente
scavati nel suolo, con un
piano in argilla, ridotte dimensioni e forse sovrastrut- Fig. 11. - Officina metallurgica altomedievale, Lucca ex Galli Tassi, rielaborata da Abela, Bianchini
tura in pietra per riparare il 2006, p. 54, fig. 51.
mantice) e di forge, queste
ultime probabilmente funzionali alla fabbricazione
degli strumenti necessari ai
fabbri, oltre alle tuyers, databili soprattutto dal XII secolo (e fino al XV secolo),
quando questi indicatori di
produzione si trovano associati a manufatti ceramici di
produzione pisana, a conferma della provenienza
degli artigiani 54. Solo a partire dal Duecento nell’isola si
hanno anche attività produttive più strutturate, all’interno di edifici in pietra,
come quello emerso sul
Monte Serra, denominato Fig. 12. - Officina del Monte Serra, Elba, da Martin 1994, fig. 5.
Site 18: un edificio diviso in
osservano anche in città tra la fine del XII e il XIII sedue vani con resti, nell’ambiente occidentale, di un forcolo.
netto da riduzione con vicina un’area per la battitura
A Pisa abbiamo attestate lavorazioni della lega di
del minerale, una fossa per l’acqua e altre fosse per larame tra la fine dell’XI e la prima metà del XII secolo
vorare la bluma, databile tra il XIII e il XIV secolo (fig.
in via Toselli 56 e tra la fine del XII e l’inizio del XIII
12) 55. Maggiori investimenti nel settore metallurgico si
53
54
CORRETTI 2000.
CORRETTI, CHIARANTINI, GIUNTOLI et alii 2012.
55
56
MARTIN 1994.
Si tratta di un piano di vita ricco di fruscoli carboniosi e sco-
514
FEDERICO CANTINI
secolo in S. Eufrasia, nel cuore della città medievale 57,
e negli ex Laboratori Gentili 58, a sud dell’Arno. Qui accanto all’edificio B, che aveva accolto la produzione del
vetro, ne troviamo un altro (A), costruito sempre alla
fine del XII secolo, dietro al quale è realizzato un forno
fusorio per le leghe di rame (Fb1). Ad inizio XIII secolo è poi il piano terra dell’edificio A ad essere destinato alla lavorazione dei metalli: sono stati trovati
almeno due forni per la fusione del bronzo, alimentati
da mantici a mano, a cui si possono riferire numerose
tuyeres, crogioli, frammenti di uno stampo fittile a matrici multiple e la base di un bancone in laterizio, dove
probabilmente erano spaccati gli stampi e poi rifiniti con
la lima i pezzi finiti, forse stipati in un cassone interrato, posto sul lato orientale dell’ambiente; un secondo
bancone in muratura, che affacciava su via Alberto
Mario, poteva ipoteticamente essere destinato alla vendita delle fibbie e degli anelli in bronzo prodotti nella
bottega.
Nella corte murata dell’edificio A è stato trovato
anche un forno per la fusione del bronzo (cm 120 x 50;
prevedeva un prefurnio di cm 70 e una camera di combustione circolare di cm 5 di diametro, oltre ad un piano
forato) 59 e uno per la riduzione dell’ematite, costituito
da un circolo di pietre e laterizi. Tra il forno di riduzione e la parte meridionale dell’edificio A, dove è stata
individuata la traccia di un fuoco di forgia accanto ad
un basamento rettangolare, forse funzionale all’impianto
di un’incudine, è stata trovata una buca riempita da ossa
di corna di caprovini tagliati alla base e in punta, forse
utilizzati come cappuccio per il becco del mantice, o
che comunque ci parlano di una stretta integrazione con
i vicini conciatori, noti dalle fonti scritte come collocati al di là della strada posta a nord della bottega (via
Alberto Mario).
A sud-ovest, lungo via S. Antonio, un altro edificio
(E), databile tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, ospitava al piano terra una bottega per la lavorazione del ferro e delle leghe di rame 60: nell’angolo
sud-orientale sono stati trovati i resti di una forgia alimentata forse da due mantici, ed in adiacenza ad essa
l’alloggiamento del ceppo ligneo sul quale poggiava
l’incudine. Il rinvenimento di numerosi coltelli in ferro,
di rivetti, di una cote, di alcune guancette in osso e di
immanicature ha lasciato ipotizzare la presenza di uno
dei coltellinai testimoniati a inizio XIII secolo anche
dalle fonti scritte. Questa bottega viene abbandonata a
inizio XIV secolo, forse a seguito dell’alluvione del
1333.
La produzione di oggetti in lega di rame la troviamo,
a Pisa, anche a nord dell’Arno: in via Consoli del Mare
è stata infatti rinvenuta una fornace per il ferro, che cessa
di funzionare tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, quando si passa ad un nuovo impianto, che rimane
in funzione fino alla fine del XIII/inizio XIV secolo,
destinato alla produzione di oggetti in lega di rame, a
cui sono associabili una fornace per la fusione del metallo in crogioli (struttura circolare concava di cm 30 di
diametro, profonda cm 12, con vicino l’alloggio per
mantice cilindrico), e una fossa di gettata (struttura scavata nel terreno di forma ellittica, realizzata in mattoni
legati da malta di calce). Interessante è il ritrovamento
anche in questo contesto di ematite 61.
Lo sviluppo delle attività metallurgiche in città soprattutto a partire dal Duecento ha un corrispettivo nelle
colline metallifere tra il XII e la prima metà del XIII
secolo.
La presenza delle signorie territoriali (Aldobrandeschi a Cugnano dal 1150, Pannocchieschi a Rocchette
dal 1232, Alberti a Monterotondo dal 1164) si fa evidente non solo a livello documentario, ma anche materiale: con il rinnovamento urbanistico dei castelli, che
prevede l’introduzione delle prime chiese, si afferma una
netta distinzione funzionale tra aree abitate e aree dedite alla lavorazione dei minerali, che spesso diventa
prevalente su tutte le altre, come dimostra la scomparsa
degli indicatori di raccolta dei prodotti agricoli. Aumenta
anche l’intensità della produzione, legata alla richiesta
di metallo, soprattutto monetabile, da parte delle città,
che si erano dotate o si stavano dotando di zecche,
come emerge per esempio a Cugnano, dove nel corso
del XII secolo si osserva il continuo rifacimento delle
strutture produttive, con una sequenza di 4 forni da riduzione, 1 per l’arrostimento e una struttura forse uti-
rie di lavorazione con frammenti di crogioli, all’interno di un edificio posto vicino a S. Cristina (GATTIGLIA 2013, p. 166).
57
MEO 2013.
58
DUCCI, CARRERA, PASINI et alii 2011; CARRERA, PASINI, BONAIUTO 2013.
59
Questa struttura, che era stata interpretata come destinata alla
cottura degli stampi (cfr. bibliografia in nota precedente), è stata ora
riconosciuta come forno per la fusione delle leghe di rame (comunicazione personale del dott. Francesco Carrera, che sta svolgendo
la tesi di dottorato su questo contesto).
60
Per le leghe di rame comunicazione personale del dott. Francesco Carrera.
61
GATTIGLIA 2013, pp. 164-166.
62
GRASSI 2013; BIANCHI, BRUTTINI, QUIRÒS CASTILLO et alii
FORME, DIMENSIONI E LOGICHE DELLA PRODUZIONE NEL MEDIOEVO
515
lizzata per il lavaggio delle materie
prime (fig. 13) 62.
Alcuni centri collocati in posizione
strategica rispetto ai filoni di argento
e alle vicine città vedono investimenti
eccezionali diretti verso questo settore
economico.
Emblematico è il caso del castello
di Montieri, dove, pur essendo attestate
tracce di attività metallurgiche, forse
legate all’argento, già tra il IX/XI e la
fine del XII secolo, vedrà proprio tra
la fine del XII e quella del XIV secolo
la costruzione di un grande palazzo,
detto delle Fonderie (m 32 di lunghezza e m 6-7 di larghezza), che in
tre ambienti posti al piano terra ospiterà: in quello a nord le attività legate
al processo produttivo dei metalli monetabili, con l’utilizzo di ‘canalette’
scavate nel terreno, bracieri, forni, una
forgia e un pozzo per attingere l’acqua; in quello a sud quelle pertinenti
alla lavorazione del ferro, con una forgia da ferro e un pozzo, attività probabilmente funzionali anche a creare
gli oggetti necessari ai processi di la- Fig. 13. - Cugnano nel XII secolo, da Bianchi, Bruttini, Quiròs Castillo et alii 2012, fig. 3.
vorazione che si svolgevano negli altri
ambienti. Si tratta di una struttura imponente che è stata
infine in crisi, perché ormai era sconveniente lavorare
ipoteticamente identificata con la prima zecca del vescovo
il metallo lontano dai corsi d’acqua che garantivano l’uso
di Volterra 63.
dell’energia idraulica.
A questo riguardo sono illuminanti gli studi di Maria
Tra la metà del XIII e il XIV secolo si ha un nuovo
Elena Cortese sul bacino Farma-Merse nel senese. Qui
momento di cesura nei castelli minerari della Toscana
il numero dei mulini, utilizzati tra il XII e il XIII semeridionale: attraverso l’acquisto di quote di questi
colo, soprattutto per la macinazione dei cereali, aucentri fortificati ai signori subentrano le autorità cittamenta e tocca l’apice tra la seconda metà del XIII e la
dine e comunali (principalmente Massa Marittima e
prima metà del XIV secolo, quando iniziano a essere
Siena, ma anche Firenze per il castello di Montieri), che
impiegati per l’attività siderurgica legata alla lavorazione
attuano un ripopolamento e strutturano nuove aree ardel ferro elbano, forse per iniziativa dei cistercensi di
tigianali, controllate ora da guarnigioni militari instalS. Galgano. Si tratta di strutture imponenti, alle quali
late nelle ex aree signorili, dove sono creati ambienti
nei documenti ci si riferisce con il termine di fabrica o
ad uso magazzino, stalle, forni da pane e cisterne (Rochedificium ferri 65.
chette). Le nuove aree produttive non vedono comunque un miglioramento del processo di riduzione dei
La monumentalità delle strutture produttive si mametalli, ma solo un allargamento delle aree lavorative,
nifesta in maniera ancora più palese a partire dal XV
per incrementare i volumi di produzione 64.
secolo, come ci mostrano i resti delle allumiere di Monterotondo.
Alla fine del XIV secolo i castelli minerari vanno
2012.
63
BRUTTINI, GRASSI 2010.
64
65
GRASSI 2013, in particolare pp. 33-34.
CORTESE 1997.
516
FEDERICO CANTINI
per trovare le prime tracce di strutture legate alla produzione di tessuti
dobbiamo arrivare al periodo compreso tra la fine dell’XI e il XIII secolo e spostarci in città.
A Pisa, in via Toselli, un vano non
affacciato sulla strada è destinato a
pellicceria. Sono stati rinvenuti una
serie di strati con matrice organica e
presenza di numerose zampe di
volpe, associate a più rare code, in un
contesto di fine XI - prima metà XII
secolo. Una retrostante capanna con
zoccolo in pietra e alzato in materiale
deperibile era forse utilizzata come
magazzino 68.
Alla tintura doveva poi essere destinato uno spazio aperto individuato
nel centro della città antica, a S. Eufrasia, dove tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo si trovava un
Fig. 14. - Monteleo-Monterotondo Marittimo, strutture produttive per l’allume e fronti di
cortile pavimentato aperto, con alcava (rielaborata da Dallai, Poggi 2012, fig. 2).
l’interno tre vasche circolari in laterizio e un pozzo centrale al cui
Lo scavo archeologico del sito di Monteleo ha reinterno sono stati trovati due strumenti in legno per la
stituito, infatti, una batteria di fornaci, note come forni
lavorazione dei tessuti. Numerose buche di palo sono
di calcinazione, e un forno per la liscivazione, oltre ad
state poi associate a battitoi o stenditoi 69.
una grande struttura in legno. L’organizzazione del laImpressionanti sono le strutture che troviamo in via
voro prevede ora la creazione di una società di cittadini
Busini-Bardi, vicino all’Arno, a Firenze nel XIV secosenesi che lavora grazie ad una concessione richiesta al
lo. A seguito della demolizione di un quartiere duecenComune, concessione che permetteva anche la costrutesco sono impiantate sei vasche: due in laterizio, di forzione di edifici a scopo abitativo, la modificazione del
ma rettangolare, impermeabilizzate con un rivestimento
paesaggio attraverso la costruzione di strade, ponti e
e dotate di scarico lungo una delle spallette, e quattro vaopere di regimazione, garantendo anche diritti sulle
sche di forma circolare di m 1,5 di diametro, con basaacque e sul legname, e la possibilità di allevare il bemento orizzontale o suborizzontale, piano, perimetrato
stiame, di piantare grano e viti (fig. 14) 66.
da un profondo solco ampio cm 10 e profondo cm 8, con
Fuori dalla Toscana abbiamo solo il caso di Spoleto
alta parete laterale in tecnica mista, rivestita internamente
dove è stato trovato un forno da bronzo datato ad un
da un getto cementizio omogeneo. La spalletta di quelgenerico alto Medioevo, in un’area che in età romana
le circolari presenta sulla superficie interna due profonera lastricata e collegata ad un tempio 67.
de riseghe regolari, ortogonali e sopraelevate rispetto all’omologo solco perimetrale del basamento. I solchi sono
funzionali all’alloggiamento di un elemento ruotante in
Tessile
legno che non doveva appoggiarsi al fondo della struttura. Mentre la vasca rettangolare è stata associata alla
Se si escludono i rinvenimenti di fuseruole, diffuse
tintura, quelle circolari sono state collegate alla gualcain molti contesti rurali e urbani per tutto il Medioevo,
tura. Nella porzione centrale della fascia nord dello sca-
66
67
DALLAI, POGGI 2012; DALLAI 2013.
DONNINI, GASPERINI 2015.
68
69
GATTIGLIA 2013, pp. 176-178.
MEO 2013.
FORME, DIMENSIONI E LOGICHE DELLA PRODUZIONE NEL MEDIOEVO
517
vo si trova poi un altro ambiente quadrangolare di
incerta funzione, mentre
nella parte orientale sono
stati scoperti una serie di
piccoli ambienti di forma
allungata probabilmente
destinati allo stoccaggio
delle materie prime e dei
prodotti finiti (fig. 15) 70.
Relativamente alla
gualcatura imponenti sono Fig. 15. - Firenze, strutture produttive di Palazzo Busini-Bardi, da Palchetti 2007.
anche le strutture in pietra
minati nelle campagne per il recupero delle matetrovate a Quintole, a nord di Firenze, lungo l’Arno, imrie prime;
piantate dopo l’alluvione del 1333 che distrusse le gualnell’alto Medioevo nel mantenimento di un certo
chiere poste su zattere in legno nella città gigliata. Si trattasso di produzione metallurgica, spesso legata
ta di costruzioni in pietra collegate ad una gora che faceva
anche alla realizzazione di oggetti di lusso 73;
entrare l’acqua dell’Arno per azionare le macchine di le- dall’XI e in maniera più evidente dal XII secolo
gno che, con i loro magli, servivano per gualcire, cioè pinella domanda di una quantità sempre maggiore di
giare e battere, i tessuti di lana trasformandoli in ‘pan71
ferro e di metallo monetabile sufficiente a supporni’ .
tare la crescita economica urbana, che promosse una
Tra la fine del XIV e il XV secolo la tessitura dimaggiore razionalizzazione dei processi produttivi
venta archeologicamente evidente anche a Lucca, dove,
e un incremento delle quantità di minerale prodotto
in piazza Napoleone, una serie buche di palo e una fossa
nelle aree di estrazione attraverso un controllo disembrano interpretabili come gli alloggi di un telaio orizretto (cfr. i fabbri pisani all’Elba) o la spinta, gezontale, posto su un piano pavimentale in argilla comnerata da una domanda in forte crescita, data ad
pattata, consolidata da pietrisco e minuti frammenti di
alcune grandi famiglie signorili a sviluppare i calaterizi e in parte lastricato di mattoni frammentati, instelli minerari in aree ricche di materie prime, come
tegrati da qualche scheggia di pietra. Sono forse tracce
le Colline metallifere;
delle misure disposte dalla Repubblica di Lucca nel
- dalla fine del XII e soprattutto dal XIII secolo, nella
1382 per favorire l’arrivo di tessitori specializzati nelcapacità di far rinascere (nel caso del vetro) o di
l’arte della Lana 72.
riorganizzare le attività produttive in aree urbane
dove la contiguità fisica ottimizzava i cicli di lavorazione e la qualità e il peso della domanda proConclusioni
muoveva l’inurbamento di artigiani dalle campagne
(ad esempio ceramisti) e l’applicazione delle inIn estrema sintesi dai dati che abbiamo illustrato
novazioni tecnologiche (ad esempio smalto e
emerge il ruolo centrale della città nell’introduzione
stampi fittili);
delle innovazioni tecnologiche, nella capacità di gestire
dal XIV e in maniera massiccia dal XV secolo nella
sistemi produttivi complessi e nella forza attrattiva eserspinta economica che i capitali urbani dettero ad
citata sulle maestranze, che si manifesta:
alcuni tipi di produzione che si erano sviluppati nelle
campagne nel secolo precedente (ceramica-Mon- in età tardo antica nella continuità delle attività letelupo; allumiere-grossetano) che ora crebbero e
gate alla lavorazione del vetro e dei metalli e forse
promossero la diffusione dei loro prodotti su scala
nella capacità di gestire i grandi cantieri di spoliainternazionale (Montelupo).
zione dei complessi monumentali imperiali disse-
70
71
PALCHETTI 2007.
SALVINI 1986.
72
73
CIAMPOLTRINI 2002.
Per Lucca cfr. BELLI BERSALI 1973, pp. 477, 492-493.
518
FEDERICO CANTINI
Ma la forza della città, che stava soprattutto in quella
della domanda di beni e nella possibilità di approfittare
della contiguità fisica tra produttori di diversi settori,
rese stabile, anche dopo la grande crisi demografica di
metà Trecento, pure ciò che fino ad allora era stato sempre itinerante: la produzione delle campane, come
emerso a Pisa, vicina alla chiesa di S. Andrea in Chinzica, dove nella seconda metà del XIV secolo viene impiantato un atelier, che occupava una superficie di m2
750, costituito da una serie di ambienti disposti a
schiera, di circa m2 30, con murature in laterizi, coperti,
ognuno dei quali conteneva una fornace fusoria e una
fossa di gettata 74.
Bibliografia
ABELA, BIANCHINI 2002 = E. ABELA, S. BIANCHINI, La città
nascosta. Venti anni di scoperte archeologiche a Lucca,
Lucca 2002.
ABELA, BIANCHINI 2006 = E. ABELA, S. BIANCHINI, La scoperta delle mura romane e le trasformazioni di un quartiere urbano tra il II secolo a.C. e il tardo medioevo. I
risultati delle indagini archeologiche svolte nel 20012004, in G. CIAMPOLTRINI, E. ABELA, S. BIANCHINI (a cura
di), Nella terra, nel tempo. Gli scavi archeologici nel complesso Galli Tassi di Lucca. Atti del Convegno (Lucca,
Villa Bottini, 10 maggio 2004), in Rivista di Archeologia
Storia Costume, XXXIV, 1-2, 2006, pp. 25-72.
BELLI BERSALI 1973 = I. BELLI BERSALI, La topografia di
Lucca nei secoli VIII-XI, in Atti del V Congresso Internazionale di Studi sull’alto Medioevo “Lucca e la Tuscia
nell’Alto Medioevo” (Lucca, 3-7 ottobre 1971), Spoleto
1973, pp. 461-554.
BERTI, CAPPELLI, FRANCOVICH 1986 = G. BERTI, L. CAPPELLI,
R. FRANCOVICH, La maiolica arcaica in Toscana, in La
ceramica medievale nel Mediterraneo occidentale. Atti del
Congresso (Siena-Faenza, ottobre 1984), Firenze 1986, pp.
483-510.
BERTI, RENZI RIZZO 1997 = G. BERTI, C. RENZI RIZZO, Ceramica e ceramisti nella realtà pisana del XIII secolo, in
AMediev, XXIV, 1997, pp. 495-524.
BIANCHI, BRUTTINI, QUIRÒS CASTILLO et alii 2012 = G. BIANCHI, J. BRUTTINI, J. A. QUIRÒS CASTILLO, F. CERES, S. M.
LORENZINI, La lavorazione del metallo monetabile nel castello di Cugnano (Monterotondo M.mo, Gr): lo studio
delle aree produttive dei secoli centrali (XI-XII secolo),
in REDI, FORGIONE 2012, pp. 644-649.
BLAKE 1980 = U. BLAKE, The archaic maiolica of NorthCentrl Italy: Montalcino, Assisi and Toletino, in Faenza,
LXVI, 1-6, 1980, pp. 91-163.
BOLDRINI 1994 = E. BOLDRINI, Una fornace di ceramica a
Siena, in AMediev, XXI, 1994, pp. 225-231.
BOLDRINI, GRASSI, QUIRÓS CASTILLO 1999 = E. BOLDRINI, F.
GRASSI, A. QUIRÓS CASTILLO, Un contributo allo studio
dell’introduzione di nuove tecniche ceramiche nella To-
74
GATTIGLIA 2006, pp. 133-135.
scana del medioevo: la ceramica foggiata a matrice, in
AMediev, XXVI, 1999, pp. 395-409.
BRUTTINI, GRASSI 2010 = J. BRUTTINI, F. GRASSI, Archeologia urbana a Montieri: lo scavo dell’edificio de “Le Fonin
via
delle
Fonderie,
in
derie”
www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2010-199.pdf.
CAMPOREALE 2012 = S. CAMPOREALE, Piazza dei Priori, in
A. BRAVI (a cura di), Aurea Umbria. Una regione dell’Impero nell’era di Costantino, in Bollettino dei beni culturali dell’Umbria, 6, 2012, pp. 258-261.
CANTINI 2010 = F. CANTINI, Ritmi e forme della grande espansione economica dei secoli XI-XIII nei contesti ceramici
della Toscana settentrionale, in AMediev, XXXVII, 2010,
pp. 113-127.
CANTINI 2011 = F. CANTINI, Dall’economia complessa al
complesso di economie. Tuscia (V-X secolo), in Post Classical Archaeologies, 1, 2011, pp. 159-194.
CANTINI 2013 = F. CANTINI, Aree rurali e centri urbani tra
IV e VII secolo: il territorio toscano, in AntTard, 21,
2013, pp. 243-255.
CANTINI, BOSCHIAN, GABRIELE 2014 = F. CANTINI, G. BOSCHIAN, M. GABRIELE, Empoli, a late antique pottery production centre in the Arno valley (Florence, Tuscany,
Italy), in N. POULOU-PAPADIMITRIOU, E. NODAROU, V. KILIKOGLOU (a cura di), LRCW 4. Late Roman Coarse Wares,
Cooking Wares and Amphorae in the Mediterranean. Archaeology and archaeometry. The Mediterranean: a market without frontiers (Thessaloniki, 7-10 April 2011),
Oxford 2014, pp. 203-212.
CANTINI, GRASSI 2012 = F. CANTINI, F. GRASSI, Produzione,
circolazione e consumo della ceramica in Toscana tra la
fine del X e il XIII secolo, in GELICHI 2012, pp. 131-139.
CANTINI, SALVESTRINI 2010 = F. CANTINI, F. SALVESTRINI (a
cura di), Vico Wallari-San Genesio. Ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del Medio Valdarno
inferiore fra alto e pieno Medioevo. Atti della giornata
di studio (San Miniato, 1 dicembre 2007), Firenze 2010.
CARBONARA, VALLELONGA 2015 = V. CARBONARA, F. VALLELONGA, Le attestazioni ceramiche del sito di Eggi (Spoleto-PG) (VI-VII secolo d.C.), in CIRELLI, DIOSONO,
PATTERSON 2015, pp. 397-404.
CAROSCIO 2009 = M. CAROSCIO, La maiolica in Toscana tra
Medioevo e Rinascimento. Il rapporto fra centri di produzione e di consumo nel periodo di transizione, Firenze
2009.
CARRERA, PASINI, BONAIUTO 2013= F. CARRERA, D. PASINI,
M. BONAIUTO, Notizie preliminari sulle indagini presso
gli ex Laboratori Gentili (scavi 2011-2012), in Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, 8/2012, 2013, pp. 398-400.
CAVALIERI, BALDINI, D’ONOFRIO et alii 2010 = M. CAVALIERI,
G. BALDINI, M. D’ONOFRIO, A. GIUMLIA-MAIR, N. MONTEVECCHI, M. PIANIGIANI, S. RAGAZZINI, San Gimignano
(Si). La villa di Torraccia di Chiusi, località Aiano. Dati
ed interpretazioni dalla V campagna di scavo, 2009, in
www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2010-206.pdf.
CAVALIERI, GIUMLIA-MAIR 2009 = M. CAVALIERI, A. GIUMLIA-MAIR, Lombardic Glassworking in Tuscany, in Materials and Manifacturing Processes, 24, 2009, pp.
1023-1032.
CIAMPOLTRINI 2002 = G. CIAMPOLTRINI, La casa del tessitore.
Per l’archeologia della produzione tessile tardomedievale
a Lucca, in AMediev, XXIX, 2002, pp. 435-439.
FORME, DIMENSIONI E LOGICHE DELLA PRODUZIONE NEL MEDIOEVO
CIAMPOLTRINI 2004 = G. CIAMPOLTRINI, Produzioni ceramiche lucchesi fra VIII e XI secolo. Evidenze dalle stratigrafie dell’area Galli Tassi, in S. PATITUCCI UGGERI (a cura
di), La ceramica altomedievale in Italia, Firenze 2004,
pp. 149-162.
CIAMPOLTRINI 2007 = G. CIAMPOLTRINI, La città e la pieve.
Paesaggi urbani e rurali di Lucca fra Tarda Antichità e
Alto Medioevo, in G. CIAMPOLTRINI (a cura di), San Pietro in Campo a Montecarlo. Archeologia di una plebs baptismalis del territorio di Lucca, Lucca 2007, pp. 15-67.
CIRELLI, DIOSONO, PATTERSON 2015 = E. CIRELLI, F. DIOSONO,
H. PATTERSON (a cura di), Le forme della crisi. Produzioni
ceramiche e commerci nell’Italia centrale tra Romani e
Longobardi (III-VII sec. d.C.), Bologna 2015.
CORRETTI 2000 = A. CORRETTI 2000, L’attività metallurgica,
in S. BRUNI, E. ABELA, G. BERTI (a cura di), Ricerche di
Archeologia medievale a Pisa. I. Piazza dei Cavalieri la
campagna di scavo 1993, Firenze 2000, pp. 83-100.
CORRETTI, CHIARANTINI, GIUNTOLI et alii 2012 = A. CORRETTI,
L. CHIARANTINI, G. GIUNTOLI, M. BENVENUTI, F. CAMBI,
M. FIRMATI, C. ISOLA, L. PAGLIANTINI, Un sito di lavorazione del ferro da Monte Strega (Rio dell’Elba, LI). Nuovi
dati sull’attività dei “fabri pisani” all’Elba nel Medioevo,
in REDI, FORGIONE 2012, pp. 650-655.
CORTESE 1997 = M.E. CORTESE, L’acqua, il grano, il ferro.
Opifici idraulici medievali nel bacino Farma-Merse, Firenze 1997.
DALLAI 2013 = L. DALLAI, Monterotondo Marittimo (GR).
Allumiera di Monteleo, in Notiziario della Soprintendeza
per i Beni Archeologici della Toscana, 8/2012, 2013, pp.
555-558.
DALLAI, POGGI 2012 = L. DALLAI, G. POGGI 2012, Monteleo
(GR): una fabbrica dell’allume” alla fine del Medioevo,
in REDI, FORGIONE 2012, pp. 635-639.
DE MARINIS 1991 = G. DE MARINIS 1991, Resti di lavorazione vetraria tardo-romana negli scavi di Piazza della
Signoria a Fienze, in MENDERA 1991a, pp. 55-65.
DONNINI, GASPERINI 2015 = L. DONNINI, M. GASPERINI, Materiali ceramici altomedievali inediti dall’area urbana di
Spoleto. I contesti di Piazza Fontana (Casa Sapori), via
dell’Arco di Druso e Vicolo di Volusio, in CIRELLI, DIOSONO, PATTERSON 2015, pp. 387-396.
DUCCI, CARRERA, PASINI et alii 2011 = S. DUCCI, F. CARRERA,
D. PASINI, M. BONAIUTO, Pisa. Archeologia urbana: notizie preliminari sulle indagini presso gli ex Laboratori
Gentili (scavi 2009-2010), in Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, 6/2010,
2011, pp. 336-340.
FRANCOVICH 1982 = R. FRANCOVICH, La ceramica medievale
a Siena e nella Toscana meridionale (secc. XIV-XV). Materiali per una tipologia, Firenze 1982.
FRANCOVICH 1991 = R. FRANCOVICH (a cura di), Rocca San
Silvestro, Roma 1991.
FRANCOVICH, GELICHI 1983 = R. FRANCOVICH, S. GELICHI, La
ceramica medievale nelle raccolte del museo medievale
e moderno di Arezzo, Firenze 1983.
GALGANI 2001 = M. GALGANI, Il vetro medievale a Colle Val
d’Elsa: problematica della produzione e primi reperti di
consumo, in AMediev, XXVIII, 2001, pp. 583-591.
GARZELLA 1990 = G. GARZELLA, Pisa com’era: topografia e
insediamento dall’impianto tardo antico alla città murata
del secolo XII, Napoli 1990.
GATTIGLIA 2006 = G. GATTIGLIA, Dalla terra alla storia, in
519
G. GATTIGLIA, M. MILANESE (a cura di), Palazzo Scotto
Corsini. Archeologia e storia delle trasformazioni di
un’area urbana a Pisa tra XI e XX secolo, Pisa 2006, pp.
125-156.
GATTIGLIA 2013 = G. GATTIGLIA, Mappa. Pisa medievale: archeologia, analisi spaziali e modelli predittivi, Roma
2013.
GELICHI 2012 = S. GELICHI (a cura di), Atti del IX Congresso
Internazionale sulla ceramica medievale nel Mediterraneo (Venezia, 23-27 novembre 2009), Firenze 2012.
GIORGIO 2012 = M. GIORGIO, Lo stagno del Campigliese e
la produzione di maiolica arcaica pisana. Ipotesi di ricerca, in Maritima. Rivista di storia della Maremma, 2,
2012, pp. 86-94.
GRASSI 2010 = F. GRASSI, La ceramica, l’alimentazione, l’artigianato e le vie di commercio tra VIII e XIV secolo. Il
caso della Toscana meridionale, Oxford 2010.
GRASSI 2013 = F. GRASSI (a cura di), L’insediamento medievale nelle Colline Metallifere (Toscana, Italia). Il sito minerario di Rocchette Pannocchieschi dall’VIII al XIV
secolo, Oxford 2013.
LA SALVIA 2012 = V. LA SALVIA, Gli indicatori della produzione metallurgica presso il sito di Miranduolo (Chiusdino,
Si) con particolare riferimento alle fasi medievali, in
REDI, FORGIONE 2012, pp. 640-643.
MARTIN 1994 = S. MARTIN, Trial excavations on Monte Serra,
Elba: a medieval iron workshop, in AMediev, XXI, 1994,
pp. 233-250.
MENDERA 1991a = M. MENDERA (a cura di), Archeologia e
storia della produzione del vetro preindustriale, Firenze
1991.
MENDERA 1991b = M. MENDERA 1991, Produrre vetro in Valdelsa: l’officina vetraria di Germagnana (Gambassi-Fi)
(secc. XIII-XIV), in MENDERA 1991a, pp. 15-50.
MENDERA 2000 = M. MENDERA, Produzione vitrea medievale
in Italia e fabbricazione di tessere musive, in E. BORSOOK,
F. GIOFFREDI SUPERBI, G. PAGLIARULO (a cura di), Medieval
mosaics, light, color, materials, Milano 2000, pp. 97-138.
MEO 2013 = A. MEO, Area di Sant’Eufrasia/Ex-Salesiani, in
Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici
della Toscana, 8/2012, 2013, pp. 402-404.
MILANESE 1997 = M. MILANESE, La ceramica postmedievale
in Toscana: centri di produzione e manufatti alla luce delle
fonti archeologiche, in Atti del XXVII Convegno Internazionale della Ceramica “La ceramica postmedievale in
Italia. Il contributo dell’archeologia” (Absidiola, 27-29
maggio 1994), Firenze 1997, pp. 79-111.
PALCHETTI 2007 = A. PALCHETTI, Firenze. Palazzo BusiniBardi, in Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, 2/2006, 2007, pp. 92-95.
PROFUMO 2004 = M. C. PROFUMO, Ceramica altomedievale
nelle Marche, in PATITUCCI UGGERI (a cura di), La ceramica altomedievale in Italia, Firenze 2004, pp. 163-176.
REDI, FORGIONE 2012 = F. REDI, A. FORGIONE (a cura di), Atti
del VI Congresso Nazionale di Archeologia Medievale
(L’Aquila, 12-15 settembre 2012), Firenze 2012.
RENZI RIZZO 1994 = C. RENZI RIZZO, Tegolai, barattolai, vasellai a Pisa nel XIII secolo: note sui produttori di ceramica pisana e sulla loro distribuzione all’interno della
città, in Bollettino storico pisano, LXIII, 1994, pp. 6183.
RENZI RIZZO 2000 = C. RENZI RIZZO, Medi e grandi contenitori (MGC), in S. BRUNI, E. ABELA, G. BERTI (a cura
520
FEDERICO CANTINI
di), Ricerche di Archeologia medievale a Pisa. I. Piazza
dei Cavalieri, la campagna di scavo 1993, Firenze 2000,
pp. 140-160.
ROFFIA 1973 = E. ROFFIA, Vetri, in A. FROVA (a cura di), Scavi
di Luni, Roma 1973, pp. 462-482.
SALVINI 1986 = E. SALVINI, Le “gualchiere” di Quintole, in
AMediev, XIII, 1986, pp. 563-574.
SATOLLI 1981 = A. SATOLLI, Fortuna e sfortune della ceramica medioevale orvietana, in Ceramiche medievali dell’Umbria: Assisi, Orvieto, Todi, Firenze 1981, pp. 34-78
(Catalogo della mostra, Spoleto, 25 giugno-12 luglio
1981).
SCAMPOLI 2010 = E. SCAMPOLI, Firenze, archeologia di una
città (secoli I a.C.-XIII d.C.), Firenze 2010.
SEBASTIANI, CHIRICO, COLOMBINI et alii 2012 = A. SEBASTIANI, E. CHIRICO, M. COLOMBINI, M. CYGIELMAN, Spol-
verino (Alberese-GR): relazione alla II campagna di scavi
archeologici, in www.fastionline.org/docs/FOLDER-it2012-271.pdf
SEBASTIANI, CHIRICO, CINI et alii 2013 = A. SEBASTIANI, E.
CHIRICO, F. CINI, M. COLOMBINI, M. CYGIELMAN, G. POGGESI, Grosseto. Alberese. Indagini presso il quartiere manifatturiero di Spolverino, in Notiziario della
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana,
8/2012, 2013, pp. 546-549.
STIAFFINI 1999 = D. STIAFFINI 1999, Il vetro nel Medioevo.
Tecniche, strutture, manufatti, Roma.
TADDEI 1954 = G. TADDEI, L’arte del vetro in Firenze e nel
suo dominio, Firenze 1954.
VALENTI 2012 = M. VALENTI, Santa Cristina (Buonconvento–
Si): le campagne di scavo dal 2009 al 2012, in www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2.
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO:
INDICATORI ARCHEOLOGICI, ASSETTI MATERIALI,
RELAZIONI SOCIO-ECONOMICHE
Pasquale Favia, Roberta Giuliani, Maria Turchiano
Negli ultimi anni il panorama e le prospettive degli
studi sulle produzioni artigianali tardo antiche, altomedievali e medievali in Italia meridionale si è notevolmente ampliato, sia pure in maniera disomogenea nelle
varie regioni. Nella consapevolezza dell’impossibilità
di considerare i territori meridionali come un insieme
unitario, privo di articolazioni significative sul piano produttivo ed economico, si è cercato da un lato di valorizzare le differenze spaziali e le scansioni temporali,
dall’altro di individuare caratteri e tendenze generali,
ponendo in evidenza elementi di continuità e discontinuità rilevabili tra tardo antico e Medioevo.
L’ampiezza del comparto geografico e dell’arco cronologico e la complessità delle tematiche da affrontare
hanno imposto la scelta di alcuni contesti archeologici
più significativi per rappresentatività, qualità e quantità
degli indicatori di produzione.
(P.F., R.G., M.T.)
La presenza delle attività produttive nelle aree centrali del tessuto cittadino è considerato ormai da più parti
uno dei caratteri distintivi della città tardo antica 1, uno
di quei tratti che dovette contribuire sensibilmente al
peggioramento della qualità urbana, soprattutto per via
dell’emissione di fumi e la creazione di accumuli di rifiuti, in molti casi, non facilmente smaltibili 2. Il fenomeno, ormai accertato per la tarda antichità su un ampio
areale geografico 3, dovette assumere dimensioni tutt’altro che trascurabili anche in Italia meridionale. A differenza di quanto si verifica per l’ambito rurale, le
evidenze archeologiche disponibili riguardo alle realtà
cittadine, spesso frutto di indagini di emergenza o comunque condotte tramite sondaggi assai limitati, non
consentono tuttavia di apprezzare a pieno, salvo rari casi,
dimensioni, caratteristiche, organizzazione e qualità
degli opifici, la loro relazione con le infrastrutture urbane e con i luoghi di approvvigionamento delle materie prime; come si vedrà, gli spunti su questi argomenti
sono ancora piuttosto limitati e suscettibili di ulteriori
verifiche.
In via preliminare, dal punto di vista della localizzazione degli impianti artigianali, si può osservare che
spesso sono le aree e gli edifici pubblici in dismissione
o in abbandono ad ospitare impianti di produzione. Un
ruolo prevalente tra questi sembra assunto dalle calcare 4, rappresentando evidentemente i grandi monumenti
MCKORMICK 2001, p. 61.
Alcuni studiosi francesi hanno individuato proprio nell’uso dei
combustibili per le attività artigianali, un tempo dislocate in aree
marginali della città, uno dei possibili fattori all’origine della
formazione dei depositi organici noti come ‘terre nere’, caratteristici, come è noto, delle stratigrafie tardoantiche-altomedievali di
molte città europee (CAMMAS, CHAMPAGNE, DAVID et alii 1995, p.
27).
3
BROGIOLO 2011, p. 181 con citazioni di vari esempi in territorio italiano ed extra; LEONE 2007, pp. 219-220, 224-225, 232-236
per le città africane.
4
Dispositivi per la produzione della calce si registrano nei tea-
tri di Copia, Locri, Venafro, nell’anfiteatro di Larino (DATTOLO
2008, pp. 492-493, con bibliografia relativa), nella porticus del foro
di Suessula (calcara e vasche: CAMARDO, ROSSI 2005, pp. 171, 175,
fig. 3), lungo il tracciato dell’Appia a Calatia (PETACCO, RESCIGNO
2005, pp. 146, 148, fig. 11); a Cuma, nell’aula basilicale del foro,
tra metà VI e VII secolo, fu collocato un impianto per la lavorazione della calce, dotato di sette forni; in prossimità delle mura settentrionali, nell’area della ‘Porta Mediana’, nello stesso periodo, fu
installata un’altra calcara (MALPEDE 2005, pp. 197, 199; fig. 4 a p.
209); forni per calce sono documentati pure nelle terme di Thurii
(NOYÉ 2006, p. 500, fig. 6), nel foro di Scolacium (RAIMONDO 2006,
p. 543) e ad Egnazia (due nelle terme e uno nel santuario dell’acropoli: cfr. da ultimo MASTROCINQUE 2014, pp. 422, 424).
L’ETÀ TARDO ANTICA E ALTOMEDIEVALE
L’artigianato di ambito urbano
1
2
522
PASQUALE FAVIA, ROBERTA GIULIANI, MARIA TURCHIANO
una fonte di approvvigionamento preziosa di
materiali da cuocere per ottenere calce; peraltro non sono assenti altri tipi di attività artigianali (ad esempio fabbricazione di terrecotte
a Scolacium e a Grumento 5, vetro a Canosa, a
Thurii e a Pozzuoli 6, metallo ad Egnazia, a
Reggio e Scolacium 7; ad Egnazia, nell’ambito di un’officina polifunzionale, metalli, tegole, calce, malta e forse pelli 8).
Non è trascurabile tuttavia il fenomeno delle officine dislocate all’interno di edifici privati, in un quadro che spesso prevede il
ridimensionamento e la riorganizzazione dei
settori residenziali preesistenti a favore dell’inserimento dei nuclei produttivi 9, con casi
significativi registrati ad Aeclanum e Picentia
(per la produzione del vetro) 10, Venosa (ceramiche, ferro e vetro) 11, Canosa (ceramiche, laterizi, ferro) 12 , Ordona (ferro e vetro) 13 ,
Egnazia (ceramiche, legante, osso) 14, Brindisi
e Napoli (calce) 15, Locri 16 (metallo).
Tra gli impianti menzionati emerge per il
carattere polifunzionale, l’ampiezza, l’articolazione e differenziazione degli spazi, il livello
di specializzazione, la manifattura di Egnazia
(fig. 1) impostata a sud della via Traiana, attiva tra fine V e VI secolo, collegabile forse
con il programma di ristrutturazione della vicina piazza porticata, adattata ad ospitare spazi
dediti alle attività connesse alla pesca ed al
commercio; sono state rinvenute due fornaci
per ceramica (una specializzata nella fattura
di vasellame dipinto, l’altra di manufatti da
Fig. 1. - Egnazia (BR). Planimetria del complesso produttivo polifunzionale ubicato a sud della via Traiana: (8-9) ambienti deputati alla fabbricazione della malta;
(10) deposito combustibile; (11) vano adibito alla decantazione dell’argilla e alla
modellazione del vasellame; ad est, il cortile con i due forni ceramici (a e b) (da
Mastrocinque 2014).
5
Scarti di lavorazione ceramica sono stati rinvenuti nell’anfiteatro
della città lucana (DI GIUSEPPE, CAPELLI 2005, p. 397, fig. 9), mentre nel foro di Scolacium è stata individuata una fornace per terracotta (NOYÉ 2006, p. 512; RAIMONDO 2006, p. 543).
6
Nel praefurnium delle terme ‘Lomuscio’ a Canosa, in uso fino
a età tardo antica, fu allestita, in fase tarda, un’attività di produzione
di calici vitrei (inf. M. Turchiano). Sull’impianto di Thurii di inizi
V secolo, localizzato all’interno delle terme, forse in connessione
con il riadattamento di alcuni spazi ad edificio di culto, cfr. NOYÉ
2006, p. 496. Per la fornace di Pozzuoli (III-IV secolo), ubicata in
un ambiente affacciato sulla strada, in relazione con il vicino impianto termale, attivo fino al II secolo, vedi GIALANELLA 1999.
7
Una produzione metallurgica è segnalata nella porticus della
piazza forense di Egnazia (MASTROCINQUE 2014, pp. 420-421). Impianti per la fabbricazione di metalli (bronzo in particolare), alloggiati all’interno degli spazi monumentali del porto, furono in uso a
Reggio fino alla metà del IV secolo; una nuova fornace per la lavorazione del bronzo fu realizzata nel V secolo (NOYÉ 2006, pp.
486, 491), mentre nel foro di Scolacium una forgia (per metalli e
bronzo in particolare) fu collocata all’interno dell’ambiente absidato
(RAIMONDO 2006, p. 543).
Cfr. da ultimo MASTROCINQUE 2014, pp. 421-422.
Sull’argomento cfr. GIULIANI 2010, pp. 133-135; GIULIANI 2014,
pp. 355-357.
10
Cfr. rispettivamente PESCATORI 2005, p. 280 e MALPEDE 1999.
11
Cfr. da ultime GIULIANI 2010, pp. 134-135 e MARCHI 2010, pp.
211-213.
12
SCRIMA 2011-2012; GIULIANI 2014, pp. 358, 363.
13
Per la casa con annessa bottega metallurgica cfr. GIULIANI 2010,
pp. 135-136, figg. 4-6; mentre produzioni vetrarie sono documentate da indicatori rinvenuti nel riempimento della cisterna della
domus B, realizzato tra seconda metà IV e metà V secolo (cfr. da
ultimi GIANNETTI, GLIOZZO, TURCHIANO 2015, p. 297).
14
MASTROCINQUE 2014, pp. 417-420.
15
A Brindisi, al di sotto della chiesa di S. Giovanni al Sepolcro,
una calcara fu allestita nell’area di una domus di età imperiale, già
parzialmente trasformata in senso produttivo in età tardo antica
(BRACCIO 1996). A Napoli, nell’area di Carminiello ai Mannesi, due
ambienti dell’edificio A furono convertiti in calcinaio, non oltre la
metà del V secolo (ARTHUR 1994, pp. 59-60, 73).
16
A Locri una forgia fu annessa ad un edificio privato (ZAGARI
2005, p. 193).
8
9
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO
523
prefigurando anche la possibilità di una loro
acquisizione da parte di un soggetto forte nell’economia cittadina, forse la stessa Chiesa.
Non mancano inoltre esempi di installazioni produttive insediatesi nel perimetro urbano su superfici apparentemente non
occupate in precedenza, come l'officina di Benevento, attiva tra VI e inizi VII secolo, rinvenuta nell'area su cui si sarebbe insediato il
complesso di S. Sofia 18; in altri casi resta incerto il rapporto tra le officine tardo antiche
ed eventuali preesistenze 19; per le produzioni
di lucerne, ad esempio, documentate prevalentemente da matrici e scarti rinvenuti in contesti di raccolta di superficie o di scarichi,
sono difficilmente localizzabili le fabbriche,
sebbene esse appaiano fortemente radicate nell’ambito urbano/suburbano 20.
Le aree investite dall’edilizia cristiana costituiscono assai spesso nella compagine urbana luogo di installazione di officine
temporanee (laterizi, calce, metallo, vetro),
funzionali alle esigenze dei singoli cantieri:
è quanto si registra ad Egnazia, laddove una
calcara collocata presso la cd. ‘basilica di Rufenzio’ sembra aver funzionato sia in occasione della costruzione del primo edificio di
culto (fine IV secolo), sia in seguito, per il
rifacimento della stessa chiesa (nel corso del
V secolo) 21; anche a Canosa una fornace per
Fig. 2. - Scolacium. Planimetria della piazza forense con localizzazione degli impianti produttivi; il vano D corrisponde alla curia, forse trasformata in edificio di
laterizi, attiva probabilmente durante la coculto (da Raimondo 2006).
struzione del complesso paleocristiano di S.
Pietro, fu presto obliterata dall’erezione di
fuoco), vasche di decantazione dell’argilla, utensili, amuna domus nella seconda metà del VI secolo 22; tale
bienti e dispositivi per la fabbricazione della malta, il
fattispecie potrebbe riguardare, ma in maniera più
deposito del combustibile, resti collegabili alla lavoradubbia, anche Thurii e Scolacium (fig. 2) 23. Le stesse
zione dell’osso 17; l’impianto sembra indicare una comaree però si rivelano talvolta anche sede di attività non
pleta riconversione degli spazi residenziali precedenti
strettamente finalizzate ad uno specifico monuCfr. supra, nota 14.
LUPIA 1998b. L’atelier, di cui sono stati portati alla luce esclusivamente alcuni spazi di servizio con accumuli di scarti e indicatori artigianali, era un centro di produzione secondario (recuperati
numerosi pani vitrei) e fabbricava probabilmente bottiglie ed altre
forme non chiaramente identificate. Sulla localizzazione intra moenia del settore cfr. ROTILI 2006a, fig. 11 a p. 26; pp. 67-71.
19
Questo aspetto non è rilevato infatti dagli autori delle ricerche
per gli stanziamenti produttivi di Crotone, Vibo, Locri-Centocamere,
Locri-Paleapoli (NOYÉ 2006, pp. 484, 513; RAIMONDO 2006, pp. 528531); la produzione ceramica di Cuma è testimoniata soltanto da
scarti rinvenuti nell’area dell’anfiteatro (DE ROSSI 2005, p. 544).
20
Indicatori di tali produzioni provengono da Herdonia, Lucera,
Venosa, Canosa, Egnazia, Taranto (per una sintesi relativa al com17
18
parto apulo si rinvia da ultimo a FIORIELLO 2012). Di recente è stato
individuato nella catacomba di Ponte della Lama a Canosa un nucleo di lucerne prodotto localmente (ERAMO, GIANNOSSA, ROCCO et
alii 2014). Per le matrici di ‘tipo Siciliano’, rinvenute a Miseno all’interno del teatro, cfr. DE ROSSI, DI GIOVANNI, MINIERO et alii 2010,
p. 490, fig. 5.7.
21
MASTROCINQUE 2014, pp. 424-425.
22
VOLPE, FAVIA, GIULIANI et alii 2007b, n. 65. Sulla fornace cfr.
infra, nota 27.
23
La rifunzionalizzazione in senso cultuale cristiano di alcuni ambienti delle terme di Thurii e del foro di Scolacium, sostenuta da Gh.
Noyé che dunque suggerisce la relazione tra impianti produttivi e presenza ecclesiastica (NOYÉ 2006, pp. 495-496, 516), non è ipotesi percorsa da C. Raimondo (RAIMONDO 2006, pp. 533-534, 542).
524
PASQUALE FAVIA, ROBERTA GIULIANI, MARIA TURCHIANO
Andrebbe meglio indagato il ruolo esercitato dai
contesti produttivi dislocati
in ambito suburbano, di certo
non scomparsi in età tardo
antica, e che anzi appaiono
prolungare nel tempo vocazioni manifatturiere attivate
in precedenza, come si riscontra a Vibona, sulla collina dell’Affaccio, laddove
una fornace, allestita già in
età imperiale, produce ceramica comune acroma nel VI
secolo, momento in cui il
complesso si arricchisce pure
di una figlina per mattoni 26;
è il caso anche del quartiere
suburbano appena menzionato di Canosa, investito nel
VI secolo dal grandioso progetto di costruzione del polo
Fig. 3. - Canosa, S. Pietro. La bottega di rilavorazione dei lapidei annessa alla domus meridionale: in
cultuale di S. Pietro voluto
basso a destra, (a) la zona di lavoro da cui provengono scalpelli e punteruoli; a sinistra si riconosce
dal vescovo Sabino, sede sin
uno scarico di tessere musive (b), accumulate in una fossetta quadrangolare.
da età romana di installazioni
mento 24; interessante al riguardo il caso della botper la fabbricazione di laterizi e ceramiche, forse attive
tega/magazzino installata tra VII e VIII secolo nella
ancora in età tardo antica, come dimostrerebbero la fordomus vicina alla chiesa di S. Pietro, nel suburbio di
nace A (fig. 4), probabilmente usata per produrre i matCanosa, dove furono accumulati elementi architettotoni messi in opera nel complesso cristiano e
nici, arredi, suppellettili liturgiche del complesso resuccessivamente obliterata, e le matrici di lucerne tardo
ligioso non più funzionante, destinati ad essere
antiche recuperate sia in superficie, sia nell’ambito derilavorati (diversi i punteruoli e gli scalpelli ritrovati)
gli scavi 27.
e immessi nel circuito del reimpiego, verosimilmente
Nelle maggiori città portuali, distretti produttivi
interno alle proprietà ecclesiastiche cittadine, ma forse
di una certa importanza, costruiti ex novo o su
anche dell’intero comprensorio canosino (fig. 3) 25.
strutture preesistenti, appaiono poi localizzati in po-
24
È quanto si ipotizza proprio per la menzionata calcara presso
la chiesa di Egnazia, che difficilmente, rilevano gli autori dello scavo,
potrebbe essere stata ripristinata a distanza di decenni (per le esigenze costruttive della seconda basilica) se non fosse stata in uso,
sotto il controllo della Chiesa stessa, forse per produzioni non necessariamente connesse all’edilizia religiosa (MASTROCINQUE 2014,
p. 425). Per le numerose scorie metalliche, ascritte al VI secolo, rinvenute negli scavi di S. Restituta a Lacco Ameno di Ischia (ARTHUR
2002, p. 118) e per gli scarti relativi ad anfore e ceramiche dipinte
provenienti dall’abitato contiguo alla chiesa stessa (DE ROSSI 2005,
p. 544, n. 24 con bibliografia) resta incerto il profilo produttivo di
riferimento.
25
Indizi di una circolazione di manufatti di spoglio interna alle
proprietà della Chiesa sono rappresentati dai capitelli che si trovano
nell’attuale cattedrale, provenienti, secondo alcune ipotesi, dall’area
del tempio romano di Giove Toro, su cui la Chiesa canosina dovette
acquisire diritti in età tardo antica. Questi capitelli sono peraltro iden-
tici a quelli rinvenuti in frammenti negli scavi della chiesa di S. Maria,
nel polo di S. Giovanni, prima cattedrale canosina, dove, a nostro
giudizio, potrebbero essere stati prioritariamente messi in opera, per
essere trasferiti soltanto successivamente nella basilica dei SS. Giovanni e Paolo, con lo spostamento presso quella chiesa del titolo
episcopale; il reimpiego (con rilavorazione) di elementi plastici provenienti dal tempio di Giove a S. Giovanni si basa anche su altri
indicatori (cfr. su queste questioni GIULIANI, LEONE, VOLPE 2013,
pp. 1141-1142, n. 23).
26
NOYÉ 2006, p. 484.
27
Sulla fornace A di S. Pietro cfr. VOLPE, ANNESE, CORRENTE et
alii 2003, pp. 143-148; GLIOZZO, BALDASARRE, TURCHIANO et alii
2015; sui resti dell’insediamento produttivo di età romana e sulle
matrici di lucerne paleocristiane rinvenute nell’area di scavo, si veda
DE STEFANO, GIULIANI, LEONE 2007, pp. 42-45, figg. 10-13; riguardo poi alle matrici di lucerne ritrovate sulla collina di S. Pietro anteriormente agli scavi, cfr. da ultimo FIORIELLO 2012.
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO
525
sizione prossima agli scali
(impianti per vetro e metallo a Napoli 28; centri produttivi ceramici a Miseno e
Otranto 29 ).
Tenendo fermi i problemi rilevati in premessa,
le evidenze richiamate delineano un quadro in cui l’artigianato urbano pare
connotato generalmente da
ateliers di dimensioni contenute, collegati ai nuclei
abitativi, compatibili con
produzioni di piccola scala,
destinate al mercato urbano 30; emergono peraltro
anche officine più articolate
(forse controllate dalle autorità civili ed ecclesiastiche), che occupano spazi
estesi e denunciano un livello di specializzazione Fig. 4. - Canosa di Puglia, S. Pietro. La fornace A (foto G. Volpe).
elevato (impianto polifunL’artigianato di ambito rurale
zionale a Sud della Traiana ad Egnazia, calcinaio di
Cuma), volte probabilmente a soddisfare le esigenze
L’ambito rurale sembra connotare fortemente le prodegli stessi circuiti legati alle committenze pubbliche
duzioni
manifatturiere. Vitalità economica, diffusione del
e religiose, ma anche di consistenti fette di mercato citsistema vicano, grande proprietà senatoria, imperiale e
tadino. I centri produttivi suburbani si pongono di
successivamente anche ecclesiastica, colonato, valoriznorma in continuità con le fabbriche di età romana, di
zazione di antiche vocazioni produttive (in particolare
cui continuano a sfruttare evidentemente i vantaggi leil grano e la lana per l’Apulia, i maiali per la Lucania,
gati a posizioni favorevoli rispetto all’approvvigionail vino per i Bruttii), rapporto privilegiato con il mermento di materie prime (argilla, acqua, legna) e alla
cato di Roma, rappresentano alcuni dei caratteri fondadisponibilità di infrastrutture utili al funzionamento dementali del comparto territoriale in esame. Forte appare
gli impianti 31, e probabilmente anche il duplice nesso
infatti il nesso tra lo spostamento del baricentro protopografico da un lato con la città, dall’altro con i ri32
duttivo verso Meridione, una condizione di generale flospettivi distretti territoriali rurali . A produzioni più
ridezza, la centralità nella geografia economica del
chiaramente rivolte anche a mercati di medio e lungo
Mediterraneo, la buona rete viaria terrestre e marittima
raggio infine possono essere ricondotti gli stanziae la vivacità delle produzioni artigianali documentate 33.
menti produttivi dislocati nelle aree portuali, come è
Le ricerche condotte in alcune aree apule, lucane e
chiaramente documentato dalle anfore di Otranto e
calabresi 34 hanno registrato, per l’età tardo antica, un
Miseno.
fenomeno di selezione e ristrutturazione delle ville pree(R.G.)
28
A piazza Bovio, sul litorale, sulla sponda est del bacino portuale, nella seconda metà del VI secolo, è documentata un’officina
vetraria, cui si aggiunge, dopo breve tempo, un impianto metallurgico (GIAMPAOLA, CARSANA, FEBBRARO et alii 2005, pp. 235-237).
29
Cfr. rispettivamente DE ROSSI 2004 e 2005; LEO IMPERIALE
2004.
30
Cfr. su questo tema GIULIANI 2010, pp. 147-150 e 2014, pp.
357-359.
Sia le officine dell’Affaccio a Vibona, sia quelle di S. Pietro
a Canosa erano ubicate a brevissima distanza da un acquedotto.
32
Cfr. per Vibona, NOYÉ 2006, p. 484.
33
VERA 2005.
34
NOYÉ 1994; VOLPE 1996; DI GIUSEPPE 1996; ARSLAN 1999;
VOLPE 2005; GUALTIERI 2008; SMALL 2008; VOLPE 2012.
31
526
PASQUALE FAVIA, ROBERTA GIULIANI, MARIA TURCHIANO
sistenti, talvolta monumentalizzate, con una riarticolazione funzionale e topografica delle attività agricole e
manifatturiere 35. In molti casi non sembra più sussistere,
in pendant con la perdita dell’unità villa/fundus, un rapporto organico tra pars urbana e pars rustica, anche in
un’ottica di razionalizzazione degli instrumenta nell’ambito delle grandi proprietà 36. Le numerose residenze
tardo antiche indagate rinviano prevalentemente al modello di un complesso dotato di strutture residenziali
prive di relazione topografica con i settori produttivi,
che si ritiene fossero vicini ma separati. Parallelamente,
altre ville sembrano accentuare una specializzazione
produttiva, con impianti per le attività agricole e manifatturiere distribuiti in varie parti di una stessa proprietà, in complessi dismessi e riconvertiti.
Sembra dunque affermarsi un modello profondamente diverso da quello della prima età imperiale
quando, in territori come la Lucania, «quasi ogni villa
possedeva uno o più impianti produttivi per ceramica e
laterizi» 37. Anche in Calabria, fino agli inizi del IV secolo, le indagini delineano una maggiore articolazione
delle attività manifatturiere 38.
Gradualmente, si registra una tendenza alla centralizzazione degli impianti produttivi e manifatturieri in
alcuni siti. In Lucania, significativa è la caratterizzazione
dei siti di Calle di Tricarico, di Trigneto e di La Marmora come poli produttivi specializzati nella produzione ceramica 39. Per San Giovanni di Ruoti, è stata
ipotizzata una collocazione degli impianti artigianali
nel vicus di San Pietro, a circa m 400 di distanza dalla
villa che doveva fungere da centro amministrativo 40. Ipotesi analoghe sono state formulate per altri siti 41, tra cui
la villa di Faragola, il cui polo produttivo e manifatturiero è forse da localizzare nel vicus di Cifre-Sedia
d’Orlando, distante circa km 1,8 42.
Nel caso di S. Giusto, lo sviluppo del quartiere ar-
tigianale è da leggere in rapporto alla connotazione ecclesiastica acquisita dal sito, di cui la villa divenne sostanzialmente un annesso ‘produttivo’ 43. A poche decine
di metri dal complesso episcopale è stato individuato
un quartiere artigianale, con un atelier adibito alla manifattura di ceramiche e alla lavorazione dei metalli 44,
accanto a strutture per il lavaggio e il trattamento delle
lane e delle pelli; tali settori, nel corso del V secolo, furono riarticolati in coincidenza con il floruit del complesso episcopale (fig. 5). L’ultimo carico della fornace
era costituito da olle globulari biansate di ispirazione
egea. Le analisi archeometriche hanno consentito di ricondurre al sito di S. Giusto e/o al territorio circostante
la produzione di bacini e anforette dipinti e di ceramiche da cucina ‘steccate’ 45.
Se la presenza, in alcuni comparti territoriali 46, di
indicatori di produzione agricola (olio, vino e grano) e
manifatturiera (prevalentemente laterizi e scorie di
ferro) 47, ha lasciato supporre un panorama insediativo
articolato sul piano dell’organizzazione degli spazi del
lavoro e delle attività produttive, non si può escludere
che alcuni impianti per la produzione di laterizi, installati in relazione con i cantieri di costruzione e di ristrutturazione delle ville, in seguito siano stati dismessi
(fig. 6) 48, mentre le manifatture metallurgiche sembrano dotate di caratteri di maggiore stabilità.
Accanto al modello prevalente di progressiva centralizzazione degli insediamenti produttivi, sembrano
coesistere altre variabili. Nella fattoria di Posta Crusta,
ad esempio, le analisi archeometriche hanno individuato un gruppo di produzione omogeneo, probabilmente destinato all’autoconsumo 49, a breve distanza
dalla città di Herdonia, che doveva ospitare altre manifatture 50.
In Campania è stata rilevata l’esistenza, soprattutto nel
IV-V secolo, di molteplici centri manifatturieri sia urba-
35
Si vedano le considerazioni di TURCHIANO 2014, con rinvio
alla bibliografia di riferimento.
36
Cfr. VERA 1995; VERA 1999a; VERA 1999b.
37
DI GIUSEPPE, CAPELLI 2005, p. 398; DI GIUSEPPE 2010.
38
Impianti per la produzione di ceramiche e/o laterizi sono stati
individuati, ad esempio, nelle ville di Strange, Santa Tecla, Muricelle, Solfara, Collina Foresta-L’Auzo, Contrada Piano di Mazza,
Trainiti-San Nicola. In alcuni casi l’ampia datazione non consente
di precisare i caratteri delle produzioni.
39
DI GIUSEPPE 1998; FRACCHIA 2005, pp. 140-141. Un’eccezione
sarebbe rappresentata da Masseria Ciccotti: GUALTIERI 2008, p. 285.
40
SMALL 2008, pp. 461-464. Cfr. infra.
41
Cfr. i siti citati in TURCHIANO 2014.
42
GOFFREDO, FICCO, COSTANTINO 2013.
43
Si veda da ultimo VOLPE, ROMANO, TURCHIANO 2013.
44
Le scorie sono riconducibili ad attività di forgiatura del ferro
(informazioni di M. Maruotti).
45
GLIOZZO, FORTINA, TURBANTI MEMMI et alii 2005.
46
Sintesi in VOLPE 2005.
47
Si pensi alla celebre prescrizione di Palladio (PALLAD. 1, 6, 2).
Cfr. VERA 1999a.
48
Nel sito di Faragola, una fornace per laterizi potrebbe essere
letta in relazione con uno dei cantieri della villa, a cui sembrano riferibili anche altri indicatori di lavorazione restituiti dai piani del
cantiere di ristrutturazione di pieno V secolo d.C. Sulla produzione
laterizia di Faragola cfr. BALDASARRE 2009; GLIOZZO, BALDASARRE,
TURCHIANO et alii 2015 e R. Giuliani infra.
49
GLIOZZO, LEONE, ORIGLIA et alii 2010a. Si evidenzia la buona
fattura di tali ceramiche.
50
GLIOZZO, TURCHIANO, LOMBARDI et alii 2013.
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO
527
ti sul piano morfo-tipologico e
qualitativo e in un incremento nella domanda di manufatti di produzione locale, conseguente anche al drastico calo delle
importazioni di ceramiche africane. Il vasellame prodotto negli
impianti dell’ager Falernus 51 risulta documentato tra le stoviglie
in uso nelle ville di Posto, San
Rocco e Francolise. Altri ateliers,
localizzati nei Campi Flegrei,
sembrano aver rifornito Napoli,
Capua e altri centri urbani, a
conferma di un sistema produttivo destinato ad approvvigionamenti locali con un breve raggio
di diffusione 52. In area flegrea una
pluralità di centri manifatturieri,
prevalentemente suburbani, specializzati nella produzione di anfore vinarie e di ceramiche dipinte
a bande, è documentata anche tra
VII e IX secolo a Miseno, Cuma
e Ischia (Lacco Ameno) 53.
Vivace appare il panorama
produttivo alifano 54, analogamente a quanto ipotizzato per il
contesto salernitano 55 sulla base
di analisi archeometriche e di
considerazioni tipologiche. Molteplici attività artigianali, in prossimità di corsi fluviali, sono state ipotizzate anche nella pianura
pestana 56.
Gli indicatori di produzione
associati ai vici contribuiscono
bene a connotarli come luoghi di
Fig. 5. - S. Giusto (Lucera, FG). A) planimetria delle aree indagate; B) fornace; C) ceramiche proproduzione, oltre che di abitadotte nell’atelier; D) pianta e sezione della fornace (foto G. Volpe, dis. G. De Felice e M. Turchiano).
zione, consumo, stoccaggio e
ni che rurali. A partire dalla fine del V secolo, indizi su
redistribuzione. Insediamenti vicani caratterizzati da
una tendenza verso una maggiore parcellizzazione del siuna specifica vocazione produttiva, in ambito lucano, sono
stema produttivo sarebbero da individuare in mutamenquelli di S. Pietro, Trigneto, La Marmora e Calle 57.
Solo i complessi produttivi di Masseria Dragone e Cascano
sembrano aver avuto una continuità produttiva fino al VI secolo,
mentre gli altri impianti non supererebbero gli inizi del V secolo:
ARTHUR 1987; ARTHUR, PATTERSON 1994 e ARTHUR 1998.
52
Sulle produzioni documentate a Napoli si vedano i contributi
di P. Arthur e V. Carsana in ARTHUR 1994 e CARSANA, D’AMICO,
DEL VECCHIO 2007. Uno studio morfo-tipologico e archeometrico
51
è in TONIOLO, DE FRANCESCO, ANDALORO et alii 2014.
53
DE ROSSI 2004; DE ROSSI 2005; analisi archeometriche in GRIFA,
LANGELLA, MORRA et alii 2009.
54
MARAZZI, DI COSMO, SALAMIDA et alii 2010, p. 500.
55
RINALDI, ALFANO, SCHIAVO et alii 2007, pp. 452, 454.
56
PEDUTO 1999, pp. 215-216.
57
Cfr. supra.
528
PASQUALE FAVIA, ROBERTA GIULIANI, MARIA TURCHIANO
Una caratterizzazione
produttiva connota anche alcuni vici individuati nelle
valli del Celone e del Carapelle. Interessante la differenziazione ipotizzata per i
siti di Fontana di Rano e di
Cifre-Sedia d’Orlando, collocati a distanza di circa km
2, uno specializzato nella lavorazione del ferro, l’altro in
attività produttive, di trasformazione e di conservazione delle derrate 61.
Riconducibili a insediamenti vicani sono i centri
produttivi delle anfore Keay
LII e dei contenitori derivati
da questa famiglia 62, individuati prevalentemente nel
territorio di Reggio Calabria,
oltre che in Sicilia 63. A PelFig. 6. - Faragola (Ascoli Satriano, FG). a) pianta e sezione della fornace; b) fornace per laterizi (foto
laro è stato rinvenuto un
G. Volpe; dis. G. Baldasarre).
complesso artigianale con
Il vicus di Vagnari, nella valle del Basentello, docufornaci e una vasca di decantazione dell’argilla 64. Inmenta forme di organizzazione produttiva specializzata,
stallazioni produttive sono state ritrovate a Lazzaro,
in particolare nella fabbricazione di tegole ed embrici 58,
identificata con la statio di Leucopetram 65. Una prodestinati a coprire le esigenze, oltre che del vicus stesso,
duzione di anfore è stata ipotizzata anche nel vicus di
anche dei numerosi insediamenti sorti in età tardo anBova Marina, gravitante intorno a una sinagoga, per il
tica dentro e fuori la proprietà imperiale 59. Sono testiquale si è proposta l’identificazione con la statio di
moniate attività metallurgiche, in particolare, con
Scyle 66. Nel sito di Paola, le fornaci furono installate
riferimento a una casa/officina presso la quale sono
nel precedente impianto termale di una statio 67.
stati ritrovati indicatori di produzione, fosse, oggetti in
L’esistenza di molteplici centri di produzione, di non
ferro non integri, forse indizio di un’attività condotta a
grandi dimensioni, verosimilmente anche connessi a diintegrazione delle mansioni agricole e finalizzata alla
versi vigneti, ubicati nelle immediate adiacenze di banproduzione e manutenzione degli stessi attrezzi adopechi di argilla, di fiumare 68 e in collegamento diretto con
60
rati nel lavoro dei campi .
la rete stradale, è attestata dall’ampia gamma di tipi ascri-
Sono state indagate fornaci tardo antiche, una delle quali usata
nella fase più tarda anche come calcara.
59
SMALL 2011b, p. 239.
60
SMALL, MCLAREN, HEALD 2011.
61
GOFFREDO, FICCO, COSTANTINO 2013.
62
Un quadro di sintesi è in PACETTI 1998. Si è proposto di attribuire all’area calabrese anche la produzione di anfore di tipo Kuzmanov XX: cfr. DI GANGI, LEBOLE 1998.
63
Fornaci sono state rinvenute anche sulla costa tirrenica a S.
Salvatore a Paola: SANGINETO 2001, pp. 231-233. Ateliers di anfore
a fondo piano di piccole dimensioni sono stati indagati lungo la costa
settentrionale della Sicilia, presso Caronia Marina, Capo d’Orlando
e Furnari e sul versante orientale, a Naxos e a S. Venera al Pozzo,
nel territorio di Catania. Altre produzioni sono note nel territorio di
58
Agrigento, a Montallegro (c.da Campanaio): cfr. FRANCO, CAPELLI
2014.
64
È stata ipotizzata la manifattura di ceramiche e laterizi. Scarti
di fornace provengono anche da Marina di S. Lorenzo.
65
COSTAMAGNA 1991, pp. 615-617.
66
Ivi, pp. 617-619. Le comunità ebraiche sembrano aver avuto
un ruolo nella produzione ceramica, come attestato principalmente
dai simboli ebraici presenti sulle anfore Keay LII (PACETTI 1998,
pp. 197-198) e probabilmente anche su altri manufatti (DI GIUSEPPE,
CAPELLI 2005, p. 398).
67
Gh. Noyé propone l’identificazione del sito con la statio di
Clampetia (NOYÉ 2006, p. 508), mentre A.B. Sangineto con la statio di Erculis o Herculis (SANGINETO 2001, pp. 231-233).
68
Le fiumare rappresentavano anche punti di approdo per l’imbarco delle merci da veicolare verso il porto di Reggio.
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO
529
vibili a tale famiglia di contenitori documentati soprattutto a Roma, anche ben oltre la fine delle attività delle
fornaci indagate che non sembrerebbero oltrepassare la
metà del V secolo d.C. 69.
Alcuni bolli potrebbero aiutare a ricostruire aspetti
significativi dell’organizzazione della produzione di tali
anforette 70 che evidenziano l’importanza della viticoltura nella regione 71. La manifattura ed esportazione di
Keay LII è stata collegata a esigenze di forniture annonarie 72, a cui successivamente subentrerebbe la
Chiesa. Accanto al canale ‘istituzionale’, si sviluppa un
flusso di merci legato al libero mercato, come attesta la
presenza di Keay LII in alcuni dei principali scali portuali del Mediterraneo. La progressiva polarizzazione
sullo scalo romano, evidente nell’ampia presenza di tali
contenitori in contesti romani di VI-VII secolo, è stata
letta alla luce del rapporto funzionale tra i territori calabresi e la Chiesa di Roma, proprietaria di ampi patrimoni nella regione, rinomata non solo per il vino, ma
anche per i cereali, l’attività mineraria e lo sfruttamento
delle selve per l’estrazione del legno e della pece 73. Una
‘connessione ecclesiastica’ è stata ipotizzata anche a proposito della produzione di anfore globulari vinarie campane 74.
La manifattura delle anfore suddette si inserisce nel
solco di un fenomeno complesso, di ampia portata, relativo al coinvolgimento delle gerarchie ecclesiastiche
nell’organizzazione e nel controllo della produzione
agraria e manifatturiera e nelle dinamiche di commercializzazione di derrate e, in generale, di beni di consumo anche su lunga distanza, fenomeno materializzato,
su scala mediterranea, da molteplici indicatori 75.
Il tema della produzione artigianale nelle campagne
dell’Italia meridionale non deve confrontarsi solo con
la fisionomia poliedrica del sistema agrario tardo an-
tico, ma anche con il fenomeno della ‘fine delle ville’
e con le nuove forme e strutture del popolamento rurale altomedievale. Analogamente a quanto riscontrato
in altri comparti territoriali 76, ben documentata, soprattutto a partire dal pieno VI e VII secolo, è la trasformazione di ambienti residenziali delle ville in luoghi
produttivi 77, spesso accompagnata da una sistematica
pratica di recupero e riciclo di rivestimenti, materiali da
copertura, arredi e tubature. Forme di rifunzionalizzazione in senso produttivo sono state individuate in numerosi siti 78, secondo modalità non sempre riconducibili
a forme di occupazione marginali, precarie o degradate.
Le analogie nelle forme, dimensioni e ubicazioni degli
impianti di riciclo 79 suggerirebbero la natura organizzata dell’attività artigianale e una forza lavoro specializzata, assunta probabilmente dai proprietari delle ville
o da intermediari. In alcuni casi gli impianti potrebbero
essere stati in funzione per un breve periodo di tempo;
più frequentemente, la vocazione artigianale, accanto a
quella agricola e pastorale, sembra connotare tali abitati, che talvolta diventarono il fulcro di nuovi nuclei
demici.
