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Vite di esuli

VIAGGIATORI CIRCOLAZIONI SCAMBI ED ESILIO 2 Vite di esuli. Percorsi artistici, politici e professionali tra Cinquecento e Novecento A cura di Fabio D’Angelo Prefazione di Niccolò Guasti

No 2 Circolazioni scambi ed esilio. ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532-7364 (stampa) Fabio D’Angelo è borsista post-dottorato presso la Scuola superiore di studi Storici dell’Università della Repubblica di san Marino. Collabora alla cattedra di storia moderna e contemporanea presso l’Università degli studi di Napoli suor Orsola Benincasa. Le sue ricerche vertono sulla storia del viaggio tra Sette e Ottocento, delle relazioni scientifiche tra il regno di Napoli e alcune paesi europei. Si interessa inoltre al rapporto tra esilio politico e innovazione tecnico-scientifica. No 2 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio. ISSN 2532-7623 (online) ISSN 2532-7364 (stampa) Vite di esuli Percorsi artistici, politici e professionali dal Cinquecento al Novecento a cura di Fabio D’Angelo prefazione di Niccolò Guasti Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio. ISSN 2532-7623 (online) ISSN 2532-7364 (stampa) VIAGGIATORI. CIRCOLAZIONI SCAMBI ED ESILIO www.viaggiatorijournal.com Direttore della rivista: Fabio D’Angelo direzione@viaggiatorijournal.com Vicedirettore: Pierre-Marie Delpu pmdelpu@orange.fr Segreteria di redazione: Luisa Auzino segreteriaredazione@viaggiatorijournal.com Luogo di pubblicazione: Napoli, Via Nazionale 33, 80143 Periodicità: semestrale (settembre/marzo) ___________________________ Direttore della pubblicazione/Editore: Fabio D’Angelo ISSN 2532-7623 (online) ISSN 2532-7364 (stampa) Pubblicazione: Anno 1, Numero 2, 1° marzo 2018 Deposito legale:____________________________ ___________________________ Comitato scientifico: Mateos Abdon, Anne-Laure Amilhat Szary, Sarah Badcock, Laura Barletta, Pierre-Yves Beaurepaire Gilles Bertrand, Agostino Bistarelli, Hélène Blais, Jean Boutier Alfredo Buccaro, Catherine Brice, François Brizay, Eugenio Burgio, Albrecht Burkardt, Santi Fedele, Rivka Feldhay, Marco Fincardi, Vittoria Fiorelli, Myriam Houssay-Holzschuch, Mario Infelise, Maurizio Isabella, Phyllis Lassner, Brunello Mantelli Luigi Mascilli Migliorini, Rita Mazzei, Giuliano Milani Rolando Minuti, Sarga Moussa, Daria Perocco, Dhruv Raina Sandra Rebok, Isabelle Sacareau, Lorenzo Scillitani Mikhail Talalay, Franca Tamisari, Anna Tylusińska-Kowalska Ezio Vaccari, Sylvain Venayre, Éric Vial Comitato di lettura: Irini Apostolou, Étienne Bourdeu, Andrea Candela, Rosa Maria Delli Quadri, Alejandrina Falcón, Roberto Ferreira García, Thomas Haddad, Peter Konečný, Ildikó Kristóf Gilles Montègre, Khyati Nagar, Christophe Poupault, Pierrick Pourchasse, Gabriele Proglio, Frédéric Sallée, Duran Saltuk Romy Sanchez, Luis Teixeira, Helge Wendt Comitato di redazione: Marco Bernardi, Marco Bettassa Marianna Calabretta, Alessia Castagnino, Antonio D’Onofrio Angela Falcetta, Giuseppe Greco, Matthieu Magne, Alessandra Orlandini Carcreff, Elisabetta Serafini La rivista è a libera consultazione sul sito www.viaggiatorijournal.com. 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Naissance bellifontaine d’un sculpeteur toscan: Benvenuto Cellini di Véronique Mérieux p. 64 Una famiglia di esuli: i Gicca nel Regno di Napoli di Antonio D’Onofrio p. 110 Tracce per un’estetica dell’esilio in Jacques-Louis David di Laura Fanti p. 136 «L’aratro e la spada». Gli esuli italiani oltre la frontiera argentina, 1855-1859 di Alessandro Bonvini p. 195 Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef: deux exils en effet de miroir dans l’Empire colonial français di Frédéric Garan p. 242 Accueillir les réfugiés ardennais à Paris entre 1914 et 1918 di Nicolas Charles p. 315 Robert Fano e il coraggio di vivere il “non luogo” di Benedetta Campanile p. 353 Una storia di accoglienza e solidarietà: il caso degli esuli argentini in Italia negli anni Settanta e Ottanta di Giulia Calderoni p. 387 De l’immigration clandestine à l’exil improvisé. Une esthétisation du rêve hypothéqué dans Le paradis du Nord de Jean-Roger Essomba di Pierre Suzanne Eyenga Onana p. 429 Varia Estancia e imagen de Portugal, según el viajero alemán - Jerónimo Münzer - en su periplo por la Península Ibérica (14941495). El caso de Lisboa di Alice Tavares p. 461 Nell’andare e venire per fuori Napoli, per le fiere, e piazze di questo Regno: produzione e circolazione di ori e argenti nel Regno di Napoli nel XVIII secolo di Diego Davide p. 493 Le ticket d’autobus à Paris : la marginalisation inaboutie d’un objet pratique et gênant di Arnaud Passalacqua p. 517 Fonti Per curare la mente e il corpo, per conoscere. Il viaggio a Venezia di Giosuè Sangiovanni (1818) di Fabio D’Angelo p. 551 Recensioni L. Fournier Finocchiaro, Les exilés politiques espagnoles, italiens et portugais en France au XIXe siècle: questions et perspectives, Paris, L’Harmattan, 2017 di Pierre-Marie Delpu p. 696 O. Dard, La révolution culturelle en Chine et en France, Paris, Riveneuve, 2017 di Paola Paderni p. 699 Prefazione 1 Prefazione Il primo esilio spagnolo del Settecento: gli austracistas1 di Niccolò GUASTI Università degli studi di Foggia DOI 10.26337/2532-7623/GUASTI Riassunto: La storia spagnola è da sempre caratterizzata da un gran numero di esili dovuti a cause politiche. L’emigrazione dei sostenitori degli Asburgo durante la Guerra di Successione spagnola, i cosiddetti austracistas, fu una delle più consistenti: dal 1705 in poi decisero di abbandonare la Spagna circa 30.000 esuli. Nonostante le difficoltà iniziali, questa comunità di spagnoli riuscì a integrarsi all’interno della monarchia asburgica grazie al decisivo sostegno finanziario fornito loro dai territori italiani allora passati sotto il controllo di Carlo VI. La sopravvivenza di una memoria collettiva degli austracistas fu comunque possibile grazie allo sviluppo di alcune strategie culturali, politiche e sociali. Come ogni emigrazione, anche quella degli spagnoli che avevano parteggiato per Carlo d’Asburgo finì per arricchire la patria adottiva. Abstract: Spanish History, during Early Modern and Modern ages, is marked with a great number of political exiles. From 1705, the so called austracistas, that is the supporters of the Habsburg cause during the Spanish War of Succession, were compelled to emigrate: it was one of the most important exiles in Spanish History, since almost 30.000 refugees left Spain. Though they had to face some troubles, the austracistas succeeded to integrate themselves within the Habsburg Monarchy thanks to the decisive economic help received 1 Questo saggio si inserisce nell’ambito del progetto di ricerca spagnolo La redefinición del Espacio europeo y mediterráneo en el siglo XVIII. Política, diplomacia y conflictos (num. HAR2015-65987-P), coordinato dalla prof.ssa Virginia León Sanz dell’Università Complutense di Madrid. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 2 Prefazione from the Italian territories Charles VI gained. However the emergence of a common austracista identity dipended on some cultural, political and social strategies they carried out. As every single exile, also Spanish austracista diaspora made rich the adopted country. Keywords: Exile, Political dissidents, Wars of Succession Sommario: Introduzione – L’esilio austracista: la cronologia – Gli esiliati austracistas: tra sopravvivenza, controllo politico e integrazione – Stato, patria e identità nell’esilio austracista – Conclusione Introduzione Una delle costanti più macroscopiche della storia spagnola tra l’età moderna e quella contemporanea è indubbiamente la continua presenza di emigrazioni dovute a cause politiche. È stato infatti calcolato che dal 1492 fino alla Guerra Civile del 1936-1939 la Spagna abbia conosciuto almeno quattordici grandi esodi politici, tra i quali quelli cui furono oggetto gli ebrei, i moriscos, gli austracistas, i gesuiti (espulsi, tra il 1767 e il 1936, in ben cinque occasioni), gli afrancesados e gli ilustrados, i liberali (di più orientamenti e in più momenti dell’Ottocento), i carlisti, i repubblicani (tra l’ultimo venticinquennio dell’Ottocento e l’avvento del regime franchista)2. Per certi versi, come ha sottolineato Clara E. Lida, la storia iberica si configura come una «larga historia de destierros» e quindi può essere interpretata, nel suo complesso, come una successione di 2 Tale calcolo, elaborato da Gregorio Marañón nel suo Españoles fuera de España (Buenos Aires, Espasa-Calpe 1947), potrebbe essere ulteriormente aumentato: si pensi, ad esempio, all’esilio dei filo-borbonici dall’Italia (e, tra il 1705 e il 1713, dalle zone spagnole controllate dall’esercito asburgico) a seguito della Guerra di Successione spagnola. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 3 esili3. Detto in altri termini, «el pasado español resultaría incomprensibile sin prestar atención al fenómeno de las emigraciones políticas»4. Una tesi, questa, che ha trovato un’evidente e dolorosa conferma anche nella recente storia spagnola: più che all’auto-esilio che l’ex presidente della Generalitat de Catalunya, Carles Puigdemont, si è auto-imposto dopo la sua deposizione nell’ottobre 2017, penso piuttosto ai tanti intellettuali e politici baschi che, fino alla tregua del 2011 e all’addio alle armi sancito l’8 aprile 2017, sono stati costretti ad emigrare all’estero per sfuggire alle intimidazioni e alla violenza omicida dell’ETA. Ha quindi ragione José Luis Abellán, uno dei maggiori esperti iberici del fenomeno, ad affermare che La reiteración de exilios es una constante de la historia de España desde el momento mismo en que se constituye el Estado moderno con la unión de Fernando de Aragón e Isabel de Castilla en 1469, produciéndose al poco tiempo – 1492 – la expulsión de los judíos. El fenómeno se repite después en los siglos XVI, XVII, XVIII, XIX y XX, sin que haya ninguna excepción5. Partendo da tale affermazione, Abellán individua l’origine della ripetizione di esili di natura politica in una causa «strutturale» di tipo «costituzionale» dell’identità nazionale spagnola, ossia nell’identificazione tra «la unidad política con la unidad religiosa, puesto que el Estado moderno se constituye en España sobre la base del catolicismo»6. In altri termini, la lunga serie di espulsioni ed emigrazioni che dal 1492 in poi costella la storia 3 C. E. LIDA, Inmigración y exilio. Reflexiones sobre el caso español, México, Siglo Veintiuno, 1997. 4 J. CANAL, Los exilios en la historia de España, in ID. (ed.), Exilios. Los éxodos políticos en la Historia de España. Siglos XV-XX, Madrid, Sílex, 2007, pp. 11-35, spec. p. 14. 5 J. L. ABELLÁN, El exilio como constante y como categoría, Madrid, Biblioteca Nueva, 2001, p. 17. 6 Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 4 Prefazione iberica scaturirebbe dalle radici cattoliche della «nacionalidad española», come conferma il fatto che tutte le minoranze religiose (ebrei, alumbrados, erasmisti, protestanti e moriscos) furono le prime ad essere oggetto di misure d’espulsione7. A ben vedere i due elementi basilari di questa interpretazione – da una parte il nesso esistente tra gli esili e la formazione dello Stato moderno, dall’altra il carattere intollerante di un’identità nazionale fondata su una fede intransigente – erano già emersi nella cultura storiografica spagnola nella prima metà del Novecento grazie alle opere di Carles Rahola e Gregorio Marañón, per essere poi ulteriormente sviluppati dalle ricerche di due esuli antifranchisti, Ferran Soldevila e Vicente Llorens8. Tale cornice interpretativa ha trovato la propria consacrazione in un’importante opera collettiva, curata dallo stesso Abellán, apparsa tra la scomparsa di Franco e l’entrata in vigore della costituzione democratica, El exilio español de 19399. Vale la pena soffermare l’attenzione sulla tesi espressa da Abellán. Essa non è priva di fascino per la sua capacità di spiegare alcuni dei più rilevanti episodi di emigrazioni/espulsioni/diaspore/deportazioni dovute a ragioni politico-religiose; 7 Ivi, p. 18. Su questi autori si veda CANAL, Los exilios, pp. 14-33. Negli ultimi venti anni circa sono apparsi vari volumi collettivi dedicati agli esili spagnoli tra età moderna e contemporanea. Oltre al libro curato da Canal già citato, mi limito a ricordare A. MESTRE SANCHÍS, E. GIMÉNEZ LÓPEZ (eds.), Disidencias y exilios en la España moderna, Alicante, Universidad de Alicante, 1997; E. LEMUS (ed.), Los exilios en la España contemporánea, n. mon. di «Ayer», 47 (2002); J.B. VILAR (ed.), La España del exilio. Las emigraciones políticas españolas en los siglos XIX y XX, Madrid, Síntesis, 2006 (2a ed. 2012). 9 J.L. ABELLÁN (ed.), El exilio español de 1939, 6 voll., Madrid, Taurus, 1976-1978. Il primo volume, eleborato da uno dei maggiori intellettuali antifranchisti vissuti in esilio, Vicent Llorens, contiene una sintesi storica degli esili spagnoli tra l’età moderna e quella contemporanea dal titolo Emigaciones de la España moderna, ivi, pp. 95-200. 8 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 5 d’altra parte è innegabile che la politica dei monarchi spagnoli, almeno nella prima età moderna, seguisse criteri confessionali tipici della mentalità e della cultura del periodo. Detto questo, mi sembra però che l’interpretazione generale proposta dallo storico iberico contenga anche alcuni aspetti problematici e rischi di generare non pochi fraintendimenti. In primo luogo l’elemento religioso, e cioè il nesso esistente tra il cattolicesimo e la formazione della “nazione” spagnola, non spiega tutti gli esili di natura politica verificatisi in Spagna tra l’età moderna e quella contemporanea, a cominciare da quelli avvenuti durante il XVIII secolo: i sostenitori dell’arciduca Carlo d’Asburgo non furono certo esiliati da Filippo V di Borbone per ragioni legate alla fede o perché rinnegarono le matrici religiose della loro identità politica10, né i gesuiti, per quanto ecclesiastici, vennero espulsi nel 1767 per ragioni d’eterodossia (sebbene la propaganda antigesuitica insistesse sulle tante devianze della loro teologia o della loro politica religiosa). Secondariamente l’interpretazione di Abellán, se ipostatizzata, rischia indirettamente di avallare alcuni luoghi comuni persistenti circa la storia e la stessa identità spagnola: l’identificazione della Spagna con l’intolleranza religiosa simboleggiata dall’Inquisizione è, infatti, uno dei topoi più potenti della cosiddetta leyenda negra antispagnola e, parallelamente, del paradigma delle “due Spagne” (la prima clericale, imperialista, antimoderna, la seconda laica, liberale, moderna) irrimediabilmente 10 Nonostante tutto, occorre ricordare che la Guerra di Successione spagnola è stata considerata l’ultima guerra di religione europea poiché la fede venne utilizzata dai due bandi, in particolare dai filo-borbonici, come una potente arma ideologica e retorica: cfr. al riguardo J.-P. AMALRIC, La elección de un bando: hugonotes y jacobitas en la Guerra de Sucesión de España, in «Manuscrits», 19 (2001), pp. 59-79; D. GONZÁLEZ CRUZ, Guerra de religión entre príncipes católicos: el discurso del cambio dinástico en España y América (1700-1714), Madrid, Ministero de la Defensa, 2002. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 6 Prefazione in lotta tra loro11. Fin dal XVI secolo, dapprima gli “apologeti” della Spagna e, successivamente, i pensatori conservatori e nazionalisti iberici (si pensi a Marcelino Menéndez y Pelayo) hanno orgogliosamente rivendicato come fondante dell’hispanidad proprio quell’elemento – la perfetta compenetrazione tra cattolicesimo e nazione spagnola – che i detrattori e gli oppositori dello Stato spagnolo (fossero essi stranieri o meno) contestavano o condannavano12. Il fatto poi che la propaganda franchista abbia recuperato e adottato tale paradigma, non ha certo contribuito al suo superamento: ancora oggi, anche a causa del riemergere degli egoismi nazionali, gli studiosi che si occupano della nascita del concetto e del discorso retorico della nazione spagnola fanno fatica a non schierarsi e a non sottoscrivere uno dei due punti di vista. Di per sé tale slittamento della riflessione 11 Il tema, attualmente oggetto di un intenso dibattito pubblico dai toni sempre più ideologici, sta conoscendo una rinnovata fortuna storiografica in Spagna e Sudamerica. Oltre al classico lavoro di R. GARCÍA CÁRCEL, La leyenda negra. Historia y opinión, Madrid, Alianza, 1992, mi limito a citare R. D. CARBIA, Historia de la leyenda negra hispano-americana, Madrid, Marcial Pons, 2004; N. SORIANO MUÑOZ, Bartolomé de Las Casas, un español contra España, Valencia, Intistució Alfons el Magnànim, 2015; Y. RODRÍGUEZ PÉREZ, A. SÁNCHEZ JIMÉNEZ, H. DEN BOER (eds.), España ante sus críticos: las claves de la Leyenda Negra, Madrid-Frankfurt am Main, IberoamericanaVervuert, 2015; M.J. VILLAVERDE RICO, F. CASTILLA URBANO (eds.), La sombra de la leyenda negra, Madrid, Tecnos, 2016. 12 Antonio Mestre e Francisco Sánchez Blanco, pur adottando prospettive diverse, hanno dimostrato come il momento di svolta nella formazione dei due paradigmi, quello della leyenda negra e della leyenda rosada legati alla storia della Spagna, debba essere individuato nel ‘700 grazie all’Illuminismo: A. MESTRE SANCHÍS, Apología y crítica de España en el siglo XVIII, Madrid, Marcial Pons, 2003; F. SÁNCHEZ-BLANCO, El Absolutismo y las Luces en el Reinado de Carlos III, Madrid, Marcial Pons, 2002; F. SÁNCHEZ-BLANCO, La Ilustración goyesca. La cultura en España durante el reinado de Carlos IV (1788-1808), Madrid, CSIC-Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, 2007. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 7 storiografica sulla nazione spagnola verso la Public History non è negativo, a patto di non considerare accessoria una rigorosa contestualizzazione di concetti, idee, termini e pratiche discorsive utilizzati nella ricerca storica13. Infine, l’interpretazione che Abellán offre della storia degli esili spagnoli è rappresentativa di una tendenza, spesso inconscia, della riflessione storiografica iberica. L’esilio a cui furono sottoposti i repubblicani a seguito della Guerra civile è stato certamente il più ingente quantitativamente e il più devastante, da un punto di vista socio-culturale, che la Spagna abbia mai conosciuto: l’indubbia centralità di quell’esodo politico ha perciò provocato un’involontaria distorsione dell’analisi storica. Da una parte, infatti, «la comparación de los exilios anteriores a 1936-1939 […] ha comportando una cierta subestimación – involuntaria, frequentemente – de los primeros», come sottolinea giustamente Jordi Canal14; dall’altra, le categorie individuate per spiegare le ragioni e gli effetti dell’esilio degli anti-franchisti sono state applicate per interpretare tutti gli altri esili precedenti. Il rischio evidente è quello, ancora una volta, di subordinare l’analisi del contesto in cui si realizzò uno specifico esilio alla 13 Anche l’analisi della semantica relativa ai termini della lingua castigliana collegati al concetto di esilio («exilio», «destierro», «diáspora», «transtierro», «emigración», ecc.) fa parte di questo sforzo di contestualizzazione: da questo punto di vista la “storia dei concetti” può essere di grande aiuto. Non essendo possibile in questa sede affrontare tale riflessione, rimando a V. LLORENS, Estudios y Ensayos sobre el exilio repubblicano de 1939, a cura di M. Aznar Soler, Sevilla, Editorial Renacimiento, 2006, pp. 46-54; J.Á. ASCUNCE (ed.), El exilio: debate para la historia y la cultura, San Sebastián, Editorial Saturrarán, 2008. Sulla recente tendenza a dilatare il significato semantico del concetto/termine di «diaspora» in relazione allo sviluppo della Global History, cfr. M. ISABELLA, K. ZANOU (eds.), Mediterranean Diasporas. Politics and Ideas in the Long 19th Century, London-New Delhi-New York-Sidney, Blooomsbury, 2016. 14 CANAL, Los exilios, p. 13. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 8 Prefazione cornice ideologica o, nella migliore delle ipotesi, a schemi interpretativi generali che risultano calati dall’alto non senza forzature. L’impegno civile e la necessità di svolgere una funzione pubblica fanno certamente parte del mestiere dello storico che, comunque, per essere tale, ha anche l’obbligo di evitare ogni anacronismo e teleologismo. Quindi, fermo restando la necessità degli studiosi di trarre dalla propria contemporaneità le domande da porre al passato, ogni emigrazione/espulsione deve essere necessariamente studiata all’interno del suo contesto. Partendo da queste premesse metodologiche, vorrei offrire una breve riflessione sul primo esilio di tipo politico verificatosi in Spagna durante il XVIII secolo, quello dei sostenitori degli Asburgo durante e dopo la Guerra di Successione spagnola (1701-1714)15. Tra le emigrazioni frutto di espulsioni verificatesi nel corso del Settecento deve essere ovviamente inserito il lungo «destierro» italiano dei padri dell’Assistenza spagnola della Compagnia di Gesù (1767-1815)16, ma si potrebbero forse comprendere anche l’emigrazione degli afrancesados dopo il 15 Sul significato della definizione di austracismo cfr. J. ARRIETA ALBERDI, Austracismo. ¿Qué hay detrás de ese nombre?, in P. FERNÁNDEZ ALBALADEJO (ed.), Los Borbones. Dinastía y memoria de nación en la España del siglo XVIII. Actas del coloquio internacional celebrado en Madrid, mayo de 2000, Madrid, Marcial Pons-Casa de Velázquez, 2001, pp. 177-216. 16 La storiografia sull’espulsione dei gesuiti dalla Spagna di Carlo III ha conosciuto, negli ultimi venti anni, un rapido sviluppo. Mi limito a ricordare: E. GIMÉNEZ LÓPEZ (ed.), Expulsión y exilio de los jesuitas españoles, Alicante, Universidad de Alicante, 1997; E. GIMÉNEZ LÓPEZ, Jesuitas, in Exilios. Los éxodos políticos, pp. 113-136; I. FERNÁNDEZ ARRILLAGA, El destierro de los jesuitas castellanos (1767-1815), Salamanca, Junta de Castilla y León, 2004; N. GUASTI, Lotta politica e riforme all’inizio del regno di Carlo III. Campomanes e l’espulsione dei gesuiti dalla monarchia spagnola (1759-1768), Firenze, Alinea, 2006; J. A. FERRER BENIMELI, Expulsión y extinción de los jesuitas (1759-1773), Mensajero, Bilbao, 2013; La expulsión de los jesuitas de los dominios de Carlos III, in http://www.cervantesvirtual.com/portales/expulsion_jesuitas (ultima consultazione: 11-2-2018). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 9 1814 e quella dei liberali successiva alla seconda restaurazione dell’assolutismo nel 1823: non solo perché queste ultime furono la conseguenza del rigetto della cultura illuminista di fine Settecento da parte dei settori più conservatori della società iberica, ma anche perché gli attuali studi sulla crisi dell’Antico Regime spagnolo utilizzano abbondantemente la categoria di “lungo Settecento”, il cui arco temporale si colloca tra l’inizio del secolo e il Trienio liberal del 1820-182317. L’esilio austracista: la cronologia Come è noto, la prima guerra di successione settecentesca portò i Borbone sul trono di Spagna e produsse una massiccia emigrazione dei sostenitori del bando perdente e cioè del ramo austriaco degli Asburgo18. L’esodo degli austracistas iniziò di 17 Sulla diversa periodizzazione dell’Ilustración spagnola rispetto all’Illuminismo europeo ha recentemente insistito Jesús Astigarraga sottolineando come gli ultimi effetti del riformismo iberico legato ai Lumi (non solo francesi, ma anche italiani) possono essere individuati proprio nel triennio liberale: cfr. J. ASTIGARRAGA, Introduction: admirer, rougir, imiter. Spain and the European Enlightenment, in J. ASTIGARRAGA (ed.), The Spanish Enlightenment revisited, Oxford, Voltaire Foundation, 2015, pp. 1-17, spec. pp. 8-9. Anche una recente sintesi sulla Spagna del Settecento conclude l’analisi sulla cultura illuminista iberica con un paragrafo dedicato agli afrancesados: cfr. T.A. MANTECÓN, España en tiempos de Ilustración. Los desafíos del siglo XVIII, Madrid, Alianza, 2013, pp. 241-252. 18 La bibliografia sulla Guerra di Successione è ingente. Per una rassegna sul tema mi permetto di rimandare al mio La Guerra di Successione spagnola: un bilancio storiografico, in S. RUSSO, N. GUASTI (eds.), Il Viceregno austriaco (1707-1734). Tra capitale e province, Roma, Carocci, 2010, pp. 1742. Da integrare con V. LEÓN SANZ (ed.), La guerra de Sucesión Española, n. mon. di «Cuadernos di Cuadernos dieciochistas», 15 (2014) e con J. ALBAREDA (ed.), El declive de la monarquía y del imperio español. Los tratados de Utrecht (1713-1714), Barcelona, Crítica, 2015. I recenti bicentenari relativi alla caduta di Barcellona e alle paci di Utrecht (1713) e Rastatt (1714), Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 10 Prefazione fatto nel 1705, allorquando, dopo lo sbarco dell’esercito dell’arciduca Carlo – III per i suoi sostenitori iberici, VI dopo la sua incoronazione imperiale – la contesa dinastica assunse le caratteristiche di una vera e propria guerra civile vuoi in Spagna, che negli altri territori europei della monarchia (Sardegna, Sicilia, Regno di Napoli, Ducato di Milano e Paesi Bassi)19. Si trattò in realtà di una serie di esili o, se si preferisce, di diverse ondate di un unico consistente esilio che interessò ogni ceto sociale (dai grandi e dalla nobiltà titolata fino agli artigiani e mercanti, passando per il mondo ecclesiastico) e ogni territorio della “monarchia composita” spagnola: sebbene quantitativamente gli esuli provenienti dall’ex Corona d’Aragona costituissero la netta maggioranza, vi furono anche numerosi emigrati originari della Corona di Castiglia (in particolare delle due Castiglie, dell’Andalusia e del Regno di Murcia)20. anche per la valenza ideologica che il tema continua a possedere in Spagna, hanno ulteriormente arricchito il quadro storiografico: cfr. al riguardo B. GARCÍA GARCÍA, El tricentenario de los tratados de Utrecht, Rastatt y Baden (1712-1715), in «Cuadernos de Historia Moderna», 41, I (2016), pp. 199-224. 19 Casi di defezione di singole personalità a favore dell’arciduca, in particolare aristocratici ed ecclesiastici, si erano verificati fin dal 1702: nell’ottobre di quell’anno, ad esempio, l’Almirante de Castilla, Juan Enríquez de Cabrera si era rifugiato (insieme a tre gesuiti e al conte de la Corzana) a Lisbona in dissenso con la «tiranía» di Filippo V. Dal 1704 fino al 1714 la capitale portoghese, insieme a Genova e Gibilterra, rappresentarono i centri di riferimento dei profughi filo-asburgici. 20 F. DURÁN I CANYAMERAS, Els exiliats de la Guerra de Successió, Barcelona, R. Dalmau, 1964; V. LEÓN SANZ, Los españoles austracistas exiliados y las medidas de Carlos VI (1713-1725), in «Revista de Historia Moderna», 10 (1991), pp. 165-176; V. LEÓN SANZ, “Abandono de patria y hacienda”. El exilio austracista valenciano, in «Revista de Historia Moderna – Anales de la Universidad de Alicante», 25 (2007), pp. 235-255; V. LEÓN SANZ, La oposición a los Borbones españoles: los austracistas en el exilio, in MESTRE SANCHÍS, GIMÉNEZ LÓPEZ (eds.), Disidencias y exilios, pp. 469-499; V. LEÓN SANZ, Austracistas, in CANAL (ed.), Exilios. Los éxodos políticos, pp. 75-115; Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 11 Tale varietà sociale e territoriale di coloro che decisero di emigrare permette di definire «el exilio austracista […] el primer gran exilio político peninsular»21. Dopo la caduta di Barcellona (11 settembre 1714), si verificò un cambiamento non solo di tipo quantitativo, ma soprattutto di natura “psicologica” dell’esilio austracista, dal momento che i sostenitori iberici degli Asburgo presero coscienza del fatto che «el abandono de la patria y de la hacienda» non sarebbe stata una condizione temporanea, ma definitiva. In effetti il flusso di esiliati non terminò con la fine delle ostilità. Se durante il conflitto l’emigrazione dei fautori di Carlo VI era stata tendenzialmente volontaria, incentivata dal timore di rappresaglie da parte dei militari e funzionari borbonici, dopo la caduta della Catalogna la scelta dell’esilio fu una costrizione; a seguito dell’editto emanato da Filippo V a Hospitalet nel 1715, infatti, il nuovo sovrano spagnolo comminò «el exterminio y destierro» a tutti i sostenitori degli Asburgo: in quanto rei di lesa maestà e di «disafección y disidencia» verso i Borbone, essi erano banditi e spogliati delle loro proprietà e dei titoli ad essi connessi22. Si trattò solo di una delle varie misure repressive V. LEÓN SANZ, El Archiduque Carlos y los austracistas. Guerra de Sucesión y exilio, Sant Cugat, Editorial Arpegio, 2014, pp. 231-327; C. PÉREZ APARICIO, A. FELIPO ORTS, Una drama personal i col·lectiu. L’exili austriacista valencià, in «Pedralbes. Revista d’Història Moderna», XVIII, 2 (1998), pp. 329-343; A. ALCOBERRO, L’exili austriacista (1713-1747), 2 voll., Barcelona, Fundació Noguera, 2002; A. ALCOBERRO, El primer gran exilio político hispánico: el exilio austracista, in ALBAREDA (ed.), El declive de la monarquía, pp. 173-224. 21 Ivi, p. 178. 22 LEÓN SANZ, Austracistas, p. 78. Queste stesse accuse giustificarono, fin dal 1707, l’abolizione dei fueros degli Stati che componevano la Corona d’Aragona e cioè il Regno di Valenza, il Regno d’Aragona, il Principato catalano e le Baleari. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 12 Prefazione messe in atto dalla nuova dinastia per punire i singoli sudditi e, nel complesso, i territori ribelli, in particolare la Catalogna23. Dalla fine del conflitto fino agli anni Trenta, in coincidenza con le nuove congiunture belliche causate dalla “politica revisionista” o mediterranea di Filippo V (come l’occupazione della Sardegna del 1717, la Guerra della Quadruplice alleanza del 1718-1720 e, infine, la Guerra di Successione polacca del 1733-1738), il governo borbonico elaborò non solo numerose le liste di banditi e di indesiderati (donne comprese)24, ma effettuò anche continue confische di beni che di per sé ostacolarono il processo di rientro degli esiliati. Per cui, nonostante la stipula della pace di Vienna (1725) avesse normalizzato i rapporti tra le monarchie spagnola e austriaca, buona parte degli esili degli austracistas si realizzò tra il 1713 e il 1738 come conseguenza di specifiche misure repressive assunte dalle autorità borboniche. La valenza politica dell’emigrazione di numerosi sostenitori spagnoli degli Asburgo – in particolare di tanti aristocratici, 23 J. ALBAREDA, Represión y disidencia en la Cataluña borbónica (17141725), in MESTRE SANCHÍS, GIMÉNEZ LÓPEZ (eds.), Disidencias y exilios, pp. 543-555; J. ALBAREDA, Felipe V y Cataluña, in J. FERNÁNDEZ GARCÍA, M.A. BEL BRAVO, J.M. DELGADO BARRADO (eds.), El cambio dinástico y sus repercusiones en la España del Siglo XVIII. Homenaje al Dr. Luis Coronas Tejada, Jaén, Universidad de Jaén-Exc.ma Diputación Provincial de Jaén, 2000, pp. 93-108; V. LEÓN SANZ, Represión borbónica y exilio austracista al finalizar la Guerra de Sucesión española, in A. ÁLVAREZ-OSSORIO ALVARIÑO, B.J. GARCÍA-GARCÍA, V. LEÓN SANZ (eds.), La pérdida de Europa. La guerra de Sucesión por la Monarquía de España, Madrid, Fundación Carlos de Amberes, 2007, pp. 567-589; J. M. TORRAS I RIBÉ, Felip V contra Catalunya: testimonis d’una repressió sistemàtica, (1713-1715), Barcelona, Rafael Dalmau, 2005; R. SÁEZ ABAD, La Guerra de Sucesión española: 1702-1715, Madrid, Almena Ediciones, 2007. 24 LEÓN SANZ, Austracistas, p. 96; J. C. SAAVEDRA ZAPATER, Entre el castigo y el perdón. Felipe V y los austracistas de la Corona de Castilla, 1706-1715, in «Espacio, Tiempo y Forma. Historia Moderna», 13 (2000), pp. 469-503. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 13 funzionari e religiosi che scelsero l’esilio – non deve essere individuata esclusivamente nell’elemento della fedeltà dinastica, ma anche in una diversa concezione dello Stato: a cominciare dall’abolizione decretata da Filippo V dei fueros del Regno di Valenza (1707), primo passo della cosiddetta Nueva Planta borbonica, apparve infatti chiaro che una delle poste in gioco del conflitto era anche la sopravvivenza del cosiddetto pactismo o foralismo catalano-aragonese su cui si era retta, fino ad allora, la monarchia composita o policentrica spagnola.25 In sostanza una delle chiavi di lettura che i giuristi e gli intellettuali austracistas in esilio dettero della Guerra di Successione e, in maniera esplicita, della loro scelta di vivere in esilio deve essere individuata nel rigetto del modello assolutista francese di Stato, considerato alieno alla tradizione giuridico-politica ispanica26. 25 J. ALBAREDA, Felipe V y el triunfo del absolutismo. Cataluña en un conflicto europeo (1700-1714), Barcelona, Generalitat de Catalunya, 2002; E. GIMÉNEZ LÓPEZ, Gobernar con una misma ley. Sobre la Nueva Planta borbónica en Valencia, Alicante, Universidad de Alicante, 1999; E. GIMÉNEZ LÓPEZ, La Nueva Planta y la Corona de Aragón, in FERNÁNDEZ GARCÍA, BEL BRAVO, DELGADO BARRADO (eds.), El cambio dinástico, pp. 29-42; J.-P. DEDIEU, La Nueva Planta en su contexto. Las reformas del aparato del Estado en el reino de Felipe V, in «Manuscrits», 18 (2000), pp. 113-139; P. FERNÁNDEZ ALBALADEJO, Materia de España. Cultura política e identidad en la España moderna, Madrid, Marcial Pons, 2007, pp. 65-91, 177-244; J.Mª. IÑURRITEGUI, Gobernar la ocasión. Preludio político de la Nueva Planta de 1707, Madrid, Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, 2008; C. PÉREZ APARICIO, Canvi dinàstic i Guerra de Successió. La fi del Regne de València, 2 voll., Valencia, Edicions Tres i Quatre, 2008. 26 Occorre comunque osservare che la più recente storiografia francese ha messo in dubbio non solo l’esistenza di un modello autoctono di assolutismo, ma anche la tesi secondo cui Filippo V e i suoi consiglieri (molti dei quali italiani e fiamminghi) avessero applicato una coerente riforma di orientamento assolutista delle istituzioni della monarchia ereditata dagli Austrias. Cfr. soprattutto J.-F. SCHAUB, La France espagnole. Les racines hispaniques de l’absolutisme franças, Paris, Éditions de Seuil, 2003; A. DUBET, ¿La imViaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 14 Prefazione Gli esiliati austracistas: tra sopravvivenza, controllo politico e integrazione Passando agli aspetti materiali dell’esilio austracista, è opportuno analizzare brevemente i suoi tre elementi essenziali: l’entità quantitativa e qualitativa del processo emigratorio, le principali occupazioni o fonti di reddito degli esuli e, infine, il livello di integrazione raggiunto dagli emigrati nei luoghi dell’esilio (nel nostro caso, nell’ambito della monarchia austriaca)27. Si tratta in realtà di aspetti che appaiono connaturati a qualsiasi emigrazione originata da cause politiche. Partendo dalla prima questione, incrociando i dati forniti dai cronisti del periodo (in particolare dal catalano Francesc de Castellví, autore delle straordinarie Narraciones históricas) con le liste di proscrizione borboniche e i censimenti asburgici, gli specialisti hanno calcolato che tra il 1713 e il 1725 abbandonarono la Spagna tra le 25.000 e le 30.000 persone, di cui il 75% 80% proveniva dai territori dell’ex Corona d’Aragona, in particolare dalla Catalogna e dal Regno di Valenza28. Come abbiamo portación de un modelo francés? Acerca de algunas reformas de la adminisración española a principios del siglo XVIIII, in «Revista de Historia Moderna – Anales de la Universidad de Alicante», 25 (2007), pp. 207-233; A. DUBET, ¿Francia en España? La elaboración de los proyectos de reformas político-administrativas de Felipe V (1701-1703), in ÁLVAREZ-OSSORIO ALVARIÑO, GARCÍA-GARCÍA, LEÓN SANZ (eds.), La pérdida de Europa, pp. 293311; A. DUBET, Un estadista francés en la España de los Borbones. Juan Orry y las primeras reformas de Felipe V (1701-1706), Madrid, Biblioteca Nueva, 2008. 27 Nel corso di questo paragrafo propongo una sintesi dei dati offerti dalle ricerche sopra citate, in particolare quelle di Alcoberro e León Sanz. 28 G. STIFFONI, Un documento inédito sobre los exiliados españoles en los dominios austríacos después de la Guerra de Sucesión, in «Estudis. Revista d’Història Moderna», 17 (1991), pp. 7-55; ALCOBERRO, L’exili austriacista, Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 15 accennato in precedenza, gli esuli appartenevano a tutti i ceti della società spagnola: Grandi, titolati, nobili di provincia, patrizi, giuristi-magistrati-funzionari (i cosiddetti letrados), militari, ecclesiastici (secolari e regolari), mercanti, professionisti, artigiani, popolani. Numerosi furono tra i transfughi anche le donne e i minori, dato che l’esilio interessò molto spesso interi nuclei familiari29. Questo ingente numero di esiliati andò scemando nel corso degli anni non solo a causa dei decessi naturali, ma anche per il rientro in patria di numerosi esuli a seguito di disposizioni ad personas o collettive emanate dalle autorità borboniche, soprattutto a seguito della pace di Vienna30. Per quanto invece riguarda le destinazioni definitive degli esiliati, la maggioranza dei 30.000 austracistas emigrati si stabilì nei territori italiani che la monarchia austriaca aveva acquisito grazie ai trattati di Utrecht e Rastatt: i Regni di Napoli e di vol. 2, pp. 107-155; ALCOBERRO, El primer gran exilio, p. 180; LEÓN SANZ, Austracistas, p. 80. 29 L’amministrazione borbonica produsse una legislazione specifica riguardante le donne austracistas, a conferma del fatto che il numero della presenza femminile nelle file degli esiliati, in particolare di quelli provenienti dalla Catalogna, era piuttosto elevato: ad esempio, le catalane titolari di beni confiscati rappresentavano il 21% del totale. Già con il decreto di Aranjuez del 12 luglio 1715 Filippo V sospendeva il bando alle donne che avevano seguito i consorti prima a Barcellona e poi in esilio, anche se erano escluse coloro che appartenevano a casate di Grandi e di titolati; si vietava comunque loro di risiedere a corte. Cfr. LEÓN SANZ, Austracistas, p. 96. 30 LEÓN SANZ, El Archiduque Carlos, pp. 298-305; V. LEÓN SANZ, Acuerdos de la paz de Viena de 1725 sobre exiliados de la Guerra de Sucesión, «Pedralbes. Revista d’Història Moderna», XII (1992), pp. 293-312. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 16 Prefazione Sardegna (e, dal 1720, la Sicilia)31, lo Stato di Milano e Mantova32. Non si trattava certo di paesi “stranieri”, dato che per i sudditi del legittimo re di Spagna, come continuavano a considerarsi i sostenitori di Carlo III d’Asburgo, i territori italiani erano da secoli parte della monarchia composita spagnola: oltre a permettere possibilità di impiego ai membri del ceto togato ed occasioni imprenditoriali ai vari gruppi della borghesia, molte famiglie aristocratiche iberiche possedevano solide relazioni familiari con importanti lignaggi italiani. In vari casi, come quello esemplare dei Pignatelli, l’esilio permise il ricongiungimento dei due rami della medesima famiglia. Peraltro il castigliano continuò ad essere la lingua ufficiale dell’amministrazione e della giurisprudenza “austriache” in Italia, per cui i tanti funzionari che trovarono impiego nelle magistrature degli stati italiani della monarchia asburgica, di fatto, continuarono la routine interrotta in Spagna. Lo stesso ragionamento può essere fatto per quelle decine di esuli austracistas che decisero di stabilirsi nelle Fiandre. Detto in altri termini, per uno spagnolo d’inizio Settecento l’Italia, non solo quella sottoposta alla sovranità dagli Asburgo, possedeva un’indubbia familiarità culturale (anche in senso lato) che la rendeva, quasi naturalmente, il luogo più adatto da dove 31 Nel 1717 gli austracistas catalani che si erano rifugiati in Sardegna dovettero nuovamente fuggire a causa dell’invasione borbonica dell’isola. Il loro spostamento divenne definitivo a seguito dello scambio dell’isola con il Regno di Sicilia, effettuata nel 1720 con i Savoia, a seguito della pace dell’Aja. 32 Sulle conseguenze politiche, sociali, economiche e culturali che la Guerra di Successione ebbe sull’Italia cfr. M. VERGA (ed.), Dilatar l’Impero in Italia. Asburgo e Italia nel primo Settecento, n. mon. di «Cheiron», 21 (1994); ANTONIO ÁLVAREZ-OSSORIO ALVARIÑO (ed.), Famiglie, nazioni e Monarchia: il sistema europeo durante la Guerra di Successione spagnola, n. mon. di «Cheiron», 39-40 (2003); G. GALASSO, Storia del Regno di Napoli, vol. 3, Torino, Utet, 2008. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 17 ricostruire un’esistenza, uno status, una carriera o una professione. In effetti gli studiosi hanno rilevato comunità di austracistas attive anche in altri stati italiani. Alcuni, in particolare coloro che esercitavano la mercatura, rimasero in pianta stabile a Genova, città che nelle prime fasi dell’esilio (specie nel 17131714) assolse alla funzione di centro di raccolta e di passaggio obbligato dei transfughi; Roma, invece, venne scelta come residenza di numerosi ecclesiastici fin dal 1709 non solo per la possibilità di reperire benefici ed uffici, ma anche per l’atteggiamento accondiscendente dimostrato da Clemente XI nei confronti della causa dell’arciduca e per le pessime relazioni diplomatiche che la nuova Spagna di Filippo V intrattenne con la Santa Sede33. Ovviamente gli esuli si distribuirono anche negli altri territori della monarchia asburgica che, per la sua natura composita, somigliava non poco a quella del ramo spagnolo appena estinto. Vienna, per la presenza della corte, degli uffici dell’amministrazione centrale e di vari centri di aggregazione della comunità spagnola rappresentò la destinazione privilegiata degli aristocratici, dei funzionari più rilevanti, dei militari e di tutti coloro che desiderassero avanzare delle petizioni al sovrano. La concentrazione di postulanti nella capitale divenne immediatamente oggetto della preoccupazione del governo asburgico anche per ragioni di ordine pubblico: già il 9 ottobre 1714 Carlo VI emanò un primo decreto con il quale si intimava agli esuli spagnoli che non avessero un’occupazione stabile nella capitale di abbandonare entro tre giorni Vienna e di tornare nei territori italiani dove gli sarebbe stata versata una pensione. La continua ripetizione di 33 D. MARTÍN MARCOS, El Papado y la Guerra de Sucesión, Madrid, Marcial Pons, 2011. Ad esempio Álvaro Cienfuegos, uno dei tre gesuiti che avevano accompagnato nel 1702 l’ammiraglio di Castiglia a Lisbona, nel 1720 ottenne il cappello cardinalizio. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 18 Prefazione tale ordine perentorio negli anni successivi dimostra che le severe pene previste per gli inadempienti non avevano sortito il risultato sperato, anche se da subito l’amministrazione asburgica approntò un capillare sistema di concessione di permessi di viaggio e di residenza (licencias) per tutti i sudditi spagnoli che, residenti in Italia o nei Paesi Bassi, volessero raggiungere la capitale. È stato calcolato che ancora nel 1734 l’1% della popolazione complessiva della capitale (circa 1.500 persone) fosse costituita dalla colonia di spagnoli residenti. Sicuramente a Vienna vissero in maniera stabile alcuni nobili appartenenti alle principali casate di Grandi e titolati iberici, oltre ai funzionari delle istituzioni di governo di più alto grado: essi non tardarono a diventare uno degli assi portanti della politica della monarchia asburgica, coagulandosi in un vero e proprio “partito” che divenne protagonista della lotta fazionaria di corte34. Occorre ricordare che Carlo VI si sentì sempre in obbligo verso coloro che avevano perso «patria y hacienda» combattendo fino alla fine per la sua causa, per cui si impegnò a garantire loro, in particolare agli aristocratici, ai funzionari e ai militari, uno status e un reddito consono a quelli che avevano posseduto in Spagna. Naturalmente le prime misure furono dettate dall’emergenza e, quindi, dalla necessità di garantire una minima sussistenza ai transfughi che giungevano, in ondate successive, a Genova, in Lombardia, in Sardegna, a Napoli e a Vienna. Anche a tal fine, il 29 dicembre 1713 Carlo VI decise di fondare il Consejo Supremo de España (alla cui presidenza venne posto 34 Sulle dinamiche della lotta fazionaria presente a Vienna tra i vari partiti – quello tedesco (forte nelle istituzioni imperiali come la Camera Aulica e la cancelleria imperiale), quello boemo e quello spagnolo (entrambi legati alle magistrature territoriali come la Cancelleria Boema e il Consiglio di Spagna cfr. LEÓN SANZ, El Archiduque Carlos, pp. 240-276; V. LEÓN SANZ, Al servicio de Carlos VI. El partido español en la corte imperial, in ALBAREDA (ed.), El declive de la monarquía, pp. 225-275. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 19 l’ex arcivescovo di Valencia, Antonio Folch de Cardona) e la Secretaría de Estado y del Despacho per gli affari italiani e fiamminghi (presieduta fino al 1734 da Ramón de Vilana Perlas, marchese di Rialp): si trattava di due istituzioni tipiche della monarchia polisinodale spagnola che Carlo VI, in attesa di riconquistare la Spagna, trasferiva e riproduceva a Vienna con lo scopo di governare un pezzo della sua monarchia35. Il Consiglio di Spagna, diviso in quattro segreterie – Napoli, Sardegna (sostituita dal 1720 con quella della Sicilia), Milano e Fiandre (fino all’aprile del 1717, quando venne eretto il Consejo de Flandes presieduto da Josep de Cardona y Erill) –, aveva il compito di coadiuvare il sovrano nell’amministrazione dei territori italiani, mentre la Segreteria di Stato si occupava della loro politica estera. Ovviamente il castigliano continuò ad essere la lingua ufficiale di entrambi i ministeri, nei quali trovarono impiego una 35 Cfr. LEÓN SANZ, El Archiduque Carlos, pp. 240-266. La sede viennese del Consiglio di Spagna fissò la propria residenza nel palazzo Caprara. Sul ruolo giocato da tale consiglio, mutuato dall’organigramma polisinodale spagnolo, nel rinnovamento istituzionale della monarchia austriaca cfr. M. VERGA, Il “sogno spagnolo” di Carlo VI. Alcune considerazioni sulla monarchia asburgica e i domini italiani, in C. MOZZARELLI, G. OLMI (eds.), Il Trentino nel ‘700 fra Sacro Romano Impero e antichi Stati italiani, Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 203-261; M. VERGA, Le istituzioni politiche, in G. GRECO, M. ROSA (eds.), Storia degli antichi stati italiani, Roma-Bari, Laterza, 1990, pp. 3-58, spec. pp. 37-53; M. VERGA, Sotto l’ala dell’aquila. Gli Asburgo e l’Italia, in «Storia e dossier», VIII (1993), pp. 67-97; M. VERGA, Il “Bruderzwist”, la Spagna, l’Italia. Dalle lettere del duca di Moles, in «Cheiron», 21 (1994), pp. 13-53; M. VERGA, Tra Sei e Settecento: un’“età delle pre-riforme”?, in «Storica», 1 (1995), pp. 89-121; M. VERGA, Appunti per una storia del Consiglio di Spagna, in G. BIAGIOLI (ed.), Ricerche di Storia Moderna in onore di Mario Mirri, vol. IV, Pisa, Pacini Editori, 1995, pp. 561-576; V. LEÓN SANZ, La influencia española en el reformismo de la monarquía austriaca del Setecientos, in «Cuadernos dieciochistas», 1 (2000), pp. 107132. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 20 Prefazione discreta quantità di funzionari (tesoreros, contadores, escribanos, ecc.) di origine iberica36. Oltre a presentarsi come un vero e proprio governo in esilio, le due istituzioni vennero dotate di autonomia finanziaria e, quindi, nei primi anni dell’esilio austracista vennero incaricate di provvedere al mantenimento degli emigrati e di esaminare le singole richieste di aiuto economico da loro provenienti. Già nel 1714 il Consiglio di Spagna decise di creare una commissione speciale la cui principale incombenza sarebbe stata quella di pagare delle pensioni ai sudditi spagnoli di Carlo VI, la cui entità venne commisurata al loro status: gli esuli vennero infatti divisi in sei categorie in base al loro rango (Grandi, titolati, cavalieri, ecclesiastici, ecc.). Negli anni successivi questa giunta ristretta del Consiglio di Spagna amministrò un fondo specifico, denominato Providencia o Delegación General de Españoles, i cui proventi giungevano dai beni confiscati ai sostenitori di Filippo V nei territori italiani e nelle Fiandre, poi assorbiti dal Real Patrimonio37. In altri termini, il peso del mantenimento degli esuli spagnoli venne sostenuto dalle rendite provenienti dalle province italiane e fiamminghe, in particolare da quelle del Regno di Napoli. Il Viceregno acquisì quindi una posizione strategica non solo nell’ambito della politica mediterranea degli Asburgo, ma, più prosaicamente, anche per garantire un peso politico al “partito” spagnolo presente a Vienna e per il mantenimento dell’intera comunità austracista in esilio38. Le 36 V. LÉON SANZ, Los funcionarios del Consejo supremo de España en Viena (1713-1725), in L.M. ENCISO RECIO (ed.), La burguesía española en la Edad Moderna, vol. 2, Valladolid, Universidad de Valladolid, 1996, pp. 893-904. 37 V. LEÓN SANZ, Los españoles autracistas exiliados y las medidas de Carlos VI, 1713-1725, in «Revista de Historia Moderna», 10 (1991), pp. 162-173; LEÓN SANZ, El Archiduque Carlos, pp. 231-276. 38 Alcoberro fa notare che, soprattutto nel decennio 1725-1734, «el reino de Nápoles se había convertido en el primer contribuidor neto del Consejo de Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 21 sovvenzioni, che oscillarono tra gli 8.000 e i 100 ducati annuali, vennero quindi calcolate in funzione dello stamento e della consistenza del nucleo familiare dei richiedenti39. Tale sistema assistenziale e di patronage, che durò fino alla perdita dei Regni di Napoli e Sicilia a seguito della Guerra di Successione polacca, permise quindi agli esuli di superare le difficoltà economiche patite durante i primi anni dell’esilio, certamente i più difficili. Resta comunque il fatto che, superata la fase d’emergenza verso il 1720, i consiglieri del sovrano (in particolare i membri della camera Aulica, in primis Eugenio di Savoia, che si opponevano al “partito” spagnolo) chiesero agli esuli spagnoli di vivere delle proprie rendite e di trovare delle occupazioni consone al loro status: le pensioni, infatti, erano state concepite come una misura straordinaria e temporanea, sebbene continuassero ad essere erogate ai soggetti più indigenti o non in grado di lavorare. Solitamente ogni esiliato cercò gradualmente di recuperare quel tenore di vita (nel caso degli aristocratici) e quelle occupazioni (nell’ambito del clero e delle professioni liberali o manuali) goduto prima dell’esilio. Da questo punto di vista i letrados e i militari furono certamente avvantaggiati. I primi, come abbiamo visto, trovarono impiego negli uffici e nelle magistrature sia dell’amministrazione centrale, che di quella periferica: nel primo caso il personale burocratico che trovò spazio negli uffici dei Consigli di Spagna, in quello delle Fiandre e nella Segreteria di Stato aveva già fatto parte dell’amministrazione regia a Barcellona. Anche nelle province, solitamente gli uffici più rilevanti assegnati dal Consiglio di Spagna, a cominciare da quelli di Viceré di Napoli e Si- España, y también en la primera fuente de ingresos de los exiliados» attraverso vari strumenti: incarichi, pensioni, concessione di feudi o benefici, elemosine. Cfr. ALCOBERRO, El primer gran exilio, p. 210. 39 LEÓN SANZ, Austracistas, pp. 80-86. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 22 Prefazione cilia o di governatore di Milano, vennero considerati appannaggio dei sudditi originari della penisola iberica o che avevano relazioni di parentela con essi: è il caso, ad esempio, del vicerè D’Althann, marito della contessa catalana Marianna Pignatelli i d’Aimerich. Invece i militari furono inizialmente dislocati a Vienna, Buda e Esseck. Occorre a questo proposito ricordare due dati: in primo luogo i soldati costituivano di gran lunga la categoria e il gruppo più consistente di esiliati poiché tra il 1713 (quando ben 2.500 tra ufficiali e truppe erano stati evacuati da Barcellona a seguito dell’accordo sottoscritto ad Hospitalet da Filippo V) e il 1715-1717 (quando i contingenti locali avevano abbandonato prima Maiorca e poi la Sardegna) migliaia di militari di ogni età e grado avevano preso la via dell’esilio. In secondo luogo le truppe di origine spagnola non erano agli ordini unicamente del Consiglio di Spagna, ma anche del Consiglio Aulico di Guerra presieduto dal principe Eugenio di Savoia: uno dei principali oppositori del “partito” spagnolo a corte, quindi, si trovò a gestire i militari iberici e, successivamente, quelli provenienti dai territori italiani annessi alla monarchia. Già nel 1713 gli ufficiali e i soldati spagnoli vennero inquadrati in tre reggimenti di cavalleria e due di fanteria di 1500 uomini ciascuno40. Questi contingenti vennero impiegati nel corso della Terza Guerra turca 40 ALCOBERRO, El primer gran exilio, pp. 194-200; A. ALCOBERRO, Presència i ecos de l’exili austriacista hispànic a la Tercera Guerra Turca. L’Epopeia panegírica de Vicent Díaz de Sarralde (Nàpols, 1718), in «Aguaits», 2425 (2007), pp. 73-96; A. ALCOBERRO, Catalans a les guerres turques (segles XVI-XVIII), in Princeses de terres llunyanes. Catalunya i Hongria a l’edat mitjana, Barcelona, Generalitat de Catalunya, 2009, pp. 433-449. A questi 7.500 uomini inquadrati nei ranghi dell’esercito imperiale devono però sommarsi quelli dislocati nei territori italiani e nelle Fiandre, oltre che i militari non più in servizio attivo (perché mutilati o ritirati per anzianità). Le liste elaborate in questi anni dall’amministrazione asburgica, in effetti, dividono i soldati iberici in tre categorie: quelli in servizio attivo, i congedati e coloro Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 23 (1714-1718), distinguendosi nella battaglia di Peterwardein, nell’assalto di Temesvar e nell’assedio di Belgrado; i due reggimenti rimanenti vennero poi impiegati nella successiva Guerra austro-turca (1737-1739), meno fortunata da un punto di vista strategico. Proprio in quegli anni, durante la Guerra di Successione polacca (1734-1738), venne formata in Italia tra gli esiliati iberici una compagnia di volontari, al comando del colonello Pere Joan Barceló (detto Carrasquet, protagonista tra il 1719 e il 1720 di una feroce guerrilla antiborbonica sulla dorsale pirenaica e in Catalogna meridionale) che rimase attiva fino alla Guerra di Successione austriaca (1740-1748), quando essa era composta da 64 uomini (di cui 16 di provenienza italiana)41. Ancora nel 1796 continuava ad essere in attività nella fanteria asburgica un reggimento spagnolo. Oltre alle pensioni e agli stipendi elargiti dal Consiglio di Spagna grazie alla Delegación de Españoles, anche la segreteria di Stato poté contare su un fondo specifico per venire incontro alle esigenze finanziarie degli austracistas: si trattò del cosiddetto Real Bolsillo Secreto42. Si trattava di un fondo addizionale, che avevano perso per varie ragioni (ad esempio per indisciplina) lo status di militare. Ai membri dei primi due gruppi veniva versato un salario, mentre a quelli del terzo veniva comunque assicurata una pensione o un’occupazione di rango inferiore poiché avevano pur sempre abbandonato «sus casas por seguir el real nombre». 41 ALCOBERRO, El primer gran exilio, pp. 199-201. 42 V. LEÓN SANZ, La Secretaría de Estado e del Despacho Universal del Consejo de España, in «Cuadernos de Historia Moderna», XVI (1995), pp. 239257; V. LEÓN SANZ, Patronazgo político en la Corte de Viena: los españoles y el Real Bolsillo Secreto de Carlos VI, in «Pedralbes. Revista d'Història Moderna», XVIII, 2 (1998), pp. 577-598; V. LEÓN SANZ, De rey de España a emperador de Austria: el archiduque Carlos y los austracistas españoles, in E. SERRANO MARTÍN (ed.), Felipe V y su tiempo. Congreso internacional, vol. 1, Zaragoza, Institución Fernando el Católico, 2004, pp. 747-774. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 24 Prefazione dipendente da un punto di vista contabile della tesoreria del Consiglio di Spagna e sovvenzionato con i proventi di mercedi e uffici venduti nei territori italiani e fiamminghi, pensato per assistere specificamente gli esiliati. In realtà il Real Bolsillo, fino agli anni Trenta del Settecento, divenne lo strumento essenziale del patronage esercitato dai capi del “partito” spagnolo a Vienna, in particolare dal marchese di Rialp: il denaro, infatti, venne da lui impiegato per costruire una ramificata clientela politica, anche se venne spesso utilizzato per ridurre con sovvensioni straordinarie la situazione d’indigenza di quelle centinaia di esiliati la cui pensione “ordinaria” o i cui salari risultavano insufficienti. In parte questi fondi vennero impiegati anche per migliorare le condizioni di vita dei prigionieri austracistas (come gli ultimi difensori di Barcellona) ancora rinchiusi nelle carceri borboniche43. Naturalmente i consiglieri di Carlo VI erano coscienti che la migliore opzione per limitare le spese di mantenimento degli esuli austracistas era quella di creare le condizioni politiche per un loro rientro in patria, iniziando dallo spinoso nodo delle confische dei beni. È pur vero che alcuni aristocratici filo-asburgici erano riusciti a mantenere parte dei loro patrimoni grazie al fatto 43 Carlo VI si preoccupò della sorte degli austracistas catturati durante la guerra, solitamente militari e funzionari, i quali erano stati rinchiusi nelle principali carceri borboniche, soprattutto a La Coruña, nell’Alcázar di Segovia e nel castello di Pamplona: la situazione venne continuamente monitorata dall’ambasciatore imperiale a Lisbona, al quale giunsero periodiche lettere di cambio finalizzate all’assistenza dei prigionieri. Nell’aprile del 1720, a margine della pace dell’Aja, venne effettuato uno scambio di prigionieri: vari austracistas furono quindi trasportati a Genova, dove vennero aiutati da una rimessa di denaro giunta da Vienna dal Consiglio di Spagna. Ma ancora nel 1724 non erano pochi i reclusi, come confermò a Carlo VI il generale Nebot (uno degli ufficiali che avevano guidato la resistenza di Barcellona nel 1714), dopo una rocambolesca fuga dal castello di Pamplona. Cfr. LEÓN SANZ, Austracistas, pp. 86, 93-94. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 25 che, allo scoppio del conflitto successorio, si era verificata una spaccatura “tattica” all’interno dei vari rami dei lignaggi o all’interno della stessa famiglia tra i sostenitori dei Borbone e degli Asburgo: per cui spesso i parenti che avevano dimostrato una sicura fedeltà alla dinastia vincitrice, sia in Spagna che nei territori italiani passati agli Asburgo, avevano potuto subentrare nell’amministrazione dei patrimoni per conto dei legittimi possessori (in particolare le donne) che erano stati banditi. Resta comunque il fatto che occorreva una trattativa diplomatica specifica su tale questione poiché entrambi i sovrani avevano ampiamente espropriato i propri oppositori e avevano premiato i loro sostenitori con quei beni44. A tale problema si univa anche quello dello scisma del Tosone d’oro, del reciproco riconoscimento dei titoli nobiliari ed dei vari onori concessi fin dallo scoppio delle ostilità da Carlo VI45. Così, dal congresso di Cambray in poi, le 44 Nella Spagna borbonica per effettuare e gestire gli espropri dei beni degli austracistas era stati creati un Juzgado de Confiscaciones (abolito nel 1725) e una Contaduría de Bienes confiscados (estinta solo nel 1727). A queste due istituzioni si sommava una Junta de Dependencias de extrañados deterrados, eretta nel 1715, che aveva il compito di esaminare le richieste degli austracistas che chiedevano di tornare in Spagna: possibilità comunque negata a coloro che avevano difeso Barcellona. È stato calcolato che il valore maggiore di beni confiscati si concentrò nella Corona di Castiglia (2.931.350 reales di vellón contro 1.112.430 della Catalogna), anche se il maggior numero di espropriati si verificò nel Principato catalano, il che significa che in quest’ultima regione l’impatto sociale delle confische fu superiore. 45 E. ESCARTÍN, Las confiscaciones de bienes a los partidarios del Archiduque de Cataluña, bajo el reinado de Felipe V, in Studia historica et philologica in honorem M. Batllori, Roma, Instituto Español de Cultura, 1984, pp. 229-240; V. LEÓN SANZ, J. A. SÁNCHEZ BELÉN, Confiscación de bienes y represión borbónica en la Corona de Castilla a comienzos del siglo XVIII, in «Cuadernos de Historia Moderna», 21 (1998), pp. 125-175; A. SPAGNOLETTI, Principi italiani e Spagna nell’età barocca, Milano, Bruno Mondadori, 1996, pp. 238-246; S. SÁNCHEZ GARCÍA, Noticias sobre austracistas aragoneses y el secuestro de sus bienes in «Revista de Historia Moderna – Anales de la Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 26 Prefazione due diplomazie iniziarono a discutere su questi argomenti, raggiungendo una soluzione definitiva solo con il trattato stipulato a Vienna il 30 aprile 1725, nel quadro di un complessivo riavvicinamento tra gli Asburgo e i Borbone. L’articolo IX dell’accordo prevedeva un’amnistia generale, il riconoscimento degli onori concessi dai due sovrani fino ad allora e la reciproca restituzione dei beni, dei titoli (solitamente legati ai feudi) e delle dignità confiscati dal 1713 in avanti46. Nonostante il processo di restituzione delle proprietà degli austracistas si rivelasse piuttosto lungo e complesso – sia per gli inevitabili ricorsi dei nuovi possessori, che per le ben calcolate resistenze delle autorità borboniche –, la normalizzazione dei rapporti tra i due ex contendenti creò le condizioni per il rientro in Spagna di alcuni aristocratici di rilievo, tra cui i conti di Oropesa, Cifuentes, Aranda, Galve, la marchesa del Carpio e il marchese di Rafal. Comunque tra i titolati e, soprattutto, tra i ceti togato e militare, la decisione Universidad de Alicante», 25 (2007), pp. 257-301. Ma vedi anche il caso contrario, e cioè gli espropri a danno dei “filippisti”: C. PÉREZ APARICIO, La política de represalias y confiscaciones del Archiduque Carlos de Austria, in «Estudis. Revista de Historia Moderna», 17 (1991), pp. 149-196; J. SOLÍS FERNÁNDEZ, Las Juntas de Secuestros y Confiscaciones del Archiduque Carlos en Cataluña, Aragón y Valencia, in «Anuario de Historia del Derecho Español», LXIX (1999), pp. 426-447; E. GIMÉNEZ LÓPEZ, El exilio de los borbónicos valencianos, in «Revista de Historia Moderna – Anales de la Universidad de Alicante», 25 (2007), pp. 11-51; E. GIMÉNEZ LÓPEZ, El exilio de los magistrados borbónicos de la Audiencia foral valenciana (1705-1707), in ÁLVAREZ-OSSORIO ALVARIÑO, GARCÍA-GARCÍA, LEÓN SANZ (eds.),La pérdida de Europa, pp. 551-566. 46 LEÓN SANZ, Austracistas, pp. 94-99; LEÓN SANZ, El Archiduque Carlos, pp. 292-305. Che quella della restituzione dei beni degli esiliati fosse una questione davvero spinosa lo conferma il fatto che nel settembre 1725 le due diplomazie aggiunsero una dichiarazione supplementare all’articolo IX, in cui si specificavano minuziosamente le modalità di restituzione. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 27 di rimanere nei territori asburgici si rivelò l’opzione di gran lunga maggioritaria47. Stato, patria e identità nell’esilio austracista Uno degli ambiti di studio più affascinanti dell’esilio degli austracistas concerne l’analisi degli strumenti – concreti, ma anche di tipo culturale – da essi utilizzati per preservare una memoria condivisa: si tratta, in realtà, di un aspetto che accomuna le emigrazioni che coinvolgono intere comunità nazionali o gruppi caratterizzati da una forte identità culturale: la preservazione di una memoria collettiva che si suppone certa, oggettiva e data una volta per sempre, va di pari passo con una continua rielaborazione degli aspetti peculiari delle proprie radici, finendo spesso per incontrarsi ed ibridarsi con altre tradizioni culturali, in particolare quelle del luogo in cui si vive l’esilio48. Fu ciò che avvenne anche agli esuli austracistas. Partendo dagli aspetti più immediati, perché connessi all’esistenza quotidiana, un primo strumento funzionale alla preservazione dell’identità collettiva degli austracistas deve essere individuato nel tentativo di mantenere un legame informativo con la patria perduta. Alcuni epistolari clandestini recentemente individuati dimostrano l’esistenza di contatti diretti tra alcuni 47 Ivi, pp. 307-320. Nonostante l’accordo relativo alla restituzione dei beni raggiunto nel trattato del 1725, durante la Guerra di Successione polacca le autorità borboniche effettuarono nuovi espropri a danno degli austracistas (o supposti tali), in particolare nel 1734 e nel 1737. Vedi al riguardo ALCOBERRO, El primer gran exilio, pp. 185, 211; LEÓN SANZ, Austracistas, p. 101. Ovviamente, dopo la conquista del Meridione continentale e della Sicilia da parte di Don Carlos, i sostenitori dei Borbone che erano stati oggetto di confische venti anni prima reclamarono la restituzione dei loro beni e titoli. 48 Su tali concetti si vedano i contributi contenuti nel già citato El exilio: debate para la historia. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 28 Prefazione esuli e i loro amici o parenti rimasti in Spagna49. Al di là del desiderio di lenire la “melanconia” tipica della condizione esistenziale dell’esilio e di intere famiglie smembrate dopo la fine del conflitto successorio, tali corrispondenze svolsero un chiaro significato politico: non a caso le leggi borboniche non solo proibivano i contatti epistolari con gli esuli, ma punivano i contravventori con la pena di morte in quanto rei di tradimento. L’obiettivo immediato degli epistolari segreti era infatti duplice: da una parte, infatti, i simpatizzanti austracistas presenti nelle varie regioni spagnole, soprattutto in Catalogna, passavano ai loro interlocutori informazioni sulla situazione politica generale della Spagna e, all’occorrenza, sulle misure intraprese dai comandi militari borbonici (informazioni che potevano rilevarsi utili alla resistenza attuata dai guerrilleros austracistas presenti in Catalogna); in cambio gli esuli si sforzavano di mantenere viva nei parenti e negli amici la speranza di un prossimo cambiamento del quadro politico internazionale e nazionale. La presenza di una vasta rete informativa nelle regioni dell’ex Corona d’Aragona è attestata almeno fino agli anni Trenta, come dimostrano le lettere intercorse tra Gregorio Mayans e il professore dell’Università di Cervera Josep Ignaci Graells: di questo epistolario colpisce non solo la persistente speranza di una restaurazione dell’antico statuto politico delle province “aragonesi”, ma soprattutto l’approfondita conoscenza delle trattative diplomatiche in corso e dei coevi dibattiti politici dell’ambiente austracista viennese. Tale sistema informativo, secondo alcuni studiosi, dimostrerebbe l’esistenza di un «esilio interno», parallelo a quello 49 ALCOBERRO, El primer gran exilio, pp. 200-203. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 29 «esterno», presente almeno in Catalogna e nel Regno di Valenza50. Sebbene la categoria di «exilio interior» sia stata recentemente contestata da alcuni specialisti dell’esilio repubblicano antifranchista, pare indubbio che gli esuli spagnoli filo-asburgici che erano riparati in Italia e in Austria potessero contare in patria su non pochi nuclei di simpatizzanti e di fiancheggiatori; nello stesso tempo è anche evidente che un vasto settore della società catalano-valenzana, in particolare le sue élites intellettuali, continuò a lungo (almeno fino alla Guerra di Successione polacca) a coltivare la speranza di una rivincita militare di Carlo VI e, quindi, della restaurazione dei fueros cancellati con la Nuova Planta borbonica e l’instaurazione del regime assolutista da parte della dinastia francese51. Tornando agli esuli e alle strategie da loro attuate per mantenere viva la propria identità “ispanica” plurale, una delle ragioni che convinse molti di loro a rimanere nella monarchia asburgica dopo il 1725 (oltre al fatto che buona parte degli esiliati era faticosamente riuscita a ricostruirsi un’esistenza e una carriera) fu la consapevolezza di aver ufficialmente ottenuto, nell’ambito dello Stato che li aveva accolti, il rango di “nazionalità”: una «nazione» la cui identità e i cui diritti erano tutelati non solo da istituzioni centrali come il Consiglio di Spagna e da una 50 A. ALCOBERRO, Exili interior i exili exterior: una correspondència austriacista inèdita (1721-1724), in «Estudis històrics i documents dels Arxius de Protocols», XXI (2003), pp. 321-360; G. MAYANS Y SISCAR, Epistolario, vol. XXI (Mayans y los austracistas), a cura di A. Mestre Sanchís, Valencia, Ayuntamiento de Oliva, 2006; A. MUÑOZ, J. CATÀ, Repressió borbònica i resistència catalana (1714-1736), Barcelona, Muñoz Catà Editors, 2005. 51 Alcoberro fa giustamente notare che anche tra i sostenitori dei Borbone non mancarono coloro, in particolare tra i nobili appartenenti all’ex Corona d’Aragona, che si mostrarono contrari all’assolutismo e favorevoli alla restaurazione di un regime pattista. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 30 Prefazione specifica fazione cortigiana, ma anche da ben precisi spazi di socialità collettiva che non tardarono a ricevere una sanzione ufficiale, soprattutto nella capitale52. A Vienna, infatti, la nutrita comunità di esuli spagnoli si coagulò intorno a determinate strutture e istituzioni, a cominciare da specifici luoghi di culto. Il monastero di Montserrat, la cui prima sede era sorta fin dal 1632 in ossequio alla nota devozione per la Vergine di Montserrat, divenne il luogo delle più importanti cerimonie collettive degli austracistas viennesi, oltre a fungere come loro parrocchia di riferimento. Ad esso di affiancò la chiesa dei trinitari scalzi sita in Alser Strasse, nella cui cripta vennero tumulati un discreto numero di emigrati di origine nobile e benestante, e quella dei cappuccini (Minoriternkirche): in quest’ultima trovò accoglienza il cosiddetto Tercer Orden Seráfico de los Españoles, una sorta di confraternita francescana che accoglieva laici che avevano fatto voto di castità, fondato dal frate catalano Josep Ballart53. Ma l’istituzione più rilevante della comunità iberica di Vienna fu certamente l’Ospedale degli Spagnoli, con l’annessa chiesa consacrata alla Virgen de la Merced, patrona di Barcellona. Costruita tra il 1717 e il 1718 con il decisivo sostegno finanziario dell’imperatore, la struttura sanitaria venne concepita con lo scopo di assistere gli emigrati spagnoli, in particolare gli anziani, gli infermi e i militari feriti, che rischiavano di non essere assistiti (in quanto stranieri) presso il locale Ospedale municipale; a questo scopo anche il personale che vi lavorava, dal direttore (Nicolau Cerdanya) ai medici e agli infermieri, era di origine spagnola o, comunque, parlava castigliano. Poiché al 52 Sulla questione cfr. ALCOBERRO, El primer gran exilio, pp. 191-194; LEÓN SANZ, Austracistas, pp. 106-107. 53 L’Ordine arrivò a includere, tra il 1729 e il 1739, 339 uomini e 261 donne. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 31 progetto e alla successiva direzione dell’Ospedale degli Spagnoli concorsero molti medici e docenti che erano appartenuti agli enti assistenziali o alle università dell’ex Corona d’Aragona, gli statuti della struttura ricalcarono quelli degli ospedali di Barcellona, Saragozza e Valenza: l’edificio venne perciò diviso in tre ali, destinate ad ospitare uomini, donne e malati mentali. Dopo quindici anni di attività, l’ospedale aveva assistito quasi 2.500 pazienti “spagnoli” di ogni sesso, età e condizione sociale. Alcuni di essi provenivano certamente anche dai territori italiani e fiamminghi poiché gli altari laterali presenti nella chiesa annessa erano consacrati a S. Gennaro, S.a Rosalia, S. Carlo Borromeo e S. Pietro (santo protettore dei valloni). Il che, ancora una volta, ci conferma l’ampiezza semantica che il termine español continuava a possedere: nella monarchia asburgica, ancora all’inizio del Settecento, con quell’aggettivo si qualificavano tutti i sudditi del re di Spagna e, quindi, di tutti i territori della monarchia composita spagnola. Poiché Carlo VI si considerò sempre l’unico sovrano legittimo di Spagna, è ovvio che fossero considerati sudditi “spagnoli” anche quei napoletani, siciliani e lombardi allora sottoposti alla sua sovranità. D’altra parte quest’ultimi non sempre dimostrarono di accettare tale ampia identità politica, per cui, di fronte allo sfruttamento finanziario esercitato dal Consiglio di Spagna e dalla Segreteria di Stato sui territori italiani, non mancarono di chiedere il rispetto delle leges patriae e delle loro peculiari autonomie: fatto, questo, che risulta alquanto paradossale, dal momento che ad essere criticati dai sudditi italiani non erano degli arrabbiati campioni dell’assolutismo francese, ma quegli spagnoli che avevano scelto l’esilio in quanto sostenitori degli antichi fueros della Corona d’Aragona. Uno degli effetti del drenaggio delle risorse dalle province italiane fu quindi lo sviluppo di una corrente d’opinione antispagnola che trovò una certa eco anche nella pubblicistica coeva. In particolare ad essere criticate erano Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 32 Prefazione due pratiche, sopra illustrate, volte a garantire il mantenimento degli esuli: il finanziamento delle pensioni e la concessione di uffici o di feudi/proprietà a detrimento dei sudditi locali. In realtà, soprattutto nel caso del Regno di Napoli, la diffusione di una leggenda nera antispagnola non poteva certo dirsi una novità, quanto piuttosto il riemergere di una riflessione antica che, fin dal Seicento, criticava lo sfruttamento, la corruzione e il mal governo attuato dagli spagnoli sulle popolazioni locali: uno dei settori più attivi della cultura napoletana del primo Settecento (si pensi ai testi di Paolo Mattia Doria) aveva censurato proprio il malgoverno del ramo spagnolo degli Austrias54. Sebbene molti di questi intellettuali e giuristi avessero aderito alla causa asburgica durante la Guerra di Successione, la tesi della rapacità e del fiscalismo degli spagnoli non era solamente un giudizio storico, ma poteva trovare una spiacevole conferma nelle cattive prassi attuate dal Consiglio di Spagna e dal marchese di Rialp nel Viceregno austriaco: per fare un solo esempio significativo, le proteste del ceto togato per l’abusiva assegnazione a «spagnuoli» di uffici destinati ai «nazionali» furono piuttosto frequenti. Quindi, le diffuse lamentele relative all’avidità degli spagnoli nell’acquisire prebende, uffici, pensioni, onori, dignità e titoli, sostenute dai giudizi che un settore consistente dell’intellighenzia italiana dell’epoca (pur filo-asburgica, come nel caso paradigmatico di Ludovico Antonio Muratori) dette 54 Sull’antispagnolismo italiano tra età moderna e contemporanea cfr. i saggi contenuti in A. MUSI (ed.), Alle origini di una nazione. Antispagnolismo e identità italiana, Milano, Guerini e Associati, 2003. Sul rafforzamento dei principali topoi della leyenda negra antispagnola nel corso del XVIII secolo cfr. anche M. VERGA, Decadenza italiana e idea d’Europa (XVII-XVIII secc), in «Storica», 22 (2001), pp. 7-33; M. VERGA, Tra decadenza e risorgimento. Discorsi settecenteschi sulla nazione degli italiani, in B. ALFONZETTI, M. FORMICA (ed.), L’idea di nazione nel Settecento, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2013, pp. 87-109; A. SPAGNOLETTI, Il dibattito politico a Napoli sulla successione di Spagna, in «Cheiron», XX, 39-40 (2003), pp. 267-310. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 33 della passata dominazione spagnola sull’Italia, finirono per cristallizzarsi in un topos della cosiddetta leyenda negra antispagnola: sarà poi la storiografia nazionalista austro-tedesca ed italiana, durante il XIX secolo, a trasformare il tema del malgoverno e della corruzione degli spagnoli in una vulgata i cui tratti essenziali sono sopravvissuti fino a pochi decenni fa55. Ma al di là della formazione di pervicaci paradigmi ideologici, appare comunque indubbio che ampi settori della società italiana, in particolare del Mezzogiorno, avessero reagito negativamente all’arrivo degli esuli, in particolare dei cosiddetti «nuovi gelsomini di Catalogna», a causa dell’evidente tendenza da parte di Carlo VI e del Consiglio di Spagna a favorirli in ogni ambito, specie nell’assegnazione delle cariche amministrative più prestigiose, e della loro accondiscendenza nel consentirgli di sfruttare le risorse locali: aspetto, quest’ultimo che era stato stigmatizzato anche da numerosi consiglieri e funzionari asburgici, sia a Vienna che altrove, fin dall’inizio della Guerra di Successione, come dimostra in maniera evidente la corrispondenza del duca di Moles56. L’altra faccia della medaglia, come abbiamo visto, era rappresentata dal fatto che quegli “spagnoli”, all’apparenza così rapaci ed avidi, erano pur sempre degli esuli che avevano perso tutto e che, quindi, cercavano di ricostruirsi uno status, una carriera, un patrimonio e un’esistenza in territori che, di fatto, consideravano la loro seconda patria. Un ulteriore strumento utilizzato dagli esuli austracistas per mantenere viva una memoria collettiva condivisa deve essere individuato nella loro riflessione politica. Già durante la Guerra di Successione si era sviluppato un dibattito storico-politico che, al di là degli scopi propagandistici immediati, aveva come obiet- 55 56 LEÓN SANZ, Austracistas, pp. 83-84, 90. VERGA, Il “Bruderzwist”, pp. 37-42. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 34 Prefazione tivo essenziale quello di mantenere viva la tradizione istituzionale e giuridica dell’ex Corona d’Aragona fondata sui fueros e sul “pattismo” di origine medievale. La concezione statuale di tipo “federale” sostenuta dagli esuli filo-asburgici non era solo una forma di governo, ma anche una ben specifica cultura giuridico-politica, la cui memoria venne pervicacemente mantenuta dai principali statisti e intellettuali austracistas durante l’esilio, in particolare da Juan Amor de Soria, Ramón Vilana Perlas, Josep Plantí e svariati autori anonimi57. Fino agli anni Quaranta del Settecento questo pensiero chiaramente anti-assolutista fu tutt’altro che un esercizio astratto o nostalgico. Al di là del richiamo polemico di tanti pamphlets austracistas all’impegno di difendere i fueros “aragonesi”, poi disatteso, che il governo inglese e lo stesso Carlo VI si erano assunti, si trattò di un pensiero vivo e «persistente», che, come hanno sostenuto Ernest Lluch e Joaquín Albareda, venne continuamente rielaborato, «purificato» e declinato attraverso più forme, generi o tradizioni: il proyectismo economico, il cameralismo, la teoria della “Ragion di Stato”, il pensiero contrattualista di matrice giusnaturalista, la letteratura utopistica, il repubblicanesimo58. Certamente, il trat- 57 J. ARRIETA ALBERDI, L’antítesi pactisme-absolutisme durant la guerra de Successió a Catalunya, in J. ALBAREDA (ed.), Del patriotisme al catalanisme: societat i política (segles XVI-XIX), Vic, Eumo Editorial, 2001, pp. 105-128; J. ALBAREDA, La Corona di Aragona durante la Guerra di Successione alla corona spagnola (1705-1714), in «Annali di Storia Moderna e Contemporanea», 13 (2007), pp. 9-24; J.J. VIDAL, La Guerra de Sucesión a la Corona de España. España dividida, in J.L. PEREIRA IGLESIAS (ed.), Felipe V de Borbón, 1701-1746. Actas del congreso de San Fernando (Cádiz) de 27 de noviembre a 1 de diciembre de 2000, Córdoba, Universidad de Córdoba, 2002, pp. 519580. 58 J.A. MARAVALL, Las tendencias de reforma política en el siglo XVIII español, in «Revista de Occidente», 52 (1967), pp. 53-82; J. M. TORRAS I RIBÉ (ed.), Escrits polítics del segle XVIII, 4 voll., Vic, Eumo Editorial, 1996Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 35 tato di Londra (1718) prima e la pace di Vienna (1725) poi rappresentarono un duro colpo per i sostenitori dei fueros dell’ex Corona d’Aragona perché in quelle occasioni Carlo VI aveva di fatto rinnegato gli impegni precedentemente assunti con i catalani in relazione alla restaurazione delle loro autonomie. Per cui, da questo memento in poi, iniziò a svilupparsi all’interno della riflessione politica austracista una corrente critica nei confronti dell’operato dell’imperatore (e della Gran Bretagna), che nel caso di alcuni pensatori – come il già ricordato Plantí – giunse fino a proporre la costituzione di una Repubblica catalana protetta dalle armi britanniche59. L’austracismo catalano, quindi, giunse a formulare un patriottismo in chiave repubblicana rispettoso del carattere plurinazionale e composito della “nazione” spagnola. 2006; E. LLUCH (ed.), Aragonesimo austracista. Conde Juan Amor de Soria, Zaragoza, Institución «Fernando el Católico», 2000; E. LLUCH (ed.), L’alternativa catalana (1700-1714-1740). Ramon de Vilana Perlas i Juan Amor de Soria: teoria i acció austriacistes, Vic, Eumo Editorial, 2000; E. LLUCH, Escritos aragoneses, a cura di A. Sánchez Hormigo, Zaragoza, Sansueña, 2005, pp. 109-216; J. ALBAREDA, Memòria, història i pensament polític a l’exili austracista. La crònica de la Guerra de Successió de Josep Plantí, in «Pedralbes. Revista d’Història Moderna», 23, II (2003), pp. 325344; J. ALBAREDA, Il movimento filo-asburgico. Il progetto di una Spagna alternativa (1705-1741), in «Cheiron», 39-40 (2003), pp. 79-104; J. ALBAREDA, El “cas dels catalans”. La conducta dels aliats arran de la Guerra de Successió (1705-1742), Barcelona, Fundació Noguera, 2005; J. ALBAREDA, La Guerra de Sucesión de España, Barcelona, Crítica, 2010, pp. 475-481; V. LEÓN SANZ, El conde Amor de Soria: una imagen austracista de Europa después de la Paz de Utrecht, in A. GUIMERÁ RAVINA, V. PERALTA RUIZ (eds.), El equilibrio de los imperios: de Utrecht a Trafalgar. Actas de la VIIIª reunión científica de la Fundación Española de Historia moderna (Madrid, 2-4 de junio 2004), vol. 2, Madrid, Fundación Española de Historia Moderna, 2005, pp. 133-154. 59 Cfr., oltre alla bibliografia citata nella nota precedente, cfr. ALCOBERRO, El primer gran exilio, pp. 203-210, 218-222. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 36 Prefazione Proprio all’opinione pubblica inglese si rivolgevano alcuni degli ultimi manifesti dell’austracismo «persistente» e più radicale come la Via fora als adormits (1734) e il Record de l’Aliança (1736) nel tentativo di dimostrare che l’applicazione dell’accordo stipulato a Genova nel 1705 tra gli emissari catalani e i diplomatici inglesi circa la nascita di uno Stato catalano indipendente era ancora valido e realizzabile. Si trattava, in realtà, del canto del cigno di un discorso politico di grande interesse perché variegato al suo interno e legato alla coeva riflessione teorica europea. Proprio la Guerra di Successione polacca rappresentò un indubbio spartiacque del lungo esilio austracista. Il conflitto, come è noto, si concluse con la cessione dei regni di Sicilia e di Napoli a Don Carlos di Borbone. Già durante il primo anno di guerra, la conquista militare borbonica del Mezzogiorno produsse una nuova ondata di esuli (la sesta, secondo Alcoberro), del tutto simile per consistenza quantitativa e caratteristiche “qualitative” a quella che si era verificata nel 1713-1714: infatti, gli austracistas spagnoli che allora si erano rifugiati nel Meridione furono costretti nuovamente a emigrare. Stavolta ad essi di aggiunsero migliaia di italiani filo-asburgici, in particolare nobili, militari e giuristi, i quali condivisero da allora in poi il destino degli austracistas di origine iberica. Per certi versi la situazione materiale dei nuovi esuli fu anche peggiore di quella sperimentata venti anni prima: la perdita dei territori dell’Italia del Sud provocò infatti non solo il collasso delle istituzioni centrali che avevano amministrato questo pezzo della monarchia asburgica (in particolare il Consiglio di Spagna, che smise di fatto di funzionare fin dal gennaio 1734, per poi essere sciolto definitivamente due anni dopo), ma soprattutto l’interruzione di quell’essenziale apporto finanziario su cui, fino ad allora, si era Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 37 retto il sistema pensionistico e di patronage ad uso e consumo degli austracistas60. Nel tentativo di affrontare la grave crisi socio-economica e di ordine pubblico creatasi con il massiccio afflusso di esuli in Lombardia e in Austria, in quella congiuntura il governo di Vienna riesumò alcuni progetti, discussi negli anni precedenti dal Consiglio di Spagna, che prevedevano l’utilizzo dei esuli spagnoli per popolare alcune regioni periferiche della monarchia, in particolare l’Ungheria, la Slavonia e i territori recentemente strappati all’Impero Ottomano61. Il progetto più interessante giunse però dall’esterno delle cancellerie imperiali: si tratta della Nueva colonia española eleborato da Plantí, significativamente rinvenuto presso la Biblioteca Braidense di Milano62. Qui l’intellettuale catalano, ibridando il genere utopico con il pensiero politico pattista di matrice “aragonese”, giungeva a proporre la fondazione di una colonia di austracistas in Ungheria, configurandola come uno stato indipendente, retto da istituzioni rappresentative elette a suffragio universale. La «Nuova Barcellona» vagheggiata da Plantí sull’esempio della Roma di Enea vedrà effettivamente la luce qualche anno dopo, anche se con caratteristiche sociali e politiche molto diverse. Infatti il nuovo esilio causato dalla perdita dei Regni di Napoli e Sicilia rese improvvisamente attuali le precedenti proposte, anche perché, rispetto alla mera accettazione dell’assolutismo borbonico e alle opzioni politiche prospettate dalla trattatistica politica austracista dal 1725 in poi, esisteva effettivamente una terza via e cioè la fondazione di una nuova patria in una delle terre di frontiera conquistate ai turchi. Quest’ultima 60 Ivi, pp. 185, 201-211; LEÓN SANZ, El Archiduque Carlos, pp. 320-327. ALCOBERRO, El primer gran exilio, pp. 206-207; ALCOBERRO, L’exili austriacista, vol. 2, pp. 38-41. 