Particolarmente significative sono le testimonianze
offerte dalle ville di Barricelle di Marsicovetere e di
Faragola. Il complesso edilizio di Barricelle, in alta Val
d’Agri, tra metà VI e prima metà del VII secolo d.C.,
fu oggetto di un’intensa rioccupazione e riconversione
in senso artigianale e produttivo, con l’installazione di
una calcara, di una vasca per lo spegnimento della
calce e di un forno per la rifusione dei metalli, in
un’area in prossimità del peristilio della villa precedente
(fig. 7) 80.
Nel sito di Faragola, il profondo riassetto degli spazi abitativi e la riarticolazione delle strutture produttive
sono stati messi in relazione all’ipotetico sviluppo, tra pie-
PACETTI 1998. Analisi archeometriche in CAPELLI 1998.
Cfr. i bolli (SAT)URNINI, (SAT)URN(INI), SATUR(NINI),
collegati ai clarissimi viri Saturnini noti da un’iscrizione di IV-VI
secolo a Locri; interessante il bollo REG preceduto da un carattere
che A.B. Sangineto ha proposto di identificare con una V e di sciogliere in VINUM REGINUM, ipotizzando un nesso con una sorta
di monopolio non dello Stato ma della Chiesa (SANGINETO 2001,
pp. 229-230, 240-242).
71
Non si può escludere una commercializzazione di salse di pesce,
pesce fresco o secco in connessione a peschiere e a impianti per la
lavorazione del pescato; sull’importanza della produzione ittica in
Calabria cfr. IANNELLI, CUTERI 2007. Si vedano anche le osservazioni di BERNAL CASASOLA 2010, pp. 19-20.
72
PANELLA 1993, pp. 646-647.
73
NOYÉ 1994, p. 729; SAGUÌ 2002, pp. 17-18, 32-33. Un altro
prodotto destinato alle chiese di Roma era il legname estratto dai
boschi della silva Sila, utilizzato per le travi dei tetti (LP, pp.
LXXXVI, 375 e XCI, 397). È noto, inoltre, l’utilizzo del legno proveniente dalle massae calabresi anche nel settore della carpenteria
navale.
74
DE ROSSI 2004; DE ROSSI 2005.
75
SAGUÌ 2002; BERNAL CASASOLA 2010; COSENTINO 2012; VOLPE,
ROMANO, TURCHIANO 2013, pp. 565-574. Cfr. R. Giuliani infra.
76
Quadro di sintesi in CASTRORAO BARBA 2014.
77
Si veda da ultimo TURCHIANO 2014.
78
A titolo esemplificativo, riusi in senso artigianale e produttivo
sono attestati in Basilicata, a S. Giovanni di Ruoti, Masseria Ciccotti, S. Pietro in Tolve, Pietrastretta di Vietri, Casa del Diavolo,
Torre degli Embrici, Calle di Tricarico, Barricelle; in Puglia, a Casalene e Faragola; in Calabria, a Contrada Crivo, Santa Maria, Larderia e S. Salvatore a Paola.
79
MUNRO 2010; MUNRO 2012.
80
RUSSO, PELLEGRINO, GARGANO 2012.
69
70
530
PASQUALE FAVIA, ROBERTA GIULIANI, MARIA TURCHIANO
Fig. 7. - Marsicovetere-Barricelle (PZ). Planimetria del complesso fra tardo antico e alto
Medioevo (da Russo, Pellegrino, Gargano 2012).
no VII e VIII-IX secolo d.C., sul nucleo
della preesistente villa, di un’azienda
agraria collocata probabilmente all’interno di una proprietà fiscale palatina
beneventana (gaio Fecline) 81. L’abitato presenta una spiccata vocazione artigianale. Molteplici gli indicatori rinvenuti, tra cui una fornace e due grandi
vasche in laterizi per la decantazione/stagionatura e/o pestatura dell’argilla,
che documentano l’importanza dell’artigianato fittile (fig. 8) 82. Di particolare rilievo anche la lavorazione di oggetti metallici in ferro e in piombo,
svolta all’interno di piccole officine;
consapevolezza tecnica e conoscenze pirotecnologiche rinviano all’attività di
fabbri specializzati 83. Alcune soluzioni architettoniche e il ritrovamento di
strumenti riconducibili alla sfera edilizia potrebbero attestare la presenza di
costruttori altamente qualificati, posti a
coordinare maestranze stabilmente impegnate nella manutenzione del complesso 84. Il caso di Faragola introduce
il tema della produzione non agricola
nell’ambito di una azienda agraria di
tipo curtense 85, ponendo una serie di interrogativi su un artigianato che sembrerebbe plurispecializzato e centralizzato, in parallelo con forme di
controllo diretto della produzione agricola e del lavoro, sul volume della produzione e sull’esistenza di eventuali circuiti di scambi tra proprietà palatine.
Caratteri delle produzioni, dei consumi
e degli scambi
Fig. 8. - Faragola (Ascoli Satriano, FG). Vasca per la decantazione dell’argilla e fornace
(foto M. Turchiano).
81
VOLPE, TURCHIANO 2012, pp. 472-484. Il toponimo Fecline è
stato messo in relazione con il termine Figline, collegato all’enorme
disponibilità di argilla in questo territorio (MARTIN 1993).
82
SCRIMA, TURCHIANO 2012. Analisi archeometriche in GLIOZZO,
SCRIMA, TURCHIANO et alii 2014.
Le ceramiche prodotte nel comparto
territoriale in esame si caratterizzano, tra
IV e VII-VIII secolo, per un repertorio
morfo-tipologico e decorativo sostan-
GOFFREDO, MARUOTTI 2012.
CARDONE, DE VENUTO, GIULIANI 2012.
85
Sul tema si veda TOUBERT 1995, p. 148. Cfr. le osservazioni
di VALENTI 2004, p. 107.
83
84
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO
531
zialmente omogeneo 86. La struttura del sistema
artigianale rinvia a un modello di produzione frazionato, ramificato nei centri urbani e rurali, diversificato sul piano della specializzazione e integrato a più livelli di scambi. Regionalizzazione
dei fenomeni produttivi, standardizzazione dei
manufatti, discreto livello tecnologico, quartieri artigianali polifunzionali sembrerebbero ricondurre le produzioni a officine semi-artigianali,
artigianali o a poli produttivi più complessi 87; decisamente meno attestate le produzioni ‘casalinghe’. I progetti di ricerca di carattere archeometrico condotti su alcuni contesti hanno
consentito di evidenziare uno sfruttamento consapevole dei territori, con selezioni funzionali e
mirate nella scelta dei bacini di approvvigionamento e del combustibile.
Per la Puglia, ad esempio, si dispone ormai
di una massa critica di dati: agli studi tipologici
si sono affiancate le indagini minero-petrografiche e chimiche, condotte su numerosi campioni di ceramiche e sulle argille affioranti nel
territorio. Si è anche tentato un incrocio tra i dati
tipologici e archeometrici di cinque contesti, Fig. 9. - (1) Olla prodotta a S. Giusto; (3) pentola steccata ipoteticamente prodotta a Herdonia; (5) bacino ipoteticamente prodotto a Canosa; (2) olla ‘tipo
dislocati in tre valli 88. È stata evidenziata l’esi- Classe’ importata; (4) olla di probabile importazione (modificato da Gliozzo,
stenza tra i siti esaminati di scambi infraregio- Turchiano, Lombardi et alii 2013).
nali favoriti anche da buone infrastrutture,
buzione a scala regionale e infraregionale 90. Quadri anaconfermando un modello organizzato su più siti produtloghi emergerebbero anche per la Campania 91 e la Lutivi che sfruttavano depositi simili, specializzati in alcune
89
cania 92.
produzioni : ad esempio, olle scanalate da cucina a S.
L’omogeneità morfo-tipologica e decorativa che conGiusto, vasi e pentole steccate a Herdonia e ceramiche
traddistingue l’Italia meridionale è stata in parte spiedipinte più rifinite a Canusium. Gli scambi documentati
gata alla luce dell’‘imitazione’ 93 di forme africane e,
di ceramiche comuni a scala extraregionale riguardano
secondariamente, orientali, replicate in molti centri di
le ceramiche da cucina ‘tipo Classe’ e probabilmente improduzione 94, sperimentando talvolta contaminazioni
portazioni da area greca (fig. 9). I campioni analizzati
morfologiche e decorative 95. Anche l’uniformità delle
non forniscono prove di scambi tra Puglia, Lucania,
produzioni di lucerne deriverebbe da comuni modelli
Campania e Calabria, suggerendo piuttosto una distri-
86
ARTHUR, PATTERSON 1994; ARTHUR 1998; ARTHUR, PATTERSON
1998; RAIMONDO 1998; DI GIUSEPPE 1998; DI GIUSEPPE, CAPELLI
2005; ARTHUR 2007; ARTHUR, DE MITRI, LAPADULA 2007; CUTERI,
CORRADO, IANNELLI et alii 2007; VOLPE, ANNESE, DISANTAROSA et
alii 2007a; TURCHIANO 2010; VOLPE, ANNESE, DISANTAROSA et alii
2010; CUTERI, IANNELLI, VIVACQUA et alii 2014.
87
Cfr. le osservazioni di S. Gelichi sui modelli di produzione
elaborati da D.P.S. Peacock applicati alle evidenze archeologiche
italiane (GELICHI 2007, pp. 58-61).
88
GLIOZZO, TURCHIANO, LOMBARDI et alii 2013.
89
Non si dispone di dati rilevanti per valutare l’incidenza di produzioni collegate a forme di economia completamente autarchica.
Nel sito di Faragola, ad esempio, la presenza di recipienti modellati a mano (anche con la tecnica a colombino), associati a vasellame tornito di buona qualità, potrebbe essere legata a motivazioni
di tipo socio-culturale o funzionale.
90
GLIOZZO, TURCHIANO, LOMBARDI et alii 2013. Sull’importanza
degli scambi e delle economie regionali cfr. WICKHAM 2009. Si vedano le riflessioni di MOLINARI 2003 sull’uso della ceramica nella
ricostruzione dei sistemi economici.
91
In Campania numerosi sarebbero stati gli ateliers adibiti alla
produzione di lucerne (GARCEA 1999).
92
DI GIUSEPPE, CAPELLI 2005, p. 397.
93
Sintesi in FONTANA 1998; cfr. Leone in VOLPE, ANNESE, DISANTAROSA et alii 2007a e in VOLPE, ANNESE, DISANTAROSA et alii
2010 e TURCHIANO 2010.
94
In Campania e in Puglia sono attestate anche imitazioni di casseruole con prese a ditate impresse di Pantelleria.
95
Le forme maggiormente imitate risultano essere le Hayes 61,
83, 85, 86, 91, 97, 104, 105, 109 e, in sigillata orientale, la Hayes
532
PASQUALE FAVIA, ROBERTA GIULIANI, MARIA TURCHIANO
di ispirazione, rappresentati soprattutto dalle forme
Atlante VIII e Atlante X, in officine che proposero
anche soluzioni originali 96. Il fenomeno delle ‘imitazioni’ connota, però, solo parzialmente un repertorio
morfo-tipologico caratterizzato da un significativo grado
di autonomia, evidente nella predominanza di brocche,
anforette e bacini, forme più ancorate alle tradizioni artigianali locali 97.
Una standardizzazione è riscontrabile non solo nelle
produzioni anforarie campane, apule e calabresi, ma
anche in produzioni da cucina (S. Giusto) e da dispensa
(Egnazia) 98.
Le nundinae svolsero un ruolo centrale non solo
nella rete degli scambi, ma anche nel confronto di un
variegato patrimonio di conoscenze tecnologiche e di
informazioni stilistiche, contribuendo ad alimentare una
koiné artigianale basata su un gusto condiviso espresso
in un linguaggio comune 99. In alcune aree, la scala interregionale dei mercati legati all’allevamento, alla pastorizia e al complesso di attività manifatturiere e
commerciali connesse 100, potrebbe aver coinvolto una
varietà più ampia e un volume maggiore di beni commerciati.
In età altomedievale, analogamente a quanto riscontrato in altri territori, alla prevalente persistenza di
un repertorio di matrice tardo antica, si associa, a partire dal VII secolo, una tendenza verso un rinnovamento
dei repertori morfotipologici e decorativi, che in parte
si ispirano a modelli bizantini, mutuando suggestioni
anche dall’ambito longobardo. Alcuni studi hanno evidenziato come la varietà tipologica e funzionale sia da
leggere in parallelo con la complessità dei regimi alimentari, emersi dalle ricerche archeozoologiche e archeobotaniche, e potrebbe riflettere variazioni nei
modelli culturali e nelle abitudini alimentari 101, con un
maggiore ricorso al bollito per la preparazione di pietanze liquide e semiliquide, a base di cereali (frumento,
orzo e avena), carne di pollo, agnello e maiale, pesce,
vegetali e legumi (piselli e lenticchie) 102.
A proposito della gestione degli impianti, si può
forse pensare a un affidamento, con contratti di affitto
temporanei (locatio-conductio), a manodopera abbastanza specializzata che, in cambio dell’utilizzo delle
dotazioni strumentali, doveva corrispondere un canone
fisso, e/o una fornitura di quantità definite di beni e di
servizi 103.
Appare difficile ricostruire invece forme, modalità
e caratteri della lavorazione del vetro, disponendo di limitate informazioni sulle strutture produttive e di scarse
analisi archeometriche. Installazioni fisse, scorie, scarti,
provini di fluidità, ritagli, crogioli e pani di vetro, sono
stati individuati in Campania, mentre nei comparti territoriali lucani, apuli e calabresi, la presenza di ateliers
è stata ipotizzata sulla base del ritrovamento di pochi
indicatori di produzione. I dati, riferibili soprattutto al
tardo V/VI-VII secolo, rinviano ad ateliers secondari di
piccole dimensioni, prevalentemente impiantati in ambito urbano, talvolta inseriti in quartieri artigianali più
ampi e abbinati a officine adibite alla lavorazione dei
metalli 104, orientati a produzioni diffuse a scala locale,
regionale e infraregionale, realizzate sia utilizzando semilavorati 105, sia riciclando rottami di vetro 106.
3C. Sono attestate anche imitazioni della forma Hayes 197, di cui
è documentata una produzione molto fedele all’originale nelle fornaci di Venosa (MARCHI 2002).
96
Le officine napoletane, dopo una iniziale fase di riproposizione
puntuale dei modelli africani, avviarono una produzione più autonoma:
GARCEA 1999. In Puglia sembra avere una forte connotazione urbana/suburbana la produzione di lucerne abbastanza standardizzate, talvolta di fattura non molto curata. Cfr. FIORIELLO 2012; MANGONE,
GIANNOSSA, LAVIANO et alii 2009. Interessante è un nucleo di lucerne
prodotto a Canosa, proveniente dalla catacomba di Ponte della Lama:
analisi archeometriche in ERAMO, GIANNOSSA, ROCCO et alii 2014.
97
La produzione di anforette biansate è forse da mettere in relazione alla conservazione di acqua, vino e olio e alla vendita a scala
locale o regionale.
98
DE ROSSI 2004; LEO IMPERIALE 2004; CASSANO, DE FILIPPIS
2010; TURCHIANO 2010.
99
In Italia meridionale nundinae sono state ipotizzate in rapporto
a numerosi siti urbani e rurali, anche in relazione a complessi paleocristiani, sul modello della fiera descritta da Cassiodoro a Marcellianum nel Vallo di Diano (CASSIOD. Var. 8, 33).
100
Sull’importanza dell’allevamento transumante e delle attività
laniere in Apulia cfr. da ultimo VOLPE, BUGLIONE, DE VENUTO 2012.
101
P. Arthur ha sottolineato il nesso tra variazioni morfologiche
e fattori economici, culturali, alimentari e ambientali. Spesso trascurata è la variabile climatica: il peggioramento delle condizioni
climatiche potrebbe aver inciso sull’incremento di cibi semi-liquidi
e di olle e pentole, rispetto alle forme aperte più rare nei corredi domestici altomedievali; ARTHUR 2007. Analisi degli isotopi stabili del
carbonio su materiali archeobotanici provenienti dal sito di Faragola, hanno evidenziato, ad esempio, un aumento della piovosità
nel VI-VII secolo: CARACUTA 2011.
102
VOLPE, TURCHIANO 2012 con rinvio ai dati delle analisi bioarcheologiche condotte nel sito di Faragola.
103
Cfr. VERA 1995; VERA 1999a e VOLPE, ROMANO, TURCHIANO
2013 con rinvio alla bibliografia di riferimento.
104
A titolo esemplificativo si vedano i casi di Napoli (SOGLIANI
2010) e di Contrada Crivo (Parghelia) (BRUNO 2003).
105
Nell’impianto di Benevento, sono stati rinvenuti numerosi
frammenti di pani di vetro e nove crogioli (LUPIA 1998b, pp. 6869). Tre pani di vetro provengono dall’officina di Piazza Bovio (Napoli), insieme a sette frammenti di crogioli (DEL VECCHIO 2010, p.
81; FEBBRARO 2010; analisi archeometriche in DE FRANCESCO, SCARPELLI, DEL VECCHIO et alii 2014). L’officina di Pontecagnano ha restituito otto pani di vetro (MALPEDE 1999). Un pane di vetro e due
crogioli frammentari sono stati rinvenuti anche a Herdonia (FG)
(GIANNETTI, GLIOZZO, TURCHIANO 2015, p. 297).
106
Nell’officina napoletana sono state ritrovate numerose lastre
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO
533
Il quadro delineato consente di osservare come nel
corso della tarda antichità la riorganizzazione amministrativa dei territori imperiali, le nuove gerarchie fra città
e le modificazioni dei quadri urbani, i fenomeni di concentrazione della proprietà terriera e le nuove modalità
di gestione dei fundi, le riforme economiche, il riassetto
delle compagini sociali con l’emergere di nuovi soggetti
forti, ebbero riflessi evidenti nel settore manifatturiero
anche per quanto riguarda le committenze.
Le tracce della persistenza di un ruolo pubblico nella
promozione e nel controllo delle produzioni artigianali
si colgono in effetti nel comparto tessile, documentato
dal gineceo imperiale menzionato nella Notitia Dignitatum, dislocato tra Canosa e Venosa, e dalla tintoria di
Taranto, probabilmente trasferita agli inizi del VI secolo
a Otranto, importante fabbrica di porpora adibita alla
produzione di indumenti per la corte di Ravenna, che
Cassiodoro paragonava a Tiro per l’elevata qualità dei
prodotti 111. Si tratta degli unici complessi manifatturieri
afferenti all’amministrazione delle sacrae largitiones
presenti nell’Italia Suburbicaria; la scelta statale a favore di questi territori deve essere stata orientata dalla
presenza di buoni pascoli e di grandi allevamenti, dalla
facilità di reperimento della lana, dall’efficienza della
rete stradale e portuale e dalla prossimità alle saline 112.
Purtroppo mancano al momento tracce materiali attribuibili con sicurezza a questi impianti. Non si può escludere che nel settore tessile siano state attive in
particolare le comunità ebraiche 113.
Più timidi appaiono i segnali delle funzioni esercitate dalla committenza statale nel comparto edilizio e
delle altre manifatture. Il settore delle costruzioni e
delle produzioni connesse (cicli della pietra, del laterizio, della calce) andarono incontro tra IV e V secolo ad
una sensibile contrazione e a profondi cambiamenti, indotti soprattutto dalla forte riduzione delle grandi opere
a committenza pubblica; le difficoltà economiche della
compagine statale, le razionalizzazioni imposte dalla riforma amministrativa dioclezianea, la crisi delle magistrature municipali non dovettero tuttavia azzerare le
iniziative dei governi locali e della stessa autorità imperiale 114. Va rilevato in ogni caso che la testimonianza
di queste iniziative è affidata prevalentemente alle fonti
di finestra, tessere musive e sectilia pronti per essere riciclati; paste
vitree da riciclare sono attestate nell’impianto di Benevento; a Herdonia e a Faragola, le analisi archeometriche hanno evidenziato l’utilizzo diffuso di materiali riciclati.
107
SANTAGOSTINO BARBONE, GLIOZZO, D’ACAPITO et alii 2008;
GLIOZZO, SANTAGOSTINO BARBONE, D’ACAPITO et alii 2010b;
GLIOZZO, SANTAGOSTINO BARBONE, TURCHIANO et alii 2012; GIANNETTI, GLIOZZO, TURCHIANO 2015.
108
Analisi sulla Breccia corallina, coordinate dall’ISCR, hanno
evidenziato compatibilità con i giacimenti garganici.
109
I piani del cantiere di ristrutturazione della villa hanno restituito indicatori forse riconducibili ad ateliers attivati per l’esecuzione
dei pannelli.
110
GIULIANI, TURCHIANO 2003. L’atelier ritrovato a Napoli era
adibito prevalentemente alla produzione di calici Isings 111, e secondariamente di bicchieri/lampade Isings 106, di lampade Isings
134 e forse anche di piatti con orlo ribattuto; le stesse forme furono
prodotte nell’officine di Benevento, insieme a bottiglie e a manufatti in vetro marmorizzato. A Canosa, gli indicatori rinviano a calici; più articolato il quadro ipotizzato per Herdonia
(bicchieri/lampada Isings. 106, piatti con orlo ribattuto all’esterno
Isings 45/46a, brocche/bottiglie con filamento applicato sotto l’orlo
Isings 102b, lampade Isings 134, calici Isings 111 e fondi a filamento multiplo).
111
NOT. Dign. Occ. 11, 52 e 11, 65: Cfr. GRELLE 1986, p. 390;
VOLPE 1996, pp. 281-287.
112
VOLPE 1996, pp. 282-283.
113
La presenza di fiorenti comunità ebraiche a Taranto e a Venosa ha indotto F. Grelle ad ipotizzare un loro nesso con le manifatture tessili (GRELLE 1994, p. 155; GRELLE, VOLPE 1994, p. 30).
114
Tra IV e V secolo dei 68 atti di evergetismo registrati per le
città campane, il 30% vede i governatori provinciali come prota-
Nella Puglia centro-settentrionale, un progetto di
analisi archeometriche ha consentito di caratterizzare alcuni aspetti dell’artigianato vetrario locale 107. Le indagini condotte sui pannelli in opus sectile, rinvenuti nella
cenatio della villa di Faragola, hanno documentato l’importazione di semilavorati o di elementi finiti, prevalentemente dall’area siro-palestinese, messi in opera,
insieme a brecce di approvvigionamento regionale 108,
da maestranze specializzate 109.
Le indagini sul vasellame vitreo di Herdonia e di Faragola, hanno permesso di tracciare un’evoluzione nei
flussi di approvvigionamento del vetro: tra il III e gli
inizi del V secolo le importazioni dall’area orientale risultano predominanti mentre, a partire dal pieno V secolo, i canali africani/adriatici si affiancano a quelli
orientali, diventando preponderanti soprattutto tra VI e
VII-VIII secolo.
A scala meridionale emerge dunque una sostanziale
tenuta dei cicli di lavorazione riflessa anche nel repertorio morfo-tipologico che, sia pur semplificato e polarizzato su alcune tipologie funzionali (principalmente
bicchieri a calice e apodi, lampade e bottiglie), continua ad apparire articolato 110.
(M.T.)
Le committenze
534
PASQUALE FAVIA, ROBERTA GIULIANI, MARIA TURCHIANO
scritte, mentre resta difficile l’individuazione di sicuri
indicatori archeologici. L’installazione di calcare all’interno degli edifici pubblici in età tardo antica è fenomeno che si presta ad interpretazioni controverse:
violazione di una proprietà pubblica in abbandono da
parte di privati o segno di una regolamentazione statale
delle operazioni di demolizione, recupero e riciclo dei
materiali del patrimonio edilizio in deperimento? Entrambe le possibilità sono ammissibili 115, ma forse, sia
pur con molte cautele, si potrebbe propendere per la seconda perlomeno nei casi in cui gli impianti presentino
una discreta articolazione (come nell’esempio di Cuma,
ricordato supra). Una gestione pubblica delle risorse minerarie del Bruzio, anche sulla scorta di alcune indicazioni di Cassiodoro, è stata ipotizzata da Gh. Noyé, che
al fisco riconduce le produzioni metallurgiche del porto
di Reggio 116.
La committenza statale nel settore edilizio assunse
un carattere senza dubbio più significativo intorno alla
metà del VI secolo nei territori investiti dalla riconquista bizantina, cui si collega l’avvio di numerosi cantieri
per la realizzazione di opere difensive e soprattutto religiose 117. Indicatori di produzioni laterizie connesse all’amministrazione bizantina possono essere ravvisati
nei bolli su tegoloni che recano il nome di Narsete, reimpiegati a Mercato S. Severino (SA) nella necropoli adiacente alla chiesa di S. Maria di Rota (metà VI secolo),
probabilmente nei pressi di un centro collegato a funzioni fiscali, all’interno di una mansio 118, reperti che si
aggiungono a quelli in tutto analoghi ritrovati in Sicilia, nell’area della chiesa paleocristiana di Monte Po di
Nesima, costruita sui resti di un vicus romano, documentando evidentemente un’attività evergetica del noto
generale di Giustiniano, esercitata anche attraverso la
valorizzazione dell’artigianato fittile e della tradizione
della bollatura 119; all’interno del medesimo solco potrebbe inscriversi peraltro anche il mattone ritrovato a
S. Giusto con il monogramma di Iohannis, collegato ipoteticamente da G. Volpe al magister militum, anch’egli
protagonista della riconquista bizantina dei territori italici 120. Non si può escludere però che i bolli indichino
semplicemente la committenza pubblica delle opere edilizie cui i fittili erano destinati e non necessariamente
la proprietà statale delle figlinae 121.
Il ruolo significativo che la Chiesa venne assumendo
nelle compagini urbane e rurali tardo antiche, in particolare attraverso la figura del vescovo, si riverbera in
maniera inequivocabile anche nel settore dell’artigianato.
I contesti di Canosa, Egnazia, S. Giusto, possono considerarsi emblematici della complessità dell’azione esercitata dai vescovi, che alla promozione di articolati
programmi edilizi, indicativi della florida base economica delle rispettive diocesi 122, affiancarono significative forme di investimento nel settore manifatturiero,
spesso strettamente correlate alle imprese costruttive.
L’artigianato laterizio canosino, caratterizzato da una
gamma di prodotti assai articolata (mattoni contrassegnati da croci di vario tipo, bollati con il monogramma
del vescovo Sabino, decorati con motivi geometrici, ornati da intelaiature geometriche campite con disegni simbolici; antefisse con croce e lettere apocalittiche;
lucerne), probabilmente avviato già nel V secolo, conobbe il suo apogeo al tempo del vescovo Sabino (fig.
10), nel secondo quarto del VI secolo, momento in cui
la produzione assunse un carattere più specializzato,
forme organizzative più articolate e fu indirizzata al sod-
gonisti (SAVINO 2010, p. 275). L’archeologia mostra nello stesso periodo ancora significativi interventi di restauro e ampliamento di edifici termali (ad Herdonia, Canosa e Venosa ad esempio); nel caso
di Venosa un possibile finanziamento imperiale è stato suggerito da
M. Silvestrini in base alla lettura di un’epigrafe; ad Herdonia i tempi
celeri ed il tenore delle ricostruzioni post-terremoto prefigurerebbero un ruolo attivo svolto dal governatore provinciale (su questi
temi e per la bibliografia di riferimento cfr. GIULIANI 2010, p. 138,
n. 40).
115
Cfr. sull’argomento le riflessioni di A. Leone per la realtà nordafricana (LEONE 2007, pp. 232-236). Due documenti epigrafici di
fine V - inizi VI secolo testimoniano per Roma il controllo pubblico
dei lavori di smantellamento del Colosseo e del foro di Augusto (MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004, pp. 70-71).
116
NOYÉ 2000, pp. 442-444.
117
ZANINI 1998, pp. 109-111.
118
Il bollo, di forma circolare, si compone di croce monogrammatica centrale ed iscrizione (+ VIR EXCELLENTISSIMUS NARSIS FECIT) disposta internamente lungo il contorno del bollo stesso.
Cfr. sul rinvenimento COROLLA, PEDUTO 2012, p. 531, fig. 5.
119
Riferimenti a questo edificio di culto, oggetto di scavo negli
anni ’20 del ‘900, sono in ARCIFA 2009, p. 85, n. 58. Sui fittili cfr.
in particolare FIORILLA 2000, pp. 191, 195, 198, 205; l’identificazione del personaggio indicato nel bollo con Narsete, generale bizantino divenuto comandante supremo della spedizione in Italia nel
551 (PLRE, s.v. Narses 1, IIIB, pp. 912-928; COSENTINO 2000, s.v.
Narses 1, pp. 405-417), è stata proposta in MANACORDA 2000, p.
149.
120
Cfr. VOLPE 2002 (anche per i richiami all’attività evergetica
di Giovanni e Narsete nei mosaici della cattedrale di Pesaro), che
non esclude del tutto, in alternativa, la pertinenza del monogramma
ad un vescovo sconosciuto alla cronotassi episcopale lucerina.
121
Su questi aspetti cfr. MANACORDA 2000, p. 149.
122
In Italia, perlomeno a partire dal V secolo, le Chiese erano
tenute ad investire la quarta parte delle proprie rendite nell’edilizia
religiosa (ZICHE 2006, p. 72, n. 16). La base economica della Chiesa
canosina doveva fondarsi anche sulle rendite derivate da proprietà
terriere situate in aree extraregionali: ancora alla fine del VI secolo
la diocesi detiene beni fondiari in Sicilia (GREG. Ep. 1, 42).
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO
535
disfacimento delle esigenze delle fabbriche religiose
urbane e dell’intero territorio di pertinenza della diocesi, oltre che, forse, di specifiche commesse provenienti
da aree limitrofe 123; anche ad Egnazia il rinvenimento
di un mattone con croce a rilievo apicata, unito ad altri
manufatti connotati da simboli cristiani 124, suggerisce
l’esistenza di circuiti produttivi e commerciali fortemente legati alla Chiesa locale; frammenti fittili con bolli
SPES IN DEO (Vico Equense) e SPES DEI (Ponticelli)
documentano inoltre produzioni di area campana, connesse all’ambito funerario cristiano, forse anche og-
getto di esportazione 125. I siti meglio indagati dimostrano
che la Chiesa doveva controllare anche altri aspetti delle
produzioni legate agli edifici di culto: probabilmente la
fabbricazione di vetrate e tessere musive 126, componenti
metalliche 127, calce 128, arredi architettonici 129; l’officina
di S. Pietro a Canosa, in cui nell’alto Medioevo si rilavoravano i manufatti plastici derivati dallo spoglio della
chiesa, costituisce una testimonianza interessante, unita
ad altri indicatori 130, di gestione da parte dell’autorità
ecclesiastica delle attività di smantellamento, recupero,
stoccaggio, rilavorazione e destinazione a nuovi usi del
materiale edilizio proveniente da edifici dismessi 131.
Questo insieme di evidenze mostra dunque come gli
investimenti delle maggiori Chiese locali non si limitassero alla committenza delle fabbriche religiose, ma
erano indirizzati a gestire la gran parte dei processi produttivi ad esse sottesi, a strutturare progressivamente
l’intero comparto manifatturiero connesso alle costruzioni, mettendo in atto strategie che dovettero avere importanti ricadute sul tessuto economico-produttivo e
sociale delle rispettive realtà territoriali.
In ambito rurale la complessità dei programmi di
marca ecclesiastica emerge in maniera ancor più chiara
nel caso di S. Giusto, mostrando la stretta connessione
tra l’avvio o il potenziamento di specifiche attività artigianali (produzione di ceramiche, lavorazione di metalli, vetri, lane e pelli) e l’utilizzo delle risorse
agropastorali, anche forse nella dimensione di una loro
commercializzazione all’interno di fiere 132; la stessa
Chiesa di Roma sembra aver esercitato un ruolo significativo, attraverso i funzionari preposti alla gestione
delle tenute del Patrimonium Petri dislocate in Calabria ed in Campania, nel promuovere produzioni manifatturiere (Keay 52, anfore di Miseno) collegate allo
sfruttamento della viticultura nei propri fundi 133.
Naturalmente in ambito rurale un’apprezzabile azione propulsiva delle attività manifatturiere, anche di elevato profilo artigianale, fu esercitata dai grandi proprietari terrieri. L’allestimento dei cantieri per la costruzione
Cfr. per i laterizi: BALDASARRE 2009, pp. 63-67, 70-71 e GIULIANI, BALDASARRE 2013, pp. 753-757, figg. 9-11.
124
CASSANO 2007, p. 1263, figg. 7-10, 13.
125
ARTHUR 2002, p. 32.
126
Si veda FIORI, VANDINI, MACCHIAROLA 1998 per le analisi su
tessere musive di S. Giusto che suggeriscono produzioni vitree locali di carattere secondario.
127
Cfr. M. Turchiano, supra.
128
Per la calcara rinvenuta presso la cattedrale di Egnazia, attiva
a più riprese, cfr. supra.
129
Il quadro degli arredi e delle suppellettili scultoree degli edi-
fici di culto denuncia la compresenza di manufatti marmorei di importazione ad elementi in pietra locale lavorati in loco sebbene ispirati a modelli allogeni (cfr. GIULIANI, BALDASARRE 2013, p. 759, n.
66).
130
Cfr. supra n. 25.
131
Cfr. GIULIANI 2014, p. 353, figg. 3-6.
132
Su questi temi cfr. Turchiano supra e, più diffusamente TURCHIANO 2010, p. 658. Sul problema dell’esercizio di attività commerciali da parte dei chierici, condannato dai Padri della Chiesa e
dalla legislazione canonica, eppure ben documentato tra VI e IX secolo, cfr. COSENTINO 2012, pp. 429-430.
133
Cfr. M. Turchiano supra.
Fig. 10. - Bolli su laterizi canosini (da Baldasarre 2009); i primi due
(ottenuti da matrici diverse) rappresentano il monogramma del vescovo Sabino.
123
536
PASQUALE FAVIA, ROBERTA GIULIANI, MARIA TURCHIANO
delle residenze aristocratiche di campagna, spesso connotate da spiccati caratteri di lusso (Faragola), rappresentarono l’occasione per l’attivazione di impianti destinati
a fabbricare calce, laterizi, metallo, vetro, tessere musive, a lavorare probabilmente lapidei e marmi; tali impianti
videro talvolta il coinvolgimento di maestranze qualificate itineranti, latrici di pratiche artigianali di rara specializzazione, capaci di rispondere alle richieste di arredi e suppellettili avanzate da raffinati e facoltosi
committenti, ispirate ad un gusto comune alle élites del
tempo. Accanto alle manifatture funzionali alla costruzione dei complessi residenziali, i cui impianti vengono
di norma smantellati una volta conclusa la loro edificazione, le aristocrazie furono promotrici anche di altre attività artigianali, sulle quali evidentemente dirottarono il
surplus ricavato dalle stesse rendite fondiarie 134.
Sarà necessario in futuro condurre un esame più
puntuale dei contesti manifatturieri dislocati in città, in
larga parte riconducibili ad officine individuali e dunque a produzioni di piccola scala intraprese per soddisfare specifici comparti del mercato urbano, ma che, in
alcuni casi, mostrano caratteristiche più complesse (atelier vetrario di Eclano, complesso polifunzionale di
Egnazia), evocative forse di iniziative legate ad altri soggetti, su cui occorrerà approfondire le ricerche.
In sintesi dunque, nel settore artigianale, alla committenza pubblica, che tende a divenire più sfuggente
tra IV e V secolo, e che si esprime nei territori riconquistati all’impero bizantino nel VI secolo piuttosto attraverso i funzionari militari, sembrano affiancarsi in
maniera significativa la Chiesa di Roma nella gestione
degli ingenti patrimoni fondiari in Campania e Calabria,
e le Chiese locali, soprattutto per il tramite dei loro vescovi. Dal punto di vista delle committenze private un
ruolo importante sembra ritagliarsi l’azione delle aristocrazie che investe preferibilmente l’ambito rurale in
connessione da un lato con la costruzione di residenze
lussuose, dall’altro con la promozione di attività arti-
gianali integrate alle specifiche produzioni agricole della
proprietà; l’iniziativa privata nei contesti urbani, rappresentata da impianti di dimensioni contenute, connessi
in genere agli spazi domestici, può forse essere ricondotta ad un ceto medio di artigiani, residenti in città,
che evidentemente tese a conquistare all’artigianato
stesso spazi meno periferici, ma che spesso gestiva la
propria attività in forma integrata con altre mansioni 135.
(R.G.)
Cfr. M. Turchiano, supra.
Cfr. GIULIANI 2010, p. 159 e 2014, pp. 356-357.
136
Ad Otranto, le già citate fornaci ‘Mitello’ garantirono sino al
IX secolo la fornitura di ceramica da dispensa, fuoco e trasporto.
Dal punto di vista tecnologico va ricordato che la suola delle camere di cottura idruntine era realizzata in barre fittili (LEO IMPERIALE 2003, pp. 674-676, fig. 2), secondo un sistema di ampia
diffusione cronologica e geografica, ma particolarmente attestato in
Oriente e nel mondo islamico, ben documentato in epoca bassomedievale in Sicilia (FIORILLA 1990; MOLINARI 1997 p. 376, fig. 1;
D’ANGELO 2005, pp. 396-397, fig. 7). Per un quadro delle attestazioni ceramiche beneventane, che lasciano presagire, pur in assenza
del ritrovamento di fornaci, una continuità manifatturiera lungo
tutto il Medioevo vd. CARSANA, SCARPATI 1998, pp. 200-203 (per
l’intera Campania vd. inoltre infra, nota 139). Per Reggio vd. i rinvenimenti di ceramica dipinta in rosso al Lido, di possibile produzione locale (RACHELI 1991); per Tropea vd. DI GANGI, LEBOLE 1997,
p. 156; DI GANGI, LEBOLE 1998, p. 765.
137
A Reggio ai resti degli impianti attivi fra tardo antico ed alto
Medioevo per la lavorazione del bronzo si aggiungono i ritrovamenti
di un fornetto e di crogioli in terracotta riferibili a una piccola fonderia utilizzata nella prima metà del XII secolo. Al di là del problema della verifica di una continuità metallurgica ininterrotta o meno
nella città, emerge il ruolo di Reggio stessa quale terminale delle
risorse minerarie della regione e forse anche di area messinese (CUTERI 2006, pp. 415-418).
138
Sulle ipotesi di produzioni napoletane ARTHUR 2002, pp. 118119.
134
135
L’età medievale: cicli, sistemi e modalità di produzione
in Italia meridionale
Fra i tratti di base nelle reti manifatturiere del Mezzogiorno dei secoli centrali e finali del Medioevo si annoverano elementi in continuità con gli assetti dei
decenni precedenti (nella geografia delle produzioni, nel
riarticolato apparato logistico delle lavorazioni urbane,
nell’assestamento degli impianti rurali, nell’accentuato
ricorso al reimpiego) e fattori di scarto e trasformazione:
comparsa di nuovi protagonisti nel mondo delle produzioni, su tutti le élites signorili e gli enti monastici;
formazione di nuclei artigianali anche nelle nuove tipologie demiche, quali i villaggi accentrati o i castra;
rinnovata preoccupazione rispetto all’accesso e alla gestione dei luoghi di estrazione della materia prima; frequente tendenza all’accorpamento di più passaggi dei
cicli di fabbricazione; propensione del potere statale e
signorile verso il controllo accentrato delle manifatture.
L’artigianato di ambito urbano
Diverse città nell’VIII-IX secolo riformularono uno
spazio definito e proprio nell’universo delle produzioni
meridionali, sia come sedi di fabbricazione di terrecotte 136,
metalli 137, vetri 138, sia come luogo di domanda e con-
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO
537
sumo delle derrate provenienti dai circondari rurali, ma
anche in qualità di centri di organizzazione della parabola commerciale di manufatti plasmati in un comprensorio di riferimento 139.
L’indicatore ceramico costituisce naturalmente elemento primario anche per valutare la capacità delle città
di incidere sulle fasi di smercio dei manufatti, pure su
medio e lungo raggio. In effetti, in vari nuclei cittadini
costieri furono forgiate, fra VIII e X secolo, anfore da
trasporto, morfologicamente distinte dai precedenti
tardo antichi, generalmente meno capienti, destinate ad
assicurare la circolazione di prodotti alimentari, su tutti
il vino, sul versante tirrenico, lungo un asse dalla Sicilia a Roma, e sul versante adriatico-ionico su direttrici
che raggiungevano pure l’Egeo. A Otranto, fu plasmato
dalla fine del VII secolo e poi lungo l’VIII, il tipo cosiddetto ‘Mitello 1’, di forma globulare 140; in Calabria
si modellarono contenitori a fondo arrotondato e umbonato, progressivamente sempre più lontani dalle Keay
LII e succedanee, proseguendo la linea produttiva sino
al X secolo 141. Come detto, le fornaci di Miseno perpetuarono la fabbricazione di anfore vinarie almeno per
tutto l’VIII secolo 142.
Le anfore da trasporto gettano una luce sulla formazione, fra VIII e X secolo, di circuiti produttivi-commerciali di orizzonte non ristretto, su scala
transregionale. Non fu probabilmente estranea alla creazione di tale tessuto l’esistenza di sfondi istituzionali e
di reti infrastrutturali di una qualche solidità, in particolare in ambito bizantino, che agevolarono la rela-
zione fra committenza, fabbricazione, mediazione nei
traffici e consumo 143; peraltro fra i territori soggetti all’Impero d’oriente e le regioni sotto il dominio longobardo non paiono emergere serie limitazioni nella
circolazione delle merci 144.
Nella Puglia meridionale e in Calabria, dalla seconda metà del X secolo sino ad epoca angioina 145, si
elaborarono ulteriori versioni di contenitori da trasporto,
indizio di una prosecuzione della commercializzazione
su ampia distanza dei beni agricoli del Mezzogiorno; le
variazioni nelle forme e il ridimensionamento delle capienze riflettono forse modifiche nelle quantità dei beni
alimentari disponibili per un traffico sovraregionale,
nella possibilità e programmazione delle quote di prodotto da esportare ed anche nella stazza e cabotaggio
delle imbarcazioni.
I porti delle città ionico-adriatiche meridionali, inoltre, nel XIII-XIV secolo furono anche i punti di imbarco
dei tipi delle invetriate dipinte e delle protomaioliche,
che costituirono categoria merceologica di buona diffusione in tutto l’Adriatico e in Oriente, trovando propri spazi nei complessi meccanismi commerciali dei
diversi quadri amministrativi-istituzionali egei e del Levante tutto 146.
L’integrazione dell’informazione archeologica con i
dati delle fonti scritte e con le indicazioni toponomastiche allarga il ventaglio di conoscenze sulle classi di
materiali prodotte e sui mestieri praticati negli opifici
cittadini 147, attrezzati per una domanda e una committenza diversificata. Alcuni nuclei urbani costituirono
139
Se pure a Napoli non vi sono, ad ora, chiare evidenze di opifici ceramici, la città gravitava comunque in un articolato circuito
di figlinae, ubicate, ancora nell’alto Medioevo, ad Ischia (ARTHUR
1993, p. 233), Miseno e Cuma (per entrambi, vd. DE ROSSI 2004).
A Salerno si modellava l’argilla nei sobborghi del centro urbano (vd.
infra, nota 150), ma gli impianti di trattamento si estendevano verosimilmente sino a Vietri e Cava (PEDUTO 1982, p. 17).
140
Sull’anfora ‘Mitello 1’ vd. ARTHUR, CAGGIA, CIONGOLI et alii
1992, pp. 103-110; ARTHUR, PATTERSON 1998, pp. 518-524; LEO IMPERIALE 2004, pp. 329-332, fig. 3, 1-2.
141
Su questi tipi anforici si veda DI GANGI, LEBOLE 1997, pp.
153-155.
142
DE ROSSI 2004, p. 255.
143
Si è già segnalata l’importanza delle proprietà ecclesiali nel
quadro produttivo campano; si ricordano inoltre gli accordi fra papa
Gregorio II e il duca di Napoli Teodoro e i provvedimenti di Leone
III l’Isaurico che nel secondo quarto dell’VIII secolo contribuirono
a rafforzare le direttrici dei traffici tirrenici, specialmente sull’asse
Napoli-Roma (vd. MARAZZI 1991, pp. 232, 252-257 e, per gli
aspetti materiali, ARTHUR 1993, pp. 237-241; DE ROSSI 2004, p.
259). Per quanto riguarda Otranto, la città rappresentava il fulcro di
uno degli «interlocking exchange networks» formatisi nel
Mediterraneo bizantino (ARTHUR 2012, pp. 348-349). Per
l’inquadramento delle manifatture calabresi nella sfera di controllo
costantinopolitano, vd. DI GANGI, LEBOLE 1997, pp. 154-155.
L’influenza del sostrato politico-istituzionale va vista peraltro come
terreno di coltura per condizioni favorevoli alle produzioni e al
commercio, piuttosto che come presupposto per interventi in senso
dirigista e centralizzatore.
144
Se, ad ora, si constata che le ceramiche salentine non paiono
trovare sbocco nei distretti vicini (ARTHUR 2010, p. 82), i contatti
fra il comprensorio napoletano e i territori della Langobardia Minor
appaiono intensi (CARSANA, SCARPATI 1998, pp. 135, 200, 203; ARTHUR 2012, p. 342).
145
Sulle anfore cosiddette ‘Otranto 1 e 2’ vd. ARTHUR 1993, pp.
206-216, fig. 7, 1-6; ARTHUR 1998, pp. 11-13; per la produzione di
grandi contenitori nella Calabria normanna si veda DI GANGI, LEBOLE 1997, p. 154. Dalla fine del XII secolo si registra il declino
dei recipienti calabresi, mentre quelli otrantini proseguirono nel
XIII secolo.
146
Sulle attestazioni e sulle condizioni di scambio delle ceramiche invetriate meridionali nel Mediterraneo orientale vd. PATITUCCI
UGGERI 1985; RIAVEZ 2012; TINELLI 2012.
147
A Benevento, per esempio, le fonti scritte permettono di ricostruire, direttamente o indirettamente, la presenza di numerose attività artigianali già dall’alto Medioevo (ROTILI 1986, p. 128).
538
PASQUALE FAVIA, ROBERTA GIULIANI, MARIA TURCHIANO
Fig. 11. - a) Ariano Irpino (AV). Attuale configurazione del quartiere dei ‘Tranesi’, nel Medioevo sede di fornaci ceramiche (da Giorgio,
D’Antuono 2010); b) Crotone. Localizzazione (nel cerchio grigio) dell’area di rinvenimento di fornaci medievali (da Aisa, Cristiano, Ruga
et alii 2010).
verosimilmente il polo di riferimento anche per molte
maestranze specializzate o itineranti 148; le città erano
inoltre le sedi prevalenti delle officine a controllo statale, fra cui arsenali e zecche 149.
La suddetta combinazione di fonti di diversa natura
permette di ricostruire la presenza di specifici settori artigianali all’interno dello specchio urbano o nelle loro
periferie; la geografia dei poli produttivi urbani assunse
progressivamente contorni più precisi, disegnando isolati edilizi o quartieri ad essi dedicati, dislocando quelli
a maggior peso ecologico e logistico nei sobborghi. Gli
stessi ritrovamenti di resti di fornace o di zone di concentrazione di scarti ricompongono, infatti, una casistica
in cui le installazioni per la lavorazione della ceramica,
del laterizio e dei metalli erano, in prevalenza, ubicate
immediatamente all’esterno dei circuiti murari o alla periferia della città, come per esempio a Salerno, Ariano
Irpino, Lecce, Otranto, Crotone, Oppido Mamertina,
spesso non lontano dai punti di approvvigionamento
delle materie prime, dalla disponibilità di acqua e in collegamento con la viabilità principale, in modo da gestire
più sezioni del ciclo produttivo (fig. 11) 150. Altre attività artigianali si svolgevano invece, ovviamente, all’interno dei recinti cittadini, spesso con l’affiancamento
degli spazi residenziali, laboratoriali e di bottega 151. Riflessi del consolidamento dell’artigianato urbano sono
148
Nel noto, complesso e discusso documento del 774, riguardante il monastero di S. Sofia di Benevento (I.S.2 X, col. 425), si fa
riferimento da parte di Arechi II a carpentarii nostri; questo passo
ha dato forza all’ipotesi dell’esistenza di maestranze edilizie specializzate al servizio della corte, a disposizione dei progetti ducali
nella Langobardia Minor. Le principali città costituivano inoltre bacino operativo per alte professionalità e ricercate soluzioni tecniche: un esempio altomedievale è dato da S. Pietro a Corte, a Salerno,
che testimonia la ripresa anche in Italia meridionale dell’uso dell’opus sectile e dell’epigrafia monumentale, prefigurando la compresenza di lavoratori locali e di specialisti, provenienti forse
dall’Italia settentrionale longobarda (su questi temi vd. DI MURO
1996, pp. 57-58). Queste condizioni peraltro si riproposero ripetutamente nel corso del Medioevo, soprattutto in campo edilizio (si
pensi per esempio alle maestranze transalpine operanti su molti
cantieri ecclesiali pugliesi: GIULIANI 2011, pp. 204, 210, 214).
149
Officine statali, arsenali e zecche nel Regno di Sicilia si distribuivano fra Napoli, Gaeta, Castellamare, Amalfi, Salerno, Melfi,
Lucera, Foggia, Canosa, Brindisi, Nicotera, Messina.
150
Le già citate fornaci otrantine si ubicavano in una posizione
extra-muranea, di agevole accesso alla materia prima e all’acqua e
in buona posizione rispetto alla viabilità e allo scalo portuale (LEO
IMPERIALE 2003, p. 674). Si è già fatto riferimento per Salerno (vd.
supra, nota 139) allo sviluppo di attività produttive nell’area su-
burbana (vd. anche PEDUTO 2006, p. 336). A Oppido Vecchio è stata
rinvenuta un’area di lavorazione metallurgica di età bassomedievale,
testimoniata da quindici forni, esterni alla città (CUTERI 2009, pp.
653-654). A Crotone, il ritrovamento di una fornace consente di ipotizzare nel XIII-XIV secolo lo sviluppo di un quartiere ceramico
fuori le mura (AISA, CRISTIANO, RUGA et alii 2010). Ad Ariano Irpino nel XV-XVI secolo si sviluppò una zona di botteghe esterne
al recinto murario, che sostituì impianti precedentemente situati nel
centro cittadino; la nuova installazione utilizzava alcune grotte naturali, le cui condizioni microclimatiche e l’articolazione in più gallerie creavano condizioni favorevoli alla produzione (GIORGIO,
D’ANTUONO 2010, pp. 221, 223-224). A Lecce un consistente scarico di cocci è stato rintracciato in un luogo corrispondente ad un
settore urbano interno alla cerchia medievale, a ridosso delle mura
(TAGLIENTE 2002). L’ubicazione extra moenia di diverse fornaci ceramiche siciliane costituisce significativa occasione di comparazione; ad Agrigento il complesso produttivo ubicato nella valle dei
Templi reimpiegò le strutture della necropoli e degli ipogei paleocristiani (ARDIZZONE 2010, p. 275).
151
Nella Benevento altomedievale un pontile, struttura aerea di
collegamento fra i due lati di una strada, era denominato de aurificibus (ROTILI 2006b, p. 332, fig. 21). A Napoli le fonti documentarie menzionano nel X secolo famiglie di fabbri, residenti ed attive
nel vicus Sancti Georgii (SKINNER 1994, pp. 291-294).
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO
539
Stanziamenti religiosi e sistemi produttivi
percepibili nel riconoscimento sociale ottenuto da una
serie di mestieri e figure lavorative, nelle stesse forme
di manifestazione di sé che le categorie professionali
esprimevano sul piano pubblico (per esempio in
campo religioso) 152, che nell’organizzazione di una
cornice normativa e fiscale riguardante le attività produttive 153.
L’insieme di tali elementi qualifica più compiutamente il ruolo delle città nei meccanismi produttivi del
Mezzogiorno medievale: esse fungevano da luogo di agglomerazione di diversi passaggi dei cicli manifatturieri,
che rispondevano peraltro alle consistenti domande economiche formulate dalle stesse città; i nuclei urbani
inoltre rappresentavano sedi primarie per lo smistamento su media-lunga distanza delle merci, per la fabbricazione di oggetti di alta qualità e, infine, per le
sperimentazioni tecnologiche.
Questa trama produttiva marcò in più contesti territoriali la predominanza sul piano economico-artigianale della città sui relativi comprensori rurali e sul
mosaico insediativo secondario e anche rispetto al flusso
delle materie prime; tuttavia gli indicatori archeologici
suggeriscono nel corso del Medioevo la formazione di
altre realtà di commisurabile importanza a quelle cittadine, quali i centri manifatturieri legati ai monasteri e
le officine sorte in alcuni nuclei demici rurali in espansione e in vari siti incastellati.
S. Vincenzo al Volturno rappresenta certamente
l’esempio più espressivo dell’appropriazione di ruolo
delle comunità monastiche nei processi produttivi; l’abbazia molisana si ritagliò uno spazio di straordinaria rilevanza come catalizzatore dell’approvvigionamento e
del controllo delle materie prime, gestore dei passaggi
produttivi, polarizzatore di una forte domanda di manufatti (in gran parte consumati internamente per le notevolissime esigenze, d’occasione e di più lungo
periodo, del complesso abbaziale), organizzatore di una
catena di lavoro che prevedeva l’impiego di artigiani
specializzati, maestranze itineranti 154, figure direttive 155.
Il sistema di produzione si serviva sia di installazioni
decentrate 156, sia di officine interne (fig. 12) 157, che coprivano una vasta gamma di lavorazioni, dagli oggetti
di uso quotidiano a quelli di particolare pregio 158, peraltro con un attento ricorso al reimpiego 159.
Al netto della sua eccezionalità, l’esempio volturnense getta una luce comunque indicativa dei potenziali
produttivi del mondo monastico anche per realtà di minore peso. I monasteri calabresi, per esempio, acquisirono uno specifico spazio nell’impegnativa gestione
della risorsa metallifera 160, divenendo inoltre luogo di
fabbricazione, come confermato dai ritrovamenti archeologici 161, costituendo esempio di una dinamica che
peraltro investì l’intera penisola 162. Gli indicatori ma-
152
Nel corso del Medioevo si riscontrano varie citazioni di edifici religiosi promosse da gruppi di artigiani (per esempio a Benevento, nella Civitas Nova, furono erette le chiese di S. Nazzaro de
lutifiguli e di S. Giovanni de fabricatoribus: ROTILI 1986, pp. 154155). Inoltre, è stata opportunamente ricordata la diffusione dell’agiotoponimo di S. Eligio, patrono dei fabbri: le architetture
dedicate a questo santo, significativamente, sono generalmente poste
(in Calabria come a Napoli) in posizione periferica, presso le mura
(CUTERI 2009, p. 651; sulle implicazioni culturali e simboliche di
queste dislocazioni vd. anche GALLONI 1998, p. 243).
153
A Lucera, per esempio, nell’ultimo quarto del XIII secolo, si
applicava una tassa sullo ius quartariorum, interpretabile come gabella sulla produzione ceramica, praticata in particolare dai Saraceni (CDSL, app. nn. IV, V, VIII). Ad Ariano Irpino nel 1301 erano
effettuati prelievi fiscali sui cives laborantes in creta, ma anche sugli
extranei vendentes vasa terrea (GIORGIO, D’ANTUONO 2010, p. 221).
154
Come già visto supra (nota 148) per il caso di Salerno, le officine lapidarie volturnensi propongono un quadro lavorativo fatto
di maestranze specializzate, forse in parte itineranti, con la possibilità di un impegno diretto nei lavori anche degli stessi monaci (FERRAIUOLO 2012, p. 633).
155
In uno dei laboratori monastici fu ricavato uno spazio edilizio (datato post 848) dai tratti costruttivi rifiniti, interpretato come
alloggio del preposto alle officine stesse (MARAZZI, FRANCIS 1996,
p. 1042).
156
Per quanto riguarda la ceramica, il quadro archeologico ricomposto da H. Patterson ipotizza un originario rifornimento del-
l’abbazia da impianti esterni alla terra di S. Vincenzo, ma verosimilmente da essa dipendenti, con uno schema produttivo dunque
fortemente gerarchico. Nell’XI secolo si svilupparono officine in
alcuni siti del circondario monastico e fu installata una fornace anche
a S. Vincenzo stessa (HODGES, PATTERSON 1986, pp. 21-23, fig. 7;
ARTHUR, PATTERSON 1994, pp. 431-436).
157
Per la ricostruzione e la cronologia delle officine relative al
cantiere di S. Vincenzo Maggiore e di quelle ‘permanenti’ durante
il IX secolo si rimanda a MARAZZI, FRANCIS 1996, pp. 1033-1042;
FRANCIS, MORAN 1997; D’ANGELO, MARAZZI 2006, p. 447, con bibliografia precedente; più in generale, MARAZZI 2008.
158
Fra le lavorazioni realizzate si segnalano, fra le altre, quelle degli
ossi, degli avori, degli smalti e di oggetti in metallo assai ricercati (MARAZZI, FRANCIS 1996, p. 1042, con bibliografia precedente).
159
Il reimpiego è attestato, come operazione consapevole e regolata, nella lavorazione dei vetri e negli arredi architettonici (MARAZZI,
D’ANGELO 2006, pp. 453-454; FERRAIUOLO 2012, pp. 630-631), accanto al rifornimento di materiale anche da aree lontane.
160
Per una rassegna delle fonti che narrano delle concessioni fra
fine XI e inizi XIII secolo a chiese e monasteri calabresi, ma anche
ad un’abbazia florense laziale, dei diritti di sfruttamento di miniere
e saline nella stessa Calabria, si rimanda a PORSIA 1989, pp. 251253; CUTERI 2002a, p. 292.
161
Scorie di lavorazione dei metalli provengono dai monasteri cistercensi di S. Angelo de Frigillo e di S. Maria di Corazzo (CUTERI
2006, p. 419; CUTERI 2009, p. 655 con bibliografia precedente).
162
Sul tema del rapporto fra poteri e attività mineraria, cfr. la situazione toscana (FRANCOVICH, FARINELLI 1994, pp. 451-453).
540
PASQUALE FAVIA, ROBERTA GIULIANI, MARIA TURCHIANO
Fig. 12. - a) S. Vincenzo al Volturno. Ipotesi ricostruttiva dell’area della basilica maior nel primo quarto del IX secolo (da Marazzi 2008);
b) S. Vincenzo al Volturno. Planimetria delle officine vetrarie e di altri impianti artigianali (da Marazzi 2008).
Ampliando lo sguardo all’organizzazione della produzione nelle campagne del Meridione nel Medioevo, la
ricerca archeologica verifica lineamenti specifici e ritmi
diversi rispetto a quelli urbani. I meccanismi, che abbiamo visto in azione fra tardo antico ed alto Medioevo,
di utilizzo dei bacini insediativi rurali di età romana come
basi per diverse attività artigianali, paiono arrestarsi o comunque rallentare nei secoli successivi. Nella rete agricola della Puglia meridionale, integrata e gravitante sulla
città di Otranto 164, circolavano, per esempio, anfore da dispensa simili a quelle idruntine e altre forme vascolari da
immagazzinamento, da cucina e da fuoco 165. Tuttavia, le
economie delle campagne sembrano muoversi in uno
scenario di sfruttamento su raggio locale delle diverse risorse del territorio e in una logica di prevalente autoproduzione e sussistenza 166, con un accesso limitato a circuiti
di ambito extraregionale, se non per materiali di peculiare
utilità, come le pietre da macina e quelle ollari 167; analogo
ambito laboratoriale domestico è prefigurato da reperti ceramici e metallici rinvenuto nel Casertano, in un’area gravitante nell’orbita volturnense 168.
Dal X secolo si percepiscono peraltro i segni di un
nuovo respiro produttivo negli stessi villaggi rurali, nei
casali e in alcuni siti fortificati bizantini. Il reperimento
di scorie e di piccoli forni all’interno di alcuni nuclei demici salentini, per esempio, documenta l’allestimento di
punti di lavorazione del ferro e del rame che sottendono ca-
A questo proposito vd. nuovamente il caso di Agrigento (ARDIZZONE 2010, p. 277).
164
LEO IMPERIALE 2004, p. 333; ARTHUR 2006, p. 400.
165
L’esistenza di una fornace è per esempio ipotizzata non lontano dal sito rurale salentino di Supersano (ARTHUR 2004, p. 316;
ARTHUR 2012, p. 350). Nella ceramica di VIII-X secolo viene notata «una maggiore competenza produttiva e standardizzazione rispetto a quella di VII secolo […]; in contrasto con Mitello invece
le anfore commerciali sono in netta minoranza» (ARTHUR 2004, p.
317).
166
ARTHUR 2006, p. 391; ARTHUR 2012, p. 350.
167
Sulla circolazione di macine siciliane ed elleniche vd. ARTHUR
2000. Ritrovamenti di pietra ollare, seppure in quantitativi abbastanza
limitati, si distribuiscono lungo il medio e basso Adriatico per gran
parte del Medioevo.
168
Si tratta di ritrovamenti in località Arivito, non lontano da Mondragone (ALBARELLA, ARTHUR, WAYMAN 1989, pp. 587-596).
teriali contribuiscono dunque a lumeggiare l’affiancamento di una consistente attività di lavorazione dei metalli e dell’argilla 163 al lavoro di trasformazione delle
risorse agricole (testimoniato dall’installazione o dal
controllo di mulini, palmenti, etc.).
L’artigianato rurale e i paesaggi produttivi
163
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO
541
attività estrattive, abbinate ad
una produzione diretta del metallo. In effetti, il disegno territoriale calabrese nel corso del
Medioevo fu significativamente
influenzato dall’esistenza di apprezzabili giacimenti metalliferi
che determinarono una rete insediativa scandita fra siti di controllo, poli di lavorazione e
infrastrutture di comunicazione 171.
I riscontri materiali calabresi inoltre contrappuntano
quanto emerge dalle fonti documentarie, ovvero l’appropriazione da parte dei poteri
pubblici e centrali della disponibilità delle risorse del sottoFig. 13. - Rupecanina (S. Angelo di Alife - CE). Resti produttivi: macina e forgia (da Marazzi, Di
suolo 172 e la loro eventuale
Cosmo, Frisetti 2012).
cessione ad agenti economici,
pacità logistiche ed economiche per l’importazione di proin grado di sostenere lo sforzo logistico e finanziario
dotti semi-lavorati e, inoltre, l’inserimento della figura del
per lo sfruttamento delle vene metallifere o delle cave,
fabbro nella compagine sociale e nel quadro delle attività
compresi i grandi bacini architettonici di età romana,
artigianali svolte in loco, sebbene con orizzonti di lavoro
che servivano da giacimento a cielo aperto 173.
di ambito locale, all’interno di spazi prevalentemente doUna forgia peraltro è stata messa in luce, insieme a
mestici; gli oggetti plasmati peraltro si inscrivono all’inuna vicina macina olearia, nell’agglomerato demico di
terno di bisogni ed esigenze di base nel campo dell’edilizia,
Rupe Canina (fig. 13), nella Campania settentrionale (dadelle attrezzature agricole, in quello del trattamento delle
tabile al X secolo, preesistente allo sviluppo della rocca),
lane, delle pelli, del cuoio e del legno, con ampia parte di
ulteriormente comprovando nei contesti rurali lo sforzo
lavoro dedicata alla manutenzione e riparazione dei madi attivazione congiunta di impianti per la lavorazione
169
nufatti .
dei prodotti dei campi e per la fattura di attrezzature e
Ad un’occupazione risalente al X-XI secolo sono
strumenti in metallo.
ascritti gli indizi di attività di riduzione del minerale ferroso, evocate da scorie di tipo ‘tapped’, rintracciate sul
Monte Consolino, area ipoteticamente corrispondente al
Attività produttive nei castra e nei casali
kastron bizantino di Stilo, e in altre fortificazioni calaLa formazione di un articolato sistema castrale allargò
bresi 170. I dati prospettano dunque il ruolo di alcune strutdal XII secolo gli orizzonti del paesaggio produttivo in
ture castrali nella gestione delle risorse minerarie e delle
Per un quadro delle testimonianze archeologiche di attività
metallurgiche nel Salento vd. ARTHUR, GLIOZZO 2005.
170
Le tracce sono state individuate a Tiriolo e Casalini e forse
anche a Torre di Mare. A Santa Severina negli strati di epoca bizantina sono state ritrovate due valve di fusione in calcare per la
modellazione di piccoli oggetti (CUTERI 2009, p. 651, fig. 1, nn. 78, con bibliografia precedente). Questi kastra si ubicavano in posizione non lontana dalle miniere e dagli approvvigionamenti di acqua
e legno, in un quadro di incremento produttivo (CUTERI 2006, p.
415; CUTERI 2009, p. 655). Dal punto di vista tecnologico, in Calabria, più tardi, nel 1274, si ha attestazione di un mulino da ferro,
169
a testimonianza dell’uso dell’elemento innovativo, sviluppato su scala
europea, costituito dai mantici idraulici (CORTESE 1997, p. 146).
171
Sulle modellazioni del territorio calabrese in rapporto allo sfruttamento delle miniere, vd. CLEMENTE 2012.
172
Sulla considerazione dei beni del sottosuolo come appartenenti al demanio pubblico vd. PORSIA 1989, pp. 246-253. Alla citata attenzione dell’amministrazione bizantina, fece seguito la
politica normanna di concessione dei diritti sul sale e le miniere,
spesso a favore di enti monastici (vd. supra, nota 160).
173
Anche la possibilità di sfruttare i materiali costruttivi di pregio rivenienti dall’edilizia antica dipendeva da concessioni statali
(CORRADO 2012, p. 153; FERRAIUOLO 2012, p. 630).
542
PASQUALE FAVIA, ROBERTA GIULIANI, MARIA TURCHIANO
Il castello di Mercato S. Severino può costituire un buon esempio di tale dualità; nel
sito campano la ricerca archeologica ha individuato un settore insediativo frequentato fra
seconda metà del XIII e XIV secolo, connotato da scorie metalliche comprovanti un’attività produttiva, che si situa a ridosso della
rocca, usufruendo così delle sue strutture di
difesa. Ciò ha portato ad ipotizzare un diretto
controllo signorile sull’opificio; d’altronde,
nello stesso sito è stata individuata un’unità
costruttiva interpretata come abitazione e laboratorio, suggerendo dunque la compresenza
di spazi per autonome attività artigianali 175.
A Mondragone, nel Casertano, fra fine XIV
e XV secolo, fu impiantata un’officina vetraria
presso la cortina muraria meridionale della
rocca 176. Il castrum lucano di Torre di Mare
costituisce un ulteriore episodio di operazioni
siderurgiche intraprese negli insediamenti
murati fra XIII e XIV secolo 177. Inoltre, l’attività metallurgica all’interno dei recinti castellari calabresi pare perpetuarsi sino ad
epoca aragonese, come nel caso di Amendolea 178.
Gli episodi citati manifestano dunque il
grado di disseminazione e il progressivo incremento delle sedi artigianali nei castra
bassomedievali, favoriti dalla buon accessibilità alle materie prime e dalla crescita dei
bisogni interni.
Fig. 14. - Puglia meridionale. Siti di ritrovamento di scorie metalliche, contrasseTale processo di ramificazione produttiva
gnati da quadrato nero (da Arthur, Gliozzo 2005).
peraltro pare essersi consolidato e allargato,
Italia meridionale 174. I luoghi fortificati si inserirono nella
soprattutto nel corso del basso e del tardo Medioevo,
trama dei punti manifatturieri, agendo su un duplice piano:
anche a molti villaggi aperti o casali recintati. In Puglia
i siti murati, cioè, svolsero su un versante una funzione
per esempio, gli indicatori produttivi manifestano una
di controllo ed organizzazione delle risorse e delle lavopluralità di siti verosimilmente ospitanti opifici, in parrazioni, su un altro fronte formularono una domanda stiticolare ceramici 179, ma anche metallurgici (fig. 14) 180.
molata dalle esigenze signorili o dalle necessità della
Gli impianti per la lavorazione delle argille, in partipopolazione interna ai borghi fortificati medesimi, variacolare, si disponevano dunque su un vasto spettro insemente combinando o disgiungendo queste due polarità.
diativo che dalle città principali si estendeva anche a quelle
174
Un indizio dell’inserimento anche di figure artigianali nei movimenti demici che accompagnarono i processi di incastellamento
è dato dalla nota carta del Chronicon Vulturnense (CV II, pp. 310311), del 989, che cita due figuli, Lando e Domenico, fra i personaggi coinvolti nella formazione del castrum di Cerro al Volturno.
175
COROLLA 2008, pp. 53-54, 137-138.
176
SOGLIANI 2012; le tracce archeologiche suggeriscono che intorno alla fornace si svolgessero diversi passaggi produttivi del
ciclo del vetro.
177
CUTERI 2002b.
178
179
484.
CALABRIA 2003.
Per gli esempi nella Puglia settentrionale vd. FAVIA 2012, p.
180
Nei villaggi della Puglia meridionale, per i quali si è già fatto
cenno a un’attestazione di lavorazione dei metalli nel X secolo (vd.
supra, nota 169), l’attività metallurgica (per ferro e bronzo) pare intensificarsi significativamente nel basso Medioevo, pur rimanendo
confinata in contesti laboratoriali domestici, priva di spazi (e di manufatti) particolarmente specializzati, rispondenti ai bisogni pratici
e primari nel campo dell’edilizia, dell’agricoltura e del trattamento
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO
minori, interne e d’altura, ad alcuni castra, ma coinvolgeva anche borghi rurali emergenti, di peso insediativo
ed economico rilevante; questa dislocazione diffusa ampliò significativamente l’offerta dei contenitori in terracotta, riducendo gli areali distributivi, ma accompagnando
la diffusione dell’innovazione tecnologica materializzata
dai contenitori rivestiti da invetriature al piombo e allo
stagno e dipinti, promuovendo il loro consumo. Le tracce
di bassoforni, le scorie di attività di forgiatura o rifinitura si abbinano a una certa diffusione degli oggetti in
ferro e leghe di rame, usati come accessori dell’abbigliamento o di ornamento 181, testimoniando dunque una
buona penetrazione territoriale di questa categoria funzionale di manufatti, che entrò a far parte dei corredi personali e familiari. Sporadiche sono le attestazioni dei
metalli preziosi nei contesti rurali e demici secondari; le
oreficerie, e in generale i prodotti di pregio, paiono rimanere, anche nel Medioevo avanzato, prerogativa di officine selezionate, generalmente urbane, destinati
ovviamente a una committenza di rango, anch’essa prevalentemente cittadina; l’introduzione di manufatti di
qualità ricercata negli insediamenti castrali o agricoli 182
avveniva dunque mediante acquisto nei luoghi di produzione o forse attraverso l’operato di artigiani itineranti 183.
543
In sede di introduzione a questa panoramica sugli
aspetti archeologici inerenti le principali direttrici delle
culture materiali e dei cicli produttivi nel Mezzogiorno
medievale (pur realisticamente priva di ambizioni di
esaustività) avevamo fatto cenno alla possibilità di cogliere alcuni elementi di fondo condivisi e generali sul
medio periodo. In fase di sintesi conclusiva è opportuno riprendere i fili di queste argomentazioni, enucleando ulteriori temi che si propongono alla discussione,
seppure declinati con variazioni regionali apprezzabili:
una certa prontezza nell’assimilazione e nell’affermazione delle innovazioni tecnologiche 184, un miglioramento delle abilità artigianali 185, in presenza peraltro di
alcuni settori in cui si esprimevano maggiori resistenze
e volontà di conservazione; l’avocazione alla disponibilità demaniale di alcune materie prime e l’affidamento
del loro trattamento a figure od organizzazioni economicamente solide; un progressivo processo verso la
moltiplicazione e la ramificazione degli impianti lavorativi, ubicati all’interno di stanziamenti tipologicamente diversi, con la conseguente formazione di un
paesaggio produttivo connotato piuttosto che da rigide
gerarchie, da una compresenza di siti di diverso statuto
ma parimenti importanti nel quadro dei sistemi manifatturieri.
Questa situazione, non priva di dinamismo, non fu
però immune da sofferenze e disagi legati, per esempio,
al procacciamento delle materie prime (fig. 15) 186, a bilanciamenti non sempre risolti fra domanda e offerta 187,
ad alcune lacune tecnologiche e professionali 188, ai delicati equilibri delle mediazioni commerciali, svolte
spesso da operatori esterni ai territori produttivi 189. Le
fluttuazioni nelle produzioni e negli stessi periodi d’uso
delle pelli, del cuoio e del legno. L’incremento produttivo è stato
peraltro posto in relazione con il passaggio tecnico bassomedievale,
condiviso del resto nell’intera penisola, costituito dalla sostituzione
nelle costruzioni degli incastri in legno con quelli in ferro. Le differenze quantitative e, in certa misura, qualitative dei reperti fra diversi villaggi vengono inoltre utilizzate ai fini di una valutazione di
un variegato quadro socio-economico fra i vari poli demici. Un documento del 1182 cita nella lista dei capofamiglia di due casali salentini, un magister Leo faber, comprovando la definizione del
profilo di questa figura professionale anche in ambito rurale, forse
a servizio di più poli demici (sull’insieme di questi temi vd. ARTHUR, PIEPOLI 2011); la diffusione della presenza territoriale dei fabbri è riscontrabile anche in Campania (COROLLA 2008, p. 138). In
Calabria si verificò il caso di addetti al comparto metallurgico sottoposti alla diretta giurisdizione degli imprenditori privati da cui dipendevano (PETRALIA 1993, p. 315).
181
A questo proposito si veda l’analisi delle necropoli dei villaggi salentini in LAPADULA 2003.
182
Nel villaggio abbandonato di Motta S. Demetrio è stato rinvenuto un crogiolo in bronzo del XIV secolo, forse indizio della presenza di un orafo itinerante (CUTERI 2009, pp. 651-652, fig, 1, n. 6).
Il martelletto ritrovato a Mercato S. Severino, pur interpretabile come
strumento per lavorazione di diversi materiali, non esclude del tutto
un uso per la cesellatura di metalli pregiati (COROLLA 2008, p. 138).
Vd. supra, note 154, 180, 182.
Nelle elaborazioni tecniche in tema di rivestimento e decorazione delle ceramiche, come noto, il contributo di culture allogene
fu assai rilevante.
185
Un manufatto esemplare degli sforzi di miglioramento e affinamento tecnologico può essere individuato nella campana, oggetto di cui si riscontrano tracce di fabbricazione in numerose chiese
di ambito urbano, castrense e rurale.