62 Il testo è stato pubblicato ivi, vol. 2, pp. 155-205. Vedi anche ALCOBERRO, El primer gran exilio, pp. 208-210. 61 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 38 Prefazione eventualità si realizzò effettivamente tra il 1735 e il 1736 nel Banato di Temesvar63. Il 4 ottobre 1734, nel corso di una riunione ministeriale, si decise di destinare un certo numero di esiliati spagnoli alla fondazione di una colonia nella regione del Banato conquistata all’Impero Ottomano durante la Terza Guerra turca: significativamente i due ministri spagnoli che parteciparono alla conferenza, il marchese di Rialp e il presidente del Consiglio di Spagna, il marchese di Villasor, espressero seri dubbi sulla riuscita del progetto. Una prima lista di “coloni” comprendeva 352 austracistas, anche se alla fine vennero individuati più di ottocento soggetti tra uomini, donne e bambini. È probabile che la scelta delle autorità asburgiche (le liste dei coloni vennero redatte da un funzionario del Consiglio di Spagna) cadesse su quegli esuli la cui esistenza dipendeva dalla carità statale e, quindi, erano considerati un peso per le finanze pubbliche: in effetti un documento del periodo afferma che i prescelti «casi todos son de aquellos que siempre han ido y van a pedir la limosna de Su Majestad Cesárea Católica, y deben mendigar para no morir de hambre»64. Lo scopo, quindi, era quello di ripopolare una zona scarsamente abitata di recente acquisizione per far sviluppare le attività agro-pastorali ed artigianali locali, in linea con le idee economiche popolazioniste tipiche del mercantilismo e del cameralismo dell’epoca. Tra i selezionati figuravano anche numerosi napoletani e siciliani recentemente giunti in Austria a causa della Guerra di Successione polacca: è stato calcolato che circa il 15% della popolazione finale della colonia fosse composta da italiani. Tra l’autunno del 1735 e l’estate del 1737 nel luogo prescelto per la fondazione della nuova città, l’attuale Zrenjanin in 63 Ivi, pp. 206-217; A. ALCOBERRO, La “Nova Barcelona” del Danubi (17351738). La ciutat del exiliats de la Guerra de Successió, Barcelona, Rafael Dalmau, 2011; LEÓN SANZ, Austracistas, p. 104. 64 ALCOBERRO, El primer gran exilio, p. 213. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 39 Voivodina, giunsero 852 individui, in larga maggioranza catalani, tra cui 250 bambini. L’esistenza della nuova comunità, che contava anche serbi, tedeschi e rumeni, fu da subito difficile: l’età media piuttosto elevata dei coloni e l’alto numero di vedovi e di celibi non permise di incrementare la popolazione, né di far decollare la produzione agricola. Lo scoppio della Quarta Guerra turca (1737-1739) fece il resto. Durante il conflitto, infatti, si sviluppò in tutta la Serbia settentrionale un’epidemia di peste che falcidiò anche la popolazione di Zrenjanin. Così già nel corso del 1737 iniziò una penosa re-emigrazione in direzione dell’Austria; alla fine del conflitto rientrarono dal Banato 347 esuli, molti dei quali bambini orfani. La vicenda della «Nuova Barcellona del Danubio» può essere considerata, anche simbolicamente, l’epilogo del lungo esilio austracista. Come tutti gli esili, anche quello dei sostenitori spagnoli di Carlo VI terminò, nel corso degli anni Quaranta-Cinquanta del Settecento, con la scomparsa della prima generazione di emigrati, con il ritorno di un certo numero di essi nello Stato che li aveva espulsi e con la definitiva integrazione dei loro figli (la seconda generazione) nelle varie province della monarchia asburgica. Come spesso capita agli esiliati in ogni periodo e in ogni contesto, molti austracistas finirono per accettare la loro condizione e, quindi, si adattarono a vivere in una nuova patria, affidando ad essa la loro eredità ideale e materiale. Nel caso degli emigrati spagnoli filo-asburgici gli esempi di tale processo di adattamento e di trasmissione “culturale” potrebbero essere molteplici. Per tutti valga quello dell’attuale Biblioteca Nazionale di Vienna, figlia della Hofbibliotek: se oggi essa possiede tante pregevoli collezioni di libri, segnatamente iberici, lo si deve anche al fatto che il nucleo librario originario provenne dalla fusione, decretata da Carlo VI nel 1723, delle “librerie” personali del principe Eugenio di Savoia e dell’ex arcivescovo di Valencia e Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 40 Prefazione primo presidente del Consiglio di Spagna in esilio, Antonio Folch de Cardona65. Conclusioni Nel corso del mio contributo ho cercato di passare in rassegna i tratti salienti dell’esilio degli austracistas spagnoli. A conclusione del saggio desidero elencare, in forma empirica e del tutto rapsodica, gli aspetti che lo rendono, a mio parere, un tema di grande interesse, mettendone in rilievo anche alcuni elementi metastorici che appaiono ricorrenti in qualsiasi “diaspora”. Credo che quest’ultima operazione sia di una certa utilità per chi voglia leggere la storia spagnola, europea e mondiale attraverso il prisma dell’esilio: si tratta, quindi, di riprendere alcune delle indicazioni metodologiche da cui sono partito all’inizio del mio testo. Quella austracista fu, in primo luogo, un’emigrazione di tipo politico perché scaturì da una guerra civile, da una sconfitta militare e da una serie di misure repressive attuate dai vincitori (almeno nella penisola iberica), i Borbone. Come spesso accade ai transfughi, la confisca delle loro proprietà fu la misura punitiva che più di ogni altra venne utilizzata dal nuovo regime per rendere vigente ed operativa l’esclusione degli oppositori politici dalla società a cui appartengono. Secondariamente, gli esuli spagnoli filo-asburgici dimostrarono una straordinaria capacità non solo nell’integrarsi all’interno della monarchia composita asburgica, ma anche nel preservare una memoria collettiva condivisa attraverso una serie di strategie culturali, politiche, sociali ed economiche. In particolare gli austracistas, specie le loro élites intellettuali, seppero 65 Ivi, p. 219; LEÓN SANZ, Austracistas, p. 107. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 41 reagire allo sradicamento, all’alienazione e alla nostalgia prodotti dall’esilio elaborando un pensiero politico originale, fondato su un patriottismo rispettoso dei caratteri plurali della “nazione” spagnola e delle loro autonomie politiche. Questo tipo di risposta, comunque, è piuttosto comune tra gli esiliati di ogni tempo e contesto. Molto spesso, infatti, la riscoperta (o la rielaborazione) delle proprie radici “nazionali” ed identitarie viene stimolata proprio dalla condizione esistenziale legata all’emigrazione e dal confronto-scontro con la cultura autoctona del contesto in cui si vive l’esilio (che molto spesso diventa una seconda patria): fu ciò che avvenne anche ai gesuiti spagnoli espulsi (per ironia della sorte, soprattutto a quelli valenzano-catalani) i quali, una volta giunti in Italia, si trasformarono in arrabbiati apologeti delle Glorias de España in polemica con i letterati italiani e i philosophes. È probabile che anche l’iniziale rigetto che l’arrivo degli austracistas spagnoli aveva suscitato a più livelli – presso i circoli di potere a Vienna, ma anche tra la popolazione – abbia accentuato la tendenza a ripensare e rivendicare una propria identità; come spesso accade ai rifugiati politici, anche i sostenitori spagnoli di Carlo VI vennero considerati dei “privilegiati” dalle popolazioni che li accolsero: essi vennero accusati essere dei parassiti e di drenare indebitamente le risorse finanziarie della monarchia asburgica che li aveva accolti, segnatamente dei suoi territori italiani. La realtà cambia se ci poniamo dal punto di vista dei transfughi: dopo aver perso tutto, interi nuclei familiari di ogni estrazione sociale cercarono faticosamente di ricostruirsi in Austria, Italia, Ungheria un’esistenza, cominciando da un reddito e uno status minimi. Il potere pubblico, come solitamente succede (anche in epoche più recenti) agli esiliati che giungono da scenari di guerra, accompagnò tale processo organizzando un sistema assistenziale e “pensionistico” necessario a superare l’iniziale situazione di emergenza causata dal massiccio Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 42 Prefazione arrivo di esuli nullatenenti. Con il tempo la macchina amministrativa che somministrava gli aiuti economici e le prassi che la guidavano si stabilizzarono, suscitando le inevitabili proteste di chi si sentiva escluso o sfruttato da esse: fu il caso, come abbiamo visto, del ceto togato napoletano. Infine, quello degli austracistas fu indubbiamente uno degli esodi più massicci, da un punto di vista quantitativo e qualitativo, della storia spagnola: da questo punto di vista, fatte le debite proporzioni, si trattò di un esilio comparabile a quello cui furono costretti i repubblicani anti-franchisti dopo il 1939. Naturalmente Filippo V non è Franco, né appare corretto associare la Nueva Planta borbonica all’instaurazione della dittatura franchista. Eppure, come ha recentemente sottolineato Bernardo García García, un settore dell’attuale cultura storiografica catalana, vicina alle posizioni dei nazionalisti e degli indipendentisti, tende a leggere in chiave attualizzante e ideologica la Guerra di Successione spagnola e l’esilio degli autracistas che da essa scaturì: si tratta di una tendenza che, sostenuta con forza dalla politica culturale della Generalitat catalana fin dalle celebrazioni del tricentenario della caduta di Barcellona (1714-2014), rischia di conoscere una pericolosa radicalizzazione dopo il referendum indipendentista dell’ottobre 2017. Fermo restando la necessità che lo storico tragga dalla propria contemporaneità le domande da porre al passato, nel momento in cui si forniscono delle risposte di taglio anacronistico, attualizzanti o condizionate dalla vis ideologica, egli abdica al suo ruolo. Che è poi quello di spiegare e interpretare il passato; nulla poi impedisce di provare una naturale empatia per persone, vissute trecento anni fa, di cui si ricostruisce la vita con l’apporto della documentazione archivistica. Il recente successo conosciuto dalla Public History in Europa e nel mondo intero dimostra il ruolo centrale che la nostra disciplina continua ad avere nella formazione di un consapevole Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 43 spirito critico contro ogni forma di intolleranza e di nazionalismo. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 44 Prefazione Bibliografia ABELLÁN J.L., El exilio como constante y como categoría, Madrid, Biblioteca Nueva, 2001 ABELLÁN J.L. (ed.), El exilio español de 1939, 6 voll., Madrid, Taurus, 1976-1978 ALBAREDA J., El “cas dels catalans”. 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Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 45 ALBAREDA J., La Guerra de Sucesión de España, Barcelona, Crítica, 2010 ALBAREDA J., Memòria, història i pensament polític a l’exili austracista. La crònica de la Guerra de Successió de Josep Plantí, in «Pedralbes. Revista d’Història Moderna», 23, II (2003), pp. 325-344 ALBAREDA J., Represión y disidencia en la Cataluña borbónica (1714-1725), in A. MESTRE SANCHÍS, E. GIMÉNEZ LÓPEZ (eds.), Disidencias y exilios en la España moderna, Alicante, Universidad de Alicante, 1997, pp. 543-555 ALCOBERRO A., Catalans a les guerres turques (segles XVIXVIII), in Princeses de terres llunyanes. Catalunya i Hongria a l’edat mitjana, Barcelona, Generalitat de Catalunya, 2009, pp. 433-449 ALCOBERRO A., El primer gran exilio político hispánico: el exilio austracista, in J. ALBAREDA (ed.), El declive de la monarquía y del imperio español. 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ÁLVAREZ-OSSORIO ALVARIÑO, B.J. GARCÍA-GARCÍA, V. LEÓN SANZ (eds.) La pérdida de Europa. La guerra de Sucesión por la Monarquía de España, Madrid, Fundación Carlos de Amberes, 2007, pp. pp. 551-566 GIMÉNEZ LÓPEZ E., Gobernar con una misma ley. Sobre la Nueva Planta borbónica en Valencia, Alicante, Universidad de Alicante, 1999 GIMÉNEZ LÓPEZ E., Jesuitas, in J. CANAL (ed.), Exilios. Los éxodos políticos en la Historia de España. Siglos XV-XX, Madrid, Sílex, 2007, pp. 113-136 GIMÉNEZ LÓPEZ E., La Nueva Planta y la Corona de Aragón, in J. FERNÁNDEZ GARCÍA, M.A. BEL BRAVO, J.M. DELGADO BARRADO (eds.), El cambio dinástico y sus repercusiones en la España del Siglo XVIII. Homenaje al Dr. Luis Coronas Tejada, Jaén, Universidad de Jaén-Exc.ma Diputación Provincial de Jaén, 2000, pp. 29-42 GIMÉNEZ LÓPEZ E. 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Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 51 LEÓN SANZ V., Austracistas, in J. CANAL (ed.), Exilios. Los éxodos políticos en la Historia de España. Siglos XV-XX, Madrid, Sílex, 2007, pp. 75-115 LEÓN SANZ V., De rey de España a emperador de Austria: el archiduque Carlos y los austracistas españoles, in E. SERRANO MARTÍN (ed.), Felipe V y su tiempo. Congreso internacional, vol. 1, Zaragoza, Institución Fernando el Católico, 2004, pp. 747-774 LEÓN SANZ V., El Archiduque Carlos y los austracistas. Guerra de Sucesión y exilio, Sant Cugat, Editorial Arpegio, 2014 LEÓN SANZ V., El conde Amor de Soria: una imagen austracista de Europa después de la Paz de Utrecht, in A. GUIMERÁ RAVINA, V. PERALTA RUIZ (eds.), El equilibrio de los imperios: de Utrecht a Trafalgar. 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Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 52 Prefazione LEÓN SANZ V., La Secretaría de Estado e del Despacho Universal del Consejo de España, in «Cuadernos de Historia Moderna», XVI (1995), pp. 239-257 LEÓN SANZ V., Los españoles austracistas exiliados y las medidas de Carlos VI (1713-1725), in «Revista de Historia Moderna», 10 (1991), pp. 165-176 LÉON SANZ V., Los funcionarios del Consejo supremo de España en Viena (1713-1725), in L.M. ENCISO RECIO (ed.), La burguesía española en la Edad Moderna, vol. 2, Valladolid, Universidad de Valladolid, 1996, pp. 893-904 LEÓN SANZ V., Patronazgo político en la Corte de Viena: los españoles y el Real Bolsillo Secreto de Carlos VI, in «Pedralbes. Revista d'Història Moderna», XVIII, 2 (1998), pp. 577-598 LEÓN SANZ, V., Represión borbónica y exilio austracista al finalizar la Guerra de Sucesión española, in A. ÁLVAREZ-OSSORIO ALVARIÑO, B.J. GARCÍA-GARCÍA, V. LEÓN SANZ (eds.), La pérdida de Europa. La guerra de Sucesión por la Monarquía de España, Madrid, Fundación Carlos de Amberes, 2007, pp. 567589 LEÓN SANZ V., SÁNCHEZ BELÉN J.A., Confiscación de bienes y represión borbónica en la Corona de Castilla a comienzos del siglo XVIII, in «Cuadernos de Historia Moderna», 21 (1998), pp. 125-175 LIDA C.E., Inmigración y exilio. Reflexiones sobre el caso español, México, Siglo Veintiuno, 1997 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 53 LLORENS V., Estudios y Ensayos sobre el exilio repubblicano de 1939, a cura di M. Aznar Soler, Sevilla, Editorial Renacimiento, 2006 LLUCH E., Aragonesimo austracista. Conde Juan Amor de Soria, Zaragoza, Institución «Fernando el Católico», 2000 LLUCH E., Escritos aragoneses, a cura di A. Sánchez Hormigo, Zaragoza, Sansueña, 2005 LLUCH E. (ed.), L’alternativa catalana (1700-1714-1740). 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Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 56 Prefazione TORRAS I RIBÉ J.M., Felip V contra Catalunya: testimonis d’una repressió sistemàtica, (1713-1715), Barcelona, Rafael Dalmau, 2005 TORRAS I RIBÉ J.M., LLUCH E., ALABRÚS R. Mª., ALBAREDA J. (eds.), Escrits polítics del segle XVIII, 4 voll., Vic, Eumo Editorial, 1996-2006 VERGA, M., Appunti per una storia del Consiglio di Spagna, in G. BIAGIOLI (ed.), Ricerche di Storia Moderna. In onore di Mario Mirri, vol. IV, Pisa, Pacini Editori, 1995, pp. 561-576 VERGA, M., Decadenza italiana e idea d’Europa (XVII-XVIII secc), in «Storica», 22 (2001), pp. 7-33 VERGA M., Dilatar l’Impero in Italia. Asburgo e Italia nel primo Settecento, n. mon. di «Cheiron», 21 (1994) VERGA, M., Il “Bruderzwist”, la Spagna, l’Italia. Dalle lettere del duca di Moles, in «Cheiron», 21 (1994), pp. 13-53 VERGA M., Il “sogno spagnolo” di Carlo VI. Alcune considerazioni sulla monarchia asburgica e i domini italiani, in C. MOZZARELLI, G. OLMI (eds.), Il Trentino nel ‘700 fra Sacro Romano Impero e antichi Stati italiani, Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 203-261 VERGA, M., Le istituzioni politiche, in G. GRECO, M. ROSA (eds.), Storia degli antichi stati italiani, Roma-Bari, Laterza, 1990, pp. 3-58 VERGA M., Sotto l’ala dell’aquila. Gli Asburgo e l’Italia, in «Storia e dossier», VIII (1993), pp. 67-97 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Prefazione 57 VERGA M., Tra decadenza e risorgimento. Discorsi settecenteschi sulla nazione degli italiani, in B. ALFONZETTI, M. FORMICA (eds.), L’idea di nazione nel Settecento, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2013, pp. 87-109 VERGA M., Tra Sei e Settecento: un’“età delle pre-riforme”?, in «Storica», 1 (1995), pp. 89-121 VIDAL J.J., La Guerra de Sucesión a la Corona de España. España dividida, in J.L. PEREIRA IGLESIAS (ed.), Felipe V de Borbón, 1701-1746. Actas del congreso de San Fernando (Cádiz) de 27 de noviembre a 1 de diciembre de 2000, Córdoba, Universidad de Córdoba, 2002, pp. 519-580 VILAR J.B., La España del exilio. Las emigraciones políticas españolas en los siglos XIX y XX, Madrid, Síntesis, 2006 (2a ed. 2012) VILLAVERDE RICO M.J., CASTILLA URBANO F. (eds.), La sombra de la leyenda negra, Madrid, Tecnos, 2016 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 58 Introduzione di Fabio D’ANGELO Vite di esuli. Percorsi artistici, politici e professionali dal Cinquecento al Novecento propone nuovi contributi sul tema dell’esilio mettendo al centro della riflessione, rispetto al primo numero di Viaggiatori, l’analisi dei percorsi biografici di quanti vissero quell’esperienza. La categoria di individuo si è rivelata infatti particolarmente funzionale a descrivere e a comprendere meglio l'intensa circolazione di donne e di uomini costretti ad abbandonare le loro patrie d’origine e a cercare accoglienza altrove. Focalizzando l'attenzione sugli studi, sull'attività artistica, scientifica, nonché politica di singole persone si è potuto risalire a questioni più generali quali ad esempio le modalità di accoglienza e di gestione degli esuli e dei rifugiati politici, le interazioni con le società d’arrivo. Nel racconto autobiografico di Benvenuto Cellini (Véronique Mérieux, La maïeutique de l’exil, 1540. Naissance bellifontaine d’un sculpteur toscan : Benvenuto Cellini) l’esperienza dell’incarcerazione e dell’esilio rappresenta un momento decisivo in cui iniziano a maturare e a manifestarsi i suoi talenti di scultore. In esso, il narratore Cellini rivive la storia della metamorfosi profonda e imminente del suo essere artista-orafo, annunciando la nascita della nuova figura di scultore. Un processo che ha origine durante la prigionia ma che matura completamente in seguito al confronto di Cellini con l'ostile società di corte di Fontainebleau durante l’esilio. Un clima di ostilità che spinge l'artista fiorentino a mobilitare risorse inedite che lo renderanno uno scultore di grande spessore. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 59 L’esilio come momento determinante di trasformazione artistica caratterizza, qualche secolo più tardi rispetto a Benvenuto Cellini, pure il percorso di Jacques-Louis David (Laura Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio in Jacques-Louis David). L’analisi della produzione realizzata durante il soggiorno forzato a Bruxelles permette di far emergere l’idea di libertà concepita dal pittore parigino e di comprendere inoltre se le sue opere siano testimonianza «di uno straniamento o di una nuova estetica». In un’Europa di importanti trasformazioni culturali e politiche, a partire dagli anni Quaranta del Settecento, una famiglia di nobili veneziani decaduti parte in esilio verso il Regno di Napoli (Antonio D’Onofrio, Una famiglia di esuli. I Gicca nel Regno di Napoli). Da evento penalizzante, l’emigrazione forzata diventa per il conte Strati Gicca e i suoi familiari l’occasione per rilanciare le carriere legando i propri destini a quelli di un regno che con Carlo di Borbone ambisce a imporsi nel consesso delle potenze europee. Il caso Gicca mette inoltre in evidenza come in alcuni casi l’esilio possa concludersi con il ritorno in patria, seppur sotto altra veste: se Strati Gicca abbandona Venezia per raggiungere Napoli, l’erede del console, Michele, ritorna nella città lagunare in qualità di agente diplomatico dello Stato che l’ha accolto. A partire dall’analisi di diverse fonti, corrispondenze epistolari, memorie, diari di viaggio, giornali, relazioni diplomatiche, e soffermandosi sulla creazione della Legione Agricola-Militare, attiva in Argentina tra il 1855 e il 1859, è stato possibile individuare nell’esilio post-quarantottesco un’esperienza emblematica di diaspora transnazionale (Alessandro Bonvini, «L’aratro e la spada». Gli esuli italiani oltre la frontiera argentina, 1855-1859). Descrivendo inoltre le origini e gli sviluppi della colonia Nuova Roma, a partire da alcuni percorsi biografici come quelli di Silvino Olivieri, è stato possibile inserire la storia Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 60 della mobilità politica del secondo Ottocento verso l’Argentina nel più ampio contesto delle emigrazioni politiche transnazionali e, soprattutto, atlantiche di fine XIX secolo. Soffermarsi sul progetto di fondazione della colonia Nuova Roma ha permesso pure riflettere sul problema della frontiera interna argentina, sulla presenza di civiltà indigene e sulla colonizzazione delle aree rurali remote. Negli anni Settanta del Novecento la stessa regione del Cono Sud, già meta privilegiata di emigrati politici provenienti dall’Europa nella seconda metà dell’Ottocento, fu teatro di numerosi colpi di Stato, preludio di feroci dittature (Giulia Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà: il caso degli esuli argentini in Italia negli anni Settanta e Ottanta). L’unica possibilità per sfuggire a sequestri, torture, sparizioni e violenze, fu l’esilio volontario. Tanti argentini scelsero l’Italia. E le loro storie raccontano delle numerose difficoltà affrontate nella Penisola non potendo contare sul diritto all’asilo politico e su altri sostegni da parte dello Stato italiano, ricevendo tuttavia una solidarietà dal basso. Altri attori si mobilitarono infatti a sostegno della causa argentina: membri di alcuni partiti politici, sindacati, partigiani. I percorsi biografici di Ranavalona III, regina del Madagascar costretta all’esilio in Algeria nel 1897, e di Mohammed V, sultano del Marocco che compie il tragitto inverso raggiungendo come esule nel 1953 la città malgascia di Antisirabe, illustrano come l’esilio dei due sovrani abbia caratterizzato le società colonizzate del Madagascar e del Marocco (Frédéric Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef: deux exils en effet de miroir dans l’Empire colonial français). Nel primo caso, la destituzione di un sovrano apre la strada ad altre opzioni politiche. Tuttavia, se Ranavalona III, il suo Primo ministro e altri dignitari partono in esilio restando lontano dal Madagascar fino alla morte, altri malgasci si spostano in Francia per rafforzare il loro Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 61 status, oppure si servono del soggiorno in Europa per esplorare nuove forme di mobilitazione. Nel caso invece di Mohammed V, l’esilio è di breve durata e si compie in due momenti compresi tra la guerra d’Indocina (1946 – 1954) e quella d’Algeria (1954 – 1962) prefigurando così una traiettoria e un percorso completamente differenti rispetto a quello della regina Ranavalona III. In aiuto dei rifugiati politici provenienti dalle Ardenne corre l’associazione parigina Fraternelle Ardennaise che attraverso il giornale L’Ardennais de Paris, creato a sostegno di donne e di uomini costretti ad abbandonare le loro terre d’origine di fronte all’avanzata tedesca durante la Grande Guerra (Nicolas Charles, Accueillir les réfugiés ardennais à Paris entre 1914 et 1918), si impegnò a facilitare l’arrivo e la sistemazione dei rifugiati durante il conflitto. L’esilio come trasformazione di un’esperienza negativa, determinata dalla pubblicazione in Italia delle leggi razziali, in occasione di crescita professionale individuale, nonché di importanti risvolti scientifici, economici e culturali per il paese ospitante caratterizza la storia di Robert Fano, scienziato italoamericano di origini ebraiche, fondatore della Computer Science al Massachusetts Institute of Technology di Boston (Benedetta Campanile, Robert Fano e il coraggio di vivere il “non luogo”). Il sogno infine di fare fortuna altrove rappresenta il racconto delle disavventure di due giovani camerunensi, Jojo e Charlie, che raggiungono la Francia dopo numerose peripezie (Pierre Suzanne Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé. Une esthétisation du rêve hypothéqué dans Le paradis du Nord de Jean-Roger Essomba). L'attenzione riservata all'individuo, alla sua formazione, alla partecipazione politica è stata considerata in ultima analisi elemento centrale del secondo numero per la possibilità di mettere in risalto la poliedricità di singole persone e di accogliere argomenti, aspetti e problematiche interdisciplinari. La scelta di Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 62 utilizzare lo studio del percorso biografico di alcuni emigrati forzati è stata inoltre funzionale alla ricostruzione dei diversi rapporti tra l’ambiente originario e il contesto culturale, politico e professionale di accoglienza. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 63 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 64 Mérieux, La maïeutique de l’exil DOSSIER MONOGRAFICO ARTICOLI La maïeutique de l’exil, 1540. Naissance bellifontaine d’un sculpteur toscan : Benvenuto Cellini di Véronique MERIEUX Université de Nice Sophia Antipolis, Membre de l’Université Côte d’Azur DOI 10.26337/2532-7623/MERIEUX Riassunto : L’articolo analizza nella celebre autobiografia di Benvenuto Cellini le tre tappe del processo d’identificazione dell’orefice alla propria identità di scultore, dalla partenza da Roma nel 1540 all’esilio parigino di cinque anni al servizio di Francesco fino al ritorno fiorentino nel 1545. L’articolo osserva i meccanismi complessi della metamorfosi avviata dall’esilio e la successiva identificazione dell’artista alla propria identità di scultore compiutasi a Firenze dalla statua del Perseo. Abstract: Benvenuto Cellini arrived in Fontainebleau in 1540 at the François Ier's court, as a simple silversmith and medalmaker. The hostility he met upon his arrival motivated his ambition to stand out as a sculptor of large format. His autobiography narrative delivers us the complex mechanisms of this painful fulfillment sketched during and because of his exile, and which only his Perseus in Florence his native city achieved. Keywords: Cellini - Fulfillment - Fontainebleau Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 65 Sommario: Introduction – En chemin vers l’identité de sculpteur : l’étape avortée premier voyage vers la France – Le préalable de l’incubation du sculpteur dans le vase clos carcéral romain – La poursuite heureuse du processus de gestation : l’installation française révélatrice d’un autre lui-même – Les limites du sculpteur en herbe confronté au contexte parisien – L’identification ultime : la naissance concomitante dans la douleur du Persée et du sculpteur – Conclusion – Bibliographie Saggio ricevuto in data 2 maggio 2017 – Versione definitiva ricevuta in data 23 dicembre 2018 Introduction Lorsqu’en 1540, Benvenuto Cellini quitte Rome pour Fontainebleau à l’invitation de François Ier, il n’est encore qu’un simple et talentueux orfèvre cantonné à la fabrication de vases, chandeliers et médailles au service de Paul III. Parti une première fois en France en 1537, puis soupçonné à son retour à Rome de vol et emprisonné en 1538 au château Saint-Ange, son second départ suit immédiatement ses deux années d’incarcération. Le récit que Cellini nous livre dans sa célèbre autobiographie1 de la douloureuse expérience de son emprisonnement romain, apparaît comme celui d’une radicale mue, d’une “incarcération libératrice” à la paradoxale vertu maïeutique. Ce récit préfigure à nos yeux la profonde et imminente métamorphose française de simple orfèvre à sculpteur, dont l’exil parisien qui suit son emprisonnement sera le catalyseur et dont le récit autobiographique fait état. C’est en effet dès sa sortie de prison que Cellini, comme délesté de sa dépouille d’orfèvre, prend en 1540 le chemin de la cour de François Ier où officient déjà le Rosso et Primatice. 1 B. CELLINI, La Vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze (1558), Einaudi, Torino, 1973. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 66 Mérieux, La maïeutique de l’exil Amorcé par la métamorphose carcérale, le processus de transformation de l’artiste se poursuivra à la faveur de la nouvelle dynamique artistique de la société parisienne qui l’accueille. C’est là, dans un relatif isolement de ses compatriotes installés à Fontainebleau et stimulé par les commandes royales sur lesquelles nous reviendrons que l’artiste débute, sans toutefois l’accomplir, sa transformation en sculpteur de grand format et inaugure une carrière de sculpteur dont la réalisation du Persée viendra postérieurement confirmer à Florence la concrétisation. En prenant pour objet les récits successifs de son incarcération romaine puis de sa confrontation à l’exil français et de son retour toscan, notre étude examinera les mécanismes complexes qui cisèlent dans l’autobiographie de Cellini les contours de sa figure naissante de sculpteur. Précisons qu’il ne s’agira pas ici de vérifier la véracité des dires de Cellini relatifs à ses séjours. La critique littéraire a déjà amplement exploré les liens existant entre la construction romanesque2 du récit de mémoire de l’artiste et le démenti rigoureux de l’histoire qui vient parfois contredire sa véracité, révélant la fréquente rupture chez Cellini du 2 A. BIANCOFIORE, Benvenuto Cellini artiste-écrivain: l'homme à l'œuvre, Paris, L’Harmattan, 2000.; C. TERREAUX-SCOTTO, Les nouvelles dans la Vita de Benvenuto Cellini, « Cahiers d’études italiennes », 10 (2010), pp. 129-155. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 67 pacte autobiographique défini par Lejeune3. Les travaux d’historiens ont par ailleurs tour à tour contesté (Limier4) ou, plus récemment, partiellement attesté la véracité des dires de l’artiste (Pope Henessy5, Calamandei6, Jestaz7). Nous nous intéresserons à la reconstitution autobiographique que l’artiste nous livre de son exil à la cour de France, mais notre curiosité se focalisera principalement sur sa perception du “déplacement” qu’il peine à opérer alors vers son identité de sculpteur en herbe et sur les défaillances que seul le défi du retour en terre toscane permettra de résoudre. Nous observerons ainsi les étapes de l’itinéraire décrit, telles que formulées par l’artiste, vers sa finale transformation libératrice. La première étape observée sera celle de la dislocation romaine et carcérale de son identité première d’orfèvre. Nous y constaterons que Cellini nous rend alors témoin d’une première transfiguration, préalable à celle dont le séjour de 4 ans à Paris constituera la seconde étape. Nous observerons ensuite l’accomplissement artistique que l’artiste dit vivre à la faveur de l’exil français auquel il est contraint par la défiance de ses mécènes italiens. C’est dans le récit de cette expatriation “palliative” que nous en décèlerons 3 P. LEJEUNE, Le Pacte autobiographique, Paris, Seuil, coll. « Poétique », 1975. 4 L. DIMIER, Benvenuto Cellini à la cour de France, in « Revue archeologique », 32, Paris, (1898), pp. 241- 276. 5 J. POPE-HENESSYJ, Benvenuto Cellini, Paris, Hazan, 1985 [or. anglais 1949]. 6 « Il serait aisé de conduire dans cette documentation une sorte de vérification systématique de la véracité de la Vita, qui trouverait dans ces documents beaucoup plus de confirmations que de démentis. », P. CALAMANDREI, Scritti inediti celliniani, Florence, Nuova Italia, 1971. 7 B. JESTAZ, Benvenuto Cellini et la cour de France (1540-1545), in « Bibliothèque de l'école des chartes », Paris-Genève, Librairie Droz, Volume 161, 1, (2003). pp. 71-132. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 68 Mérieux, La maïeutique de l’exil les paramètres complexes et les perceptibles failles de son accomplissement. Ce seront enfin les mécanismes de l’affirmation de son identité de sculpteur, ébauchée mais inachevée dans l’exil, et avérée lors du retour en Toscane qui occuperont le dernier temps de notre étude. L’identité de sculpteur de Cellini s’affirmera ainsi au terme de notre étude non comme une donnée avérée dès son déplacement en France mais comme le fruit d’un long et progressif processus d’identification8 dont l’exil ne fut pour l’artiste qu’un puissant révélateur. En chemin vers l’identité de sculpteur : l’étape avortée premier voyage vers la France. Avant que de cheminer vers cet autre lui-même et de rencontrer son identité de sculpteur à l’occasion de la fonte du Persée, il fallait à Cellini se délivrer de son enveloppe première d’orfèvre pour entamer son long processus d’“identification”. Ce terme, emprunté au sociologue Daniel Fassin, cristallise le paradoxal cheminement que l’individu doit emprunter pour résoudre les potentialités multiples de son identité, située au carrefour de celle qu’il revendique, de celle à laquelle il est assigné et de celle qui le désigne et qualifie selon les observateurs extérieurs. Il nous semble que les paradoxes dialectiques de cette identité complexe, entre assignation, adhésion à une assignation et revendication propre de son identité, constituent le socle de la construction complexe de l’identité revendiquée de sculpteur de Cellini à laquelle l’exil français l’autorisa en quelque sorte. 8 M. CASTRA, Identité, Les 100 mots de la sociologie, Paugam Serge (dir.), Paris, PUF, coll. « Que Sais-Je ? », 2010, pp. 72-73. R. GALLISSOT, Sous l’identité, le procès d’identification, in « L'Homme et la société », Volume 83, 1, Paris, 1987, pp. 12-27. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 69 Les circonstances de la genèse de son autobiographie relatées par Cellini au chapitre XII de son Traité Dell’oreficeria9, nous livrent à ce sujet une première clé. Cellini y fait état du sentiment de frustration et d’inaccomplissement qui accompagne alors l’exercice de son métier. Cellini nous confie commencer à rédiger sa vie en avril 1554, après qu’a été dévoilée à Florence sa statue du Persée sur la place de la Seigneurie. Après plusieurs mois d’un travail acharné semé d’obstacles financiers et techniques, Cellini espère alors de ses pairs toscans et de Cosme Ier de Médicis, une reconnaissance à la hauteur de l’œuvre réalisée de haute lutte. Il ne reçoit en retour que l’inexplicable hostilité du Duc qui l’assigne au désœuvrement. C’est sur le fond de ce sentiment d’entrave et de frustration, mêlé d’un désespoir exprimé par Cellini, que sont donc couchées les premières lignes de la première version de La Vita. L’impossibilité de faire y motive, selon les termes de l’artiste, la décision de dire. Le récit est éclairant. Passato che fu dua giorni, io viddi turbato il mio signore sanza mai avergline dato causa nessuna; e, se bene io gli ho domandato molte volte licenzia, egli non me l’ha data, né manco m’ha comandato nulla: per la qual cosa io non ho potuto servire né lui né altri, né manco ho saputo mai la causa di questo mio gran male. Se non che, standomi così disperato, ho reputato che questo mio male venissi dagli influssi celesti che ci predominano, però io mi messi a scrivere tutta la mia vita e l’origine mio e tutte le cose che io avevo fatte al mondo: […] Solo per giovare al mondo e per essere lasciato da quello scioperato, veduto che m’è impedito il fare, essendo desideroso di render grazie a Dio in qualche modo dell’essere io nato uomo, da poi che m’è impedito il fare, così io mi son messo a dire10. 9 Ce traité fut rédigé en 1554 puis 1558 et publié en 1568. B. CELLINI, Dell’oreficeria, (1558), in Opere, C.G. FERRERO (éd.), Turin, UTET, Classici Italiani, 1971. 10 « Deux jours plus tard, je vis mon seigneur troublé sans que je ne lui en aie donné en aucun cas motif ; et, bien que je lui aie demandé à plusieurs reprises l’autorisation de vaquer, il ne me la donna pas, mais ne passa pas non plus de Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 70 Mérieux, La maïeutique de l’exil À l’aveu explicite s’ajoute le laborieux processus de rédaction, de réécritures et de collages11 qui suivra, confirmant que le cadre d’écriture cristallise le tumultueux parcours de l’artiste, frustré dans son impérieux désir de créer et d’être reconnu comme sculpteur à part entière. C’est sur une base similaire que sont développés les récits des deux séjours successifs de Cellini à la cour de France qui occuperont le premier temps de notre étude. Une même impossibilité de créer génère ses tourments puis l’“anéantissement” carcéral avant l’expatriation française. Examinons les faits. Cellini part pour Paris à deux reprises. Le premier voyage, entrepris en 1537, se limite à un bref allerretour dont les circonstances relatées ont toutefois leur importance. Cellini, installé à Rome depuis 1535 comme médailleur et orfèvre attitré de Paul III, dit assumer alors pleinement son statut de modeste orfèvre (« io sono un povero orefice, il quale servo chi mi paga »12) au service du Pape. Mais des concurrents orfèvres alimentent l’hostilité de Paul III à son égard, entachent sa commande je n’ai de ce fait pu servir ni lui ni quiconque, et n’ai pas non plus jamais connu la raison de cette grande infortune qui fut la mienne. Si ce n’est que, étant dans cet état de désespoir, j’ai cru que cette infortune provenait des influx célestes qui nous gouvernent, et me mis ainsi à écrire l’intégralité de ma vie ainsi et de mes origines ainsi que toutes les choses que j’avais faites en ce monde […]. Uniquement pour être utile au monde et pour être laissé désoeuvré vu que faire m’est interdit, étant désireux de rendre de quelque manière grâce à Dieu d’être né homme, puisque le faire m’est interdit, ainsi je me suis mis à dire». CELLINI, Dell’oreficeria, p.680. 11 « [...] Con gran passione, e non senza lacrime, io gli stracciai e gittagli al fuoco con salda intenzione di non mai più scrivergli. ». « [...] Avec une profonde douleur et non sans larmes je les déchirai et les jetai au feu avec la ferme intention de ne plus jamais les écrire », Ibidem. Cfr. à ce sujet l’éclairant article de C. LUCAS FIORATO, La genèse douloureuse et la réception difficultueuse des écrits de Benvenuto Cellini, in « Seizième siècle, Volume 5, 1, (2009), pp. 299-318. 12 « [...] Io sono un povero orefice, il quale servo chi mi paga [...] ». CELLINI, La vita, I, ch. 89, p.195. « Je ne suis qu’un pauvre orfèvre, je sers ceux qui Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 71 réputation et dissuadent bientôt le pape de lui passer commande. Se sentant trahi13, Cellini décide alors de partir pour la France, fuyant l’humiliation de ne plus être sollicité. L’assignation à l’inactivité motive donc au premier chef sa quête d’un ailleurs plus prometteur (« miglior fortuna »). Cellini part par dépit. Essendomi risoluto, come io dissi poco fa, di andarmene alla volta di Francia, sí per aver veduto che il Papa non mi aveva in quel concetto di prima, ché per via delle male lingue m’era stato intorbidato la mia gran servitú, e per paura che quelli che potevano non mi facessin peggio; però mi ero disposto di cercare altro paese, per veder se io trovavo miglior fortuna, e volentieri mi andavo con Dio, solo14. La narration puissamment dramatisée de ce premier déplacement d’une semaine vers Paris transpose dans la description de la topographie accidentée traversée, les entraves artistiques qui l’ont motivé. Entrepris dans les circonstances difficiles de la guerre opposant alors dans le Piémont Charles V et François Ier (1537), il contraint Cellini à passer par le canton suisse des grisons pour les éviter15. Après l’hostilité romaine, l’artiste et ses me paient », B. CELLINI, La vie de Benvenuto Cellini écrite par lui-même (1500-1571), coll. Le temps retrouvé, Traduction et notes de Nadine Blamoutier, Paris, Ed. Mercure de France, 2009, p.188. Toutes les traductions seront extraites de cette édition française. 13 La vita, I, ch. 92, pp. 200-202. 14 Ivi, ch. 94, p. 207. « J’avais donc résolu de partir pour la France : il était visible que le pape avait changé d’attitude envers moi à la suite des calomnies qui avaient annulé le poids des services rendus. Je craignais en outre que mes ennemis ne me fassent encore plus d’ennuis. Je voulais m’établir dans un autre pays pour voir si j’aurais plus de chance et je comptais partir seul et d’un cœur joyeux à la grâce de Dieu. », La vie, p. 199. 15 « Presi il cammino per terra di Grigioni, perché altro cammino non era sicuro, rispetto alle guerre [...] ». La vita, I, ch. 95, p. 210. « Je traversai les Grisons car les autres chemins n’étaient pas sûrs à cause de la guerre. », La vie, p. 201. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 72 Mérieux, La maïeutique de l’exil accompagnateurs affrontent alors tour à tour, la neige abondante qui rend périlleux le passage des montagnes16, le risque de noyade dans les eaux déchaînées d’un lac et l’escalade sous une pluie battante d’une montagne escarpée17. La guerre qui sévit non loin renvoie à celle que Cellini, harnaché tel un soldat, en arme et tenue de combat18, mène alors contre les embûches de ce voyage, au péril de sa vie19. La narration de l’infernale pérégrination émaillée d’apparitions de diables germaniques20, conduite pour partie sur la frêle barque chancelante (de Caron diraiton) qui les transporte d’une rive à l’autre d’un lac21, n’est pas sans évoquer au lecteur les heures du jugement dernier qui menace à plusieurs reprises d’engloutissement et de mort l’artiste, 16 « [...] Era gli otto di maggio ed era la neve grandissima. », La vita, I, ch. 95, pp. 210-211. « C’était le 8 mai et la neige était très épaisse», La vie, p. 202 ; « Pure messi che noi fummo in terra, bisognava salire due miglia su per quel monte, il quale era più difficile che salire su per una scala a piuoli ». « Une fois à terre, il nous fallut grimper pendant deux milles sur une montagne plus difficile à escalader qu’une échelle. », La vie, p. 204 ; « [...] Crepavamo di fatica a farli salire quella difficil montagna.», La vita, op. cit., I, ch. 96, p. 213. « [...] Nous crevions de fatigue à leur faire gravir des pentes aussi rudes. », La vie, p. 204. 17 Ibidem. 18 « Io ero tutto armato di maglia con istivali grossi e con uno scopietto in mano [...] », La vita, I, ch. 96, p. 213. « J’étais cuirassé dans ma cotte de ailles, j’avais de grosses bottes et mon escopette à porter [...]», Ivi, p. 204. 19 « Con grandissimo pericolo della nostra vita passammo queste due montagne. », La vita, I, ch. 95, p. 210-211. « Nous passâmes ces deux sommets au péril de notre vie.», La vie, p. 202 ; « Così andammo innanzi [...] con questo gran pericolo. », La vita, I, ch. 95, p. 213. « Nous parcourûmes ainsi quelques milles [...] en perpétuel danger de mort », La vie, p. 204. 20 « Quei diavoli di quei gentiluomini », La vita, I, ch. 96, p.213. « Ces diables de gentilhommes allemands », La vie, p. 204. 21 « [...] Volevamo smontare, il barcherolo non voleva per niente. », Ibidem. « Quand nous voulûmes débarquer, le patron de la barque s’y opposa catégoriquement », Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 73 qui se dit pétri de peur de bout en bout du voyage22. Jusqu’aux abords immédiats de Paris, où il manque en outre d’être assassiné par une bande de brigands, le voyage se déroule donc dans d’exécrables conditions. Le paysage et les circonstances climatiques hostiles, l’âpreté des montagnes dressées sur son parcours, la peur affrontée, tout évoque chez le lecteur un périple vécu et décrit comme un combat, aux accents parfois bibliques, évoquant l’enfer vécu en chemin vers le paradis français promesse de salut. L’arrivée dans la capitale royale, salutaire destination, est décrite telle la fin immédiate des précédentes turpitudes endurées. Di poi ce ne andammo insino a Parigi sanza un disturbo al mondo: sempre cantando e ridendo giugnemmo a salvamento23. Mais après l’adversité du voyage, Cellini doit affronter d’autres obstacles. Dès l’arrivée, le mauvais accueil du Rosso, au service du roi François Ier depuis 1530, le déçoit. Cellini le contacte, confiant et convaincu de recevoir de lui l’aide et les commodités qu’il lui avait lui-même prodiguées lors du séjour de ce dernier à Rome24. Mais l'hospitalité que Cellini pouvait espérer en retour à son arrivée à Paris fait place à l’accueil revêche du Rosso25. Cellini l’accuse même de dissuader le roi de 22 « Per paura », La vita, I, ch. 94, p. 207. « Par peur », La vie, p. 202. La vita, I, ch. 97, p. 216. « Plus aucune anicroche jusqu’à Paris où nou arrivâmes sains et saufs, toujours dans les rires et les chansons », La vie, p. 207. 24 « [...] Egli l’aveva condotto a morirsi di fame; per la qual cosa io gli prestai di molte decine di scudi per vivere. ». La vita, I, ch. 98, p. 217. « [...] le réduisant à crever de faim. C’est alors que je lui prêtai des dizaines d’écus pour vivre. », La vie, p. 207. 25 « [...] Lo andai, come ho detto, a visitare: non tanto pensavo che lui mi rendessi li mia dinari, ma pensavo che mi dessi aiuto e favore per mettermi al servizio di quel gran Re ». La vita, I, ch. 98, p. 216. 23 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 74 Mérieux, La maïeutique de l’exil le recevoir26. La première déconvenue parisienne est donc d’autant plus aiguë qu’elle émane d’un compatriote. À Paris comme à Rome, la solidarité de la communauté des artistes, fussent-ils italiens, ne va d’évidence pas de soi en ces temps de concurrence accrue. Cellini arrive de plus au pire moment : le conflit qui a contrarié son voyage est toujours en cours. Lorsque Sguazzella, disciple d’Andrea del Sarto alors dans la capitale, intercède pour lui obtenir une audience, Cellini n’obtient du roi que de faire partie de son cortège royal jusqu’à Lyon d’où il repart guerroyer, et d’y attendre son retour. Dès l’arrivée à Lyon, “souffrant” au propre et au figuré de l’inertie à laquelle il se retrouve à nouveau assigné, et malgré les faveurs du cardinal de Ferrare Hyppolite d’Este qui l’installe dans l’une de ses propriétés, Cellini tombe « [...] J’allai, comme je l’ai dit, lui rendre visite: non tant pour qu’il me rende mon argent, mais je pensais qu’il m’apporterait aide et faveur pour entrer au service du Roi. », La vie, p. 208. 26 « E non gli avendo ancora riauti, sapendo che gli era al servizio del Re, lo andai, come ho detto, a visitare: non tanto pensavo che lui mi rendessi li mia dinari, ma pensavo che mi dessi aiuto e favore per mettermi al servizio di quel gran Re. », « [...] subito si turbò e mi disse: - Benvenuto, tu se venuto con troppa spesa innun cosí gran viaggio, massimo di questo tempo, che s’attende alla guerra e non a baiuccole di nostre opere. », « Di poi cercai di parlare al Re [...]. A questo io soprastetti assai, perché io non sapevo che il Rosso operava ogni diligenza, che io non parlassi al Re. », Ibidem. «Et il ne me les avait pas encore restitués quand j’allai, comme je l’ai dit, lui rendre visite, pensant qu’il me rembourserait et surtout qu’il m’aiderait grâce à son influence à entrer au service du grand souverain », « À ma vue, il se troubla et s’écria : Benvenuto, tu n’aurais pas dû dépenser tant d’argent pour un si long voyage, surtout en ce moment où l’on ne pense qu’à la guerre et pas aux bricoles que nous pouvons faire. », « Je cherchai à parler au roi [...]. Cela prit beaucoup de temps car Rosso faisait tout pour que je ne puisse pas accéder auprès de lui, ce que j’ignorais. », La vie, p. 207-208. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 75 malade et décide de repartir à Rome27. Quitte à mourir, écrit-t-il, autant que cela soit en Italie. Giunti che noi fummo a Lione, io mi ero ammalato, […] di sorte che m’era venuto a noia i franciosi e la lor Corte, e mi parea mill’anni di ritornarmene a Roma. […] e molto desideravo di arrivare in Italia, desideroso di morire in Italia e non in Francia28. À l’évidence ce premier déplacement avorté en France est inutile. Le roi n’a pas besoin d’un orfèvre (or c’est comme tel que l’artiste se présente à lui) et ne lui laisse espérer qu’une évasive possibilité de créer « des œuvres selon ses vœux »29. Le projet de l’artiste apparaît ici imprécis. Une conquête ne se gagne pas sans objet. Il repart donc aussitôt. Mais le retour à Rome en décembre 1537 s’avère moins satisfaisant qu’attendu. Huit ouvriers travaillent sous ses ordres et il emménage dans un nouvel atelier plus spacieux30, mais Cellini se dit insatisfait. Il ploie sous les commandes31, mais ne met aucun plaisir au détail comptable des pièces d’orfèvreries alors produites. Tenaillé par ses contradictions, il dit regretter que le 27 « [...] Molto desideroso di arrivare in Italia, desideroso di morire in Italia e non in Francia [...] », Ibidem. « [...] Je soupirais après l’arrivée en Italie où j’aimais mieux mourir qu’en France. », La vie, p. 209. 28 Ivi, p. 218. « À mon arrivée à Lyon, j’étais malade […] de sorte que j’en avais par-dessus la tête des Français et de leur cour et mon retour à Rome me semblait renvoyé à la nuit des temps […] », La vie, p. 209. 29 « [...] Per la strada si ragionerebbe di alcune belle opere, che Sua Maestà aveva in animo di fare. », ibidem. « [...] Pour me parler en route de plusieurs ouvrages qu’il avait en tête. », La vie, p. 208. 30 La vita, I, ch. 100, p. 222. 31 « Avevo otto lavoranti e molte faccende d’oro e d’argento [...] lavoravo il giorno e la notte. », Ibidem. « J’avais beaucoup d’ouvriers et une quantité d’objets d’or et d’argent à exécuter. », La vie, p. 212. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 76 Mérieux, La maïeutique de l’exil roi l’ait oublié32. Et lorsqu’enfin ce dernier le fait contacter par le cardinal de Ferrare et lui propose mille écus d’or pour venir le servir, l’ambassadeur chargé de lui signifier les termes de son contrat crée un premier retard dans la procédure33. Au chapitre suivant le sort s’acharne à contrecarrer son départ lorsque ses concurrents l’accusent d’avoir dérobé or et joyaux du trésor pontifical lors du sac de Rome de 152734. Cellini est aussitôt emprisonné (octobre 1538). Le roi tente alors d’intercéder auprès du pape pour faire libérer Cellini, mais le pontife refuse. Le récit livré par Cellini de son incarcération dans les geôles du château St-Ange et sur lequel nous nous attarderons à présent, décrit la transfiguration préalable au second séjour parisien. François Ier, qui réclame alors régulièrement au pape la libération de l’artiste, s’invite à plusieurs reprises dans l’épisode35, par ses missives et envoyés diplomatiques, anticipant en quelque sorte ainsi l’imminente libération française. Le préalable de l’incubation du sculpteur dans le vase clos carcéral romain. Les treize chapitres (I, 115-128) consacrés par l’artiste, au terme du Livre I, à sa transfiguration carcérale marquent un 32 « [...] E mi pensavo che quel gran Re Francesco non si avessi a ricordar di me », Ibidem. « Je pensais que le grand roi François ne se souviendrait plus de moi. », La vie, p. 212. 33 « Ma fu tanto iscimunito da poi, che non mi avviso’ di nulla. », La vita, I, ch. 101, p.223. « Mais cette espèce d’abruti ne m’avertit de rien. », La vie, p. 214. 34 « Ora avvertisca il mondo e chi vive in esso, quanto possono le maligne stelle coll’avversa fortuna in noi umani ! », La vita, I, ch. 101, p.223. « Que le monde et ses habitants observent le pouvoir des étoiles néfastes conjuguées avec l’action de la mauvaise fortune contre nous, pauvres humains. », La vie, p. 213. 35 La vita, I, ch. 101, p. 223 ; ch. 104, p. 229 ; ch. 127, p. 277. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 77 temps fort de l’autobiographie et une étape décisive dans la transformation de l’orfèvre. La mutation décrite débute immédiatement après son incarcération : la boutique romaine de Cellini est fermée36, son apprenti Ascanio l’abandonne et l’artiste se voit ainsi délesté de tout ce qui le rattachait à son statut d’orfèvre à Rome. Autorisé ensuite, lors du séjour carcéral, à façonner des pièces d’orfèvrerie37 par le maître florentin des lieux, Cellini manifeste un soudain dégoût pour le travail de « figurette »38, indice précieux à nos yeux qu’a déjà commencé la métamorphose de l’orfèvre. Mais la véritable alchimie transfiguratrice s’opère quelques temps après, dans le vase clos du cachot romain. Rattrapé et livré au pape par le cardinal Cornaro après une rocambolesque évasion, c’est en effet durant son assignation de deux années au cachot que Cellini situe la transmutation la plus significative qui prépare son second voyage vers Paris dont les premiers chapitres du Livre II racontent les circonstances. Le récit de cette décisive étape de la maïeutique carcérale qui le libèrera de son enveloppe première, est dramatiquement jalonnée d’accès mystiques, de visions et hallucinations christiques, de tentations de suicide et résurrection symbolique. Autant d’épisodes aboutissant à la paradoxale vertu libératrice du cachot, 36 La vita, I, ch. 105, p. 235. « [...] Veniva Ascanio mio garzone in Castello, e portavami alcune cose da lavorare. », La vita, I, ch. 104, p. 230. « Mon apprenti Ascaniao venait au Château m’apporter un peu d’ouvrage. », La vie, p. 220. 38 « Il castellano [Giorgio degli Ugolini] ancora mi lasciava lavorare di tutto quello che io volevo, sí d’oro e d’argento e di cera; e [...], trovandomi affastidito dalla prigione, m’era venuto annoia il lavorare quelle tale opere; e solo mi lavoravo, per manco dispiacere, di cera alcune mie figurette. », La vita, I, ch. 105, p. 233. « Le gouverneur me laissait travailler à ma guise, avec l’or, l’argent et la cire. [...] mais, dégoûté par la prison, j’en avais assez de ce travail. Pour combattre le cafard, je me contentais de modeler des figurines de cire. », La vie, p. 223. 37 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 78 Mérieux, La maïeutique de l’exil chantée par Cellini dans le chapitre composé pour Luca Martini qui conclut l’ultime chapitre du Livre I. [...] Buon per colui che lungo tempo iace ’n una scura prigion, e po’ alfin n’esca: sa ragionar di guerra, triegua e pace. Gli è forza che ogni cosa gli riesca; ché quella fa l’uom sí di virtú pieno [...]39. Cellini sort ainsi de prison (décembre 1539) autre, transfiguré, en martyre purifié (« santo e savio »40), l’esprit et l’âme « dégrossis »41, et auréolé à l’en croire d’un visible halo de lumière, stigmate de sa catharsis carcérale (que la transparence de l’air français rendra à ses dires plus perceptible42). L’artisan orfèvre n’est plus. Il s’est fait or, matière précieuse : « Non vo’ dir piú: son diventato d’oro »43. Serti de la diaphane auréole qui le désigne parmi les élus, l’artiste quitte l’enfer du cachot transformé par cette libératrice alchimie. Une nouvelle étape autobiographique autant qu’artistique peut alors s’ouvrir au Livre II. 39 La vita, I, ch. 128, p. 278. « Heureux celui qui gît pendant un très longtemps dans une prison sombre et puis en sort enfin: il sait parler de guerre, de trêve et de paix. Il est fatal que toute chose lui réussisse ; la prison rend l’homme si riche de talents [...]. », La vie, p. 268. 40 La vita, I, ch. 128, p. 281. « sain et sage », ibidem. 41 « Qua s’affinisce l’alma, e ’l corpo, e’ panni; ed ogni omaccio grosso si assottiglia, e vedesi del Ciel fino agli scanni. », Ibidem. « Là s’affinent l’âme, le corps, les vêtements et tout cerveau obtus y devient aiguisé, montera au ciel jusqu’aux sièges des élus. », La vie, p. 267. 42 « [...] Che d’allora in qua, che io tal cosa vidi, mi restò uno isplendore, cosa maravigliosa!. », « [...] Me ne avveddi in Francia in Parigi, perché l’aria in quella parte di là è tanto più netta dalle nebbie, che là si vedeva espressa molto meglio che in Italia [...] », ivi, p. 279. « Depuis mes visions, il m’est resté, ô prodige ! une auréole autour de la tête », « Je le remarquai en France, à Paris, où on la voyait beaucoup mieux qu’en Italie [...] », La vie, p. 265. 43 Ivi, p. 282. « Je n’en dirai pas plus : je suis devenu d’or », Ivi, p. 269. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 79 La transmutation ébauchée dans l’obscur secret du cachot se poursuit aux deux premiers chapitres du Livre II par l’immédiat changement de perspective professionnelle dont l’artiste prend acte. Le Cardinal de Ferrare44, intermédiaire de François Ier qui a fait libérer Cellini, lui confie aussitôt l’exécution du modèle d’une somptueuse salière destinée au roi45. Cette commande scelle à la fois l’engagement moral qui lie l’artiste désormais au monarque qui l’a fait libérer et le changement imminent de statut de l’orfèvre. D’une taille exceptionnelle plusieurs fois soulignée dans le texte 46, le modèle de cette salière qui réunit sur un socle d’or Mars (poivrier) et Vénus (salière), est le premier indice tangible de la mutation advenue en prison. Cellini relève en effet là un défi qui, par la taille de la pièce, déborde du cadre de l’orfèvrerie classique. Deux artistes mis en concurrence avec lui pour en confectionner le modèle confirment dans le texte l’ambition hors norme de ce travail surdimensionné47. Le projet de salière hisse ainsi par anticipation l’œuvre et son créateur dans la sphère supérieure des commandes royales qu’il part 44 Les tractations et circonstances sont détaillées par Bertrand Jestaz (Benvenuto Cellini, p. 76). 45 Bertrand Jestaz émet l’hypothèse que cette commande, puis celle du bassin et du pot, que le cardinal le laisse travailler à Ferrare alors qu’il part permettent au Cardinal de s’assurer que l’artiste n’a pas perdu la main en prison avant de le conduire en France. Ivi, pp. 78-79. 46 « Io feci una forma ovata, di grandezza di più d’un mezzo braccio assai bene, quasi dua terzi, e sopra detta forma, [...] feci dua figure grande più d’un palmo assai bene le quale stavano a sedere entrando colle gambe l’una nell’altra [...] », La vita, II, ch. 2, p. 291. « J’établis uen forme ovale longue de plus d’une demi-brasse, presque de deux tiers ; sur cette base, [...] je plaçai deux figures hautes de plus d’un palme, assises les jambes entrelacées [...] », La vie, p. 277. 47 « - Questa è un’opera da non si finire innella vita di dieci uomini ; [...] a vita vostra non l’aresti mai finita [...] », ivi., p.292. « - Voilà un ouvrage auquel ne suffirait pas la vie de dix hommes ! », La vie, p.278. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 80 Mérieux, La maïeutique de l’exil réaliser au chapitre suivant. Cette salière constitue un banc d’essai tout autant qu’un blanc-seing et est d’ailleurs pour lui l’occasion d’une probante profession de foi préalable à son départ. [...] Dico che, questa opera io spero di farla più ricca l’un cento che ‘l modello ; e spero che ci avanzi ancora assai tempo da farne di quelle molto maggiori di questa48. La poursuite heureuse du processus de gestation : l’installation française révélatrice d’un autre lui-même. Le second voyage de Cellini pour Paris débute donc le 22 mars 1540, sous ces nouveaux et prometteurs auspices. Le récit inscrit d’ailleurs ce départ dans le prolongement de l’itinéraire de transfiguration dont le séjour au cachot fut la première étape statique. Cellini dit partir un lundi Saint49, six jours avant la transfiguration et résurrection pascale imminente, renvoyant à celles que l’artiste s’apprête à vivre à Paris (au ch. 4 où Cellini précise ensuite arriver le jeudi Saint et passer le vendredi Saint au relais postal de Sienne). Installé un temps à Ferrare en résidence chez le cardinal qui le devance à Paris en mai, Cellini part en septembre pour Lyon puis Paris50. L’écart de traitement narratif entre le récit de ce voyage et celui du premier est flagrant. La guerre ne sévit plus, le voyage suit en Italie le confortable itinéraire du relais postal. L’artiste croise bien quelques individus mal intentionnés, mais rien n’est 48 Ibidem. « J’espère faire cet ouvrage cent fois plus riche que le modèle. J’espère aussi qu’il me restera beaucoup de temps pour en faire d’autres, plus importants encore. », Ibidem. 49 « Essendomi partito el lunedi’ santo di Roma [...] », La vita, ivi, p. 294. « J’étais parti de Rome le le lundi saint [...] », La vie, p.279. 50 JESTAZ, Benvenuto Cellni, p. 78. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 81 comparable aux diables qui entravaient sa première pérégrination. Le récit de ce voyage de plusieurs jours est ici synthétisé en quelques lignes subsidiaires et les rares difficultés rencontrées sont écartées pour insignifiantes (« avemmo per la strada qualche disturbo, ma non fu molto notabile. »51). Le trajet entre Ferrare et Lyon puis Fontainebleau où Cellini retrouve le roi, occupe ainsi une quinzaine de lignes contre plusieurs chapitres relatifs au précédent. Lors de ce second voyage, l’artiste se dit enfin dans une très favorable disposition physique et mentale52. Ce deuxième déplacement s’inscrit clairement sous de plus positifs auspices. Cellini part cette fois avec l’assurance qu’un contrat royal l’attend. Le lieu même de son arrivée, non plus Paris mais Fontainebleau où sont déjà à l’œuvre plusieurs artistes italiens, plante le décor des perspectives artistiques favorables de ce second séjour. Cellini reste évasif sur la date de leur première entrevue. La présence attestée du roi à Paris le 15 novembre confirme qu’elle ne fut pas immédiate, comme il le laisse entendre et eut sans doute lieu à la mi-décembre53. Il donne en revanche force détails sur l’accueil attentif et bienveillant du roi et rend très précisément compte des marques de considération du monarque qui ne tarit pas d’éloges sur son talent d’orfèvre (devant la carafe et le pot apportés) et lui promet aussitôt des commandes à la hauteur de son talent, tout en lui faisant l’honneur de s’adresser à lui en italien54. La suite confirmera la 51 La vita, II, ch. 9, p.307. « Le voyage fut marqué par quelques incidents, mais rien d’important. », La vie, p.291. 52 « [...] quando l’altro giorno io fu’ fuora dal ferrarese n’ebbi grandissimo piacere [...]. Trovammo la corte de Re a Fontana Beleo [...] quella sera stemmo bene », Ibidem. « [...] J’avais quitté le territoire de Ferrare et j’en fus ravi [...] Nous trouvâmes la cour royale à Fontainebleau [...]. Ce fut une bonne soirée. », La vie, p.292. 53 JESTAZ, Benvenuto Cellini, p. 79. 54 « Queste parole il ditto re le parlava in francese al cardinale di Ferrara [...]. Di poi voltosi a me mi parlò in italiano », La vita, II, ch. 9, p. 308. « Le roi Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 82 Mérieux, La maïeutique de l’exil première impression décrite. Le « rêve français » auquel ont succombé alors de nombreux autres artistes italiens installés à Fontainebleau55 semble prendre aussitôt corps pour Cellini avec cette seconde expérience parisienne. Il rejoint l’idyllique tableau que Giorgio Vasari nous brosse en 1568, au Livre V de ses Vite dei più eccellenti artisti56, des treize années de l’expatriation bellifontaine du Rosso (1527-1540). [...] se in Roma et in Fiorenza non furono da quei che le potevano rimunerare sodisfatte, trovò egli pure in Francia chi per quelle lo riconobbe, di sorte che la gloria di lui poté spegnere la sete in ogni grado d'ambizione che possa 'l petto di qualsivoglia artefice occupare. Né poteva egli in quell'essere conseguir dignità, onore o grado maggiore, poiché sopra ogn'altro del suo mestiero da sì gran re come è quello di Francia fu ben visto e pregiato molto57. parlait en français au cardinal de Ferrare [...]. Puis il s’adressa à moi en italien. », La vie, p.292. 55 Exercent alors à Fontainebleau : Rustici, Serlio, Vignole, Matteo del Nassaro, Luca Penni, Bartolomeo Miniati, Francesco Caccianimici, Giovambatista da Bagnacavallo, Primatice, Girolamo della Robbia, Francesco Salviati. Pour le détail exhaustif de leur présence et de leurs œuvres, cfr. S. BÉGUIN, L'école de Fontainebleau : le maniérisme à la cour de France, Paris, Gonthier, Seghers, 1960.; J.-J. LEVEQUE, L’école de Fontainebleau, Neuchâtel, Ides et Calendes, 2001. ; X. SALMON, Fontainebleau : le temps des Italiens, Heule, Snoeck, 2013. 56 G. VASARI, Le vite de'più eccellenti pittori, scultori ed architettori, in Le Opere di Giorgio Vasari, IX t. V, Vita del Rosso», Florence, Sansoni, 1981, p. 155. 57 Ibidem. « S’il n’a trouvé ni à Rome ni à Florence la récompense qu’il pouvait en attendre, du moins rencontra-t-il en France quelqu’un pour les apprécier à leur juste valeur. La gloire qu’il obtint était suffisante pour apaiser la soif de n’importe quel artiste. Il ne pouvait en vérité gravir un échelon plus élevé dans l’échelle des honneurs, puisque, plus que tout autre peintre, il sut gagner l’estime et la faveur d’un aussi grand souverain que le roi de France. », G. VASARI, Les vies des meilleurs peintres sculpteurs et architectes, Vol. 6, Paris, Ed. Arts, Berger Levraut, 1984, p. 181. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 83 Cellini, comme Vasari, confirme que l’expérience française palie la crise conjoncturelle italienne et offre aux artistes la situation digne et stable qu’ils attendent. Le roi reçoit ses artistes en personne et avec déférence. Il les paie d’avance et rubis sur l’ongle58 : un trésorier florentin, Giuliano Buonaccorsi, est spécialement chargé des artistes transalpins. Remarquons que Cellini dit à cet égard apprécier autant la promesse d’une rémunération à la hauteur de son talent que l’effort du roi de parler sa langue. Dans les deux cas, la considération inédite pour sa personne est attestée. Le « Mon ami » dont le roi le gratifiera quelques semaines plus tard parfait le tableau. [Il Re] me dette in su la spalla con la mana, dicendomi: – Mon ami (che vuol dire “amico mio”), io non so qual s’è maggior piacere, o quello d’un principe l’aver trovato un uomo sicondo il suo cuore, o quello di quel virtuoso l’aver trovato un principe che gli dia tanta comodità, che lui possa esprimere i sua gran virtuosi concetti – 59. 58 JESTAZ, Benvenuto Cellini, p. 78. La vita, II, ch. 22, p. 333. « [Le roi] me mit la main sur l’épaule en me diasant: “Mon ami, je ne sais qui est le plus heureux des deux : le prince qui trouve un homme selon son coeur ou l’artiste de telent à qui un prince fournit tous les moyens d’exprimer les vastes conceptions de son esprit”», La vie, p. 315. 59 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 84 Mérieux, La maïeutique de l’exil Tout laisse donc augurer une intégration rapide et lucrative, similaire à celle du Rosso60. Après une première proposition de contrat de trois-cents écus qu’il estime sous-évaluée61, le roi lui aurait octroyé une pension annuelle de sept-cents écus (égale à celle du grand Léonard62), cinq-cents écus pour son installation, en plus du paiement ponctuel de chacune des œuvres. Ces largesses (« grande offerte »63) se poursuivent, quelques semaines après son arrivée, par l’attribution du prestigieux Hôtel de Nesle où il installe domicile et atelier. Les conditions de travail parisiennes sont indéniablement inédites et motivantes pour l’artiste habitué à des mécènes italiens moins généreux. Mais le véritable premier pas décisif vers la pleine réalisation du rêve français évoqué est marqué par l’assignation immédiate au travail d’œuvres majeures que le roi offre naturellement à l’artiste en faisant d’emblée confiance à ses aptitudes de sculpteur. Le cadre en est posé dans le texte par la kyrielle de superlatifs (« [...] il Re aveva preso grandissimo piacere del mio arrivo; ») qui donne la mesure de l’ambition majeure des œuvres que le roi dit 60 VASARI, « Il re, adunque, avendogli subito ordinato una provisione di quattrocento scudi, e donatogli una casa in Parigi, la quale abitò poco per starsi il più del tempo a Fontanableò, dove aveva stanze e vivea da signore, lo fece capo generale sopra tutte le fabriche, pitture et altri ornamenti di quel luogo. », Le Vite, V, «Vita del Rosso», p. 155. « Le roi aussitôt lui fit une rente de quatre cents écus, lui donna une maison à Paris qu’il habita peu pour résider le plus souvent à Fontainebleau où il avait un appartement et vivait en grand seigneur. Il fut nommé responsable de tous les bâtiments, peintures et décors du château. », VASARI, Les vies, pp.188-189. 61 Ibidem. 62 Cellini aurait exagéré ses gains pour se flatter. Les sept-cents écus (mille quatre cent soixante livres tounois) perçus le plaçant au-dessus des gains du Rosso (1200) du Primatice (600) de Della Robbia (240). Cfr. JESTAZ, Benvenuto Cellini, p. 80. 63 La Vita, II, ch. 12, p. 313. « L’importance de offres royales », La vie, p. 296. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 85 vouloir lui faire réaliser (« la voglia di fare certe grandissime opere [...]»64). La métamorphose de l’orfèvre en sculpteur commence ainsi de facto, presque malgré lui (l’artiste ne réclame à aucun moment de réaliser des sculptures) à s’opérer avec la commande de douze statues candélabres d’argent en pied destinées à la Galerie de Fontainebleau. Le projet (six dieux et six déesses d’argent de la taille du monarque qui mesurait près de 2 mètres65), lui est confié fin décembre 1540, avec l’avance de l’argent nécessaire à leur confection. L’ambition créatrice de Cellini, frustrée en Italie, est devancée à Paris par la prompte sollicitude du roi à lui passer commande et à le financer66. Aucune préalable discussion n’examine la pertinence de ce projet ou la capacité de l’orfèvre à le réaliser. Avec cette première commande des statues candélabres puis celle de la salière pour laquelle mille écus d’or lui sont aussitôt versés, Cellini rencontre le mécénat confiant et stimulant du roi qui aussitôt l’incite à se dépasser67. Indéniablement l’écart de traitement offert par l’exil lui permet de faire en quelque sorte peau neuve et d’assumer sans état d’âme l’ambition majeure des commandes reçues. Il saisit et relève aussitôt le défi et exprime très lucidement le potentiel dynamique de ce nouvel espace-temps français de création. [...] andai a ringraziare il Re, il quale m’impose che io gli facessi i modelli di dodici statue d’argento, le quali voleva che servissino per dodici candelieri 64 La vita, II, ch. 10, p. 308. « [...] Le roi avait vu mon arrivée d’un très bon œil. [...] le désir de faire des choses de très grande envergure », La vie, p. 293. 65 JESTAZ, Benvenuto Cellini, note 30, p. 81. 66 « [Il Re] disse che presto mi darebbe ordine dove io avessi a lavorare, [...] quasi che si potria dire l’esser peccato a far perder tempo a un simil virtuoso. », Ivi, p. 309. « [Le roi] déciderait bientôt où je devrais travailler, [...] car on pourrait dire que c’est un péché de faire perdre son temps à un tel artiste. », La vie, p. 293. 67 La vita, II, ch. 16, p. 320. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 86 Mérieux, La maïeutique de l’exil intorno alla sua tavola: e voleva che fussi figurato sei Iddei e sei Iddee, della grandezza appunto di Sua Maestà, quale era poco cosa manco di quattro braccia alto. Dato che egli m’ebbe questa commessione, si volse al tesauriere de’ risparmi e lo domandò se lui mi aveva pagato li cinquecento scudi68. Le contexte français et la confiance du roi élargissent ainsi aussitôt l’horizon des possibles, en contrepoint de l’espace clos et contraignant de l’exigüité du cachot romain où Cellini a initié sa mue. L’amplification soudaine des perspectives professionnelles offertes est sensible dans la dilatation spatiotemporelle qui encadre les descriptions des premiers temps de l’installation française. Un perceptible gigantisme s’invite alors dans le récit et se prolonge, hors les murs du château, dans la taille extravagante du cortège royal qu’il rejoint dès son arrivée, et qui préfigure la nouvelle échelle de démesure où l’artiste a à présent l’opportunité de s’exprimer. Le royaume de France voit et fait les choses en grand. Il lui offre un cadre à la hauteur des nouvelles ambitions de sculpteur et dessine la nouvelle identité d’assignation dans laquelle le roi l’invite à se glisser69. Cellini, aussitôt stimulé par cette démesure, écrit alors travailler sans relâche, frénétiquement, sans perdre un instant, 68 La vita, II, ch. 12, p. 313. « [...] J’allai remercier le roi. Il me commanda les modèles de douze statues d’argent, six dieux et six déesses, qui devaient servir de porte-flambeaux autour de sa table et avoir exactement la taille du roi, à peine moins de quatre brasses. », La vie, p. 297. 69 « [...] Noi andavamo drieto alla Corte, puossi dire tribulando (il perché si è che il traino del Re si strascica continuamente drieto dodici mila cavalli; e questo è il manco: perché quando la Corte in e’ tempi di pace è intera, e’ sono diciotto mila, di modo che sempre vengono da essere piú di dodici mila; [...]) », La vita, II, ch. 10, p. 308. « [...] nous suivions la cour, non sans tourments, on peut bien le dire. Le roi traîne toujours derrière lui douze mille chevaux. En temps de paix, quand la cour est au complet, cela monte jusqu’à dix-huit mille, en tout cas, jamais moins de douze mille », La vie, p. 293. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 87 comme pour rattraper le temps perdu en Italie, saisi d’une insatiable soif de travail70. Au roi qui s’inquiète même de sa santé et veut le ménager en lui allouant davantage d’apprentis, Cellini rétorque que se réfréner le rendrait malade71. Tout est dit. Le premier facteur de l’accomplissement de l’artiste en France est donc cette salutaire liberté d’action72. L’artiste exprime très lucidement, à propos de la commande de la salière, le lien étroit qu’il perçoit entre la confiance mise en son identité supposée de sculpteur et la facilité à la satisfaire en retour. Allora io dissi: - Tutti e’ principi che danno animo ai servitori loro, in quel modo che fa e che dice Sua Maestà, tutte le grande imprese si vengono a facificare; e poi che Dio m’ha dato un cosí maraviglioso padrone, io spero di dargli finite di molte grande e meravigliose opere73. 70 « Con grandissimo sollecitudine giorno e notte non restavo di lavorare », La vita, II, ch. 15, p. 317, « La mattina seguente subito detti principio alla gran saliera, e con sollecitudine quella con l’altre opere facevo tirare innanzi. » ; « Subito detti principio, [...] e con sollecitudine facevo tirare inanzi », « [...] io gli sollecitavo di sorte che per il continuo affaticarsi [...] », La vita, II, ch. 18, p. 323. « J’engageai beaucoup d’ouvriers et ne cessais de travailler jour et nuit », La vie, p. 301 ; « Dès le lendemain matin, je commençai la grande salière et j’eus soin de la faire avancer de front avec les autres travaux. » ; « J’entrepris en hâte [...] et je faisais avancer les travaux avec une grande sollicitude. », La vie, p. 307. 71 « Risposi a Sua Maestà, che subito io mi ammalerei se io non lavorassi, [...]. », La vita, II, ch. 15, p. 319. « Je lui répondis que, sans travailler, je tomberais tout de suite malade [...]. », La vie, p. 302. 72 « [...] Lavorare poco e assai, secondo la mia volontà. », Ibidem. « [...] travailler peu ou beaucoup, à ma convenance. », Ibidem. 73 La vita, II, ch. 16, p. 320. « Je repris alors - Tout Prince qui encourage ses serviteurs, comme le fait et le dit Sa Majesté, favorise les grandes entreprises. Puisque Dieu m’a donné un patron si extraordinaire, j’espère bien lui remettre achevés nombre de chef-d’œuvre.- », La vie, p. 303. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 88 Mérieux, La maïeutique de l’exil Délivré de l’inertie et des freins financiers italiens, identifié pour la première comme sculpteur à part entière, l’artiste relève dès lors le défi et s’approprie (étape nécessaire de tout procès d’identification) les ambitions majeures qui lui sont assignées. Elles prennent peu à peu corps, par étapes successives. La réalisation de celle que Cellini dénomme la grande salière74 constitue dans le récit un premier pas décisif vers sa nouvelle étoffe de sculpteur. C’est d’ailleurs au chapitre 18 qui en relate la confection, qu’est pour la première fois osé par l’artiste le terme de sculpture. Évoquant, les apprentis italiens français et allemands qu’il engage pour sa confection, leurs compétences en « arte della scultura » priment sur leur « arte dell’oreficeria75 ». Cette inversion d’apparence anodine marque un sensible tournant, dès après confirmé dans le récit par son soudain désir de couler un Jupiter en bronze, à partir du modèle en terre réalisé pour la statue d’argent commandée. Cellini paraît là investi d’une mission ou vocation qui le dépasse76. Ce premier défi de fondeur sculpteur monumental, savamment dramatisé dans le récit, met en scène Cellini aux prises avec deux fondeurs français expérimentés et convaincus de détenir la bonne technique77. Le néophyte Cellini leur propose la sienne (« io volevo gittare al modo mio dell’Italia »78) mais finit par leur confier la fonte. La 74 « Gran saliera », La vita, II, ch. 18, p. 323. « Grande salière », La vie, p. 306. 75 Ibidem. « En sculpture comme en orfèvrerie », La vie, p. 306. 76 « Ancora mi venne voglia di gittare di bronzo quel modello grande che io avevo fatto per il Giove d’argento; messo mano a tal nuova impresa, quale io non avevo mai piú fatta [...]. », La vita, II, ch. 18, p. 324. 77 « [...] e conferitomi con certi vecchioni di quei maestri di Parigi, dissi loro tutti e’ modi che noi nella Italia usavono fare tal impresa. », La vita, II, ch. 18, p. 324. «J’en discutai avec de vieux maîtres parisiens et leur descrivis en détail la technique employée en Italie. », La vie, p. 307. 78 « Je voulais jeter selon ma technique italienne », Ibidem. Les techniques de fonte alors utilisées par les artistes italiens de Fontainebleau sont détaillées Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 89 fonte du Jupiter est ratée, défectueuse79, tandis que Cellini mène à côté à terme et avec succès la fonte d’une tête de César et de femme80. Le roi cautionne alors Cellini qui avait prédit l’échec des vieux sculpteurs. Cellini devra certes recommencer la fonte du Jupiter en bronze puis y marteler des plaques d’argent81. Mais le maintien de la commande et la rétribution aussitôt accordée encouragent l’artiste à entreprendre des œuvres de grande échelle82. Dans ce même chapitre, il dit travailler simultanément à plusieurs pièces, signalées pour leur taille remarquable83. La première pièce monumentale du Jupiter d’argent (II, ch. 18) confirmée par le roi, autorise Cellini à utiliser le terme de « statue » pour la Junon alors commencée (« ne feci un’altra […] per porvi sopra la statua di Iunone [...] »84). Le pas est donc franchi, du moins sur le papier : Cellini se conforme à l’assignation royale et se revendique sculpteur. L’empressement créatif décrit n’en par Bernard JESTAZ (Benvenuto Cellini, p. 86), et Thomas CLOUET (Fontainebleau, p. 215). Cellini voulait couler dans le moule en terre un modèle en bronze sur lequel marteler ensuite les plaques d’argent selon la technique du “repoussé”. Cellini agit en orfèvre modeleur et non en sculpteur. Sa technique est propre à l’orfèvrerie. 79 La vita, II, ch. 18, p. 324. 80 Ibidem. 81 JESTAZ, Benvenuto Cellini, pp. 83-84. 82 « Queste cose m’accrebbono tanta benivolenzia con quei tesaurieri e con quei ministri del Re, che fu inistimabile. Tutto si scrisse al Re, il quale unico liberalissimo, comandò che si facessi tutto quello che io dicevo. », La vita, II, ch. 18, p. 326. « Mon attitude accrut énormément la bienveillance des trésoriers et des ministres du roi à mon égard. On écrivit au roi dont la générosité était inégalable. Il ordonna de m’écouter en tout. », La vie, p. 309. 83 « gran saliera » ; « gran fatiche » ; « un vaso grande » ; « una testa di Iulo Cesare grande molto più del naturale » ; « un’altra testa della medesima grandezza », La vita, II, ch. 18, p.324. « grande salière» ; « gands efforts » ; « un buste de Jules César beaucoup plus grand que nature », La vie, p. 307. 84 La vita, II, ch. 20, p. 328. « Je fis un autre piédestal du même genre pour la statue de Junon », La vie, p. 311. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 90 Mérieux, La maïeutique de l’exil est alors que plus soutenu85. Les recoupements des comptes et archives attestent qu’en réalité les délais d’exécution de l’artiste furent moins expéditifs qu’il ne le prétend86. La technique du repoussé (ou martelage) qu’il choisit d’adopter, allonge considérablement les temps de réalisation87. Par ailleurs, les faits montrent que, derrière son flatteur autoportrait du bourreau de travail, l’artiste s’éparpille, tâtonne, multiplie les expériences de fonte, les essais incertains (il mettra en réalité quatre ans à terminer son Jupiter et ne le livrera qu’en janvier 154588). Toutefois, au-delà de ces bémols, la part déterminante de la confrontation au contexte français dans la mue artistique décrite reste indéniable. Les ambitions que le roi projette pour lui, la stimulation du contexte artistique français (incarné par les deux sculpteurs) qui révèle en creux à Cellini sa spécificité technique, les facilités matérielles mêmes, participent à révéler le sculpteur. Le processus d’identification ainsi amorcé est soutenu par ailleurs par la nouvelle identité qui vient entériner au plan juridique le changement d’identité artistique en cours. Ses lettres de naturalisation89 lui sont en effet gracieusement accordées en 85 « [...] sollecitamente si lavorava [...]. Ancora ne feci un’altra [...]. Lavorando sollecitamente avevo messo di già insieme [...] ancora avevo messo insieme [...] il vaso era molto inanzi ; le due teste di bronzo erano già finite [...]