186
Per il ferro e il legno, l’Italia meridionale si trovò ad essere
dipendente da altri bacini territoriale.
187
I grandi cantieri edili di età svevo-angioina, ad esempio, da
un lato costituiscono esempio di un’articolata e complessa organizzazione della produzione e del lavoro, dall’altro tradiscono problemi sui ritmi di attuazione progettuale, sui tempi, i luoghi di
approvvigionamento e la disponibilità dei materiali e sull’assoldamento delle maestranze (su questi temi si veda MANGIALARDI 2012).
188
Un esempio in questo senso proviene dalle officine statali messinesi di armi che lamentavano, per alcuni passaggi del ciclo di lavorazione, l’assenza di adeguate figure professionali in loco (PORSIA
1989, p. 262).
189
Si ribadisce l’importanza delle fiere nell’economia di scambio del Mezzogiorno medievale.
Lineamenti e problemi di ricerca su produzione e lavori nel Mezzogiorno medievale
183
184
544
PASQUALE FAVIA, ROBERTA GIULIANI, MARIA TURCHIANO
Fig. 15. - Lucera, fortezza. Carta dei flussi di approvvigionamento
dei materiali per il cantiere edile (da Mangialardi 2012).
delle officine o i casi di cessazione di attività costituiscono testimonianza archeologica talora di fisiologiche
oscillazioni economiche, ma spesso di gravi difficoltà
che trovano, per esempio, eco nelle fonti documentarie
riguardo ad alcune tendenze monopolistiche o accentratici del potere regio: si può citare esemplificativamente,
a tal proposito, una serie di provvedimenti di età sveva
quali l’adozione del monopolio regio sulle sete, sul sale
e sul ferro (l’applicazione dello ius ferri causò non trascurabili aumenti dei costi degli attrezzi metallici) e
l’emanazione dell’Edictum contra communia civium et
societates artificum, misura di evidente contrasto verso
l’autonomia produttiva delle comunità del Mezzogiorno 190, specchio di nodi sempre presenti nel mondo
produttivo medievale dell’Italia del Sud.
(P.F.)
Bibliografia
AIECM2 VI = G. DÉMIANS D’ARCHIMBAUD (a cura di), La
céramique médiévale en Méditerranée. Actes du VIe Congrès de l’AIECM2 (Aix-en-Provence, 1995), Aix-en-Provence 1997.
190
261.
Anche per queste misure si rimanda a PORSIA 1989, pp. 260-
AISA, CRISTIANO, RUGA et alii 2010 = M.G. AISA, F. CRISTIANO, A. RUGA, F.A. CUTERI, Un’area artigianale extra
moenia a Crotone tra XIII e XIV secolo. Il cantiere del
teatro comunale, in Atti Albisola XLII, pp. 243-249.
ALBARELLA, ARTHUR, WAYMAN 1989 = U. ALBARELLA, P. ARTHUR, M. WYMAN, An Early Medieval lowland site at loc.
Arivito, near Mondragone (Caserta), in AMediev, XVI,
1989, pp. 583-612.
ARCIFA 2009 = L. ARCIFA, La città nel Medioevo: sviluppo
urbano e dominio territoriale, in L. SCALISI (a cura di),
Catania. L’identità urbana dall’Antichità al Settecento,
Catania 2009, pp. 73-111.
ARDIZZONE 2010 = F. ARDIZZONE, Le produzioni medievali
di Agrigento alla luce delle recenti indagini nella Valle
dei Templi, in Atti Albisola XLII, pp. 275-285.
ARSLAN 1999 = E.A. ARSLAN, Il territorio del Bruzio nel IVV secolo (Il paesaggio rurale), in L’Italia meridionale,
pp. 391-429.
ARTHUR 1987 = P. ARTHUR, Produzione ceramica e agro Falerno, in G. GUADAGNO (a cura di), Storia, economia ed
architettura nell’ager Falernus, Minturno 1987, pp. 5968.
ARTHUR 1993 = P. ARTHUR, Early Medieval amphorae, the
duchy of Naples and the food supply of Rome, in BSR,
LXI, 1993, pp. 231-244.
ARTHUR 1994 = P. ARTHUR (a cura di), Il complesso archeologico di Carminiello ai Mannesi, Napoli (Scavi 19831984), Galatina 1994.
ARTHUR 1998 = P. ARTHUR, Local pottery in Naples and northern Campania in the sixth and seventh centuries, in
SAGUÌ 1998, pp. 491-510.
ARTHUR 2000 = P. ARTHUR, Macine intorno al Mille: aspetti
del commercio dalla Grecia e dalla Sicilia in età medievale, in G.P. BROGIOLO (a cura di), Atti II Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Brescia, 28 settembre-1
ottobre 2000), Firenze 2000, pp. 485-489.
ARTHUR 2002 = P. ARTHUR, Naples, from Roman Town to CityState: an Archaeological perspective, London 2002.
ARTHUR 2004 = P. ARTHUR, Ceramica in Terra d’Otranto tra
VIII e XI sec., in PATITUCCI UGGERI 2004, pp. 313-326.
ARTHUR 2006 = P. ARTHUR, Economic expansion in Byzantine Apulia, in A. JACOB, J.-M. MARTIN, GH. NOYÉ (a cura
di), Histoire et culture dans l’Italie byzantine, Roma 2006,
pp. 388-405.
ARTHUR 2007 = P. ARTHUR, Pots and boundaries. On cultural and economic areas between Late Antiquity and the
Early Middle Ages, in LRCW 2, pp. 15-28.
ARTHUR 2010 = P. ARTHUR, Riflessioni intorno alla produzione e circolazione delle ceramiche nel basso Adriatico,
in LRCW 3, pp. 79-88.
ARTHUR 2012 = P. ARTHUR, From Italy to the Aegean and
back – notes on the archaeology of Byzantine maritime
trade, in GELICHI, HODGES 2012, pp. 337-351.
ARTHUR, CAGGIA, CIONGOLI et alii 1992 = P. ARTHUR, M.P.
CAGGIA, G.P. CIONGOLI, V. MELISSANO, H. PATTERSON, P.
ROBERTS, Fornaci altomedievali ad Otranto. Nota preliminare, in AMediev, XIX, 1992, pp. 91-122.
ARTHUR, DE MITRI, LAPADULA 2007 = P. ARTHUR, C. DE
MITRI, E. LAPADULA, Nuovi appunti sulla circolazione
della ceramica nella Puglia meridionale tra Tarda Antichità ed Altomedioevo, in GELICHI, NEGRELLI 2007, pp.
331-351.
ARTHUR, GLIOZZO 2005 = P. ARTHUR, E. GLIOZZO, An ar-
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO
cheometallurgic study of Byzantine and medieval metallic slags from Southern Apulia, in AMediev, XXXII, 2005,
pp. 377-388.
ARTHUR, PATTERSON 1994 = P. ARTHUR, H. PATTERSON, Ceramics and early Medieval central and southern Italy: “a
potted history”, in FRANCOVICH, NOYÉ 1994, pp. 409-441.
ARTHUR, PATTERSON 1998 = P. ARTHUR, H. PATTERSON, Local
pottery in the southern Puglia in the sixth and seventh
centuries, in SAGUÌ 1998, pp. 511-530.
ARTHUR, PIEPOLI 2011 = P. ARTHUR, L. PIEPOLI, L’archeologia del metallo in Terra d’Otranto nel Medioevo, in C.
GIARDINO (a cura di), Archeometallurgia: dalla conoscenza alla fruizione. Atti del Workshop (Lecce, 2006),
Bari 2011, pp. 244-250.
Atti Albisola XLII = Fornaci. Tecnologie e produzioni della
ceramica in età medievale e moderna, Atti del XLII convegno Internazionale della Ceramica (Savona, 2009), Albisola-Borgo San Lorenzo 2010.
AUGENTI 2006 = A. AUGENTI (a cura di), Le città italiane tra
la tarda Antichità e l’alto Medioevo. Atti del convegno
(Ravenna, 2004), Firenze 2006.
BALDASARRE 2009 = G. BALDASARRE, Produzione ed impiego
del laterizio nella Puglia centro-settentrionale e nella Lucania nord-orientale fra Tarda Antichità e Medioevo, in
AArchit, XII, 2009, pp. 57-75.
BERNAL CASASOLA 2010 = D. BERNAL CASASOLA, Iglesia, producción y comercio en el Mediterráneo tardoantiguo. De
las ánforas a los talleres eclesiásticos, in LRCW 3, pp.
19-31.
BERTELLI, ROUBIS 2002 = G. BERTELLI, D. ROUBIS (a cura di),
Torre di Mare I. Ricerche archeologiche nell’insediamento medievale di Metaponto (1995-1999), Bari 2002.
BONACASA CARRA, VITALE 2007 = R.M. BONACASA CARRA,
E. VITALE (a cura di), La cristianizzazione in Italia fra
Tardoantico e Altomedioevo. Atti del IX Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana (Agrigento, 2004), I-II,
Palermo 2007.
BRACCIO 1996 = B. BRACCIO, Brindisi. 2. S. Giovanni al Sepolcro, in Taras, XVI, 1, 1996, pp. 60-62.
BROGIOLO 2011= G.P. BROGIOLO, Le origini della città medievale, Mantova 2011.
BRUNO 2003 = G.A. BRUNO, Contrada Crivo di Parghelia
(VV): indizi di produzione vetraria, in A. COSCARELLA (a
cura di), Il vetro in Calabria. Contributo per una carta
di distribuzione in Italia, Soveria Mannelli 2003, pp. 259292.
CALABRIA 2003 = C. CALABRIA, Strutture produttive nel castello di Amendolea a Condofuri (RC): attività siderurgiche nell’ambiente R, in FIORILLO, PEDUTO 2003, II, pp.
678-681.
CARSANA, SCARPATI 1998 = V. CARSANA, C. SCARPATI, La ceramica, in LUPIA 1998a, pp. 119-203.
CAMARDO, ROSSI 2005 = D. CAMARDO, A. ROSSI, Suessula:
trasformazione e fine di una città, in VITOLO 2005, pp.
167-192.
CAMMAS, CHAMPAGNE, DAVID et alii 1995 = C. CAMMAS, F.
CHAMPAGNE, C. DAVID, L. DESACHY GUYARD, Le problème
des «terres noires» sur les sites urbains tardo-antiques et
médiévaux: réflexions et propositions méthodologiques à
partir de l’exemple des fouilles du Collège de France à
Paris, in Les Nouvelles de l’Archéologie, 61, 1995, pp.
22-29.
CAPELLI 1998 = C. CAPELLI, Il contributo delle analisi mi-
545
nero-petrografiche allo studio delle anfore Keay LII, in
SAGUÌ 1998, pp. 335-342.
CARACUTA 2011 = V. CARACUTA, Ambiente naturale e strategie agroalimentari in Puglia settentrionale tra tardo antico e alto medioevo: l’esempio di Faragola (FG), in
PCA-post classical archaelogies, 1, 2011, pp. 275-295.
CARDONE, DE VENUTO, GIULIANI 2012 = A. CARDONE, G. DE
VENUTO, R. GIULIANI, Faragola (Ascoli Satriano, FG):
nuovi dati per la conoscenza dell’edilizia abitativa delle
campagne altomedievali dell’Italia meridionale, in REDI,
FORGIONE 2012, pp. 140-144.
CARSANA, D’AMICO, DEL VECCHIO 2007 = V. CARSANA, V.
D’AMICO, F. DEL VECCHIO, Nuovi dati ceramologici per
la storia economica di Napoli tra tarda antichità ed altomedioevo, in LRCW 2, pp. 423-437.
CARSANA, SCARPATI 1998 = V. CARSANA, C. SCARPATI, La ceramica, in LUPIA 1998a, pp. 119-203.
CASSANO 2007 = R. CASSANO, Egnazia al tempo della diocesi, in BONACASA CARRA, VITALE 2007, II, pp. 1259-1282.
CASSANO, DE FILIPPIS 2010 = R. CASSANO, M.D. DE FILIPPIS, Strutture artigianali e produzioni ceramiche ad Egnazia (BR, Italia), in Rei Cretariae Romanae Fautorum
acta, 41, 2010, pp. 123-139.
CASSIOD. VAR. = TH. MOMMSEN, Cassiodori Senatoris Variae,
MGH, AA, 12, Berolini 1961 (ed. nova) (= 1894).
CASTRORAO BARBA 2014 = A. CASTRORAO BARBA, Continuità
topografica in discontinuità funzionale: trasformazioni e
riusi delle ville romane in Italia tra III e VIII secolo, in
PCA-post classical archaelogies, 4, 2014, pp. 259-295.
CDSL = P. EGIDI (a cura di), Codice Diplomatico dei Saraceni di Lucera, Napoli 1917.
CLEMENTE 2012 = G. CLEMENTE, Archeologia mineraria nella
Calabria meridionale tra Medioevo ed Età Contemporanea, in REDI, FORGIONE 2012, pp. 666-671.
COROLLA 2008 = A. COROLLA, La terra dei Sanseverino: i
castelli e l’organizzazione militare, insediativa ed economica del territorio, in P. PEDUTO (a cura di), Mercato
San Severino nel Medioevo. Il castello e il suo territorio,
Firenze 2008, pp. 33-142.
COROLLA, PEDUTO 2012 = A. COROLLA, P. PEDUTO, Aspetti
dell’insediamento tra il Tardoantico e l’Altomedioevo nel
territorio del gastaldato di Rota nei dintorni di Salerno,
in REDI, FORGIONE 2012, pp. 528-532.
CORRADO 2012 = M. CORRADO, Le cattedrali bizantine della
provincia ecclesiastica di Santa Severina (KR) e il problema dei campi di rovine statali nell’Altomedioevo calabrese, in REDI, FORGIONE 2012, pp. 149-153.
CORTESE 1997 = M.E. CORTESE, L’acqua, il grano, il ferro.
Opifici idraulici medievali nel bacino Farma-Merse, Firenze 1997.
COSENTINO 2000 = S. COSENTINO (a cura di), Prosopografia
dell’Italia Bizantina (493-804), II, Bologna 2000.
COSENTINO 2012 = S. COSENTINO, Ricchezza e investimento
della chiesa di Ravenna tra la tarda antichità e l’alto medioevo, in GELICHI, HODGES 2012, pp. 417-439.
COSTAMAGNA 1991 = L. COSTAMAGNA, La sinagoga di Bova
Marina nel quadro degli insediamenti tardoantichi della
costa ionica meridionale della Calabria, in La Calabre
de la fin de l’Antiquité au Moyen Age. Actes de la Table
ronde (Roma, 1989), in MEFRM, 103, 2, 1991, pp. 611630.
CRESCI, QIROGA, BRANDT et alii 2013 = S. CRESCI, J.L. QIROGA, O. BRANDT, C. PAPPALARDO (a cura di), Episcopus,
546
PASQUALE FAVIA, ROBERTA GIULIANI, MARIA TURCHIANO
Civitas, Territorium. Atti del XV Congresso Internazionale
di Archeologia Cristiana (Toledo, 2008), Città del Vaticano 2013.
CUTERI 2002a = F.A. CUTERI, Cenni sulla produzione di ferro
tra Calabria e Basilicata, in BERTELLI, ROUBIS 2002, pp.
291-294.
CUTERI 2002b = F.A. CUTERI, Resti di attività siderurgica a
Torre di mare. Analisi di alcuni reperti metallurgici dall’area delle strutture abitative (saggi I-II e III), in BERTELLI, ROUBIS 2002, pp. 285-290.
CUTERI 2006 = F.A. CUTERI, L’attività metallurgica di età normanna in Calabria. Le testimonianze archeologiche, in
FRANCOVICH, VALENTI 2006, pp. 415-419.
CUTERI 2009 = F.A. CUTERI, La metallurgia dell’età medievale in Calabria. Nuovi dati archeologici, in VOLPE, FAVIA
2009, pp. 651-655.
CUTERI, CORRADO, IANNELLI et alii 2007 = F.A. CUTERI, M.
CORRADO, M.T. IANNELLI, M. PAOLETTI, P. SALAMIDA,
A.B. SANGINETO, La Calabria fra Tarda Antichità ed Alto
Medioevo attraverso le indagini nei territori di Vibona
Valentia, della Massa Nicoterana, di Stilida-Stilo: ceramiche, commerci, strutture, in LRCW 4, pp. 461-476.
CUTERI, IANNELLI, VIVACQUA et alii 2014 = F.A. CUTERI, M.T.
IANNELLI, P. VIVACQUA, T. CAFARO, Da Vibo Valentia a
Nicotera. La ceramica tardo romana nella Calabria tirrenica, in LRCW 4, pp. 63-79.
CV = V. FEDERICI (a cura di), Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, I-III, Roma 1925-1938.
D’ANGELO 2005 = F. D’ANGELO, Lo scarico di fornaci di ceramiche della fine dell’XI secolo-inizi del XII nel Palazzo
Lungarni di Palermo, in AMediev, XXXII, 2005, pp. 389400.
D’ANGELO, MARAZZI 2006 = F. D’ANGELO, F. MARAZZI,
«Artes diversas intra monasterio exerceantur» (RB CAP.
LXVI). Riflessioni sulla gestione del ciclo produttivo del
vetro a San Vincenzo al Volturno nel IX secolo, in FRANCOVICH, VALENTI 2006, pp. 447-454.
DATTOLO 2008 = A. DATTOLO, Il riuso dell’anfiteatro di Herdonia nel contesto dell’Italia meridionale. Una rilettura
dopo quarant’anni, in VOLPE, LEONE 2008, pp. 463-537.
DE FRANCESCO, SCARPELLI, DEL VECCHIO et alii 2014 = A.M.
DE FRANCESCO, R. SCARPELLI, F. DEL VECCHIO, D. GIAMPAOLA, Analysis of early Medieval Glass from Excavations
at ‘Piazza Bovio’, Naples (Italy), in Archaeometry, 56, 1,
2014, pp. 137-147.
DEL VECCHIO 2010 = F. DEL VECCHIO, I vetri: il ciclo della
produzione e i manufatti, in GIAMPAOLA 2010, pp. 81-89.
DE ROSSI 2004 = G. DE ROSSI, La fornace di Misenum (Napoli) ed i suoi prodotti ceramici: caratteri e diffusione,
in PATITUCCI UGGERI 2004, pp. 253-264.
DE ROSSI 2005 = G. DE ROSSI, Indicatori archeologici della
produzione e diffusione del vino della Baia di Napoli in
età altomedievale, in VOLPE, TURCHIANO 2005, pp. 541549.
DE ROSSI, DI GIOVANNI, MINIERO et alii 2010 = G. DE ROSSI,
V. DI GIOVANNI, P. MINIERO, S. SALMIERI, G. SORICELLI,
Il porto di Miseno (Campania-Italia) in età tardoantica:
analisi dei contesti ceramici, in LRCW 3, pp. 487-495.
DE STEFANO, GIULIANI, LEONE 2007 = A. DE STEFANO, R. GIULIANI, D. LEONE, Indagini archeologiche nel sito di San
Pietro a Canosa (scavi 2005), in L. BERTOLDI LENOCI (a
cura di), Canosa. Ricerche storiche 2006. Atti del conve-
gno di studio (Canosa, 2006), Martina Franca (TA) 2007,
pp. 35-63.
DI GANGI, LEBOLE 1997 = G. DI GANGI, C.M. LEBOLE, Anfore, ceramica d’uso comune e ceramica rivestita tra VI
e XIV secolo in Calabria: prima classificazione ed osservazioni sulla distribuzione e la circolazione dei manufatti, in AIECM2 VI, pp. 153-166.
DI GANGI, LEBOLE 1998 = G. DI GANGI, C.M. LEBOLE, Anfore Keay LII ed altri materiali ceramici da contesti di
scavo della Calabria centro-meridionale (V-VII secolo),
in SAGUÌ 1998, pp. 761-768.
DI GIUSEPPE 1996 = H. DI GIUSEPPE, Insediamenti rurali
della Basilicata interna tra la romanizzazione e l’età tardoantica: materiali per una tipologia, in M. PANI (a cura
di), Epigrafia e territorio. Politica e società. Temi di antichità romane, IV, Bari 1996, pp. 189-252.
DI GIUSEPPE 1998 = H. DI GIUSEPPE, La fornace di Calle di
Tricarico: produzione e diffusione, in SAGUÌ 1998, pp. 735752.
DI GIUSEPPE 2010 = H. DI GIUSEPPE, Produrre in villa. Complessi artigianali di epoca imperiale nella Lucania nordorientale, in Rei Cretariae Romanae Fautorum acta, 41,
2010, pp. 173-180.
DI GIUSEPPE, CAPELLI 2005 = H. DI GIUSEPPE, C. CAPELLI,
Produzioni urbane e rurali di ceramica comune dipinta
nella Lucania tardoantica e alto-medievale, in J.M. GURT
I ESPARRAGUERA, J. BRUXEDA I GARIGOS, M.A. CAU ONTIVEROS (a cura di), LRCW 1, Late Roman Coarse Wares,
Cooking Wares and Amphorae in the Mediterranean: Archaology and Archaeometry, Oxford 2005, pp. 395-411.
DI MURO 1996 = A. DI MURO, La cultura artistica della Langobardia Minor nell’VIII secolo e la decorazione pavimentale e parietale della cappella palatina di Arechi II
a Salerno, Napoli 1996.
ERAMO, GIANNOSSA, ROCCO et alii 2014 = G. ERAMO, L.C.
GIANNOSSA, A. ROCCO, A. MANGONE, S.F. GRAZIANO, R.
LAVIANO, Oil lamps from the Catacombs of Canosa (Apulia, Fourth to Sixth centuries AD): technological features
and typological imitation, in Archaeometry, 56, 3, 2014,
pp. 375-391.
FAVIA 2012 = P. FAVIA, Produzioni e consumi ceramici nei
contesti insediativi della Capitanata Medievale, in GELICHI 2012, pp. 480-486.
FEBBRARO 2010 = S. FEBBRARO, Il quartiere artigianale e la
necropoli, in GIAMPAOLA 2010, pp. 57-60.
FERRAIUOLO 2012 = D. FERRAIUOLO, Alcune considerazioni
sulle tecniche di lavorazione epigrafica a San Vincenzo
al Volturno (Is) nei secoli VIII e IX, in REDI, FORGIONE
2012, pp. 630-633.
FIORI, VANDINI, MACCHIAROLA 1998 = C. FIORI, M. VANDINI,
M. MACCHIAROLA, Le analisi archeometriche di un campione di tessere musive vitree, in G. VOLPE (a cura di),
San Giusto. La villa, le ecclesiae, Bari 1998, pp. 177-183.
FIORIELLO 2012 = C.S. FIORIELLO, Repertorio morfologico e
iconografico delle lucerne tardoantiche nel contesto dell’Apulia: casi di studio, in L. CHRZANOVSKI, Lychnological Acts 3. Actes du 3e Congrès international d’études sur
le luminaire antique (Heildeberg, 2009), Montagnac 2012,
pp. 99-113.
FIORILLA 1990 = S. FIORILLA, Le fornaci di Agrigento, in S.
FIORILLA, S. SCUTO (a cura di), Fornaci, castelli e pozzi
dell’età di mezzo. Primi contributi di archeologia medie-
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO
vale nella Sicilia centro-meridionale (catalogo della mostra - Gela, 1990), Agrigento 1990, pp. 26-49.
FIORILLA 2000 = S. FIORILLA, Laterizi bollati e iscritti in Sicilia, in S. GELICHI, P. NOVARA (a cura di), I laterizi nell’alto Medioevo Italiano, Ravenna 2000, pp. 185-212.
FIORILLO, PEDUTO 2003 = R. FIORILLO, P. PEDUTO (a cura di),
Atti del III Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Salerno, 2003), I-II, Firenze 2003.
FONTANA 1998 = S. FONTANA, Le “imitazioni” della sigillata
africana e le ceramiche da mensa italiche tardo-antiche,
in SAGUÌ 1998, pp. 83-100.
FRACCHIA 2005 = H. FRACCHIA, Il paesaggio rurale dell’Alto
Bradano fra IV e V secolo d.C., in VOLPE, TURCHIANO
2005, pp. 133-144.
FRANCIS, MORAN 1997 = K.D. FRANCIS, M. MORAN, Planning and technology in the early middle ages: the temporary workshops at San Vincenzo al Volturno, in S.
GELICHI (a cura di), Atti del I Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Pisa, 1997), Firenze 1997, pp. 373378.
FRANCO, CAPELLI 2014 = C. FRANCO, C. CAPELLI, New archaeological and archaeometric data on sicilian wine
amphorae in the roman period (1st to 6th century AD). Tipology, origin and distribution in selected western Mediterranean contexts, in ReiCretActa, 43, 2014, pp. 547-555.
FRANCOVICH, FARINELLI 1994 = R. FRANCOVICH, R. FARINELLI, Potere e attività minerarie nella Toscana altomedievale, in FRANCOVICH, NOYÉ 1994, pp. 433-465.
FRANCOVICH, NOYÉ 1994 = R. FRANCOVICH, GH. NOYÉ (a cura
di), La storia dell’Alto Medioevo italiano (VI-X secolo)
alla luce dell’archeologia. Atti del convegno internazionale (Siena, 1992), Firenze 1994.
FRANCOVICH, VALENTI 2006 = R. FRANCOVICH, M. VALENTI
(a cura di), Atti del IV Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Chiusdino-Siena, 2006), Firenze 2006.
GALLONI 1998 = P. GALLONI, Il sacro artefice. Mitologie
degli artigiani medievali, Roma-Bari 1998.
GARCEA 1999 = F. GARCEA, Le produzioni di lucerne fittili
nel golfo di Napoli fra tardoantico ed altomedieovo (IVVIII secolo), in AMediev, XXVI, 1999, pp. 447-461.
GELICHI 2007 = S. GELICHI, Gestione e significato sociale della
produzione, della circolazione e dei consumi della ceramica nell’Italia dell’Alto Medioevo, in G.P. BROGIOLO, A.
CHAVARRÍA ARNAU (a cura di), Archeologia e società tra
Tardo Antico e Alto Medioevo. 12° Seminario sul Tardo
Antico e l’Alto Medioevo (Padova, 2005), Mantova 2007,
pp. 47-69.
GELICHI 2012 = S. GELICHI (a cura di), Atti del IX Congresso
Internazionale sulla Ceramica Medievale nel Mediterraneo (Venezia, 2009), Borgo San Lorenzo 2012.
GELICHI, HODGES 2012 = S. GELICHI, R. HODGES (a cura di),
Da un mare all’altro. Luoghi di scambio nell’Alto Medioevo europeo e mediterraneo. Atti del Seminario Internazionale (Comacchio, 2009), Tournhout 2012.
GELICHI, NEGRELLI 2007 = S. GELICHI, C. NEGRELLI (a cura
di), La circolazione delle ceramiche nell’Adriatico tra
tarda antichità e alto medioevo. III Incontro di Studio
CER.AM.IS, Mantova 2007.
GIALANELLA 1999 = C. GIALANELLA, Una fornace per il vetro
a Puteoli, in PICCIOLI, SOGLIANI 1999, pp. 151-160.
GIAMPAOLA 2010 = D. GIAMPAOLA (a cura di), Napoli, la città
e il mare. Piazza Bovio: tra Romani e Bizantini (Catalogo della mostra, Napoli, 2010), Milano 2010.
547
GIAMPAOLA, CARSANA, FEBBRARO et alii 2005 = D. GIAMPAOLA, V. CARSANA, F. FEBBRARO, B. RONCELLA, Napoli:
trasformazioni edilizie e funzionali della fascia costiera,
in VITOLO 2005, pp. 219-247.
GIANNETTI, GLIOZZO, TURCHIANO 2015 = F. GIANNETTI, E.
GLIOZZO, M. TURCHIANO, I vetri tardoantichi e altomedievali di Herdonia. Produzioni, funzioni e mercati, in P.
Arthur, M. Leo Imperiale (a cura di), Atti del VII Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Lecce, 2015),
2 voll., Firenze 2015, II, pp. 293-298.
GIORGIO, D’ANTUONO 2010 = M. GIORGIO, M. D’ANTUONO,
Le fornaci da ceramica di Ariano Irpino (AV): proposte
di conoscenza e recupero di una tradizione che ha attraversato i secoli, in Atti Albisola XLII, pp. 219-230.
GIULIANI 2010 = R. GIULIANI, Modificazioni dei quadri urbani e formazione di nuovi modelli di edilizia abitativa
nelle città dell’Apulia tardo antica. Il contributo delle tecniche costruttive, in VOLPE, GIULIANI 2010, pp. 129-166.
GIULIANI 2011 = R. GIULIANI, L’edilizia di XI secolo nella
Puglia centro-settentrionale: problemi e prospettive di ricerca alla luce di alcuni casi di studio, in P. FAVIA, G. DE
VENUTO (a cura di), La Capitanata e l’Italia meridionale
nel sec. XI: da Bisanzio ai Normanni. Atti delle II Giornate Medievali di Capitanata (Apricena, 2005), Bari 2011,
pp. 189-232.
GIULIANI 2014 = R. GIULIANI, Edilizia residenziale e spazi
del lavoro e della produzione nelle città di Puglia e Basilicata tra Tardoantico e Altomedieovo: riflessioni a partire da alcuni casi di studio, in PENSABENE, SFAMENI 2014,
pp. 349-366.
GIULIANI, BALDASARRE 2013 = R. GIULIANI, G. BALDASARRE,
I cantieri vescovili come laboratorio di progetti, fra saperi costruttivi tradizionali e nuove pratiche edilizie nell’Apulia tardo antica, in CRESCI, QIROGA, BRANDT et alii
2013, pp. 793-810.
GIULIANI, LEONE, VOLPE 2013 = R. GIULIANI, D. LEONE, G.
VOLPE, Il complesso episcopale di Canosa nell’area di S.
Giovanni dalle origini all’altomedioevo: una rilettura
della topografia cristiana della città alla luce delle più
recenti ricerche archeologiche, in CRESCI, QIROGA,
BRANDT et alii 2013, pp. 1217-1240.
GIULIANI, TURCHIANO 2003 = R. GIULIANI, M. TURCHIANO, I
vetri della Puglia centro-settentrionale tra Tardoantico e
Altomedioevo, in C. PICCIOLI, F. SOGLIANI (a cura di), Il
vetro in Italia meridionale e insulare. Atti del secondo convegno Multidisciplinare (Napoli, 2001), Napoli 2003, pp.
139-159.
GLIOZZO, FORTINA, TURBANTI MEMMI et alii 2005 = E.
GLIOZZO, C. FORTINA, I. TURBANTI MEMMI, M. TURCHIANO, G. VOLPE, Cooking and painted ware from San
Giusto (Lucera, Foggia): the production cycle, from the
supply of raw materials to the commercialisation of products, in Archaeometry, 47, 1, 2005, pp. 13-29.
GLIOZZO, LEONE, ORIGLIA et alii 2010 = E. GLIOZZO, D.
LEONE, F. ORIGLIA, I. TURBANTI MEMMI, G. VOLPE, Archaeometric characterisation of coarse and painted fine
ware from Posta Crusta (Foggia, Italy): technology and
provenance, in Archaeological and Anthropological
Sciences, 2, 2010, pp. 175-189.
GLIOZZO, SANTAGOSTINO BARBONE, D’ACAPITO et alii 2010
= E. GLIOZZO, A. SANTAGOSTINO BARBONE, F. D’ACAPITO,
M. TURCHIANO, I. MEMMI TURBANTI, G. VOLPE, The sectilia panels of Faragaola (Ascoli Satriano, southern Italy):
a multi-analytical study of the green, marbled, blue and
548
PASQUALE FAVIA, ROBERTA GIULIANI, MARIA TURCHIANO
blackish glass slabs, in Archaeometry, 52, 3, 2010, pp.
389-415.
GLIOZZO, SANTAGOSTINO BARBONE, TURCHIANO et alii 2012
= E. GLIOZZO, A. SANTAGOSTINO BARBONE, M. TURCHIANO, I. MEMMI, G. VOLPE, The coloured tesserae decorating the vaults of the Faragola balneum (Ascoli
Satriano, Foggia, Southern Italy), in Archaeometry, 54,
2, 2012, pp. 311-331.
GLIOZZO, TURCHIANO, LOMBARDI et alii 2013 = E. GLIOZZO,
M. TURCHIANO, M. LOMBARDI, I. TURBANTI MEMMI, G.
VOLPE, M.J. BAXTER, North Apulian coarse wares and fine
painted wares: a reappraisal according to new data from
Herdonia and Canusium, in Archaeometry, 55, 3, 2013,
pp. 423-448.
GLIOZZO, SCRIMA, TURCHIANO et alii 2014 = E. GLIOZZO, G.
SCRIMA, M. TURCHIANO, I. TURBANTI MEMMI, The Faragola Ceramic Collection: Ceramic Production, Consumption and Exchange in Seventh-Century Apulia, in
Archaeometry, 56, 2014, pp. 961-986.
GLIOZZO, BALDASARRE, TURCHIANO et alii 2015 = E. GLIOZZO,
G. BALDASARRE, M. TURCHIANO, I. TURBANTI MEMMI,
From the kilns to the fair: producing building materials
at Faragola and Canusium (northern Apulia, Italy), in Archaeological and Anthropological Sciences, on line, 2015.
GOFFREDO, FICCO, COSTANTINO 2013 = R. GOFFREDO, V.
FICCO, C. COSTANTINO, Ville e vici nella valle del Carapelle (Puglia settentrionale). Approcci integrati allo studio dei paesaggi di età romana, in MEFRA on line, 125-1,
2013 (URL: http://mefra.revues.org/1310).
GOFFREDO, MARUOTTI 2012 = R. GOFFREDO, M. MARUOTTI,
Il lavoro per il lavoro: fabbri e officine e cultura materiale nell’insediamento altomedievale di Faragola (Ascoli
Satriano, FG), in REDI, FORGIONE 2012, pp. 656-661.
GREG. Ep. = P. EWALD, L. HARTMANN, Gregorii I Papae registrum epistolarum, I, MGH, Berolini 1957 (= 1899).
GRELLE 1986 = F. GRELLE, Canosa e la Daunia tardoantica,
in VeteraChr, 23, 1986, pp. 379-397.
GRELLE 1994 = F. GRELLE, Patroni ebrei in città tardoantiche, in M. PANI (a cura di), Epigrafia e territorio. Politica e società. Temi di Antichità romane, III, Bari 1994,
pp. 139-158.
GRELLE, VOLPE 1994 = F. GRELLE, G. VOLPE, La geografia
amministrativa ed economica della Puglia tardoantica, in
C. CARLETTI, G. OTRANTO (a cura di), Culto e insediamenti micaelici nell’Italia meridionale fra tarda antichità
e medioevo. Atti del convegno internazionale (Monte Sant’Angelo, 1992), Bari 1994, pp. 15-81.
GRIFA, LANGELLA, MORRA et alii 2009 = C. GRIFA, A. LANGELLA, V. MORRA, P. MUNZI, Ceramica altomedievale dal
castrum di Cuma (Campi Flegrei): aspetti peculiari di una
produzione, in S. GUALTIERI, B. FABBRI, G. BANDINI (a cura
di), Le classi ceramiche. Situazione degli studi. Atti della
10a Giornata di Archeometria della Ceramica (Roma,
2006), Bari 2009, pp. 147-156.
GUALTIERI 2008 = M. GUALTIERI, La villa di Masseria Ciccotti di Oppido Lucano: le fasi edilizie, architettura, mosaici, in RUSSO, DI GIUSEPPE 2008, pp. 265-287.
HODGES, PATTERSON 1986 = R. HODGES, H. PATTERSON, San
Vincenzo al Volturno and the Origin of the Medieval Pottery industry in Italy, in La ceramica medievale nel Mediterraneo occidentale. Atti del III Congresso
Internazionale (Siena-Faenza, 1984), Firenze 1986, pp.
13-26.
IANNELLI, CUTERI 2007 = M.T. IANNELLI, F.A. CUTERI, Il
commercio e la lavorazione del pesce nella Calabria antica e medievale con particolare riferimento alla costa tirrenica, in L. LAGÓSTENA, D. BERNAL, A. ARÉVALO (a cura
di), CETARIAE 2005, Salsas y Salazones de Pescado en
Occidente durante la Antigüedad. Actas del Congreso Internacional (Cádiz, 2005), Oxford 2007, pp. 285-300.
I. S.2 = F. UGHELLI, N. COLETI (a cura di), Italia Sacra, I-X,
Venezia 1717-1722.
LAPADULA 2003 = E. LAPADULA, Oggetti accessori dell’abbigliamento di età bassomedievale in Terra d’Otranto, in
FIORILLO, PEDUTO 2003, I, pp. 147-152.
L’Italia meridionale = L’Italia meridionale in età tardo antica. Atti del XXXVIII convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 1998), Taranto 1999.
LEO IMPERIALE 2003 = M. LEO IMPERIALE, Struttura e tecnologia delle fornaci da vasaio di età bizantina ad Otranto
(Le), in FIORILLO, PEDUTO 2003, II, pp. 674-677.
LEO IMPERIALE 2004 = M. LEO IMPERIALE, Otranto, cantiere
Mitello: un centro produttivo nel Mediterraneo bizantino.
Note attorno ad alcune forme ceramiche di fabbricazione
locale, in PATITUCCI UGGERI 2004, pp. 327-342.
LEONE 2007 = A. LEONE, Changing townscapes in North
Africa from Late Antiquity to the Arab Conquest, Bari
2007.
LP = L. DUCHESNE, Le Liber Pontificalis. Texte, introduction
et commentaire, Paris 1886.
LRCW 2 = M. BONIFAY, J.-CH. TRÉGLIA (a cura di), Late
Roman Coarse Wares, Cooking Wares and Amphorae in
the Mediterranean, I, Oxford 2007.
LRCW 3 = S. MENCHELLI, M. PASQUINUCCI, S. SANTORO, G.
GUIDUCCI (a cura di), Late Roman Coarse Wares, Cooking Wares and Amphorae in the Mediterranean. Archaeology and archaeometry, Comparison between western
and eastern Mediterranean, Oxford 2010.
LRCW 4 = N. POUOLU-PAPADIMITRIOU, E. NODAROU (a cura
di), Late Roman Coarse Wares, Cooking Wares and Amphorae in the Mediterranean. Archaeology and archaeometry, The Mediterranean: a market without frontiers,
Oxford 2014.
LUPIA 1998a= A. LUPIA (a cura di), Testimonianze di epoca
altomedievale a Benevento. Lo scavo del Museo del Sannio, Napoli 1998.
LUPIA 1998b= A. LUPIA, “L’impianto artigianale” e le tracce
di lavorazione del vetro, in LUPIA 1998a, pp. 59-70.
MALPEDE 1999 = V. MALPEDE, Un’officina vetraria di V sec.
d.C. a Pontecagnano (Salerno), in PICCIOLI, SOGLIANI
1999, pp. 45-50.
MALPEDE 2005 = V. MALPEDE, Cuma: continuità e trasformazioni in età tardoantica, in VITOLO 2005, pp. 193-218.
MANACORDA 2000 = D. MANACORDA, I diversi significati dei
bolli laterizi. Appunti e riflessioni, in P. BOUCHERON, H.
BROISE, Y. THÉBERT (a cura di), La brique antique et médiévale. Production et commercialisation d’un matériau.
Actes du colloque (Saint-Cloud, 1995), Parigi-Roma 2000,
pp. 127-159.
MANGIALARDI 2012 = N.M. MANGIALARDI, La fortezza di Lucera: un cantiere tra Svevi e Angioini, attraverso un sistema integrato di fonti. Il contributo archeologico delle
“fonti indirette”, in P. FAVIA, H. HOUBEN, K. TOOMASPOEG (a cura di), Federico II e i Cavalieri Teutonici in
Capitanata. Recenti ricerche storiche e archeologiche. Atti
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO
del convegno internazionale (Foggia-Lucera-Pietramontecorvino, 2009), Galatina 2012, pp. 447-500.
MANGONE, GIANNOSSA, LAVIANO et alii 2009 = A. MANGONE,
L.C. GIANNOSSA, R. LAVIANO, C.S. FIORIELLO, A. TRAINI,
Investigations by various analytical techniques to the correct classification of archaeological finds and delineation
of technological features Late Roman lamps of Egnatia:
from imports to local production, in Microchemical Journal, 91, 2009, pp. 214-221.
MARAZZI 1991 = F. MARAZZI, Il conflitto tra Leone III l’Isaurico e il papato tra il 725 e il 733 e il “definitivo” inizio
del Medioevo a Roma: un’ipotesi in discussione, in BSR,
LVIX, 1991, pp. 231-257.
MARAZZI 2008 = F. MARAZZI, San Vincenzo al Volturno.
L’impianto architettonico fra VIII e XI secolo, alla luce
dei nuovi scavi della basilica maior, in F. DE RUBEIS, F.
MARAZZI (a cura di), Monasteri in Europa occidentale (secoli VIII-XI): topografia e strutture, Roma 2008, pp. 323390.
MARAZZI, DI COSMO, FRISETTI 2012 = F. MARAZZI, L. DI
COSMO, A. FRISETTI, Un villaggio di capanne?. L’insediamento di Rupe Canina (CE) prima dei Normanni.
Nuove riflessoni e problematiche da un sito d’altura nella
“Langobardia Minor”, in REDI, FORGIONE 2012, pp. 354359.
MARAZZI, DI COSMO, SALAMIDA et alii 2010 = F. MARAZZI,
L. DI COSMO, P. SALAMIDA, E.A. STANCO, G. TROJSI, Alife
(Campania-Italia): nota sulla circolazione di ceramica comune, ceramica da cucina e anfore in una città del Sud
tra Tardoantico e Altomedioevo, in LRCW 3, pp. 497-506.
MARAZZI, FRANCIS 1996 = F. MARAZZI, K.D. FRANCIS, L’eredità dell’antico. Tecnologia e produzione in un monastero
imperiale carolingio: San Vincenzo al Volturno, in M.
KHANOUSSI, P. RUGGERI, C. VISMARA (a cura di), L’Africa
Romana. Atti dell’XI convegno di studio (Cartagine,
1994), Sassari-Ozieri 1996, pp. 1023-1045.
MARAZZI, D’ANGELO 2006 = F. MARAZZI, F. D’ANGELO, “Artes
diversas intra monasterio exerceantur” (RB Cap. LXVI).
Riflessioni sulla gestione del ciclo produttivo del vetro a
San Vincenzo al Volturno nel IX secolo, in FRANCOVICH,
VALENTI 2006, pp. 447-454.
MARCHI 2002 = M.L. MARCHI, Venosa: un quartiere di fornaci di età imperiale sotto la chiesa della SS. Trinità, in
VeteraChr, 39, 2002, pp. 375-397.
MARCHI 2010 = M.L. MARCHI, Venosa. Nuovi dati sulla frequentazione tardoantica dell’area della SS. Trinità a Venosa, in VOLPE, GIULIANI 2010, pp. 201-218.
MARTIN 1993 = J.-M. MARTIN, La Pouille du VIe au XIIe siècle, Rome 1993.
MASTROCINQUE 2014 = G. MASTROCINQUE, Spazio residenziale e spazio produttivo ad Egnazia (Fasano-BR) in età
tardoantica, in PENSABENE, SFAMENI 2014, pp. 415-426.
MCKORMICK 2001 = M. MCKORMICK, Origins of the European Economy. Communications and commerce, AD 300900, Cambridge 2001.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004 = R. MENEGHINI,
R. SANTANGELI VALENZANI, Roma nell’Altomedioevo. Topografia e urbanistica della città dal V al X secolo, Roma
2004.
MOLINARI 1997 = A. MOLINARI, Momenti di cambiamento
nelle produzioni ceramiche siciliane, in AIECM2 VI, pp.
375-382.
MOLINARI 2003 = A. MOLINARI, La ceramica medievale in
549
Italia ed il suo possibile utilizzo per lo studio della storia economia, in AMediev, XXX, 2003, pp. 519-528.
MUNRO 2010 = B. MUNRO, Recycling in late Roman villas in
southern Italy: Reappraising hearths and kiln in final occupation phases, in Mouseion, series III, 10, 2010, pp.
217-242.
MUNRO 2012 = B. MUNRO, Recycling, demand for materials,
and landownership at villas in Italy and the western provinces in late antiquity, in JRA, 25, 2012, pp. 351-370.
NOYÉ 1994 = GH. NOYÉ, Villes, économie et societé dans la
province de Bruttium-Lucanie du IVe au VIIe siècle, in
FRANCOVICH, NOYÉ 1994, pp. 693-734.
NOYÉ 2000 = GH. NOYÉ, I centri del Bruzio dal IV al VI sec.,
in L’Italia meridionale, pp. 431-470.
NOYÉ 2006 = GH. NOYÉ, Le città calabresi dal IV al VII secolo, in AUGENTI 2006, pp. 477-517.
PACETTI 1998 = F. PACETTI, La questione delle Keay LII nell’ambito della produzione anforica in Italia, in SAGUÌ
1998, pp. 185-208.
PANELLA 1993 = C. PANELLA, Merci e scambi nel Mediterraneo tardoantico, in A. CARANDINI, L. CRACCO RUGGINI,
A. GIARDINA (a cura di), Storia di Roma. 3.2. L’età tardoantica. I luoghi e le culture, Torino 1993, pp. 613-697.
PATITUCCI UGGERI 1985 = S. PATITUCCI UGGERI, La protomaiolica del Mediterraneo orientale in rapporto ai centri di produzione italiani, in XXXII CARB. Seminario
Internazionale di studi su Cipro e il Mediterraneo orientale (Ravenna, 1985), Ravenna 1985, pp. 377-402.
PATITUCCI UGGERI 2004 = S. PATITUCCI UGGERI (a cura di),
La ceramica altomedievale in Italia, Firenze 2004.
PEDUTO 1982 = P. PEDUTO, Nascita di un mestiere. Lapicidi,
ingegneri, architetti di Cava dei Tirreni (secc. XI-XVI),
Cava dei Tirreni 1982.
PEDUTO 1999 = P. PEDUTO, L’Italia meridionale: dalla crisi
del III sec. d.C. alla guerra greco-gotica. Forme d’uso
del territorio, in L’Italia meridionale, pp. 201-221.
PEDUTO 2006 = P. PEDUTO, Salerno nell’alto Medioevo, in
AUGENTI 2006 pp. 335-344.
PENSABENE, SFAMENI 2014 = P. PENSABENE, C. SFAMENI (a
cura di), La villa restaurata e i nuovi studi sull’edilizia
residenziale tardoantica. Atti del convegno internazionale del Centro Interuniversitario di Studi sull’Edilizia
abitativa tardoantica nel Mediterraneo (CISEM) (Piazza
Armerina, 2012), Bari 2014.
PESCATORI 2005 = G. PESCATORI, Città e centri demici
dell’Hirpinia: Abellinum, Aeclanum, Aequum Tuticum,
Compsa, in VITOLO 2005, pp. 283-312.
PETACCO, RESCIGNO 2005 = L. PETACCO, C. RESCIGNO, Calatia: città e territorio tra crisi e trasformazione, in VITOLO
2005, pp. 131-166.
PETRALIA 1993 = G. PETRALIA, Calabria medievale e operatori mercantili toscani: un problema di fonti?, in Mestieri,
lavoro e professioni nella Calabria medievale: tecniche,
organizzazioni, linguaggi. Atti dell’VIII Congresso Storico Calabrese (Palmi-Reggio Calabria, 1987), Soveria
Mannelli 1993, pp. 239-325.
PICCIOLI, SOGLIANI 1999 = C. PICCIOLI, F. SOGLIANI (a cura
di), Il vetro in Italia meridionale e insulare. Atti del primo
convegno Multidisciplinare (Napoli, 1998), Napoli 1999.
PLRE = J.R. MARTINDALE, The Prosopography of the Later
Roman Empire, III, A.D. 527-641, Cambridge 1992.
PORSIA 1989 = F. PORSIA, Miniere e minerali, in G. MUSCA
550
PASQUALE FAVIA, ROBERTA GIULIANI, MARIA TURCHIANO
(a cura di), Uomo e ambiente nel Mezzogiorno normannosvevo. Atti delle ottave giornate normanno-sveve (Bari,
1987), Bari 1989, pp. 241-271.
RACHELI 1991 = A. RACHELI, Osservazioni su alcune classi
di materiali rinvenuti in territorio calabrese, in MEFRM,
103, 2, 1991, pp. 709-729.
RAIMONDO 1998 = C. RAIMONDO, La ceramica comune del
Bruttium nel VI-VII secolo, in SAGUÌ 1998, pp. 531-548.
RAIMONDO 2006 = C. RAIMONDO, Le città dei Bruttii tra
tarda Antichità e Altomedioevo: nuove osservazioni sulla
base delle fonti archeologiche, in AUGENTI 2006, pp. 519558.
REDI, FORGIONE 2012 = F. REDI, A. FORGIONE (a cura di), Atti
del VI Congresso Nazionale di Archeologia Medievale
(L’Aquila, 2012), Firenze 2012.
RIAVEZ 2012 = P. RIAVEZ, Ceramica e commerci nel Mediterraneo bassomedievale. Le esportazioni italiane, in GELICHI 2012, pp. 105-111.
RINALDI, ALFANO, SCHIAVO et alii 2007 = M. RINALDI, D. ALFANO, S. SCHIAVO, C. SCARABINO, Ceramiche comuni dall’antica Volcei: analisi morfologiche ed archeometriche,
in LRCW 2, pp. 451-460.
ROTILI 1986 = M. ROTILI, Benevento romana e longobarda.
L’immagine urbana, Napoli 1986.
ROTILI 2006a = M. ROTILI, Cellarulo e Benevento. La formazione della città tardoantica, in M. ROTILI (a cura di),
Benevento nella tarda antichità, Napoli 2006, pp. 9-88.
ROTILI 2006b = M. ROTILI, Benevento tra Tarda Antichità e
Alto Medioevo, in AUGENTI 2006, pp. 317-333.
RUSSO, DI GIUSEPPE 2008 = A. RUSSO, H. DI GIUSEPPE (a cura
di), Felicitas temporum. Dalla terra alle genti: la Basilicata settentrionale tra archeologia e storia, Lavello (PZ)
2008.
RUSSO, PELLEGRINO, GARGANO 2012 = A. RUSSO, A. PELLEGRINO, M.P. GARGANO, Il territorio dell’Alta Val d’Agri
fra tardo antico e alto medioevo, in C. EBANISTA, M. ROTILI (a cura di), La trasformazione del mondo romano e
le grandi migrazioni. Nuovi popoli dall’Europa settentrionale e centro-orientale alle coste del Mediterraneo.
Atti del convegno (Cimitile-S. Maria Capua Vetere, 2011),
Cimitile 2012, pp. 265-282.
SAGUÌ 1998 = L. SAGUÌ (a cura di), Ceramica in Italia: VIVII secolo. Atti del convegno in onore di J.W. Hayes
(Roma, 1995), Firenze 1998.
SAGUÌ 2002 = L. SAGUÌ, Roma, i centri privilegiati e la lunga
durata della tardoantichità. Dati archeologici dal deposito di VII secolo nell’esedra della Crypta Balbi, in AMediev, XXIX, 2002, pp. 7-42.
SANGINETO 2001 = A.B. SANGINETO, Trasformazioni o crisi
nei Bruttii fra il II a.C. ed il VII d.C., in E. LO CASCIO,
A. STORCHI MARINO (a cura di), Modalità insediative e
strutture agrarie nell’Italia meridionale in età romana,
Bari 2001, pp. 203-246.
SANTAGOSTINO BARBONE, GLIOZZO, D’ACAPITO et alii 2008
= A. SANTAGOSTINO BARBONE, E. GLIOZZO, F. D’ACAPITO,
I. MEMMI TURBANTI, M. TURCHIANO, G. VOLPE, The sectilia panels of Faragola (Ascoli Satriano, southern Italy):
a multi-analytical study of the red, orange and yellow glass
slabs, in Archaeometry, 50, 3, 2008, pp. 451-473.
SAVINO 2010 = E. SAVINO, Aspetti della trasformazione della
città in Campania fra Tardoantico e Altomedieovo, in
VOLPE, GIULIANI 2010, pp. 273-282.
SCRIMA 2011-2012 = G. SCRIMA, La produzione ceramica
della Puglia centro-settentrionale nell’Altomedioevo: tecnologia, funzione e circolazione, Tesi di Dottorato in Storia e Archeologia Globale dei Paesaggi, Università di
Foggia, XXV ciclo, a.a. 2011-2012.
SCRIMA, TURCHIANO 2012 = G. SCRIMA, M. TURCHIANO, Le
ceramiche dei magazzini dell’abitato altomedievale di
Faragola (Ascoli Satriano, FG). Tipologie, funzioni e significato sociale, in REDI, FORGIONE 2012, pp. 601-606.
SKINNER 1994 = P. SKINNER, Urban Communities in Naples,
900-1050, in BSR, 62, 1994, pp. 279-299.
SMALL 2008 = A.M. SMALL, La villa romana di San Giovanni
di Ruoti, in RUSSO, DI GIUSEPPE 2008, pp. 425-469.
SMALL 2011a = A.M. SMALL (a cura di), Vagnari. Il villaggio, l’artigianato, la proprietà imperiale. The village, the
industries, the imperial property, Bari 2011.
SMALL 2011b = A.M. SMALL, The kilns, in SMALL 2011a, pp.
231-277.
SMALL, MCLAREN, HEALD 2011 = A.M. SMALL, D. MCLAREN, A. HEALD, Iron-working at Vagnari, in SMALL 2011a,
pp. 279-285.
SOGLIANI 2010 = F. SOGLIANI, I metalli: testimonianze dell’officina tardoantica e altomedievale, in GIAMPAOLA
2010, pp. 87-89.
SOGLIANI 2012 = F. SOGLIANI, Nuovi dati sulla produzione e
la circolazione del vasellame vitreo in Campania provenienti da un contesto di scavo tardomedievale: la Rocca
Montis Dragonis, in A. COSCARELLA (a cura di), Il vetro
in Italia: testimonianze, produzioni, commerci in età bassomedievale. Il vetro in Calabria: vecchie scoperte, nuove
acquisizioni. Atti delle XV Giornate di Studio sul Vetro
AIHV (Università della Calabria, 2011), Rossano (CS)
2012, pp. 147-169.
TAGLIENTE 2002 = P. TAGLIENTE, Lecce. Uno scarico di fornaci della fine del Quattrocento. Primi dati, in AMediev,
XXIX, 2002, pp. 543-555.
TINELLI 2012 = M. TINELLI, Dal Salento all’Adriatico orientale: commercio e consumo delle ceramiche invetriate da
mensa, in REDI, FORGIONE 2012, pp. 607-612.
TONIOLO, DE FRANCESCO, ANDALORO et alii 2014 = L. TONIOLO, A.M. DE FRANCESCO, A. ANDALORO, R. SCARPELLI,
Napoli tardo-romana: studio morfo-tipologico e analisi
archeometrica preliminare del vasellame da fuoco e da
mensa del contesto dei Girolomini, in LRCW 4, pp. 323333.
TOUBERT 1995 = P. TOUBERT, Il sistema curtense: la produzione e lo scambio interno in Italia nei secoli VIII, IX e
X, in Dalla terra ai castelli. Paesaggi, agricoltura e poteri nell’Italia medievale, Torino 1995, pp. 183-250.
TURCHIANO 2010 = M. TURCHIANO, Le ceramiche comuni dell’Apulia tardoantica e altomedievale: luoghi della produzione, del commercio e del consumo, in LRCW 3, pp.
657-668.
TURCHIANO 2014 = M. TURCHIANO, Edilizia residenziale e
spazi del lavoro e della produzione nelle ville di Puglia
e Basilicata tra Tardoantico e Altomedioevo: riflessioni
a partire da alcuni casi di studio, in PENSABENE, SFAMENI
2014, pp. 367-380.
VALENTI 2004 = M. VALENTI, L’insediamento altomedievale
nelle campagne toscane. Paesaggi, popolamento e villaggi
tra VI e X secolo, Firenze 2004.
VERA 1995 = D. VERA, Dalla villa perfecta alla villa di Palladio. Sulle trasformazioni del sistema agrario in Italia
LA PRODUZIONE IN ITALIA MERIDIONALE FRA TARDO ANTICO E MEDIOEVO
fra Principato e Dominato, in Athenaeum, 1-2, 1995, pp.
189-211, 331-356.
VERA 1999a = D. VERA, I silenzi di Palladio e l’Italia: osservazioni sull’ultimo agronomo, in AntTard, 7, 1999, pp.
283-297.
VERA 1999b = D. VERA, Massa fundorum. Forme della
grande proprietà e poteri della città in Italia fra Costantino
e Gregorio Magno, in MEFRA, 111, 1999, pp. 991-1025.
VERA 2005 = D. VERA, I paesaggi rurali del Meridione tardoantico; bilancio consuntivo e preventivo, in VOLPE,
TURCHIANO 2005, pp. 23-38.
VITOLO 2005 = G. VITOLO (a cura di), Le città campane fra
Tarda Antichità e Alto Medioevo, Salerno 2005.
VOLPE 1996 = G. VOLPE, Contadini, pastori e mercanti nell’Apulia tardoantica, Bari 1996.
VOLPE 2002 = G. VOLPE, Il mattone di Iohannis. San Giusto
(Lucera, Puglia), in J.-M. CARRIÉ, R. LIZZI TESTA (a cura
di), «Humana sapit». Étude d’Antiquité Tardive offertes
à Lellia Cracco Ruggini, Tournhout 2002, pp. 79-93.
VOLPE 2005 = G. VOLPE, Paesaggi e insediamenti rurali dell’Apulia tardoantica e altomedievale, in VOLPE, TURCHIANO 2005, pp. 299-314
VOLPE 2012 = G. VOLPE, Per una geografia economica e insediativa della Puglia tardoantica, in Bizantini, Longobardi e Arabi in Puglia nell’Alto Medioevo, in Atti del
XX Congresso internazionale di studio sull’alto medioevo
(Savelletri di Fasano, 2011), Spoleto 2012, pp. 27-57.
VOLPE, ANNESE, CORRENTE et alii 2003 = G. VOLPE, C. ANNESE, M. CORRENTE, G. DE FELICE, P. DE SANTIS, P. FAVIA,
R. GIULIANI, D. LEONE, D. NUZZO, A. ROCCO, M. TURCHIANO, Il complesso paleocristiano episcopale di San Pietro a Canosa. Seconda relazione preliminare (campagna
di scavi 2002), in AMediev, XXX, 2003, pp. 107-164.
VOLPE, ANNESE, DISANTAROSA et alii 2007a = G. VOLPE, C.
ANNESE, G. DISANTAROSA, D. LEONE, Ceramiche e circolazione delle merci in Apulia fra Tardoantico e Altomedioevo, in GELICHI, NEGRELLI 2007, pp. 353-374.
VOLPE, FAVIA, GIULIANI et alii 2007b = G. VOLPE, P. FAVIA,
R. GIULIANI, D. NUZZO, Il complesso sabiniano di San Pietro a Canosa, in BONACASA CARRA, VITALE 2007, II, pp.
1113-1165.
VOLPE, ANNESE, DISANTAROSA et alii 2010 = G. VOLPE, C.
551
ANNESE, G. DISANTAROSA, D. LEONE, Produzioni locali
ed importazioni nella Puglia centro-settentrionale tardoantica, in LRCW 3, pp. 643-656.
VOLPE, BUGLIONE, DE VENUTO 2012 = G. VOLPE, A. BUGLIONE, G. DE VENUTO, Lane, pecore e pastori in Puglia
fra Tardoantico e Medioevo: novità dai dati archeozoologici, in M.S. BUSANA, P. BASSO (a cura di), La lana
nella Cisalpina romana. Economia e società, Studi in
onore di Stefania Pesavento Mattioli. Atti del convegno
(Padova-Verona, 2011), Padova 2012, pp. 243-268.
VOLPE, FAVIA 2009 = G. VOLPE, P. FAVIA (a cura di), Atti del
V Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Foggia, Manfredonia, 2009), Firenze 2009.
VOLPE, GIULIANI 2010 = G. VOLPE, R. GIULIANI (a cura di),
Paesaggi e insediamenti urbani in Italia meridionale fra
Tardoantico e Altomedioevo. Atti del II Seminario sul
Tardoantico e l’Altomedioevo in Italia meridionale
(Foggia-Monte Sant’Angelo, 2006), Bari 2010.
VOLPE, LEONE 2008 = G. VOLPE, D. LEONE (a cura di), Ordona XI. Ricerche archeologiche a Herdonia, Bari 2008.
VOLPE, ROMANO, TURCHIANO 2013 = G. VOLPE, A.V. ROMANO,
M. TURCHIANO, San Giusto, l’ecclesia e il Saltus Carminianensis: vescovi rurali, insediamenti, produzioni agricole e artigianali. Un approccio globale allo studio della
cristianizzazione delle campagne, in CRESCI, QIROGA,
BRANDT et alii 2013, pp. 559-580.
VOLPE, TURCHIANO 2005 = G. VOLPE, M. TURCHIANO (a cura
di), Paesaggi e insediamenti rurali in Italia meridionale
fra Tardoantico e Altomedioevo. Atti del I Seminario sul
Tardoantico e l’Altomedioevo in Italia meridionale (Foggia, 2004), Bari 2005.
VOLPE, TURCHIANO 2012 = G. VOLPE, M. TURCHIANO, La villa
tardoantica e l’abitato altomedievale di Faragola (Ascoli
Satriano), in RM, 118, 2012, pp. 455-491.
WICKHAM 2009 = CH. WICKHAM, Le società dell’alto medioevo. Europa e Mediterraneo, secoli V-VIII, Roma 2009
(trad. it. dall’ediz. Oxford 2005).
ZAGARI 2005 = F. ZAGARI, Il metallo nel Medioevo. Tecniche, strutture, manufatti, Roma 2005.
ZANINI 1998 = E. ZANINI, Le Italie bizantine, Bari 1998.
ZICHE 2006 = H.G. ZICHE, Administrer la propriété de
l’Église: l’Évêque comme clerc et comme entrepreneur,
in AntTard, 14, 2006, pp. 69-78.
SPECIALIST ARTISANS AND COMMODITY PRODUCERS AS SOCIAL ACTORS
IN EARLY MEDIEVAL BRITAIN, C. AD 500-1066
Christopher Loveluck
When analysing the evidence for specialist production in sixth – and seventh – century Britain, especially
of non-ferrous metal artefacts and certain non-ferrous
metals, a paradox immediately presents itself between
societies that created what we call today an ‘AngloSaxon’ ethnic affiliation in eastern Britain, and their
western and northern British counterparts in Scotland,
Wales and Cornwall. In summary, evidence for specialist
metalworking is much more evident among the settlement remains of western and northern Britain, than
among most Anglo-Saxon settlement deposits in eastern Britain. This paradox cannot be claimed as a reflection of sample bias, in terms of radically different
numbers of excavated and published sites in these different regions. Hence, explanations for the differences
must increasingly be sought in different patterns of the
organisation of space and production, in terms of potential settlement zoning and the controlled or independent actions of specialist artisans among early
medieval societies within Britain.
Despite the comparatively large number of Anglo-Saxon settlements excavated and published from eastern
Britain and southern Scotland (in the Tweed valley and
Dumfries and Galloway) over the last thirty years, and
despite the large-scale sieving and sampling for industrial residues, there is still a limited corpus of evidence
of specialist metalworking debris. The same can be said
of other specialist craft-working remains for a level of production undertaken at a scale beyond the domestic
needs of rural households, between c. AD 500 and 700.
Yet, one only has to examine the tableaux of artefacts of
different metals and other raw materials from sixth- to mid
seventh-century Anglo-Saxon graves, often adjacent to
settlements, and by the seventh century sometimes with-
I am especially grateful to Prof Alessandra Molinari, Prof Riccardo Santangeli Valenzani and Prof Lucrezia Spera for the invitation to present a shortened version of this paper at the ‘L’Archeologia
della Produzione’ conference in Rome in 2013, and I am especially
thankful to Professor Molinari for her co-ordination of the conference. I would also like to thank David Taylor for producing figure 1,
and my thanks are also extended to my former colleagues at Humber Archaeology for the images of the tools from Flixborough.
Introduction
This contribution to the comparative analysis of the
archaeological reflections of specialist production, its
organisation and its context in early medieval Europe
will focus on Britain, between c. AD 500 and 1066 (fig.
1). It has two principal aims. Firstly, to review the evidence for the nature and organisation of specialist commodity production, craft-working, and the exchange of
products in Britain, especially relating to metalworking;
and secondly, to explore the roles of specialist artisans,
commodity-producers and merchants as actors within
their wider societies. Discussion is organised within a
bipartite framework, presenting and reviewing the evidence relating to chronological periods and trends, and
to specific themes pertaining to those periods. For the
era spanning the early sixth to early eighth centuries AD,
the key question posed is where are the specialist artisans in rural Britain, especially metalworkers? For the
period from the eighth to the eleventh centuries, the principal theme explored is the relationship between specialists from ports and other emerging towns and the
wider rural world.
Where are the specialist artisans in rural Britain, between c. AD 500 and 700?
554
CHRISTOPHER LOVELUCK
Fig. 1. - Location of key sites discussed in the text.
in them, to demonstrate that huge numbers of complex
artefacts were manufactured and used in life and for the
purpose of accompanying the dead. Hence, for sixth- and
seventh-century Anglo-Saxon societies, the key questions
to address are: were there specialist artisans?, where did
they live?, where did they undertake their specialist activities?, and how was specialist production organised and
the services of smiths procured, assuming their existence
in significant numbers?
ALCOCK 1987.
BARROWMAN, BATEY, MORRIS 2007, p. 319.
3
LAING, LONGLEY 2006; LANE, CAMPBELL 2000.
1
2
In a stark and paradoxical
contrast to the evidence from
Anglo-Saxon societies in eastern Britain, archaeological
excavations of fortified rural
centres (often on promontories) from western and northern Scotland, Wales and to a
lesser extent, Cornwall, present comparatively abundant
evidence of the presence of
craft-specialists, in the form of
metalworkers, based at these
sites periodically or permanently. For example, from the
sixth and seventh centuries,
there is recurrent evidence of
specialist non-ferrous metalworking, glass-working for
the embellishment of metalwork, and ironworking at fortified rural settlements. Examples include: Dinas Powys
(Glamorgan) in south Wales 1;
Tintagel (Cornwall) 2 ; the
Mote of Mark (Dumfries and
Galloway) and Dunadd (Argyll) in western Scotland 3;
and at Birsay (Mainland,
Orkney) in the northern Isles
of Scotland 4. Some monasteries founded in western
Britain (Christianized in the
fifth century), such as
Whithorn (Dumfries and Galloway) have also produced
similar concentrations of metalworking evidence 5; and a smaller quantity of evidence
for casting copper-alloy objects and glass-working for their
decoration has also been recovered at the monastery on
the island of Iona (Argyll) 6. The settlements listed
above were located both within and to the north of what
had been the Roman provinces of Britain.
They all seem to have been central places for their
localities, and in some cases for their wider regions.
Elites were resident at the centres and they formed lo-
CURLE 1982; MORRIS 1995.
HILL, NICHOLSON 1997, pp. 402-404.
6
BARBER 1981; GRAHAM-CAMPBELL 1981, pp. 23-25.
4
5
SPECIALIST ARTISANS AND COMMODITY PRODUCERS AS SOCIAL ACTORS IN EARLY MEDIEVAL BRITAIN, C. AD 500-1066
cations for the conspicuous consumption of regional
agricultural surpluses, using ostentatious imported feasting kits, such as glass vessels imported from western
France, and foodstuffs from the Mediterranean in the
sixth century, and from western France in the seventh.
Alongside their function as local and regional points of
consumption, they were also centres of specialist production for the social territories of their elite patrons,
especially for fine metalworking. Very similar patterns
of consumption and production are evident at secular
elite and monastic centres from early Christian Ireland
in the sixth and seventh centuries, at ring-forts such as
Garranes and Garryduff (both in County Cork);
Crannogs (secular elite settlements on artificial islands)
at Moynagh Lough and Lagore (both County Meath)
and at the monasteries of Armagh (County Armagh) and
Nendrum (County Down) 7.
All these western and northern British and Irish centres have yielded metalworking remains of a very similar character, in terms of the nature of metalworking at
the settlements. They have usually comprised fired clay
crucibles in either a complete or fragmentary condition,
which have often yielded traces of copper-alloy, silver,
gold, and sometimes lead or a lead alloy. Clay mould
fragments, sometimes in considerable numbers, have
also been recovered; and in many cases these moulds
were used to cast complex and highly decorated
brooches and other dress accessories. Evidence for glass
working, in the form of ‘millefiori’ rods, moulds for glass
studs, and glass tesserae or glass vessel fragments as
raw materials have also been found at most of these sites,
in addition to copper alloy and iron ingots in some
cases. Tools in the form of anvils, and tongs for holding crucibles and partially finished iron objects have also
been recovered, in addition to slags and furnace fragments for smelting and smithing. Furthermore, it can
also be observed that all these sites in Britain and Ireland come from settlement patterns and societies that
possessed established secular and ecclesiastical elites
with permanent and stable central places in the sixth
and seventh centuries.
In eastern Britain, there are now significantly more
excavated and published settlements dating from the
sixth and seventh centuries than from western and northern Britain. In most Anglo-Saxon regions, however, the
7
CRADDOCK 1989, pp. 170-187; GASKELL BROWN, HARPER 1984;
BOURKE 2007, pp. 407-412.
8
HAMEROW 2002, pp. 93-99.
9
POWLESLAND 2000; POWLESLAND 2003; TIPPER 2004.
555
settlements exhibited a much more extensive use of
space and did not possess any fortified elements in most
cases. Since the 1990s, theories of settlement shift have
been proposed for Anglo-Saxon settlements of these centuries, when it was suggested that they wandered over
the landscape within their social and economic territories, following interpretations suggested for Continental northern Europe in the Roman and post-Roman Iron
Ages, particularly the regions of northern Germany and
southern Scandinavia beyond the former Roman Empire 8. More recently, settlements that remained stable
in one location have also been excavated, albeit with
extensive use of space for habitation, crop processing
and industrial zones, most emphatically demonstrated
at West Heslerton (North Yorkshire) 9. Hence, current
assessment would suggest settlement patterns with both
stable and shifting settlements, depending on local circumstances – and the same nuanced understanding is
now being suggested for southern Scandinavian settlements of the fifth to seventh centuries 10.
Despite the changing theories of use of settlement
space in recent decades, two observations still hold true.
Firstly, signs of a social hierarchy manifested in the archaeology of settlements are absent until the later sixth
and seventh centuries in eastern Britain; and secondly,
evidence for the production of complex artefacts on a
significant scale, especially non-ferrous metal artefacts,
is very scarce. The number of clay crucible fragments
is rising from excavated settlements due to more extensive and intensive dry – and wet – sieving but the
fragments are often very small. The same can be said
for the small number and dimensions of mould fragments. Robin Fleming has also observed that the numbers of metal artefacts cast away in settlement deposits
are very limited in fifth - and sixth - century settlement
deposits, when they can be dated that closely, due to
the need for the recycling of metals as the principal strategy to procure them as raw materials 11. The evidence
from Carlton Colville (Suffolk) provides a good case
study of an estate centre that seems to have developed
from an ‘average’ Anglo-Saxon rural settlement of the
sixth century into a small estate centre by the end of
that century, with a gravitational pull on the local resources of a territory 12. It housed an elite who were
armed, rode on horseback, and indulged in pastimes such
LOVELUCK 2013, pp. 86-89; HOLST 2004.
FLEMING 2012, pp. 19-20.
12
LUCY 2009, pp. 430-431.
10
11
556
CHRISTOPHER LOVELUCK
as hunting; and they patronized artisans, including
blacksmiths and non-ferrous metalworkers 13. Small
numbers of very fragmented pieces of crucibles and
moulds were recovered from surface refuse middens,
in addition to ironworking debris and some scrap-metal
objects. Between the sixth and seventh centuries, the
more loosely organised sixth-century settlement also became more clustered and intensively organised in its use
of space 14.
At the northern extremity of Anglo-Saxon England,
the long-excavated Northumbrian royal estate centre at
Yeavering (Northumberland) provides comparable evidence to that from Carlton Colville, although the small
numbers of crucible and mould fragments retrieved
were not found during the famous Hope-Taylor excavations of the late 1950s 15. They were found during the
excavation of the Neolithic,Yeavering Henge, by Anthony Harding in the 1970s, which is adjacent to the
major building complexes at Yeavering, on the opposite side of the modern road. No Anglo-Saxon buildings were indicated on aerial photographs of the
Neolithic henge, in contrast to the adjacent area of the
large estate centre/palace halls. The recovery of ironworking debris, small numbers of crucible fragments and
loom weights from the henge suggests the organisation
of high-temperature, fire-risk activities on the settlement
periphery and the dumping of industrial debris in these
same areas 16. Several crucible fragments and a possible mould fragment were also excavated in a settlementedge situation at Spong Hill (Norfolk), in between a
settlement and the better known, fifth – and sixth – century cremation and inhumation cemetery 17.
A similar situation to that at the royal centre at
Yeavering, in terms of extensive organisation of settlement and craft working space, is also suggested from
recent extensive archaeological surveys and sample excavations at Rendlesham (Suffolk), probably the principal estate centre or ‘palace’ of the Kings of the East
Angles, in the Deben valley. Surveys have identified an
Anglo-Saxon settlement zone of approximately fifty
hectares with indications of non-ferrous metalworking
zones, perhaps workshops, from the discovery of gold,
silver and copper-alloy casting debris and lead models
for moulds, probably of the sixth and seventh centuries.
The occupation sequence within this extensively organised settlement space lasted from the fifth to eleventh
centuries AD. Without more extensive excavations,
however, it is not currently clear whether the metalworking zone is located on the settlement periphery 18.The siting of ironworking and non-ferrous
metalworking on the peripheries of Anglo-Saxon settlements, covering extensive areas with distinct zones,
may explain to some extent the scarcity of non-ferrous
metalworking evidence, given the relatively small excavated areas of many settlements. Yet given the largescale surface collection and geophysical surveys, and
more recently metal-detector surveys, that have often
accompanied the smaller-scale excavations, it is still surprising that greater quantities of metal casting evidence
and mould and crucible fragments have not been recovered and that more smelting and smithing zones
have not been identified (smelting furnace sites and
smithies can be identified by magnetometer and geochemical surveys) 19.