. Ancora avevo fatto parecchi operette [...] di più un vasetto [...] e a molti altri avevo fatto di molte opere [...] tirando inanzi benissimo queste opere.», Ibidem. « [...] on s’en occupait activement [...]. J’en fis une autre [...]. Grâce à ma rapidité, j’avais déjà assemblé [.... Le vase était bien avancé, les deux bustes terminés. J’avais fait de menus ouvrages [...], un petit vase d’argent [...] et beaucoup d’autres ouvrages et beaucoup avancé ces commendes », La vie, pp. 310-311. 86 T. CLOUET, Fontainebleau de 1541 à 1547. Pour une relecture des Comptes des Bâtiments du roi, in « Bulletin Monumental », Volume 170, 3, (2012), pp. 195-234. 87 JESTAZ, Benvenuto Cellini, p. 86. 88 Ivi, p. 88. 89 La lettre est conservée à la BNC de Florence. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 91 juillet 1542 par le roi90, sans même qu’il ne les réclame. Remarquons qu’à nouveau, sa nouvelle identité lui est assignée par le roi, plus qu’elle n’est choisie par l’artiste, même s’il s’en dit flatté. Les limites du sculpteur en herbe confronté au contexte parisien. Le projet de la Nymphe de Fontainebleau91 dont le roi lui confie, sur une idée de Madame d’Étampes, la conception et la réalisation en janvier 1542, suit immédiatement la naturalisation et confirme le procès artistique en cours. Pour ce relief monumental semi-circulaire de plus de quatre mètres, devant servir de tympan à la Porte dorée, l’entrée principale du château de Fontainebleau, le roi exige une réalisation d’une exceptionnelle beauté. L’artiste doit donc là faire preuve, au-delà de ses capacités techniques, de son génie. La beauté du modèle qu’il réalise pour la Nymphe est à ses dires incontestable et émerveille le 90 « Questo segretario [...] mi disse innella lingua mia, cioè in italiano, quello che voleva dire “lettere di naturalità” quale era una delle maggior degnità che si dessi a un forestiero; e disse: - Questa è altra maggiore cosa che esser fatto gentiluomo veniziano - [...] che un tal favore non s’era mai piú fatto in quel regno. », La vita, II, ch. 19, p. 327. « Le secrétaire [...] m’expliqua dans ma langue, en italien, ce qu’étaient ces fameuses lettres, à savoir une des plus grandes dignités qu’on puisse conférer à un étranger. - C’est beaucoup mieux que d’être fait gentilhomme vénitien - », La vie, p. 310. 91 « Quella figura di mezzo si è cinquanta quatto piedi [...] », La vita, II, ch. 22, p.332. « La figure du milieu aura cinquante-quatre pieds de haut », La vie, p. 314. Le relief reprend l'iconographie d'une fresque du Rosso (connue par la gravure), au centre de la galerie François Ier, et représente la légende qui donne son nom à Fontainebleau. La source est personnifiée par une nymphe qui enlace le cou d'un cerf, emblème de François Ier, évoquant la vocation du lieu à l’accueillir. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 92 Mérieux, La maïeutique de l’exil roi92. Pourtant, Cellini ne le conduisit pas à son terme. L’assemblage de la Nymphe qui devait être montée en cinq pièces rencontre des difficultés et plus d’un an plus tard, deux fondeurs français sont chargés de leur assemblage, puis de la reparure93. Le projet resta en l’état quand il quitta la France en juillet 1545 et ne fut jamais mis en place après son départ. Les comptes attestent par ailleurs que l’on paya à Primatice et non à Cellini le moule en stuc de la nymphe devant être fondue94. Cellini a donc failli. À cet échec fit suite le projet également avorté de la Fontaine de Mars, dont Cellini ne réalisa qu’un modèle de un mètre cinquante. puis la tête du colossal Mars à l’effigie du roi95 qui devait culminer à vingt-deux mètres. L’examen pointilleux des comptes de Fontainebleau que nous livre Thomas Clouet confirme que la fontaine (dite alors Fontaine d’Hercule) fut entièrement réalisée par Primatice96. Face à un Cellini lent et dispersé, Primatice travaille à l’inverse vite et bien et tire son épingle de la situation97. Il travaille sans relâche pour le roi à fondre ses bronzes d’après l’antique (Laocoon, Vénus, Apollon, hercule, Sphinx, Ariane endormie) avec les plus grands sculpteurs français98. 92 « gli pareva bellissimo » ibidem. « lui paraissait très beau », La vie, p. 314. JESTAZ, Benvenuto Cellini, p. 104. 94 Primatice aurait repris le projet de Cellini après son départ. Le roi renonça peu après à sa réalisation. CLOUET, Fontainebleau, pp. 195-234, p. 215. 95 Ivi, p. 200. 96 « La fontaine construite entiérement sous la direction de Primatice fut remplacée dès le règne de Henri IV par une autre portant une statue de Persée », Ivi, p. 199. 97 Les Comptes citent plusieurs statues réalisées concomitamment dans un même paiement, CLOUET, Fontainebleau, p. 201. 98 Ibidem. 93 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 93 Bertrand Jestaz émet enfin à ce propos de sérieuses réserves quant à la réelle maîtrise technique et au talent de sculpteur de Cellini99. Cellini, installé à Paris, à l’écart de Fontainebleau où est située la fonderie royale, n’est pas de ces projets. L’artiste ne trahit rien des éventuels doutes et ratés dont ses œuvres inachevées attestent. Pourtant, Nymphe et Fontaine relativisent et hypothèquent grandement l’accomplissement de l’artiste, aux ambitions sans doute démesurées pour ses capacités d’orfèvre. Ces deux œuvres causent de plus le début sa disgrâce progressive. La favorite du roi, furieuse que Cellini dévoile son modèle de Nymphe au roi et non à elle qui en avait suggéré l’idée, devient dès lors sa pire ennemie. L’animosité que la « velenosa » ou « crudel » duchesse d’Étampes lui témoigne replonge l’artiste dans les affres des antagonismes passés, un temps oubliés sur le sol français. Elle devient bientôt un insurmontable obstacle à ses projets professionnels : elle intrigue auprès de Primatice et du roi pour faire retirer à Cellini la commande de la Nymphe, incriminant ses temps d’exécution100. Le roi résiste un temps, mais lui cède finalement et, nous l’avons dit, Primatice en eut la charge. Cellini rapporte ces faits en mettant en avant à l’occasion de ce litige l’inconfort de sa position 99 JESTAZ, Benvenuto Cellini, pp. 120-123. « Potettono tanto quelle argute ragione, con il grande aiuto di madama di Tampes e con il continuo martellare giorno e notte, or Madama, ora il Bologna, agli orecchi di quel gran Re. [...] lei e il Bologna d’accordo dissono: Come è ’gli possibile, sacra Maestà, che, volendo quella che Benvenuto gli faccia dodici statue d’argento, per la qual cosa non n’ha ancora finito una? », La vita, II, ch. 26, p.338. « Ses arguments malins, appuyés par madame d’Etampes qui le relayait pour casser les oreilles du roi jour et nuit prirent le dessus. [...] Mais le plus décisif fut le discours qu’ils lui tinrent ensemble : Comment sera-t-il possible, Majesté sacrée, que benvenuto fasse pour vous les douze statues d’argent ? Il n’en a pas encore fini une seule ! - », La vie, p. 320. 100 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 94 Mérieux, La maïeutique de l’exil d’étranger, qu’il n’est pourtant plus depuis sa naturalisation, gravitant dans un contexte français hostile. Ce revers invertit brutalement sous sa plume la précédente spirale vertueuse. L’antagonisme de la favorite semble contaminer dans les chapitres suivants l’ensemble de la malveillante communauté française et le renvoyer à son identité italienne. Attaqué en justice pour un litige de voisinage (II, ch. 27), puis par un jeune modèle pour sodomie et viol (II, ch. 29), Cellini plaide l’innocence et déverse au fil des pages son fiel contre les Français, se posant en victime de leur roublardise. Il les déclare tour à tour coutumiers d’adultère101 et de perfidie chroniques, et experts dans l’art de monter à seules fins lucratives des procédures en justice contre des innocents, de préférence étrangers102. La sentence du juge devant lequel il comparaît et qui lui signifie que malgré son prénom il sera dès lors « mal venuto »103, paraît sonner la fin de l’intégration et de l’identification heureuses et lui tendre l’envers du royal miroir aux alouettes français. Le voici rebaptisé, stigmatisé. La mue se poursuit donc mais en sa défaveur. 101 « [...] era il costume di Francia, [...] che non era marito che non avessi le sue cornetta. », La vita, II, ch. 35, p. 355. « [...] c’était l’habitude en France où, c’est sûr, on ne rencontre pas de mari sans quelques petites cornes. », La vie, p. 335. 102 « Hanno per usanza in Francia di fare grandissimo capitale d’una lite che lor cominciano con un forestiero o con altra persona che ’e veggano che sia alquanto istraccurato allitigare; e subito che lor cominciano a vedersi qualche vantaggio innella ditta lite, truovano da venderla; [...]. E a me intravenne questi ditti accidenti. », op. cit., II, ch. 27, p. 339. « C’est une habitude des Français de tirer de gros profits de procès engagés contre des érangers ou des personnes peu versées dans la chicane. À peine entrevoit-on un avantage à tirer d’un litige, on trouve à le vendre. [...] Toutes ces mésaventures m’arrivèrent. », La vie, p. 320. 103 « [...] - Se bene tu hai nome Benvenuto, questa volta tu sarai il mal venuto. », La vita, II, ch. 30, p. 346. « Tu as beau t’appeler Bienvenu, cette foisci tu sers le malvenu. », La vie, p. 320. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 95 Occupé d’un côté à régler ses ennuis judiciaires, l’artiste en découd de l’autre avec Primatice, qu’il surnomme la « bestia di Bologna »104 et qui incrimine Cellini d’avoir plagié le Rosso en s’inspirant d’une de ses fresques pour réaliser son Jupiter. Leurs rapports s’enveniment de page en page jusqu’aux menaces de mort105. On note l’absence de solidarité de la diaspora italienne dans ce climat de concurrence : aucun artiste n’intervient alors pour régler leur conflit. Comble d’infortune, Charles V envahit la France en juillet 1544 et menace Paris106. Des restrictions financières s’imposent. Le roi continue un temps de rétribuer l’artiste pour ses œuvres (deux mille écus lui sont versés pour la salière et pour la statue du Jupiter) malgré cette conjoncture dégradée et Cellini entreprend alors la « grande statua » du « gran colosso » de Mars destinés à la fontaine107. Mais le modèle de la « gran porta » avance peu108. Litiges, restrictions et retards ont peu à peu raison de la patiente bienveillance du roi. Lors d’une visite à son atelier en novembre 1544 (II, ch. 44), il accuse Cellini longuement de n’en faire qu’à sa tête, de ne pas 104 La vita, II, ch. 37, p. 357. « Vi dico cosí, che se io sento mai in modo nessuno che poi parliate di questa mia opera, io subito vi ammazzerò come un cane: e perché noi non siamo né in Roma, né in Bologna, né in Firenze [...] - io vi ammazzerò a ogni modo. », La vita, II, ch. 32, p. 350. « Je vous déclare que, si jamais j’apprends d’une façon ou d’une autre que vous parlez de cet ouvrage qui m’appartient, je vous tue sur-le-champ comme un chien. Nous ne sommes ni à Rome, ni à Bologne, ni à Florence [...] je vous tuerai net. », La vie, p. 330. 106 « [...] fu nel tempo che Imperadore con il suo grandissimo esercito veniva alla volta di Parigi. Veduto il Cardinale che la Francia era in gran lo penuria di danari, [...] », La vita, II, ch. 38, p. 359. « Ce fut le moment où l’empereur marcha sur Paris avec une puissante armée. Devant la pénurie d’argent en France, le cardinal [...]. », La vie, p. 339. 107 La vita, II, ch. 42, p. 367. « [...] grande statue [...] grand colosse », La vie, p. 345. 108 La vita, II, ch. 44, p. 370. « [...] grande porte », La vie, p. 349. 105 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 96 Mérieux, La maïeutique de l’exil honorer les commandes prioritaires (les douze statues). La confiance du roi est rompue et avec elle, instantanément, celle de Cellini en ses propres capacités. L’artiste formule ainsi son intention de repartir en Italie109 dès après le réquisitoire du roi. Sans le miroir tendu du roi, l’identification paraît tourner court. Les choses s’accélèrent avec le début du conflit, significativement concomitant, qui oppose alors François Ier à Henri VIII (septembre 1544 à juin 1546). Le roi n’est plus disponible aux plaisirs des arts : Cellini en prend acte (« era veramente tempo da militare, e non da statuare »110). Ce retour à l’inertie lui est insupportable. Il achève son Jupiter en janvier 1545 et en juillet 1545, laissant tout en plan, il part définitivement pour l’Italie. Era passato parecchi mesi che io non avevo aùto danari né ordine nessuno di lavorare; [...] io pregai Sua Maestà che fussi contento di farmi tanto di grazia, che io potessi andare a spasso infino in Italia [...]111. C’est donc ce faisceau de circonstances dégradées, d’animosités et d’entraves françaises nouvelles qui justifie dans l’autobiographie son départ inopiné. Nous partagerons ici les questionnements de Bertrand Jestaz quant à ses véritables motivations. La subite décision de Cellini de quitter Paris a des airs de fuite face à ses propres failles, comme Jestaz en émet l’hypothèse. Cellini n’aurait en somme pas été à la hauteur des attentes que le roi fondait en lui quant à son étoffe de sculpteur, sans 109 « [...] perché in questo punto, non facendomi degno di tal cose, mi partirò tornandomi in Italia [...] », La vita, II, ch. 45, p. 373. « [...] car si Votre Majesté n’accède pas à mes requêtes, je retournerai sur l’heure en Italie [...] », La vie, p. 351. 110 La vita, II, ch. 48, p. 376. « [...] les temps se prêtaient plus à faire la guerre que des statues. », La vie, p. 354. 111 Ivi, p. 375. « Je restai plusieurs mois sans recevoir ni argent ni commandes [...] je le suppliai de m’accorder la grâce d’aller faire un tour en Italie. », La vie, p. 353. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 97 doute surévaluée par les ambitions royales112. Nous l’avons dit, plusieurs des œuvres monumentales brandies dans le texte pour preuve de ses capacités ont en réalité avorté. Le Jupiter (disparu) de la Galerie de Fontainebleau, dévoilé (sous son pudique voile posé là selon Jestaz pour dissimuler de probables imperfections techniques), est la seule véritable œuvre de sculpture aboutie, que la gravure qui en laisse trace révèle peu convaincante. Les salière, pots, vases et reliefs qui demeurent de ce séjour ne relèvent pas de la statuaire. Le soin que met Cellini à décrire dans les derniers chapitres cités le délitement du contexte français pourrait donc n’être qu’habile subterfuge narratif pour masquer au lecteur (autant qu’à lui-même) son impuissance à relever le défi de la sculpture et de l’expérience française. Les conditions et opportunités privilégiées de l’exil n’ont pas suffi à faire adhérer l’artiste à la nouvelle identité dont le roi l’investit d’office à divers titres (commandes, largesses, lettres de naturalisation). La “conformation” que Cellini aurait dû accomplir pour se couler dans le moule royal prêt à poser ne s’est pas produite. Celle-ci aurait pu s’appuyer sur les interactions sociales113, mais l’installation parisienne, à l’écart de la communauté bellifontaine de ses pairs italiens et français sur lesquels il ne s’appuie pas, le laisse isolé, face à ses propres limites, et sans doute excessivement dépendant de la seule confiance du monarque en ses ambitions projetées. Cellini ne saisit pas l’opportunité bellifontaine qui lui aurait permis de faire ses armes dans l’art de la sculpture. Le huis clos de l’atelier parisien dans lequel il crée et dévoile ses œuvres pour le seul roi et sa suite est l’indice de ce processus d’identification raté, car exclusif du contexte d’accueil. Aucune curiosité pour l’école bellifontaine alors en 112 JESTAZ, Benvenuto Cellini, pp. 86 ss. E. GOFFMAN, Les relations en public, II, La mise en scène de la vie quotidienne, Paris, Minuit, coll. « Le sens commun », Paris, 1973. 113 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 98 Mérieux, La maïeutique de l’exil plein essor n’est jamais évoquée dans l’autobiographie, hormis pour dénigrer la qualité des fondeurs ou de Primatice. L’isolement et le soutien constant du roi jusqu’au désaveu final empêchent une rencontre de l’artiste avec cette nouvelle ébauche de sculpteur monumental qui reste comme atrophiée. L’expatriation française confirme en somme que la véritable ressource de son génie artistique ne tient pas aux seules contingences favorables extérieures. Elle ne pourra sourdre que d’une adhésion intime entre l’identité assignée et sa propre capacité se mesurer à ces ambitions projetées. Les caractéristiques assignées et les conditions contingentes qui auraient dû faire de lui le sculpteur espéré par le roi semblent réunies en France. Mais il semble qu’ait manqué alors à l’artiste l’articulation entre les attentes royales et la sienne propre, entravée par ailleurs par la perception hostile de ses pairs, de la favorite et des Français, qui le traitent en imposteur, voire en usurpateur (« mal venuto »). Le schéma d’analyse du sociologue Claude Dubar nous paraît à cet égard utile pour éclairer, au-delà de l’anachronisme, le paradoxal échec de Cellini en France. Il décrit en effet tout processus d’identification (à un statut, à une communauté nouvelle) comme le nécessaire point de jonction entre les trois facettes complexes de toute identité114: l’« identité pour soi » qui renvoie à l’image intime que chaque individu a de lui-même et de ses ambitions projetées, l’« identité pour autrui », produit de la construction de l’image que l’individu souhaite renvoyer aux autres, et « l’identité par autrui » qui rejoint l’identification et la qualification extérieures que les autres nous attribuent. Cellini, nous l’avons dit, se montre en France défaillant à opérer la jonction harmonieuse entre ces trois facettes. La reconnaissance des autres, mise à part celle du roi qui finira également par être défaillante, lui est niée. Rejeté par les sculpteurs et pairs italiens 114 C. DUBAR, La crise des identités, Paris, PUF, coll. « Le lien social », 2000. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 99 établis à Fontainebleau, par des Français qui le renvoient régulièrement à son statut d’étranger et d’imposteur face à ses incapacités de sculpteur, Cellini ne peut s’identifier qu’à la projection du roi qui croit en ses capacités et le fait tout à la fois sculpteur, Français, ami. Mais lorsque disparaît cette reconnaissance sur laquelle reposait tout le processus d’identification, Cellini se retrouve au point de départ, comme au sortir du cachot, sans identité acquise, et tout reste à reconstruire. L’identification ultime : la naissance concomitante dans la douleur du Persée et du sculpteur. C’est en Toscane, malgré des conditions exécrables, que l’artiste parvient à accomplir grâce à la réalisation du Persée le dernier temps du processus qui n’avait pas été possible en France et qui occupera le dernier temps de notre étude. Lorsqu’il quitte Paris et rentre à Florence en août 1545, Cellini court sans tarder proposer ses services à Cosme I (« risposi al mio Duca che volentieri, o di marmo o di bronzo, io gli farei una statua grande »115) qui, trop heureux de récupérer un artiste que le roi a laissé partir, lui confie aussitôt le défi de réaliser une statue de Persée. Les termes de leur entretien révèlent aussitôt un décalage entre Cellini qui n’hésite plus désormais à se qualifier de sculpteur de grand format et Cosme I qui, à l’inverse de François Ier, émet de très vives réserves quant à ses réelles capacités de sculpteur116, préférant le cantonner un temps 115 La vita, II, ch. 53, p. 385. « Je répondis volontiers à mon duc que j’entreprendrais volontiers une grande statue de marbre ou de bronze pour mettre sur sa belle place », La vie, p. 362. 116 « Il Duca, che più volte l’era venuta a vedere, aveva tanta gelosia (sospetto) che la non mi venissi di bronzo, che egli arebbe voluto che io avessi chiamato qualche maestro che me la gittassi. » La vita, II, ch. 61, p. 399 ; « [...] gli fece pensare, che se bene io gittavo qualcuna di queste statue, che mai io non le Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 100 Mérieux, La maïeutique de l’exil à des commandes d’orfèvrerie. Le retour en mère patrie ne résout donc en rien la complexité du processus d’identification déjà rencontrée en France. Cellini franchit une étape décisive lors d’une seconde entrevue. Il vante au duc ses compétences, dans une sorte de curriculum vitae qui résume les étapes du parcours de sa métamorphose et revendique pour finir son nouveau statut. [...] e cosí vi farei de’ vasi grandi d’oro e d’argento, sí come io ne ho fatti tanti a quel mirabil re Francesco di Francia, solo per le gran comodità che ei m’ha date, né mai s’è perso tempo ai gran colossi né all’altre statue – [...]. La Duchessa mi diceva spesso che io lavorassi per lei di oreficerie: alla quale io piú volte dissi, che ’l mondo benissimo sapeva, e tutta la Italia, che io ero buono orefice; ma che la Italia non aveva mai veduto opere di mia mano di scultura. 117 C’est la première fois que l’artiste exprime de manière aussi explicite son ambition d’être tenu pour sculpteur, en Italie. Le projet du Persée constitue son vatout et accepte pour cela les pires conditions118. Aucun contrat n’est signé, un simple engagement oral, plus tard trahi par le duc, sanctionne la commande. metterei insieme, perché l’era in me arte nuova [...] » La vita, II, ch. 63, pp. 403-404. « Le duc qui était venu plusieurs fois l’examiner craignait tellement de me voir rater la fonte qu’il aurait voulu faire venir un maître bronzier pour la couler à ma place. », La vie, p. 374 ; « [...] le convaincre que, malgré la réussite d’une ou deux fontes, je n’arriverais jamais à tout assembler car j’étais nouveau dans cet art. », La vie, p. 378. 117 La vita, II, ch. 65, p. 408. « Sans compter de grands vases d’or et d’argent semblables à tous ceux que j’ai exécutés pour l’admirable roi François de France uniquement grâce aux grandes facilités qu’il m’assurait, sans rien prendre sur le temps prévu pour les statues colossales et le reste. [...] La duchesse me demandait souvent des travaux d’orfèvrerie. Plusieurs fois je lui fis remarquer : on sait très bien dans toute l’Italie que je suis un bon orfèvre mais on n’y a encore jamais vu de sculpture de ma main. », La vie, p. 383. 118 « [...] con queste difficoltà, poi con mia danari, avevo segnato il sito della bottega », La vita, II, ch. 54, p. 388 ; « [...] un poco di botagaccia, fatta con tanta miseria, che troppo mi offende il ricordarmene. », La vita, II, ch. 57, p. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 101 Cellini attendra des semaines l’attribution d’un atelier qu’il finit par payer de ses deniers119, puis l’argent des matériaux qu’il doit avancer, et les apprentis qu’on l’empêche de recruter. Le duc le disperse de plus en commandes d’orfèvrerie, ne jurant que par le sculpteur Bandinelli dont Cellini incrimine pourtant plusieurs fois devant lui le style médiocre120. L’entreprise prend en somme tournure de bras de fer et fait à plusieurs reprises regretter à Cellini l’exil français121. Privé de toute aide, il est alors contraint à un dépassement dont il prend explicitement acte122. Ces difficultés florentines, contrepoints du favorable contexte français, vont paradoxalement conduire Cellini au terme de 392. « [...] avec ces difficultés, et aussi grâce à mon argent, je réussis à délimiter sur le terrain les fondations de mon atelier » ; « [...] monter brique après brique un bout de ce taudis d’atelier, bâti si chichement que le souvenir m’en rend malade », La vie, p. 368. 119 Ivi, p. 388. 120 « - Signor mio, [...] Baccio Bandinelli si è composto tutto di male, e cosí ei è stato sempre [...] » La vita, II, ch. 70, p. 414. « Monseigneur [...] Baccio Bandinelli est tout pétri de mal ; il l’a toujours été. », La vie, p. 388. 121 « io non mi curavo più di servire il Duca e che io me en tronerei nella Francia, dove io liberamente potevo ritornare. » ; « mi tornava in memoria il mio bello stato che io avevo lasciato in Parigi sotto ’l servizio di quel maraviglioso re Francesco, con el quale mi avanzava ogni cosa, e qui mi mancava ogni cosa. [...] », La vita, II, ch. 55, p. 390. ; « e io disperato, poverello, che mi ero ricordato del mio bello stato che io avevo in Francia, cosí mi affliggevo », La vita, II, ch. 74, p. 421. « je ne me souciais plus de servir le duc ; j’allais retourner en France où j’avais toute la liberté de rentrer. » ; « me revenait en mémoire la belle situation que j’avais laissée à Paris au service de ce merveilleux roi François, auprès de qui j’avais tout en surplus et ne manquais de rien », La vie, p. 388. « Moi je me rappelais avec désespoir ma belle situation en France et cela me plongeait dans l’affliction. », La vie, p. 395. 122 « Cercavo di pigliar de’ lavoranti per ispedir presto questa mia opera, e non ne potevo trovare, [...] io mi disposi di far da me quanto io potevo.», Ibidem. « Je tentai de trouver des apprentis pour terminer rapidement mon œuvre mais ne parvenais pas en trouver [...] je me résolus à faire par moimême tout ce que je pouvais », Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 102 Mérieux, La maïeutique de l’exil sa métamorphose. Après avoir restauré pour le duc un Ganymède en marbre123, il entreprend de fondre la tête de la Méduse, sorte d’échantillon du Persée qu’il s’apprête à couler, contre l’avis réticent du duc, toujours convaincu qu’il ne peut qu’échouer124. Ce nouveau miroir ducal de défiance conforte paradoxalement Cellini dans sa propre confiance125. C’est cette assurance rageuse et intime de l’artiste en ses propres capacités (« Fattomi da per me stesso sicurtà di buono animo126») qui stimulera le dépassement décisif de ses limites passées. L’héroïque et épique fonte du Persée peut alors commencer, semée de hauts faits et de difficultés techniques. Sur la page autobiographique comme dans le moule ou s’écoule le bronze, Cellini façonne alors pour la postérité sa figure de sculpteur en même temps que celle du splendide Persée, terrassant à la fois la Méduse et l’orfèvre. Nous ne revien- 123 Ganymède, fut selon le mythe enlevé par Jupiter métamorphosé en aigle et transporté dans le ciel, afin qu'il serve d'échanson à Jupiter et demeure toujours parmi les immortels. 124 « Avendo gittata la Medusa, ed era venuta bene, con grande speranza tiravo il mio Perseo a fine, che lo avevo di cera, e mi promettevo che cosí bene e’ mi verrebbe di bronzo [...]. [Il Duca] mi disse: - Benvenuto, questa figura non ti può venire di bronzo, perché l’arte non te lo promette -. », La vita, II, ch. 73, p. 420. « J’avais jeté la Méduse et elle était bien venue. Le cœur débordant d’espoir, je poursuivis le modèle de cire de mon Persée, me jurant qu’il viendrait aussi bien en bronze [...]. [Le duc] me dit –Benvenuto tu ne peux réussir cette figure en bronze, les règles de l’art ne te le permettent pas - », La vie, p. 394. 125 « [...] io mi risenti’ grandemente, dicendo: - Signore, io conosco che Vostra Eccellenzia illustrissima m’ha questa molta poca fede: o sí veramente lei non se ne intende -. », Ibidem. « Très vexé, je répliquai : -Monseigneur, je vois que Votre Excellence ne me fait guère confiance, ou alors c’est que vous n’y entendez vraiment rien -.», ibidem. 126 CELLINI, La vita, II, ch. 75, p. 423. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 103 drons pas ici sur le registre épique de l’épisode, passage d’anthologie maintes fois commenté127. Nous n’en retiendrons que la conversion de l’artiste explicitée pour la première fois comme telle dans le récit. Chaque ligne tend à superposer la résurrection de la statue (menacée de perte quand un incendie gagne l’atelier) et la sienne propre, marquant l’étape ultime de son adhésion à son identité de sculpteur. La conversion s’avère et s’exprime alors dans la promesse que Cellini se fait à lui-même de se dépasser en affrontant le défi d’immortaliser par son oeuvre son génie de sculpteur (« io [non avevo] piú paura di morte. »). Fattomi da per me stesso sicurtà di buono animo, e scacciato tutti quei pensieri che di ora innora mi si rappresentavano innanzi […], con tutto questo io certamente mi promettevo che, finendo la mia cominciata opera del Perseo, che tutti i mia travagli si doverriano convertire in sommo piacere e glorioso bene. Io [non avevo] piú paura di morte128. Or veduto di avere risuscitato un morto, […]. O Dio, che con le tue immense virtú risuscitasti da e’ morti, e glorioso te ne salisti al cielo! - di modo che innun tratto e’ s’empié la mia forma; per la qual cosa io m’inginochiai e con tutto ’l cuore ne ringraziai Iddio […]129. La célèbre description de ce moule qui se remplit soudain en creux du bronze en fusion, façonnant le Persée en même temps que sa figure de sculpteur de génie (« à l’instant mon 127 TERREAUX-SCOTTOC, Benvenuto Cellini, pp. 95-123. BIANCOFIORE, Benvenuto Cellini. 128 Ibidem. « Je me redonnai tout seul du courage en chassant le tourbillon incessant de mes idées […] Mais malgré tout cela je me promettais de voir, à la fin de mon Persée, tous mes tourments se convertir en joies ineffables et en glorieuses récompenses. Je [n’avais] plus peur de la mort. », La vie, p. 400. 129 La vita, II, ch. 77, p. 422« J’avais ressuscité un mort […]. - Ô Dieu qui es ressuscité des morts par Ta toute-puissance et es monté aux cieux dans la gloire !- À l’instant, mon moule s’emplit : à cette vue, je tombai à genoux et remerciai le Seigneur de tout mon coeur. », La vie, p. 401. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 104 Mérieux, La maïeutique de l’exil moule s’emplit »), confirme que la maïeutique de l’incarcération puis celle de l’exil français trouvent leur accomplissement final dans cette étape de la naissance du sculpteur de génie, dont seule l’adhésion de Cellini à sa propre identité a garanti l’avènement. Conclusion Le déplacement parisien de Cellini n’aura donc guère offert à Cellini qu’une étape, un tremplin décisif vers son envol florentin de Ganymède. En regard de la sublime réalisation de son Persée florentin, la qualité discutable des ouvrages que Cellini conduisit en France serait difficilement explicable, si n’entrait précisément en compte la tension dynamique du lent processus d’identification et de métamorphose décrit. Sa stature de sculpteur de grand format ne naît pas du seul exil français comme cela est communément acquis, mais du complexe déplacement intime vers sa propre identité dont nous avons ici tenté de révéler les principaux jalons. Amorcée par la mue carcérale qui le déleste de sa précédente peau d’orfèvre, elle se construit et s’ébauche incomplètement à Paris, essentiellement dans le reflet du miroir flatteur et grossissant tendu par François Ier. Mais si les ambitions royales stimulent chez l’artiste le processus de sa propre identification comme sculpteur, le véritable processus maïeutique ne se produisit que dans le feu brulant de son précaire atelier florentin. Là, ne “s’en remettant” alors plus qu’à lui-même, sans plus aucune facilité contingente, la fonte du Persée met à l’épreuve ses propres capacités à satisfaire les critères communs objectifs et identificatoires attestant son statut de sculpteur. La seule assignation d’office du roi n’avait pas suffi à parfaire le processus. Il lui restait à se mettre à l’épreuve dans le secret de son atelier, comme il l’avait fait une première fois dans le secret de son cachot au début du processus. Ce fut chose faite avec le Persée qui brandit fièrement en même Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 105 temps que celle de la Méduse sa dépouille d’orfèvre et le propulse tel Ganymède au Panthéon des sculpteurs universellement reconnus. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 106 Mérieux, La maïeutique de l’exil Liste des sources CELLINI B., La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze, Turin, Einaudi, 1973 CELLINI B., La vie de Benvenuto Cellini écrite par lui-même (1500-1571), Coll. Le temps retrouvé, Traduction et notes de Nadine Blamoutier, Paris, Ed. Mercure de France, 2009 CELLINI B., Dell’oreficeria, (1558), in Opere, a cura di C.G. FERRERO, Turin, UTET, Classici italiani, 1971 CELLINI B., La vie de Benvenuto Cellini écrite par lui-même (1500-1571), Paris, Mercure de France, 2009 VASARI G., Le vite de'più eccellenti pittori, scultori ed architettori, in Le Opere di Giorgio Vasari, IX, V, Vita del Rosso, Florence, Sansoni, 1981, pp. 155-174 VASARI G., Les Vies des meilleurs peintres, sculpteurs, et architectes (éd. Et tra. Sous la dir. D’A. Chastel), 11 t., Paris, Berger Levrault, 1981-1987 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 107 Bibliographie BADEROU H., L' Ecole de Fontainebleau : XVIe siècle, Paris, Skira, coll. « Les Trésors de la peinture française », Paris, 1940 BAROCCHI P., Scritti d’arte del Cinquecento, III Pittura e scultura IV, L’artista, V. Scultura, Turin, Einaudi, 1979 BÉGUIN S., L'école de Fontainebleau : le maniérisme à la cour de France, Paris, Gonthier, Seghers, 1960 Benvenuto Cellini artista e scrittore, Actes du colloque, Rome, Accademia dei Lincei, 1972 BIANCOFIORE A., Benvenuto Cellini artiste-écrivain: Benvenuto l'homme à l'œuvre, Paris, L’Harmattan, 2000 BIANCOFIORE A., Stéréotypes et représentations du Français dans la Vita de Cellini, in L’altérité française, Actes du colloque de la Société des Italianistes de l’Enseignement Supérieur, 1999, p. 41-49 CALAMANDREI P., Scritti inediti celliniani, Florence, Nuova Italia, 1971 CAMESASCA E., Narciso disperato, in Cellini, Vita, Milan, Rizzoli, 1985, p.5-37 CARRARA E., Profilo della Vita celliniana, in Cellini, Opere, Turin, UTET, 1971, pp. 33-45 CASTRA M., Identité, Les 100 mots de la sociologie, S. PAUGAM (éd.), Paris, PUF, coll. « Que Sais-Je ? », 2010 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 108 Mérieux, La maïeutique de l’exil CLOUET T., Fontainebleau de 1541 à 1547. Pour une relecture des Comptes des Bâtiments du roi, in « Bulletin Monumental », Volume 170, 3, (2012), pp. 195-234 DIMIER L., Benvenuto Cellini à la cour de France, in « Revue archeologique », N° 32, Paris, (1898), pp. 241- 276 DUBAR C., La crise des identités, Paris, Puf, coll. « Le lien social », 2000 FOCILLON H., Benvenuto Cellini, Paris, Presses Pocket n. 90, 1992 GALLISSOT R., Sous l’identité, le procès d’identification, in « L'Homme et la société », Volume 83, 1, Paris, 1987, pp. 12-27 GOFFMAN E., Les relations en public, La mise en scène de la vie quotidienne, II, Paris, Minuit, coll. « Le sens commun », Paris, 1973 GUGLIELMINETTI M., La Vita di Cellini e le memorie degli artisti, in Memoria e scrittura. L’autobiografia da Dante a Cellini, Turin, Einaudi, 1977, p. 292-386 HEIKAMP S.D., Benvenuto Cellini, coll. «I maestri della scultura», Milan, Fabbri, 1966 JESTAZ B., Benvenuto Cellini et la cour de France (1540-1545), in « Bibliothèque de l'école des chartes », Paris-Genève, Librairie Droz, Volume 161, 1, (2003). pp. 71-132 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Mérieux, La maïeutique de l’exil 109 LACROIX JEAN L., Cellini entre théorie et pratique ou les leçons celliniennes de l’expérience, « Mélanges Jacqueline Brunet », Université de Franche Comté, 1997, I, p. 541-553 LEJEUNE P., Le Pacte autobiographique, Paris, Seuil, coll. « Poétique », 1975 LEVEQUE J.-J., L’Ecole de Fontainebleau, Neuchâtel, Ides et Calendes, 2001 LUCAS FIORATO C., La genèse douloureuse et la réception difficultueuse des écrits de Benvenuto Cellini, in « Seizième siècle, Volume 5, 5, (2009), pp. 299-318 MAIER B., Umanità e stile in Benvenuto Cellini scrittore, Milan, Trevisini, 1952 POPE-HENESSY J., Benvenuto Cellini, Paris, Hazan, 1985 [or. anglais 1949] SALMON X., Fontainebleau : le temps des Italiens, Heule, Snoeck, 2013 TERREAUX-SCOTTO C., Benvenuto Cellini, sculpteur de mots et conteur d’images : la Vita, manifeste à la gloire de l’art, in « Cahiers d’études italiennes », 12, (2011), pp. 95-123 TERREAUX-SCOTTO C., Les nouvelles dans la Vita de Benvenuto Cellini, in « Cahiers d’études italiennes », 10, (2010), pp. 129155 VON SCHLOSSER L., La littérature artistique, Paris, Flammarion, 1984 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 110 D’Onofrio, Una famiglia di esuli Una famiglia di esuli: i Gicca nel Regno di Napoli di Antonio D’ONOFRIO Università degli studi di Napoli “L’Orientale” DOI 10.26337/2532-7623/D’ONOFRIO Riassunto: Il saggio concentra la sua attenzione sulla famiglia Gicca, esuli albanesi a Napoli. Il conte Stratti Gicca recluta illegalmente uomini per conto di Carlo di Borbone. Condannato a morte da Venezia, arriva con le reclute a Capua, dove assume il comando del nuovo reggimento Real Macedonia, ripartendo con una nuova vita in un nuovo regno. Il viaggio di “ritorno” è compiuto dal figlio, Michele Gicca, repubblicano, inviato come console napoletano a Corfù dal nuovo re Giuseppe Bonaparte nel 1806. Abstract: The essay focuses on the Gicca family, of Albanian origins, exiled to Naples. The count Stratti Gicca illegally recruits men on behalf of Charles of Bourbon. Condemned to death by Venice, he reaches Capua with the recruits, where he assumes the command of the new Real Macedonia regiment, starting a new life in a new kingdom. The “return” trip is made by his son, Michele Gicca, a republican, sent to Corfu in 1806 as a consul of Naples by the new king Giuseppe Bonaparte. Keywords: Exile - Recruitment - Consulate Sommario: Introduzione – Il reclutatore di militari – Il rivoluzionario – Il console – Conclusione: una famiglia di esuli – Fonti – Fonti a stampa – Bibliografia Saggio ricevuto in data 1° dicembre 2017. Versione definitiva ricevuta in data 13 gennaio 2018 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Onofrio, Una famiglia di esuli 111 Introduzione L’esilio è spesso una punizione, sia esso una condanna o una costrizione autoinflitta. Condannare all’esilio significa sradicare completamente un individuo dalle sue radici, gettarlo fuori da quelle mura che sono i confini nazionali. Quell’individuo, all’improvviso, diventa superfluo per lo Stato, fastidioso e pericoloso se tenuto nel grembo in cui è nato e vissuto e, per questo motivo, da cacciare e tenere lontano, spesso per il resto dei suoi giorni. Quei confini che sembrano così rassicuranti nella loro apparente impermeabilità, si trasformano improvvisamente per l’esiliato in un muro invalicabile, un qualcosa da odiare e da desiderare allo stesso tempo. Sono innumerevoli i casi di vite distrutte dall’esilio, di persone per cui l’allontanamento dal proprio stato si è sovrapposto a disgrazie di vario genere, persino alla morte. Tuttavia, talvolta, l’esperienza dell’allontanamento dalla propria patria può trasformarsi in una nuova occasione di vita, in un’opportunità di ripartire, di ricominciare. E non si può in questa sede pensare e immaginare la vita di un esule contemporaneo: sia che si tratti di fuga da guerre, fame e disperazione, sia che si tratti di un esilio motivato da fattori economici e lavorativi, il mondo odierno, caratterizzato dall’apparente quanto effimera assenza di confini, limiti e barriere non ha le sembianze dell’Europa del XVIII secolo. Questo saggio si colloca in un dibattito storiografico quanto mai attuale com’è quello sull’esilio, prendendo spunti e riferimenti da lavori fondamentali come quello di Anna Maria Rao sugli esuli italiani in Francia negli anni appena successivi Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 112 D’Onofrio, Una famiglia di esuli alla rivoluzione francese1 o ancora, partendo dallo stesso periodo storico, al lavoro di Sylvie Aprile, in cui l’autrice mostra attenzione alle diverse forme di esilio e a quello che spesso è un difficile adattamento ad un paese straniero2. Allo stesso modo, il lavoro di Fabio di Giannatale dimostra come l’esilio sia in realtà un fenomeno da inscrivere nalla longue durée dell’Europa e della pratica politica europea, dagli stati italiani al risorgimento, passando per la Francia di ancien régime3. La direttrice seguita in questo saggio è però leggermente diversa, prendendo in considerazione un esilio non definibile esattamente volontario, ma neanche assimilabile ad una forma tradizionale di esilio come è quello imposto da un potere centrale. È l’esilio di un uomo che in patria è condannato a morte per aver commesso un reato su commissione di uno stato estero nel quale, al contrario, viene accolto e ricostruisce una vita per sé e la propria famiglia. È un esilio su una rotta particolare che non parte dall’Italia o da un grande stato europeo e non nasce per ragioni di dissidenza politica, ma che bensì ha come punto di partenza l’Albania e punto di arrivo il regno di Napoli. Ma è anche e soprattutto un esilio fatto di ritorni: ritorni che impiegano una generazione per essere messi in pratica, che nascono e si sviluppano in un regno di Napoli e in una Albania, oltre che, ovviamente, in una Europa, completamente diversi da quelli degli anni in cui l’esilio ha avuto luogo. Il Settecento fu infatti, com’è noto, un secolo di stravolgimenti significativi per il continente europeo e l’Europa che si presentò al traguardo del 1800 era solo una lontana parente di 1 A.M. RAO, Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia (1792-1802), Napoli, Guida, 1992. 2 S. APRILE, Le siècle des exilés. Bannis et proscrits de 1789 à la Commune, Paris, CNRS Éditions, 2010. 3 F. DI GIANNATALE (ed.), Escludere per governare. L’esilio politico fra Medioevo e Risorgimento, Firenze, Le Monnier, 2011. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Onofrio, Una famiglia di esuli 113 quella che aveva aperto il nuovo secolo nel 1701. Le guerre di successione avevano cambiato la fisionomia del continente: Utrecht (1713)4 e Vienna e Parigi (1738 e 1739)5 avevano ridisegnato un’Europa di stravolgimenti e di schieramenti contrapposti, nei quali si ineriscono le dinamiche che qui si vogliono descrivere e le “storie di vita” che si vogliono narrare: quelle di una famiglia di nobili veneziani decaduti che legò i suoi destini a quelli di un nuovo regno, governato da un sovrano ambizioso, desideroso di equiparare questa nuova entità territoriale alle grandi potenze dell’epoca. Il regno in questione è appunto il regno di Napoli. Il sovrano Carlo di Borbone. 4 Nel 1713, con il trattato di Utrecht, Filippo di Borbone cedeva all’Austria i Paesi Bassi spagnoli, il regno di Napoli con annessi i Presìdi di Toscana e la sovranità sul principato di Piombino, e il ducato di Milano; all’Inghilterra andavano invece la rocca di Gibilterra, l’isola di Minorca e il monopolio del commercio degli schiavi neri verso l’America. La corona di Spagna era inoltre ufficialmente separata da quella di Francia, che a sua volta cedeva molti territori in Nord America all’Inghilterra. Si vedano J. ALBAREDA SALVADO, La guera de sucesión de España, Barcelona, Critica, 2010; P. BIANCHI (ed.), Guerra di successione spagnola, Milano, Corriere della Sera, 2016; H. KAMEN, The war of succession in Spain, 1700-1715, London, Weidenfield & Nicolson, 1969. 5 Con i due trattati l’Europa cambiava nuovamente i propri equilibri: Stanislao Leszczynski, candidato perdente al trono polacco, veniva compensato con la Lorena, motivo per il quale a Francesco Stefano di Lorena era assegnato, come compensazione, il granducato di Toscana (dopo la morte di Giangastone, ultimo rappresentante della dinastia de’ Medici); il viceregno di Napoli veniva elevato al rango di regno autonomo e passava a Carlo di Borbone, già duca di Parma e Piacenza, insieme ai Presìdi di Toscana e alla sovranità sul principato di Piombino; l’Austria, infine, si vedeva riconosciuta la Prammatica Sanzione del 1713. Si veda J.L. SUTTON, The King’s Honor and the King’s Cardinal: The War of the Polish Succession, Lexington, The University Press of Kentucky, 2015. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 114 D’Onofrio, Una famiglia di esuli Il reclutatore di militari Al suo arrivo sul trono partenopeo, Carlo di Borbone deve prima di tutto preoccuparsi della legittimità della sua posizione. Fino al 1738, infatti, la sua sovranità sul regno non è riconosciuta ufficialmente da potenze come l’Austria ed è solo a seguito della guerra di successione austriaca che la situazione si normalizza, anche grazie a vittorie fondamentali riportate in battaglie campali per il regno, come la battaglia di Velletri del 17446. Proprio questa battaglia vede l’apporto del Reggimento Real Macedonia, un reggimento di fanteria creato pochi anni prima e composto da soldati albanesi, montenegrini e macedoni. È la genesi di questo reggimento ad intrecciarsi con le vicende personali del primo protagonista di questa storia: il conte Stratti Gicca, suddito veneziano, originario di Drimades, nella regione albanese di Cimarra, ex tenente della Repubblica di Venezia, poi degradato a bandito e cacciato fuori dai confini della Serenissima7. 6 La battaglia di Velletri è da molti storici vista come un momento fondatore della legittimità dei Borbone sul trono di Napoli. Sebbene Carlo di Borbone fosse sul trono partenopeo dal 1734, Gran Bretagna, Austria e Sardegna non avevano intenzione di lasciare il più grande regno della penisola ai Borbone, già famiglia regnante di Spagna e Francia. Con un nuovo patto di famiglia e l’invio delle truppe spagnole, che giunsero in Italia dai porti dei Presìdi di Toscana, gli schieramenti si affrontarono in diverse battaglie campali. La vittoria di Velletri sancì definitivamente il possesso del regno di Napoli da parte di Carlo di Borbone. Si veda in proposito il sempre fondamentale G. GALASSO, Storia del Regno di Napoli, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 2008-2011, 6 volumi. 7 Archivio di Stato di Venezia (d’ora in avanti ASV), Provveditori di Terra e di Mar, filza 81, 15 settembre e 10 novembre 1737, filza 1293, 25 novembre 1738. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Onofrio, Una famiglia di esuli 115 È il 1735, il regno di Napoli si affaccia per la prima volta sul palcoscenico europeo, guidato da un sovrano che ha l’ambizione di elevarlo tra le grandi potenze e staccarlo dall’egemonia spagnola, dotandolo di apparati amministrativi, economici e militari moderni, in un certo senso desiderando portare questo regno del sud all’interno del ristretto club dell’Europa del nord. In quegli anni, infatti, Napoli non disdegna il reclutamento, anche irregolare, di truppe straniere per aumentare i ranghi del proprio esercito e poter così tentare di competere con le grandi potenze. Al termine della rivolta corsa del 1736, culminata nella dichiarazione di indipendenza dell’isola da Genova e la sua costituzione (anche se per pochi mesi) in regno autonomo8, è ad esempio proprio a Napoli che molti esuli corsi9 riparano in esilio dopo il ripristino del potere genovese sull’isola. L’anno è il 1739 e 8 Nel 1736, a seguito di anni di rivolta, venne proclamato in Corsica un regno indipendente con a capo il barone tedesco Theodor Stephan von Neuhoff con il nome di re Teodoro I di Corsica. Il regno durò dal marzo al novembre del 1736, quando sull’isola venne ristabilita l’autorità genovese, già con il fondamentale aiuto francese. È però nelle rivolte che culminarono con la proclamazione del regno che si ritrovano i segnali più diretti di quella che poi fu la rivolta corsa del 1755 che costrinse Genova a cederla, dopo tredici anni di tentativi infruttuosi di ristabilire in qualche modo il proprio potere, alla Francia. Sulle vicende del regno di Corsica e l’interessante figura di Theodor von Neuhoff si veda A.-M. GRAZIANI, Le roi Théodore, Paris, Tallandier, 2005. 9 Tra i quali anche Giacinto Paoli, padre del più noto Pasquale. Negli anni della rivolta corsa guidata da quest’ultimo (1755-1768) vi fu un altro massiccio reclutamento “abusivo” da parte del regno di Napoli. In una fitta rete di attività illecite, materie prime e armi finivano sull’isola in rivolta in cambio di uomini, corsi o disertori dell’esercito genovese, che venivano poi inquadrati nell’esercito napoletano. Per i dettagli sul reclutamento e in generale sui traffici tra il regno di Napoli e la Corsica in questi anni mi permetto di rimandare a A. D’ONOFRIO, Un piccolo spazio Mediterraneo. I Presìdi di Toscana nel XVIII secolo, Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, dottorato di ricerca in Studi Internazionali - Université Côte d’Azur, École doctorale «Sociétés, Humanités, Arts et Lettres», 2018, pp. 169-193. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 116 D’Onofrio, Una famiglia di esuli questo è il primo spostamento di esuli dalla Corsica a Napoli con il conseguente inquadramento di questi nell’esercito reale, nel neonato Reggimento Corsica, creato proprio per l’occasione10. Ciò che accade per mano dell’esule Stratti Gicca, però, non è uno esodo di massa, non è un esilio volontario di oppositori politici quale quello corso, bensì una vera operazione di reclutamento sul posto, un’azione all’epoca criminale portata avanti con l’ausilio di un personaggio, il conte Gicca, quantomeno particolare, di fatto un faccendiere il cui unico compito era quello di fornire quanti più uomini possibile al servizio della corona, con tutti i mezzi necessari e senza alcun compito ufficiale. Reclutare in territori di sovranità straniera non era infatti consentito, anche se si trattava di una pratica in realtà comune a molti stati europei e che proseguì per tutto il XVIII secolo e anche oltre11. 10 I riferimenti al Reggimento Corsica sono numerosi e presenti in quasi tutte le opere inerenti la figura di Pasquale Paoli. Dal punto di vista del regno di Napoli, si veda M. SCHIPA, Il regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Milano, Soc. ed. Dante Alighieri, 1923, vol. I. o anche l’interessante analisi sulla situazione corsa in relazione a Napoli di F. BARRA, Il regno delle Due Sicilie: 1734-1860. Le relazioni internazionali. Volume I: Le premesse, Avellino, Il terebinto edizioni, 2017. 11 Ancora in piena epoca napoleonica sbarcano sulle coste albanesi navi battenti bandiera inglese, russa e infine francese facenti proposte di reclutamenti agli abitanti dei luoghi, ufficialmente sudditi ottomani. Si è avuto modo di affrontare l’argomento nei precedenti lavori di ricerca. A. D’ONOFRIO, Il consolato del regno di Napoli a Corfù (1806-1808), Napoli, Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, laurea in Scienze politiche e delle relazioni internazionali, A.A. 2011/2012; ID., Le isole Ionie negli equilibri del Mediterraneo napoleonico, Napoli, Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, laurea magistrale in Studi Internazionali, A.A. 2013/2014, 2 Volumi. Nel caso di specie è stato possibile verificarlo attraverso alcuni documenti dell’Archivio di Stato di Napoli (d’ora in avanti ASNa), Ministero degli Affari esteri, b. 5319, Fascicolo Esteri 5316/III. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Onofrio, Una famiglia di esuli 117 Attraverso il conte, quindi, viene intrapresa un’operazione di reclutamento nei territori di Albania, Macedonia e Grecia, le cui popolazioni sono ritenute bellicose e adatte al combattimento, seppur poco disciplinate per poter far parte di reggimenti regolari. Gicca, però, non si limita ai territori ottomani, sconfinando in quelli veneziani, reclutando anche in Dalmazia. Con queste azioni e l’attenzione veneziana su di sé, il conte si guadagna una condanna a morte che lo costringe ancora di più ad abbandonare la sua patria. Sulla sua testa il governo veneziano pone infatti una taglia di cento zecchini e a causa sua viene catturata una nave di reclute da parte di corsari dulcignoti nella convinzione che si trovasse a bordo della stessa12. Stratti Gicca, nonostante l’opposizione ufficiale del residente veneziano a Napoli13, riesce a condurre a Capua, dopo essere sbarcato a Bari, il corpo di volontari reclutato14. Da Napoli, il residente di Venezia Cesare Vignola, teneva infatti informata la Serenissima sugli spostamenti di albanesi verso il regno attraverso il canale d’Otranto e parla di un reggimento di cinquecento uomini, arruolati dal conte Gicca per l’esercito napoletano15. Nel 1737, nella piazza di Capua, viene ufficialmente istituito il Battaglione Real Macedonia (in seguito denominato Reggimento Real Macedonia e diviso in due battaglioni), il cui comando 12 P. PRETO, I servizi segreti di Venezia. Spionaggio e controspionaggio ai tempi della Serenissima, Milano, Il Saggiatore, 1994, p. 503. 13 M. INFELISE (ed.), Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli. Dispacci. XVI (10 giugno 1732 - 4 luglio 1739), Roma, Istituto Italiano di Studi Filosofici, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1992. 14 A. LEH, Cenno storico dei servigi militari prestati nel Regno delle Due Sicilie dai Greci, Epiroti, Albanesi e Macedoni in epoche diverse, Corfù, 1843, p. 15. 15 INFELISE, Corrispondenze diplomatiche veneziane p. 382. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 118 D’Onofrio, Una famiglia di esuli viene assegnato allo stesso Gicca16, posizione in cui resta, seppur con alterne fortune, fino alla sua morte. Un esule in qualche modo volontario, quindi, un uomo che ha scelto di abbandonare la propria patria per inseguire fortuna altrove e che, sulla sua esperienza di esule, costruisce la nuova fortuna della sua famiglia, tutta inquadrata all’interno del reggimento che egli stesso ha contribuito a creare. Alla sua morte, infatti, è il figlio, Attanasio Gicca, a succedergli nel ruolo di tenente generale. Il rivoluzionario Negli anni che seguono, i Gicca vivono la loro vita all’interno della capitale del regno, continuando la propria attività nel Reggimento Real Macedonia, che diventa il primo mezzo di sostentamento per i membri della famiglia, considerando come, oltre ad Attanasio, faccia parte dello stesso reggimento anche l’altro vero “protagonista” di questa famiglia di esuli, colui che in qualche modo compie il viaggio di ritorno verso la madrepatria Albania, quando ormai la Serenissima è diventata un discorso di un passato cancellato da Campoformio: Michele Gicca, fratello di Attanasio17. 16 Alla creazione del Reggimento, in realtà, il comando dello stesso viene affidato al conte Giorgio Corafà, anch’egli suddito veneziano, autore del progetto di divisione dello stesso in due battaglioni distinti aventi ciascuno tredici compagnie. Gicca rimane comunque tenente generale, come riportato in LEH, Cenno storico dei servigi militari p. 17. 17 Il livello di parentela in realtà non è chiaro. Non viene mai menzionato direttamente il nome di Stratti Gicca, ma dai documenti dell’ASNa presi in esame (Ministero degli Affari esteri, b. 5319, f. Esteri 5316/III) viene citato Attanasio Gicca come fratello di Michele Gicca. Quest’ultimo, inoltre, viene citato come conte, esattamente allo stesso modo di Stratti. A meno di un particolare caso di omonimia, quindi, bisogna supporre che Michele sia effettivamente il figlio minore del conte Stratti Gicca. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Onofrio, Una famiglia di esuli 119 Prima del suo ritorno in patria, come detto, anche Michele milita nel reggimento di famiglia, con il grado di maggiore18. È con questo grado che, durante la rivoluzione napoletana del 1799, viene mandato, dal comandante borbonico di Pescara Prichard a Napoli, in qualità di «Parlamentario per trattare alla resa di quella piazza»19. In questo momento si trova il punto di svolta della vita del conte, poiché è in questa occasione che il Gicca borbonico si trasforma nel Gicca rivoluzionario, fervente sostenitore delle idee della repubblica e strenuo difensore della sua indipendenza. A Napoli, infatti, il conte conosce il generale Duhesme e si lascia sedurre dagli ideali della Repubblica: tradisce l'esercito borbonico e si schiera con il popolo napoletano. Poco dopo viene nominato Generale di brigata della Repubblica, divenendo Capo di Battaglione della prima Legione Napoletana e Comandante della Piazza d'Acerra con il grado di maggiore20. Ancora non può saperlo, ma questo cambio di bandiera rappresenta per lui il primo passo verso un ritorno in Albania che ancora nel 1799 non è pensabile. Gicca si distingue durante la breve vita della repubblica per la sua partecipazione a molti degli avvenimenti di rilievo che ne caratterizzano l'esistenza. È del 26 febbraio 1799, infatti, l'edizione del Monitore Napoletano riportante la notizia della partenza in nottata del «Capo di Battaglione Gicca» per raggiungere «per la via di Benevento il Capo Brigata Ettore Carafa, già Conte di Ruvo», diretto in Puglia per unirsi alle truppe francesi21. Ed è 18 LEH, Cenno storico dei servigi militari p. 47. Ibidem. 20 Cfr. F. PEZZELLA, Note e documenti per la Storia di Orta di Atella, Frattamaggiore, Istituto di Studi Atellani, 2006. 21 Cfr. Monitore Napoletano Num. 8, Napoli martedì 26 febbraio 1799. È possibile visionare l'intero numero all'indirizzo http://www.repubblicanapoletana.it/mon8.htm (Ultima consultazione 27-11-2017). 19 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 120 D’Onofrio, Una famiglia di esuli di meno di un mese dopo, 16 marzo 1799, un'altra edizione del Monitore, riportante stavolta la seguente notizia: La sera del dì 11 del corrente, il Capo di Battaglione della prima Legione Napoletana Michele Gicca, Comandante della Piazza d'Acerra, ritornando da Napoli unitamente al secondo Tenente Stratti Gicca22, suo fratello, per partire il dì seguente col suo Battaglione in soccorso di Ettore Carafa in Solofra, fu assalito alle vicinanze di Acerra da molti insurgenti ed assassini, che gli tirarono varie fucilate, restando il detto Comandante ferito in due diverse parti nel braccio sinistro, ed il fratello nel dritto: ma invece di fermarsi gridò Viva la Repubblica, grido per quale gli furono tirate varie altre fucilate, senza però averlo colpito. Il detto Comandante fece partire pochi giorni dopo il suo Battaglione da Acerra per Foggia ove si forma la prima Legione Napoletana di cui è capo Ettore Carafa. Gicca Comandante23. A causa della sua partecipazione alla resistenza di Castel Nuovo e del suo tradimento alla corona borbonica, il conte, al termine della Repubblica napoletana, è condannato a morte. Tuttavia, «Il Maggiore D. Michele Gicca, antico Ufficiale del Reggimento Macedonia» viene salvato dai suoi connazionali albanesi. Questi, infatti, «disperando» della sua vita E temendo di potergli esser troncata la testa dalle mani del carnefice, perché reo di alto tradimento (essendosi implicato nella resistenza del Castel-nuovo al decadimento della repubblica), implorarono il Re Ferdinando IV la grazia della vita di quel traviato in premio dei di loro servigi, e della di loro fedeltà. Il Re annuendo all'inchiesta di quei bravi glie la donò, con Real Rescritto del 22 Questa pagina del Monitore Napoletano è l’unica fonte il cui Stratti Gicca compare come nome del fratello di Michele, cosa che potrebbe far supporre ad una parentela differente con il fondatore del Reggimento Real Macedonia. Come già detto, però, nei documenti dell’ASNa è chiaro come sia Attanasio il fratello di Michele. 23 Cit. Monitore Napoletano Num. 13, Napoli sabato 16 marzo 1799. È possibile visionare l'intero numero all'indirizzo http://www.repubblicanapoletana.it/mon13.htm (Ultima consultazione 27-11-2017) Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Onofrio, Una famiglia di esuli 121 3 Maggio 1800, e disse che, venendo condannato a morte, gli avrebbe commutata la pena in detenzione nel Castello di S. Caterina dell'isola di Favignana. In fatti essendosi ciò verificato in seguito di un regolare giudizio, fu menato in quel Castello, e vi rimase infino alla Pace di Firenze»24. L'esperienza del conte Michele Gicca in quanto repubblicano napoletano termina con la sua incarcerazione. È la pace di Firenze del 1801 a sancire la fine della prigionia per l’ex militare del Reggimento Real Macedonia. Il trattato infatti, oltre ad una serie di concessioni territoriali del regno di Napoli alla Francia (i Presìdi di Toscana e il principato di Piombino, compresa tutta l’isola d’Elba) e di altre concessioni (il ritiro delle truppe napoletane dallo Stato Pontificio, la chiusura dei porti del regno alle navi inglesi e ottomane, la garanzia di commerci privilegiati con la Francia e la presenza di un contingente francese, pagato dal regno di Napoli, a Pescara e in Terra d’Otranto per un anno), prevede la scarcerazione di tutti i prigionieri di guerra da ambo le parti e una amnistia da parte del regno di Napoli verso tutti i prigionieri e gli esiliati giacobini di cui Gicca, in virtù delle sue azioni durante la rivoluzione del 1799, fa pienamente parte. L’amnistia gli dona nuovamente la libertà, ma rimane pur sempre un uomo bollato di giacobinismo e il regno di Napoli non è certo il luogo migliore dove poter vivere per un uomo con i suoi ideali politici. Al conte non resta altro da fare che seguire la via paterna e ritirarsi, partire in esilio. Il paradosso, però, è che l’esilio non è verso un luogo lontano, né verso una nuova terra in cui continuare a vivere, bensì verso la propria patria25. Gicca, infatti, passa gli anni che vanno dal 1801 al 1806 a Drimades, in Albania, dove si trova la residenza di famiglia. Non è però un semplice albanese ritornato a casa, ma un esule del regno di Napoli e, come tale, attende l’occasione di poter riabbracciare la 24 25 LEH, Cenno storico dei servigi militari p. 52. Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 122 D’Onofrio, Una famiglia di esuli sua patria. Tuttavia, come spesso accade negli intrecci della storia, il ritorno del conte non dipende solo dalla sua volontà. È la Francia napoleonica e il suo sistema di stati satelliti a dare a Michele Gicca l’occasione di lasciare il suo esilio. Il console Tra il 1801 e il 1802 la Francia non sigla solo la pace di Firenze con il regno di Napoli, ma una serie di trattati con le potenze europee che devono significare una fine delle ostilità a tutto vantaggio francese, l’ultimo dei quali è il trattato di Amiens del 25 marzo 1802. Questa effimera “pace” europea dura però appena un anno, dopo il quale riprendono le ostilità tra Gran Bretagna e Francia, seguite, nel 1805, dalla cosiddetta Guerra della Terza coalizione. Per il regno di Napoli questo significa un nuovo tentativo antifrancese e, conseguentemente, una nuova disfatta. Sono celebri le parole di Napoleone contenute nel cosiddetto proclama di Schönbrunn del 27 dicembre 1805: Soldati, per dieci anni ho fatto il possibile per salvare il Re di Napoli, ed egli ha fatto tutto quel che poteva per rovinarsi. [...] mi sono fidato della parola di questo Principe e l'ho trattato generosamente. Quando a Marengo si sciolse la seconda coalizione contro la Francia, il Re di Napoli, che era stato il primo ad iniziare questa guerra ingiusta, abbandonato a Lunéville dai suoi alleati, rimase solo e senza difesa. Si rivolse a me, e gli perdonai per la seconda volta. Alcuni mesi fa, voi eravate alle porte di Napoli. Avevo sufficienti ragioni per sospettare il tradimento che si stava preparando, e per vendicarmi delle offese che mi aveva fatto; ma fui generoso e riconobbi la neutralità di Napoli. Vi ordinai di ritirarvi da questo Regno, e, per la terza volta, la Casa di Borbone rimase sul trono e fu salva. Perdoneremo noi per la quarta volta? Ci fideremo ancora di una Corte senza lealtà, senza onore, senza criterio? No, no. La dinastia di Napoli ha finito di esistere: la sua esistenza è incompatibile con la pace di Europa e con l'onore della mia corona. Soldati, avanti! Annegate, se vi aspettassero, quei deboli battaglioni dei tiranni del mare! Che il mondo Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Onofrio, Una famiglia di esuli 123 veda come noi puniamo gli spergiuri! [...] Mio fratello vi guiderà: conosce i miei piani: ha la mia autorità e la mia piena fiducia; dategli la vostra!26. In queste parole dell’ormai imperatore dei francesi è racchiusa tanto la fine del regno di Napoli che il suo nuovo inizio sotto i vessilli francesi. Alla conquista del regno, infatti, segue l’instaurazione sul trono di Napoli di Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone e l’inizio di un periodo noto nella storiografia come Decennio francese. Perché questo lungo excursus è importante nelle vicende della famiglia Gicca è presto detto: il 17 ottobre 1806, pochi mesi dopo la nomina a re di Giuseppe, il conte Michele Gicca viene nominato console presso la Repubblica delle Sette Isole Unite27, una nuova entità territoriale nata nel 1800 a seguito della conquista russo-ottomana delle isole Ionie, strappate al controllo francese seguito al trattato di Campoformio, che comprendeva le sette isole Ionie maggiori (Cefalonia, Cerigo, Corfù, Itaca, Paxò, Santa Maura e Zante) e le altre isole minori28. Corfù non è la patria del conte, ma dalla sua costa orientale è possibile vedere ad occhio nudo quell’Albania che il padre, non molti anni prima, aveva lasciato e in cui lui è stato costretto 26 H. ACTON, I Borboni di Napoli (1734-1825), Firenze, Giunti, 1997, pp. 584-585. 27 ASNa, Ministero degli Affari Esteri, b. 5319 - f. Esteri 5316/I. Anno 1806. 28 La repubblica viene in realtà ricordata con diversi appellativi: Repubblica delle Sette Isole Unite, Repubblica delle Isole Ionie, Repubblica Settinsulare, Eptaneso, Stato Ionio. Sull’argomento si veda G. PAULINI, Memorie storiche sulla fondazione della Repubblica Jonica ossia delle sette isole unite. Roma, Libreria G. Gallarini, 1802; E. RODOCANACHI, Bonaparte et les Iles Ioniennes, un épisode des conquétes de la République et du premier Empire (1797-1816), Parigi, Félix, 1899; ma soprattutto R.M. DELLI QUADRI, Il Mediterraneo delle costituzioni. Dalla repubblica delle Sette Isole Unite agli Stati Uniti delle Isole Ionie, Milano, Franco Angeli, 2017. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Onofrio, Una famiglia di esuli 124 a rifugiarsi. La nomina di Gicca avviene senza alcuna carica ufficiale, con l’espressa raccomandazione di trasferirsi immediatamente sul posto e rimanere in segreto, evitando comportamenti che avrebbero potuto dare nell’occhio o attirare attenzioni e sospetti. Le istruzioni consegnate al neo-console sono molto precise: «Sign.r. Conte Michele Gicca 1. 2. 3. 4. [...] Il suo incarico attuale consiste in tenermi segretam.e informato, e colla maggior possibile diligenza delle forze terrestri e marittime, che li Russi hanno radunato in Corfù, e nelle altre Isole Ionie, come anche nel Continente opposto, e di quella che a mano a mano vi si potranno trasportare; de' loro preparativi di guerra, e dove siano, o possano esser diretti, de' loro disegni, mire e tentativi; in fino di tutto ciò che abbia rapporto all'uso e allo sviluppo della loro forza così di terra che di mare. È perciò V.S.Ill.ma autorizzata a portarsi in Albania, nelle Bocche di Cattaro, in Ragusa [...]. Stimerà espedienze ad opportuno, o a mandarvi anche delle persone sue affidate, per osservar da vicino, e per verificare le loro reali forze, le loro disposiz.i ad apparecchi, come tutte le loro intenzioni ad operazioni di guerra. Sarà egualmente diligente e sollecita in ragguagliarmi de' maneggi e pratiche de' Russi co' Montenegrini, cogli Albanesi, e con altre Popolaz.i, che essi abbiano potuto, o possano successivamente interessare a loro favore. Darà esatto conto, e colla maggior possibile sollecitudine di tutte le azioni e fatti militari, che succederanno nel territorio di Ragusa, e nelle Bocche, o in qualunq. altro luogo di quei paraggi, colle truppe Francesi, e di tutte le misure possibili, che li Russi impiegheranno 29 contro le medes.e» . 29 Nomina del conte S. Michele Gicca a console generale in tutti gli stati dipendenti della Repubblica Settinsulare del 17 ottobre 1806. ASNa, Ministero degli Affari Esteri, b. 5319, f. Esteri 5316/I. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Onofrio, Una famiglia di esuli 125 Per questo servizio, il console avrebbe ricevuto dal Re «come Reg.o Console presso la Repub.ca Settinsolare annui Ducati Seicento per Soldo, ad altri annui Duc.i Trecento per le spese di Cancelleria e Segret.a; fuori dalla spesa della Posta, che [gli] verrà bonificata a parte»30. Viene inoltre allegata alla nomina «una cifra della quale potrà far uso al bisogno, quando possa farlo con sicurezza, e senza compromettersi»31. Un lavoro da spia, senza alcuna patente ufficiale, che è di grande importanza per il regno di Napoli data la presenza di un numero allora sconosciuto di truppe russe di stanza a Corfù, minaccia immediata per il corpo di occupazione francese presente sul territorio del regno, insieme ovviamente alle truppe inglesi presenti in Sicilia. Venire informati dei movimenti dei nemici prima che fossero effettivamente messi in atto, è una priorità imprescindibile per il nuovo re di Napoli. Il regno, inoltre, non è stato riconosciuto dalle potenze europee, motivo per il quale non è possibile inviare in via ufficiale un console su un territorio controllato, di fatto, da uno stato, la Russia, che non riconosce la sovranità di Giuseppe Bonaparte sui territori partenopei e con cui, tra l'altro, si è in costante stato di guerra. È anche e soprattutto per questo motivo che la scelta ricade sul conte Gicca, albanese di nascita, ricco possidente in patria e cittadino proprio di Corfù, iscritto per diritto di nascita al Libro d’oro della nobiltà corfiotta e quindi, secondo la costituzione del 1803, al Sinclito della Repubblica Settinsulare per l’Isola di Corfù32. 30 Ibidem. Ibidem. 32 Come riferisce il console stesso nel suo Rapporto numero 51 dell’8 luglio 1807. ASNa, Ministero degli Affari Esteri, b. 5319, f. Esteri 5316/III. Anno 11. Novembre 1806 - dicembre 1807. Il Sinclito era l’assemblea dei nobili costituzionali. Si riuniva una volta ogni due anni nel mese di gennaio ed eleggeva i Rappresentanti del Corpo Legislativo e del Senato. 31 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 126 D’Onofrio, Una famiglia di esuli Nelle intenzioni del regno, questo avrebbe comportato una maggiore libertà di movimento del conte che, anche grazie alle sue conoscenze in patria, avrebbe potuto essere facilmente informato sugli avvenimenti inerenti Corfù, ma soprattutto, per i motivi strategici di cui sopra, le Bocche di Cattaro, vero obiettivo dello spionaggio militare napoletano. Nei compiti, tra l’altro, è espressamente richiesto di vigilare sui possibili, e probabili, tentativi di reclutamento di albanesi da parte russa o inglese. Un parallelismo forse involontario delle autorità francesi, che chiedono quindi ad un diretto discendente di colui che poco più di sessant’anni prima aveva reclutato illegalmente in quei territori, di evitare la medesima pratica da parte straniera. Già alla fine del mese, il neo console Gicca comincia a inviare in maniera costante i suoi rapporti alla segreteria di stato del regno di Napoli, intestando però le lettere al suo «Caro fratello»33. Talvolta queste lettere, quando contengono informazioni particolari e di importanza rilevante, sono in parte, anche considerevole, cifrate; talvolta, invece, sono brevi aggiornamenti su situazioni o spostamenti del conte stesso. La situazione del console, però, è problematica fin dal principio. L’espulsione e l’esilio sono forse nel destino dei Gicca e il conte non riesce neppure a mettere piede sul suolo di Corfù: nel suo rapporto numero 334, infatti, riferisce di essere stato espulso dall’isola appena sbarcato insieme a suo fratello e di essergli stato intimato dall'Alta Polizia di prendere il primo corriere per Otranto e di tornarvi con tutta la sua famiglia. Sostenendo di essere sull'isola per degli affari personali e protestando contro quell'ordine di espulsione al quale non si adduce alcun 33 Così il console Gicca intesta ogni sua lettera dal 1806 fino al luglio del 1807. 34 Rapporto numero 3 dell'11 novembre 1806. ASNa, b. 5319, f. Esteri 5316/III. Anno 11. Novembre 1806 - dicembre 1807. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Onofrio, Una famiglia di esuli 127 motivo, il console riesce a restare a Corfù per otto giorni, nei quali carpisce le prime notizie, inviandole a Napoli attraverso il console francese Vigoroux, che rimette i rapporti alla segreteria di stato del regno. Costretto poi a lasciare l'isola, il console noleggia delle barche per recarsi in Albania, dove intraprende nel mese di novembre 1806 un viaggio per raggiungere Ragusa e le Bocche di Cattaro per adempiere alle istruzioni della segreteria di stato e riportare comunque le informazioni richiestegli nonostante gli intoppi. Scortato, quindi, come riporta lui stesso da «otto bravi a cavallo»35, parte da Drimades, sua città di residenza, spostandosi verso nord, attraversando la regione di Valona. Questo strano nuovo esilio in madrepatria vissuto dal console dura circa un anno, dal momento della sua nomina nell’ottobre 1806 sino al suo effettivo insediamento a Corfù nell’agosto 1807: 10 mesi in cui il conte Michele Gicca gira in lungo e in largo la sua Albania ancora una volta non come un esule di ritorno, ma come un uomo cacciato dal luogo in cui era diretto, in cui avrebbe dovuto ricoprire un incarico. 10 mesi in cui riesce ad informare il regno di Napoli degli spostamenti dei russi e di tutto ciò che accade in quelle zone. Gicca è mosso, come visto, da un sincero ardore per gli ideali della rivoluzione e le libertà personali di cui la stessa rivoluzione si è fatta promotrice. Nell’arco dei suoi rapporti manifesta spesso la sua indignazione per la condotta russa nelle isole, lasciandosi andare talvolta a pesanti esternazioni: Il cittadino pacifico non è sicuro nel suo domicilio, li vien proibito di ragionare, anche di pensare. Si puniscono, si condannano all'esilio o in carcere sopra semplici sospetti! [...] Dove sono le Costituzioni! Ov'è la Libertà Civile! Quale è il rifuggio dell'infelici Greci!36. 35 36 Rapporto numero 5 del 22 novembre 1806. Ivi. Rapporto numero 6 del 24 novembre 1806. Ivi. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 128 D’Onofrio, Una famiglia di esuli L’attenzione nelle sue lettere è sempre a quella che sente la sua patria, Napoli, e al popolo. Si dimostra preoccupato per la situazione delle Ionie, poiché sa che l’aristocrazia greca isolana è schierata dalla parte dei russi, così come afferma che il popolo è compatto nella sua avversione tanto verso l'aristocrazia quanto verso gli stessi russi, definiti «barbari, oppressori, e Tartari»37. Si dice convinto che gli ideali della rivoluzione potrebbero aiutare queste popolazioni, spera nell’arrivo francese e in diverse occasioni chiede l’autorizzazione per iniziare un reclutamento di albanesi da porre al servizio del re di Napoli. Più volte tanto i russi quanto gli inglesi tentano di reclutare uomini tra le popolazioni albanesi. Nel dicembre 1806, infatti, subito dopo la dichiarazione di guerra dell’impero ottomano alla Russia38, una nave inglese giunge sulle coste dell’Albania per cercare di reclutare uomini utili alla sua causa per l’imminente guerra39. Gicca racconta di generose offerte da parte degli ufficiali inglesi che fanno titubare la popolazione, ma racconta anche di come egli si sia adoperato per impedire che il progetto andasse in porto. E non è con la “semplice” politica che riesce ad impedire il reclutamento, ma con leve differenti e più efficaci, in qualsiasi epoca o parte del mondo ci si trovi: Conobbi che qualunque discorso, qualunque raggione, che tanto io, quanto i nostri amici avessimo esposto, non avrebbe prodotto il suo effetto, senza 37 Ibidem. La guerra russo-turca scoppiò a seguito della sconfitta russa ad Austerlitz (2 dicembre 1805), ma deflagrò nel corso del 1807. L’impero ottomano era, in questo conflitto, alleato della Francia, che nel corso della guerra occupò la Dalmazia. La guerra russo-turca si concluse solo nel 1812 con il Trattato di Bucarest. 39 La cosiddetta Quarta coalizione si costituì nel 1806. Il conflitto si concluse un anno dopo con la pace di Tilsit. Per le Isole Ionie questo significò il passaggio all’impero francese. 38 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Onofrio, Una famiglia di esuli 129 l'aiuto di qualche mezzo più efficace. L'oro può tutto ed una forma di zecchini, che ho ripartita in segreto ai Moderatori, ossia vecchiardi di questi paesi più prossimi al mare, ha obbligato l'Inglesi a partire, senza aver ottenuto altro, che l'insinuazione di salpar l'ancora al più presto e partire da un Luoco, che li potrebbe esser fatale. Che l'Albanesi, erano Sudditi del Sultano, quantunque sembravano libberi; e che l'Inglesi dovevano conoscere quanto era delicato l'Articolo di Reclutare nell'altrui Stato [...]40. La questione economica diventa un problema importante per il console: più di una volta egli è costretto ad utilizzare mezzi finanziari privati per riuscire a portare avanti le istruzioni ricevute, ma le interruzioni delle comunicazioni via mare a causa della guerra e dei corsari inglesi che infestano lo Ionio e l'Adriatico41, gli rendono ormai difficile reperire i fondi necessari. In diversi rapporti, infatti, tenta di ricordare alla segreteria di stato napoletana la necessità di ricevere quanto promesso, necessità che si fa sempre più pressante dato che nel giro di pochi mesi è costretto a ipotecare beni di sua proprietà, da case a terreni, e persino a vendere i gioielli della moglie e i mobili che ha in casa a Corfù finendo «a secco» pur di avere il denaro utile per elargire doni e comprare i favori necessari42. 40 Rapporto numero 18 del 7 gennaio 1807. Come riportato nel rapporto numero 20 del 11 gennaio 1807. ASNa, Ministero degli Affari Esteri, b, 5319, f. Esteri 5316/III. Anno 11. Novembre 1806 - dicembre 1807. 41 Il problema viene segnalato nel rapporto numero 23 del 25 gennaio 1807, in cui il console si rammarica per non poter far pervenire le sue lettere spesso alla segreteria di stato. Come riporta, infatti, nel suo rapporto numero 36 del 23 marzo 1807, i rapporti che vanno dal numero sedici sino al trentacinque vennero spediti insieme in un’unica volta, cosa che rendeva, di fatto, per nulla immediata la ricezione delle informazioni al regno di Napoli. Ivi. 42 Il conte riporta queste informazioni nei numeri 15 del 19 dicembre 1806, 16 del 28 dicembre 1806 e poi di nuovo nel numero 53 del 12 luglio 1807. Ivi. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 130 D’Onofrio, Una famiglia di esuli È solo con la cessione alla Francia delle isole Ionie dopo la pace di Tilsit che il console riesce a sbarcare nuovamente sull’isola, restando in carica fino alla fine del decennio francese. Da Corfù egli afferma di essere «assediato giornalmente da' Napoletani, che ricorrono per i loro differenti affari»43. Ed è allo stesso modo da Corfù che porta avanti il suo progetto di reclutamento, seguendo quella che pare diventata una tradizione di famiglia: In una delle Conferenze ch'ebbi con S.E. il Gov.r Gen.le44 Li presentai i due Deputati della Provincia di Cimarra, i quali esposero in nome de' Loro Comitenti, il desiderio di formare un Reggim.to di Nazzione Albanese, al Servizio di S.M. il nostro Augusto Sovrano45. 43 Rapporto numero 62 del 16 settembre 1807. Ivi. All’arrivo francese venne nominato governatore delle isole Ionie César Berthier, fratello del maresciallo di Francia Louis Alexandre. Durò poco in carica, a causa del suo temperamento e dei suoi ripetuti errori. Lo stesso Napoleone lo rimproverò più volte, così come più volte scrisse a Louis Alexandre affinché intercedesse con il fratello. (È possibile trovare le lettere dell’imperatore in N. BONAPARTE, Correspondance générale publiée par la Fondation Napoléon - Tome septième: Tilsit, l'Apogée de l'Empire. 1807, Parigi, Fayard, 2010. In particolare vi è una lettera a Giuseppe, re di Napoli del 6 ottobre 1807, pp. 1167-1169, una al generale Clarke, ministro della guerra dell’impero, dello stesso giorno, pp. 1164-1165, o ancora una lettera al Maresciallo Louis Alexandre Berthier del 12 ottobre 1807, p. 1180). Inoltre, la fitta corrispondenza del generale César Berthier è conservata agli ANP, Fonds Général Berthier (an IX-1879), Répertoire (33AP/01-33AP/43). Le lettere riguardanti la permanenza a Corfù negli anni 1807-1808 sono contenute nelle unità 33AP/12 e 33AP/13. 45 L’occupazione francese delle Ionie è un caso particolare. Basti dire, in questa sede, che le Ionie sono poste dall’imperatore sotto il comando del re di Napoli, non in quanto re, ma in quanto capo militare delle guarnigioni presenti sulle stesse. Il governatore generale César Berthier è la massima carica presente sulle isole, sulle quali Napoleone non instaura né un regno vassallo né alcuna forma di potere civile, non applicando i codici e non esportando ideali ed istituzioni tipiche del suo modus operandi imperiale ed europeo. Per questo motivo, Berthier è un sottoposto del re di Napoli a cui deve, quindi, 44 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Onofrio, Una famiglia di esuli 131 S.E. Li assicurò che ne avrebbe scritto con tutta La premura in Napoli, e ch'era persuaso della Favorevole risposta di S.M., invitandoli di trattenersi fin all'arrivo della medesima. Nel mio Soggiorno in Albania, ebbi L'avvertenza di preparare L'animi a questo oggetto. Il risultato ha corrisposto alla mia aspettativa. Oltre L'infiniti vantaggi che seco porta questa Leva per il Servizio dello Stato, e L'Influenza nell'Albania, vedremo sciogliersi in Sicilia, il Corpo de' Cacciatori Albanesi, e venire ad incardinarsi in questa nuova formazione46. Conclusione: una famiglia di esuli Michele Gicca è ormai un suddito del re di Napoli, sente il regno come la sua patria e ha nei suoi ideali rivoluzionari la sua personale stella polare. Ma è allo stesso tempo un albanese che sente una profonda appartenenza alla sua regione natale. Qui ha reti di relazioni, contatti, conoscenze e si cura delle popolazioni più di quanto competa ad un semplice console spia quale è fino alla fine del 1807. Accanto al lavoro del Gicca console napoletano vi è infatti il dovere che il Gicca albanese sente di avere, il dolore per quelle «brave popolazioni»47 di quelle terre che egli sente maltrattate. Dall’inizio dell’azione del conte Stratti, la famiglia Gicca si trasforma in una famiglia di esuli: il conte parte da un esilio forzato da Venezia, si costruisce una nuova vita nel regno di Napoli, una vita per sé e per i propri figli che ne seguono le orme chiedere le diverse autorizzazioni e ai cui ordini deve sottostare. Per i dettagli si veda D. MOSCHOPOULOS, Administration publique et idées politiques dans les Iles Ioniennes pendant la seconde domination française (1807-1814), Lille, ANRT, 1991; DELLI QUADRI, Il Mediterraneo delle costituzioni. Mi permetto di rinviare anche a D’ONOFRIO, Le isole Ionie negli equilibri del Mediterraneo napoleonico. 46 Rapporto numero 58 del 30 agosto 1807. ASNa, Ministero degli Affari Esteri, b. 5319, f. Esteri 5316/III. Anno 11. novembre 1806 - dicembre 1807. 47 Rapporto numero 18 del 7 gennaio 1807. Come riportato nel rapporto numero 20 del 11 gennaio 1807. Ivi. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 132 D’Onofrio, Una famiglia di esuli nel Reggimento da lui costituito. Ma i figli sono ormai napoletani, non (solo) albanesi. E ne seguono le orme anche nella sofferenza dell’esilio, nella costrizione a lasciare la propria casa. Michele Gicca vive un esilio di ritorno, chiude il cerchio ritornando in Albania da esule giacobino ma non gli basta, assume l’incarico di console del regno di Napoli durante il decennio francese e ancora ritorna in Albania, stavolta come agente del suo “Stato di adozione”. Ed è in questo stato che torna al termine del Decennio francese e del suo incarico di console, in questo stato che muore di cause naturali nel 181848. 48 LEH, Cenno storico dei servigi militari p. 52. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Onofrio, Una famiglia di esuli 133 Fonti Archivio di Stato di Napoli, Ministero degli Affari Esteri, b. 5319 Archivio di Stato di Venezia, Provveditori di Terra e di Mar, filza 81 e filza 93 Monitore Napoletano Num. 8, Napoli martedì 26 febbraio 1799, http://www.repubblicanapoletana.it/mon8.htm (Ultima consultazione 27-11-2017) Monitore Napoletano Num. 13, Napoli sabato 16 marzo 1799, http://www.repubblicanapoletana.it/mon13.htm (Ultima consultazione 27-11-2017) Fonti a stampa LEH A., Cenno storico dei servigi militari prestati nel Regno delle Due Sicilie dai Greci, Epiroti, Albanesi e Macedoni in epoche diverse, Corfù, 1843 PAULINI G., Memorie storiche sulla fondazione della Repubblica Jonica ossia delle sette isole unite. Roma, Libreria G. Gallarini, 1802 RODOCANACHI E., Bonaparte et les Iles Ioniennes, un épisode des conquétes de la République et du premier Empire (17971816), Parigi, Félix, 1899 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 134 D’Onofrio, Una famiglia di esuli Bibliografia ACTON H., I Borboni di Napoli (1734-1825), Firenze, Giunti, 1997 D’ONOFRIO A., Il consolato del regno di Napoli a Corfù (18061808), Napoli, Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, laurea in Scienze politiche e delle relazioni internazionali, A.A. 2011/2012 D’ONOFRIO A., Le isole Ionie negli equilibri del Mediterraneo napoleonico, Napoli, Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, laurea magistrale in Studi Internazionali, A.A. 2013/2014, 2 Volumi DELLI QUADRI R.M., Il Mediterraneo delle costituzioni. Dalla repubblica delle Sette Isole Unite agli Stati Uniti delle Isole Ionie, Milano, Franco Angeli, 2017 GALASSO G., Storia del Regno di Napoli, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 2008-2011, 6 volumi INFELISE M. (ed.), Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli. Dispacci. XVI (10 giugno 1732 - 4 luglio 1739), Roma, Istituto Italiano di Studi Filosofici, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1992 Note e documenti per la Storia di Orta di Atella, Frattamaggiore, Istituto di Studi Atellani, 2006 (F. PEZZELLA, Fonti e Documenti per la Storia Atellana) PRETO P., I servizi segreti di Venezia. Spionaggio e controspionaggio ai tempi della Serenissima, Milano, Il Saggiatore, 1994 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Onofrio, Una famiglia di esuli 135 SCHIPA M., Il regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Milano, Soc. ed. Dante Alighieri, 1923, vol. I Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 136 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Tracce per un’estetica dell’esilio in Jacques-Louis David* di Laura FANTI Université Libre de Bruxelles DOI 10.26337/2532-7623/FANTI Riassunto: L'articolo è una rilettura degli anni vissuti in esilio da JacquesLouis David. Si prendono in esame la produzione, gli incontri, le mostre curate dall'artista stesso e si propone un'analisi originale di alcuni dipinti, letti come manifestazione di ricerca di pace e tranquillità ma anche di una moderazione che a volte si traduce in un'astensione e in una epoché, rivelatrici di uno stile che va oltre il Neoclassicismo. Abstract: The article is a new interpretation of the years spent in exile by Jacques-Louis David. His production, the encounters and the exhibitions curated by the artist himself, are investigated. An original exam of some of his paintings is proposed. They are considered as expression of his need for peace and tranquillity, but also for a restraint, which sometimes becomes abstention and epoché, both revealing of a style that goes further Neoclassicism. Keywords: Neoclassicism, Jacques-Louis David, Aestethics of Exile Sommario: Introduzione – Produzione, incontri e strategie espositive – Estetica dell'esilio: 1) Metamorfosi del Neoclassicismo – 2) Il pastiche italiano * Un ringraziamento particolare allo staff del Kimbell Art Museum di Fort Worth in Texas e alla Fondation Custodia di Parigi per la loro preziosa collaborazione. L'opera Mars desarmé par Vénus et les Grâces sarà chiamata per esteso solo una prima volta e ad inizio paragrafo e quindi solo Mars, lo stesso vale per La colère di Achille che sarà chiamata La colère. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 137 dell'esilio – 3) Epoché e modération – Conclusioni – Figure – Fonti – Fonti a stampa – Bibliografia Saggio ricevuto in data 13 maggio 2017. Versione definitiva ricevuta in data 11 gennaio 2018 Introduzione J'aime, comme vous savez, la vie méditative et je veux m'y livrer ici plus qu'ailleurs1 Car je marche comme autrefois ce qui étonne tout le monde J. -L. David2 Da pochi anni gli studiosi hanno iniziato ad interessarsi all'ultimo stile di Jacques-Louis David, ossia a quello stravagante oggetto di studio che è la produzione dell'artista francese nell'ultimo decennio di vita trascorso a Bruxelles3. Con la caduta 1 Lettera di David agli zii, Bruxelles, 29 gennaio 1816, pubblicata in J.L.J. DAVID, Le peintre Louis David, 1748-1825: souvenirs et documents inédits, Paris, 1880, p. 526, e in D. e G. WILDENSTEIN, Louis David, Recueil de documents complémentaires au catalogue complet de l'œuvre de l'artiste, Fondation Wildenstein, Paris, 1973, n. 1763, p. 202. 2 Lettera inedita di David a sua moglie, Bruxelles, 29 ottobre 1825, Fondation Custodia, collezione Frits Lugt, Paris, num. inv. 1992-A. 326 (Fig. 1). Si tratta molto probabilmente dell'ultima lettera scritta da David, da questo momento in poi e fino alla morte avvenuta il 29 dicembre dello stesso anno, l'artista scriverà solo sotto dettatura. 3 Jacques-Louis David (1748-1825) visse gli ultimi dieci anni di vita in esilio volontario a Bruxelles. Alla fine dell'Impero napoleonico, riparò per un breve periodo in Svizzera, per far ritorno in Francia ad agosto del 1815, quando gli venne concessa l'amnistia. L'artista preferì, tuttavia, auto-esiliarsi: dopo il rifiuto di Pio VII alla sua domanda di trasferimento a Roma, decise di recarsi con la moglie a Bruxelles. Qui incontrò altri regicidi della convenzione, come Charles-Jean-Marie Alquiet, Bertrand Barère e Emmanuel-Joseph Sièys, al quale dedicherà un intenso ritratto (1817, Harvard Art Museum). L'accoglienza calorosa di alcuni ex-allievi belgi, tra cui François-Joseph Navez, Joseph-Denis Odewaere, Joseph Paelinck, Michel-Ghislain Stapleaux, e il Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 138 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio di Napoleone e il rientro dei Borbone, il 27 gennaio del 1816, l'artista lascia definitivamente la Francia, per far ingresso nella città guidata da Guglielmo I, divenuta centro di accoglienza dei proscritti francesi4. Aperta e tollerante, non lontana da Parigi e parlante francese, Bruxelles permette a David di non sentirsi troppo estraneo e di godere di uno stato di pace e di libertà, pur continuando a curare i propri interessi, le proprie amicizie e la propria attività artistica. Lo stato dell'arte degli studi rivela attenzione per alcuni lavori e per la corrispondenza, nel tentativo di rintracciare le fonti stilistiche ed iconografiche e di ricostruire la personalità dell'artista5. Riteniamo che ci sia ancora molto da indagare all'in- clima tollerante della città gli permisero di continuare a lavorare assiduamente e di insegnare a una nuova generazione di artisti, tra cui un non trascurabile numero di donne. 4 Come è noto, in seguito al Congresso di Vienna, il Belgio venne annesso al Regno dei Paesi Bassi, guidato da Guglielmo I. Da despota illuminato, costui si adoperò con convinzione per lo sviluppo economico e culturale e per l'unità di due territori lontani per cultura e religione. Le ostilità dei Paesi Bassi meridionali nei suoi confronti porteranno alla Rivoluzione del 1830, con la quale il Belgio dichiarerà la propria indipendenza. 5 Tra gli studi recenti segnaliamo: S. PADIYAR, Last Words: David's “Mars Disarmed by Venus and the Graces”(1824). Subjectivity, Death, and Postrevolutionary Late Style, in «RIHA Journal», n. 23 (1 June 2011) (URL: http://www.riha-journal.org/articles/2011/2011-apr-jun/padiyar-last-words (ultimo accesso 23-03-2017); H. KOHLE, Arts et société, essais sur l'art français, Norderstedt, BOD, 2009; David After David, essays on the Later Work, atti del convegno, Jacques-Louis David: Empire to Exile, Getty Museum Research Institute and Sterling and Francine Clark Art Institute, 24-25 giugno 2005, Clark in Williamstown, Massachussets, New Haven and London, Yale University Press, 2007; David, Empire to Exile, catalogo della mostra, Los Angeles, The J. Paul Getty Museum, 1 febbraio - 24 aprile 2005; Williamstown, Sterling and Francine Clark Art Institute, 4 giugno - 5 settembre 2005, a cura di P. Bordes, Yale University Press and Sterling and Francine Clark Art Institute, 2005. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 139 terno del nucleo più intimo di queste opere, sebbene al loro contatto si provi una sorta di effetto blow up, quanto più ci si avvicina, tanto più la visione appare opaca e distante. In questo articolo è meno la ricostruzione storica ad interessarci, e neanche la genesi e l'iconografia della tarda produzione, quanto ripercorrere il filo sottile che lega i dipinti e forma lo spirito di David in esilio. Vogliamo capire se la condizione di relativo isolamento gli ha consentito di dar vita a un nuovo stile e quale ne sono le caratteristiche, e se si può arrivare a parlare di un'estetica dell'esilio e quali ne sono le linee principali. Si presentano una serie di ostacoli. In primis, la materia essenziale allo storico dell'arte, ossia le opere, alcune in Musei e in collezioni private, e altre che stanno lentamente riemergendo dal mercato: una visione anche vagamente completa è dunque al momento impossibile. Rispetto alle fonti scritte, rileviamo l'esistenza di una ricca corrispondenza, sebbene riguardi sostanzialmente lettere di David e non a lui indirizzate. Nei confronti dei documenti è necessario mantenere acceso lo spirito del tempo, che porta a parlare in un determinato modo di sé, della propria arte e del proprio entourage. Il primo quarto del XIX secolo è denso di formalismi e di etichette, di cui si deve tener conto, sin dal modo di presentare la propria condizione di esiliato, che in David equivale spesso a una condizione di benessere. Più volte l'artista parla di esilio felice, di pace, di calma, arrivando persino a scrivere in occasione di una sua mostra a Gand: Heureux exil qui m'a fait rencontrer des rivaux et des amis dans les arts. Aussitôt que l'exposition aura cessé, je volerai dans vos bras à tous, pour vous Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 140 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio témoigner la satisfaction que j'éprouve d'avoir l'honneur d'appartenir à une société de véritables artistes6. Volendo dimostrare una benevolenza e un'abnegazione che a volte appaiono forzate, e rilasciando, al contrario, dichiarazioni di sofferenza in frasi sbrigative, che paiono aforismi7. Il Belgio, pur accogliente, resta sempre il luogo dello sradicamento, non a caso Quinet scrisse: «Je suis dans Bruxelles comme dans un bois, où je rencontre de loin en loin, perdus, isolés comme moi, mes compagnons»8. Vogliamo, inoltre, rileggere le caratteristiche dell'ultimo stile di David, capire se è lecito parlare di anacronismo, se di un nuovo volto del Neoclassicismo, o piuttosto di uno stile a sé che non trova simili. Sopra a tutte queste questioni se ne trova una, forse non la principale, ma essenziale, che riguarda il dialogo tra classicismo, rivolte sociali e senso morale. Come è stato detto, «Classicismo, rivoluzione dall'alto e il presentimento della guerra civile avevano molto a che vedere tra loro. Dietro ogni avidità ed orrore, e al di là di ogni frattura, i rivolgimenti del 1789 furono 6 Lettera di David a Cornelissen, 9 giugno 1818, pubblicata in DAVID, Le peintre Louis David, 1748-1825, pp. 548-549, e in WILDENSTEIN, Louis David, p. 211, n. 1825. 7 Un campione di questa duplicità si può estrarre dalla seguente frase: «Moi je travaille comme si je n'avais que trente ans; j'aime mon art comme je l'aimais à seize ans, et je mourrai, mon ami, en tenant le pinceau. Il n'y a pas de puissance, telle malveillante qu'elle soit, qui peut m'en priver: j'oublie toute la terre; mais la palette à bas, je pense à mes enfants, à mes amis, aux braves gens.» (Lettera a Navez, 13 maggio 1817, in WILDENSTEIN, Louis David, p. 206, n. 1799 bis). 8 E. QUINET, Lettres d'exil à Michelet et à divers amis, Paris, Calmann - Lévy, 1885-1886, vol. I, p. 232 (lettera a Martin), citata in S. LUZZATTO, Mémoire de la Terreur: vieux montagnards et jeunes républicains au XIXe siècle, Lyon, Presses universitaires de Lyon, 1991, p. 194 (ed. or. Il Terrore ricordato. Memoria e tradizione dell'esperienza rivoluzionaria, Genova, Marietti, 1988). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 141 mossi da una grande spinta sociale e morale»9. David porta a Bruxelles l'orrore della Rivoluzione o sta cercando una nuova pace? Trova forse una via più autentica per esprimere il suo classicismo, più a-temporale del primo? La condizione di esiliato, i contatti con i suoi allievi, a volte più potenti e stimati di lui, cosa comporta? David, con dipinti, chiamati spesso alienanti, stravaganti, al limite del kitsch e del cattivo gusto per molti, sta forse parlando un linguaggio che ancora non abbiamo compreso? A questi interrogativi tentiamo di rispondere con il presente articolo. Produzione, incontri e strategie espositive Quant aux ouvrages qu'il acheva en exil, quoique dans tous on retrouve des détails et parfois des parties importantes, où tantôt l'accent de la nature et tantôt l'élévation du style ne le cèdent pas aux qualités analogues qui brillent dans des productions beaucoup plus complètes de lui, il faut avouer cependant que pris dans leur ensemble, ce que David a peint à Bruxelles est inférieur aux grands ouvrages qu'il acheva plusieurs années avant son exil10. Questo il giudizio lapidario del biografo di David, Delécluze, sugli ultimi lavori dell'artista. David a Bruxelles racconta di sentirsi libero e sereno. L'insistenza sul suo benessere appare a volte forzata e induce a pensare che la situazione non fosse così perfetta11. Bruxelles era una città aperta e tollerante, 9 M. STÜRMER, Frammenti di felicità. Classicismo e rivoluzione, Il Mulino, Bologna, 1989, p. 61 [ed. or. Scherben des Glücks. Klassizismus und Revolution, Berlin, 1987]. 10 É.J. DELÉCLUZE, Louis David, son école & son temps: souvenirs, Paris, 1855, p. 363. 11 Come intuito da BORDES, David, Empire to Exile, p. 297. E anche da PADIYAR: «David's blithe assertions seem unconvincing to us, and not only because they contradict both ancient and modern understandings of the self in exile as painful, tragic and wrenching. For even if David in Brussels is for the first time free of any constraining external agent who might deprive him of Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 142 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio ma è necessario ripensare questa presunta calorosa accoglienza nei confronti dei regicidi12. Delécluze ci informa che gli amici circondavano David di un'atmosfera di gloria che non gli faceva percepire la durezza dell'esilio13. Tuttavia, difficilmente immaginiamo un artista che ha ricevuto tutti gli onori possibili nel proprio paese, vivere serenamente da esiliato. Incontra i suoi allievi e continua a godere della stima di molti artisti in Francia, ma il confronto con la produzione belga e ciò che si stava realizzando nel suo paese, gli scambi epistolari e l'analisi delle opere dimostrano un disagio e un cambiamento netto rispetto al passato. Guardando al complesso dei suoi lavori, contiamo numerosi ritratti, in particolare di esuli francesi, e opere mitologiche - chiamate da David ''opere storiche'' - anche la pratica del disegno è tenuta viva e in modo frenetico. Nella ritrattistica utilizza una pasta ricca, quasi preannunciante Manet, e dà vita a un'indagine psicologica molto più marcata rispetto al passato. Il ricorso ad iconografie mitologiche potrebbe implicare una forma di resistenza rispetto al suo terribile vissuto, come vedremo nell'ultimo paragrafo, ma anche un allineamento ai valori e alle scelte dei suoi colleghi più giovani rimasti a Parigi. David continua a perseguire una politica di opportunismo ma anche a salvaguardare la propria immagine e a dare ascolto alla propria ambizione. the newfound pleasure in his brush – free now from Napoleon, from the old authoritarian Academy – can he nevertheless control the brush, or the crayon, that continues to be haunted by the failure of his radical Revolutionary hopes?» (Last words, § 9). 12 Cfr. LUZZATTO, Mémoire de la Terreur, in particolare p. 27. 13 «En effet, la plupart de ses élèves belges, MM. Odewaere, Navetz, Paelinck, Moll et Stapleaux, entre autres, n'ont pas manqué un seul instant, par leurs efforts particuliers ou réunis, de rendre les dernières années de leur maître aussi douces, aussi belles qu'il était possible qu'elles le fussent» (p. 363). Cfr. Anche il paragrafo seguente in questo contributo. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 143 Delécluze racconta in dettaglio le vicende del re di Prussia14, il quale, alcune settimane dopo l'arrivo di David a Bruxelles, chiede all'artista di trasferirsi a Berlino e di diventare Direttore Generale delle Arti, promettendogli anche tutta una serie di facilitazioni che in Francia non era riuscito ad ottenere. David declina e risponde di trovarsi a suo agio in un paese dalla «constitution parfaitement en rapport avec les idées du siècle dans lequel les traces d'une révolution sont effacées par le sentiment du bien public dont le Roi est animé», e che necessitava di un «repos moral»15. Repos moral è stato unanimemente interpretato come bisogno di un'astensione politica, più che come un'esigenza di pace interiore, ma vi ritorneremo. In realtà, l'artista vorrebbe che fosse il re Guglielmo I a fargli proposte simili, ma il sovrano non darà mai seguito alle sue richieste. È solo una delle tante delusioni mascherate da pacificazione dei sensi da parte di David, il quale, un anno dopo l'arrivo a Bruxelles, inizia ad organizzarsi per esporre le proprie opere a pagamento, come aveva già fatto a Parigi con Les Sabines (1799-1805). Il 10 agosto 1817 al Musée Royal presenta Amour et Psyché (1817; fig. 2) a beneficio degli Istituti di cura di San Gertrude e delle Orsoline16. È un momento sul quale la critica non si è focalizzata debitamente, anche a causa di lacune documentarie. Sappiamo, tuttavia, che la regina dei Paesi Bassi visitò la mostra e ne rimase piacevolmente colpita17, e conosciamo il 14 Louis David, pp. 365 ss. Lettera al conte Mercy d'Argenteau, governatore di Bruxelles, fine 1816 (WILDENSTEIN, Louis David, pp. 205-206, n. 1797). 16 Ivi, p. 207, n. 1804. Tutte le informazioni su questo evento sono prese dalla pubblicazione di Wildenstein. 17 La notizia è riportata da «Le Constitutionnel» del 19 agosto (Ivi, p. 207, n. 1805). 15 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 144 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio committente dell'opera, Giambattista Sommariva18, uomo politico vicino a Napoleone, riscoperto come collezionista illuminato da Francis Haskell19. Anche Les adieux de Télémaque et Eucharis (1818; fig. 20 3) trova spazio, sia a Gand sia a Bruxelles. A Gand vediamo David agire in prima persona. Il 20 maggio del 1818 scrive a Van Huffel, presidente della Società di Belle Arti, a proposito dell'esposizione dell'opera in una mostra a profitto della classe operaia: «Mais ce que, je vous avoue avec franchise, c'est que si on me fait pas une sorte de violence je ne me déciderai jamais de moi-même à vous en faire l'envoi»21. A luglio il dipinto si trova a Bruxelles, su richiesta del sindaco della città, ancora una volta nelle sale del Museo, e di nuovo a profitto degli Ospizi delle Orsoline e di San Gertrude. A marzo del 1824, David, settantaseienne e malato, espone a Bruxelles il suo ultimo capolavoro, Mars désarmé par Vénus et les Grâces (1824; fig. 4), incassando 1349 franchi (il prezzo del biglietto ne valeva due), da quanto ci racconta suo nipote22. L'opera si trova accanto a La colère d'Achille (1819; fig. 5), prima a Bruxelles, poi a Parigi (da maggio 1824 al 4 marzo 1825), grazie all'intercessione del figlio Eugène e di Michel Stapleaux (1799-1881). Quest'ultimo fece installare 18 Giambattista Sommariva (1760?-1826) acquistò la villa Carlotta sul lago di Como, dove si può ammirare parte della sua collezione. Il dipinto di David si trova oggi al Cleveland Museum, negli Stati Uniti. 19 F. HASKELL, An Italian Patron of Neo-classic Art, The Zaharoff Lecture for 1972, Oxford, Clarendon Press, 1972 e More about Sommariva, in «The Burlington Magazine», Vol. 114, 835 (Ottobre 1972), pp. 691-669. 20 L'opera venne commissionata dal conte Franz Schönborn-Wiesentheid e pagata 5000 franchi. 21 WILDENSTEIN, Louis David, p. 210, n. 1820. 22 DAVID, Le peintre Louis David, pp. 589-590. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 145 nella sala delle tende color verde oliva e uno specchio, dispositivo già adottato per le Sabines23. Queste mostre hanno un relativo successo, anche se nessuna equipara quello avuto dalle Sabines al Palais National des Sciences et des Arts, che si tenne dal 21 dicembre 1799 a maggio 1805, con entrata a pagamento, e che permise all'artista di vivere agiatamente. David, da solo o con l'aiuto di Gros, si occupa anche di vendere i quadri rimasti nell'atelier parigino, e di vendere i diritti di riproduzione delle sue opere24. Le delusioni arrivano presto, e pressoché contemporaneamente, anche dal proprio entourage, a cominciare dallo smacco subito per mano di Madame Récamier, la quale nel 1818 gli preferisce François Gérard (1770-1837) nell'esecuzione di un dipinto commemorativo di Madame de Staël, celebrante l'eroina Corinne25. David chiese diciotto mesi di lavoro e 40.000 franchi, mentre Gérard, interpellato dopo David, 18.000 franchi, e la promessa di lavorarci in minor tempo. Vedersi passare avanti un allievo, anche molto più giovane, non deve essere stato facile per David. 23 Ivi, p. 229, n. 1956. SCHNAPPER, Jacques Louis David, p. 520. La storia delle esposizioni seguite direttamente da David è ancora in gran parte da ricostruire e non senza difficoltà: ad esempio negli archivi dei Musées Royaux di Bruxelles non si trova neanche una carta relativa all'esposizione di Mars désarmé par Vénus, opera nelle collezioni dello stesso museo. Tutte le notizie relative alle mostre sono ricavate dal catalogo di Wildenstein. L'esposizione del Mars a Parigi è stata oggetto di studio di D. HARKETT, Exhibition Culture in Restoration Paris, PhD dissertation, Brown University, maggio 2005, UMI, Anne Arbor 2005. 25 Sull'importanza di questa opera, considerata il primo romanzo femminile del XIX secolo, si veda l'ottimo studio di G. PACINI: Hidden Politics in Germaine de Staël's Corinne ou l'Italie, in «French Forum», vol. 24, 2 (maggio 1999), University of Pennsylvania Press, pp. 163-177, Stable URL: http://www.jstor.org/stable/40552047. 24 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 146 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio All'altro allievo, Antoine-Jean Gros (1771-1835), con il quale si mostra spesso severo e rigido, David affida, invece, lo studio parigino. Il rapporto tra i due è complesso. Delécluze ne parla a lungo e, tra l'altro, scrive «pendant l'exécution du Couronnement, David parla plus d'une fois de l'auteur de la Peste de Jaffa comme d'un rival qui avait ranimé sa verve et étendu le cercle de ses idées»26. David esercitava un'influenza tirannica sugli allievi e Gros, fino all'ultimo giorno di vita (terminata con il suicidio), si considerò un allievo, nonostante fosse a sua volta un maestro. David ricambia la stima ma scrive continuamente che alla pittura di Gros manca qualcosa, fino ad arrivare alla celebre lettera in cui gli suggerisce di fare una vera opera storica, anche senza commissione27. David non dimentica che Les Pestiférés de Jaffa (1804) ricevette un'accoglienza migliore delle Sabines e del Sacré (ossia il Couronnement)28 e non dimostra apprezzamento per quell'opera napoleonica, sottolineando la sua natura non di dipinto storico ma di circostanza. Una lettera ci aiuta a vedere chiaro nel rapporto tra i due artisti: Pour la promesse ou pour mieux, pour l'espérance que vous me donnez que nous pourrons bien vous voir en Flandre, je ne vous presserai jamais de l'effectuer. Vous ne trouveriez pas en ce pays de quoi satisfaire votre curiosité. D'ailleurs, ne l'avez-vous pas vus en France, ces tableaux qui attiraient les étrangers en Belgique? 26 Louis David, p. 246. Lettere del 27 dicembre 1818 (WILDENSTEIN, Louis David, p. 217, n. 1864) e del 22 giugno 1819 (Ivi, p. 219, n. 1877). 28 Il 17 novembre 1810, Montalivet, ministro dell'interno, scrisse direttamente all'Imperatore contraddicendo il responso della giuria sulla ripartizione dei premi decennali alla classe des Beaux-Arts: «Il n'est pas de l'avis du jury, le meilleur tableau français n'est pas le Sacre de David; il donne la préférence à la Peste de Jaffa de Gros». (WILDENSTEIN, David, p. 185, n. 1589). Ricordiamo che l'opera di Gros risale al 1804. 27 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 147 Produisez, mon ami, cela vaut mieux, et j'aime mieux sacrifier le plaisir que j'aurais à vous embrasser ici, au plaisir de savoir qu'il est sorti un nouveau chef-d'œuvre de votre main29. Non è tanto l'eventuale presenza di Gros a Bruxelles che sembra irritare David - tra l'altro l'allievo effettua un viaggio a novembre, al quale David non fa cenno nelle lettere di quel periodo che ci sono pervenute - quanto il timore che l'allievo possa rubargli la scena anche in Belgio. Qualcosa di simile era già accaduto con Anne-Louis Girodet (1767-1824), la cui Scène de déluge (1806) venne coronata come migliore opera storica francese nel 1810 dalla giuria creata da Napoleone nella distribuzione dei premi decennali. Si può immaginare la reazione di David, primo pittore dell'imperatore e stimato, nonostante le vicende del passato, come il più grande artista di Francia. Napoleone annullò il concorso, ma forse David non dimenticherà l'evento. Due donne artiste occupano un ruolo importante nella vita di David a Bruxelles. Il rapporto con la prima, un'artista solo recentemente rivalutata, la talentuosa Sophie Rude-Frémiet (1798-1867)30 meriterebbe uno spazio adeguato e a sé. Frémiet 29 Ivi, p. 221, n. 1891. Nata a Dijon da una famiglia dedita alle arti, nel 1815 per via del bonapartismo del padre Louis, si trasferisce a Bruxelles dove incontra David, del quale diviene l'allieva. Costui riconosce immediatamente le doti artistiche della ragazza e le affida molte copie di suoi celebri dipinti. Nel 1821 sposa a Bruxelles lo scultore Alphonse Rude (protetto dal padre), con in quale nel 1826 si stabilisce definitivamente a Parigi. Il nome della pittrice è assente sia in Delécluze Journal de Delécluze, a cura di R. BASCHET, 1824-1828, Paris, Grasset, 1948 e in Louis David, son école & son temps: souvenirs. Paris, 1855. Una prima monografia sull'artista è stata redatta solo negli ultimi anni da Monique Geiger (Sophie Rude peintre et femme de sculpteur, une vie d'artiste au XIXe siècle, Dijon - Bruxelles - Paris, Société des amis des Musées de Dijon, Dijon, 2004). Mentre una mostra che ha ricostruito il legame artistico 30 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 148 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio è una delle prime donne artiste ad ottenere riconoscimenti ufficiali: una delle sue opere più importanti, La belle Anthia (1820; fig. 6), dove gli influssi di La Colère sono evidenti, ottiene l'accessit all'Esposizione di Gand del 182031, e permette all'artista di divenire membro dell'Accademia della città. La tela viene esposta anche a Bruxelles, dove non attira un pubblico numeroso, anche se viene acquistata immediatamente da un privato, M. Bortier32. L'operato di Sophie Frémiet e del marito, lo scultore François Rude (1744-1855), in Belgio, subirà una rapida damnatio memoriae33, tanto che nessuno dei due farà parte del comitato per le esequie a David né della commissione per l'erezione di un monumento in suo onore! In una lettera Sophie scrive che non aveva mai parlato della rottura con David perché «il y a des détails qui ne peuvent s'écrire»34. L'altra artista è Charlotte Bonaparte (1802-1834). Nipote di Napoleone, figlia del fratello Joseph e di Julie Clary, Charlotte si trova in Belgio tra il 1820 e il 182135. Meno dotata con il marito François Rude e con il milieu brussellese risale al 2012 (François et Sophie Rude, un couple d'artistes au XIXe siècle, citoyens de la Liberté, Dijon, Musée des Beaux-Arts, Musée Rude et à la Nef, 12 ottobre 2012 - 28 gennaio 2013, a cura di S. Jugie, Paris, Simogy Editions d'art, 2012). Era artista anche la sorella Véronique, che sposerà Henri Van der Haert (17901846), pittore, incisore e scultore originario di Leuven. 31 A. LIEVIN, M. DE BAEST, Annales du salon de Gand et de l'école moderne des Pays-Bas: Recueil de morceaux choisis parmi les ouvrages de peinture, sculpture, architecture et gravure, exposés au Musée en 1820, P. F. de Goesin-Verhaeghe, 1823, p. 46. 32 A. JACOBS, Les rapports du couple Rude-Frémiet avec le milieu artistique belge (1815-1829), in François et Sophie Rude, p. 60. 33 Ivi, pp. 62-63. 34 Lettera a Céline Moyne del 4 febbraio del 1823 in WILDENSTEIN, p. 227, n. 1939. 35 Julie Clary (1802-1839) va in esilio a Francoforte ma chiede a Guglielmo I di poter risiedere a Bruxelles, costui concede il permesso nell'agosto del 1820. La città tedesca era per la figlia Charlotte «insupportable» (lettera di Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 149 della Frémiet, gode comunque della stima del maestro, il quale ricorda la delicatezza della sua figura e delle sue opere, principalmente acquerelli. Charlotte parla di Bruxelles come di una città accogliente e vivace culturalmente, e apprezza la quantità di esuli francesi36. David realizza per lei e la sorella Zénaïde un noto ritratto (di cui esistono tre versioni), che la critica ha sempre visto come eccessivamente rigido, ma che recentemente è stato letto sotto una luce nuova, connessa alla tematica dell'esilio, dove si intrecciano autore, soggetto, committente e destinatario della lettera in mano alle donne ritratte37. Charlotte Bonaparte a Charlotte Boulay de la Meurthe, Francfort, 25 mai 1820, Roma, Museo Napoleonico, MN 10328/3, pubblicata in G. GORGONE, Charlotte Bonaparte, une vie en fuite, Portrait à la pointe de la plume d'une princesse romantique, in Charlotte Bonaparte 1802-1839, une princesse artiste, catalogo della mostra, Roma, Museo Napoleonico, 4 febbraio - 30 maggio 2010; Isola d'Elba, Museo Nazionale delle Residenze Napoleoniche, 15 giugno - 30 settembre 2010; Musée National des chateâux de Malmaison et Bois-Préau, 19 ottobre - 10 gennaio 2011, a cura di G. Gorgone - M. E. Tittoni Paris, Rmn, 2010, p. 14 dell'edizione francese). 36 Dalle Memorie di Mathilde Bonaparte risulta che in realtà Julie e le figlie conducevano una vita molto ritirata (Souvenirs des années d'exil, in «Revue des Deux Mondes», t. XLII, 15 décembre 1927, p. 740). 37 Scrive Marco Pupillo: «Tema principale del dipinto, spesso frainteso, è quello dell’esilio, dolorosa condizione che accomuna il pittore con le due ritrattate e con la committente dell’opera. Nella composizione viene evocato anche l’esilio di Joseph, autentico convitato di pietra, che era emigrato negli Stati Uniti al termine della parabola napoleonica. Le sorelle Bonaparte si fanno vicine l’una all’altra sul divano per poter meglio leggere la lettera che il padre ha inviato loro da Philadelphia (sulla missiva è leggibile tanto il nome della città, quanto l’affettuoso indirizzo alle figlie). In questo senso il senso di disagio trasmesso dal loro sguardo smarrito è un effetto voluto dal pittore che vuole così certificare lo spaesamento delle due principesse, da intendersi in senso letterale, innanzitutto, come stato oggettivo di chi ha perso la possibilità di abitare nella propria patria e in secondo luogo come quella condizione psicologica che ne è diretta conseguenza» (Alla scuola di JacquesViaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 150 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Una visita, forse inaspettata, raggiunge David il 16 novembre del 1820. Anche Théodore Géricault (1791-1824), più giovane di quarantatré anni e apparentemente agli antipodi di David, subisce il fascino del maestro. L'artista romantico è interessato principalmente ai disegni e non è certo un caso se, come è stato scritto, i noti studi degli alienati seguono il soggiorno a Bruxelles38: David realizza numerosi studi di teste e di fisiognomica in Belgio. Questo sembra essere l'ultimo evento di rilievo per l'artista: tra il 1819 e il 1820 lo immaginiamo sempre più deluso, amareggiato e isolato. Dipinge pochissimo e anche la scrittura rallenta39. Si sente tradito dai suoi allievi, e la vena romantica, il neo-medievalismo, la moda trobadour, la rappresentazione degli stati dell'anima, trovano presso l'ormai anziano artista, una accesa forma di resistenza. Sente che i suoi insegnamenti vengono disattesi. E quando inizia a dipingere Mars è un artista dimenticato e da dimenticare. Louis David: le poetiche dell’esilio, in Charlotte Bonaparte 1802-1839, une princesse artiste, p. 58 dell'edizione italiana del catalogo). 38 D. JOHNSON, Jacques-Louis David. Art in Metamorphosis, Princeton, Princeton University Press, 1993, p. 235. 39 Inizia a soffrire di reumatismi come scrive a Gros il primo aprile del 1819 (WILDESTEIN, Louis David, p. 221, n. 1890). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 151 Estetica dell'esilio 1) Le metamorfosi del Neoclassicismo David est un composé singulier de réalisme et d'idéal Eugène Delacroix40 Quelquechose de tendre et poignante à la fois Charles Baudelaire41 Jacques-Louis David ha attraversato ascesa, apogeo e declino del Neoclassicismo. Già come pittore di Napoleone inizia a cambiare stile e a porre una serie di interrogativi che raggiungeranno l'acme a Bruxelles. David studiava in modo maniacale l'antico e parlava spesso dell'esigenza di trasporre grazia e leggerezza, non tanto al fine di rendere esteticamente il «bello», quanto per un'esigenza morale di verità. Furono i romantici a chiamarlo «classico», nel senso dispregiativo del termine, ossia falso, ritenendo la sua arte qualcosa di finto, di ricalcato su altro, di poco originale. Senza addentrarci in questioni più grandi di questo saggio, ci limitiamo ad alcune considerazioni relative all'estetica dell'artista. Egli è anti-winckelmanniano, non vede gli antichi come fonte di una nuova religione, e forse non è il solo, visto ciò che già Hugh Honour scrisse relativamente all'eredità del tedesco presso gli artisti plastici42. L'assunto winckelmanniano, divenuto 40 E. DELACROIX, Journal, 22 février 1860, Paris 1980, p. 767 [1a ed. Paris 1893]. 41 Scrisse Baudelaire a proposito de La mort de Marat (1795) in Le Musée classique du Bazar Bonne-Nouvelle, 1846. 42 «Winckelmann's direct influence was probably stronger on writers and patrons than artists. It is felt even in the writings of some who were violently opposed to his beliefs.», H. HONOUR, Neo-classicism: style and civilisation, London, Penguin Books, 1968, p. 61. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 152 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Leitmotiv del Neoclassicismo, «eine edle Einfalt und eine stille Grösse»43, nobile semplicità e quieta grandezza, è solo tangente all'idealismo di David. Egli appare più interessato agli ideali di eroismo e di crescita spirituale che a rappresentare una nostalgica calma. Delécluze riporta il seguente ricordo e ci restituisce l'idea di Neoclassicismo presso David, all'epoca di Le Sabine: Je veux faire du grec pur; je me nourris les yeux des statues antiques, j'ai l'intention même d'en imiter quelques-unes. Les Grecs ne se faisaient nullement scrupule de reproduire une composition, un mouvement, un type, déjà reçus et employés. Ils mettaient tous leurs soins, tout leur art, à perfectionner une idée que l'on avait eue avant eux. Ils pensaient, et ils avaient raison, que l'idée dans les arts est bien plus dans la manière dont on la rend, dont on l'exprime, que dans l'idée elle-même. Donner une apparence, une forme parfaite à sa pensée, c'est être artiste; on ne l'est que par là. Enfin je fais de mon mieux, et j'espère arriver à mes fins44. Delle opere realizzate a Bruxelles, David, invece, scrive: «Si j'en crois ce que l'on ne cesse de me répéter, jamais je n'aurais fait de meilleurs ouvrages et plus décidemment [sic] dans le goût simple et énergique de l'antique Grèce»45. Gusto semplice ed energico. Ma non sono forse due termini antitetici? Dall'analisi del catalogo ragionato dei disegni risulta una passione per l'arte romana classica e per la pittura italiana rinascimentale e manierista e un interesse vago per il Partenone e per l'Ellenismo. Queste notizie ci informano di un fatto non trascurabile, il concetto davidiano di semplicità non corrisponde 43 Ricordiamo che si è appena celebrato il quarto centenario della nascita di Joachim Winckelmann (9 dicembre 1717- 8 giugno 1768) e che Napoli gli ha dedicato un convegno dal titolo Winckelmann e l’archeologia a Napoli, all'Università L'Orientale (1 marzo 2017). 44 DELÉCLUZE, Louis David, p. 61. 45 Lettera al figlio Jules, 1 gennaio 1819 (WILDENSTEIN, Louis David, pp. 212-213, n. 1841). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 153 a quello di razionalità che siamo soliti associare all'Illuminismo né a quello neoclassico tout court, se l'artista considera le proprie tele belghe pervase dello spirito dell'antica Grecia. All'immediatezza del proprio messaggio, David antepone una stratificazione, una pluralità di letture e una continua sperimentazione, che gli è stata riconosciuta solo recentemente46, e alla quale dobbiamo rivolgerci per analizzare le sue ultime opere. In questo senso, come è stato suggerito da Schnapper, David, volendo educare con il sentimento e con lo sguardo, raccoglie l'eredità dell'estetica del Laocoonte di Lessing, che ha liberato le arti visive dal motto ut pictura poesis47. Sulla stratificazione dobbiamo interpellare anche il pensiero massonico, al quale David era vicino48 e al quale in questa sede facciamo dei rapidi rimandi. Scrive Boime: Les références maçonniques dans l'œuvre de David démontrent que l'artiste structurait sa pensée autour d'un ensemble de codes, qui avaient pour but de toucher des groupes différents. Par l'intermédiaire de signes maçonniques, il s'adresse bien sûr à un public d'initiés, mais il ne s'en tient pas là, puisqu'en 46 Johnson parla di sperimentazione, esplorazione, innovazione come tratti comuni all'ultima fase dell'artista (D. JOHNSON, Jacques-Louis David. Art in Metamorphosis, Princeton, Princeton University Press, 1993, p. 222). 47 «À l'époque des Lumières, que domine le sensualisme philosophique, David ambitionne d'éduquer le peuple par le regard et par le sentiment. Il faut donc résister à la tentation d'extraire du Marat, ou des Sabines un quelconque texte-programme codé par le peintre. L'image véhicule ici une pensée qui s'élabore en elle, selon ses modalités spécifiques. Elle est image dans les deux sens du terme: représentation visuelle, et métaphore prégnante» (A. SCHNAPPER, David, La politique et la révolution, Paris, Gallimard, 2013, p. 12). 48 Albert Boime ha trovato un documento attestante la partecipazione di David alla loggia della Modération (1787), discusso nel saggio Les thèmes du serment, David et la Franc-maçonnerie in David contre David, actes du colloque au Musée du Louvre, 6-10 dicembre 1989, a cura di R. Michel, Paris, La documentation française, 1993, t. I, pp. 259-291. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 154 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio donnant à ces signes une coloration universelle, il parvient à élargir son public. Cette méthode rappelle les messages à double portée de ses œuvres néoclassiques, qui s'adressaient aussi à plusieurs publics à la fois49. Queste intuizioni andrebbero approfondite con maggiori testimonianze alla mano, tuttavia, troviamo incredibile che lo studioso non accenni neanche di sfuggita all'esilio dell'artista e a un eventuale interessamento per la massoneria in Belgio, che era ben presente già all'epoca. Al ruolo dell'atelier di David nella genesi di una complessa rete di stili che ancor oggi non è chiarita hanno accennato fino ad ora Levitine50 e Bordes51, sottolineando come ci sia una tendenza negli studi recenti a focalizzarsi sulle relazioni, gli scambi, mettendo da parte le questioni più squisitamente stilistiche. Quale era dunque l'idea di classicità che aveva a mente David durante l'esilio brussellese? Non è possibile definirlo con precisione. Sebbene parlasse di energia, i panneggi sono rigidi, le ambientazioni claustrofobiche, la pittura è magistrale, ma non ha richiami immediati, vuole piuttosto diventare essa stessa un modello. E una nostalgia, ma non ben definita, aleggia sui suoi 49 Ivi, p. 280. G. LEVITINE, The Dawn of Bohemianism. The “Barbu” Rebellion and Primitivism in Neoclassical France, University Park and London, Pennsylvania State University Press, 1978 (trad. it. All'alba della Bohème, Carocci, Roma, 1985). 51 «L’histoire de l’atelier de David ici esquissée reste largement à écrire. Non pas celle, morcelée, des quelque quatre cents artistes ayant profité de ses leçons, mais celle du rôle déterminant de cette institution dans une construction historique de l’art entre 1780 et 1820 en phase avec les termes des contemporains. Cette histoire n’opposerait plus classicisme, romantisme et réalisme, mais transcenderait le principe réducteur d’une succession de styles et parviendrait à tenir compte de l’ensemble des forces contradictoires qui s’exercent sur les créations», P. BORDES, Jacques-Louis David et ses élèves: les stratégies de l’atelier, in «Perspective», INHA, 1 giugno 2014, pp. 99112; p. 109. 50 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 155 lavori. L'antichità non può tornare52, siamo lontani dalle utopie del XVIII secolo e dalla nostalgia proto-romantica. David si trova a fare i conti con il proprio passato, che non rinnegherà mai, e a proiettarsi nel futuro, nonostante la tarda età. La percezione a tratti proto-surrealista che abbiamo di alcuni lavori nasce direttamente da tutto questo. L'esilio segna il momento della cattività, ma al contempo della libertà da vincoli e da committenti, la mente e il pennello possono scorrere senza sosta, e i messaggi si fanno via via più complessi. 2) Il pastiche italiano dell'esilio Les adieux de Télémaque et Eucharis, La colère d'Achille, e Mars désarmé par Vénus et les Grâces sono i capolavori realizzati da David a Bruxelles. L'artista abbandona la storia romana e quella contemporanea, così come la politica tout court, per dedicarsi al mito. Il ricorso alla mitologia può essere interpretato come un forma di resistenza da parte dell'artista53, un'espressione di distacco, più che di evasione, una via per traslare la memoria, che porta con sé una serie di scelte stilistiche. La critica ha parlato di decadenza, di manierismo e anche di «acquired taste»54, di «relaxed pictorial standards» e di desiderio di compiacere un nuovo pubblico; riteniamo, invece, che David stesse utilizzando un linguaggio che abbiamo appena iniziato a comprendere, dove l'arte italiana, in particolare del tardo Rinascimento, occupa un ruolo importante. 52 Cfr. LUZZATO, Mémoire de la Terreur. Come già intuito da PADIYAR, Last words, § 18. 54 A. BROOKNER, Jacques-Louis David, London, Chatto & Windus, 1980, p. 181. 53 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 156 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Già in Amour et Psyché (1817)55 l'artista realizza un pastiche di Giorgione, Tiziano, Giulio Romano e Caravaggio (di Amor vincitor in particolare)56. In altri lavori, numerosi sono i modelli italiani anche per la messa in campo di quella «proximité insistante» di cui parla Kohle57, non solo dipinti barocchi, ma anche opere di autori meno noti all'epoca come Lorenzo Lotto, ai quali l'artista guarda anche per l'uso dei colori accesi, si pensi ad esempio alle Nozze Mistiche di Santa Caterina d'Alessandria e Santi di Palazzo Barberini (1524; fig. 7). David potrebbe avere a mente anche Paris Bordone, come già intuito da Bordes58 a proposito della ripresa di immagini di coppie in pose languide, anche se lo studioso non cita L'allegoria con amanti (1550; fig. 8) né Marte toglie l'arco a Cupido (1540-1550; fig. 9), entrambi a Vienna, sui quali torneremo. Il primo artista che rapisce David nel suo viaggio in Italia nel 1775 è Correggio: «voyant les ouvrages de Corrège, je me trouvais déjà ébranlé; à Bologne je commençai à faire de tristes reflexions [sic], à Florence je fus convaincu, mais à Rome je fus 55 D. JOHNSON parla di volontà di complessità da parte di David: «David rejected the neoclassical formula of the idealizing figure and chose instead to depict an anticlassical god of love because he wanted to add greater complexity and subtlety to his interpretation of the myth, which, although inspired by Apuleius and La Fontaine, can only be understood on its own pictorial terms», Jacques-Louis David. Art in Metamorphosis, p. 252. 56 H.S. FRANCIS, Jacques-Louis David, “Cupid and Psyche”, in «The Bullettin of the Cleveland Museum of Art», febbraio 1963, p. 31. Una lettera del 22 maggio di Madame David ci permette di fissare una data post-quem (lettera di M. Giroust, Bibliothèque de l'École des Beaux-Arts, Paris, Ms. 319, n. 18, cit. in WILDENSTEIN, Louis David, n. 1801, p. 207. Sull'opera si veda anche M. VIDAL, With a Pretty Whisper: Deception and Transformation in David’s 'Cupid and Psyche' and Apuleius’s 'Metamorphoses', in «Art History», vol. 22, 2 (1999), pp. 214-243. 57 KOHLE, Arts et société, p. 58. 58 BORDES, David, Empire to Exile, p. 248. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 157 honteux de mon ignorance»59. E a Correggio tornerà spesso per le sue composizioni belghe, più che a Rubens, o tantomeno, ai primitivi fiamminghi, come è stato ripetuto, spesso in modo infondato. Non basta l'uso del rosso o l'impasto ricco della pittura a confermare un vero scambio culturale, David sicuramente guarda ai capolavori fiamminghi (che in parte vide già in Francia), ma porta con sé tutto un bagaglio di arte italiana con il quale si trova a dialogare. Dimostra una propria stravaganza, preferendo Giulio Romano, e altri artisti manieristi, a Raffaello e a Michelangelo60, ha ben presente l'affresco di Mantova e si confronta più volte con esso: prima di questo articolo non è stata notata la curiosa posizione del piede sinistro di Amore in Amour et Psyché, che è come incastrato nel lenzuolo, in un modo che ricorda, con i dovuti distinguo, il cagnolino dell'opera dell'artista italiano (figg. 10 e 11). A Wicar David scrive: «Oh Mantue! Mantue! Que tu m'est chère, je tamais [sic] parce que tu as donné la naissance à Virgile, je t'aimais parce que tu renfermes dans tes murs les chefs-d'œuvre de Jules Romain, je t'adore aujourd'hui»61. Non si 59 David citato in BROOKNER, Jacques-Louis David, p. 196. Delécluze scrive: «Il paraît que les premiers ouvrages qui ébranlèrent et détruisirent même ses préjugés à cet égard, furent les peintures dont Corrège a orné la coupole de la cathédrale de Parme. David tomba dans une espèce d'enivrement à l'aspect de ces peintures, à ce point même que Vien fut obligé de calmer son enthousiasme en lui conseillant d'attendre qu'il fût arrivé à Rome, pour faire encore quelques comparaisons avant de fixer son admiration d'une manière aussi exclusive» (DELÉCLUZE, Louis David, p. 111). 60 «However many times David may invoke the name of Raphael, he remains fundamentally in closer touch with painters in whom perfect balance is not achieved. It is in any case the Raphael of the Transfiguration and the Fire in the Borgo who most appeals to him and later in life he was to confess that he had a weakness for Giulio Romano» (BROOKNER, Jacques-Louis David, p. 57). 61 Lettera a J.B. Wicar, 18 febbraio 1808, Paris, Fondation Custodia, coll. Frits Lugt, inv. J 5541. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 158 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio tratta di una lettera dall'esilio, tuttavia uno studio analitico della stessa ci informa dell'umor malinconico di David. Nomina Mantova all'improvviso, apparentemente senza un collegamento con le frasi precedenti, perché sta parlando della mostra del Couronnement, del successo ricevuto, della difficoltà di incontrare l'Imperatore, e di suo figlio, che non riceveva aiuto da Roma dal governo, e poi aggiunge «il ne fait rien non plus pour moi», «beaucoup de gloire», ma «rien de profit». Probabilmente Wicar, che sappiamo attivo a Mantova, si trova in città in quel momento (è in Italia già dal 1800), e David si lascia andare alla malinconia dei ricordi, dimostrando che la lezione di Giulio Romano era ancora viva. 3) Epoché e modération Il poeta Joseph Brodskij (1940-1996) ci ha lasciato profonde riflessioni sulla condizione interiore dell'esiliato, l'uomo e il letterato: Per uno che fa il mio mestiere la condizione che chiamiamo esilio è, prima di tutto, un evento linguistico: a uno buttato fuori dalla lingua non resta che ritirarsi in essa. Quella che era, per così dire, la sua spada, diventa il suo scudo, la sua capsula. Quella che all’inizio era una liaison privata, intima, col linguaggio, in esilio diventa destino – prima ancora di diventare un’ossessione o un dovere62. Sebbene la pittura di David sia tutt'altro che privata e dunque il parallelo tra la poesia di Brodskij e il suo lavoro possa apparire forzata, riteniamo che anche presso l'artista francese, negli ultimi anni, ci sia un ritrarsi e un sospendersi. David ha 62 I. BRODSKIJ, Dall’esilio, trad. it. di G. Forti - G. Buttafava, Milano, Adelphi, 1988, pp. 32-33 (ed. or. Sostojanie, kotoroe my nazyvaem izgnaniem in Id., Sobranie sočinenij v 7 tomach, vol. VI, p. 93). Ringrazio Olga Truckhanova, esperta del poeta e attenta studiosa, per le segnalazioni su Brodskij. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 159 abbandonato la sua spada come Marte nel dipinto omonimo o non sa se mettervi mano come Achille nel dipinto del Kimbell Museum? Ma procediamo con ordine. La colère d'Achille è realizzato nel 1819, anche se Delécluze lo postdata a novembre 1825, quando riporta le parole pronunciate dall'artista, appena ripresosi da una malattia alla mano: «Je rajeunis, je vais me remettre à peindre»63. Si tratta di un'opera stravagante, il confronto tra Achille e Agamennone non avviene nel primo canto dell'Iliade ma nella Iphigénie di Racine (atto IV, scena VI), ma senza la presenza di Ifigenia e di Clitemnestra. Una lettera di David recentemente scoperta aiuta a chiarire l'iconografia del dipinto, l'artista vi precisa che nella mostra a Gand vuole che sotto l'opera si scriva: «le peintre a choisi l'instant où Achille s'oppose à Agamemnon au moment qu'il conduit sa fille Iphigénie pour être immolée. Cette fureur d'Achille suspend les larmes de Clytemnestre, et luis fait entrevoir une lueur d'espérance en faveur de sa fille»64. David evita narratività di tipo letterario, soffermandosi sull'autoreferenzialità del dipinto, inteso come composizione bilanciata e riflettuta di schemi lineari e organizzazione cromatica. Forse David trasla dei contenuti, ossia rappresenta un tema, in modo rivisitato, ma sta parlando di altro. Il controllo che pervade l'opera potrebbe essere, ad esempio, una riflessione condotta dall'artista sul timore di impazzire, come Achille quando si trova a trascinare il corpo di Ettore, altra storia che non è narrata, ma evocata dalla presenza dell'eroe. La circolarità degli sguardi suggerisce un senso di smarrimento e di sospensione, da Agamennone si passa ad Achille e Clitemnestra mentre Ifigenia guarda altrove e non è neanche oggetto di osservazione. Difficile 63 DELÉCLUZE, Louis David, p. 375. Lettera a M. Van Guffel, Bruxelles, 24 Luglio 1819, coll. privata, pubblicata in David after David, p. 136, nota 31. 64 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 160 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio pensare a un'identificazione con uno di questi personaggi e non è necessario far notare la drammaticità della scena, nonostante la fissità degli sguardi di Achille e di Ifigenia. Per quest'ultima si è parlato di derivazione botticelliana e, dunque di un protopreraffaellismo, non si è detto però da quale opera derivi. Pensiamo che la Pallade con centauro (1482; fig. 12) costituisca il modello più prossimo. Nonostante l'iconologia dell'opera sia da sempre discussa, nel gesto della donna (che sia Pallade o meno) inflitto al centauro si riconosce quasi all'unanimità un invito alla prudenza e alla moderazione, alla saggezza. Non era la loggia alla quale apparteneva David proprio quella della Moderazione?65 In questa direzione, persino incastrata, quasi prigioniera a livello compositivo e prospettico, Ifigenia ha un ruolo centrale nell'opera e potrebbe appartenere a tutta una serie di ritratti femminili realizzati da David in momenti molto distanti, come il disegno La Douleur (1773), e i dipinti La Vestale (1787), la Psyché abandonnée (1795?; fig. 13)66, tutti legati a un'estetica del dolore, ma forse anche al pensiero massonico, sul quale sarebbe interessante ritornare. Infine, David ha scritto che la rabbia di Achille «suspend» le lacrime di Clitemnestra, dunque al controllo aggiunge la sospensione, l'epoché. Veniamo ora al Mars, uno dei rari dipinti di David senza committente. L'opera è stata oggetto recente di un interes- 65 Infra, nota 48. Sui legami tra La Vestale e La Psyché si veda L'antiquité rêvée, innovations et résistances au XVIIIe siècle, catalogo della mostra, Paris, Musée du Louvre, 2 dicembre 2010 - 14 febbraio 2011; Houston, Museum of Fine Arts, 20 marzo -30 maggio 2011, a cura di G. Faroult, C. Leribault, G. Scherf, Paris, Gallimard, 2010. 66 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 161 sante articolo di Satish Padiyar, con il quale vogliamo confrontarci. Padiyar parla di «Claritas», «aesthetic of transparency»67 e di richiami a Boucher mescolati a un'etica «trasparente» del Neoclassicismo68. Secondo lo studioso il dipinto sigillerebbe un ritorno alle radici, prima della scoperta dell'arte greca e romana. Non condividiamo questa lettura, sia perché il dipinto è ambiguo e complesso ma anche perché è necessario tener conto dei numerosi rimandi all'arte italiana, mentre nell'articolo è menzionato solo Raffaello. Le nuvole sarebbero un ritorno alla pittura rococò degli esordi e al maestro François Boucher (1703-1770); crediamo, invece che rimandino agli affreschi di Giulio Romano a Mantova e alla pittura di Correggio, anticipatrice del Barocco, ancor prima che del rococò, artisti che David apprezzava69. Sono anche un omaggio all'allievo J.A. Dominique Ingres (17801867): così come il nudo potrebbe essere un richiamo a La Grande odalisque (1814; fig. 14), anche se non si hanno prove di una diretta visione da parte di David, perché l'opera sarà esposta per la prima volta al Salon solo nel 1819, le nubi potrebbero derivare da Jupiter et Thétis (1811; fig. 15). L'opera di Ingres potrebbe costituire il trait d'union tra Mars e Achille. Un contatto con Jupiter et Thétis di Ingres per quanto riguarda Mars è stato presto notato, ma non ci risulta che qualcuno si sia soffermato sul fatto che Teti era la madre di Achille. Sicuramente David ha guardato anche alla sua allieva prediletta, Sophie Frémiet e al suo La mort de Cenchrée (1824; fig. 16), esposto al Salon di Gand nel 1824. La lettura psicoanalitica di Padyar, secondo la quale David metterebbe in campo una politica di genere, è più convincente. Dopo una dissezione del dipinto, di tipo più analitico che 67 PADIYAR, Last words, § 5. Ivi, § 21. 69 Infra, nota 95. 68 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 162 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio filologico, scrive: «In David's Mars disarmed there is no consolatory embrace, and the hero is frozen in unyielding isolation»70. Venere non lo seduce, secondo l'iconografia classica, è, invece, distante, e i riferimenti fallici, spade, lance, ecc., rimandano ad un altrove al di fuori del dipinto, mentre Marte sembra implicare un'astensione. Emozioni connesse alla morte sono ugualmente evocate. Ci colleghiamo a questa lettura per aggiungere che oltre all'astensione è presente un'epoché, una forma di sospensione del giudizio, del pensiero e dell'azione (come in La colère). Tutto si muove ma tutto rimane fermo, e quello che ancor oggi ci lascia interdetti è la volontà di fare tabula rasa ma allo stesso tempo di riempire di citazioni, di storie e di ricordi. Gli attributi delle singole figure appaiono svuotati, così come alcuni elementi, come le colombe o l'architettura sullo sfondo. Siamo nel trionfo e nella morte del Classicismo. Anche la varietà, barocca, delle posizioni e la predominanza degli elementi obliqui è un fattore su cui soffermarsi. Confrontiamo Mars con Sapho, Phaon et l'Amour (1809; fig. 17)71, dove gli elementi verticali sono a dir poco ridondanti. A partire dalla colonna a sinistra, alla quale fanno da pendant i due alberi, fino all'ultima colonna, passando per la cetra, la lancia, e così via. Saffo appare come bloccata, non libera, come saranno Ifigenia e altre figure femminili di David. Nonostante la sensualità del tema, l'artista intromette una qualche forma di moralità, di 70 PADIYAR, Last words, § 34. Il dipinto venne commissionato dal principe Nicolas Borissovitch Youssopoff (1750-1831) nel 1808 per 12.000 franchi. Nel XIX secolo in pochi ebbero occasione di vederlo. Resta nel castello d'Arkhangelskoïe. Nel 1917 è preso dai sovietici e collocato al Museo Puskin. Nel 1925 è trasferito all'Ermitage di San Pietroburgo. 71 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 163 pudore, di castigatezza quasi. Questa sovrabbondanza di elementi retorici è stata letta come debolezza72. Interessante che il dipinto, sebbene sia del 1809, venga incluso da Pinelli tra le sue opere tarde, significa aver compreso che già in Francia David stava accennando a un nuovo percorso. In Mars, se si esclude il tempietto immaginario sullo sfondo, è pressoché assente la linea verticale. L'uso delle diagonali è stato estratto dall'Allegoria dei vizi (1531; fig. 18) di Correggio e dalla pittura veneta, soprattutto di Paris Bordone, dalle opere già citate73, alle quali aggiungiamo Venere e Marte con Cupido della Galleria Doria Pamphili (1559-1560; fig. 20) con le quali David condivide uno stesso spirito, lo spirito non tanto dello spaesamento, che potrebbe attribuirsi più naturalmente alla condizione dell'esilio, ma quello della sospensione, dell'epoché, e della ricerca della moderazione. In particolare nel dipinto di Vienna, Venere è apatica, quasi anemica, così come lo sono i personaggi di Mars ma anche de La colère. Un accostamento, inedito finora, tra Ifigenia di La Colère e la Venere della Galleria Doria Pamphili, ci permette di notare le affinità tra le due donne, 72 «Cette description quelque peu compliquée fait clairement comprendre que, cette fois, David a peut-être trop compté sur son proverbial talent de metteur en scène, concentrant dans le tableau une accumulation de situations et de sentiments trop complexes et abusant, en outre, d'expédients pour disposer les protagonistes de manière à ce qu'ils regardent directement le spectateur. Cela a certainement nui à la lecture de l'œuvre et donc à son effet global. À cela s'ajoute la mièvrerie des poses et des expressions qui empêche d'apprécier pleinement une toile pourtant admirable par la splendeur des couleurs et l'élégance des détails. Mais cette surabondance d'effets rhétoriques et de maîtrise technique est sans doute le talon d'Achille de ce tableau et, en fin de compte, de toutes les dernières œuvres, pourtant remarquable de David», A. PINELLI, David, Milano, Five Continents, 2004, p. 44. 73 Infra, p. 95. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 164 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio sebbene castissima la prima e decisamente più sensuale la seconda. Le espressioni sono intraducibili, quasi muti i personaggi. In David si va oltre, e l'anti-narrazione si fa più evidente. In Mars non si può parlare esattamente di un disarmo, non abbiamo un'azione diretta da parte delle Grazie e neanche da parte di Venere. C'è una sospensione, un'insinuazione del dubbio. Se non conoscessimo il titolo non potremmo arrivare a intuire il soggetto. Anche Cupido ha deposto le armi, Marte sembra arrendersi spontaneamente74. Anche in Les adieux de Télémaque et Eucharis (1818) le linee curve sono predominanti, ma più controllate. David scrisse di aver concepito l'opera come pendant della Psyché75, unanimemente interpretata come Amour et Psyché. La storia era diffusa dal tempo di Luigi XIV, quando Fénelon scrisse Les aventures de Télémaque (1699) per l'educazione del nipote del re. Il libro era considerato un manifesto antiassolutismo ed era molto citato dai filosofi illuministi, un inno alla moderazione. Di nuovo rinveniamo la presenza, diretta o evocata, della moderazione. Corrisponde forse alla pace che l'artista cercava a Bruxelles e che secondo alcuni aveva trovato, insieme all'indipendenza76, e che forse ha sempre desiderato a partire dalla sua adesione alla loggia massonica omonima? 74 Johnson fa un confronto con Amour et Psyché. In Mars, la Venere sembra riscattarsi rispetto alla Psiche dell'omonimo dipinto, che appare, piuttosto, come schiava di Faone. Amore la vuole limitata all'esistenza terrena e quindi la relega ad essere un mostro (Jacques-Louis David. Art in Metamorphosis, p. 253). 75 Lettera a Ignace Van Brée, 20 ottobre 1817 (WILDENSTEIN, p. 209, n. 1808). 76 «Contre l'ordinaire, la vie de David a mieux fini qu'elle n'avait commencé, et l'on serait tenté de croire que la peine de l'exil, si terrible ordinairement pour les hommes, devait donner à celui-ci un calme d'esprit, une justesse de jugement et une fermeté de résolution qu'il n'avait jamais montrées auparaViaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 165 Riteniamo che ci siano ulteriori studi da realizzare sul pensiero dell'artista francese, soprattutto a causa della complessità del suo percorso e della sua arte. Elementi come equilibrio, controllo ma anche esitazione, assenza, sono tutti tenuti insieme nelle grandi opere finali. Conclusioni La produzione di David è segnata da esercizio e sperimentazione continui, che negli anni dell'esilio si fanno più intensi. Come si è visto, l'analisi della sua condizione di esiliato non è completamente chiara, così come i legami con gli allievi e con le istituzioni in Belgio. La lettura dei singoli lavori si presenta scontata solo a un rapido sguardo. Tutti sono, invece, indizi di una condizione nuova per David, dove una poetica dell'esitazione e della sospensione entrano in gioco e dove l'arte italiana ha un peso notevole, più di quella fiamminga. In questo, David ha dimostrato di essere un artista complesso, ancora in grado di dialogare con la posterità. Ci auguriamo che questo articolo apra a nuove interpretazioni dei lavori belgi e che nuove ricerche si possano effettuare in merito alla rete sociale dell'artista e ai meccanismi espositivi dei suoi lavori. Riteniamo che ci siano ulteriori studi da effettuare sugli scambi, in particolare, con Sophie Frémiet. Insieme al marito e a Henri Van der Haert, futuro marito della sorella di lei, Véronique, essi lavorarono ai fregi del Pavillon de chasse de Tervueren nel 1823, noto soltanto da alcuni disegni e moulages, poiché venne completamente distrutto da un incendio nel 1879. La decorazione prevedeva un ciclo dedicato alla vita di Achille vant. Relativement à sa satisfaction intérieure d'artiste, peut-être n'a-t-il jamais exercé la peinture avec plus d'indépendance et d'agrément qu'à Bruxelles» (DELECLUZE, Louis David, p. 371). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 166 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio e sarebbe utile capire se si può parlare di una derivazione da David e fare un confronto tra La colère, di tipo stilistico ma anche allegorico (nel caso del pavillon la decorazione era volta ad esaltare i valori morali del re Guglielmo). Anche il rapporto con Géricault andrebbe rivisto: Johnson parla di «Panoply of emotions and ideas»77 e non di semplici studi di espressione, relativamente alle teste disegnate da David a Bruxelles. Studi di psicologia potrebbero fornire in questa direzione un ausilio importante, fornendo una chiave di lettura per i volti di David, contribuendo allo studio dell'estetica dell'esilio presso l'artista, che in questo articolo abbiamo appena abbozzato. 77 Jacques-Louis David. Art in Metamorphosis, p. 234. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 167 Figure Figura 1, Lettera di David a sua moglie, 29 ottobre 1825, © Fondation Custodia, Collection Frits Lugt, Paris Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 168 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 169 170 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 171 Figura 2, Jacques-Louis David, Amour et Psyché, 1817, Museum of Contemporary Art, Cleveland Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 172 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Figura 3, Jacques-Louis David, Les adieux de Télémaque et Eucharis, 1818, The Paul Getty Museum, Malibu Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 173 Figura 4, Jacques-Louis David, Mars désarmé par Venus et les Grâces, Musée Royaux des Beaux-Arts de Belgique, Bruxelles Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 174 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Figura 5, Jacques-Louis David, The Anger of Achilles, 1819, Oil on canvas, 41 7/16 x 57 1/16 in. (105.3 x 145 cm), AP 1980.07, Kimbell Art Museum, Fort Worth, Texas Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Figura 6, Sophie Frémiet, La belle Anthia, 1820, collezione privata Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 175 176 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Figura 7, Lorenzo Lotto, Nozze mistiche di Santa Caterina d’Alessandria e Santi, 1524, Gallerie di arte antica, Palazzo Barberini, Roma Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Figura 8, Paris Bordone, Allegoria con amanti, 1550, Kunsthistorisches Museum, Wien Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 177 178 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Figura 9, Paris Bordone, Marte toglie l'arco a Cupido, 1540-1550, Kunsthistorisches Museum, Wien Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 179 Figura 10, Giulio Romano, Il banchetto di Psiche, 1526-1528, Sala di Psiche, Palazzo Tè, Mantova Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 180 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Figura 11, Giulio Romano, Banchetto di Amore e Psiche, 1526-1528, Sala di Psiche, Palazzo Tè, Mantova Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 181 Figura 12, Sandro Botticelli, Pallade con Centauro, 1482-1483, Galleria degli Uffizi, Firenze Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 182 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Figura 13, Jacques-Louis David, Psyché abandonnée, 1795?, collezione privata Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 183 Figura 14, Jean-Auguste Dominique Ingres, La Grande Odalisque, 1814, Musée du Louvre, Paris Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 184 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Figura 15, Jean Auguste Dominque Ingres, Jupiter et Thétis, 1811, Musée Mountauban, Aix-enProvence Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Figura 16, Sophie Frémiet, La mort de Cenchrée, 1824 c.a., localizzazione ignota Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 185 186 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Figura 17, Jacques-Louis David, Sapho, Phaon et l'Amour, 1809, Hermitage, San Pietroburgo Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Figura 18, Correggio, Allegoria dei vizi, 1531, Musée du Louvre, Paris Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 187 188 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Figura 19, Paris Bordone, Venere e Marte con Cupido, 1559-1560, Galleria Doria Pamphili, Roma Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 189 Figura 20, Jules Bailly, Ritratto di David, 1823, Fondation Custodia Paris, n.2000-A.551a_1 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 190 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio Fonti Archives des Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique, Bruxelles, Dossier Jacques-Louis David Fondation Custodia - Collection Frits Lugt, Paris, Dossier Jacques-Louis David Bibliothèque Royale de Belgique (KBR), Papiers Navez, Bruxelles Fonti a stampa DAVID J.-L.-L., Le peintre Louis David, 1748-1825: souvenirs et documents inédits, Paris, 1880 DELÉCLUZE É.-J., Louis David, son école & son temps: souvenirs. Paris, 1855 Bibliografia BASCHET R., Journal de Delécluze 1824-1828, Paris, Grasset, 1948 BORDES P., David, Empire to Exile, catalogo della mostra, Los Angeles, The J. Paul Getty Museum, 1 febbraio - 24 aprile 2005; Williamstown, Sterling and Francine Clark Art Institute, 4 giugno - 5 settembre 2005, Yale University Press and Sterling and Francine Clark Art Institute, 2005 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 191 BORDES P., Jacques-Louis David et ses élèves: les stratégies de l’atelier, in «Perspective», INHA, 1 juin 2014, pp. 99-112 (Philippe Bordes, Jacques-Louis David et ses élèves: les stratégies de l’atelier, «Perspective» [En ligne], 1 | 2014, mis en ligne le 31 décembre 2015, URL: http:// perspective.revues.org/4387) BROOKNER A., Jacques-Louis David, London, Chatto & Windus, 1980 COEKELBERGHS D., LOZE P., 1770-1830 Autour du néoclassicisme en Belgique, catalogo della mostra, Musée Communal des Beaux-Arts d'Ixelles, 14 novembre - 8 febbraio 1986 David After David, essays on the Later Work, atti del convegno, Jacques-Louis David: Empire to Exile, Getty Museum Research Institute and Sterling and Francine Clark Art Institute, 24-25 giugno 2005, Clark in Williamstown, Massachussets, New Haven and London, Yale University Press, 2007 FAROULT G., LERIBAULT C., SCHERF G., L'antiquité rêvée, innovations et résistances au XVIIIe siècle, catalogo della mostra, Paris, Musée du Louvre, 2 dicembre 2010 - 14 febbraio 2011; Houston, Museum of Fine Arts, 20 marzo – 30 maggio 2011, Paris, Gallimard, 2010 FRANCIS H.R., Jacques Louis David: Cupid and Psyche, in «The Bulletin of the Cleveland Museum of Art», vol. 50, 2, (February 1963), pp. 29-34 GORGONE G., TITTONI M.E., Charlotte Bonaparte 1802-1839, une princesse artiste, catalogo della mostra, Roma, Museo Napoleonico, 4 febbraio - 30 maggio 2010; Isola d'Elba, Museo Nazionale delle Residenze Napoleoniche, 15 giugno - 30 settembre Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 192 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio 2010; Musée National des chateâux de Malmaison et BoisPréau, 19 ottobre - 10 gennaio 2011, Paris, RMN, 2010 HARKETT D., Exhibition Culture in Restoration Paris, PhD dissertation, Brown University, maggio 2005, UMI, Anne Arbor, 2005 HASKELL F., An Italian Patron of Neo-classic Art. The Zaharoff Lecture for 1972, Oxford, Clarendon Press, 1972 HONOUR H., Neo-classicism: style and civilisation, London, Penguin Books, 1968 JOHNSON D., Jacques-Louis David. Art in Metamorphosis, Princeton, Princeton University Press, 1993 JOHNSON D., “Some work of noble note”: David's “La colère d'Achille” revisited, in «Gazette des Beaux-Arts», t. 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Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 194 Fanti, Tracce per un’estetica dell’esilio WILDENSTEIN D.-G., Louis David, Recueil de documents complémentaires au catalogue complet de l'œuvre de l'artiste, Paris, Fondation Wildenstein, 1973 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 195 «L’aratro e la spada». Gli esuli italiani oltre la frontiera argentina, 1855-1859* di Alessandro BONVINI Università degli studi di Salerno DOI 10.26337/2532-7623/BONVINI Riassunto: L’8 marzo 1855, il governo di Buenos Aires ingaggiava l’esule Silvino Olivieri per formare una compagnia di volontari. La Legión AgrícolaMilitar aveva il compito di occupare l’area di Bahía Blanca, sconfiggere la resistenza delle popolazioni indigene e fondare una colonia agricola. Circa 500 uomini parteciparono alla missione che culminò con la nascita di Nuova Roma. Il progetto ridefinì le traiettorie dell’esilio democratico, connettendo il patriottismo diasporico italiano con il movimento repubblicano argentino. Abstract: On 8th March 1855, Buenos Aires government hired the exile Silvino Olivieri to create a military force of volunteers. The Legión AgrícolaMilitar had the task of occupying the area of Bahía Blanca, defeating the resistance of indigenous peoples and establishing an agricultural colony. About 500 volunteers took part in the mission that culminated with the birth of Nueva Roma. The project redefined the trajectories of the democratic exile, connecting the patriotism of Risorgimento diaspora with the Argentine republican movement. Keywords: Legión Agrícola-Militar, Republicanism, Military voluntarism Sommario: Introduzione – Legionarismo atlantico – «Gobernar es poblar» – Nuova Roma – Conclusioni – Fonti – Fonti a stampa – Bibliografia * AGNM = Archivo General de la Nación de Montevideo AGNA = Archivo General de la Nación de Argentina AST = Archivio di Stato di Torino BNdL = Biblioteca Nazionale dei Lincei Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa)  196 Bonvini, «L’aratro e la spada» Saggio ricevuto in data 14 maggio 2017. Versione definitiva ricevuta in data 2 dicembre 2017 Introduzione Londra, 29 gennaio 1856. Dalla capitale inglese, dove era nuovamente riparato all’indomani di un breve soggiorno in Svizzera, così Giuseppe Mazzini scriveva all’amico e compatriota Adriano Lemmi: Silvino è incaricato di fondare una colonia a Bahia Blanca, un 200 miglia, credo, da Buenos Aires. Ci dice ch’è la via alla realizzazione del suo disegno. Ma io conosco la natura umana: per due o tre anni è perduto per l’azione. E chiama i fratelli: invita a mandar famiglie: prenderà interesse all’impresa. Forse, potrà dar qualche aiuto in denaro1 Alcuni mesi prima, l’8 marzo 1855, l’esule repubblicano Silvino Olivieri – su incarico ufficiale del governo centrale della provincia di Buenos Aires – veniva autorizzato a organizzare la formazione di una compagnia militare per la colonizzazione delle province orientali del paese. Secondo l’accordo generale, la Legión Agrícola-Militar doveva «occupare l’intera area della provincia di Bahía Blanca», «pacificare il territorio» dagli attacchi delle popolazioni indigene e «fondare un insediamento agricolo» abitato dagli stessi legionari2. Finanziato dall’amministrazione porteña e supportato dalla congrega rioplatense della Giovine Italia, il progetto culminò il 10 luglio 1859 con la nascita della colonia di Nuova Roma. Il fuoriuscitismo rivoluzionario in America Latina fu un’esperienza cruciale durante l’Ottocento. Emigrazione e nazionalismo composero una diade che segnò i caratteri biografici, 1 A Adriano Lemmi, in Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini. Epistolario, vol. LVI, Imola, Cooperativa tipografico-editrice P. Galeati, 1940, p. 98. 2 BNdL, Fondo Cuneo, Lettera di Silvino Olivieri, c. 6, f. 1, n. 35. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 197 marcò appartenenze politiche e plasmò la formazione ideologica dei patrioti italiani. Nel corso degli ultimi anni, studi e ricerche hanno indagato il problema dell’esilio risorgimentale analizzando, da prospettive differenti, le attività intellettuali dei patrioti liberali nei luoghi dell’espatrio3, i circuiti internazionali del volontarismo militare di tradizione democratica4, l’invenzione di miti politici e la diffusione di immaginari moderni nell’Europa ottocentesca5, nonché le dinamiche di incontro culturale transnazionale6 e le modalità di rimpatrio degli esuli italiani durante la seconda metà del XIX secolo7. Questi lavori hanno messo in luce la centralità del patriottismo diasporico in relazione all’elaborazione dell’identità nazionale italiana, il ruolo delle interconnessioni ideologiche che si crearono tra movimenti diversi e la funzione dello stesso fuoriuscitismo nel processo di costruzione degli stati-nazione nel mondo atlantico. Le strategie dell’esilio repubblicano, tuttavia, non si limitarono alla mobilitazione dei gruppi diasporici, alla pianificazione di campagne propagandistiche e, neppure, alla creazione di associazioni politiche trans-nazionali. La lotta patriottica si sviluppò attraverso una pluralità di iniziative con l’obiettivo di promuovere, all’estero, la questione cruciale dell’unificazione della 3 M. ISABELLA, Risorgimento in esilio. L’internazionale liberale e l'età delle rivoluzioni, Roma-Bari, Editori Laterza, 2011. 4 G. PÉCOUT, The international armed volunteers: pilgrims of a transnational Risorgimento, in «Journal of Modern Italian Studies», 14 (2009/4), pp. 413426. 5 L. RIALL, Garibaldi esule nelle Americhe, in M. GOTTARDI (ed.), Fuori d’Italia. Manin e l’esilio, Venezia, Ateneo Veneto, 2009, pp. 347-362. 6 D. BIDUSSA, L'esperienza dell'esilio e la circolazione delle idee nelle correnti democratiche europee. A proposito del fondo William James Linton, Introduzione a Il sogno dell'Inghilterra. Società industriale, libertà politica e democrazia, in P. POZZI, G. LOCATELLI Europa. Il Fondo William James Linton, Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2005, pp. 25-42. 7 A. BISTARELLI, Gli esuli del Risorgimento, Bologna, il Mulino, 2011. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 198 Bonvini, «L’aratro e la spada» Penisola. Soprattutto dopo la sconfitta del biennio rivoluzionario 1848-49, i principali leader del movimento democratico lavorarono tra i luoghi dell’emigrazione italiana – nel Mediterraneo, come nelle Americhe – per la formazione di alcune colonie di rifugiati su base comunitaria. Nel 1849, ad esempio, l’esule Ferrari Rodigino intraprendeva con il governo sardo una corrispondenza ufficiale per la richiesta di aiuti al fine di fondare «una colonia di emigrati» in Grecia8. L’anno dopo, invece, Cristina di Belgioioso – dopo essersi stabilita «in un piccolo villaggio a due miglia da Costantinopoli»9 – acquistò per «cinquemila franchi» un appezzamento di terra in Anatolia, destinato allo stabilimento di una fattoria per gli esiliati politici10. Il 10 maggio 1856, ancora, il governo messicano del liberale Ignacio Comonfort firmava un decreto per la creazione, tra le città di Xalapa e Veracruz, di «una colonia modello» per organizzare «l’immigrazione italiana nella repubblica»11. Tra il 1852 e il 1860, infine, il radicale napoletano Giovanni Mosciari diresse in Algeria un esperimento di «colonizzazione agricola» finanziato dal principe Luciano Murat12. L’insieme di questi tentativi determinò la nascita di uno spazio trans-continentale di comunità nazionali, al cui interno i fuoriusciti – in gran parte lavoratori, patrioti, combattenti 8 F. POGGI, Dall’armistizio Salasco al Proclama di Moncalieri, in ID. - M. CIRAVEGNA - L.L. BARBERIS, L' emigrazione politica in Genova ed in Liguria dal 1848 al 1857: fonti e memorie, Modena, STEM, 1957, p. 335. 9 C. DI BELGIOIOSO, Ricordi dell’esilio, a cura di L. Severgnini, Roma, Edizioni Paoline, 1978, p. 173. 10 ID., Vita intima e vita nomade in Oriente, O. ANTONINETTI, G. CUSATELLI (eds.), Como, Ibis, 1993, p. 29. 11 Legislación mejicana: ó sea colección completa de las leyes, decretos y circulares, México, Imprenta de Juan R. Navarro, 1856, p. 56. 12 E. MICHEL, Esuli italiani in Algeria (1815-1861), Bologna, L. Cappelli, 1935, p. 91. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 199 –, pur mantenendo saldi i vincoli con la terra d’origine, si adoperarono per la creazione di progetti di patria alternativa13. Il tramonto dell’utopia quarantottesca aveva dato vita ad un «esilio di terza generazione» dalla Penisola italiana. Il Cono Sud divenne una delle principali mete d’accoglienza per la diaspora di orientamento repubblicano. Tra Montevideo, Buenos Aires e le aree interne del Río de la Plata, micro-collettività e gruppi di rifugiati animarono una pluralità di programmi e iniziative non solo per riorganizzare l’apparato del movimento nazionale diasporico, ma anche – come sostenuto da Donna Gabaccia – per diffondere la «cultura italiana» nelle repubbliche latino-americane14. In questa direzione, tra il 1855 e il 1857, un gruppo di esuli legato ufficialmente alla Giovine Italia diresse la fondazione di una colonia di nella provincia di Bahía Blanca. La colonizzazione agricolo-militare fu un fenomeno complesso che rispose, contemporaneamente, a logiche di tipo politico e militare attorno alle quali si mossero diplomazie, apparati logistici, forze inter-statali, reti segrete. Questo tipo di emigrazione incrociò sia le rotte della mobilità individuale, sia i percorsi dell’esilio politico, intersecando tra loro una pluralità di esperienze esistenziali, politiche e professionali e connettendo il patriottismo risorgimentale italiano con quello delle nuove repubbliche dell’America Latina.  L’articolo, a partire dallo studio di scritti privati, giornali, corrispondenze consolari e carte diplomatiche, intende ricostruire il caso della Legione Agricola-militare per ampliare la prospettiva tradizionale sull’esperienza dell’esilio risorgimentale e ricollocare la dimensione dell’esilio democratico all’in13 R. COHEN, Global Diasporas. An Introduction, Seattle, University of Washington Press, 1997, pp. 1-20. 14 D. GABACCIA, Emigranti: le diaspore degli italiani dal Medioevo a oggi, Torino, Einaudi, 2003, p. 32. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 200 Bonvini, «L’aratro e la spada» terno del più ampio contesto atlantico. Il volontarismo internazionale fu un vettore importante per la circolazione di idee, la diffusione di progetti istituzionali e l’intreccio politico di tra la Penisola italiana e i territori del Cono Sud. Gli uomini in armi operarono quali connettori tra mondi ideologici ed esperienze di guerra geograficamente lontane, ma accomunate da simboli, valori e paradigmi di riferimento comuni. Tanto che, nell’estate del 1857, l’intellettuale argentino Domingo Faustino Sarmiento avrebbe celebrato le gesta della colonia di Nuova Roma come «la più nobile impresa che il genio umano avesse potuto concepire [al fine di] estendere ovunque la sfera della civilizzazione umana»15. Legionarismo atlantico Montevideo, 10 aprile 1843. Nel corso della sanguinosa Guerra Grande, sotto la direzione e l’ispezione del Ministro della Guerra uruguayano, nasceva la Legione Italiana. La formazione – primo corpo autonomo di italiani in armi all’estero – contava 317 uomini, venne posta sotto la guida di tre comandanti, Giuseppe Garibaldi, Napoleone Castellini e Pasquale Frugoni, e divisa inizialmente in tre divisioni 16. Di fronte all’assedio della capitale, lo stato maggiore del Partido Colorado autorizzò il reclutamento di corpi o legioni straniere da affiancare all’esercito guidato da Fructuoso Rivera. La trasformazione dello scontro uruguayano – prima in guerra civile regionale tra federales e unitarios, alleati della Confederazione rosista; poi in conflitto transatlantico con l’intervento di Francia, Gran Bretagna e Impero del 15 BNdL, Fondo Cuneo, Discurso de Sarmiento, c. 7, f. 1, n. 40. AGNM, Archivo General Administrativo de Montevideo, Fundo Guerra y Marina, Autorización del Ministerio de la Guerra, c. 1339. 