A further observation can also be made about the nature of the artefacts that were made in the moulds recovered from sixth - to mid seventh-century
Anglo-Saxon settlements. With a few exceptions, such
as the fragment of a sixth-century Great-square-headed
brooch mould from Mucking (Essex) 20, the mould fragments that survive were used to cast simple artefacts.
They were far simpler than the complex non-ferrous
metal dress accessories found abundantly in sixth and
seventh-century cemeteries, often associated with the settlements: for example, the early to mid seventh-century
cemetery within the settlement at Carlton Colville. And
above all, the contrast between the thousands of nonferrous metal artefacts from sixth - and seventh - century cemeteries and the handful of mould fragments from
their contemporary settlements is astonishing. Only the
emerging evidence from Rendlesham, in the form of the
gold, silver and copper-alloy debris from casting, and
the recovery of gold and garnet – and gilded copper –
alloy artefacts very similar to those from the nearby Sutton Hoo burial mounds, demonstrate a probable direct
link between a royal centre of production and some of
MINTER, PLOUVIEZ, SCULL 2014, p. 52.
For example, see LOVELUCK, SALMON 2011, pp. 1404-1407 for
an example from the early medieval (fifth - to eleventh-century) settlement at Stavnsager, Denmark, and MINTER, PLOUVIEZ, SCULL
2014 for surveys at Rendlesham (Suffolk) from southeast England.
20
WEBSTER 1993, pp. 62-63.
18
LUCY, TIPPER, DICKENS 2009, pp. 275-276.
14
TIPPER 2009.
15
HOPE-TAYLOR 1977.
16
TINNISWOOD, HARDING 1991.
17
HILLS, RICKETT, PENN 1995, pp. 74-76.
13
19
SPECIALIST ARTISANS AND COMMODITY PRODUCERS AS SOCIAL ACTORS IN EARLY MEDIEVAL BRITAIN, C. AD 500-1066
557
the complex, ostentatious artefacts interred in a nearby
royal cemetery 21.
It can be assumed that non-ferrous metalworking, and
iron-working, comprising the limited procurement of
iron ore (usually bog iron) and its smelting, and blacksmithing (using recycled iron objects and small quantities of freshly smelted metal) 22 were predominantly,
if not totally, male skills but it is uncertain to what extent relatively simple black- and fine-metal- smithing
were activities undertaken seasonally or on a need-basis
among most farming communities 23. It is possible that
less complex iron and copper-alloy working could have
been gendered components of the rural household
economies of the sixth and seventh centuries, counterparts to the female focus on clothing the household
through textile production and leatherworking. Seasonal
and small-scale household production could also contribute to the scarcity of non-ferrous metalworking debris on settlements. However, the complex artefacts
from graves, such as dress accessories and fine weapons
(particularly pattern-welded swords and weaving
swords), also demonstrate the existence of very skilled
specialist smiths whose abilities were far beyond those
that could be expected of seasonal household production. In order to attain the skills necessary to produce
the most complex artefacts, those smiths probably spent
most of their time in their role as specialist artisans rather
than working in agriculture on any family lands.
The scarcity of evidence for large quantities of manufacturing debris relating to non-ferrous metalworking
especially, and also complex blacksmithing such as
sword-smithing, has led to the theory that some specialist
smiths were itinerant, either working away from their
‘home’ kinship groups seasonally or for longer periods,
travelling between different settlements working for
communities or individual patrons 24. David Hinton’s
analysis of the archaeological and textual evidence from
the late sixth and seventh centuries also shows that by
the late sixth century smiths were also permanently attached to recently emerged royal households, as reflected in the early seventh-century law code of King
Aethelberht of Kent (from the same period as the appearance of royal and aristocratic estate centres in
Anglo-Saxon Britain) 25. The evidence from the royal
estate centres/palaces at Rendlesham and Yeavering
from the same period further reinforces observation of
the likely permanent presence of some of the finest
smiths at royal centres. However, the discovery of the
smith’s grave at Tattershall Thorpe (Lincolnshire), on
the edge of the Lincolnshire Fens in eastern England,
also indicates that itinerant smiths continued to provide
their services on an independent basis through the seventh century.
The Tattershall Thorpe smith’s grave seems to date
from c. AD 670. The grave was an isolated burial that
cut through earlier Neolithic remains. This placement
away from any other graves possibly reflects the smith’s
status as an itinerant ‘outsider’, who possibly died away
from his extended family and home settlement while
working for an individual patron or community. He was
buried with a wooden box full of metalworking tools
that could have been used for ironworking and non-ferrous metalworking. These included a portable anvil;
hammers of different sizes; tongs; ‘snips’ for cutting
sheet metal; a soldering lamp; files; copper-alloy objects, including sword- or seax-scabbard studs, a seaxguard and scrap; lead objects (some possibly models for
moulds); and small collections of loose garnets and vessel glass fragments for embellishing metal jewellery 26.
There was also a copper-alloy amulet wrapped in silk,
which is likely to have been a personal possession. A
small collection of silver bullion in the form of strips
could have been used as both a raw material and a
medium of exchange. The presence of a copper-alloy
balance and set of weights also suggests that the smith
exchanged his skills for payment, partially in bullion
(almost certainly silver by c. AD 670). The possession
of such a complex range of tools, silver bullion and imported commodities, such as garnets and the silk that
wrapped the amulet, mark the smith as a man of above
average portable wealth for his time. Archaeological evidence for possession of silk is very rare from mid seventh-century England, and other traces of it have been
encountered only from several cylindrical copper-alloy
‘work-boxes’ in the graves of wealthy women 27.
Both archaeological and textual sources from the
MINTER, PLOUVIEZ, SCULL 2014, pp. 53-55.
See Fleming’s recent argument for limited smelting until the
later sixth and seventh centuries, FLEMING 2012, pp. 24-28.
23
First suggested by E.T. Leeds in 1936, who noted that such
blacksmithing on a household scale was still common in Scandinavia when he was writing, LEEDS 1936, p. 24.
24
See especially DICKINSON 1993; WICKER 1994 and
COATSWORTH, PINDER 2002, pp. 239-240.
25
HINTON 1998, p. 9.
26
See HINTON 2000.
27
HINTON 2000, p. 63.
21
22
558
CHRISTOPHER LOVELUCK
sixth and seventh centuries suggest some independent
agency on the part of specialist artisans and traders, who
potentially had more freedom of action to choose or
leave patrons than has been suggested in the models of
elite control of production, stressed over the last thirty
years. For example, the laws of the Kings of Kent,
Hlothere and Eadric (c. 673-685) and their successor,
Wihtred (c. 695) all have clauses that address appropriate etiquette for ‘traders’, ‘men who have travelled
from a distance’ and ‘foreigners’, and for those who offered them hospitality while travelling or working for
them. In the laws of the former kings, a clause deals
with redress for those who have housed a stranger or a
trader for more than three days 28. While the laws of Wihtred indicate an obligation for men travelling from a
distance or foreigners to shout or blow a horn before
they leave a trackway or road, presumably to enter a
settlement 29. Such an obligation seems to have been
widespread within Anglo-Saxon Britain, as the same law
is also cited in the code of King Ine of the West Saxons (c. 688-694) 30. An iron bell, found in the Tattershall Thorpe grave has been seen as a tool for
announcing such a presence prior to leaving main thoroughfares 31. It is almost certain that many of the travellers and traders addressed in these law codes were
specialist artisans.
Furthermore, the range of itinerant craft specialists
probably included more than metalworkers. Arthur MacGregor has argued that specialist bone and antler workers, especially comb-makers, were also itinerant –
perhaps seasonally 32. Nor was itinerancy necessarily limited to providing services to single ethnic groups or
socio-political territories. Among the large collections
of mould fragments from the casting of complex nonferrous artefacts at the Mote of Mark (Dumfries and Galloway), in south-west Scotland, are moulds for
producing axe-blade-shaped copper-alloy fittings, probably from bridle attachments from riding gear. Their visible surfaces were decorated with Anglo-Saxon interlace
decoration of the mid to late sixth to early seventh century. Indeed, the Mote of Mark mould fragments are
most similar to examples from south-east England, especially the bridle fittings from mound 17 at Sutton Hoo
(Suffolk) 33. One explanation for the use of these overtly
WHITELOCK 1955, p. 361.
WHITELOCK 1955, p. 364
30
WHITELOCK 1955, p. 366.
31
HINTON 2000, p. 47.
32
MACGREGOR 1985, pp. 46-47.
28
29
Anglo-Saxon decorative styles for the axe-blade-shaped
fittings at the Mote of Mark would be the occasional
presence of Anglo-Saxon fine-metalworking smiths
serving aristocratic patrons well beyond their home regions. Alternatively, smiths from southwest Scotland
could have previously travelled to serve Anglo-Saxon
patrons before returning home, thus also providing a context for diffusion of the use of art-styles within Britain,
and also Ireland.
Perhaps most significant about this likely movement
of smiths and other specialist artisans is that they could
choose to move between patrons over large distances.
Some may then have chosen to become exclusive craftsmen for one patron or community, such as a King or a
Bishop and their respective households, or of a monastic community. However, there was probably some element of choice in such relationships and mutual benefit
for both. For Anglo-Saxon England, there has been a
tendency to stress the control of specialist artisans by
elites, whether royal or ecclesiastical, based on impressions gained from early law codes and ecclesiastical works describing specialist artisans involved in
building monasteries, during the later seventh century,
such as Jarrow, Monkwearmouth and Ripon 34. Indeed,
it is true that from the later seventh century, the evidence for the casting and production of complex nonferrous artefacts in Anglo-Saxon Britain comes almost
exclusively from monastic sites, the best examples being
the moulds from Hartlepool (County Durham) 35. These
centres also became the principal patrons of many specialist artisans, who subsequently lived at monasteries.
Yet, what we do not know is the extent to which such
a relationship began as a matter of mutual benefit and
agreement. In time, resident artisans in these monastic
communities, and in royal and aristocratic households,
may have become formal dependents with the resulting
loss of freedom of movement, despite a relatively high
status within those households. The same ambiguities
also hold for the relationship between specialist artisans
and secular and ecclesiastical patrons in the fortified centres and monasteries of western and northern Britain and
Ireland.
In Britain, we do not have the textual evidence that
is available from France and Italy to show that specialist
LAING, LONGLEY 2006, pp. 148-155.
Stephen, Life of Wilfrid, Ch. 17, trans. WEBB 1965, pp. 123124; Bede, Lives of the Abbots of Wearmouth and Jarrow, Chs. 5
& 6, trans. FARMER 1983, pp. 189-191.
35
DANIELS 2007, p. 127.
33
34
SPECIALIST ARTISANS AND COMMODITY PRODUCERS AS SOCIAL ACTORS IN EARLY MEDIEVAL BRITAIN, C. AD 500-1066
artisans were also landowners in their own right but it
can be assumed that they or their families also held land
in many instances. The wealth of a smith like the individual interred at Tattershall Thorpe would suggest that
he would be placed at the apex of the peasantry, in terms
of his portable wealth, although his specialist role and
hence his access to particular objects and raw materials may distort our interpretation of the true status that
he actually held. Perhaps he can be seen as analogous
to the smith, Carantcar of Ruffiac, in mid ninth-century
Brittany, in northwest France, who owned several small
agricultural estates and slaves to work them 36. It is unknown whether artisans who became patronized by
royal and ecclesiastical elites retained their lands - other
family members may have kept them, and over several
generations those specialists at elite centres may have
become divorced from any family estates, and consequently more dependent on their patrons.
Again, however, it is unknown whether having principal patrons who were members of the secular or ecclesiastical elite, or ecclesiastical institutions, precluded
smiths and other artisans from providing their skills to
others for their own profit or the profit of their patrons
(or both). For example, millwrights, as a specialist group
of precision wood-workers and hydraulic engineers
probably became based at royal and major ecclesiastical centres in Britain and Ireland, during the seventh
century. The distributions of known watermills of the
seventh and eighth centuries in Ireland and England cluster at known or assumed royal estate centres and monasteries. For example, at the royal and assumed royal
centres at Kingsbury, Old Windsor (Berkshire) and Tamworth (Staffordshire), and at the monastery at Barking
(Essex) in England; and at the monasteries of Nendrum
(County Down) and Little Island (County Cork) in Ireland 37. Yet, watermills on farming settlements in close
proximity to royal centres, such as Wellington several
kilometres from the Mercian royal estate centre at Sutton St Nicholas (Herefordshire), and Raystown (County
Meath) close to the royal crannog at Lagore, could reflect client communities of those royal centres, or communities that had procured the services of a millwright
resident at the nearby centres 38. An Irish law code of
DAVIES 1988, p. 100.
37
HOPE-TAYLOR 1958; RAHTZ, MEESON 1992; RYNNE 1998;
MCERLEAN, CROTHERS 2007; LOVELUCK 2013, pp. 146-148.
38
SEAVER 2010; LOVELUCK 2013, pp. 148-149.
39
KELLY 2000, p. 484.
36
559
the eighth century indicates that by that time farming
families from one or several settlements could combine
their resources to finance the construction of a mill, pay
for the services of a millwright, and hold equal shares
in it 39. So, some provision of services beyond those to
principal patrons is indicated on behalf of certain specialists. The recovery of later sixth- to seventh-century
weights for bullion-linked exchange at the royal centre
at Rendlesham (Suffolk) could also reflect some exchange of smithing services to other patrons, during
times when the centre may have held seasonal fairs or
markets 40. And Robin Fleming has also suggested that
production of smelted iron and iron objects in large quantities from royal estates, such as Ramsbury (Wiltshire)
and some monastic centres, such as Lyminge (Kent),
reflects production not only for patrons but also for a
wider population 41.
Nevertheless, the increasing trend of the permanent
residence of artisans at central places certainly does seem
to have facilitated their greater control by elites, or at
least their taxation in kind or coinage by the later seventh century. Similarly, in the rare instances where access to particular commodities was specific to a locality
or region, greater control by elites became manifest by
the early eighth century. For example, specialist salt production at the brine springs around Droitwich (Worcestershire) had been undertaken using lead evaporation
pans through the sixth and seventh centuries by local
inhabitants, and it had presumably been traded as in later
centuries 42. By the early eighth century, however, a significant proportion of the brine springs around
Droitwich and salt production from them was incorporated within estates of the Anglo-Saxon Kings of Mercia, and estates that they had granted to the Bishops of
Worcester 43. By the 680s, possession and exchange of
iron-ore bearing land and rights to extract iron in the
Weald region had also become linked to estates of the
Kings of Kent and major ecclesiastical institutions in
that Kingdom, such as Lyminge 44. The same is also true
of the lead-producing region of the Peak District (Derbyshire), in central England, where the likely ability of
local elites to benefit from lead production, and perhaps
limited silver extraction from it, was curtailed when the
MINTER, PLOUVIEZ, SCULL 2014, p. 53.
FLEMING 2012, pp. 30-32.
42
HURST, HEMINGWAY 1997, pp. 24-25.
43
HOOKE 1981; HURST, HEMINGWAY 1997, pp. 30-31.
44
THOMAS 2011, p. 46.
40
41
560
CHRISTOPHER LOVELUCK
From the later decades of the seventh century, a further distinct geographical and socio-economic difference
is evident between western and northern Britain and Ireland, and south-eastern Anglo-Saxon England, from the
Humber estuary in the east to the Solent estuary in the
south. At London, Southampton, Ipswich and York,
large port settlements of specialist artisans and seafaring traders developed, perhaps from origins as seasonally occupied sites, outside existing royal and episcopal
centres, in the case of London and York, and in estuarine and lower-river locations with good access to the
North Sea and English Channel at Ipswich and
Southampton. By c. AD 700, they had permanent populations, planned layouts with defined plots occupied
by houses, craft-working zones and workshops, fronting
on to metalled gravel streets. A smaller river-port centre also existed at Droitwich (Worcestershire), the focus
of the brine springs and salt producing locality which
had also become an ‘emporium salis’ – a salt trading
centre – during the first half of the eighth century 46.
Salt from Droitwich was distributed over land by a series of routes which later became known as salt-ways,
and probably by boat and ship, as Droitwich is located
on a tributary of the River Severn, and is close to its
estuary.
There is no evidence of the existence of port settlements, housing permanent populations of artisans and
the families of seafaring traders akin to the major emporia port centres from southwest England (Devon and
Cornwall), Wales, coastal northwest England or western Scotland. A small port may have existed at Chester
by the ninth century but it was inconsequential in comparison to the southern and eastern emporia 47. In all
known instances, production by specialist artisans continued at settlements of the secular elite, such as Dunadd
and Birsay or at monasteries, like those at Whithorn,
Iona, and Clonmacnoise (County Offaly), Ireland 48.
The integration of those centres into their far-flung networks was achieved via the same beach and estuarine
landing places and seasonal trading sites that had served
them in preceding centuries. For example, the beach and
dune sites at Meols on the Wirral peninsula, in northwest England, situated between the estuaries of the
Rivers Dee and Mersey; and at Bantham Ham (Devon)
and Gwithian (Cornwall) on the coast of southwest
England 49.
Over the last thirty years much has been written on
the nature, origins and demise of the ‘emporia’ ports of
eastern and southern England by scholars such as
Richard Hodges and others, in regard to their specialist production and trading activities, their roles and their
relationships with their rural hinterlands 50. Most have
emphasized the likelihood of elite initiative leading to
their foundation 51. Hence, the populations who lived at
these centres permanently or intermittently have been
viewed very much as the dependent clients of royal or
ecclesiastical patrons, who were policed and taxed in
the emporia centres by royal officers (port-reeves) and
their armed retinues. Yet, in recent years, the assumed
exclusive role of ruling elites in the foundation of these
ports has been questioned, in the light of a more nuanced appreciation of the networks of coastal societies
beyond emporia and their specialist activities, and a
greater appreciation of the potential of merchant agency
in the initial foundation of the trading sites 52. There is
now a greater acceptance of the possibility, if not likelihood, that merchant seafarers and specialist artisans
could have come together to form the initial cores of
the port settlements, and that they could have come under
the control of royal authorities once the latter realised
that there was an opportunity to benefit from the taxation of trade. More recently still, the potential of the
ports having been collaborative ventures has been suggested, as initiatives of merchant and artisan specialists
together with royal power, and this argument is devel-
LOVELUCK 1995, pp. 89-92.
HURST, HEMINGWAY 1997, pp. 30-31.
47
GRIFFITHS 2010, p. 133.
48
LANE, CAMPBELL 2000; MORRIS 1995; KING 2009; O’SULLIVAN, MCCORMICK, KERR et alii 2014, p. 169.
49
FOX 1955; THOMAS 1958; SILVESTER 1981; MAY, WEDDELL
2002; GRIFFITHS, PHILPOTT, EGAN 2007.
50
HODGES 1982, HODGES 2000; MORELAND 2000; PALMER 2003;
NAYLOR 2004; HODGES 2012 among others.
51
HODGES; MORELAND ibidem.
52
LOVELUCK, TYS 2006; MCCORMICK 2007; LOVELUCK 2012;
WICKHAM 2012.
region was brought under more direct Mercian rule in
the later seventh century, and many of the lead-producing
areas were incorporated within estates of favoured Mercian royal monasteries, such as Repton 45.
Artisan and merchant initiative in ports and emerging
towns, and relationships with the rural world, c. AD 7001066
45
46
SPECIALIST ARTISANS AND COMMODITY PRODUCERS AS SOCIAL ACTORS IN EARLY MEDIEVAL BRITAIN, C. AD 500-1066
561
oped further here, within the context of the nature of
specialist artisan and trading households 53.
One of the most important and least discussed aspects of the emergence of specialists in early medieval
Europe is the fact that for long periods within a year,
or even longer, a significant proportion of the adult
men of households are likely to have been away from
their home settlements and families. The evidence of
wives and children having travelled on major trading
ventures is almost non-existent; however, serving
women are noted to have accompanied Anglo-Saxon
aristocrats on journeys, along with their reeves and
smiths, in the later seventh century 54. The absence of a
substantial proportion of the adult men would have created a gender and age imbalance among the family
members left behind, with particular concentrations of
old men, women and children - the most vulnerable
members of families to exploitation and predation from
neighbouring communities and raiders from furtherafield. The security of wider extended families while
specialists were away must have been a principal concern for them. To leave the most vulnerable family
members without significant adult male protection
would have been to put the future of the extended family at risk. At the same time, seafaring mariners and riverboat traders with too few crew, and peddlers and
specialist artisans travelling on their own or in very small
groups would have been similarly vulnerable to predation from piracy or exploitation from the communities
for whom they worked.
Within these family dynamics, the seeking out of exclusive or principal patrons by specialist artisans and
some traders would have been one strategy to provide
greater protection for their family dependents, if all or
the immediate families of the specialists could live at a
royal estate centre or a monastery. A variant on the latter protective strategy was specialist artisan and trader
initiative to found larger settlement communities, which
would allow greater levels of collective protection, and
this could have been one context for the foundation of
embryonic emporia port communities, as a risk management strategy by artisans and merchants. In addition,
merchant seafarers, in particular, may also have approached the nearest royal power in the vicinity of these
embryonic ports to secure royal protection for their
families and the wider community while the seafarers
were away. Similarly, foreign mariners may have approached royal authorities for protection in foreign
ports. In all these cases royal protection could have been
given in return for taxation in kind and in the silver
sceatta coinage adopted in the later seventh century
across northwest Europe, to be followed by
penny/denarial coinage in the mid to late eighth century. Royal protection and taxation by approval would
no doubt have become royal control of port spaces very
quickly, and certainly royal initiative was probably involved in the expansion of emporia ports. However, the
likelihood of an initial co-operative venture in the foundation and development of emporia ports, and continued co-operation for mutual benefit and profit, is
potentially expressed in the archaeological reflections
of their artisan and trading households.
One of the most striking traits of emporia households
is their apparent ability to possess large quantities of
portable wealth in comparison to their counterparts in
the rural world, with the exception of landed elites. For
example, the lifestyles of artisan-trading households in
Hamwic-Southampton; Lundenwic - London and Eorforwic - York, all show abundant use and discard of silver coinage. Access to and use of luxury drinking
vessels, in the form of glass vessels, is also suggested
for a significant number of families. In the past, fragments of fine vessel glass among the refuse deposits of
these port households have been assumed, mostly by
specialists who study glass, to be fragments of cullet
for reuse in glass-working but the rarity of glass-working evidence at these settlements, and the abundance of
glass vessel fragments in domestic refuse across households in emporia ports (over a thousand fragments at
Hamwic), suggests a greater likelihood that a significant proportion of emporia artisans and traders actually
used complete glass drinking vessels 55. The fragments
are no different in nature or size to those found on rural
aristocratic estate centres of the eighth century, such as
Flixborough (Lincolnshire), Portchester Castle (Hampshire) or Staunch Meadow, Brandon (Suffolk) 56. Just as
the artisan and merchant-seafarer households of ports
could benefit through possession of levels of portable
wealth beyond their counterparts in the rural world,
while paying taxation to royal protectors, they also co-
LOVELUCK 2013, pp. 207-208 and 211-212.
See the Law code of King Ine of Wessex (688-694), Clause
63, WHITELOCK 1955, p. 371.
55
HUNTER, HEYWORTH 1998; EVERY, LOADER, MEPHAM 2005, p.
130; and see LOVELUCK 2013, pp. 204-206, for a fuller discussion
of merchant-artisan lifestyles within emporia ports.
56
LOVELUCK 2007; CUNLIFFE 1976; TESTER, ANDERSON, RIDDLER
et alii 2014.
53
54
562
CHRISTOPHER LOVELUCK
operated with royal authorities in the provision of armed
contingents to royal armies. For example, in Altfrid’s
Life of Liudger, from the mid eighth century, it is noted
that the ‘citizens’ of York fought alongside the Northumbrian royal war band. And in the same Saint’s Life, both
the armed nature of seafaring merchants and the need
for royal protection of foreign merchants is reflected.
A Frisian merchant is noted as having killed a Northumbrian aristocrat, when attacked by the latter. As a consequence, the Frisians among the merchant colony at
York were obliged to flee to escape blood feud 57.
It is difficult to know how far merchant-artisan families of emporia-ports ventured inland away from royal
protection, or how regularly the rural populations travelled to the ports to procure objects, commodities or the
services of artisans. Distributions of silver coinage, especially sceattas of the secondary series from the early
to mid eighth centuries, and certain products in particular regions do suggest regular contact between emporia ports and their rural hinterlands. This is particularly
the case for East Anglia, where the slow-wheel-thrown
pottery known as Ipswich ware, made at the emporium
port at Ipswich (Suffolk) from c. AD 720 and 850, has
been found distributed in large quantities throughout East
Anglia 58. This suggests either very regular contact between the wider rural populace and the port, or more
likely, the transport and trade of Ipswich ware for the
commodities that it carried and sometimes for itself (in
regard to its pitchers). It is also true that settlements
along major rivers inland from emporia also gained access to imported pottery wares and other items that had
arrived at the ports. The settlement at Dorney-Maidenhead/Eaton (Berkshire), on the Thames up-river from
London, is one example 59. However, with the exception of Ipswich ware in East Anglia, and certain types
of sceatta coinage such as Series R probably struck at
Ipswich 60, the quantities of commodities or objects imported or made at emporia that travelled significant distances inland seem to have been limited in number.
Those items that are found in the interior of Anglo-Saxon
England seem to have a ranked distribution, with imports present in small numbers, usually in the form of
coins, and pottery or glass vessel fragments, at some
estate centres and monasteries, for example, Higham Ferrers (Northamptonshire) and Eynsham (Oxfordshire) 61.
This general inland scarcity of items imported from
Continental Europe, and the small quantities of Ipswichware pottery beyond emporia ports and East Anglia, is
not mirrored in the low-lying coastal zones of eastern
England, between Kent and the River Humber, with their
large tracts of marshland/Fenlands and islands. All elements of the settlement and social hierarchy in these
regions had access to imported commodities from the
Continent or from the port at Ipswich, between the
eighth and mid ninth centuries, whether farmsteads,
larger hamlets or estate centres. For example, between
the East Anglian and Lincolnshire Fens and the Humber estuary, all excavated small farmsteads and hamlets, such as those from Gosberton and Fishtoft (both
Lincolnshire) had access to either small quantities of
Continental pottery, lava quern stones and/or Ipswich
ware, and sometimes silver coinage. Some of the inhabitants of larger hamlets, such as Riby-Cross roads
(Lincolnshire), had access to small quantities of glass
vessels, Frisian coinage, and they were both armed and
rode around their landscapes. While an estate centre in
this region, at Flixborough (Lincolnshire) had much
larger quantities of glass vessels, Frisian and other
coinage, and pottery vessels, especially in the eighth century when the settlement was a major centre for aristocratic consumption. In the early to mid ninth century,
however, the estate centre was focussed much more towards production, with significant increases in fine textile production and metalworking, presumably by
resident artisans and more specialist textile producers.
The latter phase was accompanied by significant discard of high-quality iron tools (fig. 2, a-d) relating to
metalworking, woodworking, leatherworking and textile clothing manufacture, suggesting limited need for
recycling. Importation of up to 269 vessels of Ipswich
ware and coinage struck in Mercia and Kent also indicates continuity of regular maritime links between
Flixborough and southeast England in the first half of
the ninth century 62.
The maritime connectivity of the east coast of England across all elements of the social spectrum, between
the eighth and mid ninth centuries, is also marked by
Altfrid, Vita Liudgeri, Chs 11-12, trans. DIEKAMP 1881, p. 17.
58
BLINKHORN 2009.
59
BLINKHORN 2002; CROPPER 2002.
60
See GANNON 2003.
61
CROPPER 2003, p. 299; METCALF 2003, pp. 248-249; HARDY,
CHARLES, WILLIAMS 2007.
62
For a detailed discussion of the Flixborough evidence and the
east-coast distributions, see LOVELUCK 2007; LOVELUCK 2013, pp.
183-189.
57
SPECIALIST ARTISANS AND COMMODITY PRODUCERS AS SOCIAL ACTORS IN EARLY MEDIEVAL BRITAIN, C. AD 500-1066
563
certain networks that seem to have been the result of
direct contact with merchant-seafarers, through trade of
specific low-value commodities in return, presumably,
for fresh water, provisions or specific products. So, for
example, the distribution of Ipswich ware is geographically much more widespread in the Lincolnshire Fens
and along its sea-marsh coast to the Humber estuary,
while it is very rare inland and also comparatively rare
in the composite royal, episcopal and port centre at
York. Hence, it seems that mariners were choosing to
trade Ipswich ware, and also lava querns and the occasional Continental pot, with coastal populations in return for provisions, often without coinage transactions.
Whereas, the demand for Ipswich ware or its contents
at port centres like York was much weaker, or the merchant seafarers chose not to trade the wares in York to
the same extent 63. The Ipswich ware trading network
focussed on the coastal and estuarine regions between
the Fens and the Humber, mostly between the early and
mid ninth century, also coincided with the period of
much more intensive production at estate centres such
as Flixborough (possibly a monastic estate centre or
small monastery by this time) and the period when specialist salt production in coastal regions becomes
demonstrable archaeologically in England, notably in
this Fens to Humber region at the settlement of Fishtoft,
in the Lincolnshire Fens, near Boston 64.
When well-dated stratified deposits exist, it can also
be observed that the Ipswich ware distribution is also a
product largely of the early to mid ninth century on the
Humber estuary and along the Lincolnshire coast. This
is also the period when the scale and extent of long-distance trade focussed on emporia ports began to reduce,
whether due to internal dynamics or increasing Scandinavian disruption. Hence, in the case of eastern England between East Anglia and the Humber estuary, the
evidence could suggest two linked phenomena. Firstly,
an increasing movement of artisans away from emporia to patrons on rural estate centres through the first
half of the ninth century, as the emporia ports started
to decline; and secondly, the choice of mariner-merchants to do more direct trade with coastal rural populations at smaller coastal and river landing places, for
commodities such as salt and, perhaps, some products
manufactured at rural estate centres or monasteries.
This maritime trade between East Anglia and the Hum-
63
64
LOVELUCK 2013, pp. 190-191.
COPE-FAULKNER 2012.
a
b
c
d
Fig. 2. - A selection of the fine iron tools discarded in refuse deposits at Flixborough between the early and mid ninth century. A)
metalworking tongs or ‘hand-vice’; b) ‘lunette’-knife for leatherworking; c) one of the numerous iron shears for clothing manufacture; d) woodworking axe.
564
CHRISTOPHER LOVELUCK
ber continued throughout the first half of the ninth century, despite increasing raiding by Scandinavians.
By the mid to late ninth century, between the 860s
and 880s, when Scandinavian warbands overwintered
in eastern England, during the Conquest of what became
the Danelaw and the Scandinavian kingdom of York,
there are signs of further significant changes to which
both new and old elites and specialist artisans and merchants responded in different parts of Britain. In some
instances the artisans based at estate centres in eastern
England, during the first half of the ninth century, had
disappeared from those same settlements by the late
ninth century, and this is certainly the case at Flixborough 65. Yet, the occurrence of evidence for metal-casting, textile-working, and bullion-related exchange from
the Viking overwintering camp of 872-873, on an island site at Torksey (Lincolnshire) not far south of
Flixborough, in the Trent valley, also suggests the possibility that specialist artisans may have chosen or were
compelled to work for new Scandinavian patrons in the
same region 66. The occurrence of significant quantities
of craftworking evidence indicated on the apparent overwintering site also raise questions concerning the
longevity of this temporary settlement for craftworking
activity - it may have continued for significantly longer
than the presence of any army, and the production of
‘Torksey ware’ wheel-thrown pottery began in the later
ninth century, on the site of the medieval town of Torksey 67. This suggests the possibility that some artisans
moved from the island site to the vicinity of the later
town in the mid to late ninth century.
In western Britain, there was a greater picture of continuous use of the same production and trading sites
through the ninth century, although the identity of the
traders may have changed. For example, the stratified
evidence of salt production at Upwich, in the vicinity
of Droitwich, and the presence of coinage of Alfred the
Great of Wessex, struck in the 880s, indicates continued and uninterrupted production and distribution of salt
in the western regions of the Anglo-Saxon kingdom of
Wessex, both within estate networks and by trade between specialist producers and customers, once any estate rent or taxation-in-kind had been paid 68. Currently,
however, there is insufficient excavation at Droitwich
to base any conclusions on the nature of the ‘salt em-
LOVELUCK 2007, pp. 154-155.
HADLEY, RICHARDS 2013, pp. 12-19.
67
BARLEY 1964, pp. 171 and 186-187.
porium’ at this time. On the coast of northwest England, diagnostic Scandinavian and ‘Hiberno-Norse’
dress accessories and artefacts, such as drinking horn
mounts, fragments of balances for bullion-related exchange and weapons were deposited at the long-established beach-trading site at Meols (Wirral), suggesting
some significant continuity of exchange networks with
Hiberno-Norse Ireland 69.
By the late ninth century, however, one phenomenon is consistent across Britain: the hugely diminished
access of rural settlement hierarchies to foreign luxury
goods. By the early tenth century, the places where foreign goods could be procured were the growing AngloScandinavian port-towns of eastern England, and the
principal port of southern England - London. During the
first half of the tenth century, especially in Scandinavian-influenced England, these port-towns became the
hubs for specialist craft production and trade with foreign merchants. These occurrences coincided with a diminished presence of specialist artisans at centres in the
rural world - specialist artisans had moved to the newly
emerging river-port towns of the Danelaw and the kingdom of York, the principal residences of Anglo-Scandinavian elites and patrons. Indeed, the trends in the
changing locations of specialist artisans through the
ninth and into the tenth century suggest significant artisan and merchant initiative in response to new sociopolitical and economic circumstances, searching out
new patrons, and stability and protection for their families, potentially with little regard for ethnic or ‘state’
allegiances. For example, a significant number of the
moneyers who struck coinage for the Scandinavian
kings of York, between c. AD 927 and AD 954, had Old
German and Old French names, suggesting that they had
travelled from the Continent to work for new patrons,
probably voluntarily 70.
From the early to mid tenth century, artisans of major
port towns, and increasingly urban ‘burh’ shire centres
too, produced finished goods for their surrounding regions in a way that had not been the case with most of
the earlier emporia. Provisioning of rural hinterlands
with goods can be seen clearly in the distribution
throughout the East Midlands of England of wheelthrown pottery wares made at Anglo-Scandinavian Lincoln, during the tenth and into the eleventh centuries;
65
68
66
69
70
HURST, HEMINGWAY 1997, p. 27.
GRIFFITHS 2007, pp. 62-77.
BLACKBURN 2004, p. 342.
SPECIALIST ARTISANS AND COMMODITY PRODUCERS AS SOCIAL ACTORS IN EARLY MEDIEVAL BRITAIN, C. AD 500-1066
and the distribution of wheel-thrown pottery made at
the ‘burh’ shire town of Stafford, which extended
throughout the West Midlands to Chester, north Wales
and also Dublin, between the early to mid tenth and mid
eleventh centuries 71. Other urban centres, throughout
eastern England in particular, also produced
wheelthrown pottery wares for their regions, such as
York, Thetford (Norfolk), and smaller centres such as
Torksey and Stamford (Lincolnshire). By the later tenth
century, wheelthrown pottery was also produced at Winchester (Hampshire) 72.
During the course of the tenth century, and especially
from c. AD 950, there is also clear evidence of the upward social mobility of some merchant-artisans, especially in major port-towns. This resulted from a
combination of factors: locational choices on behalf of
merchants and artisans to site themselves in close proximity to patrons; and more developed governmental
structures, with towns as administered regional central
places, markets and taxation collection points. Levels
of portable wealth and the character of lifestyles and
networks at major port centres can be witnessed among
the families of goldsmiths, metalworkers, moneyers and
other artisans of Coppergate, in York. They used imported materials and objects such as Byzantine or Central Asian silk, in the form of a bonnet and off cuts, and
silver dirhem coins, minted in Islamic Central Asia. They
also possessed weapons, riding gear (horse-bits, harness,
and a silver-inlaid wooden saddle) 73. The bones of two
hunting birds, a Goshawk and a smaller Sparrowhawk
were also recovered from the Coppergate tenements, including documented prey species, such cranes and other
wildfowl 74. This suggests that the merchant-artisans of
Coppergate could indulge in pastimes previously the preserve of rural elites. On the west coast of England,
however, large port-cities were not as developed during the tenth century. Instead maritime trade was conducted from smaller ports at burh centres such as
Chester, and the port that grew at Bristol from the later
tenth/early eleventh century, and also via the continued
use of beach-trading sites, such as Meols, that had existed throughout the Early Middle Ages 75. It was only
by the mid eleventh century that Bristol was established
as the major port centre in western Britain, based on
REDKNAP 2000, p. 64; VINCE, YOUNG 2009, pp. 398-401;
CARVER 2010, p. 92.
72
LOVELUCK 2013, p. 347.
73
OTTAWAY 1992, pp. 698-718; WALTON ROGERS 1997, p. 177;
MAINMAN, ROGERS 2004, p. 482.
74
O’CONNOR 2004, pp. 436-438.
565
trade in hides and slaves with Ireland, in particular; and
archaeological evidence for the nature of Bristol before
the Norman Conquest is still limited 76.
Charters from the 960s onwards indicate that some
artisans, especially moneyers, goldsmiths and other metalworkers (artificers), and stone masons/engineers, were
granted or purchased substantial rural estates, on which
they were entitled to hunt, in the vicinity of London, in
particular, but also Worcester and other towns. In their
ownership of riding gear, weapons and hunting animals, they were probably becoming indistinguishable
from many rural aristocrats, especially the thegns - local
and regional lords. Indeed, the funnelling of long-distance international exchange through major port-town
markets, such as London and York, may well have resulted in leading merchant-artisans having access to
more exotic portable wealth and clothing than many rural
lords. In the law code clauses of the document known
as the Textus Roffensis, written between c. AD 1002 and
1023, in the reigns of either Kings Aethelred the Unready of England or Cnut of Denmark and England, it
is noted that if a Freeborn-trader financed and undertook a voyage across the sea three times, he was automatically given the rank of thegn/aristocrat, reflecting
increasing merchant-seafarer wealth to finance trading
voyages 77. It is no accident, therefore, that from the mid
tenth century, we also witness rural aristocrats being
given or buying urban town-houses and estates to generate income and gain access to exotica in major port
cities 78.
From the late tenth century, we see leading merchants, such as the Deorman family of moneyers and
spice traders in the port-city of London, becoming rich
by combining commerce and royal office; and by the
mid eleventh century the family had estates both within
London and its rural hinterland 79. By the 1050s, when
Edward the Confessor ordered the building of his Romanesque Westminster abbey, he did not put a secular
or ecclesiastical aristocrat in charge of its direction. Instead, he placed the direction of the Abbey’s construction under his Church-wright (stone mason), Teinfrith,
who possessed a large rural estate at Shepperton (Middlesex) of ‘eight hides’ (i.e. its produce could support
at least eight extended families). Teinfrith was sup-
71
GRIFFITHS 2007; GRIFFITHS 2010, pp. 133-135.
WATTS, RAHTZ 1985, pp. 185-186; JACKSON 2006, p. 5.
77
WHITELOCK 1955, p. 432.
78
See FLEMING 1993.
79
NIGHTINGALE 1995, pp. 24-37.
75
76
566
CHRISTOPHER LOVELUCK
ported in his task by the London merchant ‘burgesses’,
Leofsi and Alwine, who were also urban and rural
landowners and held the rank of thegn, the lowest level
of aristocracy 80. In the fifty years following the Norman Conquest of England in 1066, merchant-artisans
of towns who combined their trades with service as royal
officials, such as moneyers, were to become even more
prominent, also providing some significant continuity
of office-holders between the Late Anglo-Saxon and
early Norman state 81.
Concluding remarks
This contribution has begun to explore the many
questions that need to be asked in regard to how specialist craftworking was organised in early medieval
Britain. A particular emphasis has been placed on exploring the actions of specialist artisans and merchants
within the context of their family dynamics, and their
place within the changing social and settlement hierarchies, between c. AD 500 and 1066. The development
of elite patronage and protection and taxation of artisans, specialist traders and their activities has been
viewed as a strategy of mutual benefit and alliance between elites and specialists. Elite patronage and protection was a risk management strategy for
artisan-traders to protect the most vulnerable members
of their families – the women, the old and the children
– while a significant proportion of the adult men of
households were away from their home settlements.
Foundation of emporia specialist production and trading ports in the later seventh century can also be viewed
as an initial communal protection strategy by specialist artisans and river - and maritime traders, who actively sought protection from royal authorities and were
prepared to accept taxation as the price of greater security. Mutual benefit is indicated in the lifestyles of
emporia households, in terms of their ability to accumulate portable wealth, even though they were taxed;
and co-operation with royal power is also reflected by
their service in royal armies.
Dynamic responses to changing socio-political circumstances are also suggested on the part of merchantartisan families in their search for new patrons in the
later ninth and early tenth century, independent of any
ethnic affiliation. By the mid to late tenth century some
80
81
GEM 2009, pp. 168-172.
CAMPBELL 2009, p. 30.
merchant-artisans usually ‘burgesses’/citizens of major
towns, had gained social status to match their possession of portable wealth. Again, this was usually achieved
through alliance with ruling elites, by holding royal offices in addition to commercial activities. Indeed, by the
eleventh century, leading merchant-artisans were becoming indistinguishable from the lower aristocracy, as
they possessed rural estates in the ‘countryside’ in addition to their urban residences, and indulged in
lifestyles of consumption and display using the same
social practices as the landed elites. Yet, unlike rural aristocracies, the foundation of their wealth and their growing economic and socio-political power was specialist
production, trade, portable wealth and the collective
solidarity of urban societies.
References
ALCOCK 1987 = L. ALCOCK, Economy, Society and Warfare
among the Britons and Saxons, Cardiff 1987.
BARBER 1981 = J. W. BARBER, Excavations at Iona, 1979, in
Proceedings of the Society of Antiquaries of Scotland, 111,
1981, pp. 282-380.
BARLEY 1964 = M.W. BARLEY, The Medieval Borough of Torksey: Excavations, 1960-2, in AntJ, 44, 1964, pp. 165-187.
BARROWMAN, BATEY, MORRIS 2007 = R. BARROWMAN, C.E.
BATEY, C.D. MORRIS, Excavations at Tintagel Castle,
Cornwall, 1990-1999, London 2007.
BLACKBURN 2004 = M. BLACKBURN, The Coinage of Scandinavian York, in R.A. HALL, DW RALLASON, M. BLACKBURN, D.N. PARSONS, G. FELLOWS-JENSEN, A.R. HALL,
H.K. KENWARD, T.P. O’CONNOR, D. TWEDDLE, A.J. MAINMAN, N.S.H. ROBERTS, Aspects of Anglo-Scandinavian
York, 2004, pp. 325-349.
BLINKHORN 2002 = P. BLINKHORN, The Anglo-Saxon pottery,
in S. FOREMAN, J. HILLER, D. PETTS, Gathering the people, settling the land. The Archaeology of a Middle
Thames Landscape – Anglo-Saxon to post-medieval, Oxford 2002, p. 35.
BLINKHORN 2009 = P. BLINKHORN, Ipswich Ware, in D.H.
EVANS, C. LOVELUCK (edd.), Life and Economy at Early
Medieval Flixborough, c. AD 600-1000. Excavations at
Flixborough, II, Oxford 2009, pp. 357-363.
BOURKE 2007 = C. BOURKE, The Monastery of Saint Mo-Choí
of Nendrum: The Early Medieval Finds, in T. MCERLEAN,
N. CROTHERS, Harnessing the Tides. The Early Medieval
Tide Mills at Nendrum Monastery, Strangford Lough,
Belfast 2007, pp. 406-421.
CAMPBELL 2009 = J. CAMPBELL, Aspects of Nobility and Mobility in Anglo-Saxon Society, in P. COSS, C. TYERMAN
(edd.), Soldiers, Nobles and Gentlemen. Essays in Honour of Maurice Keen, Woodbridge 2009, pp. 17-31.
CARVER 2010 = M. CARVER, The Birth of a Borough. An Archaeological Study of Anglo-Saxon Stafford, Woodbridge
2010.
COATSWORTH, PINDER 2002 = E. COATSWORTH, M. PINDER, The
Art of the Anglo-Saxon Goldsmith, Woodbridge 2002.
SPECIALIST ARTISANS AND COMMODITY PRODUCERS AS SOCIAL ACTORS IN EARLY MEDIEVAL BRITAIN, C. AD 500-1066
COPE-FAULKNER 2012 = P. COPE-FAULKNER, Clampgate Road,
Fishtoft. Archaeology of a Middle Saxon Island Settlement
in the Lincolnshire Fens, Sleaford 2012.
CRADDOCK 1989 = P.T. CRADDOCK, Metalworking Techniques,
in S. YOUNGS (ed.), The Work of Angels: Masterpieces of
Celtic Metalwork, 6th to 9th Centuries AD, London 1989,
pp. 170-213.
CROPPER 2002 = C. CROPPER, The glass, in S. FOREMAN, J.
HILLER, D. PETTS, Gathering the people, settling the land.
The Archaeology of a Middle Thames Landscape - AngloSaxon to post-medieval, Oxford 2002, p. 44.
CROPPER 2003 = C. CROPPER, Glass Vessels, in A. HARDY, A.
DODD, G.D. KEEVILL, Aelfric’s Abbey. Excavations at Eynsham Abbey, Oxfordshire 1989-92, Oxford 2003, pp. 299306.
CUNLIFFE 1976 = B. CUNLIFFE, Excavations at Portchester
Castle. II. Saxon, London 1976.
CURLE 1982 = C.L. CURLE, Pictish and Norse Finds from the
Brough of Birsay 1934-74, Edinburgh 1982.
DANIELS 2007 = R. DANIELS, Aspects of lifestyle and Christian identity: the artefact evidence, in R. DANIELS, C.
LOVELUCK (edd.), Anglo-Saxon Hartlepool and the Foundations of English Christianity. An Archaeology of the
Anglo-Saxon Monastery, Hartlepool 2007, pp. 124-153
(Tees Archaeology Monograph, 3).
DAVIES 1988 = W. DAVIES, Small Worlds: The Village Community in Early Medieval Brittany, London: Duckworth
1988.
DICKINSON 1993 = T.M. DICKINSON, Early Saxon saucer
brooches, in Anglo-Saxon Studies in Archaeology and
History, 6, 1993, pp. 11-44.
DIEKAMP 1881 = W. DIEKAMP, Die Vitae sancti Liudgeri,
Münster 1881 (Geschichstquellen des Bistums Münster,
4).
EVERY, LOADER, MEPHAM 2005 = R. EVERY, E. LOADER, L.
MEPHAM, The Artefactual Evidence from the Settlement,
in V. BIRBECK (ed.), The Origins of Mid Saxon Southampton. Excavations at the Friends Provident St Mary’s Stadium 1998-2000, Salisbury 2005, pp. 111-185.
FARMER 1983 = D.H. FARMER, Bede: Lives of the Abbots of
Wearmouth and Jarrow, in D.H. FARMER (ed.), The Age
of Bede, Harmondsworth 1983, pp. 183-208.
FLEMING 1993 = R. FLEMING, Rural Elites and Urban Communities in Late-Saxon England, in Past & Present, 141,
1993, pp. 3-37.
FLEMING 2012 = R. FLEMING, Recycling in Britain after the
Fall of Rome’s Metal Economy, in Past & Present, 217,
2012, pp. 3-36.
FOX 1955 = A. FOX, Some evidence for a Dark Age trading
site at Bantham, Thurlestone, South Devon, in AntJ, 35,
1955, pp. 55-67.
GANNON 2003 = A. GANNON, The Iconography of Early
Anglo-Saxon Coinage, Sixth to Eighth Centuries, Oxford
2003.
GASKELL BROWN, HARPER 1984 = C. GASKELL BROWN, A.E.T.
HARPER, Excavations on Cathedral Hill, Armagh, 1968,
in Ulster Archaeological Journal, 47, 1984, pp. 109-161.
GELICHI, HODGES 2012 = S. GELICHI, R. HODGES (edd.), From
One Sea To Another: Trading Places in the European and
Mediterranean Early Middle Ages. Proceedings of the International Conference (Commacchio, 27th-29th March
2009), Turnhout 2012 (Seminari del Centro interuniver-
567
sitario per la Storia e l’archeologica dell’Alto Medioevo,
3).
GEM 2009 = R. GEM, Craftsmen and Administrators in the
Building of the Confessor’s Abbey, in R. MORTIMER (ed.),
Edward the Confessor: The Man and the Legend, Woodbridge 2009, pp. 168-172.
GRAHAM-CAMPBELL 1981 = J. GRAHAM-CAMPBELL, The bell
and the mould, in R. REECE (ed.), Excavations at Iona 1964
to 1974, London 1981, pp. 23-25.
GRIFFITHS 2007 = D. GRIFFITHS, Early Medieval material: AD
400-450 to 1050-1100, in D. GRIFFITHS, R.A. PHILPOTT,
G. EGAN, Meols – The Archaeology of the North Wirral
Coast, 2007, pp. 58-77.
GRIFFITHS 2010 = D. GRIFFITHS, The Vikings of the Irish Sea,
Stroud 2010.
GRIFFITHS, PHILPOTT, EGAN 2007 = D. GRIFFITHS, R.A.
PHILPOTT, G. EGAN, Meols – The Archaeology of the North
Wirral Coast. Discoveries and observations in the 19th and
20th centuries, with a catalogue of collections, Oxford 2007
(Oxford University School of Archaeology Monograph,
68).
HADLEY, RICHARDS 2013 = D. HADLEY, J.D. RICHARDS, Viking
Torksey: Inside the Great Army’s winter camp, in Current
Archaeology, 281, 2013, pp. 12-19.
HALL, ROLLASON, BLACKBURN et alii 2004 = R.A. HALL,
D.W. ROLLASON, M. BLACKBURN, D.N. PARSONS, G. FELLOWS-JENSEN, A.R. HALL, H.K. KENWARD, T.P. O’CONNOR,
D. TWEDDLE, A.J. MAINMAN, N.S.H. ROGERS, Aspects of
Anglo-Scandinavian York. The Archaeology of York, 8,
fasc. 4, York 2004.
HARDY, CHARLES, WILLIAMS 2007 = A. HARDY, B.M.
CHARLES, R.J. WILLIAMS, Death and Taxes: The Archaeology of a Middle Saxon Estate Centre at Higham Ferrers, Northamptonshire, Oxford 2007.
HAMEROW 2002 = H. HAMEROW, Early Medieval Settlements:
The Archaeology of Rural Communities, 400-900, Oxford
2002.
HILL, NICHOLSON 1997 = P. HILL, A. NICHOLSON, Moulds, Crucibles and Related Metalworking Debris, in P. HILL,
Whithorn and St Ninian. The Excavation of a Monastic
Town, 1984-91, Stroud 1997, pp. 400-404.
HILLS, RICKETT, PENN 1995 = C. HILLS, R. RICKETT, K. PENN,
Early Saxon objects of copper alloy, in R. RICKETT, The
Anglo-Saxon cemetery at Spong Hill, North Elmham, VII,
The Iron Age, Roman and Saxon settlement, East Anglian
Archaeology, 73, 1995, pp. 74-76.
HINTON 1998 = D.A. HINTON, Anglo-Saxon Smiths and Myths,
in Bulletin of the John Rylands Library, 80, 1, 1998, pp.
3-21.
HINTON 2000 = D.A. HINTON, A Smith in Lindsey: The AngloSaxon Grave at Tattershall Thorpe, Lincolnshire, Leeds
2000 (Society for Medieval Archaeology Monograph, 16).
HODGES 1982 = R. HODGES, Dark Age Economics: The Origins of Towns and Trade, AD 600-1000, London 1982.
HODGES 2000 = R. HODGES, Towns and Trade in the Age of
Charlemagne, London 2000.
HODGES 2012 = R. HODGES, Dark Age Economics: A New
Audit, London 2012.
HOLST 2004 = M.K. HOLST, Complicated Relations and Blind
Dating: Formal Analysis of Relative Chronological Structures, in C.E. BUCK, A.R. MILLARD (edd.), Tools for Constructing
Chronologies:
Crossing
Disciplinary
Boundaries, London 2004, pp. 129-147.
568
CHRISTOPHER LOVELUCK
HOOKE 1981 = D. HOOKE, Anglo-Saxon landscapes of the West
Midlands: the charter evidence, Oxford 1981 (BAR British
series, 95).
HOPE-TAYLOR 1958 = B. HOPE-TAYLOR, Berkshire: Old Windsor, in MedievA, 2, 1958, pp. 183-185.
HOPE-TAYLOR 1977 = B. HOPE-TAYLOR, Yeavering: An AngloBritish Centre of Early Northumbria, London 1977.
HUNTER, HEYWORTH 1998 = J.R. HUNTER, M.P. HEYWORTH,
The Hamwic Glass, York 1998 (CBA Research Report,
116).
HURST, HEMINGWAY 1997 = J.D. HURST, J.A. HEMINGWAY, The
excavation, in J.D. HURST (ed.), A Multi-period Salt Production site at Droitwich: excavations at Upwich, York
1997, pp. 9-67 (CBA Research Report, 107).
JACKSON 2006 = R. JACKSON, General Historical Introduction, in R. JACKSON, Excavations at St James’s Priory, Bristol, Oxford 2006.
KELLY 2000 = F. KELLY, Early Irish Farming – a study based
mainly on the law-texts of the 7th and 8th centuries AD,
Dublin 2000.
KING 2009 = H. KING, The economy and industry of early
medieval Clonmacnoise: a preliminary view, in N. EDWARDS (ed.), The archaeology of the early medieval Celtic
churches, Leeds 2009, pp. 333-349 (Society for Medieval
Archaeology Monograph, 29).
LAING, LONGLEY 2006 = L. LAING, D. LONGLEY, The Mote of
Mark. A Dark Age Hillfort in South-West Scotland, Oxford 2006.
LANE, CAMPBELL 2000 = A. LANE, E. CAMPBELL, Dunadd:
An Early Dalriadic Capital, Oxford 2000.
LEEDS 1936 = E.T. LEEDS, Early Anglo-Saxon Art and Archaeology, Oxford 1936.
LOVELUCK 1995 = C. LOVELUCK, Acculturation, Migration
and Exchange: the formation of an Anglo-Saxon society
in the English Peak District, AD 400-700, in J. BINTLIFF,
H. HAMEROW (edd.), Europe Between Late Antiquity and
the Middle Ages: Recent Archaeological and Historical
Research in Western and Southern Europe, Oxford 1995,
pp. 84-98 (BAR International Series, 617).
LOVELUCK 2007 = C. LOVELUCK, Rural Settlement, Lifestyles
and Social Change in the Later First Millennium AD.
Anglo-Saxon Flixborough in its Wider Context. Excavations at Flixborough, IV, Oxford 2007.
LOVELUCK 2012 = C. LOVELUCK, Central Places, Exchange
and Maritime-Oriented Identity around the North Sea
and western Baltic, AD 600-1100, in GELICHI, HODGES
2012, pp. 123-165.
LOVELUCK 2013 = C. LOVELUCK, Northwest Europe in the
Early Middle Ages, c. AD 600-1150. A Comparative Archaeology, Cambridge 2013.
LOVELUCK, SALMON 2011 = C. LOVELUCK, Y. SALMON, Exploring an early medieval harbour and settlement dynamics at Stavnsager, in Geo-archaeological dialogue
Antiquity, 85, 330, 2011, pp. 1402-1417.
LOVELUCK, TYS 2006 = C. LOVELUCK, D. TYS, Coastal Societies, Exchange and Identity along the Channel and
Southern North Sea Shores of Europe, AD 600-1000, in
Journal of Maritime Archaeology,1 (2), 2006, pp. 140169.
LUCY 2009 = S. LUCY, Local, Regional and National Contexts, in LUCY, TIPPER, DICKENS 2009, pp. 427-434.
LUCY, TIPPER, DICKENS 2009 = S. LUCY, J. TIPPER, A. DICKENS, The Anglo-Saxon Settlement and Cemetery at Blood-
moor Hill, Carlton Colville, Suffolk, Cambridge 2009
(East Anglian Archaeology, 131).
MACGREGOR 1985 = A. MACGREGOR, Bone, Antler, Ivory and
Horn, London 1985.
MAINMAN, ROGERS 2004 = A. MAINMAN, N.S.H. ROGERS,
Craft and Economy in Anglo-Scandinavian York, in HALL,
ROLLASON, BLACKBURN et alii 2004, pp. 459-487.
MAY, WEDDELL 2002 = J. MAY, P. WEDDELL, Bantham: A Dark
Age Puzzle, in Current Archaeology, 15, 2002, pp. 420422.
MCCORMICK 2007 = M. MCCORMICK, Where Do Trading
Towns Come From? Early Medieval Venice and the Northern Emporia, in J. HENNING (ed.), Post-Roman Towns,
Trade and Settlement in Europe and Byzantium. I. The
Heirs of the Roman West, Berlin 2007, pp. 41-61.
MCERLEAN, CROTHERS 2007 = T. MCERLEAN, N. CROTHERS,
Harnessing the Tides. The Early Medieval Tide Mills at
Nendrum Monastery, Strangford Lough, Belfast 2007.
METCALF 2003 = D.M. METCALF, Sceattas, in A. HARDY, A.
DODD, G.D. KEEVILL, Aelfric’s Abbey. Excavations at Eynsham Abbey, Oxfordshire 1989-92, Oxford 2003, pp. 248249.
MINTER, PLOUVIEZ, SCULL 2014 = F. MINTER, J. PLOUVIEZ, C.
SCULL, Rendlesham Rediscovered, in British Archaeology,
137, 2014, pp. 50-55.
MORELAND 2000 = J. MORELAND, The Significance of Production in Eighth-Century England, in I.L. HANSEN, C.
WICKHAM (edd.), The Long Eighth Century: Production,
Distribution and Demand, Leiden 2000, pp. 69-104.
MORRIS 1995 = C.D. MORRIS, Birsay: An Orcadian Centre
of Political and Ecclesiastical Power: A Retrospective
View on the Work of the 1970s and 1980s, in Studia
Celtica, 29, 1995, pp. 1-29.
NAYLOR 2004 = J. NAYLOR, An Archaeology of Trade in Middle Saxon England, Oxford 2004 (BAR British Series,
376).
NIGHTINGALE 1995 = P. NIGHTINGALE, A Medieval Mercantile Community: The Grocers’ Company and the Politics
and Trade of London, 1000-1485, Yale 1995.
O’CONNOR 2004 = T.P. O’CONNOR, Animal Bones from AngloScandinavian York, in HALL, ROLLASON, BLACKBURN et
alii 2004, pp. 427-445.
O’SULLIVAN, MCCORMICK, KERR et alii 2014 = A. O’SULLIVAN, F. MCCORMICK, T.R. KERR, L. HARNEY, Early Medieval Ireland AD 400-1100. The Evidence from
Archaeological Excavations, Dublin 2014.
OTTAWAY 1992 = P. OTTAWAY, Anglo-Scandinavian Ironwork
from Coppergate. The Archaeology of York, 17, fasc. 6,
York 1992.
PALMER 2003 = B. PALMER, The Hinterlands of Three Southern English Emporia: Some Common Themes, in T.
PESTELL, K. ULMSCHNEIDER (edd.), Markets in Early Medieval Europe: Trading and Productive Sites, 650-850,
Macclesfield 2003, pp. 48-60.
POWLESLAND 2000 = D. POWLESLAND, West Heslerton Settlement Mobility: A Case Study of Static Development, in
H. GEAKE, J. KENNY (edd.), Early Deira: Archaeological
Studies of the East Riding in the Fourth to Ninth Centuries AD, Oxford 2000, pp. 19-26.
POWLESLAND 2003 = D. POWLESLAND, The Heslerton Parish
Project: 20 Years of Archaeological Research in the Vale
of Pickering, in T.G. MANBY, S. MOORHOUSE, P. OTTAWAY
(edd.), The Archaeology of Yorkshire: An Assessment at
SPECIALIST ARTISANS AND COMMODITY PRODUCERS AS SOCIAL ACTORS IN EARLY MEDIEVAL BRITAIN, C. AD 500-1066
the Beginning of the 21st Century, Leeds 2003, pp. 275291.
RAHTZ, MEESON 1992 = P. RAHTZ, R. MEESON, An AngloSaxon Watermill at Tamworth. Excavations in the Boleridge Street area of Tamworth, Staffordshire in 1971 and
1978, London 1992 (CBA Research Report, 83).
REDKNAP 2000 = M. REDKNAP, The Vikings in Wales: An Archaeological Quest, Cardiff 2000.
RYNNE 1998 = C. RYNNE, The Craft of the Millwright in Early
Medieval Munster, in M. MONK, J. SHEEHAN (edd.), Early
Medieval Munster: Archaeology, History and Society,
Cork 1998, pp. 87-101.
SEAVER 2010 = M. SEAVER, Against the Grain: Early Medieval
Settlement and Burial on the Blackhill – Excavations at
Raystown, Co. Meath, in C. CORLETT, M. POTTERTON
(edd.), Death and Burial in Early Medieval Ireland,
Dublin 2010, pp. 261-279.
SILVESTER 1981 = R.J. SILVESTER, An Excavation on the PostRoman Site at Bantham, South Devon, in Proceedings of
the Devon Archaeological Society, 39, 1981, pp. 89-118.
TESTER, ANDERSON, RIDDLER et alii 2014 = A. TESTER, S. ANDERSON, I. RIDDLER, R. CARR, Staunch Meadow, Brandon,
Suffolk. A High Status Middle Saxon Settlement on the Fen
Edge, Bury St. Edmunds 2014 (East Anglian Archaeology, 151).
THOMAS 1958 = C. THOMAS, Gwithian: Ten Years’ Work
(1949-1958), Gwithian 1958.
THOMAS 2011 = G. THOMAS, Bishopstone and Lyminge, in
British Archaeology, 119, 2011, pp. 42-47.
TINNISWOOD, HARDING 1991 = A. TINNISWOOD, A. HARDING , Anglo-Saxon occupation and industrial features
in the henge monument at Yeavering, Northumberland,
in Durham Archaeological Journal, 7, 1991, pp. 93108.
569
TIPPER 2004 = J.B. TIPPER, The Grubenhaus in Anglo-Saxon
England: An Analysis and Interpretation of the Evidence
from a Most Distinctive Building Type, Yeadingham 2004.
TIPPER 2009 = J.B. TIPPER, The Settlement Remains, in LUCY,
TIPPER, DICKENS 2009, pp. 38-169.
VINCE, YOUNG 2009 = A. VINCE, J. YOUNG, The Anglo-Saxon
Pottery from Flixborough within the Context of the East
Midlands of England, in D.H. EVANS, C. LOVELUCK (edd.),
Life and Economy at Early Medieval Flixborough, c. AD
600-1000. Excavations at Flixborough, II, Oxford 2009,
pp. 392-401.
WALTON ROGERS 1997 = P. WALTON ROGERS, Textile Production at 16-22 Coppergate. The Archaeology of York,
17, fasc. 11, York 1997.
WATTS, RAHTZ 1985 = L. WATTS, P. RAHTZ, Mary-Le-Port,
Bristol. Excavations 1962/3, Bristol 1985.
WEBB 1965 = J. WEBB, Eddius Stephanus: Life of Wilfrid, in
D.H. FARMER (ed.), The Age of Bede, Harmondsworth
1983, pp. 105-182.
WEBSTER 1993 = L. WEBSTER, The brooch mould, in H.
HAMEROW, Excavations at Mucking. II. The Anglo-Saxon
Settlement. Excavations by M.U. Jones and W.T. Jones,
London 1993, pp. 62-63 (English Heritage Archaeological Report, 21).
WHITELOCK 1955 = D. WHITELOCK (ed.), English Historical
Documents, c. 500-1042, London 1955.
WICKER 1994 = N. WICKER, On the trail of the elusive goldsmith, tracing individual style and workshop characteristics in Migration Period metalwork, in Gesta, 33, 1994,
pp. 65-70.
WICKHAM 2012 = C. WICKHAM, Comacchio and the central
Mediterranean, in GELICHI, HODGES 2012, pp. 503-510.
THE URBANIZATION AND DE-URBANIZATION
OF INDUSTRIAL PRODUCTION IN ENGLAND, 900-1500
Christopher Dyer
This paper sets out to answer the question: ‘What
was the importance of town and country in medieval
industrial production in England? How did the balance
between them change, and why did this happen?’
In a long term perspective medieval England seems
to have been less urbanized than its continental neighbours. Only London can be compared with the great continental cities, and it is only by taking into account
England’s large number of small towns (with populations below 2000 in the later middle ages) that England
can be rated as a society with a strong urban sector 1.
This urban element was slow to develop, as by 1100
only a hundred places had a claim to be regarded as
towns. Yet in the nineteenth century Britain (as it had
become) can be regarded as intensively urban, with a
majority of its population living in large cities. This was
associated with the industrial revolution, in which
Britain led the world in mechanization of industry, factories, transport, marketing and the exploitation of an
overseas empire.
Urban and industrial growth were not always closely
linked in eighteenth – and nineteenth – century Britain,
when much industry was located in the countryside. In
our own post-industrial age, the early textile factories
and iron forges have become tourist attractions, and we
enjoy visiting these memorials of an industrial past in
beautiful rural settings. In the middle ages also England’s
industries grew in both town and country, and it is the
complex interaction between these alternative locations
of production that will be treated here. Firstly to set the
scene, the phases of urbanization of manufacture between the tenth and the thirteenth centuries will be
traced, followed by the late medieval growth of rural
1
PALLISER 2000, pp. 3-4; DYER 2002, pp. 1-24.
industry. Then the main substance of the paper will consist of an analysis of why industries grew in different
environments: what were the attractions of towns for
manufacturers? What advantages did rural producers
enjoy? The concluding section will emphasize the interdependence of town and country and discuss the role
of the consumer.
Industry in town and country: change over time
This contribution begins after the demise of the wics
or emporia, that is the urban settlements such as
Hamwic and Lundenwic in which many crafts were
practised in dense settlements with wide trading links.
These settlements declined in the ninth century, and new
towns grew on sites which would become some of the
major urban centres of medieval and modern times:
London, Winchester, York, Lincoln, Norwich and many
others. The precise chronology of the expansion of these
urban settlements within the period 900 to 1300 is not
known, with some scholars seeing growth in the tenth
century, and others emphasizing the eleventh 2. Everyone recognizes the rapid expansion of the thirteenth century, when London reached 80,000-100,000, and at least
200 new towns were founded. Possibly a million people (out of a national total of 5-6 million) were living
in towns, large and small, in c. 1300. Many of these
people were making things, at least for part of their
working lives, or as part-time workers. When we can
list the occupations recorded for individuals involved
in property transactions or holding land or a house, we
gain some idea of the proportion of different crafts and
2
ASTILL 2000, pp. 34-49.
572
CHRISTOPHER DYER
horners and leather workers.
Large numbers of goat horn
cores for example are the
Agriculture
1
clues that shoemakers were
Food and drink
20
Cloth/wool
15
using goat skins, some of
Clothing
9
which came ultimately from
Leather
15
Cordova in Spain 3. Offcuts
Metal
6
and other discarded pieces of
Building
8
Mercantile
3
leather from waterlogged deClerical/Administrative
18
posits reveal the presence of
Miscellaneous
5
shoemakers and those makTOTAL
100
ing knife sheaths and saddles.
Pieces of cut and carved bone
Notes: the Coventry list includes woodworkers in the ‘artisan’ category, and ‘textiles’ includes those
show that bone knife handles
who made clothing (Sources: KEENE 1985, pp. 352-365; GODDARD 2004, p. 161).
and other artefacts such as
Table 1. - Analysis of occupations (percentages) in two large towns, based on a variety of records,
combs were being manufacmainly deeds conveying urban property.
tured, though these specialists
are scarcely recorded in doctrades (table 1). In the case of Winchester and the
uments. And so we could continue through the metalsmaller city of Coventry three-quarters of those with
working residues, the slag, hammer scale, crucible
recorded occupations were involved in a variety of manfragments, splashes from once molten metal, the moulds
ufactures. The sample of people with named occupaused by those casting bells, cooking pots and belt bucktions is of course biased towards the better off – those
les from copper alloy. Less frequently encountered eviwith property, which suggests that an even higher prodence, but especially valuable, comes from the excavated
portion of the people as a whole gained their living in
hearths, forges, kilns and workshops which can be idensome form of industry. The workers were specialized
tified as the sites of industrial processes. Comparison bein the sense that each was described in specific terms,
tween rural and urban finds can tell us something of the
with each branch of clothmaking, for example, carefully
migration of industries from country to town. Finds of
distinguished among weavers, fullers, dyers, shearmen
loom weights show that vertical looms were working in
and so on, but each town contained a mixture of trades
the countryside prior to the growth of towns 4. They disand can only be described as having an unspecialized
appear from rural sites, but do not form a major element
economy. Usually the largest group were those preparamong urban finds because the move of cloth making
ing and selling food and drink, such as bakers, brewers
into the towns was accompanied by the adoption of the
and butchers, which in our two examples account for
horizontal loom, the wooden frame of which rarely sur20-21% of the total, but other groups of artisans each
vives. Documents reveal urban clothmaking by recordamounted to between 5 and 15%. One might expect in
ing weavers’ guilds in the twelfth century; purchases by
view of the importance of clothmaking, and its labour
the royal household of cloth from Lincoln, Gloucester,
requirements, that workers in the textile trades would
Bristol and other towns; the appearance of cloths called
account for a high proportion of craftsmen and women
‘Lincolns’ or ‘Northamptons’ on the continent in the
in both Coventry and Winchester, but they accounted
thirteenth century; and references to various types of
for no more than 15% of the recorded occupations.
cloth merchant 5.
The archaeological evidence reflects the variety and
The most striking evidence comes as usual from ceintensity of craft activities in towns because of the acramics. Small-scale pottery making, using unsophisticumulations of detritus from industrial production - rubcated technology was widespread in the countryside
bish pits and middens contain the discarded bones and
before the ninth century. After 850 towns such as Thethorn cores which reveal the former presence of butchers,
ford, Leicester and Stamford, and even in the west at
Winchester (Hampshire), occupations
recorded before 1300 (N = 197)
3
4
NODDLE 1985, pp. 84-94.
KEENE 1990, pp. 203-207.
Coventry (Warwickshire), occupations
recorded 1200-1299 (N = 628)
Food and drink
21
Textiles
15
Leather and fur
12
Metal
15
Building
4
Distributive
5
Religion/Administrative
11
Service
9
Artisans
8
TOTAL
100
5
MILLER, HATCHER 1995, pp. 93-127.
THE URBANIZATION AND DE-URBANIZATION OF INDUSTRIAL PRODUCTION IN ENGLAND, 900-1500
573
Stafford, were making high quality pots, which were
wheel made and fired in a kiln. Stamford ware represents
a complete break from tradition, as it was well made and
colourfully glazed, apparently as the result of a transfer
of technology from the continent 6.
Small copper alloy artefacts were being made on rural sites such as the high status residence at Faccombe/Netherton in Hampshire in the tenth century, but
in the towns came mass production of metal work, well
represented by the crucibles, slag and other copper working residues from the densely settled urban site at Coppergate in York 7. A high volume fishing industry
developed around 1000, stimulated by demand from a
growing urban population. Eleventh-century fish processing in towns is visible in the archaeological evidence, and a trade in preserved fish can be assumed
from documents relating to such towns as Dunwich
(Suffolk) in the same period 8.
Rural archaeology reveals the connections forged between town and country when industry was urbanized.
The distinctive type of pottery known as Thetford ware
is found throughout the county of Norfolk, at more than
a thousand find spots 9. Stamford ware is spread over a
large area of the east midlands. Some of the largest towns
of the tenth and eleventh centuries lay in East Anglia,
and were connected to a dense rural population, some
of whom enjoyed considerable prosperity. Numerous
pieces of metalwork, such as the fittings and ornaments
once attached to belts, are now found in quantity by
metal detectorists in fields which were also used as agricultural land in the early middle ages 10. These artefacts
were of urban manufacture, and then traded into the
country; after use by peasants they were incorporated
in the middens containing household rubbish, and
spread on the fields in cartloads of manure.
Not all industries were concentrated in towns. Of
course many minerals were only available at specific
rural locations, and the metal ores (iron, lead and tin)
were dug out of the ground by country people and often
smelted near the mines. Limestone was also extracted
in convenient rural locations, in order to be burnt to make
lime, and salt was made by evaporating sea water.
Sources of energy such as coal and turf (peat) were extracted, sometimes in quite remote rural locations, to
use in these processes. The fuel was also carried to
towns, preferably by water as that form of transport was
cheaper. It was burnt in domestic fires, but a major use
was in urban crafts such as metal working. Building
stone came from rural quarries, though masons who were
based in towns might on occasion travel to the sources
of the stone to cut and prepare it for the building.
Crafts could be placed conveniently near to the rural
consumers, for example in the case of bakers and brewers, who plied their trades in both town and country. A
scatter of smiths served rural customers who needed the
convenience of having their horses shod and their implements repaired near to their villages. Even during the
process of urbanization, some industries were growing
in the country. Rural potters are recorded in Domesday
Book (1086), and they proliferated in the twelfth and
thirteenth centuries.
Nonetheless as towns became more numerous and
populous, a high proportion of their inhabitants worked
in industries. While their richest inhabitants, merchants,
distributed goods rather than making them, and in many
towns such as Winchester clergy, administrators, and
those employed in the service sectors accounted for a
sizeable and very influential proportion of the town
dwellers, participation in crafts gave most people a living (table 1). Even in the capital, where trading, administrative and service employment were most
developed, industry still gave employment to 60% of
the population in the later middle ages, and the proportion is unlikely to have been any smaller before
1300 11. The mass of artefacts found in rubbish dumps
in excavations along the Thames waterfront from the
high and later middle ages included many metal, leather,
wooden and bone objects made by Londoners working
within 2km of the place where they were deposited.
The opposite trend, the de-urbanization of industry
as it is called in my title, can be observed at the same
time as the later phases of urban growth. In reviewing
the history of urban clothmaking reference has already
been made to the types of English cloth which were identified by continental merchants by their place of manufacture, such as ‘Lincolns’. These ‘brands’ were fading
in importance even in the late thirteenth century, and
disappear from view on the continent in the early four-
BLINKHORN 2013; CARVER 2010, pp. 76-93.
FAIRBROTHER 1990, pp. 244-272; BAYLEY 1992, pp. 746-818.
8
DARBY 1977, p. 285; BARRETT 1997; BARRETT, LOCKER, ROBERTS 2004; ORTON, MORRIS, LOCKER et alii 2014.
9
Information from the Norfolk Historic Environment Record
(Alice Cattermole).
10
THOMAS 2000, pp. 237-255.
11
BARRON 2004, pp. 64-76.
6
7
574
CHRISTOPHER DYER
teenth 12. Urban clothmaking did not cease, as the large
home market for textiles continued to be supplied by
English-made cloth, much of it woven and finished in
towns. Salisbury was known consistently through the
whole late medieval period as a textile centre, and newcomers to the craft, notably Colchester and Coventry,
expanded in the fourteenth century only to fade in the
late fifteenth and sixteenth 13.
The dissemination of the rural cloth industry can be
traced by plotting references to fulling mills, the first
of which appear in the second half of the twelfth century, and which were through the following century
spread over the whole country. They appear more often
in the western regions, which encouraged historians in
the past to suggest that clothmaking as a whole was attracted to hilly areas where the water flowed swiftly and
could be harnessed to power the mills. Now more fulling
mills have been identified in the east, such as in the
county of Suffolk 14. Fulling, though visible because it
required investment in machinery, cannot be regarded
as the most important part of the clothmaking process.
Some types of cloth, such as worsted, did not require
fulling; the process could be done by hand or foot in
the traditional way; only woollen cloth was fulled,
which makes the important linen industry more difficult to find in the records. Finally our source of information is provided by the records made by and for the
lords of landed estates, as often the lords built the mills
in order to profit from the tolls that clothmakers paid
for using the machinery. Many of the mills yielded
modest sums, suggesting that lords with unprofitable
manors sought to increase their revenues wherever possible, even if the rewards were meagre. Another factor
that deprived them of profit was the frequent evasion
of toll payment by the clothmakers. Some fulling mills
were built not by lords but by enterprising cloth makers and middle men, and these tend to escape mention
in the documents 15. The mills and their profits are therefore an imperfect guide to the most industrialized areas,
or the output of cloth.
Despite these problems of interpreting evidence, if
the information about fulling mills is assembled, together
with references to artisans pursuing occupations such
as weaving; records of the digging of fullers’ earth; lists
of possessions which include implements used in tex-
tile working; and lengths of cloth apparently intended
for sale; the spread of clothmaking can be traced over
a number of regions. Towards the end of the middle ages
the types of cloth were identified by the name of the
district in which they were made, and we find ‘westerns’ from Wiltshire and Somerset, and ‘stroudwaters’
from south Gloucestershire. Clothmaking was associated with villages and hamlets in such districts, but also
in small towns such as Coggeshall in Essex and Sudbury in Suffolk. From the second half of the fourteenth
century English country cloth was being exported to the
continent, and in the following century it was being sold
in great quantities to consumers from the Baltic to the
Mediterranean.
Pottery making was growing in the countryside from
the late eleventh century, but especially in the late twelfth
and thirteenth centuries. Pots were still being made in
towns, such as Stamford, Coventry, Ely and Nottingham,
but their output was overshadowed by the groups of country potters who established themselves in villages and
hamlets throughout the country. Their place of manufacture can be precisely identified by geological analysis of the fabrics, and this scientific evidence can often
be matched by documentary references to potters or
rents paid for access to fuel or clay. The wares are now
known to archaeologists by the names of the settlements
or districts in which the kilns were located: Grimston
ware in west Norfolk, Staxton ware in east Yorkshire,
Minety ware in north Wiltshire, Chilvers Coton ware in
north Warwickshire, and ‘Malvernian’ pottery in Worcestershire are among dozens of types of pottery named after
rural manufacturing centres found throughout England 16.
These potteries enjoyed no monopoly in their region, and
judging from the mixture of sherds from three or four
different kilns found in rural settlements the potters were
competing with one another. They satisfied the needs of
the rural consumers, but were also traded in towns, so
that even in a town with its own pottery industry, such
as Coventry, most of the pots found in excavations came
from the country.
Other industries based in the country could include
the tanning of leather, and the ‘tawing’ of skins such as
those of sheep, dogs and rabbits. Such industries are also
found in towns, or rather on their outskirts, and often
there was much movement of skins and leather back and
12
14
13
15
MUNRO 1997, pp. 116-119.
BRITNELL 1986, pp. 54-85, 163-189; GODDARD 2004, pp.
223-233.
16
HOLT 1988, pp. 152-158; BAILEY 2009, pp. 13-20.
LANGDON 2004, pp. 218-221.
MCCARTHY, BROOKS 1988, pp. 73-76.
THE URBANIZATION AND DE-URBANIZATION OF INDUSTRIAL PRODUCTION IN ENGLAND, 900-1500
forth between country and town. The raw hides were carried from the butchers’ shambles in the towns to the country tanners, and the treated leather went back to supply
the shoemakers and others 17. Similarly building materials and building workers often originated in the country, but travelled to both urban and rural building sites.
Historians of the medieval and early modern periods
often speculate about the numbers of people who were
pursuing occupations outside agriculture. A high figure
for non-agrarian workers – such as one in excess of 30%,
would suggest levels of agricultural productivity sufficient to feed a considerable number who were not involved in cultivation, as well as the peasant producers
themselves. A high proportion of artisans, traders, professionals and others engaged in ‘secondary’ or ‘tertiary’
occupations was a sign of a more complex and sophisticated economy 18. In late medieval England (specifically in the period 1380-1525) in the more dynamic
counties such as Suffolk the proportion of town dwellers
exceeded 20% and even 25%, and adding industrial
workers in the countryside would raise the total to a third
or more. In counties such as Leicestershire where the
rural economy was based on cereal cultivation the urban
percentage was quite low and rural crafts few, so the nonagrarian total would have been below 20%. The national
percentage of those employed mainly outside agriculture could well have exceeded 30%. Such calculations
cannot take into account the part-time nature of much
industrial employment, which was often concentrated in
particular seasons, or which filled the gaps in the agrarian routine. We always count the occupations of adult
male heads of households because they were most commonly recorded, but whole families were not always following the same trade. Many women had their own
part-time occupations such as spinning, brewing and
cheese making, and some worked more continuously in
a separate trade, in cloth making for example 19.
Why were industries located in towns?
Towns were nodal points in the economy in which
people and wealth were concentrated. They were
densely populated, and the labour force was constantly
replenished by migrants from the countryside, or even
KOWALESKI 1995, pp. 300-307.
WRIGLEY 2002, pp. 225-228.
19
MCINTOSH 2005, pp. 123-124, 145-150, 190-202, 210-225.
575
from overseas. Towns had developed infrastructures to
facilitate trade and industry. Houses had sufficient space,
either within the main structure or in back yards, for
storage of materials and for workshops. Market places,
fair grounds, stalls and selds (rows of shops) enabled
trade to be conducted conveniently and efficiently.
Every town was served by roads radiating in a number
of directions, and if possible access to water transport.
They were often sited near to important sources of raw
materials, such as the coal mines that gave Newcastleon-Tyne much prosperity, or the lead mines which benefited towns in Derbyshire such as Wirksworth. Many
towns had a large area of woodland close by, mainly as
a source of fuel but also for timber for building and industries such as making barrels or carts. A few towns
could obtain raw materials near their centres, such as
Droitwich’s brine wells, on which the town’s dominant
industry of salt-making depended 20. The limestone quarries under and around Walsall, together with an abundant supply of nearby coal, helped to make the town a
regional centre for lime burning 21. At Crawley in Sussex iron ore was mined very near the town, and was
then smelted in furnaces within a short distance of the
main street 22.
In towns capital could be obtained in order to finance
industrial buildings and equipment, but more important
(because much of medieval industry did not require
large amounts of capital) towns were often the homes
of entrepreneurs and middlemen, who could coordinate
the activities of workers (such as the different processes
in cloth making), and connect the artisans to the markets for their products. These traders are difficult to identify, though the use of the occupational name of
‘monger’ sometimes helps - an ‘ironmonger’ bought bars
of iron, both imported and produced in England, and
sold them to smiths, and a woolmonger, also called a
woolman or ‘brogger’ bought wool at market or from
the owners of sheep flocks, and sold it to other traders
or to those making cloth. Sometimes people bearing an
occupational description which suggests that they
worked as artisans were also dealing in raw materials.
A baker might buy and sell grain for example, or a shoemaker would buy more leather than was needed for his
own workshop and sell to other shoemakers. For those
manufactures which were intended for trade over long
HURST 1997, pp. 1-4, 32-43.
WRATHMELL, WRATHMELL 1981-1982, pp. 103, 105.
22
HAMMOND 2011.
17
20
18
21
576
CHRISTOPHER DYER
distances, or overseas, the merchants with the expertise, contacts and capital needed for long distance trade
were based in the larger towns. Large quantities of tin
were mined and smelted in Devon and Cornwall, but it
was London merchants who funded the extraction
process and transferred the metal to London. In London also pewterers made vessels that continental and
English merchants sold abroad. In short the merchants
applied their economic muscle to dominate both tin
mining and the trade in pewter 23.
Towns were also a source of social capital, containing networks of people who could trade with each other,
form partnerships, or share craft work. Although it is
rarely revealed explicitly, we are aware that building
work would often be coordinated by a mason or carpenter, who would know the various specialists who
could be brought in to do the roofs or the glazing or
plumbing. Towns were also centres of skill and training. Here whether through formal apprenticeships, or
more often by acquiring skills and experience in a period of service (‘learning on the job’ as we would now
say) a pool of useful trained workers was available.
Various types of school gave a section of the workforce
the ability to read and sometimes write in English, and
to keep financial records 24.
Towns could be promoters of innovation, having the
external contacts to pick up ideas, and providing the environment in which new methods could be applied. A
striking example of this has already been mentioned,
which was the revolution in ceramics at Stamford in Lincolnshire around 900 which appears to have resulted
from the migration to the town of a potter from Huy (in
modern Belgium) who brought with him methods of
glazing and firing which produced a very superior ware.
In a later period as a result of contacts between mariners
and shipwrights in northern Europe and the Mediterranean, ships were designed with two or three masts,
lateen sails, and carvel built hulls, making them more
manoeuvrable but above all better able to make headway against unfavourable winds 25. In clothing and shoes
artisans were faced with constant advances in fashion,
though archaeological studies of shoes in provincial
towns report variations in willingness to adapt. Sometimes fashions in footware can be shown to have been
changing in line with ‘the London look’ in the fourteenth
HATCHER 1977, pp. 43-88, 104-110.
PARKES 1991; BRITNELL 1997, pp. 6-7.
25
KILMURRY 1980; FRIEL 1995, pp. 157-180.
26
FLETCHER, MOULD 2010, pp. 141-152.
and fifteenth centuries, while the shoemakers of Peterborough in the midlands were slower to adopt new
styles 26.
In a large town in which a number of workers were
producing similar goods the consumer could expect that
quality would be maintained, sometimes because of
systems of inspection, and through marking of items
(knives and pewter for example) so that any shoddy
workmanship could be traced back to individuals. In
such towns there was more chance that workers in crafts
served some form of apprenticeship. Town authorities
would take an interest in keeping standards high, as certain commodities would be associated with a particular
town, compelling the leading townspeople in Bristol in
1407 to regulate the dyeing of cloth, lest the reputation
of the town’s textiles be tarnished 27. One might expect
the same sort of concerns among the leading figures in
small towns which had a distinctive product that carried the name of the place of manufacture, such as the
knives made in the small Essex town of Thaxted 28. One
should add that there were practical and cost advantages
in having the various branches of a manufacturing
process living in close proximity. Cloth, once woven,
could be transferred to the fullers and then the dyers
who would be living and working within a few yards
of one another. At the end of the process the drapers
and clothiers living nearby would be taking the cloth
for sale.
A final point is to emphasize the role of the larger
towns in the luxury trades. The archaeological evidence
from the early middle ages shows traces in towns of
high quality metal working, including the use of precious metals, and the making of glass vessels and window glass. In the later middle ages a single goldsmith
is recorded in a number of small market towns, but it
was the larger centres that provided a living for artisans
who were clearly catering for a wealthy elite 29. Goldsmiths, whose main trade must have been making silver plate, and the armourers and furbishers, both of
which crafts manufactured, sold and maintained protective armour would have been patronized by the aristocracy. Churches and clergy had the money to buy the
products of those who cast bells and made organs, both
of whom are found only in large towns 30. Building
workers who specialized in skills most often used for
23
27
24
28
29
30
BICKLEY 1900, II, pp. 81-89.
KEENE 1995, pp. 234-235.
DYER 2011, pp. 217-238.
LAUGHTON, JONES, DYER 2001, pp. 337, 344-345.
THE URBANIZATION AND DE-URBANIZATION OF INDUSTRIAL PRODUCTION IN ENGLAND, 900-1500
churches, castles and the houses of the wealthy –
glaziers and plumbers – are most frequently encountered
in the larger centres. Some products, notably cooking
pots cast from copper alloy, were bought by all sections
of society, but these expensive items were purchased so
infrequently by ordinary households that only the extended hinterlands of the major towns and cities generated enough demand to keep a foundry in business 31.
Only the aristocracy, clergy and wealthier townsmen
were able to afford commemoration on a brass plate incised with an image of the dead person fixed to a specially prepared slab of high quality stone. The ‘marblers’
who created these monuments in the fourteenth and fifteenth centuries were concentrated in London, but could
also be found in such major provincial towns as Norwich and Coventry 32. Some makers of clothing, fur linings and leather work, such as tailors, skinners and
saddlers, might have supplied people at all social levels, but the specialized, high quality and expensive
products aimed at the wealthy were no doubt made by
those members of these crafts who operated from bases
in London and the greater regional towns. This concentration of luxury trades reflected the tendency of the
better-off consumers to satisfy all of their requirements
in large towns. There was also a close relationship between those making expensive consumer items and the
use of imported raw materials, such as metals (silver
and copper) and furs which came though the major
ports, notably London.
The advantages of rural industry
We should not idealize towns or exaggerate the advantages that they offered to those working in industry.
Towns could be restrictive places, with oppressive oligarchic governments. Inspections systems could be
used, not to protect the consumer but to advance the interests of the merchants. Each craft could become entrenched in protecting its own interests, and quarrelled
with the people who could have been helpful collaborators. Attempts were made for example to stop shoe
makers tanning leather 33. Far from being centres generating new ideas, towns were full of vested interests
resisting changes which they regarded as threats. The
decline of urban clothmaking around 1300 may have
31
32
DALWOOD, EDWARDS 2004, pp. 105-110.
NORRIS 1977, I, pp. 132-153, 177-195.
577
been the result of a failure to make changes in design
and quality to meet consumer demand. Towns were expensive places to live, as townspeople had to pay high
rents, taxes and tolls, and charges for basic services such
as a water supply, and this meant that labour costs drove
up the prices of town manufactures.
The argument that privileged towns enjoyed a freedom which encouraged enterprise is therefore unconvincing. Lords exercised power over their rural tenants,
through the institutions of serfdom, customary tenure,
and rights of jurisdiction, but that did not mean that they
prevented their peasants from participating in industry.
A potting industry was recorded in 1234 in the hamlet
of Crockerton on the manor of Longbridge Deverill on
the estate of a strong lord, the Benedictine monastery
of Glastonbury Abbey. The Abbey allowed the potters
to work, and have access to clay and fuel, provided that
they paid for the privilege: a list of rents from 13 tenants for taking clay totalled 3s. 10d., and charges for
wood fuel came to 6s. 3½d., making 9d. per potter 34.
This was a nuisance for the potters to pay, but did not
prevent them from working. Artisans based in towns
would have paid much more for their materials.
In general lords did not discourage industrial growth
among their tenants, and hoped to make some profit from
it. They built fulling mills, not in order to initiate and
promote new clothmaking industries, but because they
saw weaving going on among the villagers on their estates, and hoped to make money from the charges paid
to use the mill.
Rural society was capable of providing a flexible
work force, consisting of many smallholding peasants
who needed to gain income outside agriculture. They
had spare time because cultivating a holding containing less than 2 hectares occupied the peasant family for
only a few weeks of work each year, and its produce
was not enough to feed a family. In districts with a concentration of smallholders there was insufficient paid
agricultural work from better-off peasants and lords’
demesnes, which compelled the workers to seek employment in crafts and trades. In those parts of the country where pastoralism played a large part in the economy
– in the woodlands and on the hills – even less time
was needed for agriculture, as cultivation, and especially
the harvest, required more labour than rearing animals.
Historians of early industry have said that the work-
33
34
SWANSON 1989, pp. 53-58.
LE PATOUREL 1968, pp. 105, 123.
578
CHRISTOPHER DYER
ers pursued ‘dual occupations’ as peasants combined
agriculture with weaving or mining or smelting metals.
A better way of describing complex patterns of employment might be to adapt a French word and talk of
‘pluriactivity’ as a peasant with 2 ha. might grow crops
and work as a carpenter, while his wife brewed and sold
ale, and span yarn for clothmaking, and both would take
time in August to work in the harvest fields to take advantage of the high rate of pay prevailing in that month.
Production in the countryside followed the rhythm of
the seasons, with agricultural work predominant at
spring ploughing, haymaking and harvest, while craft
work would reach its peak in the early summer. In the
right season, workers living in the country, who in some
circumstances were very anxious to gain work to fill
gaps in their household budgets, and among whom
women and children figured prominently, would have
cost less to hire than their urban equivalents.
The rural environment could give convenient access
to materials and fuel. In woodland landscapes, such as
south Staffordshire, artisans could obtain lime bark for
rope making, oak bark for tanning, and quartz for making glass. In that region, and others, wood fuel could
be obtained in plenty, charcoal was burnt, and in certain localities mineral coal could be extracted. Take a
list of those offending against laws protecting the woods
in the Forest of Cannock (also in south Staffordshire)
in 1286, when surnames are a guide to occupation, and
we find Smith, Turner (who made cups and plates from
wood), Cooper (who made barrels), Carpenter and
Bloomer (iron smelter) 35.
A country location was more likely to have access
to streams with a strong flow of water suitable for mills,
which were applied to a number of processes, most often
to fulling but also to operating bellows in smelting
metal and in working hammers in iron forges. Water
power was applied to an iron works at Bordesley in
woodlands of north Worcestershire as the result of investment from the thirteenth century by the nearby Cistercian abbey. The mill and its associated structures
were presumably leased to an enterprising smith whose
output covered a wide range of products, including
weapons but also iron tenter hooks needed in the finishing process of woollen cloth 36.
Urban industries were often constrained by a lack of
35
BIRRELL 1969, pp. 93-96; HATCHER 1993, pp. 149-152; WELCH
1997, pp. 2-4; BIRRELL 1999, pp. 139-177.
36
ASTILL 1993.
37
DRAPER 2010, pp. 55-77.
space, which was not such a problem in the countryside. The shores of the Thames estuary, from Greenwich in the vicinity of London to the Medway and the
Isle of Sheppey km 60 to the east, were used for ship
and boat building, where the water front was available
for the assembly work, nearby woods supplied the timber, and iron could be readily supplied from the wooded
Weald district to the south 37. Tanners tended to locate
their extensive lines of pits on the outskirts of towns,
where they could find spare land and access to running
water, but the smells and pollution provoked complaints
from their fellow townsmen. In the country they were
less likely to face a succession of fines from the local
court, and could obtain easily the bark which was essential for the tanning process 38. The availability of space
had an economic dimension, because those wishing to
develop a piece of land for such purposes as ship building or tanning would pay a lower rent than would have
been the case in or near to a town. In some cases, on
the moorlands of Cornwall and Devon where tin mines
and works were sited, the tinners were allowed without
cost to occupy the land and to damage the landscape
with heaps of debris 39.
Perhaps rural industries suffered from their remoteness and distance from markets? This was not just a
question of obtaining materials which were not available locally, such as the chemicals for dyeing cloth, or
of transporting goods for sale. There was also a potential problem that country craftsmen would be cut off
from news of trends in consumer preferences and even
fashion. There is little support for this view. Records
from Southampton in the fifteenth century show that
cartloads of imported raw materials for clothmakers,
such as oil, alum and woad, were regularly carried not
just to the textile towns such as Salisbury, but also to
trading centres from which the barrels and bales could
have been distributed to the country places of manufacture, such as in east Somerset and the Stroud valley
in Gloucestershire 40. Country potters, to take an example based on archaeological evidence, seem to have
been able to serve a wide area, judging from the finds
of pottery from places 50 km from the place where they
were made - this was the distance which separated Hanley Castle in Worcestershire from remote villages in central Warwickshire where pieces of the distinctive wares
38
39
40
SEMPLE 2006, pp. 1-25.
GERRARD 2000, pp. 60-103.
COLEMAN 1960, pp. XXXIV, 126.
THE URBANIZATION AND DE-URBANIZATION OF INDUSTRIAL PRODUCTION IN ENGLAND, 900-1500
dating from the thirteenth, fourteenth and fifteenth centuries are found. The Hanley potters had easy access to
the boats travelling up and down the river Severn, but
much of the pottery that they made, like that of other
potting villages located away from navigable waterways, was carried by cart or packhorse over land 41. The
road system was capable of linking places at some distance, and even to be able to convey relatively fragile
objects like thin-walled cooking pots. The design of pots
also changed over time and the potters were aware of
the preferences of urban consumers, judging from the
plentiful finds from excavations in the town of Oxford
of wares made in the rural kilns at Brill and Boarstall
in Buckinghamshire. Forms, fabric and decoration
changed, presumably with the aim of attracting purchasers 42. The urban drinkers saw the merits of ceramic
cups and mugs as replacements for traditional wooden
vessels when they were introduced in the fifteenth century, though we do not know (as always) if the innovation was the result of consumer demand, or a clever
initiative of the potters. Perhaps the middlemen who
traded the pots acted as a channel of communication
between producers and consumers. Towns had no monopoly in adopting new techniques: ship building has
been cited as an example of novelty in design in the fifteenth century, but many ships were built, as we have
seen, at some distance from the towns and major ports.
For bulky and heavy commodities location near to
water transport gave some industrial sites a strong competitive advantage. There were many potential sources
of building stone in the east midlands, but the quarries
at Barnack in Northamptonshire were sufficiently near
to waterways to enable the stone to be carried in bulk
to towns in the region which were also accessible by
boat, such as Ely, Bury St Edmunds and Cambridge 43.
Interactions between town and country
Town and country industries should not be too
sharply divided. When industries were functioning on
the outskirts of the town, such as the tanning and flax
preparation found on the edge of a stream running next
to the very small town of Brewood in Staffordshire, the
VINCE 1977; HURST 1994.
MELLOR 1994, pp. 111-138.
43
ALEXANDER 1995.
44
CIARALDI, CUTTER, DINGWALL et alii 2004.
distinction between urban and rural industry becomes
blurred 44.
Sometimes the town served as the focus of an industrialized rural area, like Bradford-on-Avon in Wiltshire where the clothiers who coordinated textile
weaving, lived in the town, but the spinners, weavers
and fullers worked mainly in the surrounding villages
and hamlets 45. We have already noted the complex relationship in the tanning trade between towns and country producers. The town could exercise strong economic
influence over a rural industry. At a local level the Newcastle merchants profited from coal mining near the town
by carrying the coal by ship to London and other ports.
They created demand for the product, but they did not
dominate the industry and invest heavily in the mines
until the sixteenth and seventeenth centuries 46. At a
longer distance the London mercers were much involved in the linen and worsted weaving that was concentrated in northern Norfolk, and they distributed these
specialist textiles over the whole country. Provincial
woollen cloth makers found that as the trade expanded
in the fifteenth century that merchants attached to the
mercers company formed the Merchant Adventurers,
which organized the collection of cloth in London, and
then its export to the continent 47.
Conclusions
In this analysis economic causes have been emphasized in explaining the siting of industries in town or
country, and the changes from one location to another.
Institutional factors have been mentioned with regard
to the tendency to monopoly among London merchants
in particular. State policy had a role also, but often as
an unforeseen consequence of tax policies, which led
for example to the expansion of the native English cloth
industry (mainly in the countryside) when the tax on
wool exports gave English cloth makers an advantage
over their continental rivals. Town governments introduced restrictions and imposed taxes which may have
discouraged manufacture in the town and given a stimulus to those working in the countryside. English towns,
however, had no control over their rural surroundings,
and the state was not disposed to intervene directly in
41
42
579
45
46
47
HARE 2011, pp. 182-185.
HATCHER 1993, pp. 73-74, 76-77, 473, 474, 509-572.
SUTTON 2005, pp. 54-57, 146-150, 239-241, 257-276.
580
CHRISTOPHER DYER
economic matters. Attempts at economic legislation,
like the sumptuary laws of 1363 and 1463, were ineffective in their professed aim of preventing people of
inferior status from wearing clothes reserved for the
higher ranks. They were unenforceable, and in the same
way a law of 1196 prohibiting dyeing cloth outside
towns, and another which attempted to prevent country
cloth making in Worcestershire in 1534 seem to have
failed 48. Periodic attempts to confine ‘whitetawyers’
(those who treated sheep skins) to towns did not prevent the craft being practised in the country.
Although economic factors, such as costs of materials, premises, labour and transport were major considerations in deciding whether a craft was practised in
town or country, some attention should be paid to cultural factors. Artisans in the largest towns belonged to
guilds which were much more than trade associations,
but held social and religious events, and developed a
strong sense of group identity. Small towns were sometimes closely associated with a particular craft, and
were even known nationally for their specialism, such
as Bridport ropes and High Wycombe simnel bread. Attachment to either a craft or an urban community, or
both may have helped to perpetuate manufacturing traditions. Factors which introduced instability into some
industries were the shifts in consumer demand, which
compelled tailors, cloth makers, shoemakers and potters to change their products. As consumers’ incomes
increased, so customers exercised their power over the
producers. The surge in demand for cheap cloth made
in the country and small towns of Devon was not the
result of impoverishment, but an increase in demand
from less affluent people who had increased their spending power. An ability to respond to shifts in consumption must have played a part in the continued prosperity
of some industries.
References
ALEXANDER 1995 = J. ALEXANDER, Building stone from East
Midland quarries: sources, transportation and usage, in
MedievA, 39, 1995, pp. 107-135.
ASTILL 1993 = G. ASTILL, A medieval industrial complex and
its landscape: the metalworking watermills and workshops of Bordesley Abbey, York 1993 (Council for British
Archaeology Research Report, 92).
ASTILL 2000 = G. ASTILL, General survey 600-1300, in D.
48
BRIDBURY 1982, p. 5; TAWNEY, POWER 1924, I, pp. 173-175.
PALLISER (ed.), Cambridge urban history of Britain, Cambridge 2000, pp. 27-49.
BAYLEY 1992 = J. BAYLEY, Anglo-Scandinavian non-ferrous
metalworking from 16-22 Coppergate, London 1992 (York
Archaeological Trust, 17, fasc. 7).
BAILEY 2009 = M. BAILEY, Technology and the growth of textile manufacture in medieval Suffolk in Proceedings of the
Suffolk Institute of Archaeology and History, 42, 2009,
pp. 13-20.
BARRETT 1997 = J.H. BARRETT, Fish trade in Norse Orkney
and Caithness: a zooarchaeological approach, in Antiquity, 71, 1997, pp. 616-638.
BARRETT, LOCKER, ROBERTS 2004 = J.H. BARRETT, A.M.
LOCKER, C.M. ROBERTS, ‘Dark Age Economics’ revisited: the English fishbone evidence, AD 600-1600, in Antiquity, 78, 2004, pp. 618-636.
BARRON 2004 = C. BARRON, London in the later middle ages.
Government and people 1200-1500, Oxford 2004.
BICKLEY 1900 = F.B. BICKLEY (ed.), The Little Red Book of
Bristol, Bristol 1900.
BIRRELL 1969 = J. BIRRELL, Peasant craftsmen in the medieval
forest, in Agricultural History Review, 17, 1969, pp. 91107.
BIRRELL 1999 = J. BIRRELL, The Forests of Cannock and Kinver: select documents 1235-1372, Stafford 1999 (Staffordshire Record Society, 4th, ser. 18).
BLINKHORN 2013 = P. BLINKHORN, No pots please, we’re
Vikings: pottery in the southern Darelaw, 850-1000, in D.
HADLEY, L. TEN HARKEL (edd.), Everyday life in Vikingage towns, Oxford 2013, pp. 157-171.
BRIDBURY 1982 = A.R. BRIDBURY, Medieval English clothmaking, London 1982.
BRITNELL 1986 = R.H. BRITNELL, Growth and decline in
Colchester, 1300-1525, Cambridge 1986.
BRITNELL 1997 = R.H. BRITNELL (ed.), Pragmatic literacy,
east and west, 1200-1330, Woodbridge 1997.
CARVER 2010 = M. CARVER, The birth of a borough. An archaeological study of Anglo-Saxon Stafford, Woodbridge
2010.
CIARALDI, CUTTER, DINGWALL et alii 2004 = M. CIARALDI,
M. CUTTER, R. DINGWALL, C. DYER et alii, Medieval tanning and retting at Brewood, Staffordshire; archaeological
excavations
1999-2000,
in
Staffordshire
Archaeological and Historical Society Transactions, 40,
2004, pp. 1-57.
COLEMAN 1960 = O. COLEMAN (ed.), The Brokage Book of
Southampton 1443-1444, Southampton 1960 (Southampton Record Series, 4).
DALWOOD, EDWARDS 2004 = H. DALWOOD, R. EDWARDS, Excavations at Deansway Worcester 1988-89: RomanoBritish small town and late medieval city, York 2004
(Council for British Archaeology Research Report, 139).
DARBY 1977 = H.C. DARBY, Domesday England, Cambridge
1977.
DRAPER 2010 = G. DRAPER, Timber and iron: natural resources for the late medieval shipbuilding industry in
Kent, in S. SWEETINBURGH (ed.), Late medieval Kent 12201540, Woodbridge 2010, pp. 55-77.
DYER 2002 = C. DYER, Small places with large consequences:
the importance of small towns in England, 1000-1540, in
Historical Research, 75, 2002, pp. 1-24.
DYER 2011 = C. DYER, Luxury goods in medieval England,
THE URBANIZATION AND DE-URBANIZATION OF INDUSTRIAL PRODUCTION IN ENGLAND, 900-1500
in B. DODDS, C. LIDDY (edd.), Commercial activity, markets and entrepreneurs in the Middle Ages, Woodbridge
2011, pp. 217-238.
FAIRBROTHER 1990 = J.R. FAIRBROTHER, Faccombe Netherton. Excavation of a Saxon and medieval manorial complex, London 1990 (British Museum Occasional Paper,
74).
FLETCHER, MOULD 2010 = T. FLETCHER, Q. MOULD, Leather
working at the site of medieval Cumbergate, Peterborough,
in Northamptonshire Archaeology, 36, 2010, pp. 141-152.
FRIEL 1995 = I. FRIEL, The good ship. Ships, shipbuilding and
technology in England 1200-1520, London 1995.
GERRARD 2000 = S. GERRARD, The early British tin industry,
Stroud 2000.
GODDARD 2004 = R. GODDARD, Lordship and medieval urbanization, Coventry 1043-1355, Woodbridge 2004.
HAMMOND 2011 = S. HAMMOND, Excavation of medieval burgage plots and further evidence of iron working, off Pegler Way, Crawley, West Sussex, in Sussex Archaeological
Collections, 149, 2011, pp. 49-58.
HARE 2011 = J. HARE, A prospering society. Wiltshire in the
later middle ages, Hatfield 2011.
HATCHER 1977 = J. HATCHER, English tin production and trade
before 1550, Oxford 1977.
HATCHER 1993 = J. HATCHER, The history of the British coal
industry. I. Before 1700: towards the age of coal, Oxford
1993.
HOLT 1988 = R. HOLT, The mills of medieval England, Oxford 1988.
HURST 1994 = J.D. HURST, A medieval ceramic production
site and other medieval sites in the parish of Hanley Castle: results of fieldwork in 1987-1992, in Transactions of
the Worcestershire Archaeological Society, 3rd ser., 14,
1994, pp. 115-128.
HURST 1997= J.D. HURST, A multi-period salt production site
at Droitwich: excavations at Upwich, York 1997 (Council for British Archaeology Research Report, 107).
KEENE 1985 = D. KEENE, Survey of medieval Winchester, I,
Oxford 1985.
KEENE 1990 = D. KEENE, Textile manufacture: the textile industry, in M. BIDDLE (ed.), Object and economy in medieval Winchester, Oxford 1990, pp. 200-242.
KEENE 1995 = D. KEENE, Small towns and the metropolis:
the experience of medieval England, in J.M. DUVOSQUEL,
E. THOEN (edd.), Peasants and townsmen in medieval Europe, Ghent 1995, pp. 223-238.
KILMURRY 1980 = K. KILMURRY, The pottery industry of Stamford, Lincolnshire, Oxford 1980 (British Archaeological
Reports, British series, 84).
KOWALESKI 1995 = M. KOWALESKI, Local markets and regional trade in medieval Exeter, Cambridge 1995.
LANGDON 2004 = J. LANGDON, Mills in the medieval economy. England 1300-1540, Oxford 2004.
LAUGHTON, JONES, DYER 2001 = J. LAUGHTON, E. JONES, C.
DYER, The urban hierarchy in the later middle ages: a
study of the east midlands, in Urban History, 28, 2001,
pp. 351-357.
LE PATOUREL 1968 = J. LE PATOUREL, Documentary evidence
and the medieval pottery industry, in MedievA, 12, 1968,
pp. 101-126.
581
MCCARTHY, BROOKS 1988 = M. MCCARTHY, C. BROOKS, Medieval pottery in Britain AD 900-1600, Leicester 1988.
MCINTOSH 2005 = M. MCINTOSH, Working women in English
society 1300-1620, Cambridge 2005.
MELLOR 1994 = M. MELLOR, A synthesis of middle and late
Saxon, medieval and early post-medieval pottery in the
Oxford region, in Oxoniensia, 59, 1994, pp. 17-217.
MILLER, HATCHER 1995 = E. MILLER, J. HATCHER, Medieval
England. Towns, commerce and crafts 1086-1348, London 1995.
MUNRO 1997 = J. MUNRO, The industrial crisis of the English textile towns c. 1290-c. 1330, in M. PRESTWICH, R.
BRITNELL, R. FRAME (edd.), Thirteenth Century England.
Proceedings of the Durham Conference, 7, 1997, pp. 107142.
NODDLE 1985 = B. NODDLE, The animal bones, in R. SHOESMITH (ed.), Hereford city excavations. III. The finds, London 1985, pp. 84-94 (Council for British Archaeology
Research Report, 56).
NORRIS 1977 = M. NORRIS, Monumental brasses; the memorials, London 1977.
ORTON, MORRIS, LOCKER et alii 2014 = D.C. ORTON, J. MORRIS, A. LOCKER, J.H. BARRETT, Fish for the city: metaanalysis of archaeological cod remains and the growth
of London’s northern trade, in Antiquity, 88, 2014, pp.
516-530.
PALLISER 2000 = D. PALLISER (ed.), Cambridge urban history
of Britain. I. 600-1500, Cambridge 2000.
PARKES 1991 = M.B. PARKES, The literacy of the laity, in M.B.
PARKES, Scribes, script and readers, London 1991.
SEMPLE 2006 = J. SEMPLE, The tanners of Wrotham manor
1400-1600, in ACant, 126, 2006, pp. 1-25.
SUTTON 2005 = A. SUTTON, The mercery of London: trade,
goods and people, 1130-1578, Aldershot 2005.
SWANSON 1989 = H. SWANSON, Medieval artisans. An urban
class in late medieval England, Oxford 1989.
TAWNEY, POWER 1924 = R.H. TAWNEY, E. POWER (edd.),
Tudor economic documents, London 1924.
THOMAS 2000 = G. THOMAS, Anglo-Scandinavian metalwork
from the Danelaw: exploring social and economic interaction, in D.M. HADLEY, J.D. RICHARDS (edd.), Cultures
in contact: Scandinavian settlement in England in the ninth
and tenth centuries, Turnhout 2000.
VINCE 1977 = A. VINCE, The medieval and post-medieval ceramic industry of the Malvern region: the study of a ware
and its distribution, in D. PEACOCK (ed.), Pottery and early
commerce, London 1977, pp. 257-305.
WELCH 1997 = C. WELCH, Glassmaking in Wolseley,
Staffordshire, in Post-Medieval Archaeology, 31, 1997,
pp. 1-60.
WRATHMELL, WRATHMELL 1981-1982 = S. WRATHMELL, S.
WRATHMELL, Excavations in Lower Rushall Street, Walsall, Staffordshire, 1975, in Transactions of the South
Staffordshire Archaeological and Historical Society, 23,
1981-1982, pp. 100-107.
WRIGLEY 2002 = E.A. WRIGLEY, Country and town. The primary, secondary and tertiary peopling of England in the
early modern period, in P. SLACK, R.WARD (edd.), The
peopling of Britain. The shaping of a human landscape,
Oxford 2002.
LA MIRADA DEL OTRO: AL-ANDALUS
Sonia Gutiérrez Lloret
¿Qué arqueología de la Producción para al-Andalus?
En el marco de este convenio sobre las formas de
organización de la producción artesanal de la ciudad de
Roma en el medievo, reconstruidas a partir de las diversas formas de investigación arqueológica, me corresponde abordar la confrontación con las tendencias
productivas reconstruidas en al-Andalus. Se me encargó, de hecho, una «sintesi sulle conoscenze relative
alle attività produttive non agricole in al-Andalus, con
particolare riferimento al rapporto tra mondo rurale e
mondo urbano». Un encargo complejo en directa relación a la complejidad social y la amplitud cronológica
del sujeto histórico.
Al-Andalus, como es conocida la Península Ibérica
en los documentos y en la historiografía, es un referente
complejo que designa los territorios ibéricos integrados
en la Dār al–Islām (la casa del Islam) durante el medievo, reflejados en la peculiar forma de concebir y representar el mundo desde ‘la otra orilla’, que simboliza
por ejemplo el famoso mapamundi del geógrafo alIdrīsī, orientado al revés de lo que era usual en el occidente europeo, y que pretende reflejar nuestro título
‘la mirada del otro’. Al-Andalus, cuyo nombre se ha fosilizado en la denominación de la actual Andalucía, es
por tanto un referente geopolítico amplio que incluye
territorios de las actuales España, Portugal y en su fase
más temprana, el sur de Francia. Sus límites territoriales varían y se reducen entre los siglos VIII y XV, mientras sus implicaciones sociales alcanzan los albores del
siglo XVII con la expulsión de los ‘moriscos’ (musulTrabajo realizado en el marco del proyecto de investigación
HAR2012-34035, Lectura arqueológica del uso social del espacio.
Espacios domésticos y vida social entre la Antigüedad y el Medievo,
financiado por el Ministerio de Economía y Competitividad.
manes forzados a convertirse al cristianismo en el siglo
XVI) 1.
Desde su irrupción como disciplina académica, la arqueología medieval ibérica ha sido, a diferencia de la
del resto de Europa occidental, una arqueología profunda
y fundamentalmente islámica, si bien siempre coexistió con una arqueología de los Estados cristianos, tímida
al principio y potente en la actualidad, muy implicada
en los problemas arqueológicos de la Europa centro septentrional 2. Sin embargo, la sociedad de al-Andalus
planteaba problemas históricos muy diferentes a los del
resto de la Europa medieval, con excepción quizá de la
propia Italia meridional: la hegemonía de lo privado
sobre lo público, el predominio de lo urbano, la relación entre el hecho tribal y el estado islámico o las comunidades campesinas como sujetos históricos han
centrado la investigación arqueológica sobre al-Andalus. Y entre estas temáticas la percepción de la complejidad productiva y comercial ocupó siempre un lugar
central, reforzada por el temprano estudio de las producciones cerámicas, los complejos ciclos edilicios o la
circulación monetaria de época islámica.
La arqueología permitió intuir, por ejemplo, la magnitud del urbanismo y la producción urbana andalusí en
relación a la Europa contemporánea y analizar las relaciones con los territorios rurales, definiendo un panorama social (con obvias implicaciones productivas)
muy diferente al del Occidente romano-barbárico. «Un
quadro [...] ben diverso rispetto all’urbanesimo arabo,
il solo che, per l’età altomedievale, soddisfi la maggior
parte dei criteri» en palabras de G.P. Brogiolo 3. La
GARCÍA SANJUÁN 2003.
GUTIERREZ LLORET 2015.
3
BROGIOLO 2011, p. 25.
1
2
Fig 1. - Córdoba durante el Califato. Actualización de la planta elaborada por Manuel Acién y Antonio Vallejo en ‘Cordoue’, Grandes villes méditerraneéenes du monde musulman médiéval, Rome, Collection de l’École Française de Rome, 269, 2000; gentileza de los autores.
magnitud de la espectacular conurbación urbana de la
Córdoba califal (el conjunto urbano de Madīna Qurtuba
y Madīnat al-Zahrā’) 4 en relación con la propia Corduba romana (capital de la provincia Bética de Hispania), muestra con claridad la perplejidad con la que la
discusión sobre el origen de la ciudad medieval – y sobre
el nivel de la edilicia pública y residencial de los centros urbanos y rurales altomedievales – era contemplada por los estudiosos de algunos territorios de la
Europa mediterránea integrados en la Dār al–Islām
desde el altomedievo, como es el caso de al-Andalus;
perplejidad extensible seguramente a los investigadores de la Sicilia tardoantigua y altomedieval.
Quizá se entienda mejor con un ejemplo gráfico: de
la misma forma que Chris Wickham, refiriéndose a la
sagaz visión del problema expuesta por Bryan WardPerkins, señaló la dificultad de entendimiento entre los
historiadores británicos e italianos a la hora de determinar la condición urbana altomedieval, puesto que
unos la materializaban en el emporio de Hamwic y
otros en la Roma imperial o incluso en la altomedieval 5, para los estudiosos de al-Andalus muy pocas realidades urbanas altomedievales europeas son
comparables a la mayoría de las ciudades andalusíes y
ninguna, desde luego, a Córdoba ni durante el Emirato
ni, por supuesto, en el Califato Omeya, como tampoco
lo será a ninguna ciudad europea durante todo Medievo
(salvo quizá Constantinopla) 6.
Esta poderosa imagen, quizá hipertrofiada, sugiere
que el «rapporto produttivo tra mondo rurale e mondo
urbano» en al-Andalus fue muy diferente al del resto
de las sociedades medievales coevas, incluida la propia
Roma. El reciente estudio arqueológico de los pecios
‘sarracenos’ hundidos en las costas provenzales, en un
4
Conurbación urbana que osciló en torno al siglo X entre
100.000 y un millón de habitantes, según los hiperbólicos datos
del censo de Almanzor transmitido por al-Bakri (m 1094); una magnitud poblacional comparable a los ejemplos orientales y atestiguada, al menos en cuanto a la extensión de sus restos por la
arqueología de las últimas décadas. ACIÉN ALMANSA, VALLEJO
TRIANO 1998; GARCIN 2000; LEON, MURILLO 2014.
5
WICKHAM 2008, p. 842.
6
GUTIÉRREZ LLORET 2014, p. 27.
LA MIRADA DEL OTRO: AL-ANDALUS
contexto histórico de actividad pirático-comercial temprana vinculada al enclave de Fraxinetum, emprendido
en el marco de una estrecha colaboración con Catherine Richarté y el L’Inrap (Institut de recherches archéologiques préventives), sugiere a partir de la
homogeneidad de las cargas, una actividad comercial
de ámbito mediterráneo (al-Andalus, Ifrīqiya, Sicilia y
Liguria, entre otros espacios de contacto) con transporte
de mercancías (vino, aceite, lácteos, etc.) y de productos cerámicos y metálicos firmados (artesanos y/o comerciantes; fig. 2), que permiten entrever una
complejidad en la organización de la producción artesanal y una regularidad de los circuitos comerciales insospechada en un contexto del siglo X temprano 7,
previo quizá al fenómeno amalfitano y a la organización comercial del Califato 8.
Estos ejemplos muestran que es necesario abordar
el problema de la arqueología de la producción andalusí desde lo que podría ser la conclusión: al-Andalus
fue una de las sociedades más poderosas y complejas
surgidas en el occidente europeo desde el fin del Imperio romano y su conocimiento (junto con el de la Sicilia y otras regiones del sur de Italia), como señala E.
Manzano, es fundamental en un análisis no eurocéntrico
del medievo 9.
En consecuencia, se pretende caracterizar una sociedad
compleja desde el punto de vista productivo, altamente urbanizada y con una intensa interacción campo-ciudad, a
más de un artesanado especializado, dependiente a veces
del Estado, pero también con un alto grado de autonomía
en la organización de los ciclos productivos y los mercados. No obstante, resulta imposible analizar todos los indicadores productivos que se han tratado en el caso de
Roma, ni por su propio carácter de ‘central place’ larga y
excelentemente investigado, ni por la complejidad que supondría contemplar toda la panoplia de actividades productivas que se dieron en al-Andalus durante más de ocho
siglos. Un simple ejemplo, el mapa de dispersión de hornos cerámicos elaborado por A. García y J. Coll 10 demuestra
la magnitud y el predominio urbano de la actividad artesanal alfarera, una de las más y mejor documentadas de alAndalus (fig. 3). La elaboración de cartografías de dispersión en al-Andalus de todas las actividades artesanales
que se han analizado en el caso de Roma y su entorno, transformarían la península en un inmenso punto oscuro. Un dialogo equilibrado solo podría obtenerse a través de la comparación de Córdoba y Roma como centros productivos,
pero no es esa mi intención ni el sentido de la aportación
solicitada.
Tampoco es fácil ni factible realizar un balance crítico de la arqueología de la producción en al-Andalus o en
la Península Ibérica medieval, en tanto que la propia materia no presenta límites conceptuales tan precisos, desarrollos disciplinares consolidados ni ofertas formativas específicas, comparables a las que se plantean en el caso
italiano 11. Es cierto que existen enfoques que abordan las
técnicas productivas en clave socioeconómica, al igual
que en Italia, y que se alinean abiertamente en la perspectiva común de construir una historia de la cultura material, como se aprecia en volúmenes recientes 12, pero el
tratamiento de los temas relacionados con la arqueología
de la producción en España resulta desigual y heterogéneo,
ya que en algunos casos se limita al estudio de las estructuras artesanales, los procedimientos técnicos o la presentación de ejemplos arqueológicos que ilustran procesos productivos, en particular la cerámica 13, el vidrio 14, el metal
RICHARTE, GUTIERREZ LLORET 2015.
MANZANO MORENO 2013.
9
MANZANO MORENO 2012, p. 21; GUTIÉRREZ LLORET 2015.
10
COLL CONESA, GARCÍA PORRAS 2010.
11
MANNONI, GIANNICHEDDA 1996; GIANNICHEDDA 2014.
12
GARCÍA PORRAS 2013. Reseña de QUIRÓS CASTILLO 2014. Las re-
ferencias que a continuación se citan sobre aspectos vinculados a la arqueología de la producción no persiguen la exhaustividad. Son únicamente algunos trabajos escogidos para ilustrar ciertos casos. Los lectores
encontrarán en ellos bibliografía extensa sobre estos y otros aspectos.
13
GUTIÉRREZ LLORET 1996a; FERNANDEZ NAVARRO 2008; COLL
CONESA 2013.
14
CRESSIER 2000.
7
8
Fig. 2. - Caldero metálico del pecio de Agay A (Joncheray 2007)
con el nombre Sa’id (
) según lectura de M. Antonia Martínez.
Fotografía Gutiérrez & Richarté.
La singularidad productiva
de al-Andalus: temas, problemas, perspectivas
1. En términos generales
y sobre todo a partir del
siglo X en al-Andalus, nos
encontramos ante una producción artesanal con una
organización compleja y altamente especializada, que
se singulariza incluso en la
propia actividad. La firma
de artesano o taller se constata en numerosas producciones, algunas altamente
especializadas (como la metalistería) con antropónimos
Fig. 3. - Distribución de los hornos alfareros en al-Andalus (de Coll Conesa, García Porras 2010, www.arárabes o mozárabes, precequeologiamedieval.com).
didos en ocasiones por la
y de forma colateral otros temas como la arqueología
marca de autoría expresa, tanto en árabe (amal, hecho
hidráulica o más recientemente agraria 15. El análisis de
por) como en latín (opus) en ciertas obras atribuidas a
la metalurgia muestra una importante vitalidad a parartesanos mozárabes, como el candil doble con la instir del estudio de las minas y del reconocimiento reciente
cripción Oc opvs Salomonis erat procedente de Madīnat
de actividades metalúrgicas en contextos arqueológiIlbira 20.
cos 16, mientras que uno de los ámbitos más desarroEsta especialización productiva, propia de talleres
llados es, sin duda, el de las técnicas constructivas y ciurbanos próximos al poder, es muy característica de las
clos productivos vinculados a la edilicia, en particular
producciones procedentes de la Dār al-Sinā’a (Casa de
los procedimientos y la organización de los talleres 17.
los oficios), es decir, de los talleres califales de Madīnat
Por fin y en otro orden de cosas, también existen intentos
al-Zahrā’, la nueva capital del Califato Omeya. En este
de estudiar las cadenas tecnológicas operativas de ciercaso, llama la atención la aparición de inscripciones
tos alimentos, como el pan y el aceite 18. Se aprecia en
cursivas interpretadas como ‘firmas’, en ocasiones dogeneral una dificultad para trascender objetos y esbles, en el interior de ataifores (platos) y en menor metructuras en beneficio de un verdadero estudio social
dida sobre ciertas formas cerradas, decoradas con la
de los procesos de producción y los contextos de contécnica del ‘verde y manganeso’ (fig. 4 y tav. 00) 21. Desumo 19.
jando a un lado la discutida existencia de ciertos antroPor ello quiero únicamente destacar algunos temas
pónimos femeninos, que M. Ocaña propuso relacionar
sustanciales que permiten trazar una visión diacrónica
con ‘pintoras cortesanas’ del entorno familiar del califa 22,
de la complejidad social de al-Andalus, a través de inel predominio de nombres propios de varón, similares a
dicadores arqueológicos que permiten comprender las
los documentados en otras producciones de los mismos
formas de organización y especialización de la productalleres 23, sugiere que se trata de artesanos de la Dār alción artesanal.
Sinā’a y quizá, en el caso de la doble firma, de otros per-
CRESSIER 2006; KIRCHNER 2010.
CANTO GARCÌA, CRESSIER 2008; GILOTTE, GALTIER 2014.
17
CRESSIER 2004; CABALLERO, UTRERO 2005; CABALLERO 2013;
CABALLERO, UTRERO 2012.
18
GUTIÉRREZ LLORET 1996b.
19
QUIRÓS CASTILLO 2014, p. 199.
20
Museo Arqueológico Nacional (Madrid), n. inv. 50.557, datado hacia el 962. PAPI RODES 1998, p. 57; ZOZAYA 2001, p. 195.
15
16
CANO PIEDRA 1996, pp. 36, 124, fig. 64. Sobre el verde y manganeso Le Vert et Le Brun 1995.
22
OCAÑA 1970, p. 35.
23
Quisiera agradecer las observaciones de María Antonia Martínez Núñez sobre esta y otras cuestiones epigráficas, así como las
de Antonio Vallejo a propósito de las producciones de la Dār alSinā’a. Sin embargo, solo yo soy responsable de los errores.
21
Fig. 4. - 1-2. Ataifores de Madīnat al-Zahrā’ decorados en verde y manganeso con epigrafía cursiva. Fotografías gentileza de Antonio Vallejo.
sonajes implicados en la organización y control de los talleres estatales, donde se producían los objetos suntuarios empleados en la corte y el armamento del ejército.
De esta forma, las producciones ‘con nombre propio’
(cerámica, eboraria o metalistería), unidas al traslado de
la ceca a Madīnat al-Zahrā’ circa 947, nos hablan de un
ambiente técnico centralizado y especializado y nos permiten reconocer – aquí sí – los sujetos históricos, de los
procedimientos de organización de la producción ‘palatina’; en otras palabras, reconocer la dimensión social y
política de los sistemas productivos directamente controlados por el Estado, más allá de la caracterización de
sus producciones o del análisis de su iconografía.
No obstante y pese a lo que podría parecer, existen
también indicadores materiales que sugieren la existencia de talleres artesanales en contextos aparentemente regionalizados altomedievales. Algunos hornos cerámicos
identificados en asentamientos rurales del interior de la
Península Ibérica, como Gozquez (Madrid), Arroyo Culebro-La Recoba (Leganés) y Pardo Viejo (Torrejón de la
Calzada), en los siglos VII y VIII, denotan en opinión de
A. Vigil-Escalera, la labor de especialistas itinerantes (tejeros y alfareros), dedicados a la actividad a tiempo parcial o en ciclos estacionales, que recorrerían el territorio
abasteciendo a las comunidades locales en función de demandas concretas. Este tipo de ‘industria doméstica’ explicaría la homogeneidad tipológica y tecnológica que
presenta el repertorio cerámico de este período por zonas
muy amplias en ausencia de talleres centralizados 24.
La especialización artesanal se lee igualmente en las
marcas de autoría de El Tolmo de Minateda (Hellín, Albacete), correspondientes a tejeros y alfareros. El primer ejemplo es un fragmento de ímbrice procedente de
la habitación septentrional del baptisterio, con un grafito inciso en escritura cursiva visigoda que Isabel Velázquez propone interpretar como el final de un nombre
propio antepuesto al inicio de la palabra fecit, que indicaría la producción específica de un artesano o taller
del siglo VII 25. Otro ejemplo, aún más significativo, es
el de la marca de autoría hallada sobre el cuerpo de un
gran contenedor con decoración plástica digitada, procedente de un contexto emiral fechable a partir de mediados del siglo IX. La inscripción permite reconocer
el nombre de acción ‘( ’عملamal, ‘obra de’) seguido de
un nombre de oficio con una falta de ortografía, que
puede leerse como ‘obra del tinajero o jarrero’ (fig. 5).
Estos datos, aun escasos, nos muestran niveles de especialización y de organización productiva con artigiani full-time, en escalas locales o regionales y
ambientes ruralizados.
24
VIGIL-ESCALERA GUIRADO 2007, pp. 273-274; VIGIL-ESCALERA
GUIRADO, QUIRÓS CASTILLO 2013, p. 379.
25
CÁNOVAS GUILLÉN 2005, pp. 108-109; GUTIÉRREZ LLORET
2006; GUTIÉRREZ LLORET, CÁNOVAS GUILLÉN 2009, pp. 116-117.
2. En esta misma línea, incluso en ambientes técnicos con cierta complejidad, como es el caso de la edilicia religiosa del siglo VII, se observan procedimientos
588
SONIA GUTIÉRREZ LLORET
distintos en las cadenas técnicas operativas 26. Así, en
la arquitectura episcopal de El Tolmo se aprecia la coexistencia de una albañilería dominante a pie de obra
(mampostería, enlucidos, etc.), con trabajo coordinado
de cantera (extracción de lajas sin escuadrar para jambas, muros y sepulturas), reempleo sistemático de obra
romana (sillares para esquinales, columnas, basas, etc.)
y piezas decorativas ex novo (especialmente canceles y
capiteles) elaborados en talleres regionales y adecuados in situ (figg. 6, a-b). Es el caso de los canceles recortados para el cerramiento del baptisterio o el de
ciertos capiteles que cuentan con auténticos paralelos
en otros enclaves de la zona como la Iglesia de Aljezares. De esta iglesia proceden incluso piezas moduladas sin tallar 27, que sugieren distribución de productos
‘semipreparados’ para ser acabados in situ, en una práctica que indica que se comercializaba un estadio anterior al propio capitel, constatada también en contextos
islámicos donde ‘esbozos’ de capiteles y basas dispuestos para su transporte fueron localizados en un
pecio nazarí 28. La presencia de capiteles similares en
las basílicas de El Tolmo, Algezares y Segobriga, por
ejemplo, sugiere la existencia de talleres regionales que
pudieron trabajar a pie de obra o distribuir sus elaboraciones con diversos grados de esbozo 29.
En época islámica el expolio con finalidad puramente
constructiva se sistematiza. El propio caso de El Tolmo
permite documentar el expolio sistemático de los grandes ambientes del complejo episcopal (basílica y aula
palatina) cuyas columnas y ventanas monolíticas fueron recuperadas como material de obra desde fechas relativamente tempranas (siglo VIII y IX; fig. 7) 30. Sin
embargo, un tema de interés que debería comenzar a
formar parte de la agenda de investigación de los procesos productivos es precisamente el de quién controla
la recuperación de materiales constructivos y cómo se
organiza. Los indicios epigráficos romanos, mostrados
en este mismo marco por R. Santangeli Valenzani 31, permiten defender que el expolio de los monumentos públicos y privatizados fue una práctica regulada por
disposiciones oficiales y gestionada por las clases dominantes mediante concesiones reconocidas. En el caso
de al-Andalus estamos lejos de poder plantear el problema en los mismos términos, aunque algunos indicios
permiten suponer una gestión mucho más organizada
de lo que aparentemente se supone.
Más allá de la conocida referencia de al-Rāzī de que
Zorita se construyó con las piedras de Recópolis 32, algunos indicios arqueológicos permiten avanzar en esa dirección. Uno de los más interesantes es la inscripción en
árabe incisa sobre el fuste de una columna monolítica procedente del palatium de Santa María de Abajo, en el conjunto de la villa de Carranque en Toledo. Recientemente
se ha propuesto la lectura ‘l-rujām dī umud l/-bn Abū [sic
por Abī] Mslm, cuya traducción sería «Los mármoles estos
(son) de Ibn Abī Muslim», seguido de un numeral (3 o
5) en la tercera línea que indicaría el número de columnas 33. Se trata de uno de los pocos ejemplos explícitos
que atestiguan la gestión controlada del reempleo constructivo en al-Andalus; el resto son siempre indirectos y
Una lectura compleja de la actuación coordinada de varios talleres u oficios en la arquitectura religiosa plenamente altomedieval
en CABALLERO, UTRERO 2012.
27
MARTÍNEZ RODRÍGUEZ 1988, p. 208; DOMINGO 2011, n. 127,
pp. 139-40, 273. 4 ejemplos de piezas esbozadas sin tallar proceden precisamente de Cola de Zama, en el entorno de El Tolmo de
Minateda SELVA INIESTA, MARTINEZ RODRIGUEZ 1991, pp. 119-120,
lams. 14.2 a 16.2.
CRESSIER 2004, p. 357, fig. 1.
GUTIÉRREZ LLORET, SARABIA BAUTISTA 2007, pp. 334-336.
30
SARABIA BAUDISTA 2008; GUTIÉRREZ LLORET 2002.
31
SANTANGELI VALENZANI en este mismo volumen.
32
OLMO 2011, pp. 54-55.
33
RODRIGUEZ MORALES, VIGUERA MOLINS 2014, p. 373. Agradezco a Yolanda Peña Cervantes el dato. Sobre el edificio romano
GARCÍA-ENTERO, FERNÁNDEZ OCHOA, PEÑA CERVANTES et alii 2014.
Fig. 5. - Graffiti sobre contenedor de El Tolmo de Minateda (Hellín siglo IX) con marca de autoría.
26
28
29
LA MIRADA DEL OTRO: AL-ANDALUS
589
en contextos de época taifa, en relación a la dispersión de artesanos y a
la voluntad ideológica de emular el
poder califal, justificando ideológicamente las dinastías locales. El
tema, sabiamente analizado desde
una perspectiva ideológica por M.
Acién 35, es conocido y solo lo ejemplificaré con un hallazgo reciente: el
ataifor de Fadrel, que muestra el uso
de patrones legitimadores califales (el
poder como ave sobre el caballo) en
soportes y técnicas altamente espeA
cializadas (cuerda seca total), que
viene a unirse al caso de Benetusser
(con el ‘príncipe’ bebiendo) ya conocido 36 (fig. 8 y tav. 00). Este aspecto se relaciona con un factor notorio que afecta precisamente a la
capacidad de la arqueología de reflejar procesos de homogeneización
social y de proyección inconsciente
de su ideología en el registro material, en el sentido que le otorgo
Acién 37. Desde esta perspectiva, la
generalización de ciertos repertorios
materiales (formas, técnicas y decoraciones en el caso de la cerámica) a partir del califato, muestra
una sociedad islamizada y homogénea, tanto en contextos urbanos
B
como rurales, que ha asumido la ideFig. 6. - A) Ortofotografía cenital de la cantera altomedieval de El Tolmo de Minateda; B)
ología triunfante y participa de una
Materiales de construcción utilizados en la edificación del complejo episcopal del Tolmo de
Minateda (Hellín, Albacete), siglo VII.
organización productiva compleja, en
la que con independencia de los diproceden de la información arqueológica del desmontaje.
ferentes sistemas productivos y de distribución, los reEs el caso de la importantísima actividad de expolio de
pertorios cerámicos son cada vez más homogéneos.
la ciudad califal de Madīnat al-Zahrā’, que afectó intensamente al tramo sur de la muralla y a la mezquita allí
situada de los siglos XIII al XV. Como se constató en la
Un caso paradigmático: formas de producir y consuintervención de 2007-08, los sillares recuperados se dismir la cerámica
pusieron de forma ordenada sobre la calzada adyacente
Es imposible analizar el problema en toda su compara proceder a su traslado, lo que indica una gestión orplejidad, pero podemos esbozar una síntesis de amplia esganizada de la ‘cantera’ de recuperación 34.
cala que muestre las transformaciones significativas y en3. Otro aspecto a tratar es precisamente la difusión de
fatice los elementos útiles de comparación, a partir
patrones decorativos y saberes técnicos, muy frecuente
precisamente de las formas de producir y consumir la ce-
34
35
VALLEJO TRIANO 2009, p. 223.
ACIÉN ALMANSA 2001.
36
37
ARMENGOL, DÉLERY, GUICHARD 2013.
ACIÉN ALMANSA 1998.
Fig. 7. - Transformaciones del complejo episcopal Visigodo de El Tolmo de Minateda (s. VII): usos domésticos y expolio (s. VIII), construcción
de un barrio islámico (s. IX). Ejemplos de reutilización de material arquitectónico visigodo en época islámica (capiteles y ventanas).
terráneo occidental en el final
del mundo antiguo: un ambiente dominado por la regionalización y la crisis del comercio mediterráneo, la
creciente tendencia al autoabastecimiento y la simplificación de los procesos productivos, de los que desaparece la
especialización y estandarización característica de las producciones romanas precedentes. Por el contrario, se adoptan
estrategias productivas domésticas abandonadas desde
la prehistoria (denominadas
por Peackock «produzione e
Fig 8. - Comparativa entre el diseño iconográfico del ataifor de Madinat Ilbira (s. X) en verde y manganeso y la Safa de Fadrell (s. XI-XII) en cuerda seca total. Fotografía gentileza de Pau Armengol.
industria domestica» respecArmengol, Délery, Guichard 2013, p. 34.
tivamente) 38, caracterizadas
rámica. La atención a los procesos tecnológicos y a la orpor formas de elaboración y cocción sencillas, entre las
ganización social de la producción ha permitido conceque resurgen con vigor las cerámicas ‘modeladas’, al tiembir el estudio de la cerámica de las sociedades andalusíes
po que se simplifica enormemente el repertorio formal,
como un indicador privilegiado de los procesos económicos que explican el Medioevo. La conquista islámica se ins38
PEACOCK 1997 (Household Production, Household Industry;
cribe en un contexto productivo común al resto del MediPEACOCK 1982).
LA MIRADA DEL OTRO: AL-ANDALUS
y se generalizan pautas de distribución y consumo locales y regionales. Sobreviven formas sencillas y prácticas
en las que se refleja una marcada continuidad, como las
ollas y cazuelas altas que parecen inspirarse en la cerámica
de cocina africana (en especial de la forma Hayes 197),
los cuencos herederos de las formas romanas de Terra Sigillata Hispánica tardía y todo un repertorio de vajilla de
mesa torneado fabricado en talleres, urbanos o rurales, con
distintos grados de permeabilidad. La variedad de producciones siguiere la coexistencia de modelos productivos domésticos con los propios de «officine singole» 39.
A partir del siglo VIII, con la conquista arabo-bereber, la aparente continuidad de ciertas producciones se
ve matizada por la incorporación de formas y decoraciones
ajenas a la tradición local, como el horno de pan (tannūr),
el vaso de noria (arcaduz), el nuevo vaso de beber con
boca amplia, cuello cilíndrico y una única asa (jarro) o
los candiles de corta piquera, que representan tradiciones culturales distintas y, lo que es más importante, evidencian la introducción de paquetes tecnológicos (nuevos alimentos y prácticas agrícolas vinculadas con el
regadío; fig. 9). No obstante, nada indica que esas formas no se integren en los sistemas productivos domésticos (a juzgar por la variedad de fábricas y eventuales
talleres constatados). Estaríamos ante un primer proceso de transferencia técnica entre artesanos independientes y predominantemente rurales, en un marco donde se
perfila como dominante el modelo productivo de ‘officine singole’, representado por el grafito y el taller alfarero (con un horno de doble cámara) construido sobre la
antigua catedral de El Tolmo 40.
El proceso de reorganización de los sistemas productivos comienza en fechas tempranas y se lee a través de diversos indicadores como la generalización de
la cerámica torneada, que se traduce en la paulatina
especialización de la vajilla, en la incorporación de series adaptadas a las nuevas tradiciones culturales, en
la generalización de tipos y decoraciones, y en la introducción de los primeros vidriados monocromos
eminentemente funcionales, fabricados en alfares urbanos la zona suroriental de al-Andalus en la segunda
mitad del siglo IX, y que comienzan difundirse de
forma discreta por diversos territorios de al-Andalus
y del Mediterráneo. Este último indicador nos sugiere una relación entre mundo rural y mundo urbano
más articulada puesto que el vidriado («invetriatura»)
es un paquete tecnológico importado que se intro39
40
Individual Workshops.
GAMO PARRAS, GUTIÉRREZ LLORET 2009.
591
Fig. 9. - 1. Formas nuevas: a) horno de pan (tannur), b) vaso de
noria (arcaduz), c) jarro, d) candil; 2. Rueda hidráulica (noria); 3.
Uso del tannur (Gutierrez Lloret c.s.).
duce en talleres urbanos (se han identificado algunos
en Pechina y Málaga), posiblemente agrupados, con
hornos complejos en el marco de los primeros «agglomerati di officine» 41. A lo largo del siglo IX se define un nuevo universo de formas cada vez más
homogéneo y original, propiamente islámico, representado por unas series características de servicio de
mesa (dominadas por el jarro y la jarra), de contención
y transporte (tinajas, orzas, etc), culinarias (marmitas,
cazuelas, ollas, hornos, etc), iluminación y usos múltiples (candil, tapadera, alcadafe, etc), y se difunden
técnicas decorativas muy características como la pintura en óxido de hierro, generalizadas en el siglo X
(fig. 10).
41
Nucleated Workshops.
592
SONIA GUTIÉRREZ LLORET
Fig. 10. - Producciones del siglo X (Rabita de Guardamar, MARQ).
Fig. 11. - Horno barras de la Plaza de la Constitución Jaén (gentileza de V. Salvatierra).
El Califato y la aparición de las cerámicas decoradas en Verde y Manganeso, de
acuerdo a un claro programa ideológico y
simbólico destinado a difundir la imagen
del Califato triunfante, evidencian ya la
existencia de una estructura de mercado
compleja, en la que el peso del proceso productivo recaerá en talleres agrupados y situados en la periferia urbana, conformando barrios alfareros (caso de Córdoba), con
la introducción de procedimientos especializados y hornos complejos (los primeros hornos de barras) que denotan un alto
dominio de los procesos tecnológicos – patente en la generalización del vidriado
con complejos programas decorativos –,
una estandarización y especialización de los
servicios de mesa, almacenaje, transporte
e iluminación (fig. 11) 42.
La homogeneización productiva alcanzada debe entenderse como un trasunto de
la homogénea y plena islamización de la sociedad, que no perderá fuerza con la aparente
fragmentación política que suponen los
Reinos de Taifas. En este momento se generalizan técnicas muy especializadas, como
la cuerda seca, y se documentan numerosos
talleres alfareros urbanos o periurbanos en
todo al-Ándalus, cuyos productos llegan a
las alquerías con morfologías domésticas
muy similares a las urbanas.
El proceso de integración continúa durante los periodos almorávide y almohade, con un alto nivel productivo y especializaciones decorativas (cerámica
esgrafiada, estampillada, etc) producidas
tanto en talleres urbanos como rurales, distribuyéndose en función de criterios económicos. Se aprecia una gran homogeneidad cultural (vajillas, decoraciones)
con independencia de la pluralidad de centros productores (fig. 12). Al-Andalus es
una sociedad homogénea, monetarizada,
con un alto nivel de especialización artesanal, sólidas redes de producción (hornos más grandes) y de distribución (redes
suprarregionales y ‘mediterráneas’). El
proceso continuará en el último reducto
42
GUTIÉRREZ LLORET 2012, pp. 50-51.
LA MIRADA DEL OTRO: AL-ANDALUS
593
de al-Andalus, en el Reino
de Granada, con cadenas
productivas muy especializadas (como la loza azul y
dorada malagueña) cuyo ‘saber tecnológico’ pasará al
mundo cristiano, por un acto
volitivo de control señorial
de los procesos productivos 43, dando lugar a un sistema artesanal altamente especializado ya no en barrios
sino incluso en poblaciones
‘alfareras’. Las producciones
de Paterna y Manises en tierras valencianas inundarán el
Fig. 12. - Producciones de los siglos XII-XIII (MARQ).
Mediterráneo con mercancías estandarizadas que, a
CABALLERO, UTRERO 2005 = L. CABALLERO, M.A. UTRERO,
través de redes de talleres nucleados, anticipan las maUna aproximación a las técnicas constructivas de la Alta
nufacturas. Pero ésta ya es otra historia en la que la miEdad Media en la Península Ibérica. Entre visigodos y
omeyas, in Arqueología de la Arquitectura, 4, 2005, pp.
rada de al-Andalus ya es solo un reflejo con el que de169-192.
bemos detenernos.
ACIÉN ALMANSA 1998 = M. ACIÉN ALMANSA, Sobre el papel
de la ideología en la caracterización de las formaciones
sociales. La formación social islámica, in Hispania,
LVIII, 3, 200, 1998, pp. 915-968.
ACIÉN ALMANSA 2001= M. ACIÉN ALMANSA, Del estado caifal a los estados taifas: la cultura material, in Actas del
V Congreso de Arqueología Medieval Española (Valladolid, 22-27 de marzo de 1999), 2, Vallaloid 2001, pp.
493-514.
ACIÉN ALMANSA, VALLEJO TRIANO 1998 = M. ACIÉN ALMANSA, A. VALLEJO TRIANO, Urbanismo y Estado islámico:
de Corduba a Qurtuba-Madinat al-Zahrâ, in P. CRESSIER,
M. GARCÍA-ARENAL (edd.), Genèse de la ville islamique
en al-Andalus et au Maghreb occidental, Madrid 1998,
pp. 107-136.
ARMENGOL, DÉLERY, GUICHARD 2013 = P. ARMENGOL, C. DÉLERY, P. GUICHARD, La safa de Sant Jaume de Fadrell,
Museu de Belles Arts de Castelló 2013.
BROGIOLO 2011 = G.P. BROGIOLO, Le origini della città medievale, Mantova 2011 (Post-Classical Archaeologies Studies, 1).
CABALLERO 2013 = L. CABALLERO, Producciones constructivas y decorativas. Indicadores cronológico-culturales de
la alta Edad Media hispánica, in Archivo Español de Arqueología, 86, 2013, pp. 187-214.
CABALLERO, UTRERO 2012 = L. CABALLERO, M.A. UTRERO,
Cómo funcionaban los talleres constructivos en la Alta
Edad Media Hispánica, in B. ARÍZAGA BOLUMBURU, D.
MARIÑO VEIRAS, C. DÍEZ HERRERA et alii (edd.), Mundos
Medievales. Espacios, Sociedades y Poder. Homenaje al
Profesor José Angel García de Cortazar y Ruiz de Aguirre, I, Universidad de Cantabria 2012, pp. 427-439.
CANO PIEDRA 1996 = C. CANO PIEDRA, La cerámica verdemanganeso de Madīnat al-Zahrā, Granada 1996.
CÁNOVAS GUILLÉN 2005 = P. CÁNOVAS GUILLÉN, El material
cerámico de construcción en la Antigüedad Tardía y la
Alta Edad Media. El Tolmo de Minateda (Hellín, Albacete), Albacete 2005 (Instituto de Estudios Albacetenses
‘Don Juan Manuel’, serie I. Estudios, 155).
CANTO GARCÌA, CRESSIER 2008 = A. CANTO GARCÌA, P. CRESSIER, Minas y Metalurgia en al-Andalus y Magreb occidental. Explotación y poblamiento, Madrid 2008
(Collection de la Casa de Velázquez, 102).
COLL CONESA 2013 = J. COLL, La producción cerámica medieval. Un balance entre el mundo islámico y el feudal.
El caso del área Valenciana, in GARCÍA PORRAS 2013, pp.
209-258.
COLL CONESA, GARCÍA PORRAS 2010 = J. COLL CONESA, A.
GARCÍA PORRAS, Tipología, cronología y producción de
los hornos cerámicos en al-Andalus, in Atti del XLII Convengo Internazionale della Ceramica (Albisola-Savona,
29-30 maggio 2009), Firenze 2010, pp. 25-44.
CRESSIER 2000= P. CRESSIER (ed.), El vidrio en al-Andalus,
Casa de Velázquez 2000.
43
La introducción de esta técnica en el ámbito valenciano se atribuye a los Boil, señores de Manises desde 1304. Según la hipótesis clásica de Olivar Daydí, Pere de Boil viajó a Málaga y Almería,
en su condición de embajador del rey Jaime II en la corte Grana-
dina entre 1308 y 1309, favoreciendo la emigración de alfareros malagueños conocedores de la técnica a Manises y paterna, imitando
y desplazando la obra de Maliqa en el siglo XV. SOLER FERRER 1997,
pp. 150-151.