16 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 201 Brasile – aveva attivato la mobilitazione di centinaia di combattenti di origine spagnola, francese, argentina (di tendenza unitaria) e italiana17. Nel Cono Sud, per quasi dieci anni, esuli e volontari provenienti da paesi differenti lottarono fianco a fianco per la difesa delle libertà repubblicane. Le legioni – come formazioni militari specifiche – possedevano una solida tradizione nella pratica bellica rioplatense. Già nel marzo 1829, durante lo scontro tra federalisti unitari, un decreto firmato da Guillermo Brown e José María Paz aveva stabilito la nascita del Batallón Amigos del Orden formato da tutti gli stranieri, ad eccezione degli inglesi e dei nordamericani, che risiedevano sul territorio argentino18. Dieci anni dopo, nel 1839, nel corso della sfortunata campagna contro Rosas nella provincia di Buenos Aires, il generale unitario Juan Lavalle aveva guidato una Legión Libertadora, composta da unità europee e americane19. Nel febbraio 1843, l’ex ufficiale napoleonico Jean Chrysostome Thiébaut, a capo di 2500 uomini, diede vita alla Legione Francese che operò fino all’aprile 1844, quando venne sciolta nell’esercito uruguayano20. Successivamente si formò pure una Legione Argentina, organizzata dagli esuli repubblicani della Joven Argentina, che venne dispiegata durante la di- 17 L. R. MAIZTEGUI CASAS, Orientales. Una Historia Política del Uruguay, Montevideo, Planeta, 2005; M. TERRA, Montevideo durante la Guerra Grande: formas de vida, convivencia y relacionamientos, Montevideo, Byblos, 2007; J.P. BARRÁN, Apogeo y crisis del Uruguay pastoril y caudillesco:1839-1875, Montevideo, Ediciones de la Banda Oriental, 2011. 18 G. BROWN, El Gobierno a los Individuos que componen el batallon de Amigos del Orden, Buenos Aires, s.l., 1829. 19 T. DE IRIARTE, Historia trágica de la expedición libertadora de Juan Lavalle, Buenos Aires, Ediciones Argentinas, 1949. 20 J-A. DUPREY, Jean-Chrysostome Thiébaut et Montevideo assiégé (18431851), Montevideo, Ediciones del Bichito, 2002. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 202 Bonvini, «L’aratro e la spada» fesa di Montevideo e nella campagna della provincia di Corrientes21. Questi corpi, al cui interno circolavano progetti politici, risorse economiche e discorsi ideologici dal respiro globale, contribuirono – secondo Mario Etchechury Barrera – a connettere la lotta liberale e repubblicana tra le due sponde dell’Atlantico22. L’esplosione rivoluzionaria quarantottesca consolidò il fenomeno del legionarismo in tutto il mondo atlantico. In particolare, fu l’apparato della Giovine Italia a dirigere l’organizzazione di corpi militari, su base nazionale, da arruolare nelle file dei vari eserciti o forze repubblicane. L’apertura del fronte americano aveva allargato lo spazio operativo del mazzinianesimo e determinato la nascita di nuove reti trans-nazionali di espatriati, ridefinendo – come ricordato da Arianna Arisi Rota – i confini del generale networking cospirativo ottocentesco23. Il coinvolgimento diretto degli esuli nelle «questioni nazionali» innescò l’arruolamento in armi di centinaia di individui provenienti dalla Penisola italiana. Non a caso, Giuseppe Mazzini, in una circolare diretta ai militanti dell’associazione, scriveva: Le Americhe, dove la Giovine Italia è già tanto potente, daranno all’insurrezione italiana, per nostro mezzo, forze materiali d’armi e danaro, occorrendo, per la guerra24. 21 I. ZUBIZARRETA, Una sociedad secreta en el exilio: los unitarios y la articulación de políticas conspirativas antirrositas en el Uruguay, 18351836, in «Boletín del Instituto de Historia Argentina y Americana Dr. Emilio Ravignani», 31 (2009/2), pp. 43-78. 22 M. ETCHECHURY BARRERA, La “causa de Montevideo”. Inmigración, legionarismo y voluntariado militar en el Río de la Plata, 1848-1852, in «Nuevo Mundo Mundos Nuevos», [En ligne], Débats. 23 A. ARISI ROTA, World History, società internazionale e Ottocento: la prospettiva di Mazzini, in «Memoria e Ricerca», 43 (2013/2), pp. 127-143. 24 MAZZINI, Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini. Politica, vol. XXV, 1916, pp. 283-284. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 203 Durante il biennio 1848-49, una quarantina dei combattenti provenienti dall’esperienza uruguayana presero parte alla Prima guerra d’indipendenza, prima di dare vita a una legione sul modello uruguayano per la difesa della Repubblica Romana25. Tra il gennaio e il marzo del 1851, poi, 171 volontari provenienti dalla Penisola giungevano a Montevideo, dove formarono la Compagnia dei Lombardi26. Nel 1855, lo stesso Giuseppe Mazzini intraprendeva una corrispondenza con Benito Juárez per la creazione di una Legione Repubblicana Europea da schierare in Messico contro le armate francesi di Napoleone III27. Alcuni garibaldini, tra il 1858 e il 1861, parteciparono nelle file delle forze liberali alla Guerra de Reforma28. Ancora nei primi mesi del 1860, la dirigenza del movimento repubblicano riponeva speranze nella possibilità di costituire un esercito nel Río de la Plata da mobilitare per la lotta contro l’Austria. Nel corso dell’Ottocento, molti protagonisti del movimento patriottico parteciparono attivamente alla lotta rivoluzionaria e repubblicana del mondo atlantico e, come ha di recente evidenziato Gilles Pécout, la stessa penisola italiana fu «il punto di partenza di volontari che [combatterono] nelle varie guerre del XIX 25 E. LOEVINSON, Giuseppe Garibaldi e la sua legione nello Stato Romano: 1848-49, Roma, Società editrice Dante Alighieri, 1902. 26 AGNM, Archivo General Administrativo de Montevideo, Fundo Guerra y Marina, Relación nominal de la Compañía destinada a formar parte de la Legión Italiana en Armas en Montevideo; c. 1750; c. 3; AST, CNM, Relazione del console Gaetano Gavazzo del 30 luglio 1851, m. II, n. 121. 27 L.D. HANSON, Voluntarios extranjeros en los ejércitos liberales mexicanos, 1854-1867, in «Historia Mexicana», 37 (1987/2), pp. 205-237. 28 F.G. BOHME, The Italians in Mexico: A Minority’s Contribution, in «Pacific Historical Review», 28 (1959/1), pp. 1-18. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 204 Bonvini, «L’aratro e la spada» secolo»29. Il legionarismo repubblicano, sostenuto da una precisa costruzione ideologica, nonché da una vigorosa campagna propagandistica, attraverso la pubblicazione di odi, proclami e romanzi, attivò forme e pratiche di trans-nazionalismo in armi. Durante gli anni Cinquanta, le traiettorie del volontariato garibaldino si intersecarono con i circuiti del repubblicanesimo rioplatense, alimentando un’intensa diffusione di miti, simboli e progetti politici tra le due sponde dell’Atlantico. La formazione della Legione Italiana, in tal senso, inaugurò un intenso processo di militarizzazione all’interno della collettività di emigrati e offrì un nuovo modello di associazionismo politico-militare che servì da esempio per la formazione di corpi di volontari in Argentina, la mobilitazione in favore degli eserciti della Triple Alianza e la creazione di battaglioni italiani durante la guerra civile statunitense. Mercenari, esuli e volontari ridefinirono modi e forme della guerra del XIX secolo, ricollocando le singole lotte locali o nazionali all’interno di un più ampio contesto globale. Gli uomini in armi che si mossero tra Europa e Americhe erano consapevoli che la loro esperienza fosse profondamente integrata all’interno del contesto internazionale. La lotta armata itinerante, dunque, segnò il corso delle guerre civili e indipendentiste, oltre a influenzare anche la formazione ideologica dei vari patriottismi, definire nuovi meccanismi di politicizzazione e determinare la creazione di comunità politiche transnazionali pienamente inserite nelle dinamiche globalizzanti del XIX secolo30. Secondo uno dei primi censimenti, nella Repubblica uruguayana, risiedevano circa «2500 sudditi di Sua Maestà [del Regno 29 G. PÉCOUT, The international armed volunteers: pilgrims of a transnational Risorgimento, in «Journal of Modern Italian Studies», 14 (2009/4), p. 14. 30 G. MOSSE, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, RomaBari, Laterza, 1990, pp. 3-14. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 205 di Sardegna]»31; mentre almeno «8000 persone» si trovavano a Buenos Aires32. Nel complesso, le autorità sarde di stanza oltreoceano stimavano che oltre «10.000 soggetti del Re» si fossero trasferiti sulle due rive del Plata»33. La loro esperienza fu direttamente connessa all’attività della comunità mazziniana. Gli esuli della Giovine Italia costituirono un’élite molto attiva che si sforzò di promuovere una coscienza nazionale e nello stesso tempo politica tra gli emigrati, animando reti associative e fondando istituzioni di vario genere (scuole, ospedali, giornali). Oltre al tradizionale lavoro di propaganda, i fuoriusciti italiani nel Cono Sud strinsero relazioni e stabilirono alleanze assai strette con i gruppi repubblicani rioplatensi. Questo fenomeno era, in accordo con Martin Wright, l’esplicita manifestazione di una «vocazione collettiva» che marcò la dimensione politicoideologica del mazzinianesimo, in Europa e non solo34. La fine della Guerra Grande aveva sancito il crollo della dittatura di Juan Manuel de Rosas. Nel 1851, il generale Justo José de Urquiza, con l’appoggio degli unionisti e dei governi di Brasile e Uruguay, iniziò una lunga marcia contro l’esercito di Rosas che si concluse vittoriosamente il 3 febbraio 1852 con la battaglia di Caseros35. Soprattutto a Buenos Aires, gli ultimi mesi 31 AST, Materie politiche per rapporto all’estero, Consolati nazionali, Montevideo, Rapporto di Marcello Pezzi a Sua Eccellenza il Signor Conte della Margarita, m. I. 32 F. DEVOTO, Historia de los italianos en la Argentina, Buenos Aires, Biblos, 2008, p. 31. 33 AST, Materie politiche per rapporto all’estero, Consolati nazionali, Buenos Aires, Rapporto di Picolet d’Hermillon a Sua Eccellenza il Signor Conte della Margarita, m. I. 34 M. WRIGHT, Four seminal thinkers in international theory: Machiavelli, Grotius, Kant and Mazzini, G. WRIGHT, B. PORTER (eds.), Oxford, Oxford University Press, 2005 p. 103. 35 M. SÁENZ QUESADA, La república dividida: 1852-1855, Buenos Aires, Astrea, 1974; J.H. RUBE, Hacia Caseros, Buenos Aires, La Bastilla, 1975; Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 206 Bonvini, «L’aratro e la spada» della dittatura rosista furono connotati da un altissimo livello di violenze. Scontri, rivolte e tumulti attraversarono tutti i quartieri della città argentina. I leader del movimento unitario, di tendenza repubblicana, si impegnarono per arruolare corpi volontari da impiegare, a livello urbano, per il mantenimento dell’ordine pubblico di Buenos Aires e, a livello provinciale, per l’inquadramento nelle file dell’esercito di Urquiza. Come ha messo in luce Miguel Ángel De Marco, gli esuli repubblicani non solo appoggiarono politicamente la generale opposizione anti-rosista, ma vi presero parte direttamente attraverso una intensa partecipazione in armi: l’esperienza del legionarismo, che già durante gli anni della difesa di Montevideo aveva instaurato i primi legami tra gli esuli italiani e gli unitarios argentini, si affermò definitivamente in questo decennio delineando lo spazio di accoglienza per l’arrivo dei fuoriusciti della generazione quarantottesca36. Tra il 1851 e il 1852 operò il Batallón Orden che, agli ordini del generale César Díaz, venne impegnato nella campagna dell’Ejército Grande contro le province indipendentiste della Confederazione. Comandato inizialmente dal colonnello Antonio Susini, passò poi sotto la guida del maggiore Eugenio Abella e degli ufficiali Giovanni Battista Ciarlone, Silvino Olivieri e Lorenzo Pieroti. Il corpo, formato da 280 uomini in prevalenza liguri e lombardi, si richiamava direttamente alla precedente esperienza della legione garibaldina di Montevideo, da cui mutuò la bandiera, il vestiario e gli armamenti37. Successivamente, dopo la battaglia di Caseros, il governo municipale della città, C.M. MARTÍNEZ, Urquiza en el Uruguay: los orientales en Caseros, Buenos Aires, Instituto Urquiza de Estudios Históricos, 2001. 36 M.A. DE MARCO, Los italianos en las luchas por la organización nacional argentina, in «Affari sociali internazionali», 5 (1987/2), p. 76. 37 Diario de sesiones de la Cámara de Senadores de la República Oriental del Uruguay, vol. 172, Montevideo, Imprenta Nacional, 1941, p. 287. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 207 per far fronte ai disordini cittadini, ordinò l’arruolamento di milizie volontarie destinate al mantenimento dell’ordine pubblico: tra queste il corpo dei Volontari de la Boca, composto in gran parte da ex garibaldini, fuoriusciti mazziniani e commercianti liguri residenti in città. La compagnia, composta inizialmente di 200 uomini suddivisi in una decina di corpi mobili, era impegnata nel pattugliamento dei quartieri cittadini, in compiti di sorveglianza dei luoghi pubblici e di prevenzione nel confronto di rivolte e insurrezioni. Guidata inizialmente dal capitano Giuseppe Maggiolo, dopo la rivoluzione dell’11 settembre 1852 – con la separazione di Buenos Aires dal resto della Confederazione – passò ai comandi di Silvino Olivieri38. Il 7 dicembre 1852, invece, nasceva la Legione Italiana, inizialmente denominata Legión Voluntarios Italianos. Di fronte all’avanzata delle forze di Urquiza – che nel frattempo avevano rotto l’alleanza con i repubblicani porteños – il governo di Buenos Aires ordinò un arruolamento massiccio di unità argentine e straniere per la difesa della città. In poche settimane, circa 200 volontari di origine italiana risposero alla chiamata del generale Pinto, acquartierandosi a plaza de Mayo39. Il battaglione, poi integrato dall’arrivo di nuovi combattenti, fu impiegato con successo, sul fronte interno cittadino, fino all’autunno successivo, tanto da acquisire il titolo ufficiale di «Valiente»40. Parallelamente nel gennaio 1853, a causa delle necessità imposte dal conflitto, il governo decise di creare una Compañía de Infantería de Marina, composta quasi interamente da emigrati italiani e guidata dal capitano Manuel 38 AGNA, Legione Italiana, Alemana, Española, Correntina, sala X, c. X. 18.8.2. 39 BNdL, Fondo Cuneo, Condiciones principales para la organización de una Legión Italiana, c. 6, f. 3, n. 138. 40 BNdL, Fondo Cuneo, Documenti ufficiali, c. 7, f. 1, n. 21. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 208 Bonvini, «L’aratro e la spada» Vialardi41. Il protrarsi del conflitto civile, durante tutto il decennio degli anni Cinquanta, rinnovò la formazione di nuovi corpi e battaglioni, determinando una costante mobilitazione di combattenti arruolati o in congedo. Nel 1861, infine, la Legión Valiente fu riorganizzata e schierata nella decisiva battaglia di Pavón, che sancì l’unione definitiva di Buenos Aires al resto della Confederazione42. La comune affiliazione al repubblicanesimo fu un vettore decisivo per la composizione di corpi in armi, nonché l’alleanza politico-militare tra i volontari della comunità italiana e l’élite del governo di Buenos Aires. Anche dopo il 1848, il Río de la Plata continuò ad essere uno spazio di accoglienza per le correnti democratiche e repubblicane. L’eroica resistenza di Montevideo dei garibaldini della Legione Italiana – evocata con grande enfasi dall’apparato della Giovine Italia, e non solo – promosse all’estero la rappresentazione dell’immagine dell’esule combattente, regolarmente alimentata dalla propaganda mazziniana attiva nel Cono Sud. Nonostante le fratture politiche in seno agli organi di governo argentini e le crescenti interferenze da parte dell’entourage consolare sardo, il movimento repubblicano riuscì a coordinare i vari gruppi di fuoriusciti, occupando, tra la collettività italiana, una posizione egemonica almeno fino agli inizi degli anni Settanta. «Gobernar es poblar» Valparaíso, 31 maggio 1852. Nell’introduzione al saggio Bases y puntos de partida para la organización política de la República Argentina, Juan Bautista Alberdi scriveva: 41 AGNA, Brigada de Marina 1859, sala X, c. X. 40.4.6. Archivo del General Mitre, Campaña de Pavón, v. 8, Buenos Aires, Biblioteca de la Nación, 1911. 42 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 209 Governare significa popolare bene; però popolare è una scienza, e questa scienza non è cosa diversa dalla economia politica, che considera la popolazione come strumento di ricchezza e elemento di prosperità43. L’opera, ripubblicata alcune settimane più tardi con l’integrazione di un progetto costituzionale, costituì il fondamento teorico-istituzionale dell’Argentina moderna. Dopo la battaglia di Caseros, che aveva sancito la definitiva caduta di Juan Manuel de Rosas, le nuove élite al potere – eredi delle vecchie fazioni unitarie e liberali – si adoperarono per una difficile, quanto necessaria opera di organizzazione nazionale, volta a configurare la fisionomia istituzionale di uno stato moderno, ristrutturare l’apparato economico-produttivo in senso liberale, estendere il controllo giurisdizionale a tutte le province interne44. In particolare, di fronte a un paese in gran parte disabitato, Alberdi avanzava la proposta di un intervento governativo in favore dell’immigrazione europea. Lavoro, capitale straniero e terra – secondo l’intellettuale repubblicano in esilio – dovevano costituire la triade concettuale alla base del nuovo stato. Non a caso, assai polemicamente, si chiedeva: «Chi farebbe sposare sua sorella o sua figlia con un signorotto della Araucanía invece che, mille 43 J.B. ALBERDI, Bases y puntos de partida para la organización política de la República Argentina, Buenos Aires, La Cultura Argentina, 1915, p. 19. 44 N. BOTANA, El federalismo liberal en Argentina: 1852-1930, in M. CARMAGNANI Federalismos latinoamericanos, México D.F., Fondo de Cultura Económica, 1993, pp. 224-262; E. GALLO, Las ideas liberales en la Argentina, in A. ITURRIETA (ed.), El pensamiento político argentino contemporáneo, Buenos Aires, Grupo Editor Latinoamericano, 1994, pp. 151-176; E. ZIMMERMAN, El Poder Judicial, la construcción del estado, y el federalismo: Argentina, 1860-1880, in E. POSADA CARBÓ (ed.), In Search of a New Order: Essays on the Politics of Nineteenth-Century Latin America, London, ILAS, 1998, pp. 131-152. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 210 Bonvini, «L’aratro e la spada» volte, con un calzolaio inglese?»45. A partire dalla fine delle guerre di indipendenza, i governi latino-americani, tra spinte moderniste e persistenze di tradizione coloniale, avviarono un articolato processo di costruzione statuale e nazionale46. A causa della scarsità di risorse pubbliche, le amministrazioni delle ex colonie ispaniche stipularono la ratifica di prestiti o finanziamenti internazionali e incentivarono anche l’arrivo di stranieri in grado di contribuire al progresso delle repubbliche. Nella visione liberal-costituzionale della prima metà del XIX secolo, gli immigrati dovevano formare parte della nazione, stabilirsi definitivamente e porre le basi per la crescita della popolazione. La definizione della cittadinanza, in rottura con la prassi di Antico Regime, includeva i nuovi membri della comunità nazionale sulla base di precisi parametri di carattere politico. Già nel 1826, comparando le differenti costituzioni latino-americane, il futuro presidente ecuadoriano Vicente Rocafuerte ancorava il corpus legislativo in materia migratoria ai criteri di «convenienza pubblica» e «prudenza civica»47. I governanti interpretarono diritti e doveri degli immigrati in analogia con quelli dei nativi. Come ricordato da Tobia Schwarz, l’incorporazione di individui stranieri nella società venne sancita secondo un quadro normativo che definiva automaticamente la rappresentazione di cittadino ideale, in relazione ai vantaggi e ai 45 ALBERDI, Bases y puntos, p. 62. H-J. KÖNIG, M. WIESEBRON (eds.), Nation Building in Nineteenth Century Latin America: Dilemmas and Conflicts, Leiden, Research School CNWS, 1998; W.G. ACREE JR., J.C. GONZÁLEZ ESPITIA (eds.), Building nineteenthcentury Latin America: Re-rooted cultures, identities, and nations, Nashville, Vanderbilt University Press, 2009; M.A. CENTENO, Sangre y deuda: ciudades, Estado y construcción de nación en América Latina, Bogotá, Universidad Nacional de Colombia, 2014. 47 V. ROCAFUERTE, Examen analítico de las Constituciones formadas en Hispanoamérica, in «Ocios de los españoles emigrados», t. 5, Londres, Imprenta de A. Macintosh, 1826, p. 410. 46 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 211 benefeci che lo stesso avrebbe apportato al paese d’accoglienza48. In Argentina, i tentativi di colonizzazione delle regioni interne da parte degli apparati di governo furono abbastanza precoci, seppur fallimentari. Una prima legione agricola venne istituita nel 1816, ma fu presto disciolta; nel 1825, l’ufficiale Barber Beaumont stabilì a San Pedro un’effimera colonia di contadini britannici; nel 1828, Manuel Dorrego tentò di edificare nuovi insediamenti nell’area di Puerto de la Esperanza, per difendere la frontiera orientale dalle mire espansionistiche dell’Impero brasiliano.  La questione del popolamento del territorio con l’arrivo di emigrati europei divenne centrale a partire dagli anni Quaranta del XIX secolo. Vari intellettuali di formazione repubblicana come Esteban Echeverría, Juan María Gutiérrez, Vicente Fidel López avevano sollevato, sulla scia di precedenti dibattiti, la questione della guerra di frontiera, facendo leva sul paradigma classico di «civilizzazione e barbarie». Nella loro visione, profondamente permeata dal liberalismo sansimoniano e dal positivismo comtiano, la generale modernizzazione del paese era impossibile senza una progressiva occupazione del deserto, delle coste e delle pampas49. In contrapposizione al modello di sviluppo rosista, le élite che si succedettero al potere nel decennio successivo – come ha sottolineato Oscar Ozlak – aggiornarono l’agenda governativa a partire da una nuova articolazione della relazione tra interessi rurali e urbani, nonché rimodulando la combinazione tra le varie possibilità di integrazione economica 48 T. SCHARWZ, Políticas de inmigración en América Latina: el extranjero indeseable en las normas nacionales, de la independencias hasta los años de 1930, in «Procesos. Revista Ecuatoriana de Historia», 36 (2012/2), p. 43. 49 T. HALPERÍN DONGHI, Una nación para el desierto argentino, Buenos Aires, Taurus, 1982. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 212 Bonvini, «L’aratro e la spada» del territorio50. Rispetto al problema della geografia territoriale, nelle prime pagine del Facundo, Domingo Faustino Sarmiento scriveva significativamente: Il male che affligge la Repubblica Argentina è l’estensione: il deserto la circonda da tutte le parti e si insinua nelle viscere; la solitudine, il vuoto senza abitazioni umane sono, in generale, i limiti indiscutibili tra l’una e le altre province51. Allo stesso modo, Alberdi non mancava di segnalare la questione, domandandosi: Che nome dareste, che nome merita una paese composto da duecentomila leghe di territorio su una popolazione di ottocentomila abitanti? Un deserto52. Tanto ad est, come nel sud del paese, l’idea di frontiera – secondo Mónica Quijada – nascondeva un’intrinseca forza simbolica che delineava, quasi automaticamente, una contrapposizione dicotomica tra progresso e arretratezza53. Oltre al pluri-secolare problema razziale, era soprattutto la necessità di fissare uno spazio statuale preciso e ordinato a imporre una progressiva occupazione delle province, da integrare nei circuiti dello sviluppo generale del paese. A partire dagli anni Cinquanta, funzionari ministeriali, uffi- 50 O. OZLAK, La formación del estado argentino, Buenos Aires, Editorial de Belgrano, 1985, p. 24. 51 D.F. SARMIENTO, Facundo o civilización y barbarie en las pampas argentinas, Santiago, El Progreso, 1845, p. 1. 52 ALBERDI, Bases y puntos, p. 140. 53 M. QUIJADA, La ciudadanización del “indio bárbaro”. Políticas oficiales y oficiosas hacia la población indígena de la Pampa y la Patagonia, 18701920, in «Revista de Indias», 59 (1999/217), p. 677. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 213 ciali dell’esercito e imprenditori privati, utilizzando fondi pubblici e investimenti stranieri, pianificarono una lunga serie progetti di espansione agricola e colonizzazione interna, in un contesto di riequilibrio dei poteri tra lo stato di Buenos Aires e il resto della Confederazione. La nazionalizzazione delle immense aree deserte e periferiche, all’interno dei confini statuali e non solo, occupò diffusamente i programmi dei governi continentali della seconda metà del secolo. Come sostenuto da Pierre-Luc Abramson, la questione della «terra da popolare» si affermò presto come una delle principali battaglie politico-sociali che marcarono l’idea generale di «progresso umano» in America Latina54. A questi progetti, seguì anche un convinto sforzo propagandistico – in termini culturali e divulgativi – che impegnò funzionari, geografi e intellettuali nel diffondere un’immagine «deindigenizzata» dell’Argentina moderna al fine di attrarre, soprattutto dall’Europa, l’arrivo di immigrati e di investimenti finanziari. Il 26 settembre 1854 venne varata la Ley sobre contratos de inmigrantes che disciplinava giuridicamente pratiche e condizioni per l’arrivo di cittadini stranieri55. . Tra i più attivi nel dirigere queste iniziative vi era il governatore porteño Manuel Guillermo Pinto. Convinto della necessità di rafforzare il controllo territoriale, salvaguardare l’ordine delle frontiere e occupare le province interne, rilanciò l’organizzazione di questi progetti promuovendo l’arrivo di emigrati europei, incentivando il ritorno in patria di migliaia di espatriati antirosisti, stabilendo contatti istituzionali con agenzie e compagnie di investimento del Vecchio Continente. D’altra parte, le stesse amministrazioni dei regni europei, già ufficialmente integrate nelle reti dei commerci rioplatensi, mostrarono un certo interesse 54 P-L. ABRAMSON, Las utopías sociales en América Latina en el siglo XIX, México D.F., Fondo de Cultura Económica, 1999. 55 Camara de senadores del estado de Buenos Aires. Diario de Sesiones de 1854, Buenos Aires, Imprenta del Orden, 1861, p. 487. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 214 Bonvini, «L’aratro e la spada» verso la possibilità di ampliare i propri affari nell’area atlantica attraverso nuove colonie agricole-militari.  Secondo la prassi generale, i governi provinciali consegnavano le terre da coltivare e fornivano le risorse finanziarie e materiali per l’impresa. Norme e ingaggio dei volontari erano pattuite secondo accordi privati e, nella gran parte dei casi – sulla base del coevo modello brasiliano –, le colonie venivano affidate alle stesse compagnie. Questi programmi puntavano all’acquisizione di evidenti vantaggi di tipo politico, strategico e militare, fondamentali sia per la protezione delle zone di confine per la crescita della popolazione, sia per la creazione di avamposti di controllo dove dislocare piccoli eserciti attivi nella lotta contro le comunità indigene56. A favorirne la pianificazione, infine, fu l’inizio di un ciclo economico espansivo che, durante i decenni Cinquanta e Sessanta, caratterizzò l’intera area rioplatense57. In questa fase, quello di Bahía Blanca fu il più ambizioso progetto di colonizzazione interna. L’impresa impegnò forze intellettuali, mobilitò apparati politici, richiamò l’interesse di governi e diplomazie straniere, oltre a marcare i caratteri del nuovo progetto di costruzione nazionale. I preparativi della spedizione suscitarono grande entusiasmo tra le file dell’élite repubblicana porteña. Il 17 ottobre 1855, il giornale «La Tribuna» annunciava l’ufficializzazione della missione, sollevando – all’interno 56 R. SCHOPFLOCHER, Historia de la colonización agrícola en Argentina, Buenos Aires, Raigal, 1955; K. KAERGER, La agricultura y la colonización en hispanoamérica, Buenos Aires, Academia Nacional de la Historia, 2004; J.C. DJENDEREDJIAN, La colonización agrícola en Argentina, 1850-1900: problemas y desafíos de un complejo proceso de cambio productivo en Santa Fe y Entre Ríos, in «América Latina en la Historia Económica», 30 (2008/2), pp. 129-157. 57 E. GALLO, La pampa gringa, Buenos Aires, Sudamericana, 1983, pp. 3436. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 215 dell’opinione pubblica della provincia di Buenos Aires – l’urgenza della «questione degli indios» in relazione all’ordine interno della Confederazione58. A qualche mese di distanza, anche il foglio repubblicano «El Nacional» interveniva sul tema, definendo la «colonia agricola» il principale strumento per sconfiggere «i selvaggi» e suggeriva l’urgenza di un’«altra rivoluzione d’idee»59 utile alla modernizzazione delle zone interne del paese. Il 28 novembre 1855, ancora «La Tribuna» evidenziava, a proposito della missione italiana, «i benefici che [avrebbe offerto] allo sviluppo»60. Nel frattempo, i rappresentanti del governo cittadino si attivavano per garantire la stipulazione del contratto, la concessione delle licenze e la gestione delle risorse. Il ministro Bartolomé Mitre, fedele alla vecchia affiliazione al gruppo mazziniano, si impegnò in prima persona per supportare l’organizzazione della legione, dando vita a una società protettrice che aveva il compito di coordinare le offerte generali, raccogliere bestiame e inviare strumenti per la coltivazione delle terre. Anche i leader della comunità della Giovine Italia si adoperarono prontamente per cooperare con i legionari. L’anziano esule piemontese Carlo Pellegrini, attivo da oltre due decenni a Buenos Aires come ingegnere, offrì sostegno tecnico alla spedizione, proponendosi come intermediario con il governo61. Giovanni Battista Cuneo, invece, lanciò una nuova campagna propagandistica dando vita al giornale «La Legione agricola». Il foglio, nato con l’obiettivo di «raccogliere e dare alla luce i documenti relativi alla formazione della colonia e al suo sviluppo»62, uscì dal gennaio al settembre 1856 e diffuse costantemente, all’interno della comunità installata a Buenos Aires, notizie e cronache delle 58 «La Tribuna», 17 ottobre 1855. «El Nacional», 10 febbraio 1856. 60 «La Tribuna», 28 novembre 1855. 61 BNdL, Fondo Cuneo, Lettera di Silvino Olivieri, c. 6, f. 1, n. 39. 62 «La Legione agricola», 24 gennaio 1856. 59 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 216 Bonvini, «L’aratro e la spada» attività dei legionari, oltre a pubblicare commenti generali sull’attualità politica italiana. Contemporaneamente, al fine di finanziare il progetto e implementare la disposizione finanziaria, lanciava una sottoscrizione volontaria per lo stesso giornale63. A coordinare i preparativi della Legione fu richiamato l’esule abruzzese Silvino Olivieri. Formatosi nell’accademia militare della Nunziatella, aveva combattuto prima in Lombardia durante la prima guerra di indipendenza e poi in Sicilia durante l’insurrezione anti-borbonica del ’49. Ricercato dalla polizia, si trasferì a Buenos Aires dove, assieme ad altri 300 fuoriusciti repubblicani, comandò la Legión Valiente nel conflitto contro le truppe dei provinciales. Nel dicembre 1853, dopo un breve ritorno sulla Penisola per organizzare una rivolta nello Stato Pontificio, fu arrestato a Roma e condannato a 15 anni di carcere. Grazie alla mediazione della diplomazia argentina, Olivieri ottenne la commutazione della pena in esilio e fece ritorno oltreoceano, dove si mise nuovamente a disposizione del governo porteño. L’eco della sua esperienza di esule e rivoluzionario fece breccia nell’universo della diaspora repubblicana. Da Londra Giuseppe Mazzini, che lo considerava un «remplaçant» di Garibaldi64, riponeva grande fiducia nelle sue capacità di combattente, tanto da proporlo come «incaricato dell’organizzazione militare»65 del partito d’azione in America Latina. Il 21 settembre 1854, invece, lo stesso «eroe dei due mondi» scriveva a Cuneo, dicendosi «veramente superbo dei fatti del nostro Olivieri e dei suoi compagni»66. 63 BNdL, Fondo Cuneo, Elenco degli associati al giornale Legione Agricola, c. 6, f. 3, n. 140. 64 A Felice Floresti, in Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini. Epistolario, vol. LIII, 1929, p. 297. 65 ID., Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini, vol. LIV, 1930, p. 297. 66 BNdL, Fondo Cuneo, Lettera di G. Garibaldi, c.1, f. 9, n. 13. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 217 Per circa otto mesi, l’esule abruzzese – sfruttando i rapporti con l’amministrazione di Buenos Aires e la fitta rete all’interno della comunità italiana – lavorò all’organizzazione della Legione Agricola-Militare. Il contratto costitutivo prevedeva un arruolamento minimo di tre anni, la sottoscrizione di una paga, la concessione del vestiario ordinario e il diritto alla proprietà di un appezzamento di terra e di una fattoria per ogni volontario. Allo stesso governo centrale, poi, spettavano i compiti di gestione logistica, coordinamento politico e finanziamento economico dell’impresa67. Tra i primi a mobilitarsi figuravano molti emigrati in cerca di un impiego, dopo lo scioglimento delle varie milizie urbane. A questi cui si aggiunsero presto diversi combattenti, in prevalenza liguri e lombardo-veneti che provenivano dalla lunga esperienza della Legione Italiana di Montevideo, e nuovi fuoriusciti di filiazione repubblicana, come Eduardo Clerici e Filippo Caronti, maggiore e capitano della Legione, che avevano lasciato la Penisola dopo la fine della I guerra d’indipendenza. Il corpo iniziale della spedizione era composto di 286 uomini. Tra questi 109 originari del Regno di Sardegna, 35 del Lombardo-Veneto, 39 della Confederazione germanica, 35 della Francia, 18 della Spagna, 8 del Cono Sud, 5 della Toscana, 6 della Svizzera, 3 di Piacenza, 3 di Parma, 2 del Portogallo, 2 della Romagna, 1 dell’Irlanda, 1 dell’Olanda, 1 della Danimarca, 1 del Perù, 1 del Messico68. In pochi giorni, prima della partenza, si integrarono altri 66 uomini già residenti, oltre alle famiglie di molti legionari decise a trasferirsi nella nuova colonia. A fine gennaio del 1856, anche gli ultimi preparativi erano ultimati. Il giorno della partenza, la spedizione fu salutata con 67 BNdL, Fondo Cuneo, Contratto costitutivo della Colonia, c. 6, f. 3, n. 151. BNdL, Fondo Cuneo, Elenco nominativo della Legión Agrícola-Militar, c. 6, f. 3, n. 138. 68 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 218 Bonvini, «L’aratro e la spada» una celebrazione ufficiale, a cui prese parte l’intero organigramma del governo di Buenos Aires e alcuni capi del movimento repubblicano. Tra tutti, comune era la convinzione che il successo dell’impressa avrebbe sugellato l’inizio di una nuova fase di progresso per l’Argentina moderna: «Con la fondazione della Nuova Roma si inaugurerà una nuova era per l’occupazione della terra in questo paese, ed in luogo del bestiame per attivare ed alimentare la cupidigia dei selvaggi, fonderemo città, uomini e muraglie, che arrestino i loro passi ed impongano loro rispetto per l’uomo civile»69. Nuova Roma Bahía Blanca, 3 febbraio 1856. In un proclama rivolto alle popolazioni della pampa nord-orientale, Silvino Olivieri annunciava: Abitanti di Bahia Blanca. Inviato dal governo dello stato per fondare una colonia agricola militare in uno dei punti di questa parte della frontiera, calpestiamo il vostro terreno, animati dal più vivo desiderio di stabilire con voi i vincoli di amicizia fraterna, che consideriamo come una delle basi del futuro successo della nostra impresa. I primi a collocare la pietra fondamentale che ha inaugurato il nuovo sistema di difesa della frontiera contro le aggressioni dei selvaggi; noi non siamo che i continuatori del vostro pensiero e della vostra opera, che poi nuovi compagni di imprese e avventure verranno a portare più avanti. Dateci dunque la mano!70 Così, a poco più di una settimana dall’arrivo, la Legione Agricola-Militare cominciava una lunga marcia verso l’area prestabilita per la fondazione di Nuova Roma. 69 D.F. SARMIENTO, Obras de D.F. Sarmiento: Inmigración y colonización, Buenos Aires, Mariano Moreno, 1899, p. 336. 70 BNdL, Fondo Cuneo, Proclama, c. 6, f. 1, n. 41. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 219 La spedizione era iniziata il 24 gennaio 1856 tra gravi difficoltà. Dal porto della capitale, alla presenza del governatore Pastor Obligado e di tutto l’entourage della commissione, i legionari si erano imbarcati a bordo dei brigantini da guerra Rio Bamba, Antonito, San José e Paulista, comandati dal capitano Vincenzo Pierallini. Già durante la breve attraversata, il corpo militare aveva dovuto registrare la «disgrazia della perdita» di una delle navi e, a pochi giorni dalla partenza, una «malattia assai crudele» stava contagiando alcuni volontari71. Con lo sbarco, poi, «una parte del carico» era andata persa e, a causa delle avverse condizioni metereologiche, lo stato maggiore della legione ordinò l’installazione di una «caserma provvisoria» per il ricovero dei combattenti72. Solo una settimana più tardi, Olivieri ordinava di riprendere l’avanzata. Le operazioni, guidate sostanzialmente dal corpo di cavalleria, si protrassero per circa tre mesi, alternando brevi soste a uscite esplorative spesso segnate da piccole scaramucce con gruppi di indios armati. I territori circostanti all’area erano abitati dalla popolazione degli Araucani: un gruppo indigeno di origine andina, stabilitosi da tempo tra le fertili pianure di Salinas Grandes. Leader della collettività era il cacique Juan Calfucurá che, durante gli anni ’40 e ’50, aveva formato una fitta rete di alleanze intertribali con le principali comunità locali e stabilì un’alleanza strategica con Juan Manuel de Rosas. In poco tempo, si era messo a capo di un esercito di circa 6000 unità, raggiungendo un dominio pressoché incontrastato nelle pampas sud-orientali73. Dopo la caduta dello stesso Rosas, Calfucurá aveva rotto l’alleanza con il governo della Confederazione riacquistando il controllo di una vasta 71 BNdL, Fondo Cuneo, Lettera di Alessandro Galliera, c. 6, f. 2, n. 98. BNdL, Fondo Cuneo, Lettera di Giulio Rosset, c. 6, f. 2, n. 118. 73 J.O. SULÉ, Rosas y sus relaciones con los indios, Buenos Aires, Corregidor, 2007. 72 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 220 Bonvini, «L’aratro e la spada» parte della Patagonia orientale. Nella primavera del 1855, Bartolomé Mitre – intenzionato a liquidare la resistenza indigena e nazionalizzare le pianure fuori dal controllo centrale – organizzò una compagnia professionale di 3000 soldati, guidata dal generale Manuel Hornos. L’Ejército de Operaciones del Sur, tuttavia, andò incontro a una serie di rocambolesche sconfitte che permisero agli Araucani di occupare le città di Cabo Corrientes, Azul e Bahía Blanca74. La questione della pacificazione, oltre al problema del riequilibrio dei poteri nelle pampas orientali, costituì un obiettivo fondamentale per la Legione di Silvino Olivieri. Nelle intenzioni iniziali del governo di Buenos Aires, il popolamento attraverso l’occupazione militare e l’insediamento coloniale di tipo agricolo aveva il duplice scopo di annientare le resistenze indigene e riscattare il controllo delle regioni interne del paese. L’invio di unità di origine italiana, da questo punto di vista, aveva un chiaro richiamo mitopoietico: erano i «concittadini dell’immortale Colombo» – come proclamava il governatore di Buenos Aires poco prima della partenza – a dover guidare la «conquista delle terre vergini» in nome della «grandezza della patria» e per «la diffusione della civiltà»75. Gruppi e bande indigene infestavano l’intera pianura orientale e, già alla fine dell’aprile, lo stato maggiore della Legione vi stabiliva un primo contatto, incontrando il «nipote di Calfucurá» che, in compagnia di «diversi indi», portava la replica una lettera inviatagli «alcuni giorni avanti» dal maggiore Eduardo Clerici. A causa del lungo conflitto a cui era stata obbligata in seguito alla vasta operazione ordinata dal ministro Mitre, la tribù degli Araucani spingeva per una tregua durevole. E solo qualche 74 A. YUNQUE, Calfucurá: la conquista de las pampas, Buenos Aires, Antonio Zamora, 1956. 75 N. CUNEO, Storia dell’emigrazione italiana in Argentina: 1810-1870, Milano, Garzanti, 1940, p. 217. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 221 giorno dopo, una piccola delegazione partiva alla volta di Buenos Aires per accogliere «la risposta di Urquiza»76. Fino al raggiungimento di un accordo formale, scontri e tafferugli continuarono per oltre un mese. Il 6 giugno 1856, il volontario Giuseppe Cassani denunciava l’invasione di una fattoria di Patacones, seguita da un acceso combattimento che aveva causato «10 prigionieri e 5 morti»77. Ciononostante, le ultime battute della spedizione seguirono senza grossi problemi. Oltre alla definitiva estinzione della presunta epidemia di colera, il ritrovamento di nuove provviste di cibo e il miglioramento delle condizioni atmosferiche facilitarono l’arrivo a Bahía Blanca. Qui, ai piedi della Sierra de la Ventana, tra i fiumi Sauce Chico e Napostá Grande, i legionari passarono all’edificazione dei ranchos, allo scavo di un pozzo, alla costruzione di un fortino e all’allestimento di una rudimentale tipografia in legno, usata per stampare i buoni di consegna che circolarono come moneta cartacea. Successivamente, venne pianificata l’edificazione di un ospedale e di un deposito per i viveri, mentre – nel perimetro circostante – si lavorava per l’apertura di strade e valichi per collegare la colonia alla città di Buenos Aires78. In breve tempo, cominciò anche l’aratura dei terreni per la coltivazione, venne ordinata la suddivisione delle mansioni lavorative e si pianificò lo stabilimento di tutte le famiglie. Il governo porteño rispose prontamente con il varo delle leggi 84 e 85 del 6 giugno 1856, che dichiaravano lo status di «porto franco» per l’area di Nuova Roma. Tale decreto disponeva che le imbarcazioni di grande cabotaggio fossero libere di circolare nelle acque di Bahía Blanca, oltre ad assicurare l’esenzione dei 76 BNdL, Fondo Cuneo, Lettera di Giuseppe Cassani, c. 6, f. 2, n. 94. BNdL, Fondo Cuneo, Lettera di Giuseppe Cassani, c. 6, f. 2, n. 95. 78 BNdL, Fondo Cuneo, A la comisión protetora, c. 6, f. 1, n. 52. 77 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 222 Bonvini, «L’aratro e la spada» pagamenti per il commercio con la colonia79. L’inizio delle operazioni per la creazione della colonia suscitarono, tra i membri della legione come nelle file del governo centrale, un’indiscussa euforia. Da Buenos Aires, il giornale «Legione Agricola» – pubblicando una corrispondenza – non mancava di esaltare l’impresa dei volontari italiani: Qui tutto s’è conciliato, l’agricoltore è soldato, il soldato è coltivatore e difende la sua proprietà che gli avrà costato sudore e sangue ad acquistare. La disciplina militare riunisce in un fascio tutte quelle forze che isolate sarebbero deboli contro il barbaro80. Alcuni mesi più tardi, il 4 luglio, uno dei legionari – Alessandro Galliera – entusiasticamente scriveva: Ecco finalmente gettate le radici della città che da noi già si chiama Roma; ed ecco realizzato al fine un pensiero che parve quasi impossibile ad effettuarsi, ma cui dall’uomo di cuore ed onore venne dato corpo ed esistenza materiale81. Domingo Faustino Sarmiento, infine, salutava il successo della spedizione elogiando lo spirito patriottico dei volontari italiani: La prima iniziativa per fondare un centro popolato nei nostri deserti appare con il nome augusto di Roma; designazione che non è figlia del capriccio, ma frutto di un’idea. Roma è, per il patriottismo italiano, la parola di unione per tutte le frazioni di quel popoli che, simile al gigante dell’Ariosto, vive in ciascuno dei suoi membri distaccati82. 79 Colección de las principales leyes y decretos promulgados por el gobierno de Buenos Aires, Buenos Aires, Imprenta de «El Orden», 1856, p. 43. 80 «La Legione Agricola», 26 marzo 1856. 81 BNdL, Fondo Cuneo, Lettera di Alessandro Galliera, c. 6, f. 2, n. 101. 82 SARMIENTO, Obras de D.F. Sarmiento: Inmigración y colonización, p. 336. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 223 Una volta terminato l’insediamento, Silvino Olivieri pubblicò poi un manifesto rivolto ai «fratelli di sventura» in cui li invitava, con le rispettive famiglie, a raggiungere la colonia per sfuggire «la servitù e la prepotenza»83 dei monarchi della Penisola. Il progetto di colonizzazione di Bahía Blanca, nelle intenzioni originarie dell’esule mazziniano, costituiva infatti un ambizioso disegno di emigrazione repubblicana organizzata, con l’obiettivo di raggruppare nelle pampas argentine i patrioti italiani colpiti dalla restaurazione post-quarantottesca. L’idea di nazione – quale comunità di destino, cementata dal sangue della lotta e dai valori della fratellanza, – era plasmata sul modello di terra da conquistare e civilizzare sulla base dei grandi valori democratici. Per la prima volta, gli itinerari dell’avventura in armi furono slegati dall’ideale di lotta internazionale per la patria, o per le patrie, e immaginati funzionalmente alla creazione di colonie nazionali stabili dove offrire cittadinanza alla diaspora repubblicana. Nuova Roma, la cui fondazione venne seguita con attenzione dagli apparati dirigenziali del Partito d’Azione, appariva come l’ultima impresa per rilanciare il movimento colpito dalla repressione del ’48 e dalla sconfitta del moto milanese del ’53. Anche la stampa in lingua italiana, seppur timidamente, provò a seguire la vicenda. Giornali e riviste – come «Il Saggiatore» o «Il Monitore Toscano» – riportarono, sulle proprie pagine, le notizie principali relative allo sviluppo della colonia o brevi stralci di cronache estrapolati dai fogli argentini. Si trattava di un interessamento abbozzato che, a distanza di un solo decennio, avrebbe catalizzato le attenzioni generali dell’opinione pubblica nazionale, oltre a richiamare ambienti politici ed economici 83 G. BERNARDI, Un patriota italiano nella Repubblica argentina, Bari, Laterza, 1946, pp. 70-71. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 224 Bonvini, «L’aratro e la spada» della Penisola interessati alle possibilità dell’emigrazione transoceanica84. L’esperienza della Legione-Agricola Militare, tuttavia, si rivelò presto un fallimento. Da un lato, il diffondersi tra le file delle truppe di «angosce, inquietudini e dolori»85 per la durezza delle condizioni provocò gravi malumori e una prima serie di diserzioni. Dall’altro, la negligenza del governo di Pastor Obligado, che disattese agli aiuti finanziari pattuiti, aggravò lo sbandamento dei volontari italiani. Lo stesso Silvino Olivieri veniva accusato di mantenere una «disciplina eccessivamente severa»86 e di esercitare «troppo rigore»87; mentre «La Tribuna» denunciava, tra le file dei legionari, la moltiplicazione di «odi inesplicabili e volgari»88. La situazione precipitò presto e la notte del 29 settembre, in seguito a una cospirazione interna, Olivieri venne pugnalato da alcuni commilitoni. Per alcune settimane, il caos e il disordine imperversarono. Oltre al vuoto di potere creatosi con la scomparsa del colonnello mazziniano, la mancanza di risorse e nuove aggressioni da parte del gruppo di Calfucurá stavano mettendo a repentaglio l’incolumità della colonia. Il 2 novembre 1856, quindi, Filippo Caronti sollecitava Giovanni Battista Cuneo ad intervenire: Andare alla Nuova Roma sarebbe impossibile, si manca di tutto ed ora siamo pochissimi. A quei che partono si garantì la persona, e che saranno svincolati da tutti i servizi. Mi pare che la commissione non abbia intenzione di mantenere questi patti, parlatene al governo e particolarmente a Muratori. Si puniscano 84 F. SURDICH, I giornali savonesi della seconda metà dell'Ottocento di fronte al problema dell'emigrazione, in «Studi e Ricerche di geografia», 8 (1985/2), pp. 153-154. 85 BNdL, Fondo Cuneo, Lettera di Filippo Caronti, c. 6, f. 2, n. 79. 86 BNdL, Fondo Cuneo, Lettera di G.B. Cuneo, c. 6, f. 1, n. 66. 87 BNdL, Fondo Cuneo, Lettera di Giuseppe Cassani, c. 6, f. 2, n. 96. 88 «La Tribuna», 15 ottobre 1856. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 225 se vi sono ancora dei colpevoli perché dovete sapere che la maggior parte di essi si è salvata fuggendo per terra ma gli altri mi pare che non debbano essere ingannati89. Dopo la morte di Silvino Olivieri, il governo decise di inviare a Bahía Blanca una commissione d’inchiesta composta da Ignazio Rives, Giuseppe Muratori e Filippo Caronti – che assunse la guida della Legione Agricola-Militare. Giunto nella pampa orientale, ordinò una riforma generale della compagnia, scorporando le competenze amministrative e quelle militari in due comandi differenti. Nel frattempo, infatti, Bahía Blanca aveva raggiunto alcune migliaia di abitanti e necessitava di nuovi servizi pubblici e moderne infrastrutture logistiche, oltre a un corpo militare per la difesa dagli attacchi delle popolazioni indigene. Per facilitare i commerci con la capitale, Caronti ordinò la costruzione di un molo sul fiume Napostá, promosse una prima scuola pubblica e tracciò un piano urbanistico per lo sviluppo edilizio della città. Successivamente diresse, in prima persona, la fondazione di un osservatorio astronomico90. Nel frattempo Antonio Susini – ex volontario garibaldino a Montevideo, nominato a capo del reparto militare – riprendeva le operazioni militari contro le tribù indigene91. Dopo aver pubblicato un proclama in cui deplorava i disordini interni alla compagnia di colonizzazione, annunciava l’inizio di una «nuova era» in cui i «coraggiosi e bravi figli della patria» erano chiamati a dare prova di un rinnovato patriottismo92. Guidò la formazione per circa un anno, prima di lasciare i comandi a Giovanni Battista Ciarlone. Nel 1858, il governo di Buenos Aires, incalzato dalla recrudescenza delle insorgenze indigene, rispose inviando a Bahía 89 BNdL, Fondo Cuneo, Lettera di Filippo Caronti. A. MONTI, La vita e le memorie del patriota comasco Filippo Caronti, Lugano, Casa editrice del Coenobium, 1918. 91 BNdL, Fondo Cuneo, Lettera di Antonio Susini, c. 6, f. 1, n. 120. 92 BNdl, Fondo Cuneo, Proclama, c. 6, f. 1, n. 123. 90 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 226 Bonvini, «L’aratro e la spada» Blanca la Legión Ejército del Sud del generale Wenceslao Paunero, che affiancò i volontari italiani nelle fortunate spedizioni nell’area di Salinas Grandes e Pigué che assicurarono la difesa della frontiera orientale.  Il 6 maggio 1859, con la dichiarazione di guerra della Confederazione a Buenos Aires, l’amministrazione porteña ordinava la riorganizzazione della Legión Valiente. In pochi mesi, centinaia di combattenti italiani furono nuovamente mobilitati, sia tra i reparti cittadini che sui vari fronti che si aprirono a difesa della capitale. Il protrarsi della permanenza nel Río de la Plata determinò un progressivo inserimento dei volontari italiani nella società argentina, attraverso la concessione di carte di naturalizzazione. Contemporaneamente, il declino della colonia di Bahía Blanca spinse molti legionari ad abbandonare qualsiasi filiazione diretta con la causa nazionale italiana per abbracciare, più o meno convintamente, quella repubblicana argentina. Questa transizione politica, per mezzo dell’istituto militare, comportò l’arruolamento di centinaia di emigrati – in particolare ex mazziniani – nelle file dell’esercito porteño e argentino: prima nella nuova fase di guerre civili rioplatensi, poi guerra della Triple Alianza contro il Paraguay. Tra la fine degli anni Cinquanta e Sessanta, il crescente peso dell’apparato consolare sardo – nonché dei suoi tentativi di fidelizzare la collettività italiana ormai stabilitasi nel Cono Sud – provocarono un evidente scontro per la leadership con il movimento repubblicano. Il gruppo di formazione mazziniana, rinnovando il suo discorso ideologico per rivolgersi alla composita costellazione di emigrati, rilanciò il messaggio patriottico per diffondere il sentimento di identità nazionale debilitato dalla convergenza filo-cavouriana sulla Penisola. L’iniziale successo, sostenuto dalla fondazione di associazioni mutualistiche, la promozione di iniziative di carattere assistenzialistico e la ripresa della tradizionale attività propagandistica, era il prodotto di una Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 227 strategia vincente che, almeno per un decennio, consolidò un’egemonia di lungo periodo93. A rinsaldarla, d’altra parte, furono le stesse élite del governo argentino: eredi di una organica tradizione repubblicana, ne esaltarono costantemente la stretta affiliazione ideologica, sugellata con l’inaugurazione della prima statua mondiale di Giuseppe Mazzini, installata a Buenos Aires il 17 marzo 187894. Conclusioni Buenos Aires, 6 aprile 1857. In un martirologio pubblicato sulle pagine de «El Nacional», il ministro porteño Bartolomé Mitre elogiava gli italiani «figli dell’eroismo e della gloria» che, nelle file della Legione Agricola-Militare, stavano contribuendo all’opera di civilizzazione del «deserto contro le barbarie»95. Nonostante la tragica morte di Silvino Olivieri, la compagnia italiana continuò – almeno fino al 1861 – ad operare per l’organizzazione politica, lo sviluppo economico e la difesa militare della colonia. Nuova Roma costituì, a tutti gli effetti, uno dei primi insediamenti diasporici italiani prima dell’unificazione della Penisola. Nel corso del XIX secolo, gli uomini in armi furono tra i principali protagonisti della costruzione di stati-nazione nel mondo atlantico. Mercenari, combattenti e legionari, come dimostrato dal caso rioplatense, erano al centro di un complesso sistema di accordi e alleanze, che incrociava trasversalmente Buenos Aires 93 G. DORE, La democrazia italiana e l’emigrazione in America, Brescia, Morcelliana, 1964, pp. 113-115. 94 M. AGUERRE, Espacios simbólicos, espacios de poder: los monumentos conmemorativos de la colectividad italiana en Buenos Aires, in D.B. WECHSLER (ed.) Italia en el horizonte de las artes plásticas. Argentina, siglos XIX y XX, Buenos Aires, Asociación Dante Alighieri, 2000, pp. 76-79. 95 «El Nacional», 6 aprile 1857. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 228 Bonvini, «L’aratro e la spada» e Montevideo agli stati italiani. Il fenomeno del volontarismo repubblicano congiunse i processi di nazionalizzazione tra le due sponde dell’Atlantico, connettendo pratiche militari, solidarietà ideologiche e prospettive politiche delle guerre di indipendenza risorgimentali a quelle dei conflitti civili del Río de la Plata, oltre a promuovere dinamiche di entanglement tra gruppi ed élite politiche di diversa provenienza96. In questo contesto, il movimento mazziniano – grazie, soprattutto, alla fitta rete di affiliati, speakers e attivisti radicata nelle Americhe – coordinò una molteplicità di progetti volti alla creazione ex nihilo o alla mobilitazione in loco di emigrati. Gli esuli della Giovine Italia, convinti sostenitori dell’idea di «fratellanza repubblicana universale», animarono reti diplomatiche, sostennero imprese associative e propagandistiche, incoraggiarono la lotta anti-assolutistica97. La loro dimensione individuale fu incorporata all’interno di un progetto collettivo che – come sostenuto da Maurizio Isabella – assunse la proiezione teleologica di missione finalistica per il progresso democratico italiano, e non solo98. Congiunture temporali, contesti geografici e fattori culturali plasmarono il modo stesso di vivere l’esilio fuori dall’Italia: così patriottismo, nazionalismo e cosmopolitismo 96 G. PÉCOUT, Le rotte internazionali del volontariato, in M. ISNENGHI – E. CECCHINATO (eds.), Gli italiani in guerra. Conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai giorni nostri, vol. 1, a cura di, Torino, Utet, 2008, pp. 188196. 97 C.A. BAYLY, E.F. BIAGINI (eds.), Giuseppe Mazzini and the globalisation of democratic nationalism: 1830-1920, Oxford, Oxford University Press, 2008; S. LACHENICHT, K. HEINSOHN (eds.), Diaspora Identities: Exile, Nationalism and Cosmopolitanism in Past and Present, New York, Campus, 2009; C. BRICE, S. APRILE (eds.), Exile et Fraternité en Europe au XIXème siècle, Bordeaux, Edition Bière, 2013. 98 M. ISABELLA, “Apostoli e pellegrini della libertà”: rappresentazioni dell’esilio tra cultura europea e Risorgimento, in M. GOTTARDI (ed.) Fuori d’Italia, Manin e l’esilio, Venezia, Ateneo Veneto, 2009, pp. 61-83. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 229 confluirono parallelamente formando una triangolazione di intenti che definì itinerari e rotte dell’impegno politico trans-nazionale. Per molti fuoriusciti, infatti, il Río de la Plata si trasformò in vera e propria patria d’adozione, immagine riflessa e artificiale di quella originaria, su cui proiettare rappresentazioni e ideali ormai sbiaditi dal progressivo riflusso rivoluzionario sulla Penisola. Il biennio ’48-’49 segnò una cesura centrale, che influenzò forme e significati dell’esilio risorgimentale. Le cocenti sconfitte maturate sui campi di battaglia e il contestuale allineamento del movimento nazionale sulle posizioni cavouriane attivarono una nuova, seppur più contenuta, diaspora oltreoceano. L’America Latina era da tempo una terra d’accoglienza per il patriottismo italiano. La proiezione mitica della lotta legionaria durante la Guerra Grande, la diffusione romantica dell’avventura in armi, l’affermazione del Cono Sud quale terra di opportunità politiche e possibilità economiche furono artifici performanti in grado di mobilitare, intorno alla metà del secolo, forze e uomini dalle coste mediterranee. La presenza nell’area rioplatense di ex combattenti, infine, agevolò il loro inserimento nella società locale.99 Negli anni Cinquanta, Legione Agricola-Militare fu uno dei maggiori corpi di volontari, su base nazionale, che operò in America Latina. Intorno alla sua formazione, si mossero una pluralità di forze trans-nazionali politicamente collegate all’uni- 99 S. CANDIDO, L’emigrazione politica e di élite nelle Americhe (1810-1860), in Il movimento migratorio italiano dall'Unità nazionale ai nostri giorni, a cura di F. Assante, Napoli, Droz, 1978, pp. 113-50; L’Italia nella società argentina: contributi sull’emigrazione italiana in Argentina, a cura di F. Devoto - G. Rosoli, Roma, Centro Studi Emigrazione, 1988; L. Incisi di Camerana, L’Argentina, gli italiani, l’Italia: un altro destino, Tavernerio, ISPI, 1998. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 230 Bonvini, «L’aratro e la spada» verso atlantico del movimento repubblicano. Non solo agenti diplomatici e funzionari di governo argentini, ma anche giornalisti della Giovine Italia e rappresentanti di rilievo dell’esilio italiano si impegnarono per la riuscita del progetto di colonizzazione. L’eco della fondazione di Nuova Roma, abilmente divulgato dalla pubblicistica mazziniana, concorse alla diffusione del mito del «fare l’Italia fuori dall’Italia». In tal senso, il combattentismo itinerante divenne un punto di coagulo delle correnti espatriate ed in lotta per l’unificazione italiana all’estero. Come ha sottolineato Lucy Riall, infatti, i corpi di legionari svolsero ruolo fondamentale nella definizione delle strategie del movimento nazionale e divennero un riferimento ideologico per fare del Risorgimento una «storia di fondazione»100. Tuttavia, a differenza dei decenni precedenti in cui il volontariato internazionale venne interpretato come un «noviziato alla guerra italiana»101, l’esperienza della Legione Agricola-Militare rispose a logiche alternative di costruzione comunitaria. L’ideale di guerra oltre la frontiera fu re-immaginato all’interno di un processo originale di organizzazione diasporica, che faceva da sostegno a programmi di colonizzazione e popolamento. A Bahía Blanca la diade metaforica di «aratro» e «spada» – simboli dal forte impatto mitopoietico nel discorso nazionalista – arricchirono il repertorio identitario-patriottico dell’esilio risorgimentale, rilanciando il paradigma del primato della civiltà italiana. Nel corso del XIX secolo, la guerra costituì un fattore decisivo per la composizione di affiliazioni politiche, la costruzione di identità nazionali e la definizione di processi di state e nation100 L. RIALL, Eroi maschili, virilità e forme della guerra, in Storia d’Italia. Il Risorgimento, vol. 22, a cura di A.M. Banti - P. Ginsborg, Torino, Einaudi, 2007, pp. 253-88. 101 «Apostolato popolare», 25 novembre 1842. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Bonvini, «L’aratro e la spada» 231 building. Combattenti e volontari, agendo quali political transfers tra contesti continentali differenti, ricollocarono le singole lotte locali o nazionali all’interno di un più ampio panorama globale. La circolazione di uomini in armi, da questo punto di vista, offre una prospettiva per ampliare gli spazi della geografia politica risorgimentale e rivalutare l’esperienza patriottica alla luce dei grandi processi di modernizzazione nel mondo atlantico durante l’Ottocento. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 232 Bonvini, «L’aratro e la spada» Fonti Archivio di Stato di Torino Materie politiche per rapporto all’estero. Consolati nazionali, Montevideo Materie politiche per rapporto all’estero. Consolati nazionali, Buenos Aires Archivo General de la Nación de Argentina  Legione Italiana, Alemana, Española, Correntina Archivo General de la Nación de Uruguay Archivo General Administrativo de Montevideo. 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Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 234 Bonvini, «L’aratro e la spada» Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini. Epistolario, voll. LIII, LIV, Imola, Cooperativa tipografico-editrice P. Galeati, 1929-1930 Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini. Epistolario, vol. XXV, Imola, Cooperativa tipografico-editrice P. Galeati, 1916 Giornali e Riviste Apostolato popolare El Nacional La Legione agricola La Tribuna Bibliografia ABRAMSON P-L., Las utopías sociales en América Latina en el siglo XIX, México D.F., Fondo de Cultura Económica, 1999 . ACREE JR. W.G., GONZÁLEZ ESPITIA J.C., Building nineteenthcentury Latin America: Rerooted cultures, identities, and nations, Nashville, Vanderbilt University Press, 2009 AGUERRE M., Espacios simbólicos, espacios de poder: los monumentos commemorativos de la colectividad italiana en Buenos Aires, in D.B. WECHSLER (ed.), Italia en el horizonte de las artes plásticas. 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Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 238 Bonvini, «L’aratro e la spada» ISABELLA M., “Apostoli e pellegrini della libertà”: rappresentazioni dell’esilio tra cultura europea e Risorgimento, in M. GOTTARDI (ed.), Fuori d’Italia, Manin e l’esilio, Venezia, Ateneo Veneto, 2009 ISABELLA M., Risorgimento in esilio. L’internazionale liberale e l’età delle rivoluzioni, Roma-Bari, Laterza, 2011 KAERGER K., La agricultura y la colonización en hispanoamérica, Buenos Aires, Academia Nacional de la Historia, 2004 KÖNIG H-J., WIESEBRON M., Nation Building in Nineteenth Century Latin America: Dilemmas and Conflicts, Leiden, Research School CNWS, 1998 LACHENICHT S., HEINSOHN K. 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Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 242 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef : deux exils en effet de miroir dans l’Empire colonial français di Frédéric GARAN Université de la Réunion DOI 10.26337/2532-7623/GARAN Riassunto : Gli esili di Ranavalona III e di Mohammed V sembrano essere due facce della stessa medaglia. La prima passa dal Madagascar al Maghreb, mentre il secondo compie cinquant’anni più tardi un percorso simile ma in direzione opposta. Ma se Mohammed esce trionfante dall’esilio, Ranavalona III incarna invece una monarchia Merina schiacciata dal colonizzatore. L’esilio di Mohammed V è spesso evocato, quello di Ranavalona III di meno, al punto da farlo cadere nell’oblio dopo la conquista del Madagascar e l’abolizione della monarchia. Tuttavia, in entrambi i casi, il quotidiano, e soprattutto le condizioni materiali imposte dalla Francia, sono spesso ignorate. Abstract : The exiles of Ranavalona III and Mohammed V seem to respond by mirror effect. The one goes from Madagascar to the Maghreb, when the second makes a similar journey 50 years later in the opposite direction. But, if Mohammed V comes out triumphant of the exile, Ranavalona III embodies a merina monarchy crushed by the colonizer. If the use of symbolic exile at the beginning of the twentieth century the power of the colonial empire, half a century later, it represents only an anachronistic and breathless system. Mohammed V's exile is often mentioned. The one of Ranavalona III much less so, as the queen fell into oblivion after the conquest of Madagascar and the abolition of the monarchy. However, in both cases, daily life, and especially the material conditions imposed by France, are often ignored. It is these two exiles that we will follow in parallel. Keywords : Madagascar, Morocco, Mohammed V, Ranavalona III, French Colonial Empire Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 243 Sommario: Introduction – Toujours plus loin… L’éloignement géographique, un élément essentiel – Isoler politiquement – Les conditions du retour – Conclusion Saggio ricevuto in data 31 luglio 2017. Versione definitiva ricevuta in data 19 dicembre 2017 Introduction Après la conquête de Madagascar…, les Colonialistes français ont aboli leur pacte avec Ranavalona III en l’expatriant à la Réunion dans le courant du mois de Janvier 1897… Et voilà qu’actuellement, après 57 ans de cet acte d’infériorité, ce bouleversant événement se renouvelle dans la destitution du Sultan Sidi Ben Youssef du Maroc. Maintenant, il est chez nous en exil avec ses femmes et enfants, destitué de son trône royal et éloigné de sa patrie dans le but de museler le peuple marocain de revendiquer leur liberté et leur indépendance […]. Cet état de choses nous rappelle les douloureux événements survenus à Madagascar en 1947 mais n’allons pas secouer la boue qui dort. L’indépendance nationale est une œuvre commune de tout le peuple. A l’heure actuelle, le peuple marocain est justement dans ce rude labeur, mais malgré les maintes entraves suscitées par les Impérialistes-colonialistes-fascistes, il parviendra à bout coûte que coûte1. Le rapprochement opéré par le journal nationaliste malgache Lalam-Baovao entre l’exil de la reine Ranavalona III et celui du sultan Mohammed Ben Youssef semble aller de soi. Il y a des similitudes géographiques. La reine, après avoir séjourné à La Réunion, est finalement envoyée en Algérie. Le sultan fait un voyage comparable dans l’autre sens. Après être passé par la Corse, il finit à Antsirabe, petite ville thermale malgache. Dans les deux cas, il s’agit de monarques théoriquement couverts par des accords de Protectorat unilatéralement violés du 1 Traduction par la police de Majunga d’un article du Lalam-Baovao n°43 du 5 février 1954. ANOM Madagascar pm266. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 244 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef fait de véritables complots ourdis par les résidents généraux représentant la France. Mais, au-delà de ces éléments pouvant permettre d’écrire des histoires parallèles, les époques ne sont plus les mêmes. L’exil de Ranavalona III intervient après la conquête de la Grande Île, dans le cadre d’un colonialisme triomphant. Celui de Mohammed V se déroule au moment où la France cherche à maintenir son influence au Maroc, dans les affres de la décolonisation du Maghreb2. Ainsi, il est troublant que malgré des contextes très différents, la méthode semble être toujours la même… Nous suivrons ces deux exils en parallèle. Il conviendra tout d’abord de mettre en évidence la nécessité pour la France de contraindre ces deux monarques à un exil lointain. Cet isolement structure la vie de l’exilé, toujours en quête de contacts avec son pays : Des contacts qui seront finalement assez intenses pour le sultan du Maroc, illusoires pour la reine de Madagascar. Nous terminerons sur les modalités du retour, triomphal pour Mohammed V, ou orchestré à des fins de propagande par le colonisateur, pour les cendres de Ranavalona III. 2 La crise marocaine est très suivie par la presse coloniale à Madagascar (Tana Journal ; France-Madagascar), entre août 1953 et novembre 1955. Le choc de 1947 n’est pas loin, et les Français de Madagascar projettent leurs angoisses sur les événements du Maroc. Pour plus de détails, voir F. GARAN, Mohammed V à Madagascar, histoire d’un exil (titre provisoire), en attente de publication chez Vendémiaire (collection Empires). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 245 Toujours plus loin… L’éloignement géographique, un élément essentiel Les monarques auxquels nous nous attachons sont tous deux victimes d’un véritable complot colonial3. Couronnée en pleine guerre franco-malgache en 1883, le règne de Ranavalona III s’inscrit intégralement dans le contexte des tensions avec la France. Le pouvoir réel est, depuis 1865, entre les mains du Premier ministre Rainilaiarivony qui épouse la jeune reine. En décembre 1885, l’issue de cette guerre voit la mise en place d’un « protectorat fantôme »4. Les tensions perpétuelles entre le Premier ministre et les résidents français sont à l’origine d’une nouvelle expédition qui aboutit à la prise de Tananarive par les troupes du général Duchesne, le 30 septembre 1895. Un nouveau traité de Protectorat est imposé et Rainilaiarivony est envoyé en exil en Algérie. Malade, il meurt à Alger quelques mois plus tard, en juillet 1896. A Tananarive, le Résident Général Laroche tente de faire fonctionner le nouveau protectorat, mais il est confronté à la révolte Menalamba5. Les militaires reprochent à Laroche son indulgence envers Ranavalona III en qui ils voient, à tort, l’âme de la révolte. C’est dans ce contexte que Gallieni est nommé en remplacement de Laroche. En violation du traité de protectorat, 3 Nous reprenons ici le titre de l’ouvrage de S. ELLIS, Un complot colonial à Madagascar. L’affaire Rainandriamampandry, Ambozontany, Karthala-Ed, 1990. Ellis établit la volonté de Gallieni d’éliminer physiquement, pour l’exemple, deux notables merina, ce qui permet d’écarter la reine et de proclamer Madagascar « colonie ». 4 H. DESCHAMPS, Histoire de Madagascar, Paris, Berger-Levrault, 1960, pp 182-189. 5 Voir S. ELLIS, L’insurrection des menalamba, une révolte à Madagascar (1895-1896), Paris, Karthala, 1998. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 246 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Gallieni impose la loi d’annexion du 6 août 1896, qui fait de Madagascar une colonie. La monarchie est dès lors en sursis. Craignant que l’insurrection ne cristallise en s’appuyant sur le nom de la reine, et bien que celle-ci ne joue aucun rôle, Gallieni estime le départ de cette dernière nécessaire. Elle doit quitter nuitamment Tananarive le 28 février 1897. Le 14 mars, l’arrivée sur l’île voisine est difficile, la reine devant faire face à l’hostilité de la population qui la considère « comme responsable de tout le sang versé, […] la guerre malgache [ayant] coûté la vie à nombre de volontaires de La Réunion »6. Le lendemain de l’arrivée à Saint-Denis, naissait la petite princesse Marie-Louise, fille de la nièce de la reine. Cet événement n’est pas anecdotique (nous pouvons d’ailleurs le mettre en parallèle avec la naissance de la petite lala Amina, fille de Mohammed V). Cette naissance est symboliquement l’occasion d’opérer un rapprochement avec la France, le lieutenant Durand, qui a escorté la reine depuis Tananarive, étant choisi comme parrain. Source de joie, cette naissance porte aussi un drame, la mère de la petite Marie-Louise décédant des suites de l’accouchement. Dès lors, la reine apparait comme la mère de la jeune princesse, qui est omniprésente sur les photographies. S’occuper de cette enfant était certainement un moyen de supporter cet exil difficile. C’est pour la propagande coloniale l’occasion de changer l’image de la reine. Plus qu’une reine en exil, elle devient une mère, une femme. Il y a une sorte de normalisation de son 6 G. BABIN, L’enlèvement de Ranavalo, «L’Illustration», 3040 (1901). Cet article, écrit à l’occasion de sa venue à Paris, présente la reine de manière plutôt positive, tout en validant l’analyse de Gallieni quant à la situation à Madagascar au moment du départ en exil. Si les Réunionnais ont effectivement participé aux opérations sur la Grande Île, ils sont loin d’en être l’élément principal. Les pertes furent très lourdes au sein du corps expéditionnaire, mais surtout du fait des maladies plutôt que des combats. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 247 image par la vie domestique, qui permet de faire disparaitre pratiquement toute référence aux activités politiques passées. Tout est en place pour faire que l’ancienne souveraine devienne aux yeux des Français une reine d’opérette, ce qui sera le cas, presque au sens propre du terme, avec l’épisode d’Arcachon. Malgré tout, la reine trouve dans la petite maison qu’on lui a attribuée à Saint-Denis une certaine sérénité. Ce n’est pas le cas de Gallieni qui, depuis Madagascar, continue à voir en Ranavalona un danger potentiel. Il semble que pour être efficace l’exil se doive d’être lointain, et par la même occasion, définitif. Profitant de la crise de Fachoda, le gouverneur général reprend l’offensive contre la reine. Le 1er novembre 1898, il contacte le ministère des Colonies : « Je demanderai, en cas de guerre, que Ranavalo soit immédiatement éloignée de La Réunion, car son retour à Madagascar serait [le] signal [d’un] soulèvement général »7. Certes la reine est encore populaire à Madagascar, et la politique qu’avait menée son Premier ministre pouvait être qualifiée de pro-anglaise mais, en cette fin d’année 1898, il n’y a plus de danger. La ˮpacificationˮ a fait son œuvre et les révoltes ont été écrasées quasiment partout. Surtout, ces révoltes que l’on peut qualifier de nationalistes, sont sans le moindre lien avec l’Angleterre et la politique de l’ancien Premier ministre. Enfin, comment la reine pourrait-elle rentrer à Madagascar, sauf à imaginer une très improbable opération anglaise sur La Réunion pour la délivrer. Aussi surprenant que cela puisse paraitre, c’est ce chiffon rouge que Gallieni agite, laissant croire à son homo- 7 ANOM Série géographique Réunion, carton 414 d 4008 « Ranavalona à la Réunion », télégramme de Gallieni du 1er novembre 1898 (Merci à Claude Bavoux qui nous a transmis ce dossier). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 248 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef logue que c’est lui qui doit s’inquiéter de la présence de Ranavalona à La Réunion8. Il obtient ainsi satisfaction... Dès le 4 novembre, le ministère l’avait autorisé à préparer un éventuel départ et la décision tombe le 23 novembre 1898. Le ministre informe alors le gouverneur de La Réunion Que le Général Gallieni ayant appelé son attention sur le danger que pourrait présenter en cas de guerre la présence à la Réunion de la reine Ranavalo, j’ai autorisé le gouverneur de Madagascar à faire envoyer celle-ci dans une de nos autres possessions, dans le cas où son séjour à St-Denis occasionnerait des inquiétudes pour la sérénité et la défense de la Grande Île.9 Ce sera l’Algérie… On imagine la détresse de la reine en apprenant qu’elle part pour le pays qui a déjà vu mourir son mari, le Premier ministre Rainilaiarivony. Elle quitte aussitôt La Réunion. Les instructions aux capitaines des navires sont formelles, pour ne « laisser Ranavalo communiquer aux diverses escales ni avec des Malgaches ni avec des personnalités de nationalité étrangère »10. Elle arrive à Marseille le 24 février 1899, avant de rejoindre Alger, où elle est installée « dans les conditions les plus favorables et les plus économiques possibles »11. C’est une reine très affaiblie moralement et politiquement qui s’installe à Alger. Dans les mois qui suivent, Gallieni réalise un coup de maître : il autorise le retour des cendres de Rainilaiarivony. Gallieni vient d’effectuer en métropole, de mai 1899 à juillet 1900, une tournée durant laquelle il a bien défendu les intérêts de la colonie et obtenu un prêt pour la construction d’un 8 Ibidem, télégramme de Gallieni au Gouverneur de la Réunion, novembre 1898. 9 Ibidem, lettre du ministre au gouverneur de La Réunion, 23 novembre 1898. 10 ANOM, 6 (2) d 9, Instructions du ministère datées du 21 février 1899, cité par S. RANDRIANJA, Société et luttes anticoloniales à Madagascar (1896 à 1946), Paris, Karthala, 2001, p. 101. 11 Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 249 chemin de fer. Il revient avec dans ses malles les trois premières automobiles qui circuleront à Madagascar. Dans un territoire maintenant calme, il peut pleinement incarner, dans le cadre de la mission civilisatrice, la modernité que la France apporte à Madagascar. De plus, dans les semaines qui suivent son retour, il autorise que les restes mortels de Rainilairivony puissent rejoindre le tombeau familial12. Un rapatriement sans danger, l’ancien Premier ministre n’étant pas spécialement populaire, mais qui permet au gouverneur général de s’installer dans la posture du père bienveillant pour la population malgache, attentif aux traditions, et sachant pardonner à ses anciens ennemis. Le discours qu’il prononce lors de la cérémonie en octobre 1900 est très révélateur. Les choix politiques du Premier ministre sont vivement critiqués. La France n’a fait que défendre ses droits et, en exilant le vieux chef, elle s’est montrée « généreuse et clémente », lui offrant « une résidence princière » en Algérie, et le traitant « avec les plus grands égards »13. La suite est édifiante : Et maintenant que la paix règne complètement dans l’île, le Gouvernement de la République voulut que Rainilaiarivony dormit son dernier sommeil sur la terre où il est né, dans le tombeau qu’il avait lui-même fait construire. Il a pris à sa charge tous les frais de transport des restes du Premier Ministre, et c’est le délégué de ce Gouvernement qui préside aujourd’hui à cette cérémonie, en présence des fonctionnaires civils et militaires de la Colonie et d’un grand nombre de colons. Et vous pouvez témoigner, Malgaches, des honneurs qui sont rendus à Rainilaiarivony, après sa mort. Il n’est, du reste, pas un acte du Gouvernement de la République qui ne prouve que, si la France sait faire respecter ses droits quand il est nécessaire, elle sait également se montrer clémente après la victoire, et que, là où elle 12 Le convoi quitte Tamatave le 21 septembre 1900. Les cérémonies auront lieu au tombeau d’Isotry dès l’arrivée à Tananarive prévue le 5 octobre. Journal officiel de Madagascar, 29 septembre 1900, p. 4823. 13 Discours du gouverneur général Gallieni, Journal officiel de Madagascar, 6 octobre 1900, pp. 4853 ss. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 250 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef plante son drapeau, elle cherche en même temps à implanter des idées de civilisation et de progrès. Il y a un mois, vous assistiez à la mise en liberté des rebelles, auxquels leurs crimes eussent mérité la peine de mort. Nous nous étions contentés de les envoyer en exil à la Réunion, et nous venons de leur pardonner définitivement14. Référence aux chefs menalamba exilés mais pas un mot dans ce discours sur la reine qui vient d’être envoyée en Algérie. Ranavalona sait maintenant en son for intérieur, qu’elle ne reverra jamais Madagascar de son vivant. Un peu plus d’un demi-siècle plus tard, c’est également d’un coup de force dont est victime le sultan du Maroc. Mohammed ben Youssef a pourtant été d’un loyalisme sans faille durant la Seconde Guerre mondiale, ce qui lui vaut d’être élevé au rang de Compagnon de la Libération par le général De Gaulle. Les relations entre le Maghzen et la Résidence se dégradent après l’arrivée du général Juin qui considère que le sultan doit rentrer dans le rang15. Son départ en 1951 ne change rien puisqu’il impose le général Guillaume pour lui succéder, et continue à tirer les ficelles au Maroc. L’objectif est de discréditer Mohammed V en s’appuyant sur Thami El Glaoui, Pacha de Marrakech, qui est supposé incarner l’intérêt de la France. Cette ligne politique que suit la Résidence conduit tout droit à la crise du 20 août 1953. 14 Ibidem. Le sultan est le symbole de l’opposition à la puissance coloniale depuis le discours de Tanger, le 10 avril 1947. Pour une première approche du règne de Mohammed V, voir P. VERMEREN, Mohammed V, le père du Maroc indépendant, «L’Histoire» 307 (mars 2006), pp. 68-74. Voir également D. RIVET, Le Maroc, de Lyautey à Mohammed V, Paris, Denoël, 1999 ; ainsi que P. VERMEREN, L’Histoire du Maroc depuis l’indépendance, Paris, La Découverte, 2010. 15 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 251 Avec le soutien du Président du Conseil Joseph Laniel, et surtout de son ministre des Affaires Étrangères, Georges Bidault, le complot mené par Guillaume a pour objectif d’obtenir l’abdication de Mohammed V, en échange d’une retraite en France librement consentis, où il bénéficiera d’une haute considération. Le prince Hassan est témoin du chantage qu’exerce le résident général sur son père, en violation complète des principes du protectorat. - Rien dans mes actes et mes paroles ne saurait justifier l’abandon d’une mission dont je suis le dépositaire légitime. Si le gouvernement français considère la défense de la liberté et du peuple comme un crime qui mérite châtiment, je tiens cette défense pour une vertu digne d’honneur et de gloire… - Si vous n’abdiquez pas immédiatement de votre plein gré, j’ai mission de vous éloigner du pays afin que l’ordre soit maintenu. - Je suis le souverain légitime du Maroc. Jamais je ne trahirai la mission dont mon peuple confiant et fidèle m’a chargé. La France est forte, qu’elle agisse comme elle l’entend16. Le sultan et ses deux fils sont alors conduits dans un avion qui décolle pour une destination inconnue… Dès lors, c’est Ben Arafa, une créature du Pacha de Marrakech, qui devient pour la France le sultan légitime. L’exil de Mohammed V commence, d’abord en Corse, à la grande stupéfaction du préfet qui doit l’accueillir en cette fin d’après-midi du 20 août 1953. Mohammed V pense que le passage en Corse sera de courte durée. Il espère une installation rapide en France métropolitaine, où ses réseaux pourront jouer pour négocier avec le gouvernement français. 16 Témoignage d’Hassan II, cité par Ch. LAUVERNIER, Exil d’un roi à Madagascar, Mohammed V sultan du Maroc, mémoire de DEA, Université de La Réunion, 1994, p. 77. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 252 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Le Comte Clauzel, ami du sultan et ancien conseiller chérifien17, est dépêché en Corse. Mohammed V lui fait part de ses protestations à transmettre à Georges Bidault, sans résultat. Visiblement, le gouvernement veut l’installer dans un exil contraignant. C’est ce que constate le docteur Dubois-Roquebert, médecin personnel du sultan, qui le rejoint le 30 septembre. A Zonza même, le fonctionnaire chargé de la surveillance de la Famille Royale et qui avait échangé ses fonctions de contrôleur civil au Maroc pour celles de geôlier, n’avait rien trouvé de mieux que d’éclairer, la nuit venue, les fenêtres de l’hôtel par de puissants projecteurs. Ce « jeu de lumière », assez sinistre, n’avait d’autre résultat que de gêner le sommeil de ceux qui s’y reposaient18. Le sultan a cru que cette visite serait porteuse de bonne nouvelle mais Dubois-Roquebert l’informe que l’optimisme n’est pas de mise et qu’aucun transfert en France n’est envisageable. Pire, le gouvernement actionne deux leviers pour faire pression sur celui qui est maintenant pour la France « l’ex-sultan ». D’un côté, une campagne de presse dénonce le train de vie de Mohammed V et surévalue grossièrement sa fortune. On espère que l’ancien sultan, afin d’obtenir un exil doré en métropole et surtout, par crainte de se voir dépossédé de ses biens, acceptera d’abdiquer. D’autre part, le gouvernement français, prenant prétexte des tensions avec l’Espagne qui exerce le protectorat sur le nord du Maroc et qui conteste la déposition du Sultan, agite le 17 Le Comte Clauzel remplit les fonctions de Conseiller du Gouvernement chérifien, c’est-à-dire d’intermédiaire entre la Résidence générale et le Palais, d’août 1949 à octobre 1951. Jugé trop proche du Sultan, le général Juin demanda son rappel à Paris. 