Bibliografía
594
SONIA GUTIÉRREZ LLORET
CRESSIER 2004= P. CRESSIER, Historias de capiteles ¿Hubo
talleres califales provinciales?, in Cuadernos de Madinat al-Zahra’, 5, 2004, pp. 355-375.
CRESSIER 2006 = P. CRESSIER (ed.), La maîtrise de l’eau en
al-Andalus: paysages, pratiques et techniques, Madrid
2006 (Collection de la Casa de Velázquez, 93).
DOMINGO MAGAÑA 2011 = J.A. DOMINGO MAGAÑA, Capiteles tardorromanos y visigodos en la Península Ibérica (siglos IV-VIII d.C.), Tarragona 2011.
FERNANDEZ NAVARRO 2008 = E. FERNANDEZ NAVARRO, Tradición tecnológica de la cerámica de cocina almohadenazarí, Arqueología y cerámica, Granada 2008.
GAMO PARRAS, GUTIÉRREZ LLORET 2009 = B. GAMO PARRAS,
S. GUTIÉRREZ LLORET, Los hornos de El Tolmo de Minateda (Hellín, Albacete). Estructura y producción, in Actas
del VIII Congreso Internacional de Cerámica Medieval
en el Mediterráneo (Ciudad Real-Almagro, 27 de febrero3 de marzo de 2006), II, Ciudad Real 2009, pp. 839-848.
GARCÍA-ENTERO, FERNÁNDEZ OCHOA, PEÑA CERVANTES et alii
2014 = V. GARCÍA-ENTERO, C. FERNÁNDEZ OCHOA, Y.
PEÑA CERVANTES, E. ZARCO MARTÍNEZ, La evolución arquitectónica del edificio palacial de Carranque (Toledo,
España). Primeros Avances, in P. PENSABENE, C. SFAMENI
(a cura di), La villa restaurata e i nuovi studi sull’edilizia residenziale tardo antica. Atti del convegno internazionale del Centro Interuniversitaria di Studi sull’Edilizia
abitativa tardoantica nel Mediterraneo (Piazza Amerina,
7-10 novembre 2012), Bari 2014, pp. 447-486.
GARCÍA PORRAS 2013= A. GARCÍA PORRAS (ed.), Arqueología de la Producción en época medieval, Granada 2013.
GARCÍA SANJUÁN 2003 = A. GARCÍA SANJUÁN, El significado
geográfico del topónimo al-Andalus en las fuentes árabes, in Anuario de Estudios Medievales, 33, 1, 2003, pp.
3-36.
GARCIN 2000 = J.C. GARCIN, Grandes villes méditerranéenes du monde musulman médiéval, Roma 2000 (Collection de l’École Française de Rome, 269).
GIANNICHEDDA 2014 = E. GIANNICHEDDA, Archeologia della
produzione, in S. GELICHI (a cura di), Quarant’anni di Archeologia Medievale in Italia. La rivista, i temi, la teoria e i metodi, in AMediev, numero speciale, 2014, pp.
75-94.
GILOTTE, GALTIER 2014 = S. GILOTTE, C. GALTIER, Un taller
metalúrgico en Albalat, s. XIII (Cáceres, Extremadura):
primeros datos, in Actas del VIII Congreso Internacional
sobre Minería y Metalurgia Históricas en el suodoeste europeo (Granada, 11-15 junio 2014), Granada 2014, pp.
197-200.
GUTIERREZ LLORET 1996a = S. GUTIÉRREZ LLORET, La Cora
de Tudmīr. De la antigüedad tardía al mundo islámico.
Poblamiento y cultura material, Madrid-Alicante 1996
(Collection de la Casa de Velázquez, 57).
GUTIÉRREZ LLORET 1996b = S. GUTIÉRREZ LLORET, La producción de pan y aceite en ambientes domésticos: límites
y
posibilidades
de
una
aproximación
etnoarqueológica, in Arqueologia Medieval, 4, 1996, pp.
237-254.
GUTIERREZ LLORET 2002 = S. GUTIÉRREZ LLORET, De espacio religioso a espacio profano: transformación del área
urbana de la basílica del Tolmo de Minateda (Hellín, Albacete) en barrio islámico, in Actas del II Congreso de
Historia de Albacete (Albacete, 22 al 25 de noviembre
de 2000), Albacete 2002, I, pp. 307-316.
GUTIERREZ LLORET 2006 = S. GUTIÉRREZ LLORET, Cerámica
y escritura: dos ejemplos de arabización temprana. Graffiti sobre cerámica del Tolmo de Minateda (Hellín, Albacete), in Al-Ândalus. Espaço de mudanza. Balanço de
25 anos de història e arqueología medievais. Seminario
Internacional Homenagem a Juan Zozaya Stabel-Hansen
(Mértola, 2005), Mértola 2006, pp. 52-60.
GUTIERREZ LLORET 2012 = S. GUTIÉRREZ LLORET, La arqueología en la historia del temprano al-Andalus: espacios sociales, cerámica e islamización, in PH. SÉNAC (ed.),
Villa 4. Histoire et Archéologie de l’Occident musulman
(VIIe-XVe siècles), Al-Andalus, Maghreb, Sicile 2012, pp.
33-66.
GUTIERREZ LLORET 2014 = S. GUTIÉRREZ LLORET, Repensando
la ciudad altomedieval desde la arqueología, in F. SABATÉ, J. BRUFAL (edd.), La ciutat medieval i arqueologia:
VI Curs Internacional d’Arqueologia Medieval, Lleida
2014, pp. 17-41 (Agira, 6).
GUTIERREZ LLORET 2015 = S. GUTIÉRREZ LLORET, Early alAndalus: An archaeological approach to the process of
Islamization in the Iberian Peninsula (7th to 10th centuries), in S. GELICHI, R. HODGES (edd.), New Directions in
Early Medieval European Archaeology: Spain and Italy
compared Essays for Riccardo Francovich, HAMA 24.
Brepols 2015, pp. 43-85.
GUTIÉRREZ LLORET, CÁNOVAS GUILLÉN 2009 = S. GUTIÉRREZ
LLORET, P. CÁNOVAS GUILLÉN, Construyendo el siglo VII:
arquitecturas y sistemas constructivos en El Tolmo de Minateda, in L. CABALLERO, P. MATEOS CRUZ, M.A. UTRERO
(edd.), El siglo VII frente al siglo VII: arquitectura: visigodos y Omeyas, 4, Mérida 2009, pp. 91-132 (Anejos de
Archivo Español de Arqueología, 51).
GUTIÉRREZ LLORET, SARABIA BAUTISTA 2007 = S. GUTIÉRREZ
LLORET, J. SARABIA BAUTISTA, El problema de la escultura decorativa visigoda en el sudeste a la luz del Tolmo
de Minateda (Albacete): distribución, tipologías funcionales y talleres, in L. CABALLERO, P. MATEOS CRUZ (edd.),
Escultura decorativa tardorromana y altomedieval en la
Península Ibérica, Madrid 2007, pp. 299-341 (Anejos de
Archivo Español de Arqueología, 41).
JONCHERAY 2007 = J.-P. JONCHERAY, L’épave sarrasine Agay
A. Campagne 1996, in CahASubaqu, XVI, 2007, pp. 222249.
KIRCHNER 2010 = H. KIRCHNER (ed.), Por una arqueología
agraria. Perspectivas de investigación sobre espacios de
cultivo en las sociedades medievales hispánicas, Oxford
2010 (Bar International Series, 2062).
LEÓN, MURILLO 2014 = A. LEÓN, J.F. MURILLO, Advances in
Research on Islamic Cordoba, in Journal of Islamic Archaeology, 1, 1, 2014, pp. 5-35.
Le Vert et Le Brun 1995 = Le Vert et Le Brun. De kairouan
à Avignon, céramiques du Xe au XIV e siècle, Marsiglia
1995.
MANNONI, GIANNICHEDDA 1996 = T. MANNONI, E. GIANNICHEDDA, Archeologia della produzione, Torino 1996 (trad.
En español: Arqueología de la Producción, Ariel, Barcelona, 2003; Arqueología: materias, objetos y producciones, 2007).
MANZANO MORENO 2012 = E. MANZANO MORENO, Al-Andalus: un balance crítico, in PH. SÉNAC (ed.), Villa 4. Histoire
et Archéologie de l’Occident musulman (VIIe-XVe siècles)
Al-Andalus, Maghreb, Sicile, Toulouse 2012, pp. 19-31.
MANZANO MORENO 2013 = E. MANZANO MORENO, Circula-
LA MIRADA DEL OTRO: AL-ANDALUS
tion de biens et richesses entre al-Andalus et l’Occident
européen aux VIIIe-Xe siècles, in L. FELLER, A. RODRIGUEZ, Objets sous contraintes. Circulation des objets et
valeur des choses au Moyen Âge, Paris 2013, pp. 147180.
MARTÍNEZ RODRÍGUEZ 1988 = A. MARTÍNEZ RODRÍGUEZ, Capiteles tardíos del sur del Conuentus Carthaginensis (ss.
IV-VII d. C.), in Antigüedad y Cristianismo (Murcia), V,
1988, pp. 185-211.
OCAÑA 1970 = M. OCAÑA, El cúfico hispano y su evolución,
Madrid 1970.
OLMO 2011 = L. OLMO, De Celtiberia a Santabariyya: la
transformación del espacio entre la época visigoda y la
formación de la sociedad andalusí, in Zona Arqueológica,
15, II, 2011, pp. 39-64.
PAPI RODES 1998 = C. PAPI RODES, Llàntia de doble borrell,
in J. GIRALT I BALAGUERÓ, L’Islam i Catalunya. Catàleg,
Lunwerg 1998.
PEACOCK 1982 = D.P.S. PEACOCK, Pottery in the Roman
world: an ethnoarchaelogical approach, London-New
York 1982.
PEACOCK 1997 = D.P.S. PEACOCK, La ceramica romana tra
archeologia e etnografia, Bari 1997.
QUIRÓS CASTILLO 2014 = J.A. QUIRÓS CASTILLO, Arqueología de la producción en época medieval, in Debates de
Arqueología Medieval, 4, Noviembre 2014, pp. 197-200.
RICHARTE, GUTIERREZ LLORET 2015 = C. RICHARTE, S. GUTIERREZ LLORET, Céramiques et marchandises transportées le long des côtes provençales, témoignages des
échanges commerciaux entre le domaine islamique et
l’Occident des IXe-Xe siècle, in Colloque international Héritages arabo-islamiques dans l’Europe méditerranéenne
(8e-18e siècles). Archéologie, Histoire, Anthropologie
(Marseille, 11-14 septembre 2013), La Découverte, Inrap,
Paris, pp. 209-227.
RODRIGUEZ MORALES, VIGUERA MOLINS 2014 = J. RODRÍGEZ
MORALES, M.J. VIGUERA MOLINS, La columna inscrita de
Santa María de Abajo-Carranque. Nueva lectura, in Actas
595
de las décimas jornadas de Patrimonio Arqueológico en
la Comunidad de Madrid (Madrid, 21-22 noviembre
2013), Madrid 2014, p. 373.
SARABIA BAUTISTA 2008 = J. SARABIA BAUTISTA, El aprovisionamiento de materiales para la construcción de ambientes domésticos de época emiral: el reempleo de
ornamentos en el Tolmo de Minateda, in Lucentum,
XXVII, 2008, pp. 131-139.
SELVA INIESTA, MARTINEZ RODRIGUEZ 1991 = A. SELVA INIESTA, A. MARTINEZ RODRIGUEZ, Elementos arquitectónicos y ornamentales del área del Tolmo de Minateda
(Albacete), in Revista de Estudios Albacetenses, 28, 1991,
pp. 103-139.
SOLER FERRER 1997 = M.P. SOLER FERRER, Cerámica Valenviana, in Cerámica española. Summa Artis. Historia General del Arte, XLII, Madrid 1997, pp. 135-178.
VALLEJO TRIANO 2009 = A. VALLEJO TRIANO, Intervención arqueológica en el tramo sur de la muralla meridional de
Madinat al-Zahra, in Patrimonio Cultural de España, 0,
2009, pp. 214-223.
VIGIL-ESCALERA GUIRADO 2007 = A. VIGIL-ESCALERA GUIRADO, Granjas y aldeas altomedievales al norte de Toledo (450-800 d. C.), in Archivo Español de Arqueología,
80, 2007, pp. 239-284.
VIGIL-ESCALERA GUIRADO, QUIRÓS CASTILLO 2013 = A.
VIGIL-ESCALERA GUIRADO, J. A.QUIRÓS CASTILLO, Un ensayo de interpretación del registro arqueológico, in J.A.
QUIRÓS CASTILLO (ed.), El poblamiento rural de época
visigoda en Hispania. Arqueología del campesinado en
el interior peninsular, Bilbao 2013, pp. 357-399.
WICKHAM 2008 = C. WICKHAM, Una historia nueva de la Alta
Edad Media. Europa y el Mediterráneo 400-800, Barcelona 2008.
ZOZAYA 2001 = J. ZOZAYA, Candil de dos piqueras con inscripción ‘Oc opvs Salomonis erat’, in El esplendor de los
Omeyas cordobeses. La civilización musulmana de Europa Occidental, Granada 2001 (Exposición en Madīnat
al-Zahrā, 2001).
DALLA PERIFERIA: ARCHEOMETALLURGIA DEL FERRO
NELLA SPAGNA NORD-OCCIDENTALE NELL’ALTO E PIENO MEDIOEVO
Juan Antonio Quirós Castillo
Introduzione
Lo studio dell’artigianato rappresenta una delle tematiche più indagate negli ultimi 30 anni dall’archeologia politica, in quanto esiste un vincolo molto stretto
tra la strutturazione delle attività secondarie e lo studio
delle forme di complessità politica e sociale 1. Anche se
la maggior parte della teoria archeologica è stata costruita in Europa intorno allo studio delle società protostoriche, negli ultimi due decenni si è osservato un
crescente interesse per l’analisi in termini sociali e politici delle produzioni non agrarie di età storica, in particolare per quanto riguarda lo studio dei processi di
trasformazione sociale profonda che caratterizzano l’altomedioevo 2. Lo studio delle invenzioni, stagnazioni e
recessioni dei sistemi tecnologici 3, l’intensità delle
forme specializzate di produzione in funzione della
struttura sociale ed economica 4, la distribuzione cronospaziale dei centri di produzione in rapporto con le
trasformazioni politiche 5, le forme di dominio signorile di risorse e processi produttivi 6, lo studio economico dei sistemi di produzione e circolazione 7 o l’analisi
delle forme di rappresentazione del potere attraverso gli
investimenti in settori secondari 8 sono alcune delle
principali linee di studio sviluppatesi in questi anni. Un
forte segno dello sviluppo di questo indirizzo di ricerca
è la definizione in Italia di un’archeologia della produzione 9 incentrata precisamente nell’analisi archeologica delle attività artigianali. Nonostante questo campo
di ricerca possa essere fortemente distorsivo quando tralascia il settore primario – molto più rilevante in termini quantitativi e qualitativi nelle società medievali –,
se ubicato in un contesto più largo offre uno spaccato
di grande interesse che permette di arricchire significativamente le analisi sociopolitiche del passato.
In molte delle ricerche condotte intorno alle società
altomedievali si è posto l’accento nello sviluppo delle
attività artigianali in rapporto con l’azione dei poteri e
le dinamiche aristocratiche che costituiscono, in ultima
istanza, il principale fattore che spiega la complessità
dei sistemi di scambio e dei meccanismi di produzione 10. Resta, invece, più oscura la strutturazione delle
strutture artigianali attive ad una scala locale, che spesso
sono state considerate come una versione semplificata
o degenerata dei sistemi produttivi romani 11.
In questa sede si prenderanno in considerazione le
Ringrazio Alessandra Molinari per l’invito a prendere parte a
questo convegno. Inoltre ho avuto diverse informazioni per la realizzazione di questo contributo da parte di collaboratori e colleghi
che vorrei ringraziare: Javier Franco, Javier Fernández Bordegarai, Alfonso Vigil-Escalera, Igor Santos, Rafael Mansilla, Andoni
Tarriño. Sonia Gobbato ha migliorato notevolmente lo stile del
testo.
Departamento de Geografía, Prehistoria y Arqueología, Universidad del País Vasco/Euskal Herriko Unibertsitatea, UPV/EHU.
Ricerca condotta all’interno del progetto di ricerca ‘Desigualdad
en los paisajes medievales del norte peninsular: los marcadores
arqueológicos’, HUM 2012-32514, dell’attività del ‘Grupo de Investigación en Patrimonio y Paisajes Culturales/Ondare eta Kultur Paisaietan Ikerketa Taldea’ (IT315-10) finanziato dal Governo
Basco, della UFI 11/02 ‘Historia, Pensamiento y Cultura Mate-
rial’ e della Unità Associata CSIC-UPV/EHU ‘Grupo de Estudios
Rurales’.
1
COSTIN 2001 e COSTIN 2005, p. 1035.
2
Ad esempio LAVAN, ZANINI, SARANTIS 2007.
3
LAVAN 2007.
4
WICKHAM 2008.
5
HENNING 2007.
6
FRANCOVICH, WICKHAM 1994.
7
GUTIÉRREZ LLORET 1996.
8
BIANCHI 2013.
9
MANNONI, GIANNICHEDDA 1996.
10
WICKHAM 2008.
11
WARD PERKINS 2005.
598
JUAN ANTONIO QUIRÓS CASTILLO
strutture artigianali alto e pieno medievali (secoli VIXII) indagate archeologicamente nel quadrante nordovest della Penisola Iberica, più precisamente nelle
province delle Asturie, Cantabria, Paesi Baschi, Madrid
e Castiglia e Leon. Si tratta di un territorio molto vasto
in cui l’archeologia medievale si è sviluppata in anni
molto recenti, e che, quindi, ancora non ha affrontato
in modo sistematico lo studio dei centri artigianali. Di
seguito si analizzeranno le attività siderurgiche nei Paesi
Baschi, che permettono di analizzare la strutturazione
dei sistemi artigianali all’interno delle società locali
medievali.
lo studio dell’artigianato resta quindi l’analisi delle sedi
produttive individuate in modo casuale nel corso di indagini realizzate con altri obiettivi (studio di castelli,
analisi di sedi rurali, interventi preventivi, etc.). Il magro
elenco di siti disponibili, che si riassume nella mappa
allegata (fig. 1), rispecchia le debolezze ma anche la
complessa struttura politica di quest’ampio territorio
nei secoli qui considerati e che potremo riassumere nei
seguenti punti:
Negli ultimi quindici anni si è assistito ad un notevole sviluppo delle indagini archeologiche delle società
medievali nel quadrante nord-ovest della Spagna, sia nei
contesti di archeologia preventiva che attraverso progetti di ricerca di diversa entità. Tuttavia, la natura dei
siti individuati e gli approcci teorici impiegati hanno dato
priorità all’indagine dei record bioarcheologici, alla costruzione di un’archeologia agraria e, in particolare, all’analisi archeologica delle comunità contadine. Altre
tematiche, quali l’archeometria dei materiali e lo studio dell’artigianato non sono state finora affrontate in
modo sistematico, anche se non mancano ricerche puntuali. I principali studi realizzati sull’artigianato sono
stati condotti su alcune produzioni di alto livello, quale
la toreutica 12, rispetto ad altri prodotti di minor rilievo
estetico quale il ferro o la ceramica comune che sono
stati indagati soprattutto a partire dai contesti di consumo. Mancano quindi ricerche indirizzate espressamente all’analisi dei centri artigianali o studi
archeometrici, in modo tale che ancora oggi ci sono gravi
deficienze per quanto riguarda lo studio dei mulini
idraulici, le vetrerie, le zecche, etc.
La principale fonte d’informazione disponibile per
1) mancano quasi completamente indagini sui central
places, e in particolare sui centri urbani. È anche vero
che questo territorio, durante il periodo indagato, non
ha una rete urbana né densa né potente e buona parte
delle aristocrazie sono ruralizzate 13, tranne eccezioni 14. Soltanto dall’XI-XII secolo si riscontrano centri di carattere urbano dotati di elementi di
sofisticazione economica e sociopolitica che si manifesta nell’emergenza di mercati e di centri artigianali 15.
2) Non sono ancora rilevanti neanche i ritrovamenti artigianali realizzati su altri sedi di potere quali i castra, i monasteria e le chiese, che comunque sono
numerosi in questo territorio. Sono stati rinvenuti alcune fornaci e centri metallurgici in alcuni castelli
(El Castillón, Castillo de los Monjes, Peñaferruz, Camargo, Gauzón, Valencia de Don Juan) 16 o in siti quali
la villa già abbandonata di Veranes, dove è stato scoperto un centro metallurgico che è stato datato nel
secolo VII 17, ma il campione è ancora esiguo. Colpisce, inoltre, la mancanza di dati riferibili a monasteri quali Melque o El Bovalar.
3) La maggior parte delle informazioni proviene quindi
da abitati rurali tipo villaggio. Va sottolineato che,
nella maggior parte dei siti, le uniche attività artigianali documentate sono quella tessile, svolta a piccola scala, la metallurgia, orientata alla riparazione
di oggetti di uso quotidiano, talvolta la produzione
di ceramica e, infine, le attività costruttive realizzate
a scala intercomunitaria 18.
Vedi PEREA 2001 e PEREA 2009.
QUIRÓS CASTILLO 2011.
14
Tra queste va sottolineato il caso di Recopolis, città fondata
del re visigoto Leovigildo, dove sono state rinvenute strutture artigianali di produzione di vetro e di orafi (OLMO ENCISO, CASTRO
PRIEGO, GÓMEZ DE LA TORRE-VERDEJO et alii 2008, p. 68) databili
tra la seconda metà del VI e la prima metà del VII secolo.
15
Nel caso dei Paesi Baschi vedi SANTOS SALAZAR 2011.
16
Per Castrillón SASTRE BLANCO, FUENTES MELGAR 2011; per Castillo de los Monjes TEJADO SEBASTIÁN 2011, p. 362 ss.; per Peñafe-
rruz GUTIÉRREZ GONZÁLEZ 2003, p. 101; per Camargo BOHIGAS ROL2001; per Gauzón MUÑIZ LÓPEZ, GARCÍA ÁLVAREZ-BUSTO 2012
e per Valencia de Don Juan, ARGÜELLO MENÉNDEZ 1998, p. 143.
17
Struttura E28: FERNÁNDEZ OCHOA, GIL SENDINO 2008, p. 447.
Altre attestazioni di ville ispaniche con attività metallurgiche sono quelle
delle ville di El Ruedo, El Val o Monroy (CHAVARRIA ARNAU 2004).
18
Ad esempio COLMENAREJO, FERNÁNDEZ SUÁREZ, GÓMEZ OSUNA
et alii 2010. Altri siti in corso di studio (ad esempio SALAS ÁLVAREZ, AYARZAGÜEÑA SANZ, LÓPEZ CIDAD et alii 2014) potrebbero allargare questo panorama produttivo.
1. L’archeologia della produzione nel quadrante nordovest della Spagna
12
13
DÁN
DALLA PERIFERIA: ARCHEOMETALLURGIA DEL FERRO NELLA SPAGNA NORD-OCCIDENTALE NELL’ALTO E PIENO MEDIOEVO
599
Fig . 1. - Principali siti artigianali altomedievali del nord-ovest della Spagna, esclusi quelli dei Paesi Baschi.
4) Sarebbe tuttavia sbagliato pensare che questa bassa
densità di centri artigianali rifletta un sistema economico autarchico e chiuso. In un recente volume dedicato all’analisi delle società rurali dei secoli VI-VIII
dell’interno della Spagna è stato possibile analizzare
la complessità dei rapporti di tipo eterarchico e gerarchico che si snodano intorno a queste comunità (fig.
2). In particolare nel caso di Madrid e del sud del
Duero è stato possibile osservare l’esistenza di un sistema artigianale articolato a scala locale e sovralocale (orizzontale), formato da strutture usate in
funzione della domanda (fornaci di materiali ceramici,
fucine per la riparazione di strumenti) o di sistemi di
approvvigionamento a distanza di materiali quali i
molini di granito, il sale o di materiali costruttivi reimpiegati. È piuttosto probabile che gli artigiani attivi
in questo sistema avessero una occupazione a tempo
parziale e che fossero itineranti 19.
5) Sono documentati anche rapporti di scambio di tipo
verticale tra le comunità rurali fino ai vertici territoriali, creandosi vincoli di tipo clientelare e rapporti
di potere visibili attraverso il ritrovamento di ceramica d’importazione (ad esempio la sigillata africana rinvenuta a Gozquez), oggetti di vetro, oggetti
di prestigio quale la toreutica, etc. Le logiche di redistribuzione di questi oggetti non sono solo di carattere commerciale oppure semplici doni, in termini
di Mauss, ma, come ha sottolineato recentemente
John Moreland, rispondono a processi complessi di
19
VIGIL-ESCALERA GUIRADO, QUIRÓS CASTILLO 2013.
600
JUAN ANTONIO QUIRÓS CASTILLO
9) 22. Inoltre, nei due settori dedicati alla forgiatura di oggetti metallici
non ci sono bassi fuochi di
riduzione. C’è quindi da
considerare che questo
territorio, dotato di forme
politiche di potere locale
ben definite, è al centro di
una rete artigianale densa
che prevede, tra gli altri
fattori, la circolazione di
prodotti semilavorati che
sono tra- sformati in centri artigianali disposti in
Fig. 2. - Struttura di produzione e distribuzione documentata nelle comunità rurali di età visigota nelvillaggi, come La Mata,
l’interno della Spagna. DA CORREGGERE “circulazione” e “gierarchica”
oltre a sistemi di redistribuzione a scala territointerazione sociale in funzione della biografia degli
riale. Altrettanto si potrebbe suggerire per le
oggetti e del loro significato contestuale, che traproduzioni ceramiche, e in particolare per quanto riscende la contrapposizione tra queste sfere di scamguarda le forme di produzione e distribuzione delle
bio e redistribuzione 20.
ceramiche stampigliate e altre classi rinvenute in
6) In ogni caso è interessante sottolineare che, quando
questi centri 23. Si può inoltre ipotizzare che il caso
abbiamo scavi accentrati in un territorio ridotto si
de La Mata non sia un esempio isolato ma si trovi
rivela la complessità delle reti di distribuzione e
all’interno di una rete più densa nella quale c’è spadell’articolazione delle sedi produttive. Un caso
zio per una domanda stabile di prodotti lavorati e sesignificativo è quello dell’areale del sito di La Mata
milavorati, che probabilmente fanno riferimento
del Palomar (Nieva, Segovia), databile tra il VI e il
anche sui centri di potere 24.
VII secolo (fig. 3). Questo sito rurale, che ha un record molto simile ad altri villaggi situati all’in2. La produzione del ferro nei Paesi Baschi
terno della penisola, si caratterizza per la presenza
di tre settori artigianali situati nella periferia delle
Forse l’unica attività artigianale che ha finora meriaree abitate, dedicati, i primi due, alla forgia di ogtato una certa attenzione da parte degli studiosi nel nogetti metallici, e il terzo alla produzione di cerastro territorio è stata la produzione di ferro 25.
mica. È l’unico centro finora rinvenuto in cui si è
Almeno dagli anni ‘90 diversi ricercatori hanno anariscontrata questa varietà di centri artigianali tra gli
21
lizzato in termini archeologici i centri di produzione del
abitati di età visigota dell’interno ispanico . Ci
ferro di diversi settori del nord della Spagna (in partisono due aspetti comunque che vanno sottolineati
colare delle Asturie, Zamora, Paesi Baschi e Catalogna),
in questo esempio. In primo luogo il sito è ubicato
interessandosi sostanzialmente alle analisi tecniche dei
in prossimità di almeno due castra coetanei di una
diversi impianti, studiando sia basso fuochi (Fabrecerta entità, Bernardos (Virgen del Castillo, km 9)
gada), ferriere idrauliche (Agorregi o El Pobal) e fucine
e Torrejón (Ermita de la Virgen del Torrejón, km
MORELAND 2010, pp. 96-99.
QUIRÓS CASTILLO 2013, pp. 144-147.
22
A km 15 al nord-ovest si trova anche un altro importante centro, quello di Coca (LARRÉN IZQUIERDO, BLANCO GARCÍA, VILLANUEVA ZUBIZARRETA et alii 2003); su Bernardos vedi GONZALO
GONZÁLEZ 2006.
23
GONZALO GONZÁLEZ 2006, pp. 37-77.
24
Infatti, da recente è stato rinvenuto a circa km 12 di questo
20
21
sito un centro metallurgico dedicato alla produzione del rame (SALAS
ÁLVAREZ, AYARZAGÜEÑA SANZ, LÓPEZ CIDAD et alii 2014). Per cfr.
con la realtà altomedievale italiana, vedi FARINELLI, FRANCOVICH
1994; GIOSTRA 2000.
25
Oltre alla ceramica studiata sostanzialmente dai contesti di consumo piuttosto che da quelli di produzione. Le principali sintesi disponibili sono GUTIÉRREZ GONZÁLEZ, BOHIGAS ROLDÁN 1989;
LARRÉN IZQUIERDO, BLANCO GARCÍA, VILLANUEVA ZUBIZARRETA et
alii 2003; SOLAUN 2007.
DALLA PERIFERIA: ARCHEOMETALLURGIA DEL FERRO NELLA SPAGNA NORD-OCCIDENTALE NELL’ALTO E PIENO MEDIOEVO
601
Fig. 3. - Localizzazione del sito de La Mata del Palomar in rapporto con i siti incastellati di Bernardos e Torrejón.
come quelle di l’Esquerda o Matallana 26, o analizzando
la dimensione sociale della produzione 27.
Tuttavia, buona parte dell’archeologia sociale della
metallurgia in Europa non si è incentrata nell’analisi
della siderurgia. La frequenza della mineralizzazione di
ferro in natura e il minor interesse da parte delle aristocrazie nel controllo dei sistemi produttivi siderurgici
ha fatto sì che, come è noto, ci sia stata una maggior
attenzione da parte degli studiosi verso l’analisi di altre
risorse quale la galena argentifera 28. Se intorno allo sfruttamento dei minerali monetabili è possibile spiegare l’articolazione di signorie complesse, come quelle delle
colline metallifere toscane 29, le logiche di articolazione
della produzione del ferro sono assai diverse e raramente
generano paesaggi di potere 30 e quindi spesso, il ferro
viene considerato come un metallo di seconda importanza 31. Ricerche recenti stanno comunque dimostrando
che lo studio sistematico di quest’attività produttiva ha
un’importante capacità esplicativa di dinamiche sociali
complesse a scala locale e sovralocale.
Nel presente studio prenderemo in considerazione
l’attività siderurgica pre-idraulica in età medievale nei
Paesi Baschi. In questo territorio si è svolta un’intensa
attività metallurgica in età storica come risultato dello
sfruttamento delle importanti mineralizzazioni presenti
lungo l’anticlinale di Bilbao (fig. 4) 32. Tranne qualche
eccezione, le fonti scritte fanno riferimento alle attività
siderurgiche soltanto a partire del basso medioevo e per
26
RIU 1996; URTEAGA ARTIGAS 1996; AYERBE IRIBAR, URTEAGA
ARTIGAS, LÓPEZ COLOM 2002; SANCHO 2011.
27
ARGÜELLO MENÉNDEZ 1998; ARGÜELLO MENÉNDEZ 2009.
28
FARINELLI, FRANCOVICH 1994.
29
Nel nostro territorio sono rilevanti le miniere di Navarra, sotto
dominio dei reali nel basso Medioevo (MUGUETA MORENO 2005).
30
FRANCOVICH, WICKHAM 1994, pp. 8-10; CANTO GARCÍA, CRESSIER 2008, p. XV.
31
SANCHO 2011, p. 652.
32
GIL, VELASCO 1992.
602
JUAN ANTONIO QUIRÓS CASTILLO
1) Le 36 datazioni radiocarboniche realizzate finora negli accumuli di scorie e in questi
impianti produttivi sono comprese tra l’età romana e il XIII
secolo e mostrano che i bassi
forni per la riduzione diretta del
minerale di ferro sono stati in
uso, almeno in Biscaglia, durante tutto il periodo 35. E anche
se c’è un incremento delle attestazioni in tutti i territori nel periodo compreso tra i secoli XI e
Fig. 4. - Carta geologica dei Paesi Baschi, dove si osserva l’anticlinale di Bilbao e gli affioramenti
XIII, si può affermare che il
del Cretacico Inferiore dove si concentrano le mineralizzazioni di ferro.
ferro è stato prodotto nei Paesi
questo motivo l’archeologia ha svolto un ruolo centrale
Baschi in modo continuo durante tutto l’alto Menello studio di quest’attività produttiva.
dioevo.
2) Questi bassi fuochi, chiamati haizeolak o ferriere a
2.1. L’evidenza archeologica
vento, sono di piccole dimensioni e si ubicano in zone
di montagna, dove sono accessibili risorse quali il miL’entità e la natura della documentazione archeolonerale, il carbone e i corsi d’acqua. Questi forni sono
gica relativa all’attività siderurgica disponibile nei Paesi
lontani dai centri abitati e dovevano quindi disporre
Baschi si è incrementata in modo notevole negli ultimi
di strutture residenziali almeno temporali, che ancora
anni. Al giorno d’oggi sono stati schedati oltre 350 acnon sono state rinvenute.
cumuli di scorie sulle montagne basche e sono stati scaLe indagini stratigrafiche realizzate in questi centri
vati oltre una dozzina di bassi forni (Oiola I e II,
hanno mostrato delle realtà molto eterogenee. Mentre
Ilso-Betaio, Tresmoral 6, Zabarain, Gasteiz, Bagoeta,
alcune sembrano avere una vita breve (Ilso Betaio, CalCallejaverde, Peñas Negras, Arrastaleku, Olazar 1 e 3,
leja Verde, Peñas Negras), in altri casi ci troviamo di
Teniola, La Zepa) 33, ed anche diversi impianti metalfronte a sedi produttive estese in uso durante lunghi
lurgici (Segura, Durango, Bilbao, Vitoria). Sono state,
periodi. Questo è il caso di Oiola IV, stabilimento siinoltre, rinvenute scorie di forgia per la riparazione di
tuato in prossimità di un altro centro di età tardo rostrumenti in diversi abitati (Zaballa, Zornoztegi, etc.) e
mana (Oiola II). Sul posto sono state trovate una decina
sono stati studiati più di 1.100 oggetti di ferro di età
di fornaci e fucine oltre a una carbonaia che appar34
medievale . Ciononostante la maggior parte di tutta quetengono a due fasi di uso medievale; una dei secoli Xsta informazione rimane ancora inedita o è stata pubXI e un’altra del XII-XIII secolo, quando l’impianto
blicata in modo piuttosto parziale e frammentario (fig.
raggiunse un’estensione di circa m2 1000. Sul sito,
5). Tuttavia, è possibile proporre alcune tendenze prinquindi, si svolgeva l’intero ciclo produttivo 36.
cipali:
Molti di loro si trovano proprio sotto gli accumuli di scorie.
Per quanto riguarda lo studio degli oggetti vedi MANSILLA
HORTIGUELA 2012; GONZÁLEZ CASTAÑÓN 2011 e la sezione dedicata nel II Congrés d’Arqueologia Medieval i Moderna a Catalunya. Per quanto riguarda i contesti produttivi i lavori di riferimento
sono: AA.VV. 1980; GORROCHATEGUI, YARRITU, MARTÍN et alii
1995; ARDIBE ELORZA, URCEALY 1995; PEREDA GARCÍA 1997; FERNÁNDEZ BORDEGARAI 1998; URTEAGA ARTIGAS 1995; URTEAGA ARTIGAS 1997; MORAZA BAREA 2004; FERNÁNDEZ CARVAJAL 2007;
FERNÁNDEZ CARVAJAL 2008; FERNÁNDEZ CARVAJAL, FRANCO PÉREZ
2010; BASTERRRETXEA, ORUE-ETXEBARRIA 2010; ORUE-ETXEBARRIA, APELLANIZ, ARTARAZ et alii 2010; AZKARATE GARAI-OLAUN,
SOLAUN BUSTINZA 2009; AZKARATE GARAI-OLAUN, MARTÍNEZ TORRECILLA, SOLAUN BUSTINZA 2011; HERRERO, GIL-CRESPO, YUSTA
et alii 2012; FRANCO PÉREZ, ALBERDI LONDIBE, ETXEZARRAGA OR33
34
TUONDO 2013; FRANCO PÉREZ
RRAGA ORTUONDO c.s.; FRANCO
BERDI LONDIBE et alii c.s..
c.s.; ALBERDI LONDIGE, ETXEZAPÉREZ, FERNÁNDEZ CARVAJAL, ALL’inventario archeologico delle
haizeolak è stato eseguito in Biscaglia da J. Franco (FRANCO PÉREZ
2010), che attualmente prepara la sua tesi di dottorato, nel caso di
Álava da Marta Lopez de Armentia (LÓPEZ DE ARMENTIA ITURRALDE
2010) e nel caso di Guipúzcoa è attualmente in corso la schedatura degli accumuli di scorie: ALBERDI LONDIGE, ETXEZARRAGA ORTUONDO, ARTETEXE FERNÁNDEZ 2013; ALBERDI LONDIGE,
ETXEZARRAGA ORTUONDO c.s.. Un bilancio critico sullo studio
delle produzioni del ferro si trova in ETXEZARRAGA 2004. Vedi anche
QUIRÓS CASTILLO c.s.
35
Altrettanto occorre in altri settori iberici, quale Sierra Nevada
in Granada (BERTRAND, SÁNCHEZ VICIANA 2008, pp. 127-129).
36
PEREDA GARCÍA 1997.
DALLA PERIFERIA: ARCHEOMETALLURGIA DEL FERRO NELLA SPAGNA NORD-OCCIDENTALE NELL’ALTO E PIENO MEDIOEVO
603
Fig. 5. - Carta di localizzazione delle principali haizeolak e ferrerie rinvenute in Biscaglia, Alava e alcuni settori di Guipúzcoa, con indicazione dei siti indagati stratigraficamente.
In altre occasioni sono state rinvenute fornaci di cronologie post-medievali o strutture adibite alla tostatura dei minerali. In definitiva, si tratta di un
fenomeno piuttosto complesso visibile in superficie
soltanto a partire dagli accumuli di scorie 37.
L’elemento che accomuna tutte queste attestazioni è
la loro ubicazione in zone di montagna sfruttate dalle
comunità locali in regime comunale 38. È più che probabile, quindi, che l’estrazione del minerale fosse
aperta a tutti i membri della comunità (come attestato
nella documentazione più tarda) 39, mentre la riduzione
del minerale richiedesse la presenza, anche in modo
stagionale, di artigiani specializzati che operavano a
piccola scala in funzione della domanda (come nel
caso piemontese di Misobolo) 40, anche se non si
deve escludere la produzione di eccedenti 41. Un sistema di gestione comunitario sarebbe anche alle
spalle della produzione del carbone necessario per la
riduzione del minerale. Le analisi archeobotaniche dei
carboni rinvenuti in centri quali Oiola IV hanno mostrato un’importante diversità delle specie impiegate
come risultato della non selezione o specializzazione
delle risorse forestali. Non è stato neppure possibile
associare certi tipi di legno con le diverse attività
ALBERTI LONDIGE, ETXEZARRAGA ORTUONDO c.s.
38
Invece nella Sierra Menera a Teruel ci sono accumuli di scorie ubicati in prossimità delle aree abitate oppure dislocate (ORTEGA
2008, p. 119).
39
DÍEZ DE SALAZAR FERNÁNDEZ 1983, p. 223.
CIMA 1996.
Sulla densità del concetto specializzazione nell’analisi archeologica vedi COSTIN 2001, pp. 279 ss. La presenza di produzioni
di ferro in comunali è ampiamente attestata in altri settori europei,
quali la Scandinavia (LINDHOLM, SANDSTRÖM, EKMAN 2013, pp. 1819).
40
37
41
604
JUAN ANTONIO QUIRÓS CASTILLO
svolte lungo l’intero ciclo produttivo 42. Invece nel
basso forno di Ilso-Betaio si impiegò praticamente
in modo esclusivo il faggio 43.
In definitiva, in ampi settori dei Paesi Baschi la riduzione del ferro è un’attività dotata di una certa complessità tecnologica, ma l’estrazione del minerale, la
raccolta della legna e la produzione del carbone si
snoda all’interno delle comunità locali, seguendo logiche gestionali simili a quelle dei pascoli estivi,
delle risorse forestali o dello sfruttamento del sale.
Questo sistema produttivo di carattere domestico è
largamente attestato in tutto l’alto e pieno Medioevo 44.
3) A partire dal XI-XII secolo troviamo indizi di una
maggior complessità nei sistemi produttivi poiché in
alcuni siti si ritrovano dislocate fornaci di arrostimento
o fucine (Vitoria, Segura, Durango, Bagoeta N), che
fanno capire come il processo produttivo si svolgesse ora in più sedi e/o esistesse un incipiente mercato di prodotti semilavorati. Il quadro si modificherà
ulteriormente nel basso Medioevo a seguito dell’introduzione dell’energia idraulica e la trasformazione
profonda dei meccanismi di produzione e di distribuzione.
4) Ci sono tuttavia anche degli esempi che non rispondono a questa logica produttiva e che si localizzano
significativamente nel versante mediterraneo, nella
provincia di Alava. In questo territorio le ferriere
preindustriali si ubicano nel limite settentrionale,
dove affiorano i materiali del Cretacico Inferiore e si
ritrovano le mineralizzazione di ferro, specialmente
nelle aree di Aramaiona e Araia. Ad esempio una di
queste ferriere è stata rinvenuta alla base del castello
di Murutegui 45, dove sono stati rinvenuti armamenti
e oggetti di ferro e d’altri metalli di età pieno medievale 46.
5) Nella pianura alavesa, una conca strutturale realizzata su materiali del Cretacico Superiore, sono stati
rinvenuti soltanto alcuni centri produttivi che hanno
delle particolarità molto significative. Nel sito di Bagoeta S, situato in prossimità delle vene di Otxandio
e Aramaiona ma non su di esse, si è documentata una
piccola occupazione di circa m2 350, datata nei secoli VII-VIII, nella quale non sono state rinvenute fornaci, ma evidenti tracce di scorie di riduzione e forge
per il ferro. In questo caso le ferriere non si localizzano sugli affioramenti metalliferi come succede con
le haizeolak, e quindi è da supporre che ci sia stato
uno spostamento verso questo centro produttivo 47. Il
sito fu rioccupato nel pieno Medioevo (secoli XIXIII), e in questa fase fu realizzato un nuovo basso
fuoco e una fucina (Bagoeta N).
Anche nello scoriale di Lekubarri, situato nel confine tra Bizkaia e Alava, è stata trovata la traccia di
un bassoforno di montagna datato nel VII secolo che
è ben distante dell’anticlinale di Bilbao, dove si ubicano le principali mineralizzazioni dei Paesi Baschi 48.
Riveste anche grande interesse il ritrovamento nell’area della cattedrale di Vitoria (Gasteiz Cattedrale)
di un’interessante attività siderurgica altomedievale 49.
Seppure nelle fasi più antiche (secoli VIII-X) siano
attestate delle strutture di riduzione di ferro, dalla metà
del X secolo si è documentata la presenza di una fucina inserita all’interno di una struttura urbanistica
più strutturata. La presenza di strutture metallurgiche
in cima alla collina di Vitoria trova riscontro, inoltre, con altri rinvenimenti individuati più a sud, nell’area del Campillo, databili nel X secolo 50. Si può
quindi ipotizzare che nella fase più antica esistesse
un settore artigianale ben definito (si tratta di un centro ‘specializzato’?; potrebbe trattarsi di un sito metallurgico simile a quello di Bagoeta S?) che forse si
trovava in un settore periferico dell’abitato dove si
svolgevano sia i lavori di riduzione di un minerale –
che doveva essere trasportato da una certa distanza
– sia la lavorazione degli oggetti di ferro. Per quanto
riguarda il consumo di legno la gran varietà delle specie attestate nell’intero sito in età altomedievale ha
portato a pensare ad un uso opportunistico delle risorse forestali vicine; tuttavia la legna impiegata negli
impianti siderurgici dei secoli VIII-IX è composta in
modo massiccio dalle Rosaceae (circa 70%) 51.
ZAPATA 1997.
GORROCHATEGUI, YARRITU, MARTÍN et alii 1995.
44
Questo sistema produttivo è attestato anche in altri territori iberici: CORULLÓN PAREDES, ESCALONA MONGE 2007; ORTEGA 2008, p.
120; BERTRAND, SÁNCHEZ VICIANA 2008. Per quanto riguarda lo sfruttamento del sale nell’alto Medioevo condotto probabilmente a scala
comunitaria, vedi ora i recenti rinvenimenti di Salinas de Añana in
Alava (MARTÍNEZ TORRECILLA, PLATA MORENO, SÁNCHEZ ZUFIAURRE 2013, p. 53).
4
LÓPEZ DE ARMENTIA ITURRALDE 2010.
GARCÍA RATES 1986, pp. 463-465.
AZKARATE GARAI-OLAUN, MARTÍNEZ TORRECILLA, SOLAUN BUSTINZA 2011, p. 81.
48
FRANCO PÉREZ c.s.
49
AZKARATE GARAI-OLAUN, SOLAUN BUSTINZA 2009. Con posteriorità alla redazione di questo lavoro è stato edito il volume AZKARATE GARAI-OLAUN, SOLAUN BUSTINZA 2014 e quindi non è stato
possibile impiegarlo in questa sede.
50
FERNÁNDEZ BORDEGARAI 1998.
51
RUIZ-ALONSO, AZKARATE, SOLAÚN et alii 2012.
42
43
46
47
DALLA PERIFERIA: ARCHEOMETALLURGIA DEL FERRO NELLA SPAGNA NORD-OCCIDENTALE NELL’ALTO E PIENO MEDIOEVO
605
Dalla metà del X secolo Gasteiz è inserito in un sistema di approvvigionamento di prodotti semilavorati (pani di ferro) che alimentavano una fucina. Tutti
questi dati sono coerenti con la rilevanza raggiunta
dalla siderurgia in Alava in questo periodo, mentre
in Biscaglia e in Guipúzcoa, dove si concentrano le
haizeolak di tipo domestico, bisognerà aspettare i secoli XII-XIII per documentare la presenza di fucine
all’interno dei centri territoriali che, come VitoriaGasteiz, raggiungeranno lo status protoubrano (ad
esempio Durango, Bilbao) 52.
6) Gli oggetti rinvenuti negli scavi di abitati sono altrettanto significativi delle forme di consumo e dell’articolazione della domanda locale. Nei villaggi di
Zornoztegi e Zaballa, entrambi scavati in modo estensivo, è stato rinvenuto oltre un migliaio di oggetti
identificabili di età medievale 53. Si tratta, comunque,
di un campione sottorappresentato, tenendo conto la
complessità dei processi formativi (assenza di depositi primari, frequente spostamento dell’abitato), l’incidenza del riciclaggio e la natura del sito. In ogni
caso va sottolineato che lo strumentario di ferro forma
parte della cultura materiale del contadino altomedievale basco. Uno dei contesti più significativi è
quello rinvenuto nell’abitazione E10 di Zaballa del
IX-X secolo, dove sono stati rinvenuti 1 falce, 2 roncole, 3 coltelli, 3 paia di forbici e alcune punte di freccia, reperti che si ritrovano anche in altri siti più
antichi. Paradossalmente, nei contesti tardo romani
dell’abitato di Zornoztegi non sono state trovate delle
falci di ferro, ma di selce (IV-V secolo), anche se non
mancano altri oggetti ferrosi (in particolare materiali
costruttivi). Sono anche piuttosto ricorrenti in questi
abitati gli oggetti di carattere artigianale e quelli vincolati all’allevamento di animali.
In definitiva, le comunità rurali basche erano, almeno dall’VIII secolo, ben attrezzate con strumenti
di ferro 54 che erano impiegati sia nelle attività artigianali domestiche che nell’ambito di una attività
agraria intensiva che includeva la rotazione delle coltivazioni e l’allevamento di bestiame stanziale 55. Le
notizie sono, per ora, più scarse per quanto riguarda
l’impiego degli oggetti di ferro in ambiti domestici
Un elemento importante relativo alla produzione del
ferro nei Paesi Baschi è la sua opacità nella documentazione medievale. Prima del XIII secolo è, infatti, quasi
del tutto assente nei testi scritti qualsiasi riferimento alla
produzione siderurgica, nonostante la sua rilevanza archeologica. Ad esempio nel caso del cartulario di S. Millán de la Cogolla si menziona un’unica ferrera nell’anno
1076 in una delimitazione di diversi beni donati nel sito
di Camprovín, nella Rioja, da un importante nobile locale al monastero (n. 63) 57. Mancano invece attestazioni
nei fondi documentali di Leyre o Valpuesta. Ciononostante, almeno dal X secolo sono diversi i ferreros che
sono menzionati nei documenti, che possiedono beni
(talvolta anche rilevanti) e firmano alcuni atti.
Le ragioni di questo silenzio sono varie. Innanzitutto
queste strutture di uso temporale e talvolta breve non
finiscono per essere così rilevanti da lasciare traccia nelle
mappe mentali e quindi non sono riferimenti impiegati
nella documentazione. Ma sicuramente la ragione principale è che una parte rilevante di questa produzione si
snoda all’interno della comunità senza un’implicazione
diretta delle élite, che non mostrano un interesse specifico nel controllare il processo produttivo in parte o nella
sua totalità, come succede nel caso dei minerali monetabili. Infatti, nei paesi Baschi, e in genere nell’area Castigliana, non si avverte nella documentazione un
interesse signorile per il controllo della produzione
prima del 1200, nonostante la rilevanza che mostra il
record archeologico. Invece nel Regno delle Asturie, che
ha una diversa struttura sociale, è ben attestata almeno
Ad esempio GARCÍA CAMINO 1992-1993; BENGOETXEA REMENTERIA 2009.
53
Sulla difficoltà di studiare questi reperti vedi GIANNICHEDDA
2007, pp. 202-203.
54
Che comunque era un bene pregiato, come si osserva nelle donazioni dove non mancano i riferimenti alla ferramenta (ad esem-
pio RUIZ ASENSIO, RUIZ ALBI, HERRERO JIMÉNEZ 2010, n. 139, a.
1122).
55
QUIRÓS CASTILLO 2012; GRAU-SOLOGESTOA 2014.
56
AZKARATE GARAI-OLAUN, MARTÍNEZ TORRECILLA, SOLAUN BUSTINZA 2011.
57
http://www.ehu.es/galicano/docu?d=121&l=es&tmp=13923
30427029.
52
nei secoli precedenti. I contesti disponibili finora procedono sostanzialmente da cimiteri come quello di
Aldaieta, dove è stato rinvenuto un numero molto significativo di oggetti e di armamenti realizzati in
ferro. Secondo A. Azkarate 56, questi materiali potrebbero essere stati realizzati in centri quale Bagoeta
S. L’ipotesi, molto suggestiva, richiederebbe senz’altro, la realizzazione di analisi metallografiche che
permettano di capire l’articolazione della produzione
in questo periodo.
2.2. Il silenzio della documentazione scritta
606
JUAN ANTONIO QUIRÓS CASTILLO
Fig. 6. - Localizzazione dei siti menzionati nel documento dell’anno 1025 noto come ‘Reja di San Millán’.
dal X secolo un’implicazione signorile nel controllo
della produzione siderurgica attraverso il possesso delle
stesse miniere 58.
Il fatto che i poteri signorili non compaiono nei documenti come implicati nel dominio delle miniere o nel
controllo dei processi produttivi non significa che non
fossero interessati nei risultati della produzione. Come
ha giustamente sottolineato J. Escalona è molto rilevante
constatare che la produzione di ferro in Castiglia sia attestata nei documenti soltanto attraverso la forma di rendite di oggetti metallici 59. In particolare, un documento
dell’anno 1025 noto come ‘Reja di San Millán’ ci mo-
stra come questo importante monastero richiedesse (e
forse otteneva) 339 regas di ferro da quasi 300 villaggi
situati in Alava (fig. 6) 60. Ancora, in un altro noto documento del XII secolo (Falsos votos de San Millán)
questo monastero richiedeva sempre ad Alava la concessione di regas di ferro a ragione di una ogni dieci
case 61, mentre a Biscaglia e Guipúzcoa chiedeva bovini. Questa asimmetria territoriale, sottolineata da autori come García de Cortázar (2005), è molto rilevante
perché, tranne eccezioni, le attestazioni archeologiche
relative a centri di produzione del ferro si concentrano
sostanzialmente in queste ultime due province dove, a
ARGÜELLO MENÉNDEZ 1998, pp. 151-164. Altrettanto si osserva
nel caso di Catalogna (SANCHO 2011, p. 661).
59
CORULLÓN PAREDES, ESCALONA MONGE 2007, p. 44.
60
«De ferro de Alava. In era MLXIII decano de Sancti Emiliani
sicut colligebat ferro per Alave ita scribimus» (n. 583):
http://www.ehu.es/galicano/docu?d=790&l=es&tmp=139179842509
5. In realtà non si sa di precisione cosa sia una rega; tradizional-
mente si è identificato con una reja o vomere di aratro (GARCÍA DE
CORTÁZAR 2005), ma alcuni autori pensano che potrebbero essere
masselli (AZKARATE GARAI-OLAUN, SOLAUN BUSTINZA 2009). Infatti,
nel documento si fa riferimento in un’occasione all’esistenza di una
differenza tra le regas «de cubito in longo» e quelle «minores». Tuttavia questa interpretazione non è nemmeno esente di problemi (PASTOR DÍAZ DE GARAYO 2011, p. 59).
58
DALLA PERIFERIA: ARCHEOMETALLURGIA DEL FERRO NELLA SPAGNA NORD-OCCIDENTALE NELL’ALTO E PIENO MEDIOEVO
differenza di Alava, si localizzano le mineralizzazioni
più importanti. Attualmente non è possibile sapere se
questa contraddizione è il risultato delle lacune delle ricerche archeologiche realizzate ad Alava oppure se esista un sistema di produzione e commercializzazione
delle produzioni cantabriche nell’area mediterranea più
complesso di quanto ancora riusciamo ad intravedere 62.
E anche se le due possibilità non sono incompatibili, va
rilevato che l’unico documento databile prima del 1200
dell’area Cantabrica che fa riferimento al ferro è il privilegio reale (fuero) di S. Sebastián dell’anno 1180, che
fa menzione alla presenza di fabri nella villa 63.
In ogni caso, dal XIII secolo questa geografia produttiva si capovolge completamente quando le aristocrazie
di Alava scommettono sull’allevamento estensivo a discapito delle ferriere. Questo nuovo orientamento produttivo modifica l’uso delle aree di montagna e penalizza
quindi le risorse forestali, determinando il fatto che il numero di ferriere e di carbonaie è piuttosto ridotto in età
bassomedievale 64. Invece nell’area cantabrica le ferriere
diventano a partire da questo momento il settore produttivo prioritario, in modo tale che nel Cinquecento almeno
il 40% della popolazione di Guipúzcoa lavorava nelle ferriere e attività collegate 65. In questo periodo è attestata
l’esportazione sia dei minerali dell’area di Biscaglia che
di prodotti semilavorati destinati via marittima a numerose aree europee o, più tardi, americane. Quindi, intorno
a quest’attività si articolano numerosi interessi incrociati
da parte dei re (che possiedono le vene), delle protocittà
basche 66, delle aristocrazie territoriali (che gestiscono le
signorie) e dei nuovi imprenditori non aristocratici che
pure gestiscono alcune ferriere idrauliche 67. Anche la gestione delle risorse forestali e della produzione del carbone diventerà, in questo contesto, un punto di scontro
sociale molto importante 68.
In ogni caso, risulta molto interessante sottolineare
che la diffusione dalla seconda metà del XIII secolo delle
61
«Alava, cum suis villis, ad suas alfoces pertinentibus, id est
de Losa et de Buradon usque Eznate ferrum; per omnes villas, inter
domus decem una reia […]. De rivo de Galharraga usque in flumen de Deba, id est, tota Bizcahia, et de ipsa Deba usque Sanctum
Sebastianum d’Ernanni, id est, tota Ipuzcua, a finibus Alava usque
ad ora maris. Quicqu<i>d infra est de unaqu<a>que alfoce: singulos
Boves»:
http://www.ehu.es/galicano/docu?d=1&l=es&tmp=1391798481772.
62
Forse lo spostamento di minerali a siti quali Lekubarri, Bagoeta o Gasteiz documentata già nell’alto Medioevo potrebbe supportare questa seconda ipotesi.
63
MARTÍN DUQUE 1982, IV, 4.
6
DÍAZ DE DURANA 1986.
65
DÍEZ DE SALAZAR FERNÁNDEZ 1983, p. 122.
607
ferriere idrauliche non comportò la fine nei Paesi Baschi delle haizeolak, come testimoniato dagli ordinamenti di Segura del 1335 riguardanti le ferriere in cui
sono menzionate «ferrerias masugueras, de maço de
agua e de omes» 69 o dal caso di Burdinola, accumulo
di scorie datato nel XIV secolo 70. Questa coesistenza
rispecchia la diversità in termini sociali dei sistemi produttivi del ferro. Le nuove ferriere idrauliche, che richiedono importanti investimenti e nuove forme di
gestione delle risorse forestali, compaiono presto in
mano di hidalgos (aristocrazie locali) 71 e di nuovi investitori in forte concorrenza con i comuni urbani e con
i principali signori territoriali. Le comunità rurali mantengono invece un loro sistema produttivo non orientato alla commercializzazione a grande scala, ma
certamente funzionale ad un sistema di consumo interno.
3. Discussione
La produzione di ferro in età tardo romana nel quadrante nord-ovest della Spagna è basata su un sistema
produttivo articolato e complesso che prevede anche il
trasporto di minerali a lunga distanza e la circolazione
di artigiani di alto livello. Ad esempio nella forgia rinvenuta nel Castro del Castrillón (Zamora) del V secolo
le analisi metallografiche hanno individuato una produzione di strumenti di ferro d’alta qualità realizzati con
ringwoodita, ragione per la quale è stata suggerita un
suo trasporto dall’area di Cáceres, situata a circa km 300
al sud 72. Inoltre i siti indagati finora suggeriscono l’esistenza di un’intensa produzione, di una fluida circolazione e un importante consumo di oggetti di ferro
durante la prima metà del V secolo: sono assai frequenti
l’uso di chiodini nelle suole delle scarpe, rinforzi e
chiodi di ferro nelle bare e la comparsa massiccia di oggetti di ferro nelle sepolture 73. Dagli inizi del VI secolo
SANTOS SALAZAR 2011.
GARCÍA DE CORTÁZAR 2005; MUGUETA MORENO 2013.
68
URIARTE AYO 1998.
69
DÍEZ DE SALAZAR FERNÁNDEZ 1985, n. 12 e 13. La coesistenza
tra innovazione, stagnazione e recessione è comune in età altomedievale (LAVAN 2007, pp. XVIII-XIX), creando tensioni che sono di
grande interesse in termini di storia sociale.
70
AA. VV. 1997.
71
Carta puebla di Portugalete dell’anno 1322 (HIDALGO DE CISNEROS AMESTOY, LARGACHA RUBIO, LORENTE RUIGÓMEZ et alii 1987,
n. 1).
72
SASTRE BLANCO, FUENTES MELGAR 2011.
73
Vedi gli esempi di Fuentespreadas (CABALLERA ZOREDA 1974),
66
67
608
JUAN ANTONIO QUIRÓS CASTILLO
si osserva invece un’importante diminuzione nella presenza di oggetti di ferro, secondo un fenomeno generalizzato nel nord-ovest della Spagna.
La riduzione massiccia delle produzioni metallurgiche nel V secolo era già stata rilevata da J.C. Edmonson 74, il quale aveva sostenuto come l’attività
metallurgica fosse perdurata nel periodo post-romano
ad una scala più ridotta, sebbene finora non si avessero
molte evidenze di come fosse articolato questo sistema 75. Gli oggetti metallici rinvenuti, ad esempio, nei
grandi scavi preventivi di villaggi e di abitati dei secoli
VI-VIII, condotti all’interno della Spagna, sono piuttosto scarsi e presentano un repertorio tipologico e funzionale piuttosto ridotto. Anche gli impianti siderurgici
rinvenuti in centri di potere quali i castelli (Castillo de
los Monjes, Peñaferruz, Camargo, Murutegui o Valencia de Don Juan) sono di piccola entità e basati sull’autoapprovvigionamento. In definitiva, non sembra che ci
sia stata un’interruzione nella produzione del ferro in
questo settore della Spagna, ma certamente un profondo
cambiamento della scala dell’organizzazione sociale
della produzione. Tuttavia, questo non si osserva nei
Paesi Baschi.
Nonostante la ricchezza delle mineralizzazioni basche fosse già rammentata da Plinio 76, le uniche strutture siderurgiche di età romana rinvenute finora sono
piccoli impianti dotati di bassi fuochi simili a quelli altomedievali, come è il caso di Oiola II 77, La Zepa 78,
Arbiun 79 o Aloria 80. In questo ultimo centro sono stati
trovati sia bassi fuochi che fucine impiegate nelle lavorazioni di oggetti, e quindi c’è da pensare che in queste sedi si svolgeva una parte significativa dell’intero
ciclo produttivo. Anche se è piuttosto probabile che nel
versante mediterraneo ci siano stati impianti più complessi, non ne abbiamo per il momento notizia 81.
Quindi il modello produttivo domestico ha apparentemente prevalso nell’area cantabrica, sia in età romana che in età alto e pieno medievale, mentre nel
versante mediterraneo si osserva invece l’esistenza, a
partire del VII secolo, di realtà più articolate. Il centro
siderurgico di Bagoeta S e quello di Gasteiz-Cattedrale
indicano l’esistenza di reti precoci di circolazione di
legna o carbone, minerale e, dal X secolo, di prodotti
semilavorati. Siamo in presenza quindi di un sistema di
redistribuzione più sofisticato che prevede spostamenti
di materie prime e prodotti finiti destinati a realtà locali di diversa entità. A questo proposito risulta rilevante
sottolineare come anche gli attrezzi altomedievali di
selce impiegati nei villaggi della zona di Alava (falci,
pietre per la trebbiatura, acciarini) provengano soltanto
dai monti di Urbasa, mentre le cave di Treviño (ampiamente impiegate nella preistoria) non venivano ora
usate 82.
Queste realtà mostrano un panorama di scambi piuttosto articolato a scala locale e provinciale che seguono
logiche estranee a quelle delle strutture economiche basate su sistemi politici centralizzati, anche se non mancano delle eccezioni 83. A partire del VII secolo ci sono
ad Alava delle officine singole dislocate ad una certa
distanza rispetto alle aree minerarie (Bagoeta S, Gasteiz
cattedrale) che vengono approvvigionate da legna selezionata e ferro, fenomeno che testimonia la maggior
complessità della struttura artigianale dell’area mediterranea rispetto a quella cantabrica nell’alto Medioevo.
La comparsa anche nei contesti di consumo di una discreta quantità di strumenti di ferro permette di tracciare un quadro denso di scambi interterritoriali nelle
società locali altomedievali basche che si presentano
come comunità profondamente gerarchizzate al loro interno. Un successivo grado di complessità si riscontra
tra la seconda metà del X e il primo quarto dell’XI secolo, quando è attestata la circolazione di ferro semilavorato e si creano le condizioni perché quasi 300
villaggi della zona di Alava potessero far fronte al pagamento di almeno una rega di ferro al monastero di S.
Millán de la Cogolla (sempre che questo documento
venga interpretato in questo modo). Non si ha finora
nessun riscontro documentale o materiale del tipo di
strutture siderurgiche che erano alla base di questa situazione, anche se è possibile ipotizzare l’esistenza di
villaggi minerari o ferriere accentrate, come forse quelli
esistenti nell’area di S. Sebastián verso la fine del XII
El Rasillo (POZUELO LORENZO, VIGIL-ESCALERA 2003) e Castro Ventosa (GONZÁLEZ CASTAÑÓN 2011).
74
EDMONSON 1989.
75
Un punto di vista più catastrofista è quello sostenuto da
MCCORMICK 2005, pp. 55-65.
76
PLIN. nat. 34, 148.
77
PEREDA GARCÍA 1992-1993, p. 111.
78
ALBERDI LONDIGE, ETXEZARRAGA ORTUONDO c.s.
ESTEBAN DELGADO c.s.
MARTINEZ SALCEDO 1997, pp. 571-575; CEPEDA 2001.
81
Sugli strumenti di ferro di età romana in Alava vedi FILLOY
NIEVA, GIL ZUBILLAGA 2000.
82
Andoni Tarriño studia in questo momento la provenienza degli
oggetti di selce altomedievali rinvenuti in diversi siti.
83
Anche la circolazione della ceramica altomedievale mostra dei
pattern di produzione e circolazione dotata di una certa complessità a scala locale e sovralocale (SOLAUN 2007, pp. 308-390).
79
80
DALLA PERIFERIA: ARCHEOMETALLURGIA DEL FERRO NELLA SPAGNA NORD-OCCIDENTALE NELL’ALTO E PIENO MEDIOEVO
secolo. Purtroppo la mancanza di fonti non ci permette
di capire il ruolo delle aristocrazie e delle élite locali
nella gestione delle miniere e delle risorse metallurgiche dei Paesi Baschi.
Dove, invece, la monarchia e le aristocrazie si sono
consolidate in modo più precoce ed effettivo, come è il
caso del settore asturiano, si riscontra un’azione diretta
da parte delle élite nel controllo delle risorse produttive, e in particolare nelle miniere di ferro. Nell’area
castigliana questo dominio è invece piuttosto tardivo e
parziale, come si vede nel caso dei Paesi Baschi. Qui,
soltanto dal XIII secolo i reali castigliani riescono a controllare le vene di ferro e il loro sfruttamento. Inoltre in
questo periodo emergono le prime ferriere idrauliche nell'area cantabriche risultato dell'investimento da parte dei
poteri territoriali. 84.
4. Conclusioni
In definitiva, il quadro qui proposto da un territorio
periferico ci permette di rivalutare forme artigianali attive a scala locale e che spesso lasciano poche tracce
significative nel record archeologico. L’attenzione posta
negli ultimi anni al ruolo delle aristocrazie come motori dello sviluppo economico a scala regionale e interregionale rischia di appiattire altre dinamiche
complesse che si svolsero a una scala eterarchica/orizzontale, come abbiamo definito precedentemente.
Una volta che si sono superati i ‘modelli primitivisti’ nello studio delle società rurali altomedievali, occorre
introdurre nell’analisi altri approcci che permettano di
cogliere dinamiche che si svolgono all’interno delle società locali e che mostrano che la frammentazione di questo periodo non implica necessariamente semplificazione
o ritardo economico, ma piuttosto una rielaborazione dei
sistemi di produzione risultato del cambio di scala al
quale operano numerosi elementi delle società postclassiche 85.
Bibliografia
AA.VV. 1980 = AA. VV., Ferrerías en Legazpi, San Sebastián 1980.
AA. VV. 1997 = AA. VV., Memoria inédita de la excavación
arqueológica de Burdinola 1997, San Sebastián 1997.
MUGUETA MORENO 2013.
Sull’applicazione del concetto di cambio di scala nello studio
delle società altomedievali vedi ESCALONA MONGE 2011.
84
85
609
ALBERDI LONDIGE, ETXEZARRAGA ORTUONDO c.s. = X. ALBERDI
LONDIGE, I. ETXEZARRAGA ORTUONDO, Proyecto de investigación de las ferrerías de monte o haizeolak en Gipuzkoa y Álava. Avance de resultados, in c.s.
ALBERDI LONDIGE, ETXEZARRAGA ORTUONDO, ARTETEXE FERNÁNDEZ 2013 = X. ALBERDI LONDIGE, I. ETXEZARRAGA ORTUONDO, O. ARTETEXE FERNÁNDEZ, Prospección
arqueológica sistemática para la localización y catalogación de ferrerías de monte en los territorios de Gipuzkoa y Álava, in Arkeoikuska, 2, 2013, pp. 345-347.
ARDIBE ELORZA, URCELAY 1995 = I. ARBIDE ELORZA, J.M.
URCELAY, Instalaciones primitivas utilizadas para la obtención del hierro, in E. LEGAZPI, E. TOMÀS i MORERA
(edd.), La Farga catalana en el marc de l’arqueologia siderúrgica, Andorra 1995, pp. 289-303.
ARGÜELLO MENÉNDEZ 1998 = J.J. ARGÜELLO MENÉNDEZ, Minería y metalurgia férrica medieval en el noroeste peninsular. Aspectos técnicos y sociales, in M. DURANY, F.J.
PÉREZ, B. VAQUERO (edd.), Técnicas Agrícolas, Industriais
e Constructivas na Idade Media, Santiago 1998, pp. 143227.
ARGÜELLO MENÉNDEZ 2009 = J.J. ARGÜELLO MENÉNDEZ, Minería y metalurgia en la Asturias medieval, Palma 2009.
AYERBE IRIBAR, URTEAGA ARTIGAS, LÓPEZ COLOM 2002 =
M.R. AYERBE IRIBAR, M. URTEAGA ARTIGAS, N. LÓPEZ
COLOM, Agorregiko burdinola eta errotak, San Sebastián
2002.
AZKARATE GARAI-OLAUN, MARTÍNEZ TORRECILLA, SOLAUN
BUSTINZA 2011 = A. AZKARATE GARAI-OLAUN, J.M. MARTÍNEZ TORRECILLA, J.L. SOLAUN BUSTINZA, Metalurgia y
hábitat en el País Vasco en época medieval: el asentamiento ferrón de Bagoeta, Álava (ss. VII-XIV d. C.), in
Arqueología y Territorio Medieval, 18, 2011, pp. 71-89.
AZKARATE GARAI-OLAUN, SOLAUN BUSTINZA 2009 = A. AZKARATE GARAI-OLAUN, J.L. SOLAUN BUSTINZA, Nacimiento y transformación de un asentamiento altomedieval
en un futuro centro de poder: Gasteiz desde fines del siglo
VII d.C. a inicios del segundo milenio, in J.A. QUIRÓS CASTILLO (ed.), The archaeology of Early Medieval Villages
in Europe, Bilbao 2009, pp. 405-425.
AZKARATE GARAI-OLAUN, SOLAUN BUSTINZA 2014 = A. AZKARATE GARAI-OLAUN, J.L. SOLAUN BUSTINZA, Arqueología e Historia de una ciudad. Los orígenes de
Vitoria-Gasteiz, Bilbao 2014.
BASTERRETXEA, ORUE-ETXEBARRIA 2010 = A. BASTERRETXEA, X. ORUE-ETXEBARRIA, Horno de Azarola (Usansolo), in Arkeoikuska, 10, 2010, pp. 238-243.
BENGOETXEA REMENTERIA 2009 = B. BENGOETXEA REMENTERIA, Kalebarria, 11/Komentukale, 8, in Arkeoikuska, 8,
2009, pp. 255-258.
BERTRAND, SÁNCHEZ VICIANA 2008 = M. BERTRAND, J.R.
SÁNCHEZ VICIANA, Production du fer et peuplement de la
région de Guadix (Grenade) au cours de l’Antiquité tardive et du haut Moyen Âge, in A. CANTO GARCÍA, P. CRESSIER (edd.), Minas y metalurgia en al-Andalus y el Magreb
occidental, Madrid 2008, pp. 123-125.
BIANCHI 2013 = G. BIANCHI, Modi di costruire, organizzazione del cantiere e politiche edilizie nelle campagne del
regno italico tra seconda metà IX e X secolo: continuità
o rinnovamento?, in M. VALENTI, C. WICKHAM (a cura di),
Italia, 888-962: una svolta. IV Seminario Internazionale,
(Cassero di Poggio Imperiale a Poggibonsi (SI), 4-6 dicembre 2009), Turhnout 2013, pp. 369-400.
610
JUAN ANTONIO QUIRÓS CASTILLO
BOHIGAS ROLDÁN 2001 = R. BOHIGAS ROLDÁN, Evidencias
de actividad siderúrgica altomedieval en Cantabria: los
hornos del castillo de Camargo (Cantabria), in Camargo,
Historia y Patrimonio, Santander 2001, pp. 198-209.
CABALLERA ZOREDA 1974 = L. CABALLERA ZOREDA, La necrópolis tardorromana de Fuentespreadas (Zamora): un
asentamiento en el valle del Duero, Madrid 1974.
CANTO GARCÍA, CRESSIER 2008 = A. CANTO GARCÍA, P. CRESSIER (edd.), Minas y metalurgia en al-Andalus y Magreb
occidental. Explotación y poblamiento, Madrid 2008.
CEPEDA 2001 = J.J. CEPEDA, La romanización en los valles
cantábricos alaveses. El yacimiento arqueológico de Aloria, Vitoria-Gasteiz 2001.
CHAVARRIA ARNAU 2004 = A. CHAVARRIA ARNAU, El fin de
las ‘villae’ en Hispania (siglos IV-VII d. C.), Turnhout
2004.
CIMA 1996 = M. CIMA, Metallurgia in ambiente rurale nel
sito alto medievale di Misobolo, in AMediev, XIII, 1996,
pp. 173-189.
COLMENAREJO, FERNÁNDEZ SUÁREZ, GÓMEZ OSUNA et alii
2010 = F. COLMENAREJO GARCÍA, R. FERNÁNDEZ SUÁREZ,
R. GÓMEZ OSUNA, J. JIMÉNEZ GUIJARRO, A. POZUELO
RUANO, C. ROVIRA DUQUE, Poblamiento rural durante la
Antigüedad Tardía en la presierra madrileña: Cuenca
Alta del Manzanares, in Reconstruyendo el pasado. 19992009 Intervenciones Arqueológicas en Colmenar Viejo,
Colmenar Viejo 2010, pp. 207-235.
CORULLÓN PAREDES, ESCALONA MONGE 2007 = I. CORULLÓN
PAREDES, J. ESCALONA MONGE, Entre los usos comunitarios y la iniciativa señorial: la producción de hierro en
el valle de Valdelaguna (Burgos) en la edad media, in J.
BOLÒS (ed.), Territori i societat a l’Edat Mitjana Història, arqueologia, documentació, IV, Universitat de Lleida
1998, pp. 39-80.
COSTIN 2001 = C.L. COSTIN, Craft production systems, in G.
FEINMAN, T.D. PRICE (edd.), Archaeology of the Millennium. A Sourcebook, New York 2001, pp. 273-327.
COSTIN 2005 = C.L. COSTIN, Craft production, in H.
MASCHNER (ed.), Handbook of Methods in Archaeology,
New York 2005, pp. 1032-1105.
DÍAZ DE DURANA 1986 = R. DÍAZ DE DURANA, Álava en la
Baja Edad Media: crisis, recuperación y transformaciones socioeconómicas (c. 1250-1525), Vitoria-Gasteiz
1986.
DÍEZ DE SALAZAR FERNÁNDEZ 1983 = L. M. DÍEZ DE SALAZAR FERNÁNDEZ, Ferrerías en Guipuzcoa (siglos XIVXVI), San Sebastián 1983.
DÍEZ DE SALAZAR FERNÁNDEZ 1985 = L. M. DÍEZ DE SALAZAR FERNÁNDEZ, Colección Diplomática del Concejo de
Segura (Guipúzcoa) (1290-1500). I. (1290-1400), San
Sebastián 1985.
EDMONDSON 1989 = J.C. EDMONDSON, Mining in the later
roman empire and beyond: continuity or disruption?, in
JRS, 79, 1989, pp. 84-102.
ESCALONA MONGE 2011 = J. ESCALONA MONGE, The Early
Middle Ages: a scale-based approach, J. ESCALONA, A.
REYNOLDS (edd.), Scale and Scale Change in the Early
Middle Ages. Exploring landscape, local society and the
world beyond, Turhnout 2011, pp. 9-30.
ESTEBAN DELGADO c.s. = M. ESTEBAN DELGADO, Arbiun, taller metalúrgico en el enclave romano de la “Gran Bahía”
de Getaria, in c.s.
ETXEZARRAGA 2004 = I. ETXEZARRAGA, Paleometalurgia del
hierro en el País Vasco Cantábrico: las haizeolak. Un
estado de la cuestión, in Munibe, 56, 2004, pp. 87-104.
FARINELLI, FRANCOVICH 1994 = R. FARINELLI, R. FRANCOVICH,
Poteri e attività minerarie nella Toscana altomedievale,
in R. FRANCOVICH, G. NOYÉ (a cura di), La Storia dell’Alto Medioevo italiano (VI-X secolo) alla luce dell’archeologia. Convegno internazionale (Siena, 2-6 dicembre
1992), Firenze 1994, pp. 443-465.
FERNÁNDEZ BORDEGARAI 1998 = J. FERNÁNDEZ BORDEGARAI,
Manzanas de casas I y IV del Casco Histórico de Vitoria-Gasteiz, in Arkeoikuska, 97, 1998, pp. 221-228.
FERNÁNDEZ CARVAJAL 2007 = J.A. FERNÁNDEZ CARVAJAL, Ferrerías de monte Callejaverde y Los Corcos (Monte de
utilidad pública n. 115 “Las Pozas”), in Arkeoikuska, 7,
2007, pp. 281-284.
FERNÁNDEZ CARVAJAL 2008 = J.A. FERNÁNDEZ CARVAJAL, Ferrería de monte Callejaverde, in Arkeoikuska, 8, 2008, pp.
300-302.
FERNÁNDEZ CARVAJAL, FRANCO PÉREZ 2010 = J.A. FERNÁNDEZ CARVAJAL, J. FRANCO PÉREZ, Ferreria de monte Callejaverde, in Arkeoikuska, 10, 2010, pp. 255-261.
FERNÁNDEZ OCHOA, GIL SENDINO 2008 = C. FERNÁNDEZ
OCHOA, F. GIL SENDINO, La villa romana de Veranes
(Gijón, Asturias) y otras villas de la vertiente septentrional de la Cordillera Cantábrica, in C. FERNÁNDEZ OCHOA,
V. GARCÍA-ENTERO, F. GIL SENDINO (edd.), Las villas romanas en el occidente del Imperio: arquitectura y función, Gijón 2008, pp. 435-479.
FILLOY NIEVA, GIL ZUBILLAGA 2000 = I. FILLOY NIEVA, E. GIL
ZUBILLAGA, La romanización en Álava. Catálogo de la
exposición permanente sobre Álava en época romana del
Museo de Arqueología de Álava, Vitoria-Gasteiz 2000.
FRANCO PÉREZ 2010 = J. FRANCO PÉREZ, Tras las huellas de
los primeros ferrones. Estudio, protección y valorización
del patrimonio paleosiderurgico en Bizkaia, in Arkeoikuska, 10, 2010, pp. 23-33.
FRANCO PÉREZ c.s. = J. FRANCO PÉREZ, Haizeolak en Bizakia: una investigación de largo recorrido sobre la arqueología de la producción del hierro, in c.s.
FRANCO PÉREZ, ALBERDI LONDIBE, ETXEZARRAGA ORTUONDO
2013 = J. FRANCO PÉREZ, X. ALBERDI LONDIBE, I. ETXEZARRAGA ORTUONDO, Ferrería de monte El Chaparral, in
Arkeoikuska, 12, 2013, pp. 219-223.
FRANCO PÉREZ, FERNÁNDEZ CARVAJAL, ALBERDI LONDIBE et
alii c.s. = J. FRANCO PÉREZ, J.A. FERNÁNDEZ CARVAJAL,
X. ALBERDI LONDIBE, I. ETXEZARRAGA ORTUONDO, Ferrerías de monte Callejaverde y Peñas Negras. Nueva tipología de horno plenomedieval y metodologías aplicadas
a su estudio, in c.s.
FRANCOVICH, WICKHAM 1994 = R. FRANCOVICH, C. WICKHAM, Uno scavo archeologico ed il problema dello sviluppo della signoria territoriale, in AMediev, XXI, 1994,
pp. 7-30.
GARCÍA CAMINO 1992-1993 = I. GARCÍA CAMINO, Urbanismo
y cultura material en el Bilbao medieval (Aportaciones
desde la arqueología), in Kobie, XX, 1992-1993, pp. 235266.
GARCÍA DE CORTÁZAR 2005 = J.A. GARCÍA DE CORTÁZAR, Investigaciones sobre Historia Medieval del País Vasco
(1965-2005), Bilbao 2005.
GARCÍA RETES 1986 = E. GARCÍA RETES, El camino de San
Adrián (Guipuzoa-Alava) en la ruta Jacobea. Análisis documental y arqueológico, in Estudios de Arqueología Ala-
DALLA PERIFERIA: ARCHEOMETALLURGIA DEL FERRO NELLA SPAGNA NORD-OCCIDENTALE NELL’ALTO E PIENO MEDIOEVO
vesa, 15, 1986, pp. 355-497.
GIANNICHEDDA 2007 = E. GIANNICHEDDA, Metal production
in Late Antiquity: from continuity of Knowledge to
changes in consumption, in L. LAVAN, E. ZANINI, A. SARANTIS (edd.), Technology in Transition A.D. 300-650, Leiden 2007, pp. 187-210.
GIL, VELASCO 1992 = P.P. GIL, F. VELASCO, Génesis de los
yacimientos de hierro de Bilbao (Cretácico inferior,
Cuenca Vasco-Cantábrica), in Boletín de la Sociedad
Española de Mineralogía, 15, 1, 1992, pp. 238-242.
GIOSTRA 2000 = C. GIOSTRA, L’arte del metallo in età longobarda. Dati e considerazioni sulle cinture ageminate,
Spoleto 2000.
GONZÁLEZ CASTAÑÓN 2011 = M. GONZÁLEZ CASTAÑÓN, Los
usos del metal en la Edad Media. Análisis de su proyección en la vida cotidiana, Tesis doctoral inédita, Universidad de León, León 2011.
GONZALO GONZÁLEZ 2006 = J.M. GONZALO GONZÁLEZ, El
Cerro del Castillo, Bernardos (Segovia). Un yacimiento
arqueológico singular en la provincia de Segovia durante
la Antigüedad Tardía, Segovia 2006.
GORROCHATEGUI, YARRITU, MARTÍN et alii 1995 = J. GORROCHATEGUI, M. J. YARRITU, I. MARTÍN, L. ZAPATA, M.J.
IRIARTE, Paleometalurgia del hierro en Bizkaia. Las ferrerías de monte altomedievales, in E. TOMÀS I MORERA
(edd.), La Farga catalana en el marc de l’arqueologia siderúrgica, Andorra 1995, pp. 229-247.
GRAU-SOLOGESTOA 2014 = I. GRAU-SOLOGESTOA, The use of
animals in the northern Iberian Peninsular during the Middle Ages. A zooarchaeological perspective, Tesi di dottorato inedita, Università dei Paesi Baschi 2014.
GUTIÉRREZ GONZÁLEZ 2003 = J. A. GUTIÉRREZ GONZÁLEZ, Peñaferruz (Gijón). El castillo de Curiel y su territorio, Gijón
2003.
GUTIÉRREZ GONZÁLEZ, BOHIGAS ROLDÁN 1989 = J.A. GUTIÉRREZ GONZÁLEZ, J.A. BOHIGAS ROLDÁN, La cerámica
medieval en el norte y noroeste de la Península Ibérica.
Aproximación a su estudio, León 1989.
GUTIÉRREZ LLORET 1996 = S. GUTIÉRREZ LLORET, La Cora
de Tudmir de la Antigüedad Tardía al mundo islámico.
Poblamiento y Cultura Material, Madrid 1996.
HENNING 2007 = J. HENNING, Early European towns. The development of the economy in the Frankish realm between
dynamism ad deceleration AD 500-1100, in J. HENNING
(ed.), Post-Roman Towns, Trade and Settlement in Europe
and Byzatium, I, Berlin 2007, pp. 3-40.
HERRERO, GIL-CRESPO, YUSTA et alii 2012 = J.M. HERRERO,
P. GIL-CRESPO, I. YUSTA, F. VELASCO, X. ORUE-ETXEBARRIA, A. BASTERRETXEA, Evidencias mineralógicas y geoquímicas de la reutilización como calero del horno
medieval de hierro de Azarola (Galdakao, Bizkaia), in
Macla, 16, 2012, pp. 44-45.
HIDALGO DE CISNEROS AMESTOY, LARGACHA RUBIO, LORENTE
RUIGÓMEZ et alii 1987 = C. HIDALGO DE CISNEROS AMESTOY, E. LARGACHA RUBIO, A. LORENTE RUIGÓMEZ, A.
MARTÍNEZ LAHIDALGA, Colección Documental del Archivo Municipal de Portugalete, San Sebastián 1987.
LARRÉN IZQUIERDO, BLANCO GARCÍA, VILLANUEVA ZUBIZARRETA et alii 2003 = H. LARRÉN IZQUIERDO, J.F. BLANCO
GARCÍA, O. VILLANUEVA ZUBIZARRETA, J. CABALLERO
ARRIBAS, A. DOMÍNGUEZ BOLAÑOS, J. NUÑO GONZÁLEZ,
F.J. SANZ GARCÍA, G.J. MARCOS CONTRERAS, M.A. MARTÍN CARBAJO, J.C. MISIEGO TEJEDA, Ensayo de sistemati-
611
zación de la cerámica tardoantigua de la Cuenca del
Duero, in L. CABALLERO ZOREDA, P. MATEOS CRUZ, M.
RETUERCE VELASCO (edd.), Cerámicas tardorromanas y
altomedievales en la Península Ibérica. Ruptura y continuidad, Madrid 2003, pp. 273-306.
LAVAN, ZANINI, SARANTIS 2007 = L. LAVAN, E. ZANINI, A. SARANTIS (edd.), Technology in Transition A.D. 300-650, Leiden-Boston 2007.
LAVAN 2007 = L. LAVAN, Explaining technological change:
innovation, stagnation, recession and replacement, in
LAVAN, ZANINI, SARANTIS 2007, pp. XV-XL.
LINDHOLM, SANDSTRÖM, EKMAN 2013 = K.-J. LINDHOLM, E.
SANDSTRÖM, E.-K. EKMAN, The Archaeology of Commons, in Journal of Archaeology and Ancient History, 10,
2013, pp. 3-49.
LÓPEZ DE ARMENTIA ITURRALDE 2010 = M. LÓPEZ DE ARMENTIA ITURRALDE, Para una arqueología de las ferrerías prehidráulicas en la provincia de Álava: los casos
de Aramayona y Aspárrena, Trabajo de Suficiencia investigadora, Universidad del País Vasco, Vitoria-Gasteiz
2010.
MANNONI, GIANNICHEDDA 1996 = T. MANNONI, E. GIANNICHEDDA, Archeologia della produzione, Torino 1996.
MANSILLA HORTIGUELA 2012 = R. MANSILLA HORTIGUELA, Los
metales del yacimiento de Zaballa, in J.A. QUIRÓS CASTILLO (ed.), Arqueología del campesinado medieval: la
aldea de Zaballa, Bilbao 2012, pp. 300-334.
MARTÍN DUQUE 1982 = A. MARTÍN DUQUE, El fuero de San
Sebastián. Tradición manuscrita y edición crítica, in Congreso el fuero de San Sebastián y su época, San Sebastián 1982, pp. 3-25.
MARTÍNEZ SALCEDO 1997 = A. MARTÍNEZ SALCEDO, La cultura material de época romana en Bizkaia: testimonios
en torno a la actividad económica, in Isturitz, 9, 1997,
pp. 565-578.
MARTÍNEZ TORRECILLA, PLATA MORENO, SÁNCHEZ ZUFIAURRE
2013 = J.M. MARTÍNEZ TORRECILLA, A. PLATA MORENO,
L. SÁNCHEZ ZUFIAURRE, Paisaje Cultural del Valle Salado
de Añana. Intervención arqueológica en el extremo sur,
in Arkeoikuska, 12, 2013, pp. 48-53.
MCCORMICK 2005 = M. MCCORMICK, Orígenes de la economía europea. Viajeros y comerciantes en la Alta Edad
Media, Barcelona 2005.
MORAZA BAREA 2004 = A. MORAZA BAREA, Unzurrunzaga,
9-11 (Segura), in Arkeoikuska, 3, 2004, pp. 402-407.
MORELAND 2010 = J. MORELAND, Archaeology, Theory and
the Middle Ages, London 2010.
MUGUETA MORENO 2005 = I. MUGUETA MORENO, Minería cuproargentífera en el reino de Navarra (siglo XIV), in
Príncipe de Viana, 235, 2005, pp. 405-428.
MUGUETA MORENO 2013 = I. MUGUETA MORENO, Les territoires de la sidérurgie médiévale au Pays et en Navarre,
in J.-M. MINOVEZ, C. VERNA, L. HILAIRE-PÉREZ (edd.),
Les industries rurales dans l’Europe médiévale et moderne, Toulouse 2013, pp. 63-76.
MUÑIZ LÓPEZ, GARCÍA ÁLVAREZ-BUSTO 2012 = I. MUÑIZ
LÓPEZ, A. GARCÍA ÁLVAREZ-BUSTO, En los orígenes de las
fortificaciones altomedievales: el castillo de Gauzón (Asturias). De asentamiento tardoantiguo a fortaleza de los
reyes de Asturias (siglos VII-X), in J.A. QUIRÓS CASTILLO, J.M. TEJADO SEBASTIÁN, Los castillos altomedievales en el noroeste de la Península Ibérica, Bilbao 2012,
pp. 77-98.
612
JUAN ANTONIO QUIRÓS CASTILLO
OLMO ENCISO, CASTRO PRIEGO, GÓMEZ DE LA TORRE-VERDEJO
et alii 2008 = L. OLMO ENCISO, M. CASTRO PRIEGO, A.
GÓMEZ DE LA TORRE-VERDEJO, A. SANZ PARATCHA, Recópolis y su justificación científica: la secuencia estratigráfica, in Zona Arqueológica, 9, 2008, pp. 64-75.
ORTEGA 2008 = J.M. ORTEGA, Consideraciones sobre la explotación de hierro en Sierra Menera (Teruel) durante
época andalusí, in A. CANTO GARCÍA, P. CRESSIER (ed.),
Minas y metalurgia en al-Andalus y el Magreb occidental, Madrid 2008, pp. 95-122.
ORUE-ETXEBARRIA, APELLANIZ, ARTARAZ et alii 2010 = X.
ORUE-ETXEBARRIA, E. APELLANIZ, J. ARTARAZ, A. BASTERRETXEA, R. BERODIA, J.M. ELOSEGI, E. GALARZA, J.M.
LASA, E. MADINA, J. M. MINTEGUI, K. TELLERIA, Características del “horno vasco” asociado a las “haizeolak”:
hornos de reducción de gran tamaño, http://www.euskonews.com/0524zbk/gaia52401es.html.
PASTOR DÍAZ DE GARAYO 2011 = E. PASTOR DÍAZ DE GARAYO, La Llanada oriental hace mil años ¿qué hay del
crecimiento agrario altomedieval? Hábitat y paisajes
agrarios (entre la imaginación y la lógica), in Agurain
1256-2006. Congreso 750 aniversario de la fundación
de la villa de Salvatierra, Vitoria-Gasteiz 2011, pp. 5575.
PEREA 2001 = A. PEREA (ed.), El tesoro visigodo de Guarrazar, Madrid 2001.
PEREA 2009 = A. PEREA (ed.), El tesoro visigodo de Torredonjimeno, Madrid 2009.
PEREDA GARCÍA 1992-1993 = I. PEREDA GARCÍA, La metalurgia prehidraulica del hierro en Bizkaia: el caso de los
alrededores del Pantano de Oiola, in Kobie, XX, 19921993, pp. 109-122.
PEREDA GARCÍA 1997 = I. PEREDA GARCÍA, Aportación al
conocimiento de la metalurgia del hierro en los siglos
XI-XIII en Bizkaia: el yacimiento de Oiola IV (Trapagaran-Bizkaia), in Kobie, XXIV, 1997, pp. 69-93.
POZUELO LORENZO, VIGIL-ESCALERA 2003 = D. POZUELO LORENZO, A. VIGIL-ESCALERA, La ocultación de un ajuar domestic a inicios del siglo V d.C. en El Rasillo (Barajas,
Madrid). Algunas posibilidades de análisis e investigación, in Bolskan, 20, 2003, pp. 277-285.
QUIRÓS CASTILLO 2011 = J.A. QUIRÓS CASTILLO, Early medieval landscapes in northwest Spain: local power and
communities 5th-10th centuries, in Early Medieval Europe,
19, 3, 2011, pp. 285-311.
QUIRÓS CASTILLO 2012 = J.A. QUIRÓS CASTILLO (ed.), Arqueología del campesinado medieval: la aldea de Zaballa, Bilbao 2012.
QUIRÓS CASTILLO 2013 = J.A. QUIRÓS CASTILLO (ed.), El poblamiento rural de época visigoda en Hispania. Arqueología del campesinado en el interior peninsular, Bilbao
2013.
QUIRÓS CASTILLO c.s. = J.A. QUIRÓS CASTILLO, Golpeando
mientras el hierro esté caliente. Paleosiderurgia en el norte
peninsular, in c.s.
RIU 1996 = M. RIU, La metalurgia del hierro en la España
cristiana, in Actas I Jornadas de Minería y Tecnología
en la Edad Media peninsular (León, 26-29 de septiembre de 1995), León 1996, pp. 41-55.
RUIZ ASENSIO, RUIZ ALBI, HERRERO JIMÉNEZ 2010 = J.M. RUIZ
ASENSIO, I. RUIZ ALBI, M. HERRERO JIMÉNEZ, Los Becerros Gótico y Galicano de Valpuesta, Madrid 2010.
RUIZ-ALONSO, AZKARATE, SOLAÚN et alii 2012 = M. RUIZALONSO, A. AZKARATE, J.L. SOLAÚN, L. ZAPATA, Exploitation of fuelwood in Gasteiz (Basque Country,
Northern Iberia) during the Middle Ages (700-1200), in
Sagutum Extra, 13, 2012, pp. 227-236.
SALAS ÁLVAREZ, AYARZAGÜEÑA SANZ, LÓPEZ CIDAD et alii
2014 = J. SALAS ÁLVAREZ, M. AYARZAGÜEÑA SANZ, J.F.
LÓPEZ CIDAD, F. RAMOS SÁNCHEZ, P. SAN CLEMENTE
GEIJO, E. SEBASTIÁN REQUES, S. VALENTE CÁNOVAS, M.
DEL VALLE, El poblado minero-metalúrgico de El Cerro
de los Almadenes (Otero de Herreros, Segovia), in Onoba,
2, 2014, pp. 149-178.
SANCHO 2011 = M. SANCHO, El hierro en la Edad Media:
desarrollo social y tecnología productiva, in Anuario de
Estudios Medievales, 41, 2, 2011, pp. 645-671.
SANTOS SALAZAR 2011 = I. SANTOS SALAZAR, I Paesi Baschi. La territorialità delle autorità centrali (secc. XII-XIV),
in Ricerche Storiche, XLI, 2, 2011, pp. 453-472.
SASTRE BLANCO, FUENTES MELGAR 2011 = J. SASTRE BLANCO,
P. FUENTES MELGAR, Late Roman metallurgy in Castro of
El Castillón (Santa Eulalia de Tábara, Zamora, in D. HERNÁNDEZ DE LA FUENTE (ed.), New Perspectives in Late Antiquity, Cambridge 2011, pp. 229-246.
SOLAUN 2007 = J.L. SOLAUN, La cerámica medieval en el País
Vasco (siglos VIII-XIII): sistematización, evolución y distribución de la producción, Vitoria-Gasteiz 2007.
TEJADO SEBASTIÁN 2011 = J.M. TEJADO SEBASTIÁN, Arqueología y gestión del territorio en el Alto Valle del Iregua.
El castro de “El castillo de los Monjes” (Lumbreras, La
Rioja), Universidad de La Rioja, Logroño 2011.
URIARTE AYO 1998 = R. URIARTE AYO, Economías campesinas y explotación forestal en el País Vasco durante el Antiguo Régimen, in Zainak, 17, 1998, pp. 101-110.
URTEAGA ARTIGAS 1995 = M. URTEAGA ARTIGAS, Ferrerías
hidráulicas en Gipuzkoa. Aspectos arqueológicos, in E.
TOMÀS i MORERA (ed.), La Farga catalana en el marc de
l’arqueologia siderúrgica, Andorra 1995, pp. 249-267.
URTEAGA ARTIGAS 1996 = M. URTEGA ARTIGAS, Siderurgia
medieval en Gipuzkoa. Haizeolas, Ferrerías Masuqueras
y Ferrerías Mazonas, in Actas I Jornadas de Minería y
Tecnología en la Edad Media peninsular (León, 26-29 de
septiembre de 1995), León 1996, pp. 543-558.
URTEAGA ARTIGAS 1997 = M. URTEGA ARTIGAS, Primeros
datos arqueológicos de las haizeolas guipuzcoanas, in Arkeolan, 3, 1997, pp. 8-9.
VIGIL-ESCALERA GUIRADO, QUIRÓS CASTILLO 2013 = A.
VIGIL-ESCALERA GUIRADO, J.A. QUIRÓS CASTILLO, Un ensayo de interpretación del registro arqueológico, in J.A.
QUIRÓS CASTILLO (ed.), El poblamiento rural de época
visigoda en Hispania. Arqueología del campesiando en
el interior peninsular, Bilbao 2013, pp. 357-400.
WARD-PERKINS 2005 = B. WARD-PERKINS, The Fall of Rome
and the End of Civilisation, Oxford 2005.
WICKHAM 2008 = C. WICKHAM, Rethinking the structure of
the Early Medieval Economy, in J.R. DAVIS, M. MCCORMICK, The long morning of Medieval Europe, Great
Britain 2008, pp. 19-31.
ZAPATA 1997 = L. ZAPATA, El uso del combustible en la ferrería medieval de Oiola IV: implicaciones ecológicas y
etnobotánicas, in Kobie, XXIV, 1997, pp. 107-115.
LA PRODUZIONE ARTIGIANALE A ROMA TRA V E XV SECOLO:
RIFLESSIONI SUI RISULTATI DI UNO STUDIO ARCHEOLOGICO
SISTEMATICO E COMPARATIVO
Alessandra Molinari
naturalmente di un taglio parziale rispetto alla comLa moltitudine di punti, che indicano la distribuzione
prensione complessiva delle trasformazioni economiche,
degli indicatori di attività artigianali, sulla pianta di
tuttavia le dinamiche dei consumi sono state forse magRoma rappresenta un’immagine efficace della sua ‘opegiormente indagate (almeno per alcuni periodi storici) 2
rosità’ nel corso di circa dieci secoli (fig. 1 e tav. 00).
Diversi studi prima di questo hanno contestato con forza
e avrebbero richiesto un’ampiezza di studio non afl’idea della ‘città parassita’, già a partire dall’età rofrontabile in tempi accettabili. Rimane comunque vero
1
mana . Il progetto pluriennale sull’archeologia della proche le conoscenze ottimali si raggiungono nei casi, anduzione a Roma tra V e XV secolo ha a sua volta
cora purtroppo troppo pochi anche fuori Roma, in cui
contribuito in modo, crediamo, originale alla comprenè possibile conoscere sia le officine sia la distribuzione
sione della storia economica di questa città. Sui limiti
delle loro creazioni 3.
dell’evidenza archeologica si sono soffermati diversi auDopo alcune osservazioni di carattere generale, certori e torneremo su questi brevemente in seguito, tuttavia pensiamo
che l’aver coinvolto specialisti di
fonti diverse, l’aver concepito il
progetto con una forte diacronia e
l’aver stimolato alcune sintesi su
zone distinte da Roma abbia generato spunti importanti per l’avanzamento della ricerca e della
comparazione.
Come si è già accennato nell’introduzione a questo volume,
alla base del taglio che si è voluto
dare all’intero progetto c’è stata
l’idea di quanto sia importante
comprendere il contesto della produzione, la sua collocazione topografica specifica a Roma, la sua
scala ed organizzazione. Si tratta Fig. 1. - Mappa di Roma con l’indicazione di tutti gli indicatori di produzione censiti.
Vorrei ringraziare in modo particolare Chris Wickham e Sandro
Carocci per aver letto e commentato questo testo.
1
Per l’età romana vd. ad esempio ANDREAU 2001 e C. Panella
in questo volume; per il Medioevo, da ultimi, MAIRE VIGUEUR 2011
e WICKHAM 2013.
2
È il caso ad esempio dei consumi ceramici per i quali si può
far riferimento alla bibliografia di L. Saguì, L. Paroli, D. Romei citata in bibliografia ed al testo di Rascaglia, Russo in questo volume.
3
Per alcuni casi inglesi soprattutto nel campo delle ceramiche
si rimanda ad esempio al testo di C. Dyer in questo volume, con bibliografia. Un caso esemplare di studio in Italia è ad esempio CARRERA 2014-2015.
614
ALESSANDRA MOLINARI
cherò di sintetizzare quelle che, a mio parere, possono
essere considerate le nuove acquisizioni ed i temi aperti
suscitati dal censimento degli indicatori produttivi e dai
diversi contributi di questo convegno.
Su questo tema esiste ovviamente una letteratura
molto vasta, che non mi interessa qui ripercorrere in dettaglio. Posso solo ricordare come lo sviluppo di particolari competenze legate allo studio dell’archeologia
della produzione abbia ampliato anche in Italia la conoscenza dei processi operativi, dal reperimento delle
materie prime alla commercializzazione dei prodotti 4.
Come è noto questi processi si possono inferire tanto
dagli oggetti finiti, che (con maggiore ricchezza di dettagli) dallo scavo delle strutture produttive. Sempre più,
tuttavia, la comprensione più fine ed articolata di specifici contesti produttivi si lega alla possibilità di condurre esami archeometrici e simulazioni attraverso
l’archeologia sperimentale. Quest’ultimo approccio in
particolare consente ad esempio di approssimarsi in
modo più attendibile alla valutazione dei tempi, delle
risorse, del numero di addetti e del volume della produzione di determinate imprese 5.
Mi interessa qui però insistere su due temi, che mi
sembrano centrali nella discussione dei risultati dell’indagine su Roma: lo studio dei livelli di specializzazione
produttiva e quello dello status sociale degli artigiani, in
modo particolare quando essi si possano considerare dipendenti dalle strutture pubbliche o dalle élites oppure
indipendenti 6. La specializzazione produttiva, che in
termini molto generali è stata definita come la condizione
nella quale uno o più individui producono più oggetti di
uno stesso tipo rispetto a quelli che loro stessi consumano, è considerata molto importante nell’organizzazione sociale ed economica delle civiltà passate per
diversi motivi. Un primo aspetto fondamentale è che la
divisione delle competenze produttive obbliga allo scambio e crea un più alto numero di legami e di interdipendenza nei gruppi sociali. In secondo luogo, come è noto,
per l’economia classica la specializzazione è alla base
dello sviluppo economico perché tende a migliorare
l’efficienza e la qualità dei prodotti, stimola lo scambio
e sarebbe alla base dello sviluppo delle città e delle
campagne insieme. Nell’ambito della specializzazione è,
inoltre, importante comprendere quanto gli artigiani lavorassero a tempo pieno ad una stessa attività oppure in
modo stagionale e part-time ad esempio con le attività
agricole; se vi era una accentuata differenziazione produttiva tra città e campagna o ancor più tra regioni diverse di una stessa unità politica o tra unità distinte.
L’archeologia ha molti mezzi per studiare il grado di specializzazione raggiunto dalle attività artigianali nei diversi periodi. In primo luogo è molto importante valutare
la complessità tecnica degli oggetti, per la quale è necessaria una conoscenza approfondita dei cicli produttivi,
ossia dei modi di reperire le materie prime e tutti i processi e gli strumenti necessari per trasformarle in oggetti
finiti. Un ulteriore strumento di valutazione è la collocazione topografica delle attività: in città e/o in campagna, in una stessa zona della città o del suburbio, in uno
specifico ambito territoriale particolarmente ricco di determinate materie prime, solo per citare le opzioni più
importanti. Anche la compresenza di tecniche differenti
per realizzare oggetti derivanti dalle stesse materie prime
può essere un ulteriore fattore di giudizio. Il livello di
standardizzazione degli oggetti è, poi, un importante
strumento a disposizione della ricerca archeologica. La
standardizzazione può riguardare diversi parametri come
il tipo di materie prime adoperate, le misure degli oggetti,
la loro forma e decorazione, etc. Si ritiene che la bassa
standardizzazione possa essere il portato di un numero
più elevato di addetti non coordinati tra di loro, che per
altro lavorerebbe solo part-time alla produzione di un
tipo specifico di oggetti. I livelli produttivi, ossia le capacità in termini quantitativi di produrre oggetti, possono
anch’essi essere significativi, ma in questo caso bisogna
essere più cauti in quanto talvolta produzioni ‘domestiche’ possono avere notevoli capacità produttive (come
ad esempio nel caso delle famose pentole di Pantelleria
in età tardo antica) 7.
Per quanto riguarda il riconoscimento dei diversi livelli della specializzazione artigianale tanto gli antichisti
che i medievisti fanno ampio e giustificato uso dei di-
4
Oltre al classico MANNONI, GIANNICHEDDA 1996, per una sintesi recente si veda GIANNICHEDDA 2014; vd., inoltre, il contributo
dello studioso in questo volume.
5
Anche banalmente calcolare quante persone, per quanto tempo,
usando quale quantità d’acqua o combustibile fosse necessario per
realizzare una determinata quantità di prodotto è di importanza centrale nella comprensione dei processi e della loro rilevanza econo-
mica. Si vedano, ad esempio, gli accenni di G. Bianchi ed A. Cagnana in questo volume e, per alcune raffinate applicazioni per il
periodo medievale, THOMAS, BOURGARIT, PERNOT 2007.
6
Per un’analisi dell’importanza di queste variabili si veda, ad
esempio, COSTIN 2005, alla quale si rimanda anche per la bibliografia.
7
Si veda da ultimo SAMI 2005, con bibliografia.
1. La produzione artigianale e la ricerca archeologica
LA PRODUZIONE ARTIGIANALE A ROMA TRA V E XV SECOLO
615
versi modelli produttivi elaborati, sulla base di un’ampia casistica etnografica, da D. Peacock per la ceramica
di età romana 8. I diversi gradi di specializzazione che
vanno dalla produzione in ambito domestico alla manifattura sono di notevole utilità euristica e comparativa, in quanto comportano anche il riconoscimento del
diverso modo di realizzare gli oggetti, gli attrezzi utilizzati, le modalità dello smercio, etc. Inoltre, queste tipologie produttive risultano molto utili anche quando
si dispone solo degli oggetti finiti e non anche degli impianti produttivi. È, tuttavia, importante sempre chiarire secondo quali precisi parametri si attribuiscono
determinate produzioni ad un tipo o all’altro di produzione, tra quelli elaborati da Peacock. L’uso non univoco di questi modelli può, infatti, complicare piuttosto
che facilitare la comparazione tra produzioni diverse.
Ad esempio, per citare un caso che può sembrare più
evidentemente stridente, con produzione domestica si
potrebbe in teoria indicare sia quanto veniva prodotto
in seno alla famiglia contadina per gli usi interni al
gruppo parentale sia sofisticati oggetti fatti ad esempio
da manodopera schiavile in seno alla famiglia imperiale 9.
Nello studiare la specializzazione l’integrazione del
dato archeologico con quello testuale è in ogni caso
fondamentale (qualora sia possibile). Ad esempio, anche
solo la quantificazione dei diversi mestieri, compresenti
in uno stesso arco cronologico, e la loro collocazione in
aree specifiche della città sono informazioni preziose,
specie se comparabili nello spazio e nel tempo. I centosessanta mestieri diversi della Roma imperiale, i cento
della Roma dei secoli centrali del Medioevo, rispetto ai
trenta nello stesso periodo a Lucca o i due di un castello
laziale sono ovviamente di per sé significativi 10.
Sempre rimanendo su questo argomento il problema
della collocazione urbana o rurale delle officine è molto
importante ed il saggio di C. Dyer è particolarmente incentrato sul tema dell’artigianato rurale e/o urbano. Se
in Inghilterra vi sarebbe una tendenza alla ‘urbanizzazione’ delle produzioni artigianali tra X e XIII secolo
e successivamente una tendenza alla ‘deurbanizzazione’
nel tardo Medioevo, il significato economico di questi
fenomeni va analizzato con cautela e senza preconcetti.
Diversi contributi hanno sollevato questo stesso problema, ad esempio, per la Roma imperiale o in alcune
delle sintesi regionali 11. Su questo argomento, che è centrale nella storia stessa dell’urbanesimo, tornerò a breve.
Tuttavia si può dire che se la collocazione urbana delle
officine più specializzate (che producono una maggiore
varietà di oggetti, che utilizzano spesso materie prime
più pregiate ed importate anche da aree lontane, etc.) è
considerato uno dei sintomi stessi dello sviluppo economico e della piena affermazione delle città, è importante valutare con accortezza le motivazioni della
collocazione rurale di alcuni tipi di produzione, nei diversi periodi. La presenza di particolari materie prime,
l’abbondanza di combustibile, la presenza di corsi d’acqua utili al trasporto o alla collocazione di macchine
idrauliche, la maggiore ‘flessibilità’ ed il minor costo
della manodopera rurale possono risultare validi motivi
per la dislocazione in campagna di alcune produzioni.
In ogni caso, come vedremo a breve, la ‘deurbanizzazione’ delle attività artigianali nell’alto Medioevo, ha
un significato assolutamente distinto rispetto a quanto
avviene nel tardo Medioevo e nel primo Rinascimento.
Questione centrale e controversa è quella che riguarda lo status giuridico degli artigiani ed i livelli di
controllo sulla loro attività 12. Questo controllo si può
esercitare in molti modi e su fasi diverse della produzione o sull’intero ciclo. Le autorità o le élites possono
cioè controllare: l’accesso alle materie prime, le scelte
tecniche, il luogo di produzione, l’organizzazione del
lavoro, la forma degli oggetti e soprattutto la loro distribuzione o solo alcuni di questi aspetti. Il controllo
sulla produzione può riguardare oggetti strategici (come
ad esempio le armi), ma anche particolari indicatori di
status (alcuni tipi di stoffe, di monili, etc.) o religiosi
(ex-voto, arredi liturgici, porta-reliquie, etc.). La distribuzione ed il possesso di questi beni possono ad esempio concorrere alla definizione ed al mantenimento delle
distinzioni sociali. Si può, invece, supporre che l’accesso
ai beni prodotti da artigiani indipendenti sia libero e che
il possesso di questi stessi beni non garantisca alcun vantaggio istituzionalizzato. Archeologicamente non è sempre agevole cogliere queste organizzazioni alternative,
tuttavia l’individuazione e lo scavo delle officine o delle
grandi manifatture e la loro organizzazione e collocazione topografica, possono essere significative. Particolari segni identificativi delle produzioni come i bolli
PEACOCK 1997.
È quanto fa ad esempio DI GIACOMO 2013-2014.
10
Su questi temi per l’età romana, ad esempio, MOREL 1987 e
C. Panella in questo volume; per il Medioevo C. Dyer, C. Wickham
e J.-C. Maire Vigueur in questo volume.
11
I contributi di C. Panella, F. Cantini, P. Favia et alii, J.A. Quirós Castillo per citarne alcuni.
12
Di nuovo COSTIN 2005, pp. 1069-1075.
8
9
616
ALESSANDRA MOLINARI
2. Attività artigianali e storia delle città
laterizi, noti anche se in misura ridotta anche nell’alto
Medioevo, possono essere ulteriori strumenti conoscitivi. Il controllo sulla produzione può esercitarsi in molti
modi differenti e tra l’età tardo antica ed il pieno Medioevo i problemi interpretativi possono essere molto
diversi. Il controllo pubblico su alcuni tipi di produzioni
è ad esempio ben noto per la tardo antichità 13, anche
se perlopiù sulla base dei testi legislativi. Una serie di
riflessioni importanti, che sono state sollevate da alcuni
contributi e sulle quali tornerò, riguardano in modo particolare l’accesso alle materie prime, che a partire dal
periodo tardo antico investono in modo centrale anche
lo sfaccettato tema del reimpiego. Ricco di spunti è
anche il tema del ruolo giocato nella produzione artigianale da enti religiosi, quali templi, chiese e monasteri 14, dove si possono immaginare molte diverse
relazioni: a partire dalle produzioni gestite in proprio
in officine alle strette dipendenze dell’ente (come è il
caso più volte testimoniato dei monasteri altomedievali),
all’utilizzo di maestranze itineranti o alla riscossione di
rendite o affitti in prodotti semilavorati o oggetti finiti,
solo per citarne alcune. Bisogna poi sempre contemplare
la possibilità che calcare, officine vetrarie e metallurgiche siano state semplicemente legate ai cantieri costruttivi degli edifici religiosi ed abbiano avuto quindi
una durata limitata nel tempo. Sono tuttavia note testimonianze in cui le officine, nate in occasione del cantiere edilizio, hanno in seguito continuato a funzionare
producendo oggetti di prestigio o anche utilitari 15. Per
il basso Medioevo la prevalente condizione degli artigiani/proprietari dei mezzi di produzione e responsabili
in proprio della vendita dei prodotti, si complica con la
comparsa dei mercanti-imprenditori che forniscono le
materie prime e/o si occupano in toto dello smercio dei
prodotti. In questo caso, tuttavia, è stato notato come i
singoli artigiani possano lavorare contemporaneamente
in proprio e per il mercante-imprenditore e, in ogni
caso, le loro capacità operative specifiche li differenzino dai semplici salariati 16.
Rispetto a questo tema, che è centrale nello studio
dell’economia e dell’organizzazione sociale antiche e
medievali, vorrei soltanto ricordare alcune delle questioni più dibattute, che meglio ci consentiranno di valutare il caso di Roma. La scelta dell’ampia diacronia,
affrontata in molti dei contributi e nella impostazione
stessa del convegno, ha consentito del resto di non partire da stereotipi interpretativi.
In generale, mi sembra che la concentrazione in città
di attività artigianali specializzate rimanga uno dei parametri fondamentali nella definizione stessa del fenomeno urbano sia per l’età antica sia per quella
medievale, naturalmente accanto ad altri, che possono
variare in virtù dell’area geografica o del periodo studiati, come anche della formazione degli studiosi 17.
Quello che tuttavia può cambiare notevolmente è il
ruolo che queste attività hanno come motori economici.
È senz’altro molto differente se le attività artigianali sono
indirizzate a soddisfare soltanto il mercato interno (che
deve comunque essere sufficientemente sostenuto in
termini sia quantitativi che qualitativi) o se invece, grazie all’esportazione in un territorio più o meno vasto,
esse diventano uno degli elementi portanti dell’attività
economica cittadina. Ancora diverso è il caso nel quale
sono le attività mercantili e terziarie a prevalere su tutte
le altre. In altri termini, anche nell’ideal-tipo weberiano
della città antica come centro specialmente di consumatori, che traggono le proprie risorse principalmente
dalle rendite agricole, la consistente presenza di artigiani
specializzati e del mercato è comunque un elemento connotante il fenomeno urbano 18.
Avendo come obiettivo quello di guardare alle trasformazioni urbane e privilegiando il punto di vista
della produzione di manufatti ed edifici, possiamo ricordare come uno dei fenomeni che più è stato evidenziato dalla ricerca archeologica recente sia stata, a partire
dall’età tardo antica, la frequente presenza di tracce più
o meno consistenti di attività produttive (ad esempio re-
13
Per un’ampia rassegna anche bibliografica sulla tecnologia e
la produzione in età tardo antica si veda LAVAN, ZANINI, SARANTIS
2007.
14
Su questi aspetti, in particolare, si vedano i saggi di C. Pavolini et alii, L. Spera, P. Favia et alii in questo volume. Inoltre, ad
esempio MARTORELLI 1999 e per la produzione in ambito monastico
HODGES, LEPPARD, MITCHELL 2011; da ultimo, MARAZZI 2015 e PANI
ERMINI 2015.
15
È il caso, ad esempio, del monastero di S. Vincenzo al Volturno, ma anche di diversi contesti paleocristiani in area pugliese,
P. Favia et alii in questo volume.
Si veda ad esempio DEGRASSI 1996, pp. 16-17.
Per una sintesi vd. WICKHAM 2009a, pp. 627-728; WICKHAM
2009b.
18
In questa sede non voglio neppure lontanamente addentrarmi
in questo tema ovviamente molto discusso tra i classicisti, per una
sintesi del dibattito recente si veda la nuova edizione della Cambridge Economic History of the Roman World (SCHEIDEL, MORRIS,
SALLER 2007) e BOWMAN, WILSON 2009 e 2011. Rimangono illuminanti le pagine di CARANDINI 1981.
16
17
LA PRODUZIONE ARTIGIANALE A ROMA TRA V E XV SECOLO
617
lative a metalli, ceramiche, vetro, calce) in quelle che
erano un tempo le aree monumentali (i fori, le basiliche, le terme) dei centri antichi 19. Questo fenomeno è
sostanzialmente presente in tutta l’area dell’impero,
anche se si evidenzia con tempistiche differenti tra V e
VII secolo. L’interpretazione di queste ricorrenze è alquanto variabile ed effettivamente non si presta a conclusioni univoche, come anche vedremo in seguito.
L’idea che semplicemente esse indicherebbero l’ingresso in città delle attività artigianali, un tempo rigorosamente emarginate dalle aree abitate e monumentali
in quanto inquinanti, deve essere probabilmente sfumata
ed articolata. Secondo altri alla base di questo fenomeno
vi sarebbe l’affievolirsi del controllo delle autorità pubbliche sul decoro e le infrastrutture urbane. Un ulteriore
taglio interpretativo negativamente connotato è quello
che individua nello spopolamento delle città e nel decadere delle funzioni e della centralità di alcune aree
come il Foro le cause di questo importante cambiamento
urbanistico. Una posizione, che legge in termini più decisamente positivi questo fenomeno, è invece quella che
vede nella comparsa di botteghe ed attività produttive
tra il nitore dei colonnati un chiaro segno di vitalità delle
città, un’intensificarsi delle attività artigianali, un nuovo
modo di vivere gli spazi 20.
Un interrogativo fondamentale riguarda i promotori
e/o controllori di queste produzioni artigianali ‘inurbate’:
le autorità pubbliche (specie nelle aree rimaste bizantine), gli enti religiosi o invece i privati, con il conseguente tema della privatizzazione (controllata o meno)
di spazi un tempo pubblici. Un aspetto però che ritengo
sia importante da verificare con maggiore precisione rispetto a questo argomento è se le tracce produttive riguardano fenomeni temporanei (come ad esempio
cantieri di smontaggio o forni per il riciclo di elementi
metallici o anche calcare per la costruzione di singoli
edifici) o piuttosto produzioni di oggetti o semilavorati
reiterate nel tempo. Come vedremo, l’analisi della collocazione spaziale delle officine censite in questo progetto in relazione allo sviluppo della città tra V e VII
secolo suggerisce percorsi interpretativi differenziati.
La ‘ruralizzazione’ e la decadenza del fenomeno ur-
bano con tempi ed esiti differenti nelle diverse aree dell’ex-impero romano specialmente tra VI e X secolo è
un altro tema, che può connettersi a quello della specializzazione artigianale ed alla sua collocazione o meno
in città. La ruralizzazione si connetterebbe con la comparsa di ampie aree coltivate all’interno delle città o con
la presenza di un’edilizia di tipologia identica a quella
dei villaggi, che presuppone la scomparsa di quella
moltitudine di specialisti dell’edilizia che caratterizzava
la città antica ed, in misura già più ridotta, quella tardo
antica. L’affievolirsi della presenza di un artigianato specializzato urbano è talvolta un implicito corollario della
‘ruralizzazione’. La collocazione di attività artigianali
in contesti di villaggio, nei pressi di residenze aristocratiche e monasteri rurali oppure il diffondersi di maestranze itineranti sarebbero un ulteriore sintomo del
fenomeno. Se si può dire, sin da subito, che Roma non
si dovette mai propriamente ‘ruralizzare’, nelle sintesi
che ci sono state proposte per altre aree, si evidenzia
come, mentre in Toscana si ritenga che almeno alcune
città abbiano mantenuto una discreta centralità anche
come centri artigianali, nel caso dell’Italia meridionale
esisterebbe una realtà più variegata per la presenza di
numerose attività produttive non-agricole in ambito rurale 21. Per l’Europa centro-settentrionale la de-urbanizzazione delle attività produttive sembrerebbe
decisamente il tratto prevalente almeno fino alla sviluppo
degli emporia, specialmente in età carolingia 22.
La ‘rinascita’ delle città, in concomitanza e come sintomo stesso della espansione economica ed in coincidenza con ‘l’urbanizzazione’ dell’artigianato, ha tempi
e modi discussi e comunque variabili nelle diverse parti
del Mediterraneo e dell’Europa settentrionale 23, mentre è sicuramente molto precoce nel mondo islamico 24.
Come ricorda C. Wickham nel suo saggio, per l’Italia
sembrano esservi divergenze spesso implicite tra quanti,
storici ed archeologi, preferiscono il X e quanti il XII
secolo come la fase di vero decollo dell’artigianato specializzato e del commercio. Le notevoli ed incolmabili
lacune della documentazione scritta lasciano agli archeologi il compito di produrre nuove informazioni su
questo tema, sul quale non mi sembra vi sia ancora una
Una sintesi su questo tema è in BROGIOLO 2011, pp. 181-184.
Questa visione è ad esempio centrale nel noto testo di H. Kennedy sulla transizione dalla polis alla madina (KENNEDY 1985).
21
Si vedano rispettivamente F. Cantini e P. Favia et alii in questo volume.
Per l’Europa settentrionale si veda C. Loveluck in questo volume e ad esempio HENNING 2007.
23
Si vedano, in particolare, i contributi di C. Wickham, C. Loveluck e C. Dyer in questo volume. Sui problemi legati alla definizione della crescita ed il possibile contributo dell’archeologia
post-classica rimando a quanto già scritto in MOLINARI 2014a.
24
Si veda S. Gutierrez Lloret in questo volume.
22
19
20
618
ALESSANDRA MOLINARI
Negli ultimi anni la ricerca archeologica ha contribuito in modo essenziale ad una nuova visione della storia economica di Roma medievale 27. All’inizio del
periodo gli importanti depositi, in particolare, dell’esedra della Crypta Balbi hanno consentito di modificare
fortemente l’idea di un’economia urbana totalmente autosufficiente già dal VII secolo. La prevalente presenza,
negli strati con questa cronologia, di ceramiche ed anfore di provenienza mediterranea 28, associata a grandi
quantità di monete in bronzo, adatte alle transazioni più
minute, ed agli scarichi di una o più officine di generi
di lusso hanno sicuramente concorso a questa mutata
visione. Nella prima metà dell’VIII secolo, sempre nei
depositi dell’esedra, sarebbe testimoniata una drastica
riduzione delle ceramiche di importazione, rappresentate ora quasi esclusivamente dalle anfore globulari
(provenienti in prevalenza dall’Italia meridionale) 29,
come anche della circolazione monetaria. Quest’ultima
toccherebbe tuttavia il punto più basso a partire dalla
seconda metà dell’VIII secolo. L’acquisizione di nuovi
dati sulle attività produttive databili tra VI e VII secolo
consente ora alcune ulteriori riflessioni.
Il principale problema interpretativo rispetto ai depositi della Crypta Balbi rimane la verifica della loro
rappresentatività all’interno dell’area urbana. A prescindere dalle molte aree della città in abbandono, nelle
quali sono totalmente assenti fasi di VII/prima metà dell’VIII secolo, sembrano nel complesso rari i depositi avvicinabili per ricchezza a quelli appena citati. In termini
generali, poi, tra pieno VII e prima metà dell’VIII secolo si assisterebbe ad un rallentamento di tutte le attività edilizie. Lo studio comparato dei rinvenimenti
ceramici urbani e quelli della Campagna Romana 30
sembra mostrare un primo allentamento dei rapporti di
scambio tra la città ed il territorio rurale già a partire
dal tardo IV secolo. Una più netta dicotomia tra i consumi della città e dei centri rurali si avrebbe, tuttavia,
soprattutto a partire dalla metà del VI secolo; in quello
successivo, mentre in alcuni contesti urbani sarebbero
presenti in prevalenza ceramiche di importazione e
molte monete, nel mondo rurale solo pochi centri privilegiati avrebbero queste caratteristiche. Il contesto nel
quale si collocherebbe la frattura con l’impero bizantino 31 e la conseguente ‘perdita’ dei patrimoni meri-
25
Si vedano i testi di A. Rovelli, G. Bianchi, A. Cagnana, F. Cantini in questo volume. Pisa è la città che sta rivelando le tracce archeologiche più interessanti a questo proposito, con lo sviluppo a
partire dal tardo XII secolo della specializzazione artigianale della
zona di Chinzica, dove tra XIII e XIV secolo erano collocate officine capaci di output veramente ‘industriali’. Per questa città si veda
ora la tesi dottorale di CARRERA 2014-2015.
26
Di nuovo F. Cantini in questo volume. Sulle potenzialità dell’archeologia nel contribuire al dibattito sulla congiuntura del Trecento rimando anche a BURNOUF, BECK, BAILLY-MAÎTRE 2008 e a
MOLINARI 2014a, con bibliografia.
27
Cfr., ad esempio, PAROLI, DELOGU 1993; ARENA, DELOGU, PA-
ROLI et alii 2001; Roma nell’altomedioevo; PAROLI, VENDITTELLI
2004.
28
Si vedano ad esempio i diversi contributi su Roma contenuti
in SAGUÌ 1998 ed in PAROLI, VENDITTELLI 2004; per una sintesi SAGUÌ
2002.
29
Sui contesti di VIII-X secolo dell’esedra della Crypta Balbi di
questo periodo si rimanda a ROMEI 2004.
30
Cfr., ad esempio, PATTERSON, ROVELLI 2004; PATTERSON 2010.
31
Su questo tema specifico si veda ora PRIGENT 2004, che colloca questo fenomeno precisamente negli anni centrali dell’VIII secolo (intorno al 740).
massa critica di dati sufficientemente ampia. Se tuttavia guardiamo ad esempio all’enorme espansione del
volume del costruito in pietra e mattoni, alla circolazione monetaria, all’intensificarsi del ruolo delle officine urbane, all’introduzione anche di novità tecniche
nei processi artigianali 25 sono i secoli XII-XIII, che sembrano decisamente essere connotati in Italia, almeno
nelle aree centro-settentrionali, da una notevole intensificazione di quella che si può senz’altro definire come
crescita economica.
Quella che C. Dyer nel suo saggio definisce una tendenza alla ‘deurbanizzazione’ delle attività produttive
nel Trecento inglese è anch’essa un fenomeno complesso
ed ineguale in Italia. La ‘de-urbanizzazione’ può, infatti,
assumere differenti connotazioni nei diversi comparti
produttivi e riguardare ad esempio l’affermazione della
cosiddetta ‘industria diffusa’ nel comparto laniero, la affermazione di opifici alimentati dall’energia idraulica,
la creazione di centri satelliti specializzati in produzioni
determinate, come è per la ceramica nel caso di Montelupo presso Firenze alla fine del Medioevo. In ogni
caso questa de-urbanizzazione sembrerebbe avvenire
nell’ambito di iniziative intraprese da alcuni ceti urbani,
non sembrerebbe universale, si collocherebbe in una fase
di trasformazione e apparentemente di incremento dei
consumi pro-capite anche all’interno delle classi meno
abbienti. In questo volume, soltanto per l’area inglese
e per la Toscana questo argomento è stato discusso
anche su base archeologica 26.
3. L’economia di Roma dalla tardo antichità alla fine
del Medioevo: alcuni dei temi aperti
LA PRODUZIONE ARTIGIANALE A ROMA TRA V E XV SECOLO
619
dionali non sembrerebbe pertanto leggibile in modo
univoco. L’affermazione, quindi, che questa frattura
coinciderebbe con la definitiva trasformazione della
città «dal centro dell’economia globale a capitale di una
piccola regione» 32 potrebbe essere più sfumata, sebbene
nel complesso renda bene l’idea della forte discontinuità
di questa fase.
L’età carolingia sarebbe quella del grande interventismo papale in tutti i settori della vita pubblica ed in
particolare nelle attività edilizie di tipo laico e religioso,
del passaggio dal sistema trimetallico al denaro d’argento di tipo carolingio, delle domuscultae, del rinnovato rapporto tra città e campagna e della piena
affermazione della ceramica a vetrina pesante. Dobbiamo, tuttavia, ricordare come i pareri non siano affatto unanimi su questa fase dell’economia romana e
come, da un lato, vi sia chi la considera fortemente
espansiva, potendosi collocare Roma nell’ambito di una
fiorente economia di scambio 33 e chi ne sottolinea la
forte, se non esclusiva, dipendenza dall’iniziativa papale. In particolare P. Delogu, accentuando posizioni già
espresse in precedenza, in un suo saggio recente parla
precisamente di «economia patriarcale urbana» 34, che
come vedremo è forse la definizione più calzante.
La seconda metà del IX ed il X secolo che vedono
la crisi ed il ridimensionamento del ruolo papale sono
ancora un periodo controverso. Tuttavia, sembrerebbero essere decenni decisivi per la trasformazione delle
forze economiche e l’allargamento della base produttiva. E’ certamente un periodo difficile da cogliere sotto
il profilo materiale, ma gli indizi del cambiamento sembrerebbero esserci. Il rallentamento dell’edilizia religiosa
e delle grandi opere pubbliche, cui si può senz’altro collegare la rarefazione della produzione scultorea e la
crisi precoce delle domuscultae non sono gli unici elementi da considerare. Diversi indizi parlano di crescita
demografica fuori e dentro della città, l’edilizia civile
ad oggi nota e databile con un certo grado di precisione
(le case dei Fori di Nerva, Cesare, Traiano, del vicus
Iugarius) si colloca in grande misura in questa fase piuttosto che nella precedente e dall’XI secolo è più evidente anche dalle fonti scritte l’espansione del
costruito 35. La ceramica tende ad essere decisamente
più standardizzata e a raggiungere un mercato più
ampio 36. Sono anche i secoli in cui nel mondo rurale si
colgono i primi segni di un più diretto intervento signorile, l’inizio dell’incastellamento 37. Nel complesso
il dato materiale non è per nulla impressionante, ma forse
si stanno creando le basi per un allargamento dei consumi ed una accentuazione della specializzazione produttiva. In questo contesto la persistente scarsissima
attestazione di moneta dai livelli archeologici rimane
tuttavia un elemento dissonante, che ci invita a non enfatizzare o postulare necessariamente la crescita. Ci sarebbero quindi tra IX e X secolo le premesse per una
trasformazione strutturale dell’economia romana, ma ‘la
crescita’ non sarebbe ancora così evidente?
Il recente volume di C. Wickham su Roma nei secoli X-XII 38 ha messo in discussione modi e tempi
dello sviluppo economico di Roma anche per i secoli
successivi a quelli in esso trattati. Per questo autore, pur
con fasi alterne, il periodo tra circa il 900 ed il 1150 sarebbe caratterizzato da una notevole complessità economica, specie se Roma viene confrontata con le altre
città del centro-nord della penisola. Una consistenza demografica di circa 20-30.000 abitanti nel X secolo ne
farebbero la città più popolosa dell’Occidente latino. La
documentazione scritta testimonierebbe l’esistenza di
circa un centinaio di mestieri diversi, alcuni dei quali
collocati in zone specifiche della città, indizio appunto
di produzioni specializzate e della necessità di scambio
tra le diverse zone della città. Anche l’espansione edilizia, promossa in primo luogo da alcuni monasteri,
avrebbe un ritmo molto sostenuto. Alla base di questa
ricchezza, vi sarebbe non solo e non tanto la presenza
del papato ed il flusso enorme di pellegrini, quanto
piuttosto il controllo assoluto sulla cosiddetta Campagna Romana, che costituirebbe un ‘contado’ enormemente più esteso di quello controllato da una qualsiasi
città del centro-nord negli stessi secoli. La scarsa presenza, tuttavia, di centri insediativi di qualche consistenza collocati in prossimità della città avrebbe fatto
sì che il mercato degli artigiani romani sarebbe soprattutto stato quello interno. Un problema non del tutto risolto rispetto a questa interpretazione di una brillante
economia di mercato è tuttavia, come accennavo, quello
32
Cfr., ad esempio, MARAZZI 1991 e 1993; DELOGU 2010, pp.
309-333.
33
Ad esempio PAROLI, CITTER, PELLECUER et alii 1996; NOBLE
2000; MCCORMICK 2002.
34
Cfr. DELOGU 2010, pp. 309-333.
35
Si veda ad esempio HUBERT 1990; MENEGHINI, SANTANGELI
VALENZANI 2004, pp. 31-51.
G. Rascaglia, J. Russo in questo volume.
TOUBERT 1973 e per una sintesi sulla ricerca successiva nel
Lazio: MOLINARI 2010.
38
WICKHAM 2013, con temi ulteriormente sviluppati nel saggio
in questo volume.
36
37
620
ALESSANDRA MOLINARI
della circolazione monetaria. La zecca di Roma rimase
chiusa proprio tra il X ed il XII secolo, riprendendo a
coniare solo nel 1180 ca. per iniziativa del senato cittadino 39. Le monete sono, inoltre, estremamente rare nel
record archeologico. Bisogna quindi immaginare che
l’economia di scambio sia stata sostenuta prevalentemente dall’afflusso di moneta argentea portata dai pellegrini, che per altro è stata rinvenuta anche ‘tosata’. Il
ruolo dei cambiavalute deve necessariamente essere
stato assolutamente centrale in questi secoli, come del
resto testimonierebbe l’esistenza di un Trivium Cambiatoris già nel 1052, nei pressi del Colosseo 40.
La Roma del 1300 con 40/50.000 abitanti sarebbe
invece una città di media grandezza se confrontata ad
esempio a Firenze e Milano. Per Wickham l’interrogativo centrale sarebbe quindi perché essa non si adattò
con altrettanto brio di altri centri urbani al mondo più
commercializzato dei secoli centrali del Medioevo. In
questa fase l’assenza di centri demici intermedi, potenziali acquirenti dei prodotti romani, nelle aree più prossime all’Urbe sarebbe una delle possibili spiegazioni.
In ogni caso se nei secoli X-XII Roma sarebbe stata una
città straordinariamente evoluta sotto il profilo economico, nei secoli XIII-XIV ne sarebbe stata invece una
di media importanza.
Diverso il parere di altri studiosi, tra i quali in primo
luogo S. Carocci e M. Vendittelli 41, che vedono nel periodo tra XII e XIII secolo (specie fino alla prima metà
del secolo) una fase estremamente dinamica di fortissimo investimento in primo luogo in campagna con la
riorganizzazione radicale dello sfruttamento agricolo
attraverso la forma organizzativa del ‘casale’ e con la
massima affermazione dei mercatores specializzati nel
commercio del denaro, in operazioni di tipo prevalentemente finanziario, come diremmo oggi. Il censimento
dell’edilizia civile medievale, che il Laboratorio di Archeologia Medievale di Tor Vergata sta conducendo da
un paio d’anni, consentirebbe al momento di valutare
come la grande maggioranza delle abitazioni presenti
ancora nel centro storico siano state costruite tra XII e
XIII secolo 42. Questo dato coincide anche con la massima attestazione di attività costruttive di tipo civile nelle
fonti scritte 43.
Il Trecento è anche a Roma un secolo controverso e
39
Sul tema delle zecche e della circolazione monetaria si veda
A. Rovelli in questo volume; ROVELLI 2000; ROVELLI 2009; ROVELLI
2010.
40
CAROCCI, VENDITTELLI 2001, p. 79.
41
Ad esempio VENDITTELLI 1993; CAROCCI, VENDITTELLI 2001
e 2004.
ricco di trasformazioni economiche e sociali non tutte
di segno negativo, inoltre esso coincide con il lungo soggiorno avignonese dei Papi. Il quadro delle attività produttive, che emerge dall’analisi della documentazione
notarile dei secoli XIV-XV, illustrato nel saggio di J.C. Maire Vigueur, offre molti spunti di riflessione. In
primo luogo non sarebbe così evidente la concentrazione
topografica delle attività artigianali in aree specifiche
della città, ad eccezione di alcune produzioni più inquinanti o bisognose di maggiori quantità d’acqua e
quindi collocate lungo il fiume (come i cuoiai ed i
vasai). Un tratto molto importante sottolineato da questo autore è la ‘pluriattività’ di molti artigiani, che affiancavano alla propria e specifica attività artigianale
lavori a vario titolo nel settore agricolo. Molti di essi
avevano una discreta agiatezza, possedendo spesso casa
e vigna, ma in pochi riuscivano ad arricchirsi (privilegiati sarebbero stati i mestieri legati al settore alimentari come macellai e pescivendoli). Il mercato di
riferimento degli artigiani romani del Tre e Quattrocento
sarebbe ancora quello locale, comunque sostenuto da
un ceto aristocratico con un ottimo potere d’acquisto e
da molti pellegrini, numerosi anche in assenza del papa.
4. Un tentativo di sintesi dei dati emersi sulle attività
produttive a Roma
I limiti dell’evidenza disponibile
Altri autori hanno evidenziato prima di me i limiti
dell’evidenza raccolta attraverso il censimento dell’edito
e l’acquisizione di un piccolo numero di dati inediti 44.
Qui posso ricordarne di nuovo alcuni, ma anche evidenziare le potenzialità future della banca dati degli indicatori produttivi. Gli elementi distorsivi rispetto alla
rappresentatività del corpus raccolto sono, come è stato
detto: il notevole peso dell’inedito, ma anche spesso la
difficoltà di interpretare correttamente quanto rinvenuto; l’indefinitezza spaziale e cronologica dei ritrovamenti in special modo nei casi di letteratura non recente
(ma non solo in quella) o la maggiore intensità delle indagini nell’area centrale (troppo poco si sa ad esempio
di Trastevere). Le dinamiche di formazione dei depo42
Sul progetto: MOLINARI, GIANNINI 2014, l’esatta percentuale
delle testimonianze delle diverse fasce cronologiche è tuttavia ancora in corso di elaborazione.
43
HUBERT 1990.
44
Si vedano i testi di L. Spera, C. Palombi, N. Giannini, E. Giannichedda in questo volume.
LA PRODUZIONE ARTIGIANALE A ROMA TRA V E XV SECOLO
siti archeologici e dello smaltimento dei rifiuti possono,
come è stato detto, essere a loro volta incisive, come
anche i maggiori disturbi, che le stratificazioni bassomedievali possono aver avuto rispetto a quelle antiche.
I casi, come la Crypta Balbi, nei quali sono state, fino
ad una certa data, edite in modo esaustivo le stratigrafie potrebbe naturalmente portare a sovrastimare l’importanza produttiva di questa zona. Naturalmente il
ricorso sistematico alle analisi archeometriche, come è
stato fatto per l’Athaeneum, arricchisce fortemente i
dati disponibili ed i possibili percorsi interpretativi 45.
Disponiamo tuttavia di circa seicento indicatori di
produzione, nella maggior parte dei casi georeferenziabili e in numero consistente databili. Possiamo ragionare così in modo molto più esatto e sistematico sui
dati disponibili, tentare di individuare delle tendenze
anche in termini quantitativi e soprattutto sperare che
la sensibilità per le tracce del lavoro, che personalmente
trovo bellissime, aumenti grazie anche a questa nostra
iniziativa. Del resto nessuna fonte è, per l’archeologo
come anche per lo storico, indenne da limiti qualitativi
e quantitativi.
621
Non vi è alcun dubbio sul fatto che per la Roma postantica l’eredità del passato rappresentò un’enorme, se
non la principale, risorsa materiale e simbolica. I modi
tuttavia con i quali questo passato venne riutilizzato,
reinterpretato, ridigerito o trasformato sono veramente
molteplici e richiedono un’attenzione specifica. Sul
reimpiego di elementi scultorei ed architettonici, sul rapporto mutevole con le opere d’arte dell’antichità, si è
molto scritto e non intendo tornare sul tema in questa
sede 46. Nel suo saggio R. Santangeli Valenzani insiste
invece giustamente sull’importanza del reimpiego di
elementi non ‘nobili’, sul reimpiego non ‘ideologico’,
ma funzionale. A. Cagnana a sua volta distingue diversi
livelli di complessità nella messa in opera in nuove murature degli spolia. Di recente la B. Munro 47 ha poi fatto
presente come sia utile distinguere tra reimpiego e riciclo, poiché queste due operazioni richiedono capacità
tecniche differenti e specifiche: mentre il riuso non
comporterebbe la trasformazione delle materie prime,
il riciclo sì. Si ricicla, in sostanza, quando si rifondono
vetri e metalli o si fa la calce. Forse è possibile pensare
anche a categorie intermedie quando, come nei casi dei
pavimenti cosmateschi, venivano affettate colonne, sminuzzate e ritagliate lastre con una trasformazione sostanziale degli oggetti antichi.
Il significato economico e sociale di riuso e riciclo,
come si evince anche in molti dei saggi di questo volume, è quanto mai complesso e non univoco. La connotazione solo negativa che ne vede un sintomo di
semplificazione economica e tecnologica, l’attività incontrollata di ‘squatters’ non è accettabile come la sola
possibile, come anche non lo è l’opposta interpretazione
che semplicemente si riutilizzava saggiamente quello che
non serviva più perché la mentalità ed il gusto erano
cambiati. I temi che mi sembra siano emersi sono: in
quale misura le attività di smontaggio erano controllate
e/o organizzate dalle autorità pubbliche oppure spontanee/privatizzate; quale complessità organizzativa e tecnica potevano richiedere recupero, riuso e riciclo; in
quale rapporto topografico si trovavano edifici da riusare
ed officine di trasformazione dei materiali di spoglio. Per
i nostri interrogativi generali sulla storia economica di
Roma, ma non solo di questa città, questi quesiti più specifici sono molto importanti perché, ad esempio, possono
essere o meno significativi della presenza di personale
specializzato, addetto alle diverse attività connesse alla
spoliazione e rilavorazione oppure del controllo pubblico
sulla produzione, almeno nel segmento relativo all’approvvigionamento delle materie prime.
R. Santangeli Valenzani ritiene, con buoni argomenti,
che le autorità pubbliche abbiano conservato a Roma il
controllo sulle attività di spoliazione degli edifici (fonti
di approvvigionamento di materiali diversi, non solo edilizi) fino all’età carolingia ed ai suoi energici papi.
Dopo uno iato compreso all’incirca tra la metà del IX
e la metà del XII secolo, il controllo pubblico riprenderebbe come sembrerebbe ad esempio emergere dal
conflitto di attribuzioni nella tutela e conservazione di
alcuni monumenti antichi tra il neo-costituito senato romano ed il papato. Da questo non si può evincere tuttavia che il controllo su tutte le materie prime, lavorate
a Roma, fosse assoluto da parte delle autorità pubbliche, pur con fasi di maggior lassismo. Esisteva ad esempio con ogni probabilità un’attività di recupero dei
rottami di vetro, la spoliazione di edifici e ville privati,
solo per citare alcune possibilità.
La complessità tecnica dei cantieri di spoliazione è
anch’essa centrale. Esiste il bell’esempio del VII secolo
Si vedano i testi di V. La Salvia e M. Serlorenzi, G. Ricci in
questo volume.
46
Si veda ad esempio il recente BERNARD, BERNARDI, ESPOSITO
2008, inoltre MAIRE VIGUEUR 2011, pp. 382-432.
47
Ad esempio MUNRO 2012.
Riuso e riciclo
45
622
ALESSANDRA MOLINARI
di un ben organizzato cantiere di smontaggio intorno al
sepolcro di Marco Nonio Macrino, al V miglio della via
Flaminia. Il recupero della maggior parte dei laterizi
delle cortine di edifici come le Terme di Caracalla, dovette richiedere l’approntamento di impalcature e di
macchine per la mobilitazione dei materiali pesanti e
carri per il loro trasporto. La Munro ha poi messo in
luce come le officine spesso presenti nelle fasi di V-VII
secolo delle ville suburbane e rurali richiedessero competenze specialistiche per la rifusione di vetri e metalli
o per la produzione della calce, al punto che è giunta
ad ipotizzare la presenza di maestranze itineranti. Inoltre, le nuove materie prime ricavate dalle spoliazioni potevano essere riutilizzate in loco (qualora vi siano fasi
di occupazione successive nei siti delle ex-ville) o più
spesso probabilmente rivendute o trasportate altrove. La
villa dei Quintili può essere uno dei mille casi di cantieri di riciclaggio immaginabili nel suburbio di Roma 48.
Le analisi archeometriche condotte sui resti delle lavorazioni relative soprattutto alle leghe del rame, che si
impiantarono per un secolo e mezzo nell’Athaeneum,
hanno dimostrato come si utilizzassero sia metalli di
reimpiego, sia materiali di nuova importazione. Questo
fatto, specie in quanto connesso ad attività di coniazione
della moneta, comportava, secondo La Salvia, capacità
tecniche ancora più elevate.
Un altro indicatore importante è il legame topografico tra edificio da spoliare, officine ed anche edificio
eventualmente da costruire, nonché la durata nel tempo
delle attività di riciclo. Inoltre, è importante valutare se
si riciclava soltanto, creando ad esempio lingotti, oppure si producevano anche nuovi oggetti. Questo tema
si può ben leggere ad esempio nel caso delle calcare.
Per R. Santangeli Valenzani le calcare si collocavano
in prevalenza nei pressi degli edifici da spoliare, nell’area monumentale quindi in modo particolare, e vicino ai nuovi edifici da costruire, soprattutto per il costo
dei trasporti. Su questo punto vorrei dissentire, almeno
in parte. Nel carico della calcara di fine VIII/IX secolo
ritrovata nell’esedra della Crypta Balbi si usavano
marmi provenienti probabilmente dalla decorazione del
teatro di Balbo, ma anche ad esempio frammenti di sarcofagi che sicuramente potevano invece venire da aree
extraurbane 49. L. Spera ha ricordato il caso dell’epigrafe
damasiana proveniente dalla via Appia e ritrovata presso
S. Nicola de Calcarariis. La calcara altomedievale ritrovata a piazza Venezia non era nei pressi di un edificio in costruzione, né di un monumento da spoliare e
venne utilizzata per più cotture 50. Le calcare presenti
nelle ville suburbane spesso non sono in connessione a
nuove costruzioni. Il fatto stesso che a partire dall’XI
secolo fosse attestata una zona specifica della città denominata Calcarario 51, fa pensare che dovette esistere
anche un vero e proprio mercato della calce, con specialisti permanenti. Anche ad esempio la circostanza
nella quale in occasione della riparazione delle mura Aureliane da parte di papa Gregorio III si usi il verbo emere,
comprare quindi, per quanto riguarda la calce potrebbe
essere un’ulteriore testimonianza in questo senso 52.
Relativamente al reimpiego di altre materie prime,
come il metallo, mi sembra molto improbabile che la
zecca identificata nell’Athaeneum, per oltre un secolo
e mezzo, semplicemente rifondesse i bronzi, seppur abbondanti, del vicino Foro di Traiano. Doveva invece esistere un sistema ben organizzato per il suo rifornimento
stabile. L’officina del bronzista della taberna di piazza
Venezia, della prima metà del VI secolo, in uso forse
per breve tempo, sembrerebbe specializzata nella creazione di lingottini, da materiale riciclato. Il grande forno
della seconda metà del VI secolo sul retro dell’esedra
della Crypta Balbi usava invece grossi lingotti per produrre, su grande scala, oggetti di bronzo, tra i quali probabilmente fibbie da cintura fatte a matrice 53. Di breve
durata nel tempo dovettero invece essere le attività di
riciclo attestate nella villa dei Quintili.
Sui materiali da costruzione deve poi esistere una
casistica complessa. Se nel caso delle abitazioni aristocratiche del IX secolo del Foro di Nerva si riutilizzarono i blocchi di peperino smontati dal muro di
recinzione dello stesso Foro, collocato a pochi metri di
Si veda il testo di R. Paris et alii in questo volume.
49
SAGUÌ 1986, la quale ritiene che la maggior parte dei marmi
appartengano al vicino monumento. Non esiste, tuttavia, una edizione analitica dei marmi ritrovati nei pressi della calcara. Tra quelli
esposti al Museo Nazionale Romano-Crypta Balbi spiccano però
anche frammenti di sarcofagi.
50
M. Serlorenzi, G. Ricci in questo volume.
51
Cfr. MANACORDA, MARAZZI, ZANINI 1994, pp. 653-654. Secondo questi autori il ritrovamento della calcara altomedievale dell’esedra della Crypta Balbi, cui si può aggiungere ora quella quasi
coeva di piazza Venezia, permetterebbero di far risalire almeno all’età carolingia l’esistenza di un quartiere specializzato nella lavorazione della calce. La presenza di numerose epigrafi funerarie di
età romana ritrovate in diversi contesti della stessa zona sono state
interpretate come ulteriore indizio di questa vocazione dell’area.
Devo sottolineare che una posizione di questo tipo non collima con
l’interpretazione della calcara dell’esedra come costruita solo in funzione dei restauri del monastero di S. Lorenzo in Pallacinis voluti
da Adriano I. La prima ipotesi sembrerebbe forse preferibile.
52
L. Spera in questo volume.
53
M. Ricci in questo volume.
48
LA PRODUZIONE ARTIGIANALE A ROMA TRA V E XV SECOLO
623
distanza, e nelle povere case del X secolo del Foro di
Cesare si ‘raccattò’ quello che c’era nelle vicinanze, diversa organizzazione, invece, fanno supporre le numerose imprese edilizie ad esempio dei papi carolingi. La
discreta uniformità dei materiali di reimpiego utilizzati
in tutti gli edifici costruiti ex-novo o restaurati da questi papi (blocchi di peperino e mattoni) fanno pensare
a sistemi centralizzati di smontaggio e di stoccaggio dei
materiali da costruzione. Per altro, nel caso ad esempio
degli edifici fatti costruire nella domusculta di S. Cornelia, dove non esistevano edifici di età romana preesistenti, i materiali da costruzione dovettero essere
trasportati direttamente da Roma 54. I magnifici pavimenti cosmateschi dei secoli centrali del medioevo, che
si ritrovano numerosi anche fuori Roma 55, sono costituiti da spolia rigorosamente selezionati. Infine, come
avremo modo di ricordare anche a breve, sebbene dal
tardo IV e fino almeno al XIII secolo a Roma si fece
uso esclusivo di materiale edilizio di reimpiego, la selezione e/o rilavorazione dei materiali, la loro messa in
opera, l’uso più o meno abbondante di malta di calce,
la complessità architettonica e decorativa sono tutte variabili da considerare nel valutare la qualità ineguale
degli edifici e delle murature.
Un caso a parte e di estremo interesse è poi quello
del vetro. Le ricerche sulla produzione vetraria a Roma
in particolare di L. Saguì, che si è avvalsa di dati stratigrafici incontestabili e di analisi archeometriche 56,
hanno messo in evidenza come i pani di vetro dell’area
siro-palestinese arrivino in città certamente ancora nel
VII secolo. Nell’VIII secolo i vetri sono ancora di composizione simile a quella del secolo precedente, ma con
un ricorso maggiore al riciclo. Così è probabile che fino
all’VIII secolo siano arrivate a Roma materie prime dall’area siro-palestinese, sebbene in quantità più ridotte.
L’assenza totale di ritrovamenti di oggetti di vetro nelle
stratificazioni di IX secolo è poi stata spiegata da questa studiosa con un sistema di riciclaggio talmente capillare e sistematico, che si sarebbe riusciti a recuperare
la quasi totalità dei vetri rotti. Per questo motivo negli
strati con questa cronologia non se ne ritroverebbe oggi
alcun frammento.
Probabilmente siamo oggi molto più sensibili e ben
disposti, rispetto anche solo a venti-trent’anni fa, nei confronti della cultura del riciclaggio e questo ci spinge a
considerarlo in termini non necessariamente negativi.
In sintesi possiamo comunque dire che, sebbene a Roma
non manchino casi in cui il reimpiego sembrerebbe dettato dalla massima convenienza per la facilità e semplicità di accesso alle materie prime, sembrerebbero
prevalenti: il controllo pubblico, seppur variabile e non
pervasivo, nell’accesso ai materiali da costruzione ed
alle materie prime; scelte accurate di cosa reimpiegare;
procedimenti tecnici non necessariamente semplificati;
maestranze specializzate nello smontaggio e nel riciclo
tanto nell’area urbana che in quella suburbana. La circolazione e trasporto in ambito almeno urbano e suburbano degli elementi da riciclare o dei semilavorati
sembrerebbe piuttosto sistematicamente attestato. Infine,
possiamo dire come almeno fino al settimo secolo giungessero ancora in qualche misura a Roma materie prime
provenienti da aree anche distanti, come l’area siro-palestinese per il vetro.
Queste considerazioni complessive non tendono comunque a negare il fatto che la necessità di reimpiegare
derivi da forti discontinuità nel sistema mediterraneo dei
trasporti e nella gestione pubblica o comunque su larga
scala di cave e miniere. Queste ultime sembrano, in generale, in abbandono o usate in forme molto più ridotte
già dall’età tardo antica 57. Tuttavia, se un sintomo della
massima complessità economica possono essere considerati i sectilia pavimenta di età imperiale fatti a partire da blocchi di marmi predisposti già nelle cave
(collocate in diverse parti del Mediterraneo) e tagliati
in modo perfetto, secondo schemi ricorrenti, prodotti
quindi di lusso, ma con una domanda elevata anche
quantitativamente, i sectilia tardoantichi o quelli più recenti del tipo cosmatesco, realizzati con soli marmi di
reimpiego, non sono meno belli e tecnicamente complessi 58.
54
R. Santangeli Valenzani in questo volume per il Foro di Nerva.
Si veda inoltre ad esempio SPERA, ESPOSITO, GIORGI 2011 per un
diverso parere e su S. Cornelia: CHRISTIE 1991.
55
Sui Cosmati si rimanda ad es. a CLAUSSEN 2002.
L. Saguì, B. Lepri in questo volume con bibliografia.
Ad esempio G. Bianchi, A. Cagnana in questo volume.
58
Sull’evoluzione delle tecniche pavimentali si veda F. Guidobaldi, A. Guiglia Guidobaldi in questo volume.
Le diverse fasi storiche
La «topografia dell’artigianato», come indicava già
nel 1987 J.P. Morel per Roma antica, offre spunti importanti di riflessione sulle modalità della produzione,
l’organizzazione degli spazi urbani, l’intervento dei poteri pubblici e le rappresentazioni collettive. Ancor più,
aggiungerei, se si sceglie di considerarla nella lunga diacronia ed in termini comparativi. La Roma della piena
56
57
624
ALESSANDRA MOLINARI
età imperiale 59 vide senz’altro una politica urbanistica
volta a relegare progressivamente ai margini dell’abitato o ad organizzare in strutture ben definite e ‘chiuse’
le attività produttive, a concentrare nell’area centrale le
attività politiche, giudiziarie e cultuali, allontanandone
o tentando di disciplinare le attività artigianali e/o commerciali. Tuttavia, la tensione tra la tendenza alla regolamentazione (dei poteri pubblici) e la resistenza (dei
piccoli artigiani) fece si che alcune attività produttive
(ad esempio quelle legate alle produzioni di lusso, non
necessariamente poco inquinanti, o le fulloniche, non
proprio ben odoranti) fossero veramente a pochi passi
dalle zone monumentali. In particolare è bene ricordare
come produzioni di metalli preziosi erano collocate sin
dall’età traianea nella Basilica Argentaria (sul lato ovest
del Foro di Cesare), come nel retrostante Clivus Argentarius ed anche nella zona tra vicus Tuscus e vicus
Iugarius ed il tempio dei Castori 60. Ai due lati insomma
della piazza del Foro. Del resto, le tabernae, luoghi
spesso deputati sia alla produzione sia alla commercializzazione dei prodotti, si insinuavano spesso negli spazi
lasciati liberi dai grandi monumenti. L’immagine quindi
di Roma, come di altre città antiche, tutta nitore di
marmi ed aria pulita va forse ridimensionata.
In quest’ottica il V secolo va considerato con cautela, come suggerisce anche L. Spera. Certamente si individuano elementi decisivi di trasformazione degli
spazi come l’abbandono totale o parziale di alcuni monumenti, il loro cambio d’uso, le attestazioni, seppur ancora sporadiche, delle sepolture urbane. Tuttavia, non
tutte le testimonianze di attività artigianale si devono
considerare in posizione difforme rispetto al più recente
passato. Le attività metallurgiche in corrispondenza
della taberna X del Foro di Cesare, potrebbero non costituire affatto una novità, come non lo furono quelle
che si ampliarono in questo periodo nella Basilica Hilariana sul Celio. Ulteriore segno di continuità sono le
tracce di IV e V secolo di lavorazione dei marmi nell’area di Testaccio e nella vasta area a nord di piazza
Navona ‘sacrificata’ già in età imperiale alla lavorazione
dei marmi. Mi sembra, inoltre, degno di riflessione il
fatto che ben due epigrafi datate al VI secolo inoltrato,
entrambe provenienti dall’oratorio dei Quaranta Mar-
tiri (ossia di fronte alla fonte di Giuturna, dietro al tempio dei Castori) siano di un aurifex (Amantius) e della
moglie di un artigiano dell’argento (Ypolita). Nell’ambito di mutati costumi funerari forse questi artigiani privilegiati ed i loro familiari si fecero seppellire nei pressi
dell’area in cui svolgevano la loro attività, che era quella
dove si lavoravano da secoli metalli preziosi 61. La piccola fornace da vetro che nel V secolo si installò nella
grande latrina, realizzata in età adrianea, della Crypta
Balbi forse addirittura nobilitò lo spazio nel quale venne
a collocarsi.
I secoli VI e VII si presentano sempre più con molte
sfaccettature e non si prestano a interpretazioni univoche. Il quadro delle trasformazioni urbanistiche e demiche della città, come anche è stato ricostruito dalla
ricerca archeologica, ha indubbiamente aspetti drammatici 62. La popolazione decimata, molte aree della
città totalmente abbandonate, la moltiplicazione inoltre
delle sepolture in urbe in forme talvolta organizzate, talvolta ‘abusive’ 63 sono tutti fenomeni accertati. Si sottolinea, inoltre, da più parti come dopo il pontificato di
Onorio I (625-638) e fino a quello di Adriano I (772795) vi sarebbe stato un ulteriore rallentamento delle
attività edilizie (nessun edificio costruito ex-novo, difficoltà anche ad eseguire restauri) e nella produzione
scultorea ed epigrafica. Il contesto politico è quello
della guerra greco-gotica, quindi della restaurazione bizantina e poi dei Longobardi alle porte. Eppure Roma
continuò ad avere un’economia complessa. Abbiamo ricordato più sopra i dati riguardanti i consumi e la circolazione monetaria, soffermiamoci ora sugli indicatori
delle attività produttive. Come ricordavamo nella sezione
precedente, reimpiego e riciclaggio sembrerebbero organizzati, gestiti (se non controllati) ed eseguiti in maniera consistente da maestranze specializzate. La
collocazione, la natura, le dimensioni delle officine sono
poi estremamente articolate, come anche il rapporto
con aree abitate, usate o abbandonate. Nell’area del
Foro propriamente detto le tracce di attività produttive
sono abbondanti, sebbene per lo più mal note per quanto
riguarda la loro entità e durata nel tempo. Il Foro rimase, tuttavia, almeno fino al IX secolo il centro della
vita cittadina, come dimostrano, insieme naturalmente
Si rimanda naturalmente ai testi di F. Coarelli e C. Panella, incentrati in modo particolare su Roma antica, ed anche a L. Saguì,
B. Lepri e H. Di Giuseppe in questo volume.
60
Si sofferma in modo particolare su questi temi la tesi dottorale di G. Di Giacomo (DI GIACOMO 2013-2014), risultata vincitrice
per il 2015 del concorso Fecit te, della casa editrice Scienze e Lettere.
DI GIACOMO 2013-2014, che ho tuttavia forzato nell’interpretazione.
62
Si veda ad esempio la sintesi di MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004.
63
Sui molteplici aspetti di questo fenomeno a Roma si veda MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004, pp. 103-125 ed anche MOLINARI 2014b, con bibliografia.
59
61
LA PRODUZIONE ARTIGIANALE A ROMA TRA V E XV SECOLO
ad altri elementi, i cospicui ritrovamenti di ceramica altomedievale 64. Una trasformazione impressionante è
quella subita dall’Athaeneum, del quale è stata per altro
scavata soltanto una parte. La presenza di alcune decine di forni di diversa tipologia ed i resti di lavorazione hanno consentito di individuarvi, con buona
ragione, la sede della zecca enea tra VI e VII secolo. Il
profilo pubblico della collocazione topografica e dell’impresa sono quindi in questo caso evidenti. Accanto
alla zecca (che doveva fare un gran fumo) la piazza del
Foro di Traiano rimase in uso fino al IX secolo. Di natura differente e di durata più breve (prima metà VI secolo) è l’attività del bronzista che si collocò in una
taberna lungo la via Lata (in corrispondenza dell’attuale
piazza Venezia), quando con ogni probabilità l’insula
nella quale era inserita era perlomeno ancora in piedi.
Il suo profilo sembrerebbe più privato che pubblico. Di
estrema complessità interpretativa sono gli importanti
ritrovamenti dell’area della Crypta Balbi 65. In primo
luogo consideriamo l’officina sorta nel pieno VI secolo
in uno dei vicoli subito alle spalle dell’esedra di questo monumento (al di fuori quindi di esso). Lo scavo
non è stato del tutto completato e non sono state realizzate analisi archeometriche, tuttavia se ne vede perfettamente la notevole estensione. Occupa, infatti,
almeno tre ambienti, che davano direttamente sulla
strada, ed è stato possibile riconoscere due differenti tipi
di forno. Uno di questi è di una scala impressionante,
oltre ad essere stato costruito in forme durevoli. Gli scarti
di lavorazione e la presenza di semilavorati (un frammento di un lingotto di rame ad esempio) e crogioli
fanno pensare che si producessero oggetti di bronzo ed
anche in osso. Si ritiene che l’officina sia stata smantellata sistematicamente per spostarsi nelle vicinanze,
quindi non è stato possibile avere un’idea completa
della gamma complessiva degli oggetti prodotti. Alcuni
scarti, tuttavia, indicherebbero come tra le sue produzioni vi fossero anche bambole di osso e fibbie da cintura in bronzo, realizzate a stampo (di un tipo molto
corrente). Non sembrerebbe pertanto scontata la connessione con istituzioni pubbliche o religiose di questa
officina, che doveva comunque avere un output impressionante, se si considerano soprattutto le dimensioni
di uno dei forni e la quantità di combustibile necessaria per farlo funzionare. Il monastero di S. Lorenzo in
Pallacinis, che doveva trovarsi al di sotto dell’attuale
chiesa di S. Stanislao dei Polacchi, non può avere avuto
64
65
Si veda G. Rascaglia, J. Russo in questo volume.
L. Vendittelli e M. Ricci in questo volume.
625
in questo secolo una connessione diretta con questo vicolo, pensando anche che le insulae nelle quali è inserita l’officina hanno alzati ancora oggi conservati fino
al secondo piano. Per quanto è giunto fino a noi, perlomeno alcune delle merci prodotte non erano connesse
né alla sfera religiosa, né a quella del lusso. Perché Stato
o monasteri dovevano controllare o curare direttamente
la produzione di cinture dozzinali e di bambole d’osso?
Mi sembra che tutto sommato una connotazione anche
privata di questa officina, che poteva per altro rifornire
un mercato non solo locale, si possa almeno non escludere.
Non sappiamo con esattezza dove si ricollocò l’atelier, del quale si è appena discusso, certamente però il
grande scarico ben inquadrabile nel VII secolo, scavato
da L. Saguì nell’esedra della Crypta Balbi 66, è pieno di
un numero impressionante di scarti di lavorazione, materie prime anche preziose, matrici, attrezzi, ritagli e prodotti finiti. Come è noto la pendenza del deposito e la
sua composizione hanno fatto ipotizzare che si tratti di
un’attività di scarico non protratta nel tempo e avvenuta a partire dall’area dove poteva trovarsi il monastero di S. Lorenzo, forse per ripristinare uno stato
normale dopo un evento traumatico, come ad esempio
un’alluvione. Questo spiegherebbe anche perché molti
oggetti anche preziosi non siano stati recuperati. L’associazione di questi depositi con il monastero sarebbe
anche indicata dal ritrovamento di un sigillo che ne ricorderebbe il nome. La produzione della/e officine, le
cui dotazioni e scarichi finirono nell’esedra è quanto mai
varia e include sia oggetti di uso corrente, sia di lusso
come monili d’oro e pietre preziose. Bisogna chiedersi
però se tutto questo venisse effettivamente da un ambiente monastico. Proviamo dunque ad affrontare il problema in una maniera più olistica. Nelle vicinanze si
lavoravano: sostanzialmente tutti i metalli, secondo tecniche differenti e per realizzare oggetti sia di uso personale sia ad esempio suppellettili da mensa ed utensili;
vetro; osso e avorio; cuoio; tessuti. Che si tratti di un
contesto archeologico di notevole ricchezza, a causa
anche delle circostanze probabilmente eccezionali di formazione, non vi è dubbio. Per altro l’associazione dei
resti di produzione con grandi quantitativi di anfore da
vino e da olio e ceramiche sigillate da mensa africane,
nonché con una serie di sigilli plumbei, infine la rarità
di contesti paragonabili a questo in ambito urbano, permettono di collegare senz’altro questo ritrovamento con
66
SAGUÌ 2002; M. Ricci in questo volume con bibliografia.
626
ALESSANDRA MOLINARI
un centro di consumi privilegiato. Ho, tuttavia, trovato
interessanti le notazioni di I. Baldini Lippolis, che considera la qualità dei prodotti della/e officina/e della
Crypta negli standard di una koinè tardoantica. I prodotti di altissima oreficeria, ritrovati ad esempio nei tesori, sarebbero invece più spesso degli unica. Questa
notazione inviterebbe in primo luogo alla prudenza nel
valutare il raggio di diffusione dei prodotti di questa officina specifica. Sarebbe qui necessario un lavoro più
di dettaglio, non necessariamente archeometrico, volto
ad esempio ad individuare piccole idiosincrasie formali
e tecniche o nell’individuazione di famiglie di oggetti
provenienti dalle stesse matrici. Non è quindi assolutamente certo a quale mercato (urbano o anche extra-urbano?) potesse rivolgersi l’atelier in questione, che
lavorava comunque ad altissimi livelli tecnici e produceva una gamma molto ampia di prodotti diversi. La
connessione con un ente religioso, in un’area (quella centrale) controllata ancora dalle istituzioni pubbliche è una
delle ipotesi interpretative di questo contesto, riproposta da diversi autori in questa sede e con diverse sfumature. La produzione in ambito monastico anche di
beni non necessariamente dedicati al culto è nota archeologicamente ad esempio a S. Vincenzo al Volturno 67, in corrispondenza delle fasi carolingie del
monastero. Le officine nate in connessione alle fasi costruttive della chiesa di S. Vincenzo Maggiore sarebbero poi passate a produrre oggetti di prestigio, destinate
forse al complicato gioco di alleanze con le aristocrazie locali. Un pericolo in questo caso è, tuttavia, insito
nel confrontare contesti che potevano essere solo apparentemente simili: un monastero urbano di VII secolo
con uno rurale di età carolingia. In sintesi, sebbene la
connessione con un monastero non si possa affatto
escludere, questa potrebbe non essere l’unica interpretazione possibile. Nel caso si trattasse di un atelier monastico dobbiamo allora forse pensare che operasse
prevalentemente al di fuori del mercato e gli oggetti qui
prodotti fossero distribuiti come doni o scambiati con
altri beni. Non tutta la produzione si presta, tuttavia, bene
a questa interpretazione. Inoltre, data la grande varietà
di lavorazioni e di materiali attestati, con processi produttivi che richiedevano competenze molto specifiche,
dobbiamo immaginare che alle dipendenze del monastero (una vera casa di mode e di arredo!) lavorasse un
MITCHELL, HODGES, LEPPARD 2010; HODGES, LEPPARD, MIT2011.
68
Sull’articolazione sociale della Roma altomedievale cfr., ad
esempio, MARAZZI 2001 e WICKHAM 2006.
numero molto alto di addetti. La possibilità che ci troviamo invece di fronte ai relitti di gruppi di officine,
che operavano per il mercato (probabilmente anche
extra urbano), alimentato da un élite laica e religiosa
piuttosto articolata 68 non è forse quindi da escludere a
priori.
L’associazione tra produzioni differenti (metallo e
osso, metallo e vetro, etc.) non è un indicatore interpretabile invece in modo univoco, sebbene a Roma sia
più tipico di questi secoli rispetto a quelli successivi.
Ad esempio in un contesto più tardo inequivocabilmente caratterizzato da liberi artigiani, che lavoravano
per un mercato molto ampio, come quello scoperto recentemente nel quartiere di Chinzica a Pisa e databile
al XIII-XIV secolo, si trasformava nelle stesse botteghe il bronzo ed il vetro o il ferro e l’osso 69.
Una cronologia meno definita e forse più precoce
(V-VI secolo) hanno le testimonianze che si stanno riconsiderando di recente nell’area di S. Omobono, dove
all’interno di tabernae, si doveva collocare un’estesa attività metallurgica. Più distanti dall’area centrale erano
le attività produttive attestate all’interno delle terme di
Traiano sul colle Oppio.
Riassumiamo, quindi, le riflessioni fatte a proposito
dei diversi contesti di VI e VII secolo. Si può sottolineare, credo, la varietà di condizioni produttive. Ai casi
certi in cui si può ricostruire un controllo diretto sulla
produzione da parte delle autorità pubbliche (Athaeneum), si affiancano officine più probabilmente private
(ad esempio quella nel vicolo dietro l’esedra della
Crypta Balbi) e situazioni di più difficile interpretazione,
come nel caso del/degli atelier che nel VII secolo scaricarono all’interno dell’esedra dello stesso monumento.
Del resto, fino agli ultimi decenni del VII secolo, il ruolo
capillare degli enti ecclesiastici ed in particolare del papa
nella vita pubblica ed economica romana è stato almeno
in parte ridimensionato, incrementandosi invece notevolmente a partire dal secolo seguente 70. L’esistenza di
artigiani indipendenti e socialmente influenti sembrerebbe poi attestata, ancora alla fine del VI secolo, dalle
epigrafi di Amantius ed Ypolita, sepolti nell’oratorio dei
Quaranta Martiri nel Foro. La tendenza ad una maggiore
concentrazione delle officine nell’area centrale potrebbe
derivare, oltre che dall’incompletezza del campione, da
un controllo pubblico sulla dislocazione topografica
67
CHELL
69
70
230.
CARRERA 2014-2015.
Ad esempio COATES-STEPHENS 2006; DELOGU 2010, pp. 220-
LA PRODUZIONE ARTIGIANALE A ROMA TRA V E XV SECOLO
627
degli artigiani e sulla gestione delle materie prime, non
necessariamente esteso a tutta la filiera produttiva. Certamente in molti casi le officine sembrerebbero collocate nelle immediate vicinanze di aree ancora abitate o
comunque utilizzate. Se a questo dato uniamo la presenza sempre più frequente di sepolture, abbiamo la netta
sensazione che il senso del ‘decoro’ doveva decisamente essere cambiato, come anche la funzione stessa
di molti spazi. Se tuttavia dovessi tirare delle fila, anche
se molto provvisorie, mi verrebbe di affermare che i secoli VI-VII, sotto il profilo dell’organizzazione produttiva, assomigliano più al V che non all’VIII secolo,
quando le discontinuità sono maggiori in diversi settori
della vita materiale ed organizzativa. Insomma, non
sembrerebbe tutto degrado, abbandono e semplificazione tecnologica, come non sembrerebbe tutto pubblico
o tutto ecclesiastico. La scala delle produzioni sembrerebbe, inoltre, ancora piuttosto variabile ed, in alcuni
casi, decisamente consistente.
Le testimonianze relative ai secoli VIII-X ci portano
a considerazioni di tipo diverso. In primo luogo si può
notare un netto calo (riduzione di oltre il 50%) quantitativo degli indicatori delle attività produttive, rispetto
ai quali dobbiamo anche tener presente il probabile ulteriore calo della popolazione. Una concentrazione importante di attestazioni è ancora nell’area centrale, nel
Foro e nella Crypta Balbi. Sempre in connessione quindi
con le aree più intensamente abitate 71. Certamente può
essere penalizzante per la comprensione del periodo
l’assenza di informazioni per le aree intorno al Laterano e a S. Pietro. Tuttavia, stupisce che in un grande
monastero periurbano come San Paolo fuori le mura
quasi le uniche tracce produttive siano quelle del cantiere di costruzione degli edifici monastici.
Alcune notazioni importanti si possono fare partendo dagli oggetti, realizzati a Roma, in particolare dalla
ceramica. La ceramica a vetrina pesante, prodotta a partire dalla fine dell’VIII secolo, è stata in passato considerata un indicatore di complessità produttiva e di
circolazione ampia. Questa ceramica non ha tuttavia un
medesimo significato economico nel lungo arco di
tempo nel quale venne prodotta. Già negli anni novanta, M.B. Annis 72, guardando agli aspetti tecnici delle
produzioni di IX secolo, ipotizzava che la loro bassa
standardizzazione e variabilità potesse indicare come
nella prima fase produttiva gli oggetti in Forum ware
potessero addirittura essere fatti su commissione. Questo fatto coinciderebbe bene anche con la carta di distribuzione degli esemplari più antichi, che fuori Roma
si trovano spesso in connessione con strutture di tipo
ecclesiastico. È, inoltre, interessante notare come la
completa revisione degli scarti di produzione urbani e
rurali fatti in occasione della nostra ricerca abbiano
completamente espunto tutti quelli che in passato erano
considerati indicatori di produzione. Ad oggi quindi la
produzione propriamente urbana della Forum ware
viene ipotizzata, oltre che sulla maggiore concentrazione
dei rinvenimenti, sulla base del fatto che le analisi mineralogiche degli impasti (che andrebbero tuttavia ampliate) danno risultati composizionali abbastanza
uniformi per quello che riguarda i ritrovamenti cittadini.
In ogni caso sempre nel IX secolo dovevano esistere
altri centri produttori, anche di ambito rurale. E’ poi abbastanza significativo il fatto che l’unica fornace finora
conosciuta, che produceva ceramica comune identica a
quella di Roma, nota per i secoli VIII e IX, sia stata trovata nell’ambito dell’ insediamento rurale di Mola di
Monte Gelato, connesso con una domusculta papale. A
partire dal X secolo, invece, la Forum ware risulta essere più standardizzata e circola con maggiore ampiezza.
Molto interessanti sono anche i dati che riguardano
la produzione ed il consumo del vetro. Se, sempre alla
Crypta Balbi, ancora nell’VIII secolo si produceva
vetro secondo le tecniche e alcune delle forme di origine tardo antica (con l’incrementato però del ricorso
al riciclo), colpisce tuttavia che negli strati di IX secolo, nei quali abbondano le ceramiche, non si trovino
per nulla frammenti di contenitori in vetro. L. Saguì
suggerisce che questo sia dovuto ad un riciclaggio capillare e quasi totale delle suppellettili vitree. Il knowhow rispetto alla produzione vetraria non sarebbe
infatti scomparso, come testimonierebbero i mosaici
di età carolingia e lo stesso rivestimento della Forum
ware. Si può tuttavia anche ipotizzare che l’uso di suppellettili in vetro si sia drammaticamente ridotto tra la
seconda metà dell’VIII ed il IX secolo. Mi sembra poi
significativo il fatto che i crogioli rinvenuti in contesti di X secolo sempre alla Crypta Balbi, segnino un
importante cambiamento tecnico, proprio per il modo
con il quale sono stati realizzati. Questo potrebbe per
altro coincidere con l’immigrazione di nuovi artigiani.
71
La presenza di ceramica medievale è stata cartografata in G.
Rascaglia, J. Russo in questo volume, col fine di monitorare anche
le aree di più intensa residenza.
72
ANNIS 1992. Nel testo di G. Rascaglia, J. Russo è riportata
tutta la bibliografia sulla Forum ware.
628
ALESSANDRA MOLINARI
Il fatto che i residui vetrosi nei crogioli siano risultati
silico-sodico-calcici potrebbe, infine, indicare che le
materie prime di base erano comunque importate 73. Si
potrebbe, in sintesi, ipotizzare una cesura o comunque
una forte contrazione nell’uso e nella produzione di
suppellettili vitree nell’arco del IX secolo, cui seguì
nel X secolo un cambiamento tecnico dovuto a nuove
maestranze.
Gli studi e gli scavi recenti 74 hanno permesso di individuare con certezza le tecniche costruttive databili
tra l’VIII ed il IX secolo. Universale è, inoltre, la constatazione del forte incremento qualitativo e quantitativo delle attività edilizie sia religiose sia laiche, sia
urbane sia rurali, specialmente tra la metà dell’VIII secolo e la prima metà di quello seguente. Il complesso
delle attività edilizie è di una qualità e quantità incomparabile con quanto è noto nello stesso periodo per la
maggior parte delle città italiane 75. Le tecniche costruttive del periodo, negli edifici di impegno medio ed
alto 76, prevedono nella maggior parte dei casi l’utilizzo
di blocchi (molto spesso di peperino e sommariamente
ridotti nelle dimensioni) medio-grandi di reimpiego (per
un’altezza variabile) e di filari in laterizi (ovviamente
di reimpiego), con i caratteristici corsi ‘ondulati’. Le murature sono, anche se non sempre, legate con malta di
calce di qualità variabile. Queste tecniche costruttive richiedono in termini generali: il reperimento dei materiali costruttivi adeguati; l’impianto di calcare che
necessitano di know how specifico e di prezioso combustibile, nonché una organizzazione complessiva del
cantiere, comprensiva, in alcuni casi almeno 77, di sistemi di sollevamento dei blocchi. Come ricordavo più
sopra, in alcuni contesti si sono ipotizzate (S. Paolo fuori
le mura) forme di smontaggio degli antichi monumenti
e stoccaggio sistematico dei materiali da costruzione 78.
Questo però non indica affatto un ritorno ai livelli
professionali del passato. Se guardiamo ai dettagli della
messa in opera, non si può non notare come le murature non siano spesso perfettamente a piombo ed i corsi
ondulati presuppongano una non completa padronanza
dell’arte del murare. Riprendendo suggerimenti già
espressi da R. Santangeli Valenzani 79, si può ipotizzare
come il livello complessivo di specializzazione professionale nei cantieri romani altomedievali fosse in sostanza relativamente basso. Magistri esperti potevano
avere alle proprie dipendenze lavoratori non specializzati, magari costretti alle corvèe 80. Questo è, ad esempio, il caso ben noto dei restauri realizzati da Adriano
I alle mura aureliane e della costruzione delle mura leonine 81. Casi analoghi di organizzazione del lavoro sono
noti anche per i Magistri Commacini, che potevano lavorare anche con maestranze fornite direttamente dal
committente 82. In sintesi, la committenza e l’iniziativa
papale svolsero un ruolo fondamentale nel funzionamento dell’economia romana, come certamente avvenne
nel settore edilizio, ivi inclusa la decorazione scultorea 83.
Rimane, tuttavia, da chiarire quanto e se si possano essere sviluppate in questo periodo maestranze completamente ‘indipendenti’, mentre ho già accennato ai temi
(ancora aperti) legati alla produzione della calce. Ritornerò a breve sul problema della rinascita economica
in età carolingia, sembrerebbe però opportuno sottolineare sin da ora di come difficilmente tra VIII e IX secolo si possa parlare di una crescita basata sulla
73
Non si tratta, infatti, di vetri potassici realizzabili con ceneri
di piante non marine. Per i vetri sodici nel Medioevo si ricorreva
infatti alle ceneri di piante marine come la salicornia, cfr. ad esempio FOY 2001.
74
Cfr. COATES-STEPHEN 1997; MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004, pp. 133-142; di grande interesse sono poi i recenti rinvenimenti degli scavi presso la basilica di S. Paolo fuori le mura,
nei quali è stato possibile stabilire precise corrispondenze tra le tracce
di attività di cantiere e specifici manufatti murari, con fasi che coprono tutto l’VIII secolo, cfr. SPERA, ESPOSITO, 2011.
75
Per una sintesi su questi temi si vedano G. Bianchi, A. Cagnana in questo volume e BROGIOLO 2011.
76
Ad esempio nelle domus terrinae scavate nei Fori di Cesare e
Traiano, riferibili ai ceti medio-bassi, le tecniche edilizie sono moto
più semplici prevedendo basamenti in blocchi non selezionati di reimpiego, legati con terra, ed alzati in mattoni crudi, cfr. ad esempio
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004, pp. 133-142.
77
Quando ad esempio la parte di cortina composta dai blocchi
di peperino si eleva ad una altezza consistente, come nel caso delle
mura leonine e nei restauri carolingi delle mura aureliane.
78
Cfr. SPERA, ESPOSITO 2011.
Cfr. ad esempio SANTANGELI VALENZANI 2002; MENEGHINI, SANVALENZANI 2004, pp. 133-142.
80
Sembra a questo proposito interessante la notazione relativa
alle fosse per la preparazione della malta rinvenute nei recenti scavi
di S. Paolo fuori le mura: l’assenza di macchine miscelatrici fa pensare alla presenza di manodopera, cospicua ma non specializzata,
cfr. SPERA, ESPOSITO 2011.
81
Su questi aspetti si sofferma anche DELOGU 2010, p. 317.
82
Sui Magistri Commacini si rimanda al recente volume Magistri Commacini 2009, si veda inoltre G. Bianchi, A. Cagnana in questo volume. In sintesi, per l’alto Medioevo si può in generale pensare
a diverse possibilità per gli operatori specializzati nelle attività edilizie: maestranze indipendenti, ma itineranti (questo sarebbe ad
esempio il caso dei Magistri Commacini, che tuttavia non sembrerebbe applicabile a Roma, dove le maestranze sembrano decisamente
stanziali); maestri pagati in parte in moneta, in parte in ‘natura’;
maestri dipendenti ed anche membri autorevoli delle principali comunità ecclesiastiche (su quest’ultimo tema si veda ad esempio
CANTINO WATAGHIN 2010).
83
Si vedano ad esempio PAROLI 2001; BALLARDINI 2010.
79
TANGELI
LA PRODUZIONE ARTIGIANALE A ROMA TRA V E XV SECOLO
specializzazione artigianale urbana e sull’incremento
degli scambi di tipo commerciale (data anche la ridottissima circolazione monetaria).
Tra la seconda metà del IX ed il X secolo si possono forse cogliere alcuni timidi sintomi di cambiamento. Abbiamo già ricordato le novità tecniche del
vetro e la maggiore standardizzazione e diffusione della
Forum ware. Possiamo anche citare gli importanti cambiamenti, ben visibili nell’area centrale, costituiti soprattutto dalla costruzione consistente di case private in
contesti un tempo pubblici come nei casi dei Fori imperiali, della Basilica Giulia, del Vicus Iugarius. Espansione dell’abitato e appropriazione/privatizzazione di
spazi un tempo pubblici sembrerebbero esserne le cause.
Infine, mi piace ricordare la testimonianza del ‘gemmario’ i cui resti di produzione sono stati trovati sul Vicus
Iugarius. La collocazione sostanzialmente nella stessa
area nella quale dovevano trovarsi concentrati i gemmari nella Roma antica devo dire colpisce 84.
Per l’XI secolo poche sono le tracce archeologiche
esplicite di trasformazione delle attività produttive, rispetto alla relativa abbondanza di testimonianze
scritte 85. L’espansione dei consumi di ceramica locale
riguarda soprattutto il mercato urbano, mentre si moltiplicano le produzioni, in alcuni casi molto simili a
quelle romane, negli altri centri del territorio laziale. La
ceramica romana è ora molto più standardizzata (testimoniando quindi forse l’esistenza di meno vasai, maggiormente specializzati), ma evidentemente poco
competitiva rispetto alle produzioni rurali. Negli edifici,
non numerosi invero, attribuibili a questo periodo, le
tecniche murarie, sebbene sempre realizzate con materiale di recupero, sembrerebbero essere in alcuni casi
più regolari. In particolare alcune cortine laterizie presentano una selezione attenta dei mattoni ed una messa
in opera molto più accurata 86.
Tra XII e XIII secolo i cambiamenti sono molto più
sensibili in diversi settori. In primo luogo un nuovo aumento esponenziale delle testimonianze di attività produttive, specialmente nel settore dell’edilizia. Il grande
numero di calcare, assommandosi al numero degli edifici ancora superstiti, alle testimonianze scritte, alle
nuove tecniche edilizie, testimonia dei ritmi accelerati
dell’espansione del costruito e delle trasformazioni urbanistiche. La novità principale nelle tecniche costruttive è costituita in primo luogo, a partire dal XIII secolo,
DI GIACOMO 2013-2014.
WICKHAM 2013 e lo stesso autore in questo volume.
86
MONTELLI 2011.
629
dalla grande diffusione, accanto al persistere delle cortine in laterizi di reimpiego, delle murature in tufelli.
Queste possono essere considerate le prime cortine murarie, dopo il IV secolo, ad essere realizzate con materiali nuovi predisposti già in cava, secondo un modulo
standardizzato 87. Il volume del costruito è ancora più
impressionante se si annovera nel conto anche la costruzione di decine di casali (dotati di torri, recinti murari e domus), nel raggio di venti chilometri dalle mura
aureliane 88. Importante è anche il più netto impulso ad
una diversa connotazione dello spazio urbano. È, infatti,
in questo periodo che si accentua e si intensifica l’occupazione dell’area compresa nell’ansa del Tevere, con
un ‘compattamento’ dell’abitato. Quella che era l’area
centrale dei Fori è ora decisamente più marginale. Alle
indicazioni che derivano dalla distribuzione del costruito si aggiunge un dato di estremo interesse, valorizzato recentemente da F. Guidobaldi 89. Si data, infatti,
in molti casi con assoluta certezza, al XII secolo una
vasta operazione urbanistica consistente nel riporto di
strati di terreno (spesso ricchi di macerie) finalizzati ad
un innalzamento sistematico delle quote di calpestio ed
alla eliminazione di molti salti di quota, che dovevano
caratterizzare ancora i livelli percorribili nella città.
Nel campo delle ceramiche la principale novità è costituita dall’inizio della produzione della ‘ceramica laziale’
agli inizi del XIII secolo, che comporta l’introduzione di
nuove tecniche, di un nuovo gusto decorativo, nell’ambito di repertori funzionali, in un primo tempo, tradizionali.
Questi prodotti si connotano quindi come decisamente urbani, fabbricati in modo innovativo, con tecniche più complesse (come la doppia cottura) e materie prime di non
facile reperimento (come l’ossido di stagno). Nel complesso quindi la ‘ceramica laziale’ è un prodotto competitivo rispetto all’artigianato rurale. Tuttavia, l’ampiezza
della sua distribuzione al di fuori della città non è particolarmente significativa, specie se la paragoniamo con
altri prodotti coevi come la maiolica arcaica pisana e la
graffita arcaica tirrenica savonese, che raggiungevano un
numero notevole di siti nell’ambito dell’area tirrenica.
Ricordo, infine, come la riapertura della zecca a
Roma per iniziativa del senato cittadino alla fine del XII
secolo e l’aumentata circolazione monetaria rappresentino un dato altrettanto importante.
La distribuzione topografica degli indicatori di produzione, riferibili a tutto l’arco cronologico compreso
ESPOSITO 1998 EAD. in questo volume.
CAROCCI, VENDITTELLI 2004.
89
GUIDOBALDI 2014.
84
87
85
88
630
ALESSANDRA MOLINARI
tra l’XI ed il XV secolo, non consente di individuare
tendenze alla concentrazione in aree particolari della città
di attività artigianali specifiche, ma su questo può influire: la parzialità del dato a nostra disposizione (particolarmente lamentabile nel caso di Trastevere zona in
cui dovevano concentrarsi diversi tipi di artigiani); la
distorsione che può derivare dai maggiori disturbi moderni, che le stratigrafie bassomedievali possono presentare, ma anche un interesse attenuato degli archeologi
per queste fasi cronologiche. Difficile stabilire la scala
produttiva sulla base dei ritrovamenti noti (ad esempio
la fornace da vetro di piazza Venezia), sembrerebbe però
più diffusa la scala della piccola impresa artigiana. Inoltre, sembrerebbe più netta rispetto ai secoli V-VII la distinzione tra artigiani che lavoravano materiali diversi,
la qual cosa coincide con quanto risulta dalla documentazione scritta.
Per valutare le capacità produttive degli artigiani romani è quanto mai utile il confronto con alcune scoperte recenti fatte in città come Pisa o Parigi. Di Pisa
abbiamo già ricordato il successo della maiolica arcaica
anche fuori dall’area cittadina, gli scavi di emergenza
nel quartiere di Chinzica, a sud dell’Arno, hanno poi
portato alla luce una serie di officine di complessità impressionante 90. Questa zona della città si sviluppò particolarmente nel XIII secolo con l’ampia bonifica di aree
paludose. All’interno dell’area degli ex-laboratori Gentili, che avevano inglobato alcuni edifici medievali,
sono stati scavati i resti ben conservati di fornaci metallurgiche e vetrarie, la cui cronologia principale si colloca tra XIII e prima metà del XIV secolo, corredate di
decine di crogioli, di scorie, minerali ed in modo particolare di una serie di matrici, per la produzione seriale di fibbie ed altri piccoli oggetti per l’abbigliamento.
A dare un’idea piuttosto precisa delle potenzialità produttive di queste officine c’è il calcolo, fatto da F. Carrera, che ciascuna matrice ‘multipla’ poteva produrre
decine di fibbie ad ogni colata. Lo studio attento delle
matrici ha poi consentito di ipotizzare che alcune fibbie trovate, ad esempio, nel villaggio sardo di Geridu
o in alcuni dei castelli delle colline Metallifere in Maremma, potevano venire proprio da questa officina pisana. Sembra molto interessante allora il circuito
economico, che Pisa era in grado di mettere in atto in
questo periodo: controllo politico di alcune importanti
aree metallifere, nonché dell’estrazione e prima lavoCARRERA 2014-2015.
MILANESE 2007.
92
THOMAS, BOURGARIT, PERNOT 2007.
razione di metalli come il rame e l’argento (questo non
solo doveva alimentare la produzione monetaria, ma
anche le officine metallurgiche); lavorazione in città di
un numero enorme di oggetti molto correnti; vendita dei
prodotti in ambito urbano, ma anche nelle stesse aree
di estrazione dei minerali metallici. Sempre a Pisa nell’area di Chinzica, pochi anni or sono, è stata inoltre
scavata un’officina per la produzione in serie di campane 91, produzione che è sempre stata considerata tipica di maestranze itineranti. Lo scavo parigino di Rue
des Archives 92 ha portato alla luce un’officina, che lavorava il rame e le sue leghe, databile nella prima metà
del XIV secolo. Lo studio accurato, attraverso anche analisi archeometriche ed archeologia sperimentale, hanno
consentito di ricostruire l’organizzazione del lavoro e
le dinamiche della produzione, che gli autori della ricerca definiscono non di serie, ma di massa di oggetti
di poco valore. È stato ad esempio calcolato, che questo atelier poteva produrre, per difetto, oltre diecimila
placchette al mese. Inoltre, valutando spazi, resti di lavorazione, punti di lavoro è stato calcolato che l’officina non poteva essere a conduzione familiare, ma
doveva impiegare un numero elevato di addetti, con livelli diversi di specializzazione. Anche a Pisa nelle officine degli ex-laboratori Gentili a Chinzica, solo per la
lavorazione degli oggetti in lega di rame è stato calcolato che dovevano essere impiegate tra le sedici e le ventisei persone 93. Questi esempi, oltre a indicarci quale
potenziale per la storia della produzione artigiana ed in
generale dell’economia medievale possano avere studi
ben condotti, ci suggeriscono come a Roma, allo stato
attuale delle ricerche, non sembra esservi nessuna testimonianza materiale che permetta di ipotizzare l’esistenza di officine con questi livelli di output e di
organizzazione interna.
Per i secoli XIV e XV, per i quali la documentazione
notarile è molto più nutrita, possiamo segnalare in particolare l’espansione delle produzioni e dei consumi di
ceramiche di qualità, secondo metodi di produzione
sempre più standardizzati, attraverso il ricorso anche a
specimina 94 per l’esecuzione delle decorazioni. Nel
campo dell’edilizia se fonti scritte e materiali concordano nell’indicare un rallentamento notevole nelle attività costruttive, è possibile che anche in questo settore,
a seguito della forte contrazione demografica, sia aumentato il livello del comfort domestico, attraverso ad
90
91
93
94
CARRERA 2014-2015.
G. Rascaglia, J. Russo in questo volume.
LA PRODUZIONE ARTIGIANALE A ROMA TRA V E XV SECOLO
631
Non esistono e se sono esistite non sono durate a
lungo le città di nullafacenti, di parassiti e di soli consumatori 95. Certamente Roma non lo fu mai. Esistono,
tuttavia, molti modi nei quali può funzionare ed articolarsi la produzione artigiana e molti modi nei quali essa
contribuisce al funzionamento più generale dell’economia, come abbiamo visto a Roma nella lunga durata e
attraverso le sintesi comparative 96.
Il focus sulle attività produttive ha certamente contribuito a ripensare e ad articolare la lettura dei ritmi
economici, delle fasi di crisi, di stasi o di crescita. È
così ad esempio evidente come questi ritmi non coincidano necessariamente con quelli dell’architettura ufficiale, con le iniziative edilizie ed i donativi papali.
L’accumulo delle informazioni archeologiche sui consumi e le produzioni, su tutte le attività edilizie, sulla
circolazione monetaria ed anche il rinnovamento della
ricerca storica permettono di guardare diversamente da
quanto si faceva qualche decennio fa alla storia cittadina 97.
In termini molto generali possiamo dire che l’economia di Roma rimase sempre ‘urbana’, complessa,
non ‘ruralizzata’. Come ha tuttavia suggerito C. Wickham, poiché rimase a lungo forse più complessa della
maggior parte delle città italiane, il problema è piuttosto perché nel XIII secolo non decollò come fecero ad
esempio altri centri quali Pisa, Firenze, Milano. I ritmi
economici invece del mondo islamico, ma anche di
quello inglese sono ancora diversi. Entriamo tuttavia più
nel dettaglio. Si possono individuare senz’altro dei momenti in cui sono prevalse le discontinuità o meglio nelle
quali queste sono più evidenti: alla fine del VII secolo,
nel X secolo, agli inizi del XIII.
Non giova, a mio parere, alla comprensione delle trasformazioni della città antica una visione che la assimila alla Parigi di Haussmann, tanto che dal V secolo
tutto diventerebbe inesorabilmente più sporco e più degradato. Certamente Roma non poté non subire gli ef-
fetti delle trasformazioni socio-politiche e del calo drammatico della popolazione nei secoli VI e VII, tuttavia,
pur nella sua conformazione a ‘macchia di leopardo’,
non cessò di gravitare sull’area centrale, sul Foro, e di
essere gestita e governata in modo centralizzato. Nelle
trasformazioni delle attività produttive non si può affatto dire, tuttavia, che tutto fu controllato e diretto
dalle autorità pubbliche e neppure dagli enti religiosi.
Sembrerebbero essere attive una pluralità di forze e una
notevole complessità produttiva, nell’ambito di un’economia ancora in buona parte di scambio. Si può anzi
sottolineare la discreta importanza economica della produzione metallurgica, non relegata soltanto alle produzioni di lusso e forse con un mercato più ampio di
quello locale. Nonostante il ricorso amplissimo al reimpiego ed al riciclo, alcune materie prime come il vetro
ed alcuni metalli non cessarono di arrivare in città (come
arrivarono molte ceramiche di importazione). Sostanzialmente in nessun settore produttivo si può parlare di
semplificazione o di scomparsa di tecniche.
L’VIII secolo è veramente una fase di svolta, di trasformazioni profonde, di crisi e di riorganizzazione. Tra
VIII e IX secolo la popolazione toccò i suoi livelli più
bassi, pur rimanendo Roma una delle città più popolose
dell’Occidente cristiano. Si registrano molte interruzioni, semplificazioni, cambiamenti nel settore della
produzione e del consumo. Cessano quasi del tutto le
importazioni, si riduce enormemente l’uso della moneta,
i consumi di oggetti di vetro si riducono a tal punto da
essere quasi invisibili. Compaiono nuove tecniche (forse
sopite, forse reintrodotte) e nuovi gusti ad esempio nella
produzione della ceramica o in quella scultorea. Anche
nelle costruzioni di qualità le tecniche che vedono l’associazione di grossi blocchi di tufo per diversi filari, con
estese cortine laterizie sono piuttosto diverse dall’opera
listata che era prevalsa fino al VII secolo. Cambiano,
sicuramente dal IX secolo, le tipologie delle abitazioni.
Sotto il profilo del funzionamento economico ci sono
certamente molti cantieri, specialmente a partire dalla
seconda metà dell’VIII secolo e fino alla metà del IX,
in cui si cura soprattutto la decorazione interna. Tuttavia, i prodotti romani circolano poco, non sono seriali,
alcune produzioni possono essersi ruralizzate. Certamente è leggibile con nettezza lo straordinario sforzo
di riorganizzazione anche economica intrapresa dagli
95
Un’eccezione potrebbero forse essere le ‘città cerimoniali’, che
infatti non durarono mai a lungo.
96
In queste ultime pagine ho anche tenuto conto della discussione che si è tenuta nella tavola rotonda finale, alla quale hanno
partecipato: S. Carocci, P. Delogu, C. Wickham, J.C. Maire Vigueur,
R. Santangeli Valenzani, L. Spera e la sottoscritta.
97
Il bellissimo libro di Krautheimer (KRAUTHEIMER 1980) non
poté usufruire di questa massa enorme di dati.
esempio l’accorpamento di più unità immobiliari. Nessuna traccia infine di decentramento di attività produttive in ambito rurale, se non forse per il frequente
collocamento di gualchiere in aree sub-urbane.
***
632
ALESSANDRA MOLINARI
energici papi dell’età carolingia. L’economia però non
sembrerebbe funzionare sulla base delle forze del mercato, dello scambio e della marcata specializzazione produttiva, il primo motore sembrerebbe invece essere
costituito dalle risorse e dalle reti di scambio, che il papato e gli enti ecclesiastici furono in grado di mobilitare. La forma della città non dovette cambiare molto
dal secolo precedente, aumentarono forse però ulteriormente i vuoti.
Il tardo IX ed il X secolo sono ancora elusivi archeologicamente, ma si avvertono forse le tracce del
cambiamento, della riconversione. Non si costruirono
più grandi chiese e la produzione marmorea entrò in
crisi, ma la ceramica divenne molto più standardizzata;
nel X secolo comparirono nuove tecniche per la produzione del vetro, ma soprattutto si espansero le abitazioni private di diversa qualità e si invertì probabilmente
il trend demografico negativo. In campagna si notano
chiaramente i sintomi della riorganizzazione del controllo attraverso il fenomeno dell’incastellamento. Tuttavia, non sembra ancora che ci troviamo di fronte alla
ripresa vera e propria, ma ad una fase importante della
riorganizzazione economica e delle forze sociali e produttive. Non è la crescita e tanto meno il boom economico, ma si cominciarono a porre le basi per la ripresa.
I secoli XI-XII sono controversi. Se nella documentazione scritta appaiono chiaramente molti mestieri
specializzati, in alcuni casi localizzati in aree specifiche della città, ed è evidente il forte investimento soprattutto da parte dei monasteri nell’edilizia, tutto questo
non è ancora ben visibile archeologicamente (ad eccezione del numero crescente di calcare). Si attua però una
profonda ristrutturazione urbanistica con l’innalzamento
dei livelli ed il compattamento dell’abitato. Le produzioni ceramiche sono molto standardizzate, ma sono prevalentemente destinate al mercato locale e sono poco
competitive rispetto alle produzioni rurali.
È tra la fine del XII ed il XIII secolo che si avvertono i cambiamenti più forti: l’espansione impressionante e documentata materialmente del costruito,
l’affermazione del sistema costruttivo standardizzato
dei tufelli, la produzione della ceramica laziale, l’aumento consistente della circolazione monetaria. I mercatores hanno un peso importante.
Come abbiamo già ricordato, C. Wickham 98 ha sostenuto che nei secoli X-XII l’economia di Roma sarebbe stata più evoluta delle altre città italiane, ma non
98
99
WICKHAM 2013 e lo stesso studioso in questo volume.
C. Loveluck e C. Dyer in questo volume.
sarebbe decollata al pari di alcune di esse nel XIII secolo. Fino al XII secolo purtroppo la comparazione archeologica con altre città italiane non è decisiva, mentre
il sistema della produzione delle città inglesi sembrerebbe più evoluto forse già dall’ XI secolo, come anche
il prestigio sociale del quale sembrerebbero godere gli
artigiani 99. Il confronto con le officine di Pisa e Parigi
del XIII-XIV secolo e delle loro straordinarie capacità
produttive, ci dà invece il senso delle differenze profonde nella scala e nell’organizzazione produttiva. Riprendendo molte delle notazioni che J.C. Maire Vigueur
fa per il Trecento romano, sulla base della più ricca documentazione notarile, si possono forse fare alcune riflessioni per l’intero periodo compreso tra l’XI ed il XIV
secolo. Il mercato interno è sempre il riferimento prevalente e più importante per gli artigiani romani. Si tratta
di un mercato comunque molto esteso, anche quando i
papi sono assenti: aristocrazie con buon potere d’acquisto, popolazione relativamente numerosa, moltissimi
chierici, moltissimi pellegrini. Tuttavia, il relativo benessere degli artigiani (spesso posseggono almeno una
casa ed una vigna) non deriverebbe dal successo particolare dei loro prodotti, ma piuttosto dalla possibilità
(ben documentata nel Trecento) di dedicarsi anche ad
altre attività, specialmente nel settore agricolo. Questo
ci fa capire come il grado di specializzazione sia alto,
ma non altissimo. Inoltre, non ci fu un sistematico investimento di capitali (nella produzione come nella
commercializzazione extra-urbana) da parte di aristocrazie e mercatores. Questi ultimi, come ha dimostrato
M. Vendittelli 100, si dedicarono piuttosto al commercio
del denaro, ad operazioni di tipo finanziario e non produttivo, come diremmo oggi. Insomma, Roma fu una
città di artigiani operosi, ma non divenne mai una città
manifatturiera. Per questo, a mio parere, nel XIII secolo crebbe, ma non quanto e come altre città.
Dalla seconda metà del XIV secolo, dopo le grandi
pandemie, Roma era certamente meno popolata, ma
sembrerebbe che i consumi pro capite di oggetti ben
fabbricati siano aumentati. È il momento dei bovattieri,
nonché della maiolica arcaica per tutti! Ma a Roma e
nella campagna romana non c’è nessuna ‘ruralizzazione’ dell’industria, nessuna creazione di centri satelliti specializzati, nulla che assomigli al ‘distretto
industriale’ intorno a Milano o alla città dei vasai di Montelupo, vicino Firenze, che esportava le sue belle maioliche in tutto il mondo.
100
VENDITTELLI 1993.
LA PRODUZIONE ARTIGIANALE A ROMA TRA V E XV SECOLO
Bibliografia
ANDREAU 2001 = J. ANDREAU, Rome capitale de l’empire, la
vie économique, in Pallas, 55, 2001, pp. 303-317.
ANNIS 1992 = B. ANNIS, Analisi tecnologica di ceramica a
vetrina pesante e sparsa da San Sisto Vecchio in Roma,
in AMediev, XIX, 1992, pp. 123-178.
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001 = M.S. ARENA, P. DELOGU, L. PAROLI, M. RICCI, L. SAGUÌ, L. VENDITTELLI (a
cura di), Roma dall’antichità al medioevo. Archeologia e
storia nel Museo Nazionale Romano Crypta Balbi, Milano 2001.
BALLARDINI 2010 = A. BALLARDINI, Scultura a Roma: standards qualitativi e committenza (VIII secolo), in V. PACE,
L’VIII Secolo: un secolo inquieto. Atti del Convegno internazionale di studi (Cividale del Friuli, 4-7 dicembre
2008), Udine 2010, pp. 141-148.
BERNARD, BERNARDI, ESPOSITO 2008 = J.F. BERNARD, P. BERNARDI, D. ESPOSITO (a cura di), Il reimpiego in architettura: recupero, trasformazione, uso, Roma 2008
(Collection de l’École française de Rome, 418).
BOWMAN, WILSON 2009 = A. BOWMAN, A. WILSON (eds.),
Quantifying the Roman economy: methods and problems,
Oxford 2009.
BOWMAN, WILSON 2011 = A. BOWMAN, A. WILSON (eds.), Settlement, urbanization and population, Oxford 2011.
BURNOUF, BECK, BAILLY-MAÎTRE 2008 = J. BURNOUF, C. BECK,
M.C. BAILLY-MAÎTRE, Sociétés, milieux, ressources: un
nouveau paradigme pour les médiévistes, in Etre historien du Moyen Âge au XXIe siècle. Actes du 38e Congrès
de la Société des Historiens Médiévistes de l’Enseignement Supérieur Public, Paris 2008, pp. 95-132.
BROGIOLO 2011 = G.P. BROGIOLO, Le origini della città medievale, Mantova 2011.
CANTINO WATAGHIN 2010 = G. CANTINO WATAGHIN, Cantieri
monastici nell’alto medioevo in Italia settentrionale, in
M.C. SOMMA (a cura di), Cantieri e maestranze nell’Italia medievale. Atti del convegno di studio (Chieti-San
Salvo, 16-18 maggio 2008), Spoleto 2010, pp. 279-344.
CARANDINI 1981 = A. CARANDINI, Sviluppo e crisi delle manifatture rurali e urbane, in SRPS, II, pp. 249-260.
CAROCCI, VENDITTELLI 2001 = S. CAROCCI, M. VENDITTELLI,
Società ed economia (1050-1420), in VAUCHEZ 2001, pp.
71-116.
CAROCCI, VENDITTELLI 2004 = S. CAROCCI, M. VENDITTELLI,
Le origini della Campagna Romana. casali, castelli e villaggi nel XII e XIII secolo, Roma 2004.
CARRERA 2014-2015 = F. CARRERA, Gli scavi degli “Ex Laboratori Gentili” a Pisa e i manufatti in lega di rame, secoli XII-XIV. Organizzazione delle aree di lavorazione,
tecniche produttive e commerci, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Pisa, Scuola di dottorato in Discipline Umanistiche, Sezione Archeologia, 2014-2015.
CHRISTIE 1991 = N.J. CHRISTIE (ed.), Three South Etruria
Churches: Santa Cornelia, Santa Rufina, S. Liberato,
London 1991.
CLAUSSEN 2002 = P.C. CLAUSSEN, Marmo e splendore: architettura, arredi liturgici, spoliae, in M. ANDALORO, S.
ROMANO (a cura di), Arte e iconografia a Roma. Dal Tardoantico alla fine del Medioevo, Milano 2002, pp. 151174.
COATES-STEPHENS 1997 = R. COATES-STEPHENS, Dark Age architecture in Rome, in BSR, 65, 1997, pp. 177-232.
633
COATES-STEPHENS 2006 = R. COATES-STEPHENS, La committenza edilizia bizantina a Roma dopo la riconquista, in
A. AUGENTI (a cura di), Le città italiane tra la tarda antichità e l’alto Medioevo. Atti del convegno (Ravenna, 2628 febbraio 2004), Firenze 2006, pp. 299-316.
COSTIN 2005 = C.L. COSTIN, Craft production, in H. MASCHNER (ed.), Handbook of Methods in Archaeology, New
York 2005, pp. 1032-1105.
DEGRASSI 1996 = D. DEGRASSI, L’economia artigiana nell’Italia Medievale, Roma 1996.
DELOGU 2010 = P. DELOGU, Le origini del medioevo. Studi
sul settimo secolo, Roma 2010.
DI GIACOMO 2013-2014 = G. DI GIACOMO, Le attestazioni
epigrafiche del lavoro privato a Roma. Produttori e commercianti di preziosi, Tesi di Dottorato di ricerca in Studi
Umanistici. Indirizzo antichità classiche e loro fortuna. Archeologia, filologia e storia, Università di Roma ‘Tor Vergata’, 2013-2014.
ESPOSITO 1998 = D. ESPOSITO, Tecniche costruttive murarie
medievali: murature “a tufelli” in area romana, Roma
1998.
FOY 2001 = D. FOY, Les déterminants de l’artisanat du verre:
les matières premières et l’implication des communautés,
des marchands et des seigneurs, in M. MOUSNIER (ed.),
L’artisan au village dans l’Europe médiévale et moderne,
Toulouse 2001, pp. 169-186.
GIANNICHEDDA 2014 = E. GIANNICHEDDA, Archeologia della
produzione, in S. GELICHI (a cura di), Quarant’anni di Archeologia Medievale in Italia. La rivista, i temi, la teoria e i metodi, in AMediev, numero speciale, 2014, pp.
75-94.
GUIDOBALDI 2014 = F. GUIDOBALDI, Un estesissimo intervento
urbanistico nella Roma dell’inizio del XII secolo e la
parziale perdita della “ memoria topografica “ della città
antica, in MEFRM, 126, 2, 2014.
HENNING 2007 = J. HENNING, Early European towns: The way
of the economy in the Frankish area between dynamism
and deceleration 500-1000 AD, in J. HENNING (ed.), PostRoman towns, trade and settlement in Europe and Byzantium, I, Berlin 2007, pp. 3-40.
HODGES, LEPPARD, MITCHELL 2011 = R. HODGES, S. LEPPARD,
J. MITCHELL, San Vincenzo Maggiore and its workshops,
Roma 2011.
HUBERT 1990 = É. HUBERT, Espace urbain et habitat à Rome:
du X siècle à la fin du XIII siècle, Roma 1990.
KENNEDY 1985 = H. KENNEDY, From Polis to Madina: urban
change in late Antique and Early Islamic Syria, in Past
and Present, 106, 1985, pp. 3-27.
KRAUTHEIMER 1980 = R. KRAUTHEIMER, Rome, profile of a
city: 312-1308, Princeton 1980 (trad. it. Roma 1981).
LAVAN, ZANINI, SARANTIS 2007 = L. LAVAN, E. ZANINI, A. SARANTIS (eds.), Technology in transition: A.D. 300-650, Leiden 2007.
Magistri commacini 2009 = AA.VV., I Magistri commacini:
mito e realtà del Medioevo lombardo. Atti del XIX Congresso internazionale di studio sull’alto Medioevo (Varese-Como, 23-25 ottobre 2008), Spoleto 2009.
MAIRE VIGUEUR 2011 = J.-C. MAIRE VIGUEUR, L’altra Roma.
Una storia dei romani all’epoca dei comuni (secoli XIIXIV), Torino 2011.
MANACORDA, MARAZZI, ZANINI 1994 = D. MANACORDA, F.
MARAZZI, E. ZANINI, Sul paesaggio urbano di Roma nell’Alto Medioevo, in R. FRANCOVICH, G. GHISLAINE NOYÉ
634
ALESSANDRA MOLINARI
(a cura di), La storia dell’alto medioevo italiano (VI-X
secolo) alla luce dell’archeologia. Atti del Convegno internazionale (Siena, 2-6 dicembre 1992), Firenze 1994,
pp. 635-657.
MANNONI, GIANNICHEDDA 1996 = T. MANNONI, E. GIANNICHEDDA, Archeologia della produzione, Torino 1996.
MARAZZI 1991 = F. MARAZZI, Il conflitto fra Leone III Isaurico e il Papato fra il 725 e il 733, e il “definitivo” inizio del medioevo a Roma: un’ipotesi in discussione, in
BSR, 59, 1991, pp. 231-257.
MARAZZI 1993 = F. MARAZZI, Roma, il Lazio, il Mediterraneo: relazioni fra economia e politica (VII-IX secolo), in
PAROLI, DELOGU 1993, pp. 267-285.
MARAZZI 2001 = F. MARAZZI, Aristocrazia e società (secoli
VI-XI), in VAUCHEZ 2001, pp. 41-70.
MARAZZI 2015 = F. MARAZZI, I luoghi della produzione artigianale nei monasteri altomedievali europei. Un excursus sulla base delle fonti scritte e archeologiche, in PANI
ERMINI 2015, pp. 231-266.
MARTORELLI 1999 = R. MARTORELLI, Riflessioni sulle attività
produttive nell’età tardoantica ed altomedievale: esiste un
artigianato “ecclesiastico”? in RACr, 75, 1999, pp. 571596.
MCCORMICK 2002 = M. MCCORMICK, Origins of the European economy: Communications and commerce, A.D.
300-900, Cambridge 2002.
MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004 = R. MENEGHINI,
R. SANTANGELI VALENZANI, Roma nell’Altomedioevo: topografia e urbanistica della città dal V al X secolo, Roma
2004.
MITCHELL, HODGES, LEPPARD et alii 2010 = J. MITCHELL, R.
HODGES, S. LEPPARD, A. SEBASTIANI, Le officine di San Vincenzo al Volturno: fasi di produzione e dinamiche di un
monastero di IX secolo, in A. C. QUINTAVALLE, Medioevo:
le officine. Atti del Convegno internazionale di studi
(Parma, 22-27 settembre 2009), Milano 2010, pp. 105-117.
MILANESE 2007 = M. MILANESE, Fornaci e tracce della produzione delle campane nella Toscana settentrionale, in F.
REDI, G. PETRELLA, Dal fuoco all’aria. Tecniche, significati e prassi nell’uso delle campane, Ospedaletto 2007,
pp. 181-196.
MOLINARI 2010 = A. MOLINARI, Siti rurali e poteri signorili
nel Lazio (secoli X-XIII), in AMediev, XXXVII, 2010, pp.
129-142.
MOLINARI 2014a = A. MOLINARI, Archeologia medievale e storia economica, in S. GELICHI (a cura di), Quarant’anni di
Archeologia Medievale in Italia. La rivista, i temi, la teoria e i metodi, in AMediev, numero speciale, 2014, pp. 95110.
MOLINARI 2014b = A. MOLINARI, Gli scavi al n. 62 di piazza
Navona tra ‘microstorie’ e ‘grandi narrazioni’ (secoli VXV), in J.F. BERNARD (a cura di), Piazza Navona, ou Place
Navone, la plus belle & la plus grande, Roma 2014, pp.
263-274.
MOLINARI, GIANNINI 2014 = A. MOLINARI, N. GIANNINI, Un
archivio digitale dell’edilizia civile medievale di Roma, in
E. DE MINICIS (a cura di), Case e torri medievali IV. Indagini sui centri dell’Italia meridionale ed insulare (sec.
XI-XV), Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e
Sardegna. Atti del V Convegno Nazionale di Studi (Orte,
15-16 marzo 2013), Roma 2014, pp. 334-340.
MONTELLI 2011 = E. MONTELLI, Tecniche costruttive murarie
medievali: mattoni e laterizi in Roma e nel Lazio fra X e
XV secolo, Roma 2011.
MOREL 1987 = J.-P. MOREL, La topographie de l’artisanat et
du commerce dans la Rome antique, in L’Urbs. Espace
urbain et histoire. Ier siècle av. J.C.-IIIe siècle ap. J.C. Actes
du colloque international (Rome, 8-12 mai 1985), Roma
1987, pp. 127-155.
MUNRO 2012 = B. MUNRO, Recycling, demand for materials,
and landownership at villas in Italy and the western provinces in late antiquity, in JRA, 25, 1, 2012, pp. 351-370.
NOBLE 2000 = T.F.X. NOBLE, Paradoxes and possibilities in
the sources for Roman society in the early Middle Ages,
in J.M.H. SMITH, Early medieval Rome and the Christian
West: Essays in honour of Donald A. Bullough, Leiden
2000, pp. 55-83.
PANI ERMINI 2015 = L. PANI ERMINI (a cura di), Teoria e pratica del lavoro nel monachesimo altomedievale. Atti del
Convegno internazionale di studio (Roma-Subiaco, 7-9 giugno 2013), Spoleto 2015 (De Re Monastica, IV).
PAROLI 2001 = L. PAROLI, La scultura a Roma tra il VI e il
IX secolo, in ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, pp. 132143.
PAROLI, DELOGU 1993 = L. PAROLI, P. DELOGU (a cura di), La
storia economica di Roma nell’alto medioevo alla luce dei
recenti scavi archeologici. Atti del seminario (Roma, 2-3
aprile 1992), Firenze 1993, pp. 267-285.
PAROLI, CITTER, PELLECUER et alii 1996 = L. PAROLI, C. CITTER, C. PELLECUER, J.M PENÉ, Commerci nel Mediterraneo occidentale nell’Alto Medioevo, in G.P. BROGIOLO
(ed.), Early Medieval towns in the Western Mediterranean,
Mantova 1996, pp. 121-142.
PAROLI, VENDITTELLI 2004 = L. PAROLI, L. VENDITTELLI (a cura
di), Roma dall’antichità al medioevo. 2. Contesti tardoantichi e altomedievali, Milano 2004.
PATTERSON 2010 = H. PATTERSON, Rural settlement and economy in the middle Tiber Valley: AD 300-1000, in AMediev, XXXVII, 2010, pp. 143-162
PATTERSON, ROVELLI 2004 = H. PATTERSON, A. ROVELLI, Ceramics and Coins in the Middle Tiber Valley from the Fifth
to the Tenth Centuries AD, in H. PATTERSON (ed.), Bridging the Tiber. Approaches to Regional Archaeology in the
Middle Tiber Valley, Roma 2004, pp. 269-284.
PEACOCK 1997 = D.P.S. PEACOCK, La ceramica romana tra
archeologia ed etnografia, Bari 1997 (ed. or. London
1982).
PRIGENT 2004 = V. PRIGENT, Les empereurs isauriens et la confiscation des patrimoines pontificaux d’Italie du Sud, in
MEFRM 116, 2004, pp. 557-594.
Roma nell’alto medioevo = AA. VV., Roma nell’alto medioevo, in Settimane di Studi del Centro Italiano di Studi
sull’Alto Medioevo, 48, Spoleto 2001.
ROMEI 2004 = D. ROMEI, Produzione e circolazione dei manufatti ceramici a Roma nell’alto medioevo, in PAROLI,
VENDITTELLI 2004, pp. 278-311.
ROVELLI 2000 = A. ROVELLI, Monetary circulation in Byzantine and Carolingian Rome: a reconsideration in the light
of recent archaeological dat, in J.M.H. SMITH, Early medieval Rome and the Christian West: Essays in honour of
Donald A. Bullough, Leiden 2000, pp. 85-99.
ROVELLI 2009 = A. ROVELLI, Coins and trade in early medieval Italy, in Early medieval Europe, 17, 2009, pp. 4576.
ROVELLI 2010 = A. ROVELLI, Nuove zecche e circolazione mo-
LA PRODUZIONE ARTIGIANALE A ROMA TRA V E XV SECOLO
netaria tra X e XIII secolo: l’esempio del Lazio e della
Toscana, in AMediev, XXXVII, 2010, pp. 163-170.
SAGUÌ 1986 = L. SAGUÌ, Crypta Balbi (Roma): lo scavo nell’esedra del monumento Romano. Seconda relazione preliminare, in AMediev, XIII, 1986, pp. 345-355.
SAGUÌ 1998 = L. SAGUÌ (a cura di), La ceramica in Italia: VIVII secolo. Atti del convegno in onore di John W. Hayes
(Roma, 11-13 maggio 1995), Firenze 1998.
SAGUÌ 2002 = L. SAGUÌ, Roma, i centri privilegiati e la lunga
durata della tarda antichità. Dati archeologici dal deposito di VII secolo nell’esedra della Crypta Balbi, in AMediev, XXIX, 2002, pp. 7-43.
SAMI 2005 = D. SAMI, La ceramica di Pantelleria. Inquadramento tipologico e primi dati quantitativi dallo scavo
subacqueo al porto di Scauri, in AMediev, XXXII, 2005,
pp. 401-408.
SANTANGELI VALENZANI 2002 = R. SANTANGELI VALENZANI, Il
cantiere altomedievale. Competenze tecniche, organizzazione del lavoro e struttura sociale, in RM, 109, 2002, pp.
419-426.
SCHEIDEL, MORRIS, SALLER 2007 = W. SCHEIDEL, I. MORRIS,
R.P. SALLER (edS.), The Cambridge Economic History of
the Greco-Roman World, Cambridge 2007.
SPERA, ESPOSITO, 2011 = L. SPERA, D. ESPOSITO, Costruire a
Roma nel Medioevo: evidenze di cantiere a San Paolo fuori
le mura, in AArchit, XVI, 2011, pp. 19-33.
SRPS = A. GIARDINA, A. SCHIAVONE (a cura di), Società Romana e Produzione Schiavistica, I-III, Roma-Bari 1981.
THOMAS, BOURGARIT, PERNOT 2007 = N. THOMAS, D. BOUR-
635
M. PERNOT, Un atelier de bronziers parisiens au
XIVe siècle: fabrication de masse d’objets du quotidien,
in S. MAX-COLINART (ed.), Actes du colloque Science des
matériaux du patrimoine culturel (6-7 décembre 2007),
Hors série Techne 2008, pp. 36-42.
TOUBERT 1973 = P. TOUBERT, Les structures du Latium médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du IXe siècle à
la fin du XIIe siècle, Paris 1973.
VAUCHEZ 2001 = A. VAUCHEZ (a cura di), Roma medievale,
Roma 2001.
VENDITTELLI 1993 = M. VENDITTELLI, Mercanti romani del
primo Duecento “in Urbe potentes”, in H. HUBERT (a cura
di), Rome aux XIIIe et XIVe siècles, Roma 1993, pp. 87135.
WICKHAM 2006 = C. WICKHAM, Nobiltà romana e nobiltà italiana prima del mille: parallelismi e contrasti, in S. CAROCCI (a cura di), La nobiltà romana nel medioevo, Roma
2006, pp. 5-14.
WICKHAM 2009a = C. WICKHAM, La società dell’alto Medioevo: Europa e Mediterraneo, secoli V-VIII, Roma 2009
(ed. or. Oxford 2005).
WICKHAM 2009b = C. WICKHAM, Bounding the city: concepts
of urban-rural difference in the West in the early middle
ages, in A. CASTAGNETTI (a cura di), Città e campagna nei
secoli altomedievali. Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo Spoleto (Spoleto, 27
marzo-1 aprile 2008), Spoleto 2009, pp. 61-80.
WICKHAM 2013 = C. WICKHAM, Roma medievale. Crisi e stabilità di una città 900-1150, Roma 2013.
GARIT,