18 H. DUBOIS-ROQUEBERT, Mohammed V, Hassan II, tel que je les ai connus, chapitre « L’exil à Zonza en Corse ». www.maroc-lodge.com/livre/Livre/index.htm#top (Consulté en juin 2011). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 253 spectre d’une évasion afin de justifier la perspective d’un éloignement plus radical. En janvier 1954, Mohammed V veut voir le retour en Corse du Comte Clauzel comme un espoir. Il n’en est rien. Georges Bidault lui a confié la délicate tâche d’annoncer au sultan son départ pour un exil plus lointain, En raison de l’agitation existant au Maroc et de la position prise en sa faveur par le Gouvernement espagnol [...] Il a protesté contre la mesure qui le frappait et contre le caractère inhumain d’une décision en vertu de laquelle sa famille était transportée d’un point à l’autre du globe comme un simple bétail. Il était injuste d’aggraver son sort sous prétexte d’une déclaration du Général Franco. L’enverrait-on au pôle sud, a t-il ajouté, la prochaine fois que la France aurait à se plaindre de l’Espagne ?19 Il informe également le sultan du chantage financier que la France exerce. L’inscription à son passif des frais de séjour en Corse, soit 500 000 francs de l’époque par jour, plus qu’il ne dépensait pour lui-même et sa famille lorsqu’il régnait sur le Maroc, la perspective de se voir infliger dans l’autre hémisphère des dépenses ruineuses, achevèrent d’accabler Sidi Mohammed. N’oublions pas qu’il était supposé être un invité de marque de la France... Le Sultan, vêtu d’une djellaba grise, prostré, mal rasé, paraissait sensiblement plus que les 44 ans de son âge. Depuis son arrivée en Corse, cet homme habitué à une vie active et à la pratique des sports, refusait de prendre l’air, et, à juste titre, se considérait comme un persécuté20. Le 26 janvier 1954, Mohammed V quitte la Corse sans que la destination finale ne soit définitivement arrêtée. Le journal 19 Témoignage du Comte Clauzel, sur le site officiel du gouvernement marocain, « Feu sa Majesté le Roi Mohammed V », www.mohammedV.ma (consulté en 2011). 20 Ibidem Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 254 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef France-Madagascar titre que « L’ex-sultan du Maroc est attendu à Madagascar », dans le cadre de ce qui ne semble être qu’une étape pour un voyage plus lointain. L’ancien sultan Sidi Mohammed Ben Youssef est arrivé hier matin à Brazzaville… L’avion militaire spécial DC4 … avait fait escale à Fort Lamy à minuit dans la nuit de Lundi à Mardi. Le souverain, accompagné d’une dizaine de personnes dont ses fils et ses femmes, avait pris une collation au bar de l’aérodrome dans une stricte intimité. L’avion spécial étant tombé en panne, a été remplacé par un DC4 d’Air France qui a décollé à 3 heures locales et a amené l’ex-sultan à Brazzaville. De Brazzaville, l’ex-sultan se rendra à Madagascar, ou il séjournera avant de gagner sa résidence définitive qui se situerait à Tahiti ou en Nouvelle Calédonie21. Sur la même page, un autre article intitulé « les milliards du Sultan » traduit bien l’importance des pressions financières. L’auteur appelle les agents du fisc à « se mettre en chasse » contre « un certain Mohammed Ben Youssef que la patience et la générosité françaises ont trop longtemps toléré sur le trône du sultan du Maroc ». L’arrivée de Mohammed V met la colonie malgache en effervescence. Le 27 janvier, le Haut-commissaire Robert Bargues informe ses collaborateurs que les intempéries rendent un atterrissage sur Tananarive incertain. Dans la perspective d’un repli sur un aéroport de province, il transmet ses directives pour l’accueil de l’« ex sultan » afin de respecter les ordres de Paris. Aucun honneur ne doit lui être rendu. Il faut le placer « sous surveillance stricte police et garde éventuellement troupe sans communication avec l’extérieur »22. C’est bien un prisonnier qui est confié aux autorités françaises de Madagascar. 21 Quotidien France-Madagascar, Mercredi 27 janvier 1954, Archives de la République de Madagascar (ARM). 22 ANOM, Madagascar, PM 266, Télégramme du Haut-Commissaire à Tananarive, aux provinces de Tuléar, Diego-Suarez et Majunga. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 255 Bien que l’on soit dans des contextes très différents, on ne peut qu’être troublé par la similitude des scenarii. D’abord un véritable complot faisant fi des traités ; un départ précipité et brutal destiné à briser l’exilé ; l’espoir d’un exil proche permettant de maintenir des contacts avec le pays ; la relégation vers une terre lointaine et la contrainte financière. L’exil se doit d’être géographiquement lointain pour imposer un isolement politique qui permettra à la France d’arriver à ses fins. La France a certainement développé un ˮsyndrome de l’île d’Elbeˮ qui la conduit à imaginer les exils les plus éloignés possibles. Mais, si cette politique a un sens au début du XXe siècle, en plaçant Ranavalona à trois semaines de mer de sa terre natale, comment ne pas être surpris par l’anachronisme de la mesure, cinquante ans plus tard, alors que les « Constellations » d’Air France ne mettent plus que 22h30 pour rejoindre Tananarive depuis Paris. Isoler politiquement En Algérie, la petite Marie Louise permet une vie de famille qui est sans doute fondamentale pour l’équilibre de la reine23. Contrairement à l’impression que le Petit Journal peut donner, Ranavalona vit un exil sans faste. N’a-t-on pas donné ordre qu’il soit « le plus économique possible » ? 23 La sœur de Ranavalona, grand-mère de Marie Louise, décède en 1901. Elle est enterrée à Alger, au cimetière Saint-Eugène Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 256 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Figura 1, Ranavalona III et la princesse Marie Louise, 1901, Supplément illustré Petit Journal Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 257 L’ensemble des biens de la souveraine a été confisqué par la France et Ranavalona vit chichement, « d’une pension prélevée sur le budget du gouvernement de Madagascar »24. Les distractions sont rares et la reine rêve de découvrir Paris. Elle devra attendre deux ans avant de franchir la Méditerranée et de débarquer à Marseille, le 29 mai 1901. Ce voyage lui permet d’avoir quelques contacts avec des Malgaches, comme Charles Ranaivo, étudiant en médecine, qui lui est affecté comme traducteur. Mais ce dernier, proche de Gallieni, est autant interprète que chargé de la surveillance de la reine durant son séjour25. Ce voyage est l’un des rares moments de l’exil où la souveraine est traitée selon son rang. Arrivée à Paris en train le 30 mai aux cris de « vive Ranavalona ! », elle est reçue un mois plus tard à l’Élysée par le président de la République Émile Loubet. Entre temps, elle a pu visiter Versailles, Fontainebleau, Notre-Dame… et a été accueilli à l’Hôtel de ville de Paris. Partout, la petite Marie-Louise qui est à ses côtés remporte un franc 24 Voir RANDRIANJA, Société et luttes anticoloniales à Madagascar, p. 102. Charles Ranaivo fut étudiant à la Medical Missionary Academy (avant la conquête française) avant d’intégrer l’École de Médecine fondée en 1897. Il est ensuite au service particulier de Gallieni, avant de le suivre en France en mai 1899 et d’être admis à la faculté de médecine de Paris. Il est l’un des premiers malgaches à obtenir la nationalité française. Charles Ranaivo est aussi l’incarnation de ces échanges et voyages au sein de l’empire, dans un contexte autre que l’exil. Dans un cadre idéologique très différent, c’est aussi le cas le Jean Ralaimongo, figure du nationalisme malgache, qui vient en France en 1910 pour préparer son brevet élémentaire afin d’être instituteur (voir J.P. DOMINICHINI, Jean Ralaimongo ou Madagascar au seuil du nationalisme, «Revue Française d’Histoire d’Outre-Mer», 204 (1969), pp. 236287). 25 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 258 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef succès. La reine est elle-même très populaire, et reçoit des présents du tout Paris (dons de la comédienne Cécile Sorel, du poète François Coppée… et un saphir du bijoutier Nitzel)26. Le lendemain de sa visite élyséenne, Ranavalona part pour Arcachon. La reine devait pour sa santé effectuer un séjour dans une station balnéaire. Pourquoi Arcachon ? On a dit que son choix s’était porté sur la ville de la côte atlantique du fait d’un petit spectacle joué en 1896, qui la mettait en scène. L’anecdote est séduisante, mais il nous parait plus raisonnable de penser que la connexion avec une représentation donnée par les élèves d’une école s’est faite une fois sur place. Un spectacle inspiré par le passage à Arcachon en décembre 1895 des soldats blessés du corps expéditionnaire à Madagascar, un contexte pas particulièrement favorable à la reine27. Toujours est-il que Ranavalona rencontre Mlle Roumagnac, la directrice d’école qui a imaginé cette petite pièce chantée par les enfants de l’école maternelle. L’épisode du spectacle enfantin est charmant, mais va contribuer à installer auprès des Français l’image d’une reine d’opérette… qui se confirme plus tard avec l’apparition de la photographie de Ranavalona sur des boîtes de biscuits. 26 www.7lameslamer.net/les-flamboyants-de-l-exil-3eme.html (consulté en mai 2017) 27 L’expédition de Madagascar en 1895 a été très médiatisée. Un régiment métropolitain, le 200e d’infanterie, est spécialement créé pour l’occasion, afin d’associer symboliquement la nation à cette conquête. Les pertes seront très importantes, essentiellement du fait des maladies et de l’impréparation de ce régiment à l’action outremer. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Figura 2, Boite Biscuit LU, collection privée Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 259 260 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef La reine a ému lors de son passage. Le 3 juillet, le conseil général de la Seine demande dans une requête « que la Reine ait liberté de séjourner où elle voudra sur le territoire de la République »28, ce qui inclut par là-même Madagascar. Après consultation de ses conseillers, Gallieni, toujours en poste sur la Grande Île, s’y oppose. Cela ne l’empêchera pas, après avoir quitté ses fonctions de gouverneur général, de se donner le beau rôle dans ses relations avec la souveraine malgache. A l’occasion d’une inspection en Algérie, en 1910, il lui rend visite et note dans son journal qu’elle est « très émue, puis heureuse de me voir »29. Le séjour métropolitain, entre Paris et Arcachon, a été une parenthèse agréable. Il faut maintenant replonger dans la vie de l’exilée à Alger la Blanche, si différente de Tananarive la Rouge, pour reprendre une opposition que l’on trouve fréquemment dans la presse de l’époque. En cette fin de mois de juillet 1901, Arcachon fait ses au revoir : A peine est-elle dans le wagon, qu’il lui est apporté une corbeille de fleurs naturelles données par le Grand-Hôtel, et aussi des gerbes et bouquets offerts par les dames. Le train s’ébranle, la foule se découvre, on crie : Vive la reine ! Celle-ci répond : Au revoir ! Ranavalo se rend à Marseille où elle passera deux jours. Jusque-là seulement elle est accompagnée par MM. Le lieutenant Bruyères et le docteur Ranaivo, interprète, qui la quitteront à Marseille pour retourner à Paris, leur mission ayant pris fin. Ranavalo s’embarquera le 28 pour Alger, où elle retourne habiter sa villa : le bois de Boulogne, située à Mustapha ; dans la même province, où nous détenons un autre prisonnier illustre, Ham-Nhi, le roi de l’Annam30. 28 Cité par RANDRIANJA, Société et luttes anticoloniales à Madagascar, p. 101. 29 M. MICHEL, Gallieni, Paris, Fayard 1989, p. 249. 30 L’avenir d’Arcachon, 2538 (28 juillet 1901), https://mcmparis.wordpress.com/2015/06/16ranavalona-iii-exil-a-alger-video-mankamiadana/ (consulté le 14 mai 2017). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 261 Elle n’est en effet pas la seule exilée de l’empire à Alger. Ham-Nghi31 était déjà là depuis 1888. Ils sont rejoints par Béhanzin32, en avril 1906. Figura 3, Carte postale, 1906, collection privée On ne peut cependant pas parler d’une communauté d’exilés. Chacun vit de son côté, dans son domaine, avec des moyens assez limités. Lorsque la situation de l’un d’eux s’améliore, les réactions sont immédiates, comme le souligne cet échange entre Paul Beau, gouverneur général de l’Indochine, Etienne Clémentel, ministre des Colonies, et Francis Laloë, président de la 31 Voir la thèse d’A. DABAT, Ham Nghi (1871-1944) Empereur en exil, artiste à Alger, sous la direction d’E. PARLIER-RENAULT, Université Paris-Sorbonne, décembre 2015. 32 Roi du Dahomey, Béhanzin est déporté en Martinique en mars 1894. En avril 1906, il vient pour la première fois en France. Il est ensuite envoyé à Alger, où il meurt en décembre 1906. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 262 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Chambre à la cour d’Alger, dont la fille a épousé Ham-Nghi quelques mois plus tôt : Mr Beau – Le Prince ne peut pas se plaindre avec la dotation que je lui ai fixée. Pdt Laloë – Il vous en est reconnaissant. Mr Beau – Cela a été de notre part une grande faute politique. Mr Clémentel – Oui, car depuis je suis assailli des réclamations de Ranavalo et de Béhanzin, ce dernier dans la misère noire. On ne s’explique pas le motif de la différence […]33. Le regroupement des exilés facilite le travail pour la France qui peut ainsi mieux les surveiller. C’est aussi un moyen d’exercer une pression supplémentaire, leur présence réciproque rappelant à chacun la toute puissance de la France. Les événements tragiques, comme la mort de Béhanzin le 10 décembre 1906 et son enterrement sur place au cimetière Saint-Eugène, ne peuvent que confirmer le caractère irréversible de l’exil34. L’exil algérois de Ranavalona sera entrecoupé par sept nouveaux déplacements en métropole, de 1903 à 191535. Le dernier voyage, en juillet 1915, la conduit à Fréjus. Il redonne un 33 Retranscription d’une conversation entre P. Beau, E. Clémentel et F. Laloë. LR 21.9, Fonds Ham Nghi. Cité par A. DABAT, Exil d’empires : du trône de Huế aux collines d’Alger. Hàm Nghi (1871-1944), Master 2, sous la direction d’E. POISSON, Paris VII Diderot, 2014, p. 99. 34 Voir le compte-rendu dans «L’Illustration», 3330 (22 décembre 1906), p. 428. 35 La pension dont bénéficie la reine est prise sur le budget du gouvernement de Madagascar. « Plusieurs fois, le gouvernement général d’Algérie tenta d’intercéder en faveur de la reine, pour que sa situation financière soit améliorée et pour qu’elle puisse avoir quelques loisirs. Il n’obtint gain de cause qu’à partir de 1911 car la pension annuelle de Ranavalona fut sensiblement augmentée et elle fut autorisée à se rendre à Paris une fois l’an » (RANDRIANJA, Société et luttes anticoloniales à Madagascar, p. 102). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 263 rôle politique à une reine bien oubliée. Elle visite les soldats malgaches fraichement débarqués36. Un soutien hautement symbolique de la colonie à la Mère Patrie en ces temps de guerre. Figura 4, Ranavalona visite les troupes malgaches à Fréjus, 1915, collection privée Pouvait-elle en espérer une clémence de la France lui permettant de revoir Madagascar ? Nous ne le saurons jamais. La dernière reine de Madagascar meurt soudainement le 23 mai 1917, à 55 ans. Elle est enterrée aux côtés de sa sœur, au cimentière Saint Eugène d’Alger. 36 Déracinés comme elle, ces soldats ont pour certains été contraints. D’autres sont de vrais volontaires, comme Jean Ralaimongo, qui s’engage en 1916 par patriotisme (voir J.P. DOMENICHINI, op. cit.). Il en tirera l’espoir déçu d’une France ouvrant généreusement le droit à la citoyenneté. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 264 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef En cet été austral 1954, Mohammed V a t-il le souvenir de cette reine qui a fait un voyage en sens inverse ? Non, sans doute. Son esprit est certainement plus tourné vers Abdelkrim, le combattant du Rif, exilé à La Réunion de 1926 à 194737. Le sultan résidera à Antsirabe. La salubrité du climat de la station thermale doit assurer le bien-être du ˮvisiteurˮ. Mohammed V aurait certainement préféré Tananarive. Mais, la ˮVichy malgacheˮ permet d’isoler un peu plus l’exilé, de rendre sa surveillance plus facile et plus discrète aux yeux du monde38. Dans l’improvisation, le Colonel Touya, Commandant des forces de gendarmerie, est chargé de l’accueil du sultan. Cet homme sera une chance pour Mohammed V, et surtout pour la France, en évitant que le scénario corse ne se reproduise, comme le souligne Jean Lacouture : Les arrivants, en dépit de leur fatigue, de leurs préventions, de leur tristesse, purent constater que l’officier auquel était confié leur sort était un honnête homme, à l’intelligence ouverte et au cœur loyal. Ici encore, le pire était évité. L’exilé retrouvait l’esprit d’une France amicale39. Les autorités françaises espèrent que Mohammed V achètera une propriété dans la campagne antsirabéenne mais, « L’exsouverain ne voulait engager aucune activité, telle que par exemple la création et la gestion d’un domaine, qui fût de nature 37 Voir Th. MALBERT, L'exil d'Abdelkrim El-Khattabi à La Réunion : 19261947, Saint Denis, Orphie, 2016. 38 Les condamnations internationales à l’encontre de la politique de la France sont multiples. Voir par exemple les organisations syndicales américaines : D. STENNER, « le coup de pouce de l’Oncle Sam », Zamane mai 2013. 39 J. LACOUTURE, Cinq hommes et la France, Paris, Le Seuil, 1961, p. 234. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 265 à laisser supposer à ses sujets qu’il se résignait à se fixer définitivement dans la Grande Île. »40 La question financière est le premier problème que Mohammed V doit régler car la France continue à utiliser cette arme qui a déjà fait preuve de son efficacité en Corse. Ainsi, Des articles de presse réclamaient la confiscation totale ou partielle de ses biens. Un dahir du 10 octobre 1953 les avait placés sous un régime d’administration particulier. Un administrateur avait été désigné […]. Pour l’éclairer sur sa situation financière, Sidi Mohammed […] avait d’ailleurs demandé, dans un message adressé à M. Vincent Auriol le 10 novembre 1953, qu’il lui soit possible de se défendre en justice contre les accusations dont il avait été l’objet de la part du Comité France-Afrique du Nord. L’ex-Sultan voulait pouvoir se défendre sur tous ces points et souhaitait confier la défense de ses intérêts à deux avocats du Barreau de Paris Me Paul Weill et Me Georges Izard41. Ces deux hommes jouent dans les mois qui suivent un rôle capital, évitant l’isolement du sultan grâce à leurs réseaux. Me Weill est un ami de Georges Bidault et de Pierre Mendès-France, des amitiés essentielles pour défendre les intérêts du souverain. Me Izard est pour sa part vice-président de l’association FranceMaghreb, ce qui fait de lui un très bon connaisseur des affaires tunisiennes et marocaines42. Les deux avocats obtiennent rapidement que le Docteur Dubois-Roquebert gère les liquidités du sultan, mais les biens se trouvant au Maroc restent sous contrôle d’un administrateur-séquestre, autant dire entre les mains du gouvernement français. C’est en partie pour sauver ses biens au Maroc qu’il s’engage à 40 H. DUBOIS-ROQUEBERT, Mohammed V, Hassan II, tel que je les ai connus, chapitre « La défense des intérêts privés de Sa Majesté Mohammed V et la gestion des Liquidités Royales durant l’exil ». 41 Ibidem. 42 Voir G. IZARD, Le secret d’Antsirabe, dans «Études Méditerranéennes», 4 (1958), pp. 61-75. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 266 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef s’abstenir de toute activité politique. Il obtient également que toutes dépenses à l’hôtel des Thermes lui soient soumises avant règlement. Les dépenses pour la vie quotidienne sont évaluées de 80 000 francs par le Colonel Touya, bien loin des 500 000 francs par jour qui ont été facturés en Corse. Figura 5, Hôtel des thermes, photographie de Frédéric Garan La ˮnominationˮ de son geôlier est un autre sujet d’inquiétude. Sidi Mohammed redoute l’affectation d’un officier des affaires musulmanes comme ce fut le cas à Zonza. Cela le maintiendrait sous le contrôle direct de la Résidence à Rabat. C’est effectivement le scénario que la France a prévu. Mohammed V s’en remet alors au colonel Touya. Ce dernier sera être persuasif auprès de son autorité de tutelle. L’argument est renforcé par le fait que Mohammed V a sollicité, le 5 février 1954, de rester à Madagascar. Le gouvernement Laniel pense avoir gagné son pari, avec Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 267 un ex-sultan qui « s’installe » et se coupe des affaires marocaines. Il ne sera donc plus question d’envoyer un officier des affaires musulmanes, la mission étant confiée au colonel Touya. Mohammed V a évité le pire. Oublié également une installation à Tahiti ou en Nouvelle Calédonie. Il est officiellement placé sous le contrôle de Tananarive et non de Rabat. La France n’en a pas conscience (pas plus que Mohammed V sans doute, à ce moment) mais, dans la partie d’échec qui s’engage, la position de l’exilé vient de se renforcer considérablement. Durant ces premiers mois à Madagascar, le fils ainé du sultan, le futur Hassan II, décrit son père comme très affecté par la situation, voir presque dépressif. Il faut être prudent avec un tel témoignage, à la fois épopée familiale et hagiographie de Mohammed V. Il ne s’agit aucunement de minimiser le poids de l’exil : il fut difficile en Corse, beaucoup plus correct à Madagascar, comme l’atteste la vie quotidienne que peuvent mener les enfants du sultan. Mais, ne sous-estimons pas la force de caractère de Mohammed V qu’il a à maintes reprises montré depuis 1940. De plus, il est parfaitement conscient que le coup d’état du 20 août est rejeté par l’immense majorité des Marocains, et qu’il s’est retourné « contre le protectorat, désormais honni, en faveur du sultan de l'indépendance »43. Cependant, Mohammed V sait qu’il doit être vigilant quant à l’image qu’il envoie, le gouvernement Laniel n’ayant pour seul objectif que de le décrédibiliser. Face à lui, Ben Arafa, 43 VERMEREN, L’Histoire du Maroc depuis l’indépendance, p. 17. « Une violence urbaine se répand durant deux ans pendant lesquels sont commis près de 6 000 attentats par une base en déshérence, qui suscite un « contre-terrorisme » européen (on relève 761 morts marocains et 159 européens dans les villes). En août 1955, alors que l'Algérie est entrée en guerre, une nouvelle forme de résistance se fait jour avec l'émergence d'une Armée de libération marocaine (ALM) qui passe à l'action dans le Rif et le Moyen-Atlas. ». Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 268 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef le sultan installé par la France, est rejeté par la population marocaine. Victime d’une tentative d’assassinat, il vit reclus dans son palais. La presse ne tarde pas à s’en faire l’écho et Mohammed V le sait. Pour remporter cette guerre de l’image, il se doit donc d’être en toutes circonstances un monarque en exil, et non un prince en villégiature. Prisonnier, il se sait observé, épié, et a conscience que toute photographie d’un sultan paraissant trop insouciant serait utilisée par la France, et pourrait avoir un effet désastreux dans un Maroc où tensions, attentats et répressions se développent. L’image qu’il donnera, et que transmettront tous les visiteurs d’Antsirabe, sera donc celle d’un souverain austère, se consacrant à sa famille, à la religion et aux problèmes politiques de son pays, pour le bien de son peuple. A cet effet, il renonce à la pratique du tennis à Antsirabe. L’accouchement imminent de l’une de ses épouses requiert la présence d’un médecin. Mohammed V demande que ce soit le Docteur Dubois-Roquebert, ce que les autorités françaises acceptent. Il débarque à Antsirabe le 4 avril 1954. L’heureux événement dont la date ne pouvait être prévue avec précision eut lieu le 14 avril, à 13h30. Lalla Bahia, épouse de S.M. Sidi Mohammed Ben Youssef, donnait le jour à un beau bébé de sexe féminin que Sa Majesté prénomma Lalla Amina44. 44 DUBOIS-ROQUEBERT, Mohammed V, Hassan II, tel que je les ai connus, chapitre « Mon premier séjour auprès de S. M. Sidi Mohammed ». Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 269 Figura 6, Mohammed V et Lala Amina, couverture du livre Mohammed Ben Youssef, tel que je l’ai vu, Max Jalade, 1956 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 270 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef La petite princesse est « la joie de l’exil », pour reprendre la formule que le journaliste Max Jalade, qui suit de près Mohammed V à Antsirabe, met dans la bouche du sultan lorsqu’il parle sa fille. La dimension ˮpère de familleˮ devient capitale, voir même scénarisée : L’enfant joue … puis revient en larmes. Dès lors il n’y a plus de sultan, de Commandeur des Croyants, Sidi Mohammed n’est plus qu’un homme en babouches, un père affolé, inquiet, qui examine son enfant sur toutes les coutures… Sidi Mohammed respire enfin. [On] vient de découvrir la cause des tourments d’Amina. Elle vient de percer une dent. [L’interview peut reprendre] Puis-je demander à Votre Majesté ce qu’Elle pense de la position que vient de prendre le pacha de Marrakech ?45 Finalement, ces éléments donnent l’impression, d’une communication bien construite. L’exil se doit d’affirmer son caractère mythique. Il en est de même pour la dimension religieuse. Mohammed V, Commandeur des Croyants, trouve dans la religion un réconfort à l’exil, et tisse des liens avec la communauté musulmane d’Antsirabe, « Sa piété et sa tendresse semblent avoir conquis les Musulmans de la communauté comorienne. Il se rend à la mosquée chaque vendredi, lit le Coran en arabe, mais le commente en français »46. 45 M. JALADE, Mohammed Ben Youssef tel que je l’ai vu, Paris, Rabat, 1956, pp. 116-117. 46 Ivi, p. 41. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 271 Figura 7, Lecture à la mosquée, in Max Jalade, Mohammed Ben Youssef tel que je l’ai vu, Paris 1956. Cette relation entre frères d’une même religion est source de suspicions pour les autorités françaises qui sont hantées par le spectre d’un complot des musulmans de la Grande Ile pour libérer Mohammed V47. Mais, au-delà de la paranoïa du colonisateur, il est pour les musulmans d’Antsirabe le commandeur des croyants, comme en témoigne l’attitude de ce commerçant syrien qui « se mettait à genoux devant le roi, et lui embrassait les mains pour le saluer »48. La monotonie de la vie à Antsirabe est interrompue par de courts déplacements à Tananarive, pour consulter son oculiste ou se rendre chez son tailleur. Le sultan aime se promener au 47 Voir GARAN, Mohammed V à Madagascar. Témoignage de M. Francis Core, recueilli par LAUVERNIER, Exil d’un roi à Madagascar, p. 99. 48 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 272 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Zoma, ce qui laisse supposer une surveillance relativement souple. Enfin, même s’ils se plaignent d’une vie qui ne leur apporte plus le luxe auquel ils étaient habitués au Maroc, les Princes et Princesses sont loin de mener une existence recluse. En général, leurs déplacements ne passent pas inaperçus dans les rues d’Antsirabe, particulièrement ceux des princes Moulay Hassan, Moulay Abdallah, et de leur cousin Moulay Ali. Les princes ont beaucoup d’amis, ce que ne manque pas de rappeler le Malagasy Vaovao, signalant d’ailleurs avec une certaine ironie que la presse métropolitaine souligne que leur départ procurera un certain soulagement pour la population. N’adhérant pas sans preuve à cette affirmation, le journal nationaliste s’engage à vérifier cette information sur place49. Les princesses se rendent fréquemment au lac Andraikiba. « Elles ne dédaignent pas d’y taquiner la carpe et le blackbass »50. Le club nautique est l’un de ces endroits où la colonie a recréé un coin d’Europe. Plus encore qu’à l’hôtel des Thermes, on peut se croire dans le Massif Central. Les princesses s’y baignent, quand les photographes ne sont pas trop importuns. Ceuxci sont à leur tour traqués par la sécurité, qui redoute tout contact avec la presse. 49 Malagasy Vaovao, 6 septembre 1955, article « Tonga any Antsirabe ireo nasionalista marokana. Frantsa sa Rabat no handray an’i ben Youssef » (Les nationalistes marocains sont arrivés à Antsirabe. Qui de la France ou de Rabat va recevoir ben Youssef ? Traduction Lanto R.). 50 M. JALADE, Mohammed Ben Youssef tel que je l’ai vu, p. 39. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 273 Figura 8, Club nautique aujourd’hui, photographie de Frédéric Garan Pour la France, le seul ˮdangerˮ véritable serait un contact avec les nationalistes malgaches51. Comme le laisse supposer l’article du Lalam-Baovao (voir introduction), les milieux nationalistes de la Grande île ont souhaité entrer en relation. Cependant, il est quasiment certain qu’aucune rencontre n’a eu lieu, malgré la présence à Antsirabe du docteur Émile Rasakaiza, figure majeure du nationalisme malgache52. La personnalité de Mohammed V, son sens de l’honneur et tout simplement son intérêt vont dans ce sens. Il s’est engagé à n’avoir aucune action 51 N’oublions pas que Madagascar sort péniblement de l’insurrection de 1947. Les parlementaires du MDRM (Mouvement Démocratique de Rénovation Malgache) ont été condamnés en octobre 1948, dans des conditions juridiquement inadmissibles. Les campagnes pour leur libération se succèdent au début des années 1950. 52 Le docteur Émile Rasakaiza est alors en poste à l’hôpital de Antsirabe. L’historien N. Ralison a inventorié ses papiers. Il n’a trouvé aucune référence à Mohammed V (conversation avec l’auteur). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 274 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef politique. Contacter les nationalistes malgaches ne serait pour le sultan qu’une prise de risque inutile, et même dommageable. En effet, dès son arrivée à Antsirabe, Mohammed V prend ses habitudes à la terrasse de l’hôtel Truchet où il lit les journaux métropolitains (ainsi que la presse malgache qui se passionne pour la crise marocaine) qui lui permettent de suivre les événements. Il dispose également à l’hôtel des Thermes d’une radio qu’il écoute quotidiennement. Il sait qu’il a le soutien de son peuple, ainsi que d’une partie de la communauté internationale. Entrer en contact avec les nationalistes malgaches, qui ne pourraient lui apporter qu’un soutien symbolique, ce serait prendre le risque d’un éloignement plus radical. Affecté par le transfert de la Corse à Madagascar, Mohammed V a tout de suite fait part de sa volonté de rester sur la Grande Ile, pour limiter les dégâts… Il n’a aucun intérêt à compromettre ce statu quo. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Figura 9, Mohammed V à l’hôtel des thermes, in Max Jalade, op. cit Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 275 276 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef L’exil a plongé Ranavalona dans l’isolement par rapport à la vie politique malgache. La situation est très différente pour Mohammed V. Si le processus conduisant à l’exil a été très comparable, cela ne fait que montrer qu’en un demi-siècle, la politique coloniale de la France n’a pas évolué contrairement aux moyens de transport et d’information. Mohammed V peut facilement savoir ce qu’il se passe au Maroc, et ses proches peuvent aisément et rapidement faire le voyage. Alors que Ranavalona est morte en exil, la possibilité d’un retour favorable pour le sultan est de plus en plus probable. C’est ce que nous allons voir, tout en découvrant que la question du retour se posera également, en d’autres termes pour Ranavalona. Les conditions du retour Dès le début de la crise marocaine, la France est en échec puisque le général Guillaume n’a pas obtenu l’abdication de Mohammed V. Si les premiers mois d’exil en Corse sont des mois d’isolement dans des conditions pénibles par contre, dès l’arrivée à Antsirabe, la situation évolue favorablement. Ben Arafa est rejeté par les Marocains et l’aura de Sidi Mohammed ne fait que grandir. Il est évident qu’aucune solution ne sera possible sans « l’ex-sultan ». Antsirabe devient de fait la capitale du Maroc ! En Mars 1954, le gouvernement envoie à Antsirabe M. Lemarle avec rang de ministre plénipotentiaire pour obtenir l’abdication de Mohammed V contre une installation en France avec tous les honneurs. Dans ce but, le gouvernement opère un véritable chantage sur les biens du sultan, comme nous l’avons déjà évoqué. Lemarle comprend très vite qu’il n’obtiendra rien. Il en résulte un compromis, nouvel échec pour le gouvernement Laniel. La question du statut de « l’ex-sultan » n’est pas réglée et ce que l’on appelle maintenant la « question du trône » devient Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 277 le cœur de la crise marocaine, les nationalistes de l’Istiqlal comme du PDI en faisant un préalable à toute discussion53. Mohammed V est devenu incontournable, à l’inverse de ce que souhaitaient Juin, Guillaume et Bidault. Le blocage est patent lors du remplacement du général Guillaume par Francis Lacoste, lui aussi poussé par le clan Juin. Sans instruction officielle54, sa tâche se limite à ne « rien faire qui puisse engager l’avenir » sous le gouvernement Mendès-France55. De son côté, Mohammed V s’est simplement engagé à ne pas avoir « d’activité politique ». Dans la pratique, s’il n’a effectivement plus aucune fonction officielle, il dirige la vie politique marocaine « en coulisse avec une facilité étonnante »56. Le Docteur Dubois-Roquebert et Maître Izard peuvent venir le voir assez librement, assurant ainsi le lien avec les milieux parisiens, ce que certains dénoncent : « … comment ne pas voir qu’il existe à Paris un groupe d’hommes et un groupe de journaux qui se sont donnés pour tâche … la défense de la personne et des intérêts de Mohammed Ben Youssef… »57. Les réseaux d’Izard, Weil et Dubois-Roquebert sont importants. Nous avons évoqué les liens de Me Weil avec Bidault 53 Voir par exemple la conférence de presse du PDI (Parti Démocratique de l’Indépendance), ANOM, disponible en ligne : (consulté en décembre 2017) http://www.cvce.eu/obj/conference_de_presse_du_parti_democratique_de_l_independance_sur_la_solution_du_probleme_franco_marocain_paris_19_octobre_1954-fr-d2eda977-010f-4f9f-a6f402069dafb341.htm 54 Lacoste est nommé quelques jours avant que le gouvernement Laniel, dont Bidault est ministre des Affaires étrangères, ne soit renversé, puis remplacé par le gouvernement Pierre Mendès-France. 55 J. VALETTE, La France et l’Afrique, Tome 2 L’Afrique française du Nord 1914-1962, Paris, SEDES 1993, p. 194. 56 Ibid. p. 184. 57 Cité par J. VALETTE, La France et l’Afrique, p. 186, d’après V. AURIOL, Journal du Septennat, VII, p. 732, note 57. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 278 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef et Mendès-France. Me Izard est en relation avec François Mauriac par le comité France-Maghreb. Dubois-Roquebert qui fréquente lui aussi les salons parisiens, est l’ami de Lemaigre-Dubreuil, directeur de presse au Maroc. Ils gravitent autour de Pierre Clostermann, député et entrepreneur au Maroc, qui signale dès août 1954 « que la chambre de commerce de Casablanca et le patronat français en sont venus à changer d’opinion sur la validité de l’opération du 20 août 1953 »58. En d’autres mots, il considère que la situation créée par la déposition de Mohammed V est néfaste aux affaires. Cela les amène à entrer en contact l’Istiqlal (ce qui sera la cause de l’assassinat de Lemaigre-Dubreuil le 11 juin 1955) et à souhaiter un retour rapide de Mohammed V. En plus de ses avocats que le sultan rencontre pour la première fois fin avril 1954, Mohammed V reçoit la visite prestigieuse du professeur Louis Massignon, le grand islamologue. De son côté, le général De Gaulle lui fait part de son soutien : « … je ne saurais oublier l’amitié et le loyalisme témoignés à la France à l’heure de l’épreuve par Sa Majesté Sidi Mohammed Ben Youssef ». Si Bekkaï59 est chargé de transmettre la réponse 58 Cité par J. VALETTE, La France et l’Afrique, p. 192, d’après P. JULY, Une république pour un Roi. Histoire de l’indépendence marocaine, Paris, Fayard, 1974, p. 81. 59 Ancien pacha de Séfrou, Si Bekkaï, « Colonel de l’Armée française, a laissé une jambe devant Sedan en 1940. Depuis la guerre, l’attachement à son Souverain l’a emporté chez lui sur toute autre considération et il a mieux aimé, en 1953, renoncer à son pachalik et se condamner à l’exil en même temps que Mohammed V que de couvrir sa déposition » (G. GRANDVAL, Ma mission au Maroc, Paris, Plon, 1956, p. 21). « Son rôle est déterminant. C’est un personnage complexe. Il est bien connu de tous ses anciens camarades [de l’armée], qui ont servi au Maroc. Par eux […], il touche le secrétaire d’État chargé de l’Afrique du Nord, July ... Tous l’écoutent, notent ses propos et les rapportent aux membres du gouvernement… » (VALETTE, La France et l’Afrique, p. 187). Soutenu par Me Izard, c’est lui que Gilbert Grandval rencontre pour préparer Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 279 du sultan : Notre majesté a été on ne peut plus sensible au sentiment exprimé par le général De Gaulle qui a su dans ce moment pénible et douloureux lui manifester sa sympathie et sa solidarité. Qu’il soit assuré de notre gratitude, nous n’attendions pas moins de son cœur généreux et de notre fraternité d’armes60. De Gaulle réaffirme sa position auprès de Gilbert Grandval qui vient le consulter à la veille de sa prise de fonction au Maroc en juin 1955. Le Général estime que quelle que soit l’approche de la crise marocaine, « il n’y a d’autre issue que la réinstallation de Sidi Mohammed Ben Youssef sur le trône chérifien »61. La chute de Laniel et l’arrivée de Mendès-France à la tête du gouvernement français en juin 1954 pourraient ouvrir des perspectives nouvelles mais le dossier marocain n’est pas prioritaire pour le chef du gouvernement par rapport aux problèmes indochinois et tunisien. Plusieurs mois passent donc sans avancée notable. De plus, le nouveau président du Conseil est assez ignorant du dossier, ce qui explique sans doute la curieuse initiative qui va suivre. A la mi-octobre 1954, le gouvernement sollicite le docteur Dubois-Roquebert à l’occasion d’un de ses voyages à Antsirabe. La solution envisagée par le gouvernement Mendès-France est pour le moins surprenante : placer un nouveau sultan (un troisième !) sur le trône, mais cette fois avec l’aval de Mohammed V ! Moins surprenante fut la réponse de l’exilé qui « refusât sa prise de fonction, puis pour préparer les négociations avec l’Istiqlal et le PDI, lui-même n’étant membre d’aucun parti. (Voir GRANDVAL, Ma mission au Maroc, pp. 21, 89, 98 et 100). 60 Cité par LAUVERNIER, Exil d’un roi à Madagascar, p. 115. 61 GRANDVAL, Ma mission au Maroc, p. 8. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 280 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef catégoriquement le fait de cautionner un nouveau Sultan ». Sentant cependant qu’il y avait une carte à jouer, il indiquât au Docteur Dubois-Roquebert qu’ Il était disposé à accorder son concours le plus large au Gouvernement Français afin d’étudier avec lui toute solution susceptible d’éclaircir la situation. Toutefois, avant d’entreprendre une telle étude, le Souverain posait comme condition essentielle son retour en France et cela, moins pour des raisons de convenance personnelle que pour des raisons politiques.62 Curieuse mission confiée à cet intime du sultan, et perdue d’avance. Imaginer la nomination d’un troisième sultan est la preuve de l’échec de la politique française construite autour de Ben Arafa. Ainsi, même si la situation semble inchangée, une fois de plus, c’est l’exilé d’Antsirabe qui sort renforcé. Dans la foulée, le gouvernement a cette fois recourt à Me Izard pour négocier, mais Pierre Mendès-France lui fait comprendre qu’il est obligé de suivre le maréchal Juin, celui-ci l’ayant soutenu dans les affaires tunisiennes. La marge de manœuvre est donc plus que réduite63. Il en sort le Plan Izard (ou Plan du 26 décembre) accepté par le sultan64 car, sur le fond, c’est son retour qui est programmé. Hélas, lorsque l’avocat rencontre le 30 décembre le 62 DUBOIS-ROQUEBERT, Mohammed V, Hassan II, tel que je les ai connus, chapitre « Ma mission officielle pour le Gouvernement Français auprès de Sa Majesté Mohammed V à Madagascar ». 63 Pour le plan Izard, voir G. IZARD, Le secret d’Antsirabe. 64 « … à la lumière des entretiens que Nous avons eus avec vous, cher maître, une possibilité de solution est apparue et nous nous sommes mis d’accord sur un plan constructif dont l’avantage réside dans le fait qu’il rassemblera autour de lui une certaine convergence d’opinions, ce qui n’était pas le cas pour les plans élaborés auparavant. Ce plan comprend : une phase de négociations officieuses et secrètes à Madagascar et une phase ultérieure de négociations ouvertes, libres et finalement publiées en France. L’articulation de ce plan est la suivante : Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 281 Président du Conseil, la situation politique française a changé et Mendès-France sait déjà son gouvernement condamné. La question marocaine passe entre les mains d’Edgar Faure, qui ne reprend véritablement le dossier qu’en juin. Six mois perdus, six mois dramatiques si l’on considère la dégradation de la situation au Maroc65. Pourquoi ce délai ? « Edgar Faure refusa à plusieurs reprises d’aborder le sujet »66. Pour lui, une solution n’a de sens que si elle est « parlementairement possible », or il sait qu’aucune majorité ne pourrait se dégager sur un changement d’orientation politique au Maroc. « M. Edgar Faure, selon son expression, laissait donc au frigidaire le règlement de l’affaire marocaine par des voies nouvelles ». Ce n’est qu’après l’assassinat de Lemaigre-Dubreuil qu’Edgar Faure ouvre le dossier. I Création d’un Conseil gardien du Trône, avec possibilité pour Nous de désigner personnellement un de ses membres. Ce conseil aurait pour rôle d’être dépositaire, provisoirement, des attributs du souverain. II Institution d’un gouvernement marocain provisoire de négociations… Son rôle serait triple : 1°) Il aurait pour but de négocier avec le gouvernement de la République les bases d’un nouvel accord… garantissant au Maroc l’intégrité de sa souveraineté et admettant l’interdépendance du Maroc et de la France… 2°) … promouvoir les réformes institutionnelles en vue d’établir au Maroc un régime de monarchie constitutionnelle… 3°) [définir et défendre les droits des Français au Maroc]… » Extrait de la lettre du 26 décembre, de Mohammed à Me Izard, citée par LAUVERNIER, Exil d’un roi à Madagascar, p. 120. Fonds Paret. Maroc. Carton n°II, Archives de l’Institut d’Histoire du temps présent. Paris. 65 N’oublions pas parallèlement les bouleversements que connait l’empire durant cette période. Depuis le départ en exil de Mohammed V, il y a eu le traumatisme de Dien Bien Phu. Pierre Mendès-France a dû traiter les questions Indochinoise et Tunisienne. Depuis le 1er novembre 1954, l’Algérie est devenue le problème majeur. Autant d’éléments qui expliquent à la fois le retard dans le traitement de la crise marocaine, et la nécessité à la régler maintenant au plus vite. 66 G. IZARD, Le secret d’Antsirabe. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 282 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Le 29 août 1955, Me Izard porte « officiellement à la connaissance du gouvernement » la lettre du 26 décembre. « Le plan du sultan était ainsi entre les mains du gouvernement avant la mission de Catroux ». A Rabat, Lacoste n’a pas eu connaissance du plan. Grandval67, qui s’apprête à le remplacer est mis « au courant des grandes lignes du plan. Il ne […] cacha pas ses réserves envers le Souverain exilé et parut assuré que ses talents personnels lui permettraient de trouver une autre issue ». Nommé résident général au Maroc le 20 juin 1955, Grandval est un homme à poigne mais il ne connaît pas l’Afrique du Nord. C’est pour cela qu’Edgar Faure l’a nommé, voulant limiter le jeu des coteries. L’attitude du président du conseil est cependant pour le moins ambiguë. Dans sa lettre de mission, il est dit que le nouveau Résident Général Conservera toute latitude pour présenter au Gouvernement telle solution qui lui paraîtrait de nature à lever, dans des conditions acceptables, les difficultés actuelles étant entendu que le retour de Mohammed Ben Youssef sur le Trône chérifien doit être résolument écarté. Toutefois, comme nous ne pouvons faire abstraction du crédit dont Mohammed V dispose encore au Maroc… le Gouvernement serait disposé à envisager favorablement l’installation en France du souverain exilé… dès que la question du Trône aura pu recevoir une solution satisfaisante, qu’un gouvernement marocain aura été constitué et que l’apaisement sera intervenu au Maroc68. Autant dire que la mission est impossible. Mais Grandval n’est que le chiffon rouge que le président du conseil agite. Ed- 67 Résistant, il commande les Forces françaises de l’Intérieur de huit départements de l’Est. Dans Nancy libéré, il accueille le général de Gaulle. En Sarre de 1946 à 1955, il exerce les fonctions successives de Gouverneur, Hautcommissaire et Ambassadeur. 68 GRANDVAL, Ma mission au Maroc, p. 27. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 283 gar Faure a un autre scénario en tête : créer une vacance du pouvoir au Maroc en obtenant le retrait de Ben Arafa sans que cela n’apparaisse comme la politique officielle du gouvernement, les députés se trouvant mis devant le fait accompli d’un retour de Mohammed V, qu’il considère comme la seule solution viable. Ne se sachant pas ˮmanipuléˮ, Grandval se jette dans le chaudron marocain, avec un réel succès auprès des mouvements nationalistes et de la population marocaine, mais rejeté par les militaires proches de Juin, et vite détesté par les Français qui lui imputent la persistance des attentats. Grandval prend vite la mesure du caractère incontournable de Mohammed V, pour lequel il a de la sympathie : n’est-il pas son Compagnon dans l’Ordre de la Libération et surtout le seul souverain que le peuple acclame, alors que ses rapports avec Ben Arafa sont peu cordiaux. Cependant, en fonctionnaire loyal, il exclut toute solution de retour de l’exilé, avec lequel il n’a pas de contact. Inquiet à l’approche du deuxième anniversaire de l’exil, il propose au gouvernement un plan d’action69. Il imagine un départ de Ben Arafa librement consenti, la mise en place d’un Conseil de régence pour éviter la question d’un troisième homme dans l’immédiat, et l’annonce simultanée de grandes réformes politiques, économiques et sociales, créant un véritable électrochoc au Maroc, rendant par là même l’initiative à la France. La faiblesse du plan est qu’il imagine pouvoir obtenir également le consentement de Mohammed V, « la publication du plan devant être précédée de consultations assez nombreuses, dont l’une se situe à Antsirabe ». Le gouvernement doit se prononcer très vite, avant le 5 août, pour que le plan soit révélé avant le 20. 69 Les initiatives de Grandval sont commentées, et critiquées par la presse coloniale. Le 5 août, 1955, France-Madagascar titre « Dans une lettre au président du conseil, le Glaoui rejette la solution du conseil de régence qui aurait été envisagée par le Résident Grandval ». Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 284 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Edgar Faure a ce qu’il veut. Grandval peut engager les négociations pour le retrait de Ben Arafa, mais rien de plus pour l’instant. Le 12 août, Grandval s’oppose à Edgar Faure : « Votre politique, lui dit-il, va ramener Ben Youssef sur le Trône ». La réponse fuse : « En avez-vous jamais douté ? »70 La surprise est totale. Le Résident général s’étonne « qu’il puisse envisager la restauration de Ben Youssef, alors que le Gouvernement n’est même pas disposé à tolérer son retour en France ». Ne comprenant toujours pas la manipulation, Grandval se contente d’insister pour que l’on « renonce à la comédie qu’[il est] chargé de faire jouer à Moulay Arafa ». Meurtri par les massacres de Oued Zem71, qu’il impute à la lenteur de réaction du gouvernement, et opposé aux négociations d’Aix les bains, il préfère démissionner le 23 août 1955. Quelques jours plus tôt, Edgar Faure, Antoine Pinay, le général Koenig72 et Gilbert Grandval avaient mis sur pied la mission devant se rendre à Antsirabe. Elle est dirigée par le général Catroux (proche du comité France-Maghreb), qui entretient une vieille relation d’amicale confiance avec Mohammed V. Pinay doit l’accompagner, mais Edgar Faure choisit de ne pas exposer directement son ministre des Affaires étrangères. C’est Henri Yrissou, le directeur de cabinet de Pinay, qui se rendra à Madagascar. Les discussions d’Aix les Bains s’ouvrent le 22 août 1955. Un comité de cinq ministres (Edgar Faure, Antoine Pinay, Maurice Schuman, Pierre July et le général Koenig) consulte de nombreuses personnalités marocaines, pour trouver une solution à la 70 GRANDVAL, Ma mission au Maroc, p. 201. « Des dizaines d’Européens sont abattus à Oued Zem [le 20 août 1955], entrainant une répression très brutale et, par contrecoup, la naissance de l’Armée de libération marocaine (ALM) ». VERMEREN, L’Histoire du Maroc depuis l’indépendance, p. 72. 72 Pinay, ministre des Affaires étrangères, et Koenig, ministre de la Défense. 71 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 285 question du Trône et constituer un gouvernement marocain représentatif. Cela permet, comme le veut Edgar Faure, de mettre en avant que Mohammed V est incontournable. Le président du conseil a son prétexte pour négocier directement avec l’exilé d’Antsirabe, le gouvernement ne faisant que répondre aux attentes exprimées à Aix. A Antsirabe, les entretiens débutent, la délégation française étant partie en grand secret le 2 septembre. A l’entrée de l’Hôtel Thermal dont une aile est mise à Sa disposition, nous sommes reçus sur le perron par Son Altesse le Prince Moulay Hassan, souriant et détendu, qui nous conduit dans un salon vert, aux parois nues, hormis deux glaces murales, et où se tient le Roi. Assis sur un divan, portant des lunettes noires, le Roi nous accueille calmement, Il s’exprime en français, d’une voix progressivement affermie, qui traduit parfois une certaine amertume à l’évocation de l’exil. C’est dans ce cadre que nous allons nous retrouver, au long d’une semaine, pour étudier en profondeur, dans toutes leurs implications, des sujets essentiels : celui du retour du Roi en France, celui de l’évolution des relations franco-marocaines. Sur ces thèmes, sensibles et délicats, le Roi s’exprime de préférence en Arabe, la traduction rapide et pesée étant l’œuvre de Son Altesse le Prince Moulay Hassan. Au détour de chaque phrase, le Roi nous donne l’occasion d’apprécier sa finesse naturelle, la flexibilité de sa pensée, la fermeté de son caractère, son goût pour la démonstration rationnelle qui n’exclut jamais le recours à l’expression imagée73. C’est l’effervescence à Antsirabe. Max Jalade arrive le jour même de l’ouverture des négociations. Il a voyagé dans le même avion que la délégation marocaine, qui comprend Si Bekkaï, Ben Slimane et Ben Hassan Driss74. Les journalistes cherchent le scoop. La protection autour du sultan est de plus en plus stricte, 73 Témoignage de Henry Yrissou, sur le site officiel du gouvernement marocain, « Feu sa Majesté le Roi Mohammed V », www.mohammedV.ma. 74 Ben Slimane : ancien pacha de Fès, président du conseil du Trône en 1955 ; Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 286 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Surtout depuis que Jean Mangeot, de Paris-Match75, a été surpris dans les arbres avec son téléobjectif… Nous formons maintenant une équipe qui empêche de dormir le service de sécurité. De nouveaux confrères sont venus nous rejoindre… A tour de rôle nous prenons le quart, occupant nos loisirs à la visite des environs…76 Le sultan mène en parallèle les entretiens avec les deux délégations. Cela permet aux uns et aux autres de se promener dans les rues d’Antsirabe, entretenant ainsi l’espoir des journalistes. Le 7 septembre, les journalistes sont enfin récompensés. Le général Catroux et M. Yrissou nous reçurent en compagnie du colonel Touya… Nous entendîmes un vif éloge des pachas de Séfrou et de Fès. - Ce sont de vrais amis de la France, dit le général. Ils ont le désir, la volonté de travailler à la communauté franco-marocaine. Et, tirant sur sa pipe d’ajouter : - Naturellement, ils veulent leur indépendance et on ne peut leur donner tort77. Les négociations progressent vite. Dans une lettre à Pinay, le Roi se félicite Que le Gouvernement français ait décidé de sortir de l’impasse actuelle, afin de replacer les rapports entre le Maroc et la France dans leur cadre véritable, celui de l’amitié et de la confiance… Votre Directeur de Cabinet, M.Yrissou s’est constamment efforcé, en plein accord avec Notre Majesté, de rechercher les solutions aptes à assainir les rapports entre nos deux Pays et à leur assurer un avenir commun, à la mesure de leur glorieux passé. C’est dans un climat cordial et ouvert que la délégation française prend congé du sultan, le 9 septembre. Le soir même, 75 En août 1955, Paris-Match publie un grand article récapitulant l’ensemble de la crise marocaine. Un des intertitres résume bien l’image que l’on donnera de l’exil : « Madagascar : Devant son feu de bois l’exilé écoute à la radio les premiers coups de la guerre civile ». 76 JALADE, Mohammed Ben Youssef tel que je l’ai vu, pp. 26-27. 77 Ivi, pp. 47-48. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 287 le général Catroux s’adresse à la presse, faisant état du succès des négociations : [Mohammed V] a pris ses décisions délibérément et a souligné qu’il ne voulait pas que le sang coule à nouveau. A aucun moment, les négociations n’ont cédé à la précipitation. Il n’y a eu ni ultimatum, ni marchandages78. Le gouvernement approuve le plan de Catroux le 12 septembre. On peut s’attendre à un déplacement rapide de Mohammed V vers la France pour finaliser officiellement l’accord. Mais il faut auparavant régler la question Ben Arafa. Cela s’avère plus délicat que prévu. Sidi Mohammed et sa famille vont donc encore passer près de deux mois à Antsirabe. C’est durant cette période que Max Jalade a l’occasion de rencontrer fréquemment les jeunes princes, qui finissent par le mettre en contact direct avec le sultan. Catroux, Yrissou et Touya rentrés en France dès le 10 septembre, Mohammed V ne manque cependant pas de visites. En premier lieu, ce sont les représentants du Parti Démocratique de l’Indépendance et de l’Istiqlal qui s’installent en ville. Le séjour à Antsirabe n’a plus d’exil que le nom. Le départ de Ben Arafa n’est pas facile à obtenir. Le Glaoui et le clan Juin joue leurs dernières cartes et le nouveau Résident général va dans leur sens. Le général Boyer de Latour était Un Vieux Marocain (commandant de Goum pendant la guerre). Cet officier venait de s’acquitter en Tunisie de la mission difficile d’ouvrir les voies à l’autonomie interne, en accord avec les nationalistes. Cette activité émancipatrice, il sembla n’avoir d’autre objectif en arrivant à Rabat que de se la faire pardonner par les cadres de l’armée et les milieux de la colonisation. Il n’eut de cesse qu’il ne rendit caducs les accords d’Antsirabe, soit en empêchant l’hôte du palais de Rabat de faire retraite, soit en suscitant la désignation par 78 JALADE, Mohammed Ben Youssef tel que je l’ai vu, p. 54. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 288 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Moulay Arafa d’un successeur, soit en tentant de faire nommer un partisan du Glaoui comme membre du conseil du trône.79 Le 1er octobre, l’heure du dénouement semble arrivée. « Moulay Hassan commente avec une joie qu’il a peine à contenir les nouvelles parvenues de Rabat. Au cours d’une nuit mouvementée, le sultan Ben Arafa aurait accepté de se retirer à Tanger »80, mais tout n’est pas si simple. Les informations contradictoires se succèdent. Ben Arafa n’aurait pas laissé la place à un Conseil de régence, mais voudrait transmettre le trône à un troisième homme. En fait, la situation est moins catastrophique. Il a délégué à son cousin (et gendre) le « soin de s’occuper des affaires relatives à la couronne ». Le soir même, grâce à la complicité du prince Hassan et du colonel Touya, Max Jalade rencontre pour la première fois Mohammed V. Nous nous connaissons depuis longtemps, dit Mohammed ben Youssef avec un sourire où perce l’ironie. J’entends souvent parler de vous par mes enfants et par le colonel. Je n’ai pas eu toujours à me louer des journalistes ; on a été très injuste envers Nous-même et les membres de ma famille. La vérité triomphe toujours. Je comprends les exigences de votre métier et je voudrais pouvoir vous aider. … Il y a deux ans que j’ai quitté le Maroc. Je ne puis donc vous donner aucune indication précise. Ce que je puis vous dire, c’est ce que je connais, ce que tout le monde connaît, des accords passés entre le général Catroux, représentant officiel du Gouvernement français, et moi-même. Je ne connais que cela. Je m’y tiens81. Edgar Faure est dans les mêmes dispositions. Il veut en 79 LACOUTURE, Cinq hommes et la France, pp. 242-243. Pour un éclairage récent sur Boyer de la Tour, tant pour son action en Tunisie qu’au Maroc, voir D. RIVET, Un acteur incompris de la décolonisation : le général Édouard Méric (1901-1973), Saint Denis, Éditions Bouchene, 2015. 80 JALADE, Mohammed Ben Youssef tel que je l’ai vu, p. 67. 81 Ivi, p. 71. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 289 finir, d’autant que la majorité qui soutient les accords d’Antsirabe est fragile. Il obtient le 8 octobre un vote favorable de l’assemblée. Pari gagné, mais il se sait maintenant en sursis : il faut donc régler la question marocaine au plus vite82. Le 25 octobre, considérant que Juin ne peut plus rien pour lui et que le choix de la ˮcarteˮ Mohammed V est irréversible du côté du gouvernement, le Pacha de Marrakech, Thami El Glaoui, pivot de la conjuration du 20 août, choisit le ralliement au sultan exilé. C’était là sans doute le seul moyen pour sauver ses intérêts au Maroc. De Paris, mon journal insiste pour que j’obtienne une déclaration de Sa Majesté. Un scoop ! Mohammed V me recevra sur la terrasse où il prend parfois ses repas. A côté du fauteuil où il est assis, le poste de radio qui l’a relié au Monde. Ses premiers mots seront pour me dire de sa voix douce : Eh bien, je crois que votre exil touche à sa fin. Je l’avoue, je fus décontenancé83. Plus rien n’empêche maintenant le départ de Mohammed V, qui s’était déjà vu signifier deux jours plus tôt par le colonel Touya la fin officielle de son exil. Le voyage pour la France est fixé au 28 octobre, le jour de la fête du Mouloud. Le sultan y voit un symbole pour les croyants : l’exil commença à l’Aïd el Kébir, elle se termine pour l’anniversaire du prophète (Mais le départ sera repoussé au 30 octobre pour raisons météorologiques). Les derniers jours à Antsirabe sont consacrés aux préparatifs du départ. Mohammed V avait imaginé rentrer par bateau, la 82 En décembre, fait unique sous la IVe République, Faure obtient du président de la république Renée Coty la signature d’un décret de dissolution et de nouvelles élections. Il échoue… Guy Mollet prendra la présidence du conseil le 31 janvier 1956. 83 Témoignage de Max Jalade, sur le site officiel du gouvernement marocain, « Feu sa Majesté le Roi Mohammed V », www.mohammedV.ma Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 290 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef durée du voyage faisant office de transition. Voyager par les airs ne lui plait guère, le mauvais souvenir des conditions du voyage à l’aller est encore présent, mais le temps presse : c’est par avion qu’il gagnera la France, avec le strict minimum (trente kilos pour chacun des membres de la famille royal), les 10 tonnes de bagages étant chargées en gare d’Antsirabe pour Tamatave, avant de prendre la mer. Une partie des affaires reste à Antsirabe, entretenant ainsi pendant quelques années le souvenir de l’exilé. Le prince Hassan laisse sa bibliothèque à la Fondation des Vieux Coloniaux, ne gardant avec lui que l’essentiel : les Mémoires d’Outre-Tombe et la Bible84. Les jouets de la petite princesse sont distribués aux enfants de la domesticité, et les machines à coudre des femmes du roi sont données pour les lépreux. Figura 10, Mosquée vu hôtel des Thermes, photographie de Frédéric Garan 84 JALADE, Mohammed Ben Youssef tel que je l’ai vu, p. 119. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 291 Le sultan laissera à la population le souvenir d’un homme respectable, courtois et pieux. Le 28 octobre, comme chaque vendredi, il se rend à la mosquée. L’après-midi, il fait ses adieux aux fournisseurs, avant de retourner à la mosquée pour la célébration du Mouloud et faire une dernière lecture. Max Jalade espère une interview. Mais, les accords d’Antsirabe sont encore informels et Mohammed V ne peut rien révéler officiellement. Le journaliste négocie alors une photo de famille : Vous avez de moi assez de photographies clandestines pour que vous puissiez en faire de bonnes… Avant de montrer à Amina le petit oiseau qui va sortir, Ben Youssef, père de famille, tient à choisir lui-même, comme il le fait chaque matin, la robe de l’enfant. Et le voilà fouillant dans la collection que présente la gouvernante…85 Les clichés partent par avion le lendemain matin pour être publiées par Paris-Presse, premières photos de famille prises depuis deux ans… 85 Ivi, p. 118. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 292 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Figura 11, Mohammed V et ses enfants, in Max Jalade, op. cit. Le 30 octobre au petit matin, après un dernier regard sur l’hôtel des thermes, Mohammed V s’engouffre à bord d’une grosse Ford conduite par le prince Hassan. Précédé par une jeep à flancs blancs montée par deux gendarmes, le cortège gagne à toute allure, au milieu d’un lourd nuage de poussière, le terrain d’Antsirabe. La barrière blanche, protégeant l’accès de l’hôtel des Thermes devant lequel un gendarme, en baudrier et guêtres blancs, veillait nuit et jour dans sa guérite, est levée pour la dernière fois... Les gendarmes se figent au garde à vous. Un important service d’ordre est en place le long du parcours. Tous les cent mètres, un garde malgache, en short et chéchia rouge, mousqueton à la bretelle, rectifie la position86. Le contraste avec l’arrivée en proscrit vingt et un mois plus tôt est saisissant. A l’aéroport, le prince Abdallah fixe sur la pellicule toutes les étapes de l’embarquement de la famille royale. 86 Ivi, pp. 127-128. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 293 A Tananarive, le Haut-Commissaire André Soucadaux accueille celui qui est maintenant un auguste visiteur, et lui tient compagnie le temps du transit. Il est 7h20 et, avant de quitter Madagascar, le sultan a ces mots : J’emporte un bon souvenir des gens que j’ai côtoyés, tant à Antsirabe qu’à Tananarive. J’ai apprécié leur grande courtoisie et leur grande amabilité. Ce souvenir eût été naturellement meilleur, je vous l’ai dit, si les circonstances de mon séjour avaient été autres. J’aurais préféré rentrer en France par bateau, mais les conditions de transport aujourd’hui ne sont pas celles de mon arrivée. L’avion qui m’amena était petit et non pressurisé ; ce n’est pas le cas aujourd’hui, c’est un très bel appareil…87. Le 31 octobre, le sultan arrive en France. Les événements se précipitent, Edgar Faure est pressé d’en finir. Les négociations qui s’engagent, aboutissent rapidement au retour triomphal de Mohammed V le 16 novembre. Deux jours plus tard, il annonce l’Indépendance du Maroc, qui sera effective le 2 mars 1956. Madagascar n’est pas absente des cérémonies du 18 novembre. Déjà la veille au soir, Moulay Abdallah avait projeté à la famille le film tourné depuis le départ d’Antsirabe. Le jour de la fête du Trône, quelques acteurs clés de la crise sont honorés. Le Docteur Dubois-Roquebert, le Comte Clauzel, Pierre Clostermann, et les avocats Maître Izard et Maître Weil sont décorés du Ouissam Alaouite, la plus haute distinction marocaine. S’ajoute une ˮpromotionˮ d’anciens d’Antsirabe : le médecincommandant Cléret, médecin du sultan à Madagascar, M. Vandenboomgaerde, chef de la sécurité, et l’inspecteur Mas, qui suivit si souvent les pas du sultan dans les rues d’Antsirabe et de Tananarive. Le Colonel Touya, qui deviendra conseiller de Mohammed V, fait bien évidemment partie du groupe. 87 Ivi, pp. 132-133. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 294 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Le 30 octobre 1938, le retour de Ranavalona III est d’une toute autre nature. Loin d’être anecdotique, ce retour d’exil postmortem que le pouvoir colonial feint de considérer comme une simple formalité, a pour but de souligner la bienveillance de la France pour ses sujets malgaches. Derrière le calme de façade, les enjeux sont importants, tant pour les Français que pour les Malgaches. Ranavalona III a été enterrée à Alger en mai 1917. L’exil continue alors dans le même dénuement. La tombe est mal entretenue, à tel point que le préfet et le maire d’Alger contactent le gouverneur général de Madagascar en 1925, sans résultat puisqu’ils sont obligés de le relancer l’année suivante. Le gouverneur général de l’Algérie intervient à son tour pour que la sépulture de « SM Ranavalona, ex-reine de Madagascar, fut entretenue de façon permanente avec un soin tout particulier pour éviter que le souvenir de la défunte souveraine ne s’efface avec les ans ». Sans enthousiasme, la colonie de Madagascar accepte de subvenir au coût de 300 francs annuel.88 Si sa mort n’a pas suscité de réaction à Madagascar, le maintien de la défunte dans une sépulture loin de la terre des ancêtres, en contradiction totale avec la tradition malgache, suscite des réclamations, sans que les autorités ne s’en soucient. Ainsi, en 1935, l’Opinion de Tananarive interpelle-t-il les Malgaches : « Peuple malgache ! Qu’attendons-nous pour l’exhumation des restes mortels de notre ancienne souveraine pour les réinhumer à Madagascar ? »89 Le Journal convoque à cet effet Napoléon Ier, rappelant que les Français ont obtenu des Anglais 88 Bulletin municipal officiel de la ville d’Alger, 20 octobre 1926, p. 355 (source : gallica.bnf.fr) 89 ANOM, 6(2) D 8-11, Madagascar (Gouvernement général), chemise « Transfert des restes mortels de la reine Ranavalona III », extrait L’Opinion de Tananarive du 12 juillet 1935, repris par Mongo du 6 septembre 1938. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 295 « conquérants » le retour de leur Empereur, mort prisonnier à Sainte-Hélène. Mais la France, sujette au syndrome de l’île d’Elbe, n’est pas prête à la mansuétude. Malgré cet appel (un parmi d’autres), le retour de la Reine ne sera pas le fait d’une initiative malgache. C’est Georges Mandel, ministre des Colonies qui interroge sur ce sujet le gouverneur général Cayla en juin 193890 : Il me revient que l’autorisation du retour des cendres de la reine Ranavalo à Madagascar serait appréciée des populations indigènes. On m’assure que ce geste, qui n’aurait aucune portée politique, serait interprété comme le respect que nous avons des traditions locales auxquelles les Hovas91 sont particulièrement attachés. Avant toute décision, je désirerai avoir votre avis sur la question92. Pour Cayla93 qui dirige depuis des années la colonie d’une main ferme, rien ne s’y oppose : La période de calme complet qui a suivi [à partir de 1937] et la manifestation loyaliste du 28 mai dernier ont créé une ambiance très favorable au retour des cendres de la Reine. Il sera facile d’éviter toute interprétation tendancieuse de cet évènement et de faire savoir qu’en la circonstance le Gouvernement de la République entend témoigner sa sympathie à la population tout entière en honorant la vieille coutume de l’inhumation des morts dans la terre des ancêtres94. 90 Pour plus de détails, voir F. GARAN, Le retour des cendres de la reine Ranavalona III à Madagascar, in J. GRÉVY (ed.), Reliques politiques, en attente de publication aux PUR. 91 Le pouvoir colonial a pour habitude d’utiliser hova pour désigner les merina. 92 ANOM, 6(2) D 8-11, op. cit., Lettre du Ministre des colonies au GG de Madagascar, 23 juin 1938. 93 Voir J. FREMIGACCI, État, économie et société coloniale à Madagascar (fin XIXe siècle-1940), Paris, Karthala, 2014. On se reportera en particulier au chapitre 3 « L’administration coloniale, les aspects oppressifs », pp. 55-85. 94 Ibidem, Télégramme d’État envoyé le 29 août 1938 par le GG Léon Cayla. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 296 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Les choses vont alors très vite. Georges Mandel lance l’opération le 2 septembre, sans prévenir la famille de la défunte reine, ce qui en confirme son caractère très politique. Mongo informe ses lecteurs le 6 septembre en relayant le communiqué de presse du Gouvernement Général : Les restes mortels de la reine Ranavalona III qui reposent actuellement dans le cimetière d’Alger seront prochainement transférés à Tananarive. En décidant cette mesure, le Gouvernement de la République a entendu marquer une fois de plus le souci que la France a toujours eu de respecter la coutume familiale des Malgaches. La population tout entière, sans distinction de race et en dehors de tout esprit de caste, verra dans l’évènement annoncé un témoignage des sentiments que lui porte la Mère Patrie95. Respect de la « coutume familiale » mais sans avertir la famille…, ce qui n’empêche pas cette dernière, maintenant au courant, d’« adresser l’expression de [sa] profonde reconnaissance », cette décision faisant « ressortir une fois de plus l’esprit libéral empreint d’humanité de la grande nation française envers ses colonies96… ». Il n’y a donc pas de risque de contestation du côté de la famille. Le transfert des restes mortels de la Reine s’organise très vite entre Cayla et son homologue à Alger. L’exhumation a lieu le 23 septembre 1938. Ranavalona III qui a vécu si chichement en exil, est maintenant traitée avec tous les honneurs par la République. Le Maire et le Préfet d’Alger ainsi que le Général Catroux assistent aux cérémonies, en l’absence du Gouverneur Général Georges Lebeau qui n’est pas en Algérie. Quelques personnalités ayant un lien avec Madagascar sont invitées : M. Dan- 95 Ivi, Lettre du GG de Madagascar au Ministre des Colonies. Ivi, Lettre de « Rakotofiringa, comptable chez M. Abel Louys (Ambalavoa) et sa femme, fille de feu Ratsimamanga prince, cousine de la Reine Ranavalona III » au GG de Madagascar. 96 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 297 gerfield de Tananarive, Mme Krajewski de Tamatave, « qui assista S.M. la reine à ses derniers moments », et M. Delgove, « commissaire de Police Spéciale originaire de Madagascar ». Durant le trajet qui mène de la chapelle ardente au paquebot, les couronnes du gouvernement de la République, du gouvernement général de l’Algérie, de la mairie d’Alger et des « protestants d’Algérie » accompagnent le cercueil couvert du drapeau tricolore. La chapelle installée dans le navire est également aux couleurs bleu/blanc/rouge. Ce n’est pas le moindre des paradoxes pour une reine exilée parce qu’ennemie de la France. C’est cette photo du cercueil avec le drapeau tricolore que la presse coloniale Algéroise diffuse, une presse pour laquelle Ranavalona redevient une reine à part entière et qui semble oublier qu’elle était en exil : Le 24 septembre a eu lieu, au cimetière de Saint-Eugène, l’exhumation des cendres de S.M. Ranavalona Manjaka III décédée à Alger en 1917, dans la résidence princière que lui avait réservée le Gouvernement français. C’est à l’instigation de M. Cayla, Gouverneur général de Madagascar que M. Mandel97, ministre des Colonies, a pris la décision de renvoyer les restes de la dernière reine de Madagascar dans son pays d’origine où ils seront accueillis avec une profonde émotion par le peuple malgache98. 97 Mais c’est bien à l’instigation du Ministre des Colonies que le rapatriement a été organisé. 98 ANOM, 6(2) D 8-11, op. cit., « Le transfert des cendres de Ranavalo », revue Algeria, octobre 1938. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 298 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Figura 12, Revue Algeria, octobre 1938 (ANOM 6(2) D8-11) L’entreprise de réhabilitation se poursuit lors du passage en métropole de la dépouille royale à l’image du long article de Pierre Mille99, dans le Petit Marseillais du 22 octobre 1938100. Certes, il n’y a pas de remise en cause du bienfondé de la politique française, « l’ordre de destitution et d’exil qu’avait pris Gallieni avait été sage », mais la Reine est complètement blanchie de toute responsabilité dans la révolte des Menalamba. Pierre Mille souligne qu’elle se logeait « fort modestement » à Paris, lorsqu’elle était autorisée à s’y rendre et qu’à Alger, si on continua « à ouvrir toutes les lettres qu’elle recevait de Madagascar. On n’y trouva jamais rien de compromettant […] Elle 99 Pierre Mille est grand connaisseur du monde colonial et de Madagascar (il est l’auteur du fascicule sur Madagascar dans la série « La France lointaine », édité en 1929). 100 La presse a globalement relayé l’événement. Le Figaro rapporte l’exhumation le 25 septembre 1938, mais en se contentant d’un entrefilet en page 3. Le contexte international, en pleine crise des Sudètes et dans l’attente des accords de Munich, n’y est pas étranger. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 299 avait pris l’accoutumance de la soumission, et demeura soumise jusqu’à son dernier jour ». Cette attitude exemplaire justifie que la France puisse désormais être clémente. Une nouvelle fois Napoléon est invoqué, mais pour relativiser l’importance de l’événement : Aujourd’hui ses cendres vont regagner le sol de ses ancêtres. Ceci n’aura pas les inconvénients du retour des dépouilles de Napoléon Ier pour Louis-Philippe. L’influence du souvenir de la dernière reine sur ses sujets n’a rien de comparable à celle qu’avait conservée celui du vainqueur d’Austerlitz. Elle est à cette heure absolument nulle. Madagascar est maintenant une terre française, la page est tournée ! Le Prolétariat malgache précise d’ailleurs qu’à Marseille, « un détachement de garde nationale a rendu les honneur »101. C’est bien une Reine réhabilitée, intégrée au roman national de la construction de la plus Grande France, qui revient sur la terre de ses ancêtres, une terre maintenant française, d’une France qui sait se montrer magnanime. Les cérémonies s’organisent donc à Madagascar autour de ce paradigme. Cependant, ce retour pose des questions politiques, à commencer par s’entendre sur le statut de cette reine. En Algérie, on a célébré une alliée, un grand serviteur de la France, le drapeau tricolore couvrant son cercueil. Il n’est pas possible de faire de même à Madagascar. C’est « recouvert d’un drap rouge bordé d’or »102 que le cercueil quitte Tamatave par train spécial. Le convoi est accueilli à Tananarive par un seul coup de canon alors 101 ANOM, 6(2) D 8-11, op. cit., Le Prolétariat malgache, « organe d’unité ouvrière et de défense des intérêts généraux de Madagascar », vendredi 11 novembre 1938. 102 Ivi, Communiqué (non daté, vers 30 octobre 1938). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 300 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef que Tantely en demandait vingt-et-un103. Pour les autorités coloniales, il n’est pas question d’accéder à cette demande qui donnerait à la reine le rang de chef d’État. Dans son discours officiel, Cayla présente l’exil comme ayant été formateur car il a permis à Ranavalona de s’ouvrir à la France, en lui faisant « connaitre toutes les profondeurs de l’âme française et le génie créateur de la vieille nation qui avait résolu de faire de Madagascar une des plus belles provinces de son immense empire »104. L’exil était nécessaire à la mission civilisatrice et à la prise de conscience de la reine qu’il fallait qu’elle confie son pays à la France. « Elle avait vu croître et s’embellir Alger-la-Blanche […] et sans doute se plaisait-elle à imaginer l’œuvre qui se poursuivait, dans une atmosphère apaisée, à Tananarive-la-Rouge et jusqu’aux confins de son pays natal »105. Le GG insiste également sur le loyalisme des Malgaches : « Elle donne ainsi aux Malgaches, dont le loyalisme s’affirmait récemment encore d’une façon si émouvante, un nouveau témoignage de sa sollicitude maternelle »106. Il fait bien référence à l’engagement des Malgaches durant la Grande Guerre, tout comme l’avait fait Le journal de Madagascar en rappelant le dernier passage en France de la reine : Les survivants du 12e Bataillon Malgache demandent notamment à ce qu’on ne les oublie pas dans les délégations au cortège, car ils gardent vivace en eux le souvenir des paroles de Ranavalona à qui ils furent présentés au moment 103 Ibidem, traduction d’un article du journal Tantely, « Transfert des restes mortels de Ranavalona III ». Porte la mention manuscrite : « Cet article présenté à la censure le 8 septembre 1938 n’est pas paru in extenso. » 104 ANOM, 6(2) D 8-11, op. cit., compte rendu officiel tapuscrit des cérémonies, « La translation et la ré-inhumation des cendres de Ranavalona III », page 3. 105 Ivi, page 4. 106 Ivi, page 3. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 301 de monter au front : Allez mes enfants, marchez pour la France et que Madagascar soit fière de vous. C’est en obéissant à cet ordre que ce fameux bataillon se fit hacher héroïquement, accomplissant les prouesses que l’Histoire a enregistrées107. L’Écho Malgache voit lui dans le retour de la reine, une sorte de compensation pour les soldats tombés en France, qui ne retrouveront jamais la terre de leurs ancêtres. Les exils s’entrecroisent… : Nous ne pouvons nous empêcher de penser en cette circonstance aux poilus malgaches tombés au champ d’honneur, connus et inconnus et dont les taolambalo se trouvent sous la terre généreuse de la France qu’ils avaient arrosée de leur sang pour la sauvegarde du droit et de la liberté. Les cendres de ces braves tirailleurs ne parviendront jamais dans le tombeau rituel au Nord du village. Nous les confions à votre garde, frères Français de la Métropole108. Si l’opération est une réussite du côté malgache, il n’en est pas de même du côté des colons qui ne cachent pas leur mécontentement : Nous avons l’impression qu’on fait un peu trop de bruit autour du retour à Madagascar des restes mortels de l’ex-reine Hova Ranavalona III. Je ne désapprouve pas la générosité du geste qui permet à la famille de l’exilée de satisfaire à ses coutumes funéraires […] Mais de là à en faire une manifestation telle que celle qui se prépare je trouve qu’on exagère un peu109. Ils ne veulent pas que l’on oublie que Ranavalona III était avant tout une ennemie de la France et « il semblerait qu’on 107 ANOM, 6(2) D 8-11, op. cit., Le Journal de Madagascar, « Le retour des cendres de la Reine Ranavalo III à Madagascar », 14 octobre 1938. 108 ANOM, 6(2) D 8-11, op. cit., L’Écho malgache, 23 septembre 1938. 109 ANOM, 6(2) D 8-11, op. cit., Le Colon de Madagascar, « Un geste », 16 octobre 1938. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 302 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef veuille aller jusqu’à une sorte de réhabilitation qui serait le désaveu tacite des mesures prises par le gouvernement français le 28 Février 1897 »110. Le succès de l’opération n’empêche pas le pouvoir d’avoir recours à des indicateurs chargés d’espionner la population. Quelques critiques remontent ainsi. D’aucuns reproches à la France une bienveillance de façade, « pour que les Malgaches soient attachés aux Français ». D’autres laissent entendre que cette générosité est tardive : « l’administration française aurait dû renvoyer Ranavalona à son pays natal avant sa mort, car même un criminel reçoit pendant son vivant une libération » 111. Le 22 novembre 1938, Mongo publie un long article112, qui reprend à la fois l’histoire de Ranavalona III, son exil et le déroulement des cérémonies. L’article est sans grande originalité et très respectueux, remerciant Georges Mandel. En fait, c’est la conclusion qui est étonnante : Ce que l’on peut dire après le compte-rendu des honneurs rendus à la Reine soit au-delà de la mer, soit à Madagascar, à la gare de Tananarive et au moment de la ré-inhumation en présence des milliers d’assistants, c’est que les cloisons étanches se sont écroulées, les Malgaches et les Français ont la même patrie, ils ont les mêmes droits, tous les habitants de Madagascar sont citoyens français. Les cérémonies devraient donc être le point de départ d’une nouvelle concorde, de l’unité entre Malgaches et Français, dans la citoyenneté. Un message très politique, qui ne fait que reprendre ce que Jean Ralaimongo revendique depuis son retour à Madagascar, après avoir servi la France durant la Grande Guerre. 110 Ibid. ANOM, 6(2) D 8-11, ibid. 112 ANOM, 6(2) D 8-11, op. cit., Traduction du journal Mongo, « Ranavalona III, d’Alger à Madagascar », 22 Novembre 1938. 111 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 303 Le Prolétariat malgache avait été encore plus explicite le 11 novembre 1938 (la date n’étant pas un hasard…). Deux articles sont en parallèle : « la ré-inhumation des restes mortels de Ranavalona III à Tananarive » et « Après la ré-inhumation de Ranavalona III… ». Le premier article reprend la version officielle du déroulement des cérémonies. Le deuxième se place sur un tout autre plan. Parlant des jeunes qui n’ont pas connu la monarchie, il les confronte à la situation actuelle. « Lorsqu’on a évoqué officiellement le souvenir de l’ancien régime malgache, ils ne pouvaient pas s’empêcher de faire d’amères réflexions sur leur statut individuel actuel qui est bien amoindri par rapport à celui des anciens sujets de Ranavalona III113 », et de poursuivre par une attaque directe du système colonial : « En effet, sous le régime bâtard actuel de l’indigénat, les habitants de l’Ile ne sont ni malgaches ni français. » Et de demander pour tous les Malgaches la citoyenneté française, la « naturalisation en masse » ! La loi d’annexion de 1897 est utilisée pour justifier cette revendication, puisqu’elle aurait dû faire de tous les Malgaches des « citoyens français de droit ». Le retour de la Reine doit être le prélude à la réparation de cette injustice. La reine retrouve un rôle politique que l’exil lui avait enlevé depuis longtemps, mais le pouvoir colonial refuse de donner cette dimension à l’évènement et en reste à la simple cérémonie : Jusqu’à 23 heures on vit défiler devant lui plusieurs dizaines de milliers de Malgaches. C’est le jour suivant qu’eut lieu, dans l’après-midi, la cérémonie de la ré-inhumation. Devant la terrasse qui domine la cour du Palais et au bord de laquelle s’élèvent les tombeaux royaux, la bière, revêtue de son linceul pourpre, était placée sur un large socle entouré de gerbes de roses et d’œillets. Depuis plusieurs heures déjà le flot humain avait submergé les terre-pleins qui dominent la plaine de Mahamasina lorsque le chef de la Colonie, pénétrant à son tour dans le Rova, vint se placer au centre du carré que formaient 113 ANOM, 6(2) D 8-11, op. cit., Le Prolétariat malgache, 11 novembre 1938. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 304 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef les troupes. Et ce fut de nouveau la plainte émouvante des clairons, suivis d’une minute de recueillement114. C’est alors que Cayla prononça son discours. Il fut suivi par le pasteur Peyrot qui récita les prières liturgiques. L’heure était venue de la montée vers le tombeau. Au rythme de la marche funèbre de Chopin, dix gardes indigènes, portant le cercueil sur leurs épaules, gravirent les degrés de l’escalier qui prolongeait le catafalque. Un instant après une salve de mousqueterie annonçait que Ranavalona III était entrée, comme disent les Malgaches, dans la maison froide et que le rite ancestral était accompli. Le retour d’exil de Ranavalona a finalement été le dernier acte politique de la monarchie malgache… depuis longtemps supplantée par un nationalisme moderne115. Conclusion L’exil à Antsirabe a servi les intérêts de Mohammed V, mais aussi ceux de la France qui a pu négocier avec le sultan sans être sous la pression des résidents généraux issus de la mouvance du Maréchal Juin. Les intérêts de la France ont sans doute ainsi été mieux défendus. Il est affligeant que ce bon choix ait été complètement involontaire et relève d’une politique coloniale complètement archaïque. En ce milieu du XXème siècle, le bannissement s’avère inutile car, si l’éloignement physique est réel, les moyens de communication comme de transport rendent caduques le principe même de l’exil. La politique coloniale de la France est d’un autre temps… 114 ANOM, 6(2) D 8-11, op. cit., compte rendu officiel tapuscrit des cérémonies, « La translation et la réinhumation des cendres de Ranavalona III », 5 pages. 115 Voir RANDRIANJA, Société et luttes anticoloniales à Madagascar. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 305 Alors que l’exil de Mohammed V fut un des ultimes soubresauts d’un système à l’agonie, il a paradoxalement favorisé l’accession à l’indépendance. De son côté, le retour de Ranavalona fut un rendez-vous manqué, un de plus pour le régime colonial, qui ne saisit pas l’opportunité de l’accession à la citoyenneté pour les Malgaches. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 306 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Figura 13, Retour de Mohammed V à Madagascar en 1957, collection privée Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 307 En 1957, Mohammed V revint à Madagascar, comme on fait un pèlerinage. Bien qu’il ne se soit jamais senti proche de la culture malgache, avouant même à Catroux ne pas être passionné par le retournement des morts (contrairement à son interlocuteur), il sait qu’entre janvier 1954 et octobre 1955, plus qu’à Rabat, et peut-être même plus qu’à Paris, l’histoire de son pays s’est joué à Madagascar. Un lien affectif indissoluble s’est créé, comme le rappelle en 2005 son petit fils Mohammed VI, à l’occasion de la visite de Marc Ravalomanana à Rabat. Il m’est particulièrement agréable, Monsieur le Président, de recevoir en votre Excellence le magistrat suprême de la République malgache, une grande nation à laquelle tous les Marocains portent des sentiments très affectueux et de profonde estime […] A la joie de vous recevoir au Maroc, s’ajoute la résurgence de souvenirs forts et d’une émotion sincère. En effet, Madagascar a toujours été associée, pour le peuple marocain, à l’épopée héroïque de sa lutte pour sa libération. Les marques de solidarité que le peuple malgache a témoignées à mon auguste grand-père, sa majesté le roi Mohammed V et à la famille royale, ainsi que les égards dont ils ont été entourés pendant leur exil à Antsirabe, resteront à jamais gravés dans notre mémoire collective. C’est d’ailleurs avec une vive émotion que les Marocains avaient suivi la visite effectuée, en 1957, par mon auguste grand-père dans votre pays, pour exprimer au peuple malgache frère sa profonde reconnaissance pour la sollicitude dont il fit l’objet avec sa famille durant les vingt-et-un mois qu’ils passèrent à Antsirabe…116. Cependant, sur place, il ne reste du séjour de Mohammed V qu’une suite portant son nom à l’hôtel des thermes et une mosquée sur une petite place étonnamment clinquante, entretenue par le royaume chérifien. En novembre 2016, Mohammed 116 Allocution prononcée par SM le Roi Mohammed VI lors du dîner officiel offert, le 5 avril 2005 au palais royal à Rabat, en l’honneur du président de la république de Madagascar, M. Marc Ravalomanana. Site du Ministère des affaires Étrangères et de Coopération, Maroc : www.maec.gov.ma/en signet « discours royaux » le 05/04/2005. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 308 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef VI a profité du sommet de la francophonie à Antananarivo pour faire une visite à Antsirabe. Un pèlerinage rapide pour lancer les travaux d’un hôpital financé par le Maroc, qui devrait réactiver la mémoire de l’exilé auprès de la population. Par contre, de l’autre côté de notre histoire parallèle, le souvenir de la « petite reine » à Alger s’évapore inexorablement117. Figura 14, La mosquée d’Antsirabe, entretenue par le Maroc, photographie de Frédéric Garan 117 C’est paradoxalement la maison où la reine séjourna à Fontainebleau qui porte aujourd’hui une plaque commémorative. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 309 Sources Archives nationales d’Outre-Mer, Aix-en-Provence Série géographique Réunion, carton 414 d 4008 « Ranavalona à la Réunion » 6(2) D 8-11, Madagascar (Gouvernement général), chemise « Transfert des restes mortels de la reine Ranavalona III » Madagascar, pm 266, Informations aux provinces sur le Sultan Mohammed Ben Youssef Madagascar, pt 172, Informations aux provinces sur le Sultan Mohammed Ben Youssef Madagascar, ds 494, Informations aux provinces sur le Sultan Mohammed Ben Youssef ANOM, document sur internet Le 19 octobre 1954, le Parti démocratique de l'indépendance (PDI) dresse un état des lieux des négociations franco-marocaines http://www.cvce.eu/obj/conference_de_presse_du_parti_democratique_de_l_independance_sur_la_solution_du_prbleme_franco_marocain_paris_19_octobre_1954frd2eda977-010f-4f9f-a6f4-02069dafb341.html (consulté en 2017) Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 310 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Presse ARM (Archives nationales de la République de Madagascar, Tananarive), collections pour la période entre août 1953 et novembre 1955 : Tana Journal ; France-Madagascar ; Malagasy Vaovao L’Illustration, années 1901, 1906. L’avenir d’Arcachon, n°2538, 28 juillet 1901, https://mcmparis.wordpress.com/2015/06/16ranavalona-iii-exil-a-alger-videomankamiadana/ (consulté en 2017) Bulletin municipal officiel de la ville d’Alger, 20 octobre 1926 Journal officiel de Madagascar, 29 septembre 1900 Journal officiel de Madagascar, 6 octobre 1900 Témoignages M. Jalade, Mohammed Ben Youssef tel que je l’ai vu, Paris, Encyclopédie d'Outre-Mer, 1956 G. Grandval, Ma mission au Maroc, Paris, Plon, 1956 G. Izard, Le secret d'Antsirabe, «Revue D'Etudes Méditerranéennes», 4 (1958), pp. 61-75 Hassan II, la mémoire d’un roi, entretiens avec Eric Laurent, Paris, Plon, 1993. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef 311 H. Dubois-Roquebert, Mohammed V, Hassan II, tel que je les ai connus. http://www.maroc-lodge.com/livre/Livre/index.htm#top (consulté en 2013) Témoignages de Henry Yrissou, Max Jalade, et du Comte Clauzel sur le site officiel du gouvernement marocain, « Feu sa Majesté le Roi Mohammed V », www.mohammedV.ma (consulté en 2013) Site du Ministère des affaires Étrangères et de Coopération, Maroc : www.maec.gov.ma/en signet « discours royaux » (consulté en 2013) Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 312 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef Bibliographie DABAT A., Exil d’empires : du trône de Huế aux collines d’Alger. Hàm Nghi (1871-1944), Master 2, sous la direction d’E. POISSON, Paris VII Diderot, 2014 DABAT A., Ham Nghi (1871-1944) Empereur en exil, artiste à Alger, sous la direction d’E. PARLIER-RENAULT, Université Paris-Sorbonne, décembre 2015 DELANOË G., Lyautey, Juin, Mohammed V : fin d’un protectorat, Casablanca, Éditions Eddif, 1993 DESCHAMPS H., Histoire de Madagascar, Paris, Berger-Levrault, 1960 DOMINICHINI J.P., Jean Ralaimongo ou Madagascar au seuil du nationalisme, «Revue Française d’Histoire d’Outre-Mer», 204 (1969), pp. 236-287 ELLIS S., L’insurrection des menalamba, une révolte à Madagascar (1895-1896), Paris, Karthala, 1998 ELLIS S., Un complot colonial à Madagascar. 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Histoire de l’indépendence marocaine, Paris, Fayard, 1974 KNIBIEHLER Y., EMMERY G., LEGUAY F., Des Français au Maroc, Paris, Denoël, 1992 LACOUTURE J., Cinq hommes et la France, Paris, Le Seuil, 1961 LAUVERNIER CH., Exil d’un roi à Madagascar, Mohammed V sultan du Maroc, mémoire de DEA, Université de La Réunion, 1994 MICHEL M., Gallieni, Paris, Fayard 1989 RANDRIANJA S., Société et luttes anticoloniales à Madagascar (1896 à 1946), Paris, Karthala, 2001 RIVET D., Le Maroc, de Lyautey à Mohammed V, Paris, Denoël, 1999 RIVET D., Un acteur incompris de la décolonisation : le général Édouard Méric (1901-1973), Saint Denis, Éditions Bouchene, 2015 STENNER D., Did Amrika promise Morocco's independence? The nationalist movement, the Sultan, and the making of the ‘Roosevelt Myth’, «The Journal of North African Studies», 19/4 (2014), pp. 524-539, http://dx.doi.org/10.1080/13629387.2014.946826 (consulté en 2017) STENNER D., Le coup de pouce de l’Oncle Sam, «Zamane», mai 2013, pp 2-3/74-75 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 314 Garan, Ranavalona III et Mohammed Ben Youssef VALETTE J., La France et l’Afrique, Tome 2 L’Afrique française du Nord 1914-1962, Paris, SEDES 1993 VERMEREN P., L’Histoire du Maroc depuis l’indépendance, Paris, La Découverte, 2010 VERMEREN P., Mohammed V, le père du Maroc indépendant, «L’Histoire», 307 (mars 2006), pp. 68-74 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 315 Accueillir les réfugiés ardennais à Paris entre 1914 et 1918 di Nicolas CHARLES Université de Paris 1 Panthéon-Sorbonne DOI 10.26337/2532-7623/CHARLES Riassunto : Nel 1914, numerosi civili abbandonarono il loro territorio di fronte all’avanzata tedesca : da quel momento divennero rifugiati. Fu una condizione particolarmente difficile che stimolò l’organizzazione di una rete di solidarietà simili a quella proposta a Parigi dall’associazione « la Fraternelle Ardennaise ». Quest’ultima creò un giornale « L’Ardennais de Paris », un modo concreto di sostenere i rifugiati facilitando la loro integrazione nella società durante il conflitto. Abstract : In 1914, many civilians fled the German invasion of their territory : they became refugees. That situation was very difficult for those who experienced it, this is why, when they arrived in free France, associations like « la Fraternelle Ardennaise » in Paris are created specially for them. This association created a paper, « L'Ardennais de Paris » and organized many things in order to help refugees who arrived in Paris during all the war. Keywords: Refugees, “Ardennais de Paris”, World War I Sommario : Introduction – Pourquoi fuir ? – L'arrivée en France. L'accueil et l'aide aux réfugiés : l'exemple à Paris – L'Ardennais de Paris : un journal crée pour aider les réfugiés – Le fonctionnement de l'aide apportée par l'Ardennais de Paris aux réfugiés – Conclusion – Annexes – Liste des sources – Bibliographie Saggio ricevuto in data 27 ottobre 2017. Versione definitiva ricevuta in data 15 gennaio 2018. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 316 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais Introduction Quelques jours après le début du conflit, les Allemands envahissent le royaume de Belgique, pourtant neutre. En peu de temps, la petite armée belge qui se bat avec courage, est submergée, la majeure partie du pays occupée. Les troupes de Guillaume II foncent ensuite vers la frontière française, poussant devant eux un flot de réfugiés qui colporte de nombreuses atrocités1 commises par les armées du Kaiser. En arrivant en France, un mouvement de panique se crée, formant ainsi une première émigration vers Paris ou le sud du pays afin de trouver une zone de repli loin des combats. Il s'agit surtout ici de personnes relativement aisées2 qui ont les moyens de fuir et surtout de la famille pouvant les accueillir loin du front. Dès le début des combats, les réfugiés et déplacés sont des acteurs à part entière de ce conflit, victimes collatérales de l'invasion puis de l'occupation allemande. En effet, une fois le front stabilisé à l'automne 1914, le flot de réfugiés en provenance des zones de combat ne s'est pas tarit, il a même augmenté à partir de 1915-1916 au moment où les Allemands ont évacué toutes les bouches inutiles afin de limiter les problèmes de ravitaillement. Nous allons donc, dans ce présent article, parler des réfugiés ardennais durant toute la guerre et de leur accueil à leur arrivée à Paris pour ceux qui choisissent de demeurer ou de transiter par la capitale. Des 1 Viols, meurtres de civils, mais aussi mains coupées et autres mutilations. Nous y reviendrons plus loin. Voir J. HORNE, A. KRAMER (eds.), German Atrocities, 1914. A History of Denial, New Haven et Londres, Yale University Press, 2001, 608 p. (trad. française 1914, les atrocités allemandes, Tallandier, 2005, 640 p.). Voir aussi A. KRAMER, Les « Atrocités allemandes » : mythologie populaire, propagande et manipulation dans l’armée allemande, in J.J. BECKER (ed.), Guerre et culture, 1914-1918, Paris, Armand Colin, 1994, pp 147-164. 2 Comme le maire de Charleville (Ardennes), Bouchez-Leheutre, qui fait partie de la bourgeoisie locale. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 317 malheureux du temps de l'invasion qui ont du tout abandonner pour fuir les Allemands : telle est l'image que les réfugiés renvoient auprès du reste de la population. C'est pour cette raison qu'une solidarité inter-réfugiés se créée dès l'invasion de 1914. Ainsi, à Paris, des organisations d'aide aux réfugiés, à l'image de la Fraternelle Ardennaise pour les Ardennes, se mettent en place. Elles sont souvent constituées par des réfugiés originaires du même département. Nous verrons, à travers l'étude de la Fraternelle Ardennaise et de son journal « L'Ardennais de Paris » comment l'entraide entre réfugiés fonctionne et pourquoi, plus que l’État, c'est ce type d'association qui a essayé d'améliorer les conditions de vie de ceux qui ont fui, entre 1914 et 1918 leur région occupée par l'ennemi. Pourquoi fuir ? Sont qualifiés de réfugiés tous ceux qui sont partis, de leur propre initiative, de leur région d'origine lors de l'invasion germanique en août-septembre 1914. Fuir les monstres, les hordes de barbares ou de Huns, telles sont les images véhiculées par les réfugiés quand ils arrivent à l'arrière du front. En effet, la peur est la première motivation qui pousse les civils à quitter leur lieu de résidence lorsque celui-ci est proche de la zone des combats. La peur pour sa vie et celle des membres de sa famille est une raison essentielle dans le choix de nombreuses personnes de laisser leur maison et une partie de leur biens à la merci des ennemis. Ainsi les premiers réfugiés qui quittent les régions du nord-est menacées par l'arrivée des troupes de Guillaume II appartiennent la plupart du temps aux catégories sociales les plus élevées, nous en reparlerons plus loin. Revenons quelques instants sur la peur de l'ennemi en nous posant la question de sa représentation chez les civils français. En août 1914, les armées franco-anglaises sont malmenées par les soldats germaniques, représentés dans la Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 318 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais presse alliée comme des barbares ou des animaux qui violent un territoire neutre3, pillent ses habitations, assassinent, violentent et torturent ses habitants. Cette image désastreuse des troupes allemandes s'explique de plusieurs manières. Il s'agit tout d'abord de l'ennemi, il convient donc de lui donner une image déplorable qui doit renforcer la haine de tous ceux qui s'opposent à eux. La propagande alliée des débuts du conflit insiste donc sur les champs lexicaux et visuels de la barbarie et de l'animalité. Ceci est d'autant plus d'actualité lors de l'invasion allemande que des rumeurs folles circulent sur des exactions germaniques visà-vis des civils : viols, meurtres, mais surtout des scènes de tortures sont colportées par les réfugiés, ce qui terrorise les populations. C'est le cas par exemple de la rumeur autour des enfants belges qui auraient eu des mains coupées. John Horne et Alan Kramer, spécialistes des exactions lors de l'invasion allemande de 1914 ont bien étudié le processus de diffusion des rumeurs et ses conséquences sur les populations civiles4. Des massacres de civils ont toutefois bien été perpétrés par les Allemands, de nombreux cartons d'archives leurs sont consacrés, que ce soit aux Archives nationales ou au SHD5. Les réfugiés à leur arrivée à l'arrière du front, puis les évacués à leur arrivée en France sont systématiquement interrogés sur les massacres éventuels de 1914. Il s'agit pour les autorités françaises, tout au long du conflit, de constituer des dossiers à charge contre les Allemands qui peuvent servir après-guerre pour d'éventuels 3 Le royaume de Belgique Voir HORNE, KRAMER, German Atrocities, 1914. A History of Denial. 5 Service Historique de la Défense, situé au château de Vincennes près de Paris, qui regroupe les archives de l'armée de terre française de la Grande Guerre. 4 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 319 procès6, mais aussi pour influer sur les négociations de paix au moment où elles seront engagées. Il convient ici de s'arrêter sur les exactions allemandes, car leur impact sur l'imaginaire collectif des civils français se perpétue tout au long de la guerre7. L'exemple du village de Haybes-sur-Meuse8 est très significatif pour expliciter dans quel état d'esprit se trouvent civils français et soldats allemands après quelques semaines de conflit. En effet, la commune a été totalement incendiée et une soixantaine d'habitants sont exécutés par les soldats allemands qui venaient de perdre un des leurs dans des combats aux alentours de la localité. Comme en Belgique, notamment à Dinant9, la population civile est tenue responsable du meurtre de soldats allemands : ces derniers agissent en représailles sur les civils accusés d'être des francs-tireurs qui ralentissent l'avancée des troupes germaniques. Bercés par les récits de leurs pères passés par là lors de la guerre de 1870-1871, les armées de Guillaume II se méfient énormément des civils qui pourraient agir contre eux comme ils l'avaient déjà fait lors du précédent conflit. C'est sans doute cela qui explique l'extrême brutalité avec laquelle ils agissent lors de l'invasion en Belgique et dans le nord de la France. Cela engendre donc de véritables scènes de panique dans les territoires français les plus septentrionaux qui voient déferler sur eux ces ennemis honnis depuis 1870 venant une nouvelle fois les asservir 6 C'est le cas du procès de Leipzig en 1921 où des soldats et officiers allemands sont jugés pour crimes de guerre. La tenue de ce procès était une des clauses du traité de Versailles du 28 juin 1919. 7 Et sera même mis en avant à la libération pour renforcer le côté tyrannique des Allemands. 8 Haybes est située au nord du département des Ardennes, sur la Meuse, à quelques kilomètres de la frontière belge. 9 Bataille du 15 au 23 août 1914 où 674 civils ont été exécutés par les Allemands en représailles. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 320 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais et les massacrer10. La répétition des invasions en à peine plus de quarante ans, conjuguée aux rumeurs sur les massacres réels ou supposés explique le départ de nombreux civils en août-septembre 1914. Qui sont donc ces réfugiés qui affluent des départements frontaliers avec l'Allemagne ou la Belgique ? Dans la majorité des cas, il s'agit de personnes aisées qui ont les moyens de financer leur départ puis leur installation dans la localité de repli : à ce titre, beaucoup de familles bourgeoises font partie de ces cohortes de réfugiés à l'image du maire de Charleville dans les Ardennes, Bouchez-Leheutre, membre de la bonne bourgeoisie de la commune. Dès les premières nouvelles de l'invasion allemande en Belgique, il quitte, avec sa famille, la cité carolopolitaine, comme beaucoup d'autres qui ont les moyens à la fois de fuir, mais aussi de vivre loin de chez eux. En effet, les réfugiés devaient posséder une certaine fortune personnelle ou compter sur les solidarités familiales ou amicales dans leur localité d'accueil, car dès les débuts des combats, l'État français légifère sur les aides à fournir aux personnes qui ont quitté leur domicile à cause du conflit. L'instruction ministérielle du 12 décembre 1914 sur « le rapatriement des réfugiés et évacués » disposant dans son paragraphe 3 que les familles françaises évacuées de leur résidence par l'autorité militaire11 seront rapatriées aux frais du département de la guerre […]. 10 Cette remarque est encore plus vraie pour l'invasion de 1940 : l'énorme exode déclenché en mai 1940 pour l'avancée des troupes d'Hitler est en grande partie dû aux invasions précédentes : les civils du nord-est de la France ne voulant alors pas revivre une troisième occupation en soixante-dix ans se jettent massivement sur les routes pour fuir vers le sud. 11 Il s'agit ici de l'armée française qui a évacué, lors de la stabilisation du front à l'automne 1914, de nombreux civils français dont le domicile se situait à proximité immédiate des combats. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 321 J'ai l'honneur de vous faire connaître que c'est aux familles intéressées, qui sollicitent le bénéfice de ces décisions, qu'il appartient de faire la preuve (par production d'ordres écrits ou de témoignages officiels), qu'elles ont bien été évacuées de leur résidence par ordre. Si la preuve ci-dessus n'est pas faite par elles, les familles devront être considérées comme ayant abandonné leur domicile de leur propre initiative et dans ce cas, subvenir elles-mêmes aux dépenses de leur rapatriement12. Nous le voyons donc ici, l'administration française définit clairement le statut d'évacué : il s'agit de personnes obligées de quitter leur domicile sur ordre de l'armée. Les réfugiés sont eux partis d'eux-mêmes au moment de l'invasion allemande en aoûtseptembre 1914. Ces deux statuts sont donc totalement différents aux yeux des autorités françaises, puisque seul le statut d'évacué par l'armée française donne droit à des aides. Celles-ci sont destinées à faciliter l'évacuation puis l'installation des civils évacués dans leur région de repli. Les allocations distribuées par l'État pour les autres personnes qui ont quitté leur région envahie existent, elles sont fournies suite à la mise en place d'un dossier administratif. Il s'agit d'un soutien financier institutionnel destiné à faciliter la vie dans la région de repli. Dans tous les cas, chez les plus démunis, souvent des ouvriers ou personnes de faible qualification, elles ne suffisent pas pour faire vivre toute la famille, ce qui pousse les exilés à trouver des solutions alternatives pour subsister. Le plus souvent, ce sont des gens originaires de la même région se trouvant dans la localité d'accueil qui les aident ou qui mettent en place des réseaux d'entraide, nous le verrons plus loin avec l'exemple de l'Ardennais de Paris où, à travers ce journal, nous pouvons voir une véritable solidarité endogamique se mettre en place entre tous les Ardennais qui ont quitté leur département à cause du conflit. 12 Lettre du général Graziani, sous-chef d'état major de l'armée, 17 mai 1915. Archives Nationales, 7 N 143. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 322 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais Quels chiffres pour les ceux qui ont quitté les combats ou l'occupation entre 1914 et 1918 ? Il convient de voir tout d'abord le nombre de personnes évacuées par les Allemands à partir de 1915. Aux vues de différentes sources, il semble que le chiffre de 500 000 personnes13 évacuées par les Allemands entre 1914 et 1918 soit crédible. Le nombre d'évacués varie bien sûr selon les différents départements. Dans les Ardennes, seul département entièrement occupé, 70 000 personnes14 sont évacuées entre 1915 et 1918. Il s'agit ici d'un département majoritairement rural où la population est moins élevée que dans le Nord. Ainsi, à Lille, plus de 30 000 personnes15 font partie des convois envoyés vers la France via la Suisse sur la durée du conflit. La grande ville du Nord, du fait de la mobilisation en 1914, du départ de nombreux réfugiés en 1914 puis des évacuations entre 1915 et 1918, a perdu la moitié de sa population entre 1913 et 191816. Cette baisse démographique est très visible dans de nombreuses villes des Ardennes : Rethel, proche du front, n'a plus que 1600 habitants en novembre 191717, Mézières la préfecture du département 4000 et Charleville, la plus grande ville des Ardennes est passée à la fin de 1917 en dessous de 9000 habitants18. En 1918, les territoires occupés ont donc perdu, entre la mobilisation des hommes en 1914 puis les 13 P. NIVET, La France occupée, 1914-1918, Paris, Armand Colin, 2011, p. 311. 14 Ibidem. 15 Ibidem. 16 Lille avait 217 000 habitants avant la guerre, il n'en reste plus que 112 000 à la libération de la ville en octobre 1918. 17 Rethel possède 5187 habitants au recensement de 1911. 18 Pour ces chiffres sur les Ardennes, voir Les Ardennes durant la Grande Guerre, Charleville-Mézières, 1994 (ouvrage collectif). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 323 différentes vagues de départs tout au long de la guerre, la majorité de leur population d'avant-guerre. Nous le voyons donc, entre les départs volontaires au moment de l'invasion, puis ceux dus aux bombardements et à la stabilisation du front et enfin les évacuations pratiquées par les Allemands durant la suite du conflit, deux millions environ de civils français ont quitté leur domicile19. Il s'agit d'un mouvement de population majeur dans l'histoire de la France au XXème siècle après bien sûr celui de l'exode20 massif de mai-juin 1940. Face à ces grands déplacements de population, les Français s'organisent dès le mois d'août 1914 pour accueillir toutes les personnes qui ont fui les Allemands. L'exemple de Paris, premier lieu d'accueil, est très représentatif. L'arrivée en France. L'accueil et l'aide aux réfugiés : l'exemple à Paris Une fois arrivés en lieu sûr à l'arrière du front, les réfugiés peuvent compter sur une certaine solidarité pour pouvoir vivre et s'installer durablement dans leur localité d'accueil. Nous l'avons vu plus haut, la majorité des réfugiés en provenance des zones de combats arrive à Paris. Si pour la plupart d'entre eux, la capitale française n'est qu'une étape avant de rejoindre leur point de chute définitif, beaucoup plus loin (Bretagne ou le Midi par exemple), de nombreux réfugiés décident de rester à Paris ou en banlieue. À cela plusieurs raisons : la relative proximité avec le front et les régions envahies en sont les principales : beaucoup 19 P. NIVET, Les réfugiés français de la Grande Guerre, 1914-1920, les « Boches du Nord », Paris, Economica, 2004, 598. 20 Cet exode reste le plus massif et le plus marquant dans l'imaginaire collectif français du XXème siècle : tous les départements de la frontière nord-est de la France ont été en mai 1940 quasiment vidés de leur population, ce qui n'est pas le cas durant le premier conflit mondial. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 324 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais de réfugiés ont espoir que la guerre sera courte et qu'ils pourront rentrer vite chez eux. Pour eux il ne sert donc à rien de trop s'éloigner : Paris est un excellent compromis. Ensuite, du fait du développement industriel parisien depuis le siècle précédent, de nombreuses personnes avaient quitté le Nord ou les Ardennes par exemple pour aller chercher du travail à Paris : ces anciens émigrés économiques sont, pendant la Première Guerre mondiale, un groupe d'accueil potentiel pour les réfugiés. Dans ce cas là, la solidarité familiale fonctionne joue un rôle très important : parmi ceux qui ont fui l'avancée des troupes allemandes, beaucoup trouvent refuge chez un membre de leur famille à Paris. C'est même parfois une des raisons de la fuite : parmi les réfugiés qui sont partis dès les premiers jours de la guerre, beaucoup l'ont fait parce qu'ils savaient où aller. Si Paris est le premier lieu d'accueil des réfugiés en France, c'est à cause des facilités que peuvent y trouver les émigrés pour réorganiser leur vie. Il y a tout d'abord la présence du pouvoir : ministères et administrations y développent des structures destinées à la fois à secourir tous les réfugiés, mais aussi à les interroger. Sous l'égide du ministère de l'Intérieur (et donc des préfets dans chaque département), ces structures sont peu à peu délocalisées dans tout le pays qui n'est pas concerné par les combats. Le but est clairement de désengorger la capitale qui croule sous le flot des réfugiés dès la fin de l'été 1914. Le grand nombre de réfugiés présents à Paris fait que, dès les débuts du conflit, une solidarité endogamique se met en place : les réfugiés s'entraident. Celle-ci revêt d'ailleurs un caractère géographique : des associations21 de réfugiés sont créées dès le mois d'août 1914 à Paris pour faciliter l'accueil des nouveaux arrivants. Le cas de la Fraternelle ardennaise à Paris et 21 Leur création est rendue possible par la loi de 1901 qui, à la fois réglemente, mais surtout simplifie, la création des associations en France. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 325 de son journal L'Ardennais de Paris et de la banlieue fondé à l'attention des réfugiés en provenance de ce département illustre très bien ce phénomène. Pour ce petit département majoritairement rural, il y a durant la durée du conflit, deux journaux à destination des réfugiés22 : L'Ardennais de Paris23 que nous allons étudier, et le Bulletin Ardennais. La différence est essentiellement politique : le premier est de tendance radical-socialiste, le second est plus conservateur. Le but premier de ces deux journaux est de servir de bulletin de liaison entre tous les réfugiés originaires du département se trouvant dans l'agglomération parisienne. L'Ardennais de Paris : un journal crée pour aider les réfugiés L'Ardennais de Paris est un journal bi-hebdomadaire publié sous l'égide de la Fraternelle Ardennaise. Celle-ci est une société de secours mutuels24 et de retraite fondée en 1889. Elle servait à payer les soins de santé et les retraites de ses adhérents25 ardennais vivant à Paris ou dans sa région. Avec le début des hostilités en 1914, son rôle se diversifie. Avec l'afflux massif de réfugiés, la Fraternelle Ardennaise décide de prendre en charge une grande partie des besoins de ces derniers : fourniture de 22 Pour des journaux de réfugiés concernant d'autres départements, voir aux Archives nationales : F 23/4 : Le Rémois, Reims à Paris, Le petit Rémois, La Fraternelle des combattants roubaisiens, La Picardie, Le Bulletin Halluinois, Le bulletin mensuel de la société amicale des originaires de l’Oise. 23 Archives Départementales des Ardennes, Per H 27. La série ne comporte pas l'ensemble des numéros. D'autres numéros sont visibles au Service Historique de la Défense : 5 N 377 . 24 Pour une étude approfondie des sociétés de secours mutuels dans les Ardennes, voir J. DUPUY, Histoire de la mutualité dans les Ardennes, éditions Terres Ardennaises, Charleville-Mézières, 2006. 25 Avant la création de la sécurité sociale à la fin de la Seconde Guerre mondiale. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 326 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais moyens de subsistance, de vêtements voire location de logements. Pour fédérer toutes ses actions, elle publie un journal, l'Ardennais de Paris26. Celui-ci est domicilié au café des Folies Dramatiques27 puis, à la fin de la guerre, ses locaux déménagent au 17 rue Château Landon, toujours à Paris. Le fondateur du journal est le docteur Doizy, son rédacteur en chef est G. Sagebin28, remplacé ensuite par Lucien Dauven, un réfugié, professeur avant-guerre au lycée de Charleville. Paul Landoy29 est rédacteur en chef-adjoint et M.Agobert trésorier : nous voyons donc que le journal destiné aux réfugiés est dirigé par le bureau directeur de la société de secours mutuels qui l'a fondé. L'équipe de rédaction du journal est, au niveau politique, de gauche modérée, c'est-à-dire proche des radicaux-socialistes. Ralliés à l'Union Sacrée dès les premiers jours du conflit, cette équipe dirigeante se met rapidement au service de ceux qui en ont le plus besoin : les réfugiés. Pour tous les membres de la Fraternelle Ardennaise, s'occuper des civils fuyant les Ardennes, c'est à la fois faire la guerre et soulager le malheur de ceux qui se sont enfuis. Il s'agit d'actions philanthropiques, mais, dans le contexte d'une guerre en voie de totalisation, l'accueil et le secours des réfugiés est un acte militant de concitoyens soudés pour aider des victimes du conflit. Le journal, de quatre pages, est fabriqué par l'imprimerie Ch. Ronsin au 63 boulevard Montparnasse à Paris. Le prix de vente du numéro est de 10 centimes puis 15 centimes quand le format change et que la parution devient hebdomadaire. Le journal est assez largement diffusé à Paris30, surtout 26 Voir annexe n°1. 40, rue de Bondy à Paris. 28 Président de la Fraternelle Ardennaise. 29 Secrétaire général de la Fraternelle Ardennaise. 30 Les points de vente parisiens sont : 19, rue Pajol, Kiosque 120, gare SaintLazare, gare de l'Est, gare de Lyon, gare Montparnasse, place de la République. 27 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 327 dans les gares, points névralgiques puisque la plupart des réfugiés arrivent à Paris par le chemin de fer. Devant le succès parisien et la dissémination progressive des réfugiés ardennais dans tout le territoire français, l'Ardennais de Paris acquiert rapidement une diffusion nationale31. Le fait que ce journal destiné aux réfugiés soit disponible sur la majorité du territoire révèle qu'il y a des réfugiés accueillis un peu partout en France et que des journaux du type l'Ardennais de Paris sont des sources d'informations essentielles pour ces derniers. Ils permettent de pouvoir communiquer entre eux par le biais des petites annonces et surtout d'avoir des nouvelles spécifiques des territoires occupés, ce que ne font pas forcément les journaux nationaux. Pour développer un réseau de diffusion d'un ampleur nationale, nous pouvons supposer que la Fraternelle Ardennaise possède une réelle puissance financière qui lui permet de payer un tirage de 9000 exemplaires à chaque numéro32. Dans une période de restrictions aussi importante, notamment pour le papier qui était contingenté et diffusé au compte-goutte par l'armée, la « valeur patriotique » de ce type de journal était donc jugée très importante par l’état-major. Nous y reviendrons plus loin, mais il semble que le choix de certains articles dans le journal soit guidé par la nécessité de plaire à l'armée afin que celle-ci continue de livrer du papier au 31 D'après le n°18 du 3 décembre 1914, l'Ardennais de Paris est disponible dans les villes suivantes : Bordeaux, Troyes, Nantes, Saint-Nazaire, Marseille, Plouagat, Verdun, Rouen, Orléans, Moulins, Montluçon, Chatelaudren, Guingamp, Rennes, Tours, Trouville, Les Aubrayes, Noisy-le-Sec, Versailles, Vannes, Châlons-sur-Marne, Reims, Epernay, Beauvais, VillersCotterêt, Châteauroux, Toulouse, Ancenis, Le Mans et Lyon dans un premier temps à l'automne 1914. Quelques mois plus tard, la diffusion s'étend encore aux villes suivantes : Auxerre, Limoges, Saint-Etienne, Vichy, Poitiers, Barle-Duc, Nancy, Fougères, Vierzon, Nevers, Saint Dizier, Angers, Meaux, Bourges, Clermont-Ferrand. 32 Son concurrent, le Bulletin Ardennais, dispose à la même période de chiffres de parution quasi identiques. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 328 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais combien nécessaire à la vie du journal. Même si tout au long du conflit son tirage diminue et sa parution devient hebdomadaire, signe de la difficulté à se procurer de la matière première qu'est le papier, il faut bien avouer que la détermination des rédacteurs et journalistes à faire paraître cette publication de façon continue tout au long du conflit est une vraie preuve de l'implication de toute l'équipe à aider et renseigner les réfugiés, mais aussi de faire la guerre à leur façon ; preuve de l'importance de l'implication des civils dans la Première Guerre mondiale. Il convient maintenant de nous poser la question du lectorat de ce type de journal. Celui-ci est relativement important sur Paris où il est lu par la majorité des réfugiés. Avancer des chiffres précis concernant le nombre exact de lecteurs est un exercice délicat. Si l'Ardennais de Paris est très lu chez les réfugiés, cela ne veut pas dire que le journal est acheté par tous, loin s'en faut. En effet, son prix est assez élevé pour l'époque puisqu'il est de 10 puis 15 centimes33, ce qui conduit sans doute, non pas à diminuer son lectorat, mais ses acheteurs potentiels. Le prêt de l'Ardennais de Paris entre les réfugiés est une pratique courante pour limiter les dépenses chez ces derniers dont les moyens sont souvent très modestes. Cela permet au plus grand nombre de réfugiés d'accéder à de nombreuses informations vitales. Chaque numéro passait donc entre plusieurs mains. Si la lecture de ce journal est importante en « France libre », celui-ci n'est pas du tout lu en France occupée à cause de l'imperméabilité du front : dans les territoires soumis à l'administration allemande, tout journal français est interdit, hormis le journal collaborationniste francophone La Gazette des Ardennes34. 33 Alors que la majorité des grands quotidiens nationaux sont vendus 5 centimes. 34 Journal rédigé à Charleville et diffusé dans toute la zone française occupée. Il s'agit d'un journal écrit en français, contrôlé par l'armée allemande et servant à diffuser les informations de celle-ci. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 329 Comme la plupart des journaux nationaux de l'époque, l'Ardennais de Paris traite dans ses premières pages des informations générale, c'est à dire de politique et de guerre. Ainsi dans le numéro 635 en première page est évoquée la visite de Maurice Braibant, député de Rethel, près du front en Champagne, au nord de Reims, c'est à dire aux limites de sa circonscription36. Comme l'immense majorité des hommes politiques ardennais, Maurice Braibant a fuit dès l'invasion allemande et se retrouve à Paris. C'est donc lui aussi un réfugié. Dans cette visite qu'il effectue après la victoire de la Marne qui dégage Paris et stabilise le front au nord de Reims, le député ardennais rend compte de ce qu'il voit, et insiste en particulier sur les destructions allemandes qui ont émaillé la plaine champenoise et mutilé en particulier la ville de Reims37, surtout sa cathédrale, lieu symbolique dans l'histoire de France38. C'est un article très intéressant pour les réfugiés car il les renseigne sur la situation de leur département, mais pas seulement. L'idée du journaliste en écrivant cet article est de s'inscrire dans la lignée éditoriale des grands journaux nationaux : il s'agit de se placer dans l'Union sacrée face à l’envahisseur qui doit être présenté et décrit comme un barbare venant détruire la France et ses habitants. Le but de cette propagande, soutenue par l'État français, est de mobiliser toute l'opinion publique contre les Allemands. Nous le voyons donc ici, même si l'Ardennais de Paris est un journal qui s'adresse en priorité aux réfugiés, mais pas uniquement. Son but est aussi, comme tous les journaux français, de participer à « l'effort 35 L'Ardennais de Paris, 22 octobre 1914. Rethel est une sous-préfecture située au sud du département des Ardennes, c'est-à-dire à la limite du front, mais dans la zone occupée par les Allemands depuis la fin du mois d'août 1914. 37 L'Ardennais de Paris, n°20, du 10 décembre 1914 38 C'est dans cette cathédrale qu'ont été sacrés la quasi totalité des rois de France jusqu'en 1824. 36 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 330 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais de guerre » en mobilisant l'opinion publique contre l'ennemi. C'est pour cela que dans tous les numéros, comme une litanie, les bombardements et les destructions occasionnées par l'armée du Kaiser sont évoqués39 pour forger un sentiment anti-germanique dans la population et de ce fait renforcer le soutien du peuple français auprès du gouvernement et de l'armée. Les atrocités allemandes des premiers temps du conflit sont évoquées pendant plusieurs mois : à l'instar de la presse nationale et internationale, elles sont ici aussi largement amplifiées toujours dans une visée de propagande contre les Allemands. Ainsi, plusieurs numéros sont consacrés à des évocations des massacres qui ont eu lieu en août 1914 à Haybes, Gué d'Hossus, Rethel ou Hannogne-SaintMartin40 dans les Ardennes. À chaque fois, des témoignages de réfugiés sont repris par les rédacteurs pour étayer leur propos. Dans le numéro 641, sur la première page, un encart traite de la visite de élus des départements envahis aux réfugiés de leur département d'élection qui affluent massivement sur Paris. Cela doit montrer aux lecteurs l'importance de ne pas oublier les populations passées sous le joug germanique de l'autre côté du front, mais aussi de mobiliser l'opinion publique en France sur le sort des malheureux réfugiés, souvent miséreux car ils ont du tout laisser avant de fuir devant l'avancée des troupes de Guillaume II. D'ailleurs, les numéros 8, 14 et 2142 renforcent cette idée puisque à chaque fois, l'article à la Une est consacré aux populations réfugiées en provenance des départements envahis43. Ces articles ont donc pour but d'informer les populations 39 L'Ardennais de Paris, n°20, du 10 décembre 1914 L'Ardennais de Paris, n°31, du 31 janvier au 6 février 1915. 41 L'Ardennais de Paris, n°31, du 31 janvier au 6 février 1915. 42 Respectivement des 29 octobre, 19 novembre et 13 décembre 1914. 43 La majorité des exemples cité est bien sûr les Ardennais, cœur de cible du lectorat du journal, mais pas que, preuve de la volonté des rédacteurs du jour40 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 331 de l'arrière sur le sort de tous ceux qui fuient les combats. Le portrait brossé des réfugiés est à chaque fois assez larmoyant, il insiste sur leur situation précaire et bien souvent miséreuse. Le but est donc clairement pour les rédacteurs de l'Ardennais de Paris de créer autour d'eux un élan de solidarité44 des populations de l'arrière envers leurs compatriotes qui ont choisi de fuir leur maison devant la menace germanique. Cette ligne éditoriale continue tout au long du conflit puisque le numéro 19545 traite par exemple toujours des mauvaises conditions de vie des réfugiés alors que nous sommes dans la quatrième année de guerre. Nous pouvons donc même dire que leur sort se dégrade puisque les dons de vêtements par exemple ont tendance à se raréfier, ce que nous pouvons voir à travers les distributions annoncées dans le journal qui se font en 1918 de façon épisodique et non plus régulières. L'élan de solidarité s'est donc essoufflé à cause de la durée du conflit, tous les civils souffrant désormais en 1918 de restrictions dues à la guerre. Comme tous les autres journaux de l'époque, l'Ardennais de Paris évoque donc une série de sujets généraux : le but est que les lecteurs, qui sont majoritairement des réfugiés, trouvent aussi au sein de leur journal des informations plus générales. Le périodique se veut donc relativement complet afin de répondre au mieux aux attentes des réfugiés. Ainsi, dans les premiers numéros, les articles généraux sont de véritables panégyriques à la gloire des soldats français et de leur sacrifice pour le pays. Des descriptions des techniques de combat de l'armée française sont nal de montrer aux lecteurs la convergence de tous les témoignages en provenance de toutes les zones du front. Cela permet d'insister sur l'unité du caractère allemand, qui commet partout des actes de barbarie. 44 Ainsi, nous verrons plus loin que le journal fait systématiquement appel aux dons, que ce soit de l'argent ou des vêtements, qui sont servent ensuite à aider les réfugiés bénéficiaires. 45 Du 14 au 20 mars 1918. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 332 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais présentées46 dans le but de présenter à l'arrière une vision idyllique. Il s'agit de rassurer les lecteurs sur la fin proche des combats, sur le fait que les Allemands vont bientôt être repoussés, ce qui devrait hâter le retour des réfugiés chez eux. Nous sommes ici dans du « bourrage de crâne », dans de la propagande à l'instar de ce que fait toute la presse alliée au moins jusqu'en 1915. La déformation de l'information est donc utilisée par les journalistes, avec la bénédiction des autorités, pour soutenir le moral des réfugiés dont la majorité se retrouvent de plus en plus démunis au fur et à mesure que la durée de la guerre s'allonge. À l'image de toute la presse de son temps, l'Ardennais de Paris sert aussi à diffuser les informations officielles provenant du gouvernement ou de l'administration. Ainsi, régulièrement, des décrets officiels sont diffusés par voie de presse pour informer la population (et principalement les réfugiés). Ainsi, dans le numéro 1947, est publié le décret sur la réquisition forcée par l'État des logements en France des ressortissants des Empires centraux pour loger des réfugiés. Les différents emprunts de guerres mis en place par l'État tout au long de la guerre sont systématiquement relayés dans le journal48, preuve de l'implication idéologique de celui-ci. Même s'il diffuse des informations officielles, comme ses confrères, le journal doit soumettre sa maquette avant la parution aux autorités de censure. Dans plusieurs numéros, à l'image de ce que l'on peut voir dans la première page du numéro 3949 où tous les articles qui devaient s'y trouver ont été interdits, la censure touche donc aussi ce périodique pourtant destiné à informer un groupe social nécessiteux en temps de guerre : les réfugiés et les rapatriés. Mais, la censure ne touche 46 L'Ardennais de Paris, n°20, 10 décembre 1914. L'Ardennais de Paris, n°19, 6 décembre 1914. 48 Voir annexe n°2. 49 L'Ardennais de Paris, n°39, du 28 mars au 3 avril 1915. 47 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 333 pas les rubriques « pratiques », celles dont l'utilisation est quotidienne pour les réfugiés. Elle touche surtout les premières pages, tournées en général vers la guerre ou la politique (nationale ou internationale) ; autant de sujet sensibles dans cette période de conflit. Les rédacteurs de l'Ardennais de Paris veulent, malgré tout, maintenir une certaine liberté de parole au sein de leur journal. Ainsi, après l'exemple du numéro 39 où les autorités ont interdit publication de toute la première page, dans le numéro suivant50, le rédacteur en chef, Lucien Dauven, s'exprime de façon assez ouverte et critique envers la censure dans son éditorial. Il y a donc parmi l'équipe éditoriale du journal une volonté de servir son pays, d'aider les réfugiés, mais pas à n'importe quel prix. Il s'agit là d'une mentalité de gauche, tout à fait en adéquation avec l'état d'esprit des fondateurs de la société de secours mutuels la Fraternelle Ardennaise et de l'Ardennais de Paris qui sont radicaux-socialistes. Comme dans les autres journaux, la politique intérieure est évoquée dans de nombreux articles tout au long des parutions, même si ceux-ci sont plus développés et étayés lorsqu'il s'agit de sujets sur des lois ou des arrêtés qui concernent directement les réfugiés ou les régions occupées. Ainsi, dans le numéro 2351, le journal prend position sur le vote par le parlement d'une loi qui doit indemniser les réfugiés selon les préjudices subis lors de leur exil. Il s'agit donc bien ici d'un acte militant, qui va beaucoup plus loin que le simple aspect informatif. Le but des rédacteurs du journal est donc clairement d'aider ses lecteurs, les réfugiés, par tous les moyens, y compris en servant de lobby auprès du gouvernement. D'ailleurs, dès janvier 1915, alors que la guerre est loin d'être terminée et surtout gagnée, le journal s'engage dans une série d'articles, régulièrement répétés jusqu'au 50 51 L'Ardennais de Paris, n°40, 4 au 11 avril 1915. L'Ardennais de Paris, n°23, 24 au 31 décembre 1914. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 334 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais traité de Versailles, ayant pour thème la question des réparations52 que les Allemands devront payer lorsqu'ils auront été vaincus, à la France et surtout aux régions sinistrées, d'où sont originaires les réfugiés. Une série d'articles intitulée « ponctualité », diffusée en 1915, a pour but d'interpeller régulièrement des fonctionnaires ministériels sur ce sujet épineux dès les mois de mai et de juin 1915. Le journal tient donc tout au long du conflit une ligne patriotique. Celle-ci s'entend bien sûr dans le sens de la défense des intérêts de la France. Nous pouvons aussi y voir un autre patriotisme, celui de la défense des intérêts de la « petite patrie », les Ardennes. En effet, nous l'avons vu, le credo du journal est de venir en aide aux réfugiés, sans oublier les civils restés dans les territoires occupés : le journal consacre dans tous ces numéros une rubrique53 à ces derniers en diffusant des nouvelles des Ardennes à partir des propos recueillis chez les nouveaux arrivants. En 1915, agissant en tant que véritable lobby, les rédacteurs du journal interpellent les membres du parlement pour qu'ils enquêtent sur plusieurs généraux coupables à leurs yeux d'avoir en 1914 mal mené plusieurs batailles décisives qui ont conduit à l'occupation des Ardennes comme celle de Lille et surtout de Reims54. Vers la fin du conflit, à partir d'août 1918, lorsque les Allemands commencent à reculer, les éditoriaux concernent de plus en plus le règlement du conflit, le retour des réfugiés chez eux et donc la question des réparations. Nous avons vu plus haut que cette dernière question est présente de façon régulière dans l'Ardennais de Paris tout au long du conflit. Le but était alors de donner une raison supplémentaire de faire la guerre, pour reprendre les territoires perdus et rendre leur dignité aux réfugiés qui affluent vers la capitale, souvent démunis de 52 Voir annexes n°3 et 4. Intitulée « En pays envahis » 54 L'Ardennais de Paris, n°28, 10 au 16 janvier 1915. 53 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 335 tout. Cette politique de lobby se perpétue après la guerre où, contre toute attente puisque les exilés commencent à rentrer chez eux, le journal continue de paraître afin de servir de porte-voix aux victimes de l'invasion allemande puisque de nombreuses questions sur ces dernières ne sont réglées qu'au moment du traité de Versailles en juin 1919. Le journal se fait donc entendre auprès des autorités française ; il se veut un soutient fort et sans faille à la politique intransigeante menée par Clemenceau vis-àvis de l'Allemagne. Beaucoup d'éditoriaux traitent alors de la reconstruction des zones de combats et des régions occupées où les Allemands ont pillé sans vergogne55. Il s'agit alors réellement d'influencer sur les négociations de paix avec l'Allemagne vaincue en incitant l'opinion publique française à maintenir une ligne dure contre celle-ci, afin d'obtenir le maximum de réparations pour les sinistrés (et donc en premier lieu les anciens réfugiés). C'est le cas par exemple du numéro 24056 qui traite de la « reconstruction agricole » du département des Ardennes, dont le sud, essentiellement rural, a été largement détruit par les combats et pillé par les réquisitions germaniques tout au long du conflit57. Devant cette volonté populaire, que soutient par une longue campagne éditoriale l'Ardennais de Paris, l'Allemagne est reconnue coupable d'avoir déclenché la guerre et d'avoir pillé et détruit les territoires qu'elle a occupé pendant près de cinquante mois. Elle doit donc payer des réparations à la France, réparations qui vont en grande partie aux anciens réfugiés au titre de dommages de guerre. Il s'agissait là du dernier combat du journal 55 La majeure partie des usines est hors service, il n'y a plus de fer ou de cuivre (les cloches sont systématiquement volées et fondues par les Allemands par exemple), beaucoup de biens sont détruits par les Allemands. 56 L'Ardennais de Paris, n°240, 12 au 19 mai 1919. 57 La plupart du cheptel ardennais a été volé par les Allemands pour alimenter leur armée en nourriture ou en animaux de trait. Beaucoup de bois ont été rasés afin de servir de bois d'ouvrage dans les tranchées germaniques. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 336 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais qui par la suite disparaît. Il venait de passer plus de cinq années à aider ceux qui, victimes civiles de la guerre, en avaient un énorme besoin. Le fonctionnement de l'aide apportée par l'Ardennais de Paris aux réfugiés À travers la lecture de ce journal, nous pouvons étudier le fonctionnement de l'accueil des réfugiés dans une ville par une association privée, ici la société de secours mutuels la Fraternelle Ardennaise. Celle-ci organise en priorité des collectes de vêtements redistribués aux réfugiés se trouvant sur Paris. Dans le journal la rubrique « le vestiaire de la Fraternelle » a pour but d'informer les personnes intéressées sur les collectes, mais aussi les réfugiés sur les distributions vestimentaires. Tous les mois, le journal diffuse la liste des personnes donataires d'argent ou de vêtements pour redistribuer aux réfugiés. Le nombre, important en 191458, se maintient les années suivantes puis diminue fortement à partir de 1917, sans doute à cause des effets de la durée du conflit sur l'économie qui conduit au durcissement général des conditions de vie en France. Il se peut aussi que la cause des réfugiés, qui a ému le pays dans les premières semaines du conflit, s'essouffle peu à peu, simplement par le fait que tout le monde est touché par les conséquences meurtrières de la guerre. Ces distributions à l'intention des réfugiés se font tous les jours, au siège du journal59, entre 10 heures et midi puis de 14 h 30 à 17 heures. Face à la pénurie de dons à la fin de la guerre, la fréquence des distributions diminue aussi. Tous les dimanche dans les locaux du journal, des réunions entre réfugiés sont organi- 58 59 L'Ardennais de Paris, n°11, 8 novembre 1914. 40 rue de Bondy à Paris. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 337 sées : elles servent de comité de liaison dont les délégués diffusent ensuite au plus près des familles les informations reçues le dimanche. La première réunion est organisée le dimanche 20 septembre 1914 : elles peuvent accueillir jusqu'à trois ou quatre mille personnes et se tiennent alors dans la rue60. Nous pouvons ici supposer que le public n'est pas composé uniquement de réfugiés ardennais, certains doivent être originaires d'autres départements occupés et cette affluence importante est la preuve de l'influence de la Fraternelle Ardennaise et de son journal L'Ardennais de Paris. La santé est une des raisons d'être des sociétés de secours mutuels61 : même en temps de guerre, la Fraternelle Ardennaise ne déroge pas à la règle. Dès les débuts du conflit, elle organise auprès des réfugiés des campagnes de vaccinations sous l'égide des autorités sanitaires. En temps de guerre, face à de vastes mouvements de population et à cause des dégradations des conditions de vie, il s'agit là d'une politique préventive nécessaire. En effet, sous l'égide du gouvernement sont lancées plusieurs campagnes prophylactiques qui doivent éviter le développement d'épidémies susceptibles d'affaiblir la nation. La plupart des pays européens mènent des campagnes vaccinatrices identique, ce qui n'empêche toutefois pas la pandémie de grippe espagnole de faire des millions de victimes à travers la planète en 1918-1919. La mise en contact des réfugiés avec leur famille est une action fondamentale du journal où une rubrique, « recherches dans l'intérêt des familles »62 est créée à cet effet. Celle-ci est d'ailleurs à l'origine du succès du journal, puisque en ce début de XXème siècle, la presse est le seul média d'information voire de communication, surtout lorsqu'on ne sait pas où se trouvent 60 Ardennais de Paris, numéro 64, 19 au 25 septembre 1915. DUPUY, Histoire de la mutualité dans les Ardennes. 62 Voir annexe n°5. 61 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 338 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais les personnes à qui on souhaite s'adresser. En créant cette rubrique, les rédacteurs de l'Ardennais de Paris ont permis la diffusion d'informations à la fois publiques et privées dont les réfugiés sont aussi bien destinataires qu'informateurs. C'est ce fonctionnement à double sens, tout à fait novateur, qui est la clé du succès du journal. La rubrique fonctionne comme un système de petites annonces répertoriées par commune63, cela permet aux lecteurs de connaître rapidement des personnes de leur commune ou des environs qui cherchent ou donnent des informations. La plupart du temps, il s'agit pour les réfugiés d'avoir des nouvelles de leur famille logée dans une autre ville : afin de permettre le regroupement familial ou tout du moins de rassembler les personnes selon leur commune d'origine, l'Ardennais de Paris diffuse des listes de réfugiés ardennais en précisant la commune d'accueil. Cela permet aussi à ceux qui sont partis d'obtenir des informations sur les régions occupées : celles-ci sont collectées par le journal auprès des réfugiés (puis à partir de 1915 des évacués) lorsqu'ils arrivent en France. Pendant tout le conflit, l'Ardennais de Paris retranscrit de nombreuses offres d'emplois à destination des réfugiés. Celles-ci émanent la plupart du temps d'Ardennais qui ont du travail à offrir à leurs compatriotes : la solidarité locale fonctionne ici pleinement et permet d'aider des personnes qui, en quittant leur domicile dans les régions occupées, ont aussi perdu toute source de revenu. Ces emplois sont donc une bouffée d'oxygène pour beaucoup de familles qui n'ont souvent pas assez de l'allocation versée par l'État aux réfugiés pour vivre. À partir de 1916 et jusqu'à la fin de la guerre arrivent des personnes évacuées qui sont dans une situation financière difficile : la Fraternelle Ardennaise essaie donc, avec ses moyens, de les aider au mieux et supplée ainsi les services de 63 Voir annexes n°6 et 7. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 339 l'État. Le but du journal est aussi de servir de relais entre réfugiés, notamment pour trouver du travail. Des petites annonces sont présentes dans tous les numéros où l'on retrouve des annonces d'emploi : ce sont des réfugiés qui cherchent des employés auprès d'autres réfugiés. Nous le voyons, la solidarité endogamique fonctionne pleinement. Dans les annonces pour vendre des produits ou dans les publicités, les commanditaires de ces dernières font apparaître leur commune d'origine64 : ils veulent montrer qu'ils sont réfugiés pour s'attirer peut être la sympathie des habitants de Paris mais surtout pour que les autres réfugiés, éventuels acheteurs de leurs produits qui auront d'autant plus confiance qu'il s'agit d'un compatriote originaire de la même « petite patrie ». La solidarité entre réfugiés est donc ici un argument de vente. Après l'armistice du 11 novembre 1918, une nouvelle rubrique apparaît dans le journal : il s'agit de l'organisation du rapatriement vers leur région d'origine. Cette rubrique est avant tout informative : elle donne des renseignements précis sur les moyens de rentrer chez soi, sur les personnes à qui s'adresser pour réintégrer son domicile, sur l'état des communes et des voies de communications après le départ des Allemands. Nous venons de le voir, l'accueil des personnes qui ont quitté les territoires occupés a été géré en partie par des associations qui ont dû faire face à un afflux massif et continu de gens tout au long du conflit. Elles sont ainsi des auxiliaires de l'État qui, pour sa part, mène avant tout la guerre : le sort des réfugiés importe peu. 64 Voir annexes n°8 et 9. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 340 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais Conclusion Entre 1914 et 1918, près de deux millions personnes ont fui les territoires passés sous le contrôle des troupes de Guillaume II dans le nord et l'est de la France. Que ce soit des réfugiés qui, en 1914, sont partis à cause de l'invasion allemande, ou des évacués qui ont pu quitter les zones administrées par l'ennemi à partir de 1915, elles ont en commun d'avoir été déracinées par la guerre et poussées, durant la durée du conflit tout du moins, sur les routes de l'exil. Ce chiffre de « déracinés » est une estimation d'après les travaux du spécialiste de la question Philippe Nivet65. L'historiographie française de la Première Guerre mondiale les a longtemps laissé de côté : ils ont été, pour paraphraser Annette Becker, dont les travaux sont pionniers sur le sujet, les « oubliés de la Grande Guerre66 ». Les travaux de Philippe Nivet, nous l'avons vu, sont aussi précurseurs que novateurs sur ce même sujet. Si de nombreuses études sur l'occupation allemande sortent dans les années 1920, elles sont à charge car elles traitent généralement des exactions allemandes et ont un écho uniquement local. Les Français des autres régions, touchés par la perte d'un des leurs au combat, s'intéressent peu au sort des habitants des anciennes régions occupées qui leur paraissent lointaines. Le sort de tous ceux qui ont quitté ces espaces sous domination ennemie est donc secondaire par rapport aux préoccupations de l'ensemble des Français qui cherchent avant tout à avoir des nouvelles de leurs proches mobilisés au front. La plupart de ceux qui ont quitté ces régions meurtries rentrent dès la fin des combats, au plus tard dans le courant de l'année 1919. Ils trouvent des communes détruites par les combats et les pillages 65 NIVET, Les réfugiés français de la Grande Guerre, 1914-1920. A. BECKER, Oubliés de la Grande Guerre, humanitaire et culture de guerre, Paris, Pluriel, 1998. 66 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 341 de l'armée allemande. Les quatre années de guerre ont laissé une marque indélébile dans les paysages mais aussi dans les esprits. D'ailleurs, dans plusieurs journaux intimes écrits durant le conflit par des civils qui ont dû fuir leur région occupée, l'amertume domine : celle d'avoir laissé les siens et ses biens aux mains de l'ennemi mais, plus encore, celle d'être mal reçus à leur arrivée en « France libre » par des compatriotes qui ne comprennent pas leur situation. Après-guerre malgré de nombreuses campagnes de presse dans67 les journaux qui leurs sont dédiés, ils ne pas être reconnus, comme des victimes à part entière, à l'égal des poilus. En effet, si des récompenses sont créées par l’État en France pour les civils, peu ont été remises à des réfugiés ou à des rapatriés ; preuve que leur sort, aussi bien pendant qu'après le conflit, a peu ému la population française. 67 Médaille des victimes de l'Invasion, surtout remise pour des actes de résistance ou de déportation ; Médaille de la Reconnaissance française, donnée aux civils qui ont servi le pays, surtout dans le cadre d'actes de résistance ou pour des missions médicales. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 342 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais ANNEXES Annexe 1 : Une de l'Ardennais de Paris, n°24, 24 décembre 1914, Archives départementales des Ardennes, PER H27 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 343 Annexe 2 : Une de l'Ardennais de Paris, emprunt national, n°179, 2-9 décembre 1917, Archives départementales des Ardennes, PER H27 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 344 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais Annexe 3 : Article pour la défense des intérêts des réfugiés auprès du reste de la population française afin d'obtenir des aides supplémentaires, notamment lors des négociations de paix à venir. Ardennais de Paris, n°240, 2-9 février 1919, Archives départementales des Ardennes, PER H27 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 345 Annexe 4 : Article en faveur de la reconstruction des territoires touchés par la guerre et l'occupation allemande, ici l'économie agricole. Le but du journal est de servir de lobby pour défendre les intérêts des régions occupées. Ardennais de Paris, n°240, 2-9 février 1919, Archives départementales des Ardennes, PER H27. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 346 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais Annexe 5 : Rubrique régulière dans le journal : les « recherches dans l'intérêt des familles ». Classées par commune d'origine dans les Ardennes, les réfugiés interrogent les lecteurs pour avoir des nouvelles de personnes de leur famille ou de leur commune, réfugiés eux aussi. Le journal sert donc d'intermédiaire. Ardennais de Paris, n°179, 2-9 décembre 1917, Archives départementales des Ardennes, PER H27. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 347 Annexe 6 et annexe 7 : rubrique régulière dans le journal : l'adresse des réfugiés dans leur commune de séjour en France. Ces adresses sont classées selon la commune d'origine dans les Ardennes. Ardennais de Paris, n°168, 310 octobre 1917, Archives départementales des Ardennes, PER H27. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 348 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais Annexe 8 : publicité pour un atelier de chaudronnerie tenu par un Ardennais réfugié à Paris. Il faut noter que l'origine du chaudronnier est mise en avant pour attirer vers lui la clientèle des autres réfugiés présents dans la capitale. Ardennais de Paris, n°118, 18-25 octobre 1916, Archives départementales des Ardennes, PER H27. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 349 Annexe 9 : Publicité pour une vente de pommes de terres en région parisienne. Là encore le vendeur met en avant sa commune d'origine dans les Ardennes pour montrer son statut de réfugié et ainsi attirer une clientèle composée par d'autres déracinés. Ardennais de Paris, n°128, 18-25 octobre 1916, Archives départementales des Ardennes, PER H27. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 350 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais Liste des sources Archives Nationales : F 23/2 : réfugiés, recherches de familles F 23/3 : Réfugiés : circulaires et instructions (1914-1919), libérés et rapatriés (1917-1919) F 23/4 : journaux de réfugiés F 23/12 : rapatriement, généralités F 23/15 : rapatriement d’enfants français Série AJ 4 : interrogatoires de rapatriés dans leur département d'accueil Service Historique de la Défense : 5 N 367 : rapatriés (coupures de presse) 5 N 377 : L’Ardennais de Paris 6 N 81 : rapatriés (fonds Clemenceau) 7 N 143 : rapatriés (circulaire sur les rapatriés) 7 N 550-551 : rapatriés (statistiques) 16 N 669 : interrogatoires des réfugiés évacués par les allemands, notes sur les habitants des pays envahis 16 N 1226-1227 interrogatoires de rapatriés (1917-1918) 16 N 1583 : rapatriés (correspondance, centres de rapatriement) 17 N 441-442 évacuations des populations du Nord et du Pas de Calais 18 N 191-192 : interrogatoires des rapatriés 19 N 355-356 : renseignements fournis par les rapatriés sur l’organisation défensive allemande 19 N 360 : renseignements recueillis par la sûreté auprès des civils rapatriés Archives Départementales des Ardennes : Per H 27 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Charles, Accueillir les réfugiés ardennais 351 Bibliographie AMARA M., Des Belges à l’épreuve de l’Exil, Les réfugiés de la Première Guerre mondiale, France, Grande-Bretagne, PaysBas, Bruxelles, éditions de l’Université, 2008 BECKER A., Oubliés de la Grande Guerre, humanitaire et culture de guerre, Paris, Pluriel, 1998 HORNE J., KRAMER A. (eds.), German Atrocities, 1914. A History of Denial, New Haven et Londres, Yale University Press, 2001, [trad. française 1914, les atrocités allemandes, Tallandier, 2005] HORNE J., KRAMER A. (eds), German « Atrocities » and FrancoGerman Opinion 1914 : The Evidence of German Soldier’s Diary, in «Journal of Contemporary History» 66/1 (1994), pp 1-33 MCPHAIL H., The Long Silence : Civilian Life under the German Occupation of Northern France, 1914-1918, Londres-New York, I.B. Taurus, 2001 NIVET P., Les réfugiés français de la Grande Guerre, 19141920, les « Boches du Nord », Paris, Economica, 2004 NIVET P., La France occupée, 1914-1918, Paris, Armand Colin, 2011 POURCHER Y., Les jours de guerre. La vie des Français au jour le jour entre 1914 et 1918, Paris, Hachette-Pluriel, 1995 [1ère éd. 1994] Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 352 Charles, Accueillir les réfugiés ardennais PROCTOR T., Civilians in a world at war, 1914-1918, New York, NYU Press, 2010 RICHARD R., Réfugiés, prisonniers et sentiment national en milieu rural en 1914-1918. Vers une nouvelle approche de l’Union sacrée, in «Annales de Bretagne», 105 (1998-4) STIBBE M., The Internement of Civilians by Belligerent States during the First World War and the Response of the International Commitee of the Red Cross, in «Journal of the Contemporary History», 41 (janvier 2006), pp. 5-19 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Campanile, Robert Fano 353 Robert Fano e il coraggio di vivere il “non luogo” di Benedetta CAMPANILE Università degli studi di Bari “Aldo Moro” DOI 10.26337/2532-7623/CAMPANILE Riassunto: L’esperienza dell’esilio di Roberto Fano è uno dei casi a “lieto fine” che accomuna i figli degli intellettuali ebrei italiani integratisi nel contesto scientifico statunitense tanto da essere determinanti per il posizionamento mondiale degli USA. In questo articolo si analizza il viaggio dalla denazionalizzazione alla ri-nazionalizzazione alla luce dell’attività scientifica di Fano e del mutamento del senso di appartenenza della comunità del MIT unita dagli ideali di libertà e creatività. Abstract: Robert Mario Fano, in his exile experience, positively integrated himself in the US context as many of Italian Jewish intellectuals did. He strongly contributed in the global scientific positioning of the hosting country. In this article, we analyze Fano’s journey, the impact of his scientific production and the change in the national belonging sense of MIT’s scientific community. Keywords: Robert Fano, Project MAC, Computer Science, Jewish Sommario: Introduzione – Esule o immigrato? – Un “giob” al MIT – La realtà del laboratorio di ricerca – Il valore della discontinuità – Projet MAC e il “non luogo” – La Computer Science – Conclusione – Fonti – Bibliografia Saggio ricevuto in data 15 maggio 2017. Versione definitiva ricevuta in data 15 gennaio 2018 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 354 Campanile, Robert Fano La su per le montagne / fra boschi e valli d´or / tra l´aspre rupi echeggia / un cantico d´amor. Làssù sui monti / dai rivi d´argento / una capanna cosparsa di fior. Era la piccola / dolce dimora / di Soreghina / la figlia del Sol. (La Montanara, T. Ortelli, L. Pigarelli, 1927) Introduzione Considerato l’inno internazionale della montagna, La Montanara è la canzone nostalgica cara a un amante delle Alpi, quale fu Roberto Mario Fano (1917-2016), esule da Torino all’età di ventidue anni a causa delle Leggi razziali. In questo canto dall’accento nazional-popolare, che narra la storia della principessa Soreghina, la cui vita dipendeva dalla luce del sole, si celano i sentimenti di memoria e provocazione che l’allontanamento forzato dai luoghi d’origine ha rappresentato per questo scienziato italiano: il ricordo del buio del periodo nazi-fascista e la rivincita per la luce ritrovata negli Stati Uniti (USA). Qui accoglienza e tolleranza riattivarono le sue energie per realizzare un futuro di successo, senza mai spegnere l’amore per l’Italia. All’età di novantacinque anni, infatti, del viaggio americano conclusosi positivamente con il raggiungimento degli obiettivi professionali, la costituzione di una famiglia e il compiacimento di aver lasciato un segno nella storia della scienza americana e mondiale, Roberto, americanizzato Robert o Bob, si sentiva pienamente appagato1. Il ritorno in Italia in fondo non lo aveva mai interessato, poiché la nazione lasciata aveva perso gran parte del suo fascino rimanendo indietro in quasi tutti i 1 B. CAMPANILE, Intervista a R. Fano, Concord. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Campanile, Robert Fano 355 campi in cui primeggiava nel lontano ’39: economico, sociale, culturale e scientifico. Con la sua attività, invece, Bob aveva contribuito a determinare il primato tecnologico-scientifico mondiale della nuova patria, creando lo spazio per un ambito scientifico totalmente nuovo, la Computer Science, e aveva dato i natali a quella “patria globale”, il “non luogo”, che oggi chiamiamo Internet, in cui la comunicazione supera i confini geografici, i pregiudizi razziali e i colori politici. Questo giudizio positivo rientra nella consapevolezza maturata nel dopoguerra da molti scienziati europei americanizzati di aver contribuito al ribaltamento del primato scientifico tra USA ed Europa in favore dei primi. Di certo l’ambiente liberale statunitense, reso attrattivo dalla disponibilità di lavoro in ambiente accademico, favorì le menti europee affinché esprimessero visioni “transculturali” e “transnazionali”2. Ma lo slittamento a Ovest fu conseguenza della reciproca influenza tra le pratiche introdotte nel contesto statunitense dagli scienziati europei emigrati per sfuggire al nazi-fascismo e l’impegno economico del Governo Federale nel rifondere, attraverso i militari, svariati indirizzi di ricerca. Si trattò di un processo lento e non sempre lineare, che assunse diverse sfumature a seconda della provenienza dell’emigrazione3. Anche se ciò non è sufficiente a disegnare uno scenario «funzionale a una qualsivoglia nozione 2 S.J. PATTERSON, A comparison between the development of number theory in the USA and the UK, in Emigration of Mathematicians and Transmission of Mathematics: Historical Lessons and Consequences of the Third Reich, in «Mathematisches Forschungsinstitut Oberwolfach Reports», 51(2011), pp. 2955-2957 (p. 2957). 3 M.G. ASH, Forced migration and scientific change in the Nazi era, in Emigration of Mathematicians and Transmission of Mathematics, p. 2899. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 356 Campanile, Robert Fano di umanesimo»4, può essere utile analizzare l’esperienza di Roberto Fano, in parte analoga a quelle di altri intellettuali ebrei europei esuli in USA5, per impostare una possibile interpretazione. Esule o immigrato? A ottobre del ’39, in partenza verso gli USA, il quasi ingegnere torinese Roberto si considerava un “immigrato”, come dire un “emigrante volontario”6, in cerca di un ambiente meno ostile di quell’Italia che precludeva di fatto la sua realizzazione sociale. L’entusiasmo dei vent’anni, la determinazione a perseguire gli obiettivi personali per mantenere alto il prestigio familiare, la familiarità con un ambiente conosciuto in vacanza e la certezza di ricongiungersi con il fratello Ugo (1912-2001)7, costituivano gli elementi con i quali mitigare la sofferenza per l’inevitabile separazione dai parenti, dagli amici, dai luoghi e dagli studi. Gli ebrei italiani giunti in America alla vigilia dell’immensa tragedia della guerra, infatti, «si dividevano in due gruppi, quelli che erano venuti come immigrati e quelli che erano venuti 4 E.W. SAID, Riflessioni sull’esilio, tratto da ID., Reflection on Exile and Other Essays, Cambridge, Harvard University Press, 2003, pp. 173-186, <http://www.sagarana.net/rivista/numero33/saggio5.html> (30-03-2017). 5 G. ISRAEL, A. MILLÁN GASCA, Von Neumann. La matematica per il dominio della realtà, in «I grandi della scienza», 26, aprile 2002, pp. 44-50; Emigration of Mathematicians and Transmission of Mathematics, p. 2939. 6 R. SIEGMUND-SCHULTZE, Mathematicians Fleeing from Nazi Germany. Individual Fates and Global Impact, Princeton, University Press, 2009, pp. 112 (p. 5). 7 R. M. FANO, In Loving Memory of my Father Gino Fano, in A. COLLINO, A. CONTE, M. MARCHISIO (eds.), Proceedings of the Fano Conference, 29 September - 5 October 2002, Torino, 2004, pp. 1-4 (p. 2). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Campanile, Robert Fano 357 come rifugiati»8. I primi cercavano di integrarsi nel nuovo mondo, mentre gli altri erano sempre pronti a tornare in patria. Roberto, detto Tuccio, proveniva da un ambiente “speciale”, Torino, che era una delle quattro città in Italia dove si erano formate le più grandi comunità di ebrei. Quella torinese, in particolare, era caratterizzata da peculiari dinamiche d’integrazione favorite dallo Stato sabaudo che avevano creato una tradizione culturale scientifica quantitativamente e qualitativamente importante per la formazione scolastica locale. Principalmente connessa al sapere matematico applicato, ingegneristico o finanziario, visto in prospettiva occupazionale, questa tradizione era mutata a partire da metà Ottocento quando in alcune famiglie ̶ Segre, Levi, Loria, Padoa, Artom ̶ i giovani avevano intrapreso indirizzi di ricerca pura, guidati dal puro desiderio di conoscenza ed erano approdati alle cattedre universitarie.9 Tra questi giovani era anche il padre di Roberto, Gino (18711952)10, prima studente e poi docente di Matematica dell’Università di Torino. La famiglia di Gino era originaria di Mantova 8 G. PONTECORBOLI, America nuova terra promessa. Storie di italiani in fuga dal fascismo, Milano, Francesco Brioschi, 2013, p. 144. 9 E. LUCIANO, Mathematics and Race in Turin: The Jewish community and the local context of education (1848-1945), in “Dig where you stand” 4, Proceedings of the Fourth International Conference on the History of Mathematics Education, September 23-26, 2015, University of Turin, Roma, Nuova Cultura, 2017, pp. 189-201 (p. 189). 10 F. LERDA, Fano, Gino, in Dizionario Biografico degli Italiani, v. 44, 1994; A. Terracini, Commemorazione del socio G. F., in «Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei», classe di scienze fisiche matematiche e naturali, s. 8, XIV (1953), pp. 702-715; Id., Necrologio: Gino Fano, in «Bollettino dell’Unione Matematica Italiana», s. 3, v. 7, n. 4, 1952, pp. 485-490. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 358 Campanile, Robert Fano dove gli avi, simpatizzanti dei Savoia, avevano acquisito un’ottima posizione economica e sociale grazie prima al commercio di tessuti di lana e poi agli affari bancari11. Mentre Gino fu espulso dall’Università di Torino in seguito al R. D. Legge n. 1390 del 5 settembre del 1938, la stessa legge consentì a Roberto di terminare la frequenza del corso di Ingegneria del Politecnico di Torino. Ma le prospettive disegnate dallo scoppio della guerra indussero la famiglia Fano a valutare concretamente la possibilità di lasciare l’Italia. Il fratello Ugo, già fisico al seguito di Enrico Fermi, e la sua fidanzata, Camilla Lattes, erano incitati da parenti ed amici a raggiungere la Francia o l’Argentina12, mentre il cugino Giulio Racah (1909-1965), già docente di Fisica all’Università di Pisa, partiva per la Palestina. In realtà un primo segnale del clima politico ostile fascista era stata l’esclusione del professor Fano, insieme ad altri candidati ebrei, dall’ammissione all’Accademia d’Italia13. Per il matematico, che apparteneva alla generazione di ebrei che aveva realizzato la propria integrazione sociale studiando e coronando con successo la carriera14, l’idea di allontanarsi dalla patria per 11 U. FANO, The Memories of an Atomic Physicist for my Children and Grandchildren, in «Physics Essays», 13, 2-3 (2000), pp. 176-197 (pp. 176-177). 12 PONTECORBOLI, America nuova terra promessa, p. 63. 13 A. CAPRISTO, L’esclusione degli ebrei dall’Accademia d’Italia, in «La Rassegna mensile di Israel», 67, 3 (2001), p. 18. 14 Nel 1848 il Regno Sabaudo aveva aperto per primo l’accesso alle università agli ebrei e ai valdesi. E. LUCIANO, L’impegno dei matematici dell’Università di Torino al progresso scientifico e il contributo della comunità ebraica, in F. FERRARA, L. GIACARDI, M. MOSCA (eds.), Conferenze e Seminari 20082009, Torino, Kim Williams Books, 2009, pp. 217-227; ID., “Illustrare la Nazione col senno e colla mano”. Ebraismo e istruzione nel Piemonte risorgimentale, in C.S. ROERO (ed.), Contributi dei docenti dell’Ateneo di Torino al Risorgimento e all’Unità, Torino, DSSP, 2013, pp. 315-354. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Campanile, Robert Fano 359 la quale suo padre si era battuto da convinto garibaldino era inaccettabile15. Infatti nelle ricche ed emancipate famiglie ebree torinesi l’identità religiosa si era fusa con gli ideali patriottici e il culto dello Stato era diventato un valore16. Roberto ricordava che lo sconforto del Professore era profondo, poiché vedeva crollare contemporaneamente i tre ideali della sua vita: la famiglia, la patria e la professione17. I successi professionali, in particolare, dei giovani matematici ebrei epurati dalle leggi razziali erano evidenti nelle carriere di Corrado Segre, Beppo Levi, Gino Loria, Azeglio Bemporad, Ida Terracini e Costantia Levi. L’espulsione andava a sconvolgere, quindi, l’importante impianto di ricerca e di insegnamento accademici a Torino che avevano costituito un ponte tra i due stili di ricerca e di insegnamento della “scuola di Segre” e dei seguaci di Peano18. Gino alla fine riuscì a considerare come possibile destinazione temporanea Losanna. Nella Svizzera che offriva ancora un transito libero in Europa19, infatti, si ritrovarono molte famiglie ebree borghesi, poiché riuscirono a esportare parte del proprio patrimonio in attesa di una stabilizzazione sicura. Usando abilmente il contrabbando, anche Roberto riuscì a trasferire fuori dall’Italia il denaro necessario per ottenere il visto per l’Ame- 15 Allievo di Guido Castelnuovo, nel 1899 Gino Fano aveva rinunciato alla cattedra di Geometria a Gottinga per quella di Algebra e geometria analitica all’Università di Messina. Dal 1901 era passato su quella di Geometria proiettiva e descrittiva con disegno all’Università di Torino. FANO, In Loving Memory of my Father Gino Fano, p. 2. 16 LUCIANO, Mathematics and Race in Turin, p. 190. 17 Ivi, p. 3; FANO, The Memories of an Atomic Physicist for my Children and Grandchildren, pp. 176-197. 18 LUCIANO, Mathematics and Race in Turin, p. 199. 19 Sull’emigrazione degli ebrei in Svizzera si veda R. BROGGINI, La frontiera della speranza. Gli ebrei dall’Italia verso la Svizzera, 1943-1945, Milano, Mondadori, 1998. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 360 Campanile, Robert Fano rica, così non ebbe bisogno dell’aiuto dei comitati che finanziavano i rifugiati europei20. Ma la mancanza del passaporto gli impediva di raggiungere il porto francese d’imbarco per gli USA. Nel raggiungere Gino e sua moglie Rosetta che erano a Losanna da gennaio del ’3921, incrociò il cugino Leo Wollemborg, che, grazie alla fortuita intermediazione di un alto prelato presso l’ambasciatore francese in Svizzera, riuscì ad ottenere un lascia passare per la Francia22. Roberto raggiunse infine Ugo, che aveva trovato appoggio a Washington come ricercatore non pagato per il Department of Terrestrial Magnetism della Carnegie Institution23. Il primo approccio con la realtà americana, come quello di molti giovani esuli/emigranti, fu caratterizzato da «disperati tentativi di stringere un contatto soddisfacente con il nuovo contesto»24, cercando di acquisire le «regole di comportamento per inserirsi nella società americana, il cosiddetto american way of life». Per la sua educazione non strettamente osservante dei dogmi religiosi, infatti, era desideroso di uscire al più presto dalla mentalità chiusa del ghetto25. 20 In Gran Bretagna fu costituita una delle società più attive nell’assistenza ai rifugiati accademici europei vittime delle persecuzioni anti-Semite e politiche, la Society for the Protection of Science and Learning. R. NOSSUM, Refugee mathematicians from non-German academia assisted by the Society for the Protection of Science and Learning, in Emigration of Mathematicians and Transmission of Mathematics: Historical Lessons and Consequences of the Third Reich, pp. 2938-2939. 21 Gino Fano rimase in Svizzera fino al ’46, dove tenne conferenze al Circle Mathematique e insegnò Geometria descrittiva all’École d’Ingénieurs. Tornato in Italia, trascorreva l’inverno in America dai figli e i mesi estivi nella casa di famiglia in Veneto. 22 CAMPANILE, Intervista a R. Fano, Concord. 23 FANO, The Memories of an Atomic Physicist, p. 190. 24 SAID, Riflessioni sull’esilio, pp. 173-186. 25 G. PONTECORBOLI, Robert Fano, il padre di Internet in fuga da Mussolini, in «Lastampa.it», 23-04-2010, <www1.lastampa.it> (11-01-2013). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Campanile, Robert Fano 361 Un “giob” al MIT L’integrazione passava innanzitutto per il riconoscimento ufficiale della conoscenza della lingua. Al liceo Roberto aveva studiato l’inglese, che dagli inizi degli anni Trenta era diventata la lingua più usata in ambito bibliografico scientifico al posto del tedesco. Questo processo, iniziato subito dopo la Prima Guerra Mondiale, era stato la conseguenza della scissione tra gli schieramenti belligeranti che non aveva risparmiato la comunità scientifica26. Così erano state progressivamente abbandonate le mete tradizionali della mobilità di studio, Gottinga e Berlino, dove si erano diretti i giovani matematici europei e d’oltralpe più promettenti 27, come Gino Fano, fluency in francese e tedesco, John von Neumann (1903 – 1957) o lo statunitense Oswald Veblen (1880 – 1960)28 non solo per acquisire la tecniche più nuove ma anche per inserirsi negli indirizzi di ricerca internazionali più innovativi. Le nuove generazioni come quella di Robert erano cresciute, invece, considerando l’inglese come lingua franca per la circolazione di conoscenze tra le nazioni alleate. I giovani guardavano agli Stati Uniti come nuova meta di viaggio istruttivo per le interessanti novità tecnologiche e non solo. Ad esempio in Spagna, dinanzi alla svolta dittatoriale seguita alla Guerra Civile, la pur minima mobilità che aveva caratterizzato i giovani scienziati matematici, si orientò verso mete più liberali come gli 26 R. FOX, Science without Frontier, Corvallis, Oregon State University Press, 2016, pp. 57-64. 27 PATTERSON, A comparison between the development of number theory in the USA and the UK, in Emigration of Mathematicians and Transmission of Mathematics, p. 2956. 28 A. GUERRAGGIO, P. NASTASI, Italian Mathematics Between the Two World Wars, in «Science Networks. Historical Studies», 29 (2006), pp. 243-281; G. BALEY PRICE, The Mathematical Scene, 1940-1965, in P.L. DUREN, R. ASKEY, U.C. MERZBACH (eds.), A Century of Mathematics in America, Part I, Providence, RI, American Mathematics Society, 1988, pp. 379-404. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 362 Campanile, Robert Fano USA e la Gran Bretagna29, che potevano assicurare ancora un modello di scienza cosmopolita e non nazionalista30. Infatti, bisogna ricordare che l’adesione agli obiettivi della nazione americana e la rinuncia ad ogni forma di condizionamento da parte della patria d’origine erano obbligatorie per gli emigrati che giungevano in America perché era una delle dichiarazioni della “Declaration of Intention” che l’Immigration dava da compilare ai nuovi arrivati prima di rilasciare il visto d’ingresso. In questo spostamento linguistico precedente alla guerra si può dunque cogliere un primo segnale del movimento verso Ovest degli scienziati europei, che le persecuzioni naziste avrebbe poi accelerato31. Un movimento quindi non solo forzato ma anche guidato, come nel caso di Roberto, dalla volontaria scelta di un ambiente più moderno, ritenuto già in partenza più interessante e consono alle proprie attitudini. Il livello di conoscenza dell’inglese richiesto per l’ammissione ai corsi americani passava per il giudizio di un test di valutazione e Roberto, suo malgrado, dovette frequentare un corso per colmare le sue lacune. Comunque il giovane italiano fu sorpreso dalla «gentilezza» degli insegnanti e dalla differenza dell’ambiente culturale americano; il pragmatismo poteva addirittura risultare offensivo e l’antisemitismo era latente ma diffuso. La società americana era profondamente divisa tra ebrei e non ebrei, mentre in Italia questa classificazione non esisteva prima delle leggi razziali32. Con la crescita del nazi-fascismo, però, i college americani furono pronti ad accogliere gli studiosi 29 J. M. PACHECO, Mobility and migration of Spanish mathematicians during the years around the Spanish civil war and WWII, in Emigration of Mathematicians and Transmission of Mathematics, pp. 1-27. 30 FOX, Science without Frontier, p. 97. 31 Emigration of Mathematicians and Transmission of Mathematics, p. 2899. 32 PONTECORBOLI, America nuova terra, pp. 147-148. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Campanile, Robert Fano 363 espulsi dai regimi europei, i cosiddetti emigrés scholars33, che in un primo tempo erano stati accettati ma discriminati a insegnare in scuole per afro-americani34. La reazione iniziale di Robert al cambiamento culturale fu di spaesamento, ma ben presto la determinazione prevalse sullo sradicamento35. Infatti, desideroso di «costruirsi da solo», senza dover contare su un cognome prestigioso e sui privilegi di cui godeva in Italia la sua famiglia36, rivolse l’attenzione alle elitarie università americane per iscriversi a un corso di ingegneria e terminare gli studi. Le barriere d’ingresso lo intimorivano ma la determinazione della cognata lo convinse a scegliere il Massachusetts Institute of Technology (MIT)37, che all’epoca rappresentava il politecnico più prestigioso negli USA38. Con grande sorpresa fu ammesso al quarto anno del corso di Ingegneria elettrica e ottenne anche il riconoscimento dei corsi umanistici svolti al liceo classico39. Robert si stabilì a Brookline, a Boston, dove risiedevano molte famiglie ebree40. Al MIT notò subito l’alta qualità dell’organizzazione, la grande disponibilità dei docenti a dialogare con 33 C.-D. KROHN, L’esilio degli intellettuali tedeschi negli Stati Uniti dopo il 1933, in «Memoria e Ricerca», 31(2009), p. 14. 34 R. NOSSUM, Refugee mathematicians from non-German academia assisted by the Society for the Protection of Science and Learning, in Emigration of Mathematicians and Transmission of Mathematics, p. 2939. 35 PONTECORBOLI, America nuova terra promessa, p. 72. 36 Ivi, p. 164. 37 Ivi, p. 166. 38 Il MIT era stato fondato da William Barton Rogers con il preciso intento di emulare i politecnici europei. B. CAMPANILE, Vannevar Bush da scienziato a tecnologo. La nascita della Società dell’Informazione, Roma, Aracne, 2016, pp. 32-33. 39 PONTECORBOLI, America nuova terra, p. 167. 40 L’insediamento ebreo in Massachusetts e in particolare a Boston trovò giustificazione prima nelle opportunità occupazionali del territorio e poi nella Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 364 Campanile, Robert Fano gli studenti e il ritardo della matematica americana rispetto a quella europea. Infatti, era stato allievo del matematico Guido Fubini (1879-1943), ebreo e collega di Gino all’Università di Torino, e conosceva i suoi interessi che spaziavano dalla geometria differenziale all’analisi41. Il ’40 fu un anno particolare al MIT. Le vacanze estive furono contratte per consentire agli studenti di concludere gli studi prima di essere chiamati al fronte42. Così a febbraio del ’41 Robert era già laureato. Il neo ingegnere rifiutò l’offerta di rimanere al MIT come assistente e preferì inseguire il sogno di un lavoro in azienda, con uno stipendio più alto. All’epoca i giovani italiani in cerca di lavoro, di “giobbi”, erano numerosi43, ma l’occupazione era ridotta dalla Grande Depressione e con l’entrata in guerra degli USA, gli italiani erano percepiti come nemici, se non erano fascisti c’era il rischio che fossero filo-comunisti. Per gli ebrei, per di più, era preclusa l’assunzione in molte aziende e studi professionali così come nelle accademie della Ivy League44, che rifiutavano i non wasp, white anglo-saxon protestant, salvezza dalle persecuzioni razziali. Le difficoltà d’inserimento iniziali furono superate solo verso la metà del diciannovesimo secolo. A. WOODLE, Jewish History and Settlement Patterns in Massachusetts, Jewish Genealogical Society of Greater Boston, 2010, <http://jgsgb.org/pdfs/> (4-03-2017), p. 4. Dagli anni Trenta Brookline assunse il ruolo di centro religioso di Boston contando circa 8.000 abitanti ebrei. J.D. SARNA, E. SMITH, S.- M. KOSOFSKY, The Jews of Boston, New Haven, Yale University Press, 2005, p. 139. 41 P. SPEZIALI, Fubini Guido, in Dictionary of Scientific Biography, New York, 1970-1990. 42 MIT, President’s Report 1940-41, Cambridge (MA), MIT, 77, I(October 1941), MIT Archives and Special Collections, Reports to the President, p. 8. 43 A. CAPRISTO, Il decreto legge del 5 settembre 1938 e le altre norme antiebraiche nelle scuole, nelle università e nelle accademie, in «Rassegna mensile di Israel», 73, 2 (2007), pp. 131-167. 44 PONTECORBOLI, America nuova terra, p. 66. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Campanile, Robert Fano 365 cioè coloro che non fossero cittadini statunitensi discendenti dai coloni originari inglesi. Robert accettò quindi un impiego alla General Motors, nello stabilimento di Gran Rapids, in Michigan, ma se ne pentì e a settembre tornò al MIT, dove servivano insegnanti perché molti docenti erano partiti per la guerra. Si trasferì ad abitare a Beacon Street e iniziò l’attività didattica che avrebbe terminato solo nel ’61. Raccontava, infatti: «Mi sono dovuto mettere a fare lezione, non avevo neppure avuto il tempo di finire il master che insegnavo già agli studenti della graduate school»45. La realtà del laboratorio di ricerca Argomento delle lezioni erano le nuove tematiche di comunicazione che stavano emergendo dalla ricerca svolta nei laboratori mobilitati per lo sviluppo di tecnologie militari. Fu proprio il potenziamento di questi laboratori con i fondi federali a dare nuova vitalità all’occupazione e al progresso scientifico46. Ma Roberto non potè lavorare in laboratorio fino al ’44, quando l’Italia uscì dall’alleanza con la Germania, e l’Immigration concesse la security clearance (autorizzazione di sicurezza) necessaria per operare sui progetti militari segreti. Nel campus del MIT, infatti, era stato insediato il Radiation Laboratory (Rad Lab), dove si svolgevano le ricerche segretissime sul radar47. Qui, sotto la direzione del fisico e chimico teorico John C. Slater (1900-1976), il giovane ingegnere iniziò lo studio dei sistemi radar a microonde, che servirono a produrre frequenze basse per 45 Ivi, p. 168. Ivi, p. 77. 47 D. DOUGLAS, MIT and War, in D. KAISER (ed.), Becoming MIT. Moments of decision, Cambridge (MA), MIT Press, 2010, p. 88. 46 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 366 Campanile, Robert Fano intercettare i sottomarini tedeschi48. Partecipò quindi allo sviluppo delle innovazioni ingegneristiche che furono pubblicate poi nel volume 9 della Radiation Laboratory Series. L’esperienza del radar fu particolarmente significativa per la trasformazione dell’ambiente di formazione del MIT e per Fano, poiché caratterizzò il mutamento veloce della scienza e la necessità di trasformare gli ingegneri in scienziati con corsi di alta formazione teorica. Per questo, al termine della guerra, l’orientamento del MIT fu quello di rinnovare i curricula e indirizzare i migliori ingegneri al dottorato e Robert fu tra questi49. Si iscrisse, infatti, al dottorato del Research Laboratory of Electronics (RLE), diretto da J. A. Stratton e A. G. Hill e si trovò a lavorare sugli argomenti che aveva insegnato durante la guerra. Conseguì il dottorato il 16 maggio 1947, con una tesi innovativa dal titolo Theoretical limitations on the broadband matching of arbitrary impedances, sul calcolo dell’impedenza50. Il suo supervisore, l’ingegnere elettrico Ernst A. Guillemin, fu per lui non solo una guida umana e scientifica ma anche colui che lo iniziò alla teoria delle reti: «“open mind and open door” policy (to) the knowledge of network theory»51. Terminato il dottorato, Roberto fu trattenuto ancora al MIT come insegnante secondo i piani del nuovo direttore del Department of Electric Enginnering (DEE), Gordon Brown (190748 K. L. WILDES, N. A. LINDGREN (eds.), A Century of Electrical Engineering and Computer Science at MIT, 1882-1992, Cambridge (MA), MIT Press, 1986, p. 207. 49 J. GUTTAG, P. PENFIELD, Jr., One Hundred Years of Transformation, The Centennial Celebration of the MIT Department of Electrical Engineering and Computer Science, Cambridge (MA), May 23, 2003; P. PENFIELD, Jr., The Electron and the Bit. An essay in seven parts, <http://www-mtl.mit.edu/~penfield/pubs/eb-03.html> (18-04-2017). 50 R. M. FANO, Theoretical limitations on the broadband matching of arbitrary impedances, PhD thesis, 01/01/1947, MIT Library. 51 FANO, Theoretical limitations, p. V. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Campanile, Robert Fano 367 1996), che voleva incrementare la formazione delle nuove generazioni. Condivise con quest’ultimo l’idea di promuovere il libero scambio con le altre accademie delle nuove conoscenze prodotte al MIT e contribuì alla pubblicazione di manuali teorico-applicativi distribuiti gratuitamente, i Green Books52. La cittadinanza statunitense, ottenuta nel ’46, fu la convalida dell’appartenenza alla sua nuova patria, paladina dei valori di democrazia e di libertà di culto, ma formalmente l’ebraismo era ancora un segno di diversità53. La comunità ebraica rimaneva, infatti, chiusa al suo interno, esclusa da alcune zone della città e dai servizi. Ma le accademie e le aziende aprivano a neri ed ebrei e il MIT fu il primo istituto ad assumere stabilmente un ebreo, Jerome B. Wiesner (1915-1994), futuro Presidente dell’Istituto. Qui Robert mantenne una posizione politica neutrale protetta, mentre cresceva una nuova forma di discriminazione, il maccartismo, che nel periodo della Guerra Fredda colpì molti scienziati ebrei, tra i quali forse anche suo fratello Ugo, sospettati di essere “comunisti”54. Il valore della discontinuità Dopo il dottorato Robert decise di cambiare nuovamente ambito di ricerca per avere nuovi stimoli e fu affascinato dalle indagini del vicino di stanza, Norbert Wiener (1894-1964), che tra i principi della Cibernetica esplorava il concetto di entropia, 52 Il programma iniziato nel 1952 da Gordon Brown per diffondere le tecniche ingegneristiche adattate ad ogni disciplina scientifica ha portato nel 2002 all’istituzione del MIT OpenCourseWare, che consente l’accesso libero in Internet ad alcuni corsi istituzionali già svolti e registrati. Fano divenne uno dei primi sostenitori al mondo dell’open-source. P. PENFIELD, Jr., The Electron and the Bit. 53 PONTECORBOLI, America nuova terra, pp. 146-147. 54 Ivi, p. 149. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 368 Campanile, Robert Fano sostenendo che l’«Information is entropy»55. Su questo nuovo tema dell’“informazione” e sulle tecniche di codifica nei canali di trasmissione egli sviluppò il suo lavoro teorico più importante, Transmission of Information: A Statistical Theory of Communications (1949)56, il manuale in due volumi edito in diverse lingue, che avrebbe formato diverse generazioni di giovani57. Questo lavoro lo portò ad avvicinarsi alle ricerche di Claude A. Shannon (1916-2001), dell’Institute of Radio Engineers, autore della più famosa A Mathematical Theory of Communication (1948). Dalla loro collaborazione derivò la tecnica di codifica Shannon-Fano per la compressione dei dati tuttora usata. La carriera proseguì con la nomina a capo del Radar Technique Group, dal ’50 al ’53, nei Lincoln Laboratories che avevano assorbito gran parte del personale del Rad Lab, ma il clima politico della Guerra Fredda ridusse di fatto la libertà che si respirava inizialmente nei laboratori di ricerca, poiché i militari condizionavano gli indirizzi dei progetti finanziati58. Il MIT escluse deliberatamente dal campus gran parte della ricerca militare, anche se alcuni docenti erano consulenti per i segretissimi progetti di ricerca spaziale al Pentagono. Nonostante ciò Robert ebbe l’occasione di avviare un nuovo laboratorio con un importante finanziamento federale per lo sviluppo tecnologico militare in un ambito a lui solo marginalmente familiare, i computer services. 55 CAMPANILE, Intervista a R. Fano, Concord. R. M. FANO, Transmission of Information: A Statistical Theory of Communications, Research Laboratory of Electronics, 2 voll., Cambridge (MA), MIT, 1949-1950. 57 CAMPANILE, Intervista a R. Fano, Concord. 58 A questo proposito si veda la storia del Project SCOOP (Project for the Scientific Computation of Optimum Programs) in How Reason almost lost its Mind. The strange career of Cold War rationality, Chicago, The University of Chicago Press, 2013, pp. 51-53. 56 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Campanile, Robert Fano 369 Project MAC e il “non luogo” Nel ’63, con contratto dell’Office of Naval Research n. 4102(01), Fano avviò il Project MAC59, il progetto che avrebbe reso la computazione interattiva e accessibile a tutti e nel 2003 sarebbe divenuto l’attuale Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory (CSAIL)60. Il progetto era finanziato dall’Advanced Research Projects Agency (ARPA)61, l’agenzia 59 R. M. FANO, Proposal for a Research and Development Program on Computer Systems, submitted to the ARPA, Cambridge (MA), MIT, 1963; ID., The MAC System: The Computer Utility Approach, in «IEEE Spectrum», Jan. 1965, pp. 56-64; ID., The MAC System: A Progress Report, in M.A. SASS, W.D. WILKINSON (eds.), Symposium on Computer Augmentation of Human Reasoning, Washington, DC, Spartan Books, 1965, pp. 131-150; ID., F.J. CORBATÓ, The Time-Sharing of Computers, in «Scientific American», 215, 3 (Sept. 1966), pp. 128-140; ID., Project MAC, in Encyclopedia of Computer Science and Technology, New York, Marcel Dekker, 12 (1979), pp. 339-360; ID., P. ELIAS, Project MAC 25th Anniversary, Cambridge (MA), MIT Laboratory for Computer Science, 1989; J.A.N. LEE, Project MAC (time-sharing computing project), «Annals of the History of Computing», 14, 2 (1992), pp. 9-13; ID., The Project MAC Interviews, «Annals of the History of Computing», IEEE, 14, 2 (Apr-Jun 1992), pp. 14-35. 60 A. CONNER-SIMONS, R. GORDON, Robert Fano, computing pioneer and founder of CSAIL, dies at 98, CSAIL, MIT, July 15, 2016, <http://news.mit.edu/2016/robert-fano-obituary-0715> (15-02-2017). 61 L’ARPA fu costituita nel 1958 per monitorare gli sviluppi tecnologici militari russi e assunse una connotazione insolita perché fu gestita da scienziati dislocati a grandi distanze tra loro. L’Agenzia sviluppò alcune delle tecnologie più innovative nel campo della Computer Science: il sistema operativo time-sharing (MIT Project MAC); la rete a commutazione di pacchetto (ARPANET); il primo sistema di Ipertesto (oNLineSistem); e altri lavori di intelligenza artificiale per il riconoscimento vocale. H. HENDERSON, Encyclopedia of Computer Science and Technology, New York, Facts on File, 2008, revised edition, p. 212. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 370 Campanile, Robert Fano federale del dipartimento della difesa e dalla National Science Foundation e coinvolgeva diversi laboratori del MIT62. L’idea era maturata l’anno precedente durante il viaggio di ritorno in treno da una conferenza a Hot Spring in Virginia63, insieme con lo psicologo J. C. R. Licklider (1915-1990)64, che lavorava all’Information Processing Techniques Office dell’ARPA ed era intenzionato a fondare «un centro di ricerca per offrire accesso a informazioni online per scopi militari e civili»65. In quel periodo «i computer c’erano già da alcuni anni, ma erano degli enormi macchinari che non comunicavano tra di loro». Robert non se ne occupava, ma vide possibile la combinazione delle due idee proposte da Licklider. La prima, esplicitata dallo psicologo ad agosto del ’62, consisteva nella creazione di una Galactic network, un insieme di computer interconnessi a livello globale, attraverso i quali qualunque utente avrebbe potuto accedere a dati e programmi velocemente ovunque si trovasse. Licklider aveva da poco pubblicato il suo testo-manifesto della Human-Machine Interaction, Man-Machine Symbiosis66, 62 Partecipavano le seguenti unità: School of Engineering, Civil Engineering Department, Research Laboratory of Electronics, School of Humanities and Social Science, Social School of Management, School of Science, Computer System Research, Computer Communication Structures, Artificial Intelligence, Library Research, Electronic Systems Laboratory, Lincoln Laboratory. DEFENSE DOCUMENTATION CENTER, MIT Project MAC Progress Report, prof. R. M. Fano, Alexandria (VA), Document Service Center, July 1964. 63 A. L. NORBERG, An interview of Robert M. Fano conducted by Arthur L. Norberg on 20-21 April 1989, Charles Babbage Institute, OH 165. 64 R.M. FANO, Joseph Carl Robnett Licklider 1915-1990. A Biographical Memoir, Washington (DC), National Academies Press, 1998, pp. 1-25. 65 PONTECORBOLI, America nuova terra, p. 168. 66 J.C.R. LICKLIDER, Man-Computer Symbiosis, «IRE Transactions on Human Factors in Electronics», HFE-1 (March 1960), pp. 4-11. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Campanile, Robert Fano 371 nel quale aveva auspicato un ampio sviluppo di applicazioni del computer in ambiti diversi dalla classica computazione. La seconda idea, definita time-sharing system, era stata avanzata da John McCarthy (1927-2011), che lavorava ai progetti di intelligenza artificiale del Computation Center. Consisteva in un nuovo metodo di accesso alle funzioni del nuovo computer a transistor dell’IBM installato al MIT, il 709. McCarthy ne aveva parlato nel 1959 e proponeva che gli utenti comunicassero direttamente con il computer invece di portare le schede perforate ad un operatore per l’elaborazione. Ciascun utente avrebbe inviato online i suoi codici al computer, il quale li avrebbe eseguiti in successione, concedendo a ciascuno l’unità di elaborazione per brevi intervalli di tempo. Questo metodo era alternativo a quello tradizionale, batch processing, con il quale era gestito il grande computer del Center da operatori che facevano eseguire i lavori degli utenti uno alla volta, costringendo questi ultimi a lunghi periodi di attesa per i risultati, mentre la macchina rimaneva inoperosa durante le operazioni di input e output. Philip M. Morse (1903-1985), direttore del Computation Center, aveva affidato al fisico teorico Fernando Corbató, suo assistente, la realizzazione del primo prototipo, che fu chiamato Computation Center Compatible Time-Sharing System (CTSS), perché lavorava in entrambe le modalità. Fano conosceva il CTSS perché collaborava insieme a Philip Morse e Jerome Wiesner al nuovo Center of Communications Science, costituito nel 1958-59 e diretto da Albert J. Hill. Visti gli impegni dei colleghi, diede quindi a Licklider la propria disponibilità ad assumere il carico del progetto che avrebbe messo insieme la tecnologia del CTSS e l’idea della rete. Considerò questa sua nuova attività di ricerca come l’ennesima discontinuità della sua vita, una sfida che avrebbe affrontato sapendo di Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 372 Campanile, Robert Fano poter contare sui colleghi dei laboratori del dipartimento, specializzati sia nella componentistica elettronica sia nel software. La sua esperienza nella redazione di progetti federali avrebbe facilitato gli avanzamenti della ricerca sollevando i giovani ricercatori dagli oneri amministrativi. Così nel breve tempo del weekend del Thanksgiving del 1962, Robert scrisse il progetto che presentò al rettore, Charles Townes, e al presidente del MIT, Julius Stratton67. Strategica fu l’individuazione di due elementi cruciali: la tecnologia e lo spazio dove ospitare il nuovo gruppo di ricerca. La tecnologia, rappresentata dal CTSS di Corbató, avrebbe permesso di comunicare a distanza con il computer centrale. Lo spazio era, tuttavia, un problema non secondario, perché il MIT non aveva né fondi né terreni per costruire nuovi edifici. La soluzione a costo zero fu l’utilizzo di un locale vuoto al 545 di Technology Square (ora 200 Tech Square), in un edificio appena restaurato ma abbandonato del campus, il Building NE43. Qui si poteva costituire la sola direzione del laboratorio, poiché era previsto che ciascun membro del progetto rimanesse nel proprio laboratorio68. La proposta fu accettata e classificata come una Fano’s Folly, perché non fu possibile attribuirle la connotazione di laboratorio con un nome preciso, come avrebbero voluto Fano e Licklider sul modello dell’RLE. L’Amministrazione del MIT, infatti, non consentiva al personale di appartenere a più laboratori, che invece era la peculiare innovazione dell’organizzazione di questo gruppo che avrebbe lavorato senza una sede fisica comune e lontano da Washington. Tuttavia la mancanza di un’identificazione precisa della sede mise in difficoltà l’attribuzione dell’unico impiegato, un assistente di Fano, perché l’Amministrazione non poteva assegnare personale a una sede senza 67 68 CAMPANILE, Intervista a R. Fano, Concord. WILDES - LINDGREN, A Century of Electrical, p. 168. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Campanile, Robert Fano 373 nome, cioè formalmente a un “non luogo”. Il Professore allora fu costretto a regolarizzare l’esistenza di questo laboratorio-“non luogo” assegnandogli il nome di Project MAC69. L’acronimo aveva il duplice significato di Multiple Access Computer e di Machine Aided Cognition e acquisì, scherzosamente, anche quello di Minsky Against Corby, alludendo alla rivalità tra i due “giganti” del progetto, Corbató, direttore del Computer Science Lab e Marvin L. Minsky (1927-2016), direttore dell’Artificial Intelligence Laboratory, autonomo dal 1970. Project MAC fu quindi una prova di grande coraggio, portata avanti da Fano tra difficoltà burocratiche e tecnologiche dovute all’introduzione di un cambiamento nei tradizionali stereotipi di lavoro perché modificava i tempi, i modi e gli spazi del fare ricerca. Esso prese il via ufficialmente il 1º luglio 1963 grazie ai due milioni di dollari concessi dall’ARPA. Al Department of Defense, dove presentò la proposta del MIT per l’idea di Licklider, Fano aveva ritrovato l’amico d’infanzia Gene, Eugene G. Fubini (1913-1997), figlio di Guido, anche lui esiliato. In Italia le due famiglie si erano frequentate stabilendo una salda amicizia. Robert e Gene avevano condiviso la stessa passione per le arrampicate in montagna70 e una vacanza negli USA. Guido Fubini era fuggito prima dei Fano, sistemandosi a Princeton su invito dell’Institute for Advanced Study, così si erano persi di vista. Anche Gene aveva terminato gli studi negli USA e dopo una lunga esperienza nello sviluppo di tecnologie radar e di ingegnerizzazione dei sistemi radio ed elettronici per la difesa, era 69 CAMPANILE, Intervista a Fano, Cambridge. D.G. FUBINI, H. BROWN, Let Me Explain. Eugene G. Fubini’s Life in Defense of America, Santa Fe, Sunstone Press, 2015, p. 56. 70 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 374 Campanile, Robert Fano entrato in politica. Dal ’63 era assistente del Segretario della Difesa, Robert S. McNamara, per il Presidente John F. Kennedy71. Apprezzò subito l’idea di Licklider di sviluppare il time-sharing per l’Human-Computer Interaction per il Governo federale e disse che «could be revolutionary»72. Nel ’63, Corbató dimostrò il funzionamento del CTSS al quale erano collegati venti terminali, cioè postazioni indipendenti che lavoravano condividendo lo stesso sistema e una parte di memoria. In quest’ultima gli utenti potevano depositare i loro programmi per condividerli. Era iniziata una nuova era per il software, che avrebbe indirizzato la creazione dei sistemi operativi, dal Multiplexed Information and Computing Service (1969) fino allo Unix73. Il Project MAC permise a docenti e studenti del MIT di lavorare con maggiore efficienza e, cosa del tutto nuova, di condividere i programmi. Gli utenti iniziarono a dialogare tra loro e con altre università. Questa innovazione assimilò l’uso del computer a quello del telefono, uno strumento di comunicazione, e questo uso divenne una consuetudine lavorativa, ma non solo. 71 Eugene era stato chiamato a Washington dal direttore del Defense Research and Engineering del Pentagono e iniziatore della DARPA, Herb York, che era stato allievo di Emilio Segré all’UC Berkeley. Ivi, pp. 160-161. 72 WILDES, LINDGREN, A Century of Electrical, p. 173. 73 Il primo time-sharing fu implementato al MIT nel ’58 con un “real-time package” fornito dall’IBM per semplificare la comunicazione tra l’operatore e un computer 704. Nel ’61 Corbató dimostrò il funzionamento del time-sharing su un IBM 709 e da questo fu sviluppato nel ’62 il CTSS sull’IBM 7090. Anche la BB&N implementò il time-sharing sul suo PDP-1, con la collaborazione di McCarthy, Fredkin e Licklider. R. M. FANO, The MAC System: The Computer Utility Approach, «IEEE spectrum», 1965, pp. 56-64. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Campanile, Robert Fano 375 Una serie di applicazioni create per questo sistema, come il servizio di Mailboxes74, trasformò gli utenti «into a community». Era nata la «prima immagine» della rete di individui interconnessi tramite computer che sarebbe diventata prima ARPANET e poi Internet75. In questo cambio di paradigma comunicativo possiamo leggere le conseguenze del coraggio di Robert Fano di istituire un “non luogo” o luogo virtuale di lavoro, del quale erano solo implicite le potenzialità. Per Fano era ben chiara la percezione che il computer poteva diventare lo strumento di accesso ad una serie di servizi digitali, basilari come l’acqua e l’elettricità, che avrebbe trasformato il modo di lavorare e di organizzare la vita quotidiana. Egli vedeva quindi convertita «la perdita irrecuperabile di un passato» nella costruzione di un futuro possibile per tutti. La Computer Science Fano lasciò il Progetto nel ’71 per dirigere il nuovo Department of Computer Science76, in cui era stato avviato il primo corso di laurea in Computer Science e nel ’75 il Progetto assunse la sua reale connotazione di Laboratory for Computer Science. 74 E. MORRIS, Did My Brother Invent E-Mail With Tom Van Vleck?, in «The New York Times», 23-06-2011, <http://opinionator.blogs.nytimes.com/2011/06/23/did-my-brother-invent-e-mail-with-tom-van-vleckpart-five/?_r=0# more-96615> (2-05-2017). 75 R. M. FANO, Project MAC Celebration, allegato a Lettera di R. M. Fano a B. Campanile, Boston (MA), 30 maggio 2014. 76 I direttori del Project MAC e CSAIL sono stati: R.M. Fano (1963-1968), J.C.R. Licklider (1968-1971), M. Minsky (1970-1972), E. Fredkin (19711974), P.H. Winston (1972-1997), M.L. Dertouzos (1974-2001), R. Brooks (1997-2007), V. Zue (2001-2011), A. Agarwall (2011-2012) e D. Rus (2012now). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 376 Campanile, Robert Fano Libero dall’insegnamento, Fano si fece promotore con conferenze e interviste in USA e in Europa del valore comunicativo sociale del computer. L’eco delle sue iniziative arrivò anche in Italia, ma il tentativo di “ricongiungimento culturale” con la patria d’origine fallì a causa della distanza intellettuale con un paese in cui prevaleva una burocrazia clientelare77. Fano tornò in Italia non solo per le vacanze con la famiglia. Tra gli altri interventi scientifici78, partecipò all’importante convegno organizzato dall’Accademia dei Lincei nel 1967 sul tema del futuro dell’informatica. L’Italia aveva vissuto in affanno l’avvento dell’informatica per il ritardo tecnologico dovuto alle difficoltà economiche della ricostruzione seguita alla Seconda Guerra Mondiale79. Dopo l’ingresso delle teorie cibernetiche in ambito puramente scientifico e dopo il primo dibattito tra tecnologi e studiosi di “scienze umane” sull’“informatica”, nel XXI Congresso Nazionale di Filosofia, “L’Uomo e la Macchina”, svoltosi a Pisa, ad aprile del 196780, le questioni di più ampio respiro furono affrontate nel convegno organizzato a ottobre dello stesso 77 CAMPANILE, Intervista a R. Fano, Concord. Insieme al più noto Norbert Wiener (1894-1964) e ad altri colleghi, Robert Fano fu a Varenna (Como) tra i relatori delle lezioni del Corso sulla Teoria dell’Informazione, tenuto dal 7 al 19 luglio del 1958, organizzato a cura della Scuola internazionale di Fisica della Società italiana di Fisica e diretto dal fisico teorico Eduardo Caianiello fondatore a Napoli del Laboratorio di cibernetica del CNR. C. POGLIANO, Alla periferia del nascente Impero: il caso Italia (1945-1968), in F. BIANCHINI, S. FRANCHI, M. MATTEUZZI (eds.), Discipline Filosofiche (2007-1): Verso un’archeologia dell’intelligenza artificiale, Macerata, Quodlibet, 2007, pp. 85-120 (p. 103 nota 47). 79 A. LEPSCHY, Prefazione, in La cultura informatica in Italia: riflessioni e testimonianze sulle origini, 1950-70, (Pubblicazioni della Fondazione Adriano Olivetti), Torino, Bollati Boringhieri, 1993, pp. IX-XXIII. 80 V. SOMENZI, Cibernetica, informatica e filosofia della scienza, in La cultura informatica in Italia, pp. 161-190. 78 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Campanile, Robert Fano 377 anno a Roma dall’Accademia dei Lincei su iniziativa di Marcello Conversi. Il tema, “L’Automazione elettronica e le sue implicazioni scientifiche, tecniche e sociali”, trattò tutti gli aspetti dell’Informatica e diede il rilievo culturale a un fenomeno emergente tenuto ancora in secondo piano dall’aspetto prettamente tecnologico-industriale81. Le problematiche sociali e morali strettamente connesse alla nuova tecnologia del time-sharing furono esposte da Robert Fano nel suo intervento. La sua profonda fiducia nella capacità intellettuale della comunità scientifica di tutelare libertà e diritti dell’individuo con un uso corretto della tecnologia, nonostante i suoi effetti talvolta indiretti e indesiderati, pose in risalto il rischio degli abusi che la burocrazia poteva attuare in assenza di una posizione politica chiara82. Ma in Italia la contrapposizione tra cultura scientifica e umanistica era ancora molto forte e, se pure attenuata da questo primo confronto, non trovò nella politica l’elemento equilibratore capace di favorire un dialogo continuo. Conclusione Non abbiamo elementi per affermare che i riconoscimenti alla carriera ricevuti da Fano - tra gli altri il Claude E. Shannon Award nel 1976 e la laurea ad honorem in Ingegneria delle Telecomunicazioni dal Politecnico di Torino nel 1999 -, pur configurandosi come un appagamento per il lavoro svolto, abbiano 81 A. CUZZER, La diffusione dell’informatica in Italia, in La cultura informatica in Italia, pp. 5-36 (p. 33). 82 R. M. FANO, Time-Sharing: uno sguardo al futuro, in Atti del Convegno L’automazione elettronica e le sue implicazioni scientifiche, tecniche e sociali, «Accademia Nazionale dei Lincei», Roma 16-19 ottobre 1967, Quaderno n. 110, Roma, 1968, p. 249. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 378 Campanile, Robert Fano costituito un giusto risarcimento della sofferenza causata dal distacco forzato dalla patria originaria83. Secondo Robert, infatti, il suo impegno scientifico sarebbe stato ugualmente massimo in Italia84, ma in America produsse una “rivoluzione”: «I hope I persuaded you that Project MAC did indeed make the first step of the computer revolution»85. Un cambiamento epocale, come annunciava Charles Percy Snow nella conferenza celebrativa dei cento anni del MIT nel 196186, che è rappresentato anche fisicamente dall’architettura colorata e fuori dai canoni tradizionali dell’edificio che ospita oggi il CSAIL, il Ray and Maria Stata Center. Questo «magnificient symbol», di cui Fano andava molto fiero, è sorto sullo spazio che fu del Rad Lab, il «magical incubator» nel quale Bob vide riconosciuto per la prima volta il diritto di fare ricerca scientifica, quel diritto che avrebbe sancito il credo che l’uguaglianza inizia dall’uguaglianza di opportunità culturali87. Esso esprime «la libertà, lo sconfinamento, la reciproca e mutua integrazione delle sue discipline»: computer science, artificial intelligence, communications, control, linguistics and philosophy88. In questa demolizione e ricostruzione edilizia fisica e virtuale, il “non luogo” è diventato uno spazio civico nuovo, regolato dalla freedom of choice, in cui si creano innovazioni volte a migliorare l’accesso ai servizi digitali89. Afferma, infatti, l’attuale direttore del CSAIL Daniela Rus: «Bob ha fatto un lavoro 83 R. CAMURRI, Idee in movimento: l’esilio degli intellettuali italiani negli Stati Uniti (1930-1945), in «Memoria e Ricerca», 31 (2009), pp. 43-62. 84 PONTECORBOLI, Robert Fano. 85 FANO, Project MAC Celebration. 86 M. GREENBERGER (a cura di), Management and Computers of the Future, Cambridge (MA), MIT Press, 1962, p. 8. 87 LUCIANO, Mathematics and Race in Turin, p. 193. 88 MIT, Living in the Stata, DEE and CS, 2004, <https://eecs-newsletter.mit.edu/articles/2004-fall/living-in-the-stata> (18-04-2017). 89 FANO, Project MAC Celebration. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Campanile, Robert Fano 379 pionieristico in informatica in un momento in cui la maggior parte delle persone considerava l’applicazione ai computer come una curiosità piuttosto che una disciplina accademica rigorosa» e aggiunge: «niente del nostro lavoro qui sarebbe stato possibile senza la sua passione, l’intuizione e la [sua] guida»90. In conclusione si può osservare che la produzione scientifica e la narrazione diretta di Robert Fano di un esilio trasformato in un’esperienza felice, analoga a quella di altri geniali emigranti europei91, ci forniscono l’immagine di un’America accogliente e tollerante che premia il merito, ma non fanno cenno alla condizione straniante derivante dal muoversi in una frontiera al limite tra demolizione del passato e costruzione del futuro che, paradossalmente, ha finito per essere un mondo globalizzato in cui tutti sono stranieri in patria e in cui domina, parafrasando Robert Fox, una “science without frontier” 92. 90 CONNER-SIMONS - GORDON, Robert Fano. ISRAEL, MILLÁN GASCA, Von Neumann, pp. 44-50. 92 FOX, Science without Frontier, p. XV. 91 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 380 Campanile, Robert Fano Fonti CAMPANILE B., Intervista a R. Fano, (inedita), Concord (MA), 21 gennaio 2013 CAMPANILE B., Intervista a R. Fano, (inedita), Cambridge (MA), MIT, CSAIL, 28 gennaio 2013 CAMPANILE B., Lettera di R. M. Fano a B. Campanile, Concord (MA), 30 maggio 2014, raccolta personale Mit, President’s Report 1940-41, Cambridge (MA), MIT, 77, I, October 1941, MIT Archives and Special Collections, Reports to the President. Bibliografia BIANCHINI F., FRANCHI S., MATTEUZZI M. (eds.), Discipline Filosofiche (2007-1): Verso un’archeologia dell’intelligenza artificiale, Macerata, Quodlibet, 2007 BROGGINI R., La frontiera della speranza. Gli ebrei dall’Italia verso la Svizzera, 1943-1945, Milano, Mondadori, 1998 CAMPANILE B., Vannevar Bush da scienziato a tecnologo. La nascita della Società dell’Informazione, Roma, Aracne, 2016 CAMURRI R., Idee in movimento: l’esilio degli intellettuali italiani negli Stati Uniti (1930-1945), in «Memoria e Ricerca», 31 (2009), pp. 43-62 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Campanile, Robert Fano 381 CAPRISTO A., L’esclusione degli ebrei dall’Accademia d’Italia, «La Rassegna mensile di Israel», 67, 3 (2001), pp. 1-36 CONNER-SIMONS A., GORDON R., Robert Fano, computing pioneer and founder of CSAIL, dies at 98, CSAIL, MIT, July 15, 2016, <http://news.mit.edu/2016/robert-fano-obituary-0715> (15-02-2017) Defense Documentation Center, MIT Project MAC Progress Report, prof. R. M. Fano, Alexandria (VA), Document Service Center, July 1964. DOUGLAS D., MIT and War, in D. KAISER (ed.), Becoming MIT. Moments of decision, Cambridge (MA), MIT Press, 2010 DUREN P.L., ASKEY R., MERZBACH U.C. 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Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 384 Campanile, Robert Fano LEE J.A.N., Project MAC (time-sharing computing project), «Annals of the History of Computing», IEEE, 14, 2 (1992), pp. 9-13 LEE J.A.N., The Project MAC Interviews, «Annals of the History of Computing», IEEE, 14, 2 (Apr-Jun 1992), pp. 14-35 LERDA F., Fano, Gino, in Dizionario Biografico degli Italiani, v. 44, 1994 LICKLIDER J.C.R., Man-Computer Symbiosis, «IRE Transactions on Human Factors in Electronics», HFE-1 (March 1960), pp. 4-11 LUCIANO E., Mathematics and Race in Turin: The Jewish community and the local context of education (1848-1945), in “Dig where you stand” 4, Proceedings of the Fourth International Conference on the History of Mathematics Education, September 23-26, 2015, University of Turin, Roma, Nuova Cultura, 2017, pp. 189-201 LUCIANO E., “Illustrare la Nazione col senno e colla mano”. 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Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 386 Campanile, Robert Fano SPEZIALI P., Fubini Guido, in Dictionary of Scientific Biography, New York, 1970-1990 TERRACINI A., Commemorazione del socio G. F., in «Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei», classe di scienze fisiche matematiche e naturali, s. 8, XIV (1953), pp. 702-715 TERRACINI A., Necrologio: Gino Fano, in «Bollettino dell’Unione Matematica Italiana», s. 3, v. 7, n. 4, 1952, pp. 485490. WILDES K.L., LINDGREN N.A., A Century of Electrical Engineering and Computer Science at MIT, 1882-1992, Cambridge (MA), MIT Press, 1986 WOODLE A., Jewish History and Settlement Patterns in Massachusetts, Boston, Jewish Genealogical Society of Greater Boston, 2010, <http://jgsgb.org/pdfs/> (4-03-2017) Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 387 Una storia di accoglienza e solidarietà: il caso degli esuli argentini in Italia negli anni Settanta e Ottanta di Giulia CALDERONI IHEAL – CREDA, Université Paris 3 Sorbonne-Nouvelle DOI 10.26337/2532-7623/CALDERONI Riassunto: Negli anni Settanta migliaia di argentini lasciarono il proprio paese per scappare dalla feroce repressione statale. L’Italia fu uno dei paesi che accolse questi esuli, anche se il governo italiano non riconobbe mai legalmente la loro condizione di esiliati. In assenza di politiche di accoglienza promosse dallo Stato, la popolazione si mobilitò per aiutare queste persone, dando vita a importanti reti di solidarietà. Abstract: During the 1970s thousands of Argentinians fled their country due to harsh state repression targeting any kind of political dissidence. Italy has been a main recipient of these refugees, yet the Italian government has never legally recognized their condition as such. However, despite the lack of welcoming policies, large sections of the Italian population mobilized to support the Argentinean exiled, building significant solidarity networks. Keywords: Exil, Solidarity, Italy Sommario: Introduzione – In fuga da un contesto violento – Le difficoltà nel lasciare l’Argentina – L’arrivo in Italia e l’impatto con un mondo nuovo – La ricezione degli argentini da parte dell’Italia e degli italiani – La ricerca dell’alloggio – L’apprendimento della lingua e l’inserzione dei bambini nelle scuole – La ricerca di un lavoro – Il caso del PRT-ERP nell’Italia settentrionale – Le madri argentine e la parrocchia della Trasfigurazione – Conclusione – Fonti – Bibliografia Saggio ricevuto in data 2 novembre 2017. Versione definitiva ricevuta in data 16 gennaio 2018 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 388 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà Introduzione Negli anni Settanta la regione del Cono Sud latinoamericano fu teatro di alcuni violenti colpi di stato. Ogni golpe è stato il preludio di feroci dittature, fra le più crudeli mai inflitte alla regione e centinaia di migliaia di persone abbandonarono il proprio paese per riparare all’estero. In questo articolo ci occuperemo di un caso che non è ancora stato studiato in modo approfondito, quello degli esiliati argentini in Italia negli anni Settanta e Ottanta. A partire dagli anni 2000 il campo di studi sull’esilio ha acquisito un peso sempre più importante. In presenza di ricerche sugli esiliati argentini in Spagna, Messico, Francia, Belgio o Svezia1, l’assenza di studi sull’esperienza in Italia si manifesta come un pesante vuoto. Il caso dell’esilio argentino in Italia richiede un’attenzione particolare per diversi motivi. Innanzitutto, per il vincolo storico-culturale creatosi in seguito alle grandi ondate migratorie di 1 Per il caso messicano: P. YANKELEVICH, Ráfagas de un exilio: argentinos en México, Città del Messico, El Colegio de México, 2009. Per il caso spagnolo: S. JENSEN, La huida del Horror no fue olvido. El exilio político argentino en Cataluña 1973-1983, Barcelona, M.J. Bosch-Cosofam, 1998; G. MIRA, La singularidad del exilio argentino en Madrid: entre las respuestas a la represión de los ’70 y la interpelación a la Argentina postdictatorial, in P. YANKELEVICH (ed.), Represión y Destierro. Itinerarios del exilio argentino, Buenos Aires, Ediciones Al Margen, 2004. Per il caso francese: M. FRANCO, El exilio : argentinos en Francia durante la dictadura, Buenos Aires, Siglo XXI Editores Argentina, 2008. Per il caso belga: M. VAN MEERVENNE, Buscar refugio en un lugar desconocido. El exilio argentino en Bélgica, Tesi di dottorato in Studi latino-americani sotto la direzione di Marina Franco, Universidad Nacional de San Martin, Buenos Aires, 2013. Per il caso svedese: B. CANELO, Cuando el exilio fue confinamiento: argentinos en Suecia, in P. YANKELEVICH, S. JENSEN (eds.), Exilios. Destinos y experiencias bajo la dictadura militar, Buenos Aires, Libro del Zorzal, 2007, pp. 103-126. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 389 italiani in Argentina fra il XIX e il XX secolo2, che ha avuto un peso non indifferente nella ricezione e nell’accoglienza di questi esuli, molti dei quali di origine italiana. In secondo luogo, per le difficoltà affrontate dagli esiliati rifugiatisi nel Bel Paese: lo Stato italiano non solo non concesse loro lo status di rifugiati politici, ma negò ogni tipo di aiuto. Infine, per il contesto sociopolitico dell’Italia dell’epoca, che viveva una stagione di violenza politica, quella degli “anni di piombo3”. Per queste ragioni, è interessante osservare in che modo gli esiliati argentini siano riusciti a riorganizzare le proprie vite nel contesto italiano e capire quali attori lo abbiano reso possibile. In un Paese in cui non era riconosciuta loro la condizione di rifugiati politici, da chi hanno ricevuto aiuto? Qual è stata la linea politica adottata dallo Stato italiano nei loro confronti? E qual è stato l’atteggiamento della popolazione entrata in contatto con queste persone provenienti dall’altra parte del mondo? Cercheremo di rispondere a queste domande, mettendo l’accento sull’interazione fra gli esuli argentini e la popolazione italiana, con un’attenzione particolare al ruolo rivestito dalla combinazione di affinità socio-culturali, storiche e politiche. Una tale ottica permetterà di comprendere in maniera più adeguata le dinamiche relazionali fra italiani e argentini. 2 A partire dalla seconda metà dell’Ottocento fino alla Seconda Guerra Mondiale, si calcola che siano emigrati 18 milioni di italiani, 2,5 milioni dei quali diretti in Argentina (Dati ISTAT – Serie Storiche). Per un approfondimento sull’emigrazione italiana in Argentina, uno dei testi fondamentali è F. DEVOTO, Storia degli italiani in Argentina, Roma, Donzelli, 2007. 3 Per un approfondimento sugli anni di piombo, si vedano M. LAZAR, M.-A. MATARD-BONUCCI, L’Italie des années de plomb. Le terrorisme entre histoire et mémoire, Paris, Editions Autrement, 2010; G. PAVINI, Ordine nero, guerriglia rossa. La violenza politica nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta, 1966-1975, Einaudi, Torino, 2009; D. DELLA PORTA (ed.), Terrorismi in Italia, Il Mulino, Bologna, 1984. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 390 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà Prima di iniziare occorre sottolineare le difficoltà che comporta lo studio dell’esilio argentino in Italia. Il problema principale è costituito dalla penuria di lavori scientifici su questo tema. Quest’insufficienza di fonti scritte è però compensata dall’abbondanza di testimonianze, scritte e orali, di chi ha vissuto l’esilio. Nell’articolo vengono citate otto testimonianze orali, facenti parti di un corpus più ampio di interviste, raccolte dall’autrice in Italia e in Argentina fra il 2015 e il 2017. Si tratta delle interviste a Enrico Calamai, vice console a Buenos Aires nei primi anni della dittatura, e a sette ex-esiliati, alcuni rimasti in Italia, altri tornati in Argentina. Quando si lavora con materiale di questo tipo bisogna essere molto cauti, occorre sempre tenerne in considerazione i limiti e fare attenzione ai rischi. Il campione di testimonianze non è sempre rappresentativo dell’intero insieme che fa l’oggetto del nostro studio, poiché per esempio alcuni individui sono più predisposti di altri a parlare della loro esperienza. In particolare, nel nostro caso, le persone che sono state più propense a raccontare la loro storia sono coloro che durante l’esilio hanno mantenuto il loro attivismo politico e/o si sono battuti in difesa dei diritti umani violati dalla dittatura argentina. Inoltre si tratta di eventi accaduti a 40 anni di distanza dal momento in cui la testimonianza è stata registrata o trascritta: è quindi possibile che i filtri della memoria abbiano modificato alcuni ricordi o informazioni. A ciò si aggiunge il fatto che ogni intervista è un prodotto che si costruisce nel momento stesso in cui la si realizza, in funzione dell’interlocutore, del luogo in cui trova, del legame che si crea fra intervistato e intervistatore4. Ciò nonostante, prendendo le dovute precauzioni, questo tipo di fonti 4 L’analisi delle interviste orali è stata fatta seguendo la metodologia proposta da Alessandro Portelli nei suoi saggi raccolti nel libro Storie orali: racconto, immaginazione, dialogo, Roma, Donzelli Editore, 2007. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 391 è di una ricchezza enorme, poiché permette di ottenere informazioni a cui altrimenti sarebbe impossibile avere accesso. Se combinate e confrontate con articoli di giornale, archivi ufficiali e altri tipi di fonti, o paragonate a casi di studi maggiormente approfonditi, permettono di accrescere la qualità del lavoro di ricerca intorno all’esilio argentino in Italia. Sono altresì una fondamentale porta d’accesso al tema della solidarietà italiana verso gli argentini, che è il fil rouge del presente articolo. In fuga da un contesto violento A partire dalla seconda metà degli anni settanta, l’Italia divenne una delle destinazioni degli esiliati argentini in fuga dalla violenza e dalla repressione che ormai affliggevano il loro paese5. Malgrado i profili socio-politici degli esuli presentino una grande eterogeneità, è proprio in questo clima di violenza che va ricercato il minimo comun denominatore che determinò la decisione di abbandonare l’Argentina per cercare rifugio altrove. L’esilio argentino si iscrive in uno dei momenti più repressivi della storia del paese, quello della dittatura militare, iniziato con il colpo di stato del 24 marzo 1976 e terminato con le elezioni democratiche del 19836. Il clima di terrore si era tuttavia inasprito già nel triennio 1973-1976, a causa della repressione anticomunista da parte di gruppi parastatali e/o paramilitari, fra cui spiccò la Tripla A7, fondata dal Ministro del Bienestar Social 5 M.A. BERNARDOTTI, B. BONGIOVANNI, Aproximaciones al estudio del exilio argentino en Italia », in YANKELEVICH, Represión y destierro, p. 49-89. 6 Per un approfondimento sulla dittatura militare argentina: M. NOVARO, V. PALERMO (eds.), La dictadura militar 1976-1983 del golpe de estado a la restauración democrática, Historia Argentina, IX, Buenos Aires, Paidós, 2003. 7 Alianza Anticomunista Argentina, strumento parastatale e parapoliziesco del governo di Isabel Perón. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 392 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà José López Rega8, braccio destro di María Estela “Isabel” Martínez de Perón9. Questa “lotta alla sovversione” si diresse contro intellettuali, giornalisti, professori universitari considerati dei “pericolosi sovversivi marxisti” e, in maniera massiccia, contro i membri di quelle organizzazioni politico-militari che nel frattempo erano passate alla clandestinità, come ad esempio il PRT-ERP10 o Montoneros11. Il golpe non arrivò inaspettatamente, ma si inserì in una “tradizione” già consolidata in Argentina: il paese, fin dagli anni trenta, aveva vissuto in una spirale di violenza in cui ogni governo democratico – o presunto tale – finiva per essere rovesciato da un colpo di stato. Il golpe del 1976 fu quindi accolto dalla maggior parte della popolazione senza sorpresa o addirittura, in certi casi, con un sospiro di sollievo, con la speranza che ponesse fine alle lotte intestine e che riportasse l’ordine. Facendosi schermo di un programma indicato con 8 La figura di López Rega nei primi anni Settanta divenne il simbolo della destra peronista. Dopo la morte di Juan Domingo Perón nel 1974, durante la presidenza di Isabel Perón, condusse de facto il governo fino al momento del colpo di stato. Era iscritto alla loggia massonica P2 di Licio Gelli. Morì a Buenos Aires nel 1989, aspettando di essere giudicato per i crimini commessi dagli squadroni della morte della Tripla A. 9 Isabel Martínez de Perón fu la terza moglie di Juan Domingo Perón. Alla morte del marito, allora presidente dell’Argentina, gli succedette in quanto vice-presidente. 10 Partito Rivoluzionario dei Lavoratori (Partido Revolucionario de los Trabajadores). Fu un partito argentino di sinistra, fondato nel 1965 e nato dalla fusione di due organizzazioni rivoluzionarie, una di ispirazione guevarista e l’altra trotskista. L’ERP, l’Esercito Rivoluzionario del Popolo (Ejercito Revolucionario del Pueblo) era un gruppo guerrigliero di ispirazione marxista e guevarista, considerato il braccio armato del PRT. 11 Organizzazione politico-militare peronista creata a metà degli anni Sessanta a Cordoba, Argentina. Nacque dalla convergenza dei cattolici di sinistra e dell’ala progressista del Movimento Peronista. Lottarono in favore del ritorno di Perón in Argentina. Quando gli fu concesso di tornare in patria, Perón li rinnegò e Montoneros passò alla clandestinità. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 393 il nome di Proceso de Reorganización Nacional, il regime volle presentarsi come il legittimo difensore della sicurezza nazionale, che secondo i militari era minata dagli attentati dei guerriglieri che seminavano il terrore in Argentina. La Giunta era formata dal generale Jorge Rafael Videla, l’ammiraglio Emilio Eduardo Massera e il brigadiere Orlando Ramon Agosti. Una volta deposta la Presidentessa Isabel Martínez de Perón, la massima carica fu conferita a Videla. In realtà, la presa di potere dei militari non fece che istituzionalizzare l’apparato repressivo che era stato collaudato nel triennio precedente. La legittimazione (o meglio: l’autolegittimazione) del regime si basò sull’annichilimento dell’opposizione12 e la violenza divenne di fatto il principale strumento politico di governo: ecco il principio di base della guerra sucia (“guerra sporca”). Ciò che provocò maggiormente la paura fu l’indeterminatezza della repressione. Chiunque poteva finire nel mirino dei militari, non solo i membri delle organizzazioni armate, ma qualsiasi individuo sospettato di non appoggiare pienamente il regime, come si evince dalle parole di Iberico SaintJean, governatore militare di Buenos Aires: «prima uccideremo tutti i sovversivi, poi i loro collaboratori, quindi i simpatizzanti, poi gli indifferenti e infine chi esita»13. 12 A.G, SCHWARTZ, Disparadores del exilio. Violencia y cultura política en la Argentina de los años ’70, in III Jornadas de Historia de las Izquierdas: Exilio politicos, Argentina y Latinoamericanos, CEDINCI, Buenos Aires, 2005, p. 52. 13 Traduzione personale dallo spagnolo: « Primero mataremos a todos los subversivos, luego mataremos a sus colaboradores, después a sus simpatizantes, enseguida a aquellos que permanecen indiferentes y, finalmente, mataremos a los tímidos ». Tali parole furono pronunciate da Ibérico Saint-Jean durante una cena con altri ufficiali il 25 maggio del 1977. Citato in A. ABOS, El poder carnívoro, Buenos Aires, Sudamericana, 1985, p. 23. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 394 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà Non si possono comprendere le dinamiche dell’esilio argentino se non si tiene in considerazione questo contesto, in cui è possibile ritrovarne le cause. Furono migliaia coloro che, nel timore di diventare vittime della repressione statale, preferirono lasciare il paese e riparare all’estero. Va sottolineato che la Giunta militare non istituzionalizzò mai una pena d’esilio, proprio per evitare che l’opinione pubblica mondiale guardasse al Proceso de Reorganización Nacional come a una dittatura. Ciò nonostante, l’esilio terminò col divenire comunque una forma di repressione, anche se indiretta14. Indiretta perché di fatto lo Stato non obbligava i suoi cittadini ad abbandonare il territorio nazionale (ad eccezione di alcuni casi particolari, come quello dell’opción, che approfondiremo più tardi), ma la scelta di lasciare il paese fu personale, pur essendo percepita dai chi partiva come una costrizione. Occorre specificare che, seppur l’esilio vada considerato come un prodotto del libero arbitrio dell’individuo, si trattò di una decisione quasi obbligata, presa con un margine di scelta assai ridotto. In molti casi, restare equivaleva ad andare incontro a un destino già scritto, quello della morte o della desaparición. Le difficoltà nel lasciare l’Argentina Una volta deciso di partire, affioravano una serie di questioni da risolvere, prima fra tutte la scelta della destinazione. Questa decisione – nei casi in cui la scelta fu possibile e non obbligata – dipese dalla congiuntura di vari fattori: il momento in cui gli esiliati abbandonarono il paese, il loro impegno politico, le reti di appoggio in altri paesi, etc. 14 La storica Silvina Jensen è stata la prima ricercatrice a studiare il fenomeno dell’esilio in relazione al terrorismo di Stato in Argentina, considerandolo una pratica repressiva. S. JENSEN, La huida del horror no fue olvido. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 395 Spagna e Messico furono i paesi che accolsero il maggior numero di argentini, mentre in minor misura troviamo Francia, Svezia, Paesi Bassi, Italia, Venezuela, Israele15. Gli Stati limitrofi non rappresentarono un luogo sicuro in cui rifugiarsi, dal momento che anch’essi, come l’Argentina, erano retti da regimi autoritari. Si stima che il totale di argentini che lasciarono il paese fra il 1973 e il 1983 oscilli fra le 300.000 e le 500.000 persone16. Fra questi, sarebbero fra i 14.000 e i 20.000 coloro che arrivarono in Italia17. Delle cifre così approssimative mostrano quanto sia complicato ottenere dei dati certi quando si studia un fenomeno come l’esilio. Nel caso dell’Italia, questa stima diventa ancora più complessa se si tiene in considerazione che ci fu chi entrò nel paese con documenti italiani (coloro che avevano la doppia nazionalità) o con documenti falsi, altri con visti turistici, altri clandestinamente. Lo Stato italiano, inoltre, non riconosceva il diritto di rifugio politico agli argentini, pertanto non esistono registri ufficiali che attestino la presenza di rifugiati politici provenienti da questo paese e diretti in Italia. Alcuni non scelsero l’Italia, ma furono formalmente espulsi dall’Argentina con l’obbligo di essere trasferiti nel Bel Paese (ad altri toccò la Francia, la Svezia, il Belgio o altri paesi europei): così iniziò l’esilio di quelli che uscirono dal paese grazie all’opción18, 15 M. SZNAJDER, L. RONIGER, La política del destierro y del exilio en América Latina, México, FCE, 2013, p. 256. 16 L. MARMORA, J. GURRIERI, El ritorno en el Río de la Plata, in «Estudios Migratorios», Buenos Aires, 10 (1988), p. 475. 17 M.A. BERNARDOTTI, Andata e ritorno. I paradossi degli immigrati argentini in Italia, in Storia e problemi contemporanei, IX, n°18, 1996, pp. 61-90, pp. 85 ss. Va sottolineato che l’articolo di Bernardotti prende in considerazione tutti gli argentini andati in Italia negli anni della dittatura, senza distinguere le ragioni che li hanno spinti a tale scelta. Risulta quindi difficile fare una distinzione fra migranti politici, migranti economici e rimpatriati. 18 L’opción era un diritto previsto dalla Costituzione Nazionale (art. 23). In caso di dichiarazione dello stato d’emergenza, l’Esecutivo ha la prerogativa Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 396 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà l’“opzione”. L’opción si applicò soprattutto ai casi di prigionieri politici aventi la doppia nazionalità (o un’altra nazionalità che non fosse quella argentina): grazie alle pressioni dei familiari, di alcune organizzazioni non governative e del governo dello Stato di origine, la Giunta militare argentina al potere si vide obbligata a espellere alcuni prigionieri verso i loro paesi di origine. Il colpo di stato del 24 marzo 1976 segnò un punto di svolta: coloro che riuscirono a fuggire prima del golpe, lo fecero coi loro passaporti e con visti turistici. Anche dopo il colpo di stato ci fu chi uscì dall’Argentina in questo modo ma fu più difficile ricorrere a tale strategia a causa dell’incremento dei controlli di frontiera e perché chiunque poteva essere fermato se considerato un potenziale sovversivo in fuga. Tenendo in considerazione questa divisione, coloro che partirono in esilio fra il 1973 e il 1976 lo fecero per paura della repressione e/o perché avevano ricevuto delle minacce dai gruppi paramilitari di estrema destra. Grazie alle reti familiari e socio-professionali poterono arrivare in Italia e stabilirvisi, cercare un lavoro, una casa. Si trattò soprattutto – come nel caso degli argentini arrivati negli anni Sessanta – di professori universitari, giornalisti, intellettuali, sindacalisti e liberi professionisti che in Italia avevano potuto riprendere l’attività interrotta in Argentina. Molti di loro furono attratti dalla realtà politica del Bel Paese, dove il Partito Comunista era uno dei più importanti d’Europa e il movimento sindacale aveva una certa rilevanza. Diversa fu la situazione di quelli che lasciarono l’Argentina dopo il 1976 e che incontrarono maggiori difficoltà: negli di trasferire i detenuti considerati pericolosi all’interno del paese o eventualmente dar loro la possibilità di andare all’estero. Fu sospeso nel 1976 e reintrodotto l’anno dopo, con alcune modifiche, perché per i militari era più conveniente che i prigionieri restassero in territorio argentino per avere un maggiore controllo su di loro. L’opción convertì così un diritto costituzionale in una pena d’esilio. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 397 anni che seguirono il golpe, ad andarsene furono soprattutto i membri delle organizzazioni armate, mentre verso il 1979 iniziarono a partire anche i familiari dei desaparecidos e delle vittime della repressione, spinti dalla volontà di denunciare quello che era successo ai loro cari, alla ricerca di una qualche forma di giustizia nei paesi democratici. Per coloro che provenivano da organizzazioni armate perseguitate dal governo, la situazione fu critica. Per loro, le possibilità di abbandonare l’Argentina erano limitate: chiedere l’asilo politico in un altro paese, ricorrere a un passaporto straniero o ottenere dei documenti falsi e cercare di passare per i paesi limitrofi (in particolare Uruguay e Brasile). Ci fu chi riuscì a chiedere l’asilo politico nell’ambasciata svedese, olandese o belga, mentre non fu così con quella italiana. L’ambasciata italiana di Buenos Aires non si mostrò per nulla solidale con queste persone, anzi; qualche giorno prima del golpe l’ambasciatore Enrico Carrara, a conoscenza dei piani dei militari, diede l’ordine di far alzare il muro dell’ambasciata e di cambiare l’entrata con una doppia porta19. Questa misura obbligava chiunque volesse entrare a identificarsi, in maniera tal che si potesse accedere unicamente con l’autorizzazione del personale dell’ambasciata. Ogni richiedente asilo era considerato come un potenziale sovversivo da consegnare alle Forze Armate, per evitare ciò che era successo a Santiago de Chile tre anni prima, quando nei locali dell’ambasciata furono accolti centinaia di cileni perseguitati dai 19 Intervista con Enrico Calamai, Roma, luglio 2015. La testimonianza di Calamai coincide con quella di altri membri dell’ambasciata, vedasi ad esempio quella di Bernardino Osio o del prete Enzo Giustozzi in Il silenzio infranto, Il dramma dei desaparecidos italiani in Argentina, C. TALLONE, V. VIGEVANI JARACH (eds.), Torino, Silvio Zamorani Editore, 2005, p. 187. Per ulteriori approfondimenti sul caso dell’ambasciata italiana a Buenos Aires, vedi E. CALAMAI, Niente asilo politico. Diario di un console italiano nell’Argentina dei desaparecidos, Roma, Editori Riuniti, 2003. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 398 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà militari. Nel caso dell’Argentina, il timore che l’ambasciata italiana venisse presa d’assalto era ancora più forte, dal momento che gli argentini di origine italiana avrebbero potuto richiedere il passaporto italiano e utilizzarlo per lasciare il Paese20. Se la legislazione aveva offerto una scappatoia ai perseguitati argentini, il modus operandi dell’ambasciata italiana – e quindi del governo stesso – ostacolava lo svolgimento delle procedure che avrebbero permesso a più persone di salvarsi. Un comportamento discutibile, se consideriamo che l’Argentina ospitava (e ospita tutt’ora) una delle più grandi comunità di italiani all’estero. Non bisogna tuttavia generalizzare, poiché ci fu chi si comportò diversamente, come il vice console Enrico Calamai. Con l’aiuto del giornalista Giangiacomo Foà, del sindacalista Filippo Di Benedetto e di altri membri del consolato e dell’ambasciata, Calamai permise a circa 300 persone in pericolo di vita di lasciare l’Argentina. Grazie al loro intervento fu possibile ottenere passaporti italiani e biglietti aerei in tempi celeri. Spesso Calamai si occupava personalmente di accompagnare i perseguitati fino alla porta dell’aereo, per impedire un eventuale intervento della polizia e garantirne la partenza. Tale meccanismo doveva funzionare il più rapidamente possibile, dal momento che il consolato non godeva del principio di extra-territorialità di cui beneficiava l’ambasciata, pertanto si conside- 20 All’inizio degli anni Settanta l’Argentina ratifica un accordo con l’Italia riguardo la nazionalità. Tale accordo, ufficializzato con la legge ordinaria n. 282 del 18 maggio 1973, prevede la possibilità per i cittadini argentini e italiani di acquisire entrambe le nazionalità, senza perdere quella d’origine. Ciò è possibile perché in Italia la nazionalità si attribuisce in base allo ius sanguinis, cioè si trasmette dal padre al figlio nonostante quest’ultimo non sia nato né abbia vissuto in Italia. In Argentina, invece, vige lo ius soli, per il quale si considera cittadino argentino chiunque sia nato all’interno dei confini dello stato. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 399 rava come territorio argentino. Poliziotti in borghese controllavano il perimetro del consolato e si rischiava di essere catturati proprio nel luogo in cui si andava a chiedere aiuto. A un anno dal colpo di stato, nel maggio del 1977, Calamai fu trasferito a Roma, in anticipo rispetto alla durata del suo mandato. Qualche mese prima, Giangiacomo Foà aveva dovuto abbandonare Buenos Aires dopo aver ricevuto minacce di morte. Il giornale per cui lavorava, il Corriere della Sera, lo aveva così trasferito in Brasile, proibendogli di scrivere articoli riguardanti la situazione argentina. La macchina della solidarietà aveva ricevuto un duro colpo. L’arrivo in Italia e l’impatto con un mondo nuovo Oltre all’operato di Calamai, Foà e Di Benedetto, un altro meccanismo di solidarietà si mise in moto quando gli esuli arrivarono in Italia. Più che sulle istituzioni, l’esilio argentino si organizzò intorno alle reti familiari, affettive, professionali, politiche. Queste reti permisero agli esuli di risolvere i problemi di chi è costretto a lasciare il proprio paese: dove andare? dove stabilirsi? dove vivere? In un primo momento, quelli che avevano mantenuto un qualche tipo di contatto con i familiari italiani tornarono nei villaggi dei loro nonni o bisnonni. In vari casi, però, si trattò di una soluzione temporanea, soprattutto per i giovani che a stento riuscirono ad adattarsi ai nuovi ritmi di vita. Un esempio concreto di questa difficoltà ci è dato dalla storia di Wanda21, nata in Italia ma trasferitasi a Buenos Aires all’inizio 21 Nata in Italia, a 3 anni va in Argentina con la madre e le sorelle per raggiungere il padre, emigrato lì un paio d’anni prima. Qualche settimana prima del golpe viene fermata dalla polizia in un bar di Buenos Aires e imprigionata senza processo. Nel 1979 esce dal paese tramite l’opción e arriva in Italia. Dapprima si reca con sua madre a Roseto Capo Spulico, il paese da cui erano emigrati i suoi genitori. Dopo una settimana si trasferisce a Roma, dove resta Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 400 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà degli anni Cinquanta, quand’era solo una bambina. Espulsa dall’Argentina nel 1979, grazie al consolato italiano ottenne i documenti necessari per tornare in Italia, anche se per lei fu uno shock passare dalla vita porteña a quella del piccolo paese calabrese di cui era originaria la sua famiglia: Quando arrivai in Italia, avemmo la pessima idea di tornare a Roseto Capo Spulico, il paese di mia madre, perché lì c’erano i miei nonni, i fratelli e le sorelle di mia madre. […] La prima reazione dei miei nonni fu che se tornavo in Italia non avevo il corredo e che inoltre bisognava sistemarmi. […] Nel gran fenomeno della migrazione, colui che se ne è andato ha perso, quindi a mia madre non le era toccato nulla dell’eredità dei miei nonni. Quindi la mia presenza era una cosa abbastanza irritante perché metteva nuovamente in gioco tutta la questione dell’eredità di mio nonno. E niente, resistetti una settimana a Roseto Capo Spulico, inoltre non avevo niente da fare perché è un paesino che ha 1500 abitanti e se non partecipi ai pettegolezzi, non hai niente da fare…niente da fare perché oltre ad andare di casa in casa non c’è nulla…[…] Così dopo una settimana tornammo a Roma con mia madre e andammo al ministero a vedere Calamai22. Molti, come Wanda, si appoggiarono alla rete familiare solo in un primo momento, per poi trasferirsi nelle grandi città (Roma, Milano, Torino) dove c’erano maggiori possibilità di trovare un lavoro. Oltre alla famiglia, un importante punto di appoggio fu quello degli amici, sia italiani che argentini stabilitisi in Italia precedentemente. Essi diedero un aiuto concreto ai nuovi arrivati, ospitandoli o dandogli consigli di natura pratica. Anche le reti professionali furono determinanti nella scelta del luogo in cui andare a vivere: per esempio, molti giornalisti scelsero Roma, dove si trovava l’Inter Press Service (IPS), un’agenzia stampa nata negli anni Sessanta come cooperativa di giornalisti italiani e argentini e che negli anni successivi si era fino al 1986 quando, grazie a un decreto emanato dal neo-presidente Raul Alfonsín, può rientrare in Argentina. Attualmente vive a Buenos Aires. 22 Intervista con Wanda, Buenos Aires, maggio 2016. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 401 ingrandita molto. Altri utilizzarono le reti politiche, come nel caso dei militanti del PRT-ERP o di Montoneros. I primi si riorganizzarono nell’Italia settentrionale, creando delle piccole scuole di formazione dei quadri dirigenti dell’organizzazione. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l’appoggio della popolazione locale, in particolare di alcuni membri del PCI o – inaspettatamente – della DC e anche grazie al sostegno di ex-partigiani. Molti militanti dell’organizzazione Montoneros, invece, andarono a Milano o a Roma; nella capitale viveva Juan Gelman, celebre poeta argentino, con sua moglie Lili Massaferro e l’ex governatore di Buenos Aires Oscar Bidegain. Oltretutto Roma era il centro della vita politica nazionale e molti argentini scelsero la capitale per portare avanti le denunce contro la violenza del regime dittatoriale e contro la repressione di cui erano vittime i loro connazionali. Fu per questi motivi che proprio a Roma nacque il CAFRA, il Comitato Antifascista contro la Repressione in Argentina, fondato nel 1974 da alcuni esuli arrivati in Italia prima del golpe del 1976 e che si erano mobilitati per denunciare la situazione del loro paese. L’Italia attirò gli argentini anche grazie alla sua vivacità socio-politica, che entusiasmò quegli esiliati che erano stati politicamente molto attivi. Era il momento di auge del PCI e i livelli di riflessione dell’epoca affascinarono non pochi esuli, malgrado l’aria tesa che si respirava nell’Italia degli anni di piombo. Gli argentini arrivarono infatti in un momento in cui andava crescendo la violenza dei gruppi armati dell’estrema destra e dell’estrema sinistra italiane. Questo contesto non giovò alla condizione degli esiliati e fu particolarmente nocivo per tutti coloro che arrivavano da una militanza, spesso armata, e che rischiavano quindi di essere considerati come l’equivalente latino-americano delle Brigate Rosse o di altre organizzazioni. Gli argentini dovettero lavorare duramente Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 402 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà per evitare che si creassero analogie di questo tipo, che avrebbero potuto minare l’importante lavoro che si stava portando avanti riguardo alla denuncia della repressione in Argentina. Per molti esiliati però l’Italia non rappresentava solo una base da cui far partire le azioni di denuncia contro il regime argentino: per alcuni, l’arrivo nel Bel Paese rappresentò un vero e proprio viaggio alla scoperta delle proprie origini, anche se non sempre si concluse con un riavvicinamento alle famiglie rimaste in Italia. Quando gli argentini arrivarono in Italia, si confrontarono con una realtà che spesso avevano immaginato ma che raramente conoscevano sul serio. Per esempio, il cinema Divulgò stereotipi su che cos’era l’Italia del dopoguerra […]Le immagini dell’Italia che la produzione cinematografica proiettava in Argentina rimanevano come detto ambigue. Per un verso esse parevano enfatizzarne, con la loro tendenza al caricaturale, i tratti più eccessivi e di fatto anche triviali. Per l’altro, generavano una corrente di simpatia nel pubblico, che si convinceva esistessero straordinarie similitudini tra le due società. Lo spettatore argentino, insomma, vedendo l’Italia di celluloide si sentiva come a casa23. L’immagine che gli argentini avevano dell’Italia era quindi molto caricaturale, basata su stereotipi. Tuttavia la conoscenza del Bel Paese non passava solamente attraverso il cinema, la letteratura o la televisione, perché la presenza italiana sembrava essere ovunque. In Argentina, nel corso di due secoli, gli italiani «avevano contribuito a trasformare la società argentina, dandole un’aria di famiglia ben evidente. […] Tutto pareva italiano in Argentina (e in qualche modo lo era), per quanto fosse difficile precisare e indicare esattamente cosa e come»24. 23 F. DEVOTO, Storia degli italiani in Argentina, Roma, Donzelli, 2007, pp. 467-468. 24 DEVOTO, Storia degli italiani in Argentina, p. 470. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 403 Il contatto con la realtà italiana permise loro di rendersi conto dell’influenza – più o meno profonda, a seconda dei casi – che questa cultura aveva avuto nelle loro vite fin dalla nascita, come spiega Dora25: In definitiva il caos italiano mi risultava familiare, perché io vengo da una famiglia italiana da parte di mia madre, la mia famiglia è calabrese. Più che mia madre, che lavorava, mi ha cresciuto mia nonna e l’impronta dell’italianità fu molto forte. Io non lo sapevo, questa questione dell’identità la scoprii quando arrivai in Italia. Pero va beh, era molto forte. Quando mi chiedono dell’Italia, io dico sempre due cose: che lì potei tornare a sorridere e che in Italia scoprii la mia identità, o almeno il 50% o più della mia identità [ride]. Perché, altra cosa che dico sempre, cresciuta all’italiana senza saperlo, in un paese che non era l’Italia, pensavo che la mia famiglia fosse pazza. La mia visione da bambina e da adolescente, era che la mia famiglia era pazza. Arrivando in Italia mi accorsi che no, la mia famiglia non era pazza, era italiana! [ride]26. Malgrado questa “familiarità” della società italiana, l’impatto con il Bel Paese fu, in un certo senso, deludente a causa 25 Dora, argentina, ha origini calabresi. Dopo aver lasciato l’Argentina, si sposta fra vari paesi europei fino a stabilirsi in Italia nel 1979. Qui ha lavorato come giornalista e professoressa di spagnolo. Attualmente vive a Buenos Aires, dov’è tornata nel 1986. 26 Intervista con Dora, Buenos Aires, maggio 2016. Traduzione personale. Testo in lingua originale: « En definitiva el caos italiano me resultaba familiar. Porque yo soy de familia italiana por parte de mi madre, mi familia es calabresa. A mí me crió mi abuela, más que mi mamá que trabajaba, y la impronta de la italianidad fue muy fuerte. Yo no lo sabía, esta cuestión de la identidad yo la descubrí llegando a Italia. Pero bueno, evidentemente era muy fuerte. Yo siempre, cuando me preguntan de Italia, digo dos cosas: que allá pude volver a sonreír y que en Italia descubrí mi identidad, por lo menos el 50% de mi identidad o más [ríe]. Porque – otra cosa que siempre digo – criada acá a la italiana sin saberlo, en un país que no es Italia, yo sentía que mi familia era loca. Mi visión de niña y de adolescente era que mi familia era loca. Llegando a Italia me dí cuenta que no, que mi familia no era loca, era italiana! [ríe] ». Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 404 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà dell’arretratezza sociale, di usi e costumi italiani che gli argentini consideravano obsoleti. L’idea dell’Italia come un paese socialmente arretrato era presente in alcuni di loro quand’erano ancora in Argentina, soprattutto coloro che provenivano da famiglie in cui le tradizioni italiane si erano mantenute forse ancor più che in Italia. Arrivati a questo punto bisogna sottolineare che l’esilio argentino, nonostante la sua eterogeneità, si caratterizzò per aver avuto un carattere di classe abbastanza marcato: molti degli esiliati erano giovani di classe media fra i 20 e i 40 anni, che avevano frequentato l’università e che vivevano in grandi città, per i quali il passaggio alla realtà italiana, segnata dalla vita di quartiere, di paese, poteva essere pesante. Racconta Diana27: Quando arrivammo mi sembrò stranissimo perché Roma a quei tempi era diversa, pensa che le farmacie chiudevano fra l’una e le quattro del pomeriggio, dopo una cert’ora era tutto chiuso! Noi eravamo abituati alle grandi città dell’Argentina, era un’altra cosa…in Argentina puoi cenare a qualsiasi ora e fare colazione a qualsiasi ora, i chioschi sono aperti tutta la notte, puoi comprarti i lacci delle scarpe o le sigarette alle 3 di notte, que sé yo…Qua a Roma, quando stavamo nella pensione Claudia28, ci davano la cena alle 7:30 di sera mentre noi eravamo abituati a mangiare molto tardi. Io alle 7:30 posso bermi un the, fare merenda, ma cenare…proprio no! [ride] Però era così, dopo cena tutto era chiuso, nella zona dove vivevamo c’era solo un bowling, a Regina Margherita, e andavamo lì perché era l’unico bar aperto dove si potesse chiacchierare un po’. Le trattorie di Trastevere in quegli anni non ti facevano mangiare dopo le 9:30-10 perché c’erano ancora i vecchi italiani trasteverini che ti guardavano male quando gli chiedevi un piatto di spaghetti alle 9:30 di sera e ti cacciavano! Trastevere, Campo de’ Fiori…era un’altra Roma!29. 27 Argentina, di Buenos Aires, membro del PRT-ERP. Il suo esilio comincia nel 1977, quando lascia l’Argentina con suo figlio. Attualmente vive a Roma. 28 Pensione finanziata dalla Regione Lazio dove erano stati accolti cileni, uruguayani, argentini, russi, vietnamiti ecc durante gli anni Settanta. 29 Intervista con Diana, Roma, settembre 2015. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 405 Le aspettative degli argentini non corrispondevano completamente alla realtà che trovarono davanti ai loro occhi quando arrivarono in Italia. Vediamo adesso quale fu la risposta degli italiani di fronte all’arrivo di queste persone. La ricezione degli argentini da parte dell’Italia e degli italiani Gli esiliati argentini non avevano diritto allo status di rifugiato politico e pertanto non potevano neanche accedere a servizi statali che offrivano altri paesi30 come corsi di lingua, aiuti economici, assistenza medica o facilitazioni nell’inserzione lavorativa. In Italia dovevano vivere come tutti i cittadini, senza però essere italiani. Inoltre, coloro che non avevano la nazionalità italiana vivevano in una “clandestinità tollerata31”, senza aiuto né persecuzione da parte dello Stato italiano: erano quasi invisibili. Tranne rare eccezioni, non fu presa alcuna misura contro questi clandestini: il governo era a conoscenza della loro situazione ma non procedette mai né a concedergli il rifugio politico né ad espellerli. Miguel Ángel García32, esiliato argentino, descrive con queste parole l’attitudine del governo italiano nei loro confronti: 30 Paesi come in Francia, Svezia e Belgio. Per il caso francese: FRANCO, El exilio : argentinos en Francia durante la dictadura. Per il caso belga: VAN MEERVENNE, Buscar refugio en un lugar desconocido. Per il caso svedese: CANELO, Cuando el exilio fue confinamiento: argentinos en Suecia. 31 M. A. BERNARDOTTI, B. BONGIOVANNI, Aproximaciones al estudio del exilio argentino en Italia, p. 49. 32 Argentino. Giornalista e scrittore, lascia l’Argentina con sua moglie Susana Bonaldi nel 1974. Sono fra i fondatori del CAFRA. Qualche anno dopo abbandonano il comitato e Miguel Ángel fonda la rivista Debate. Negli anni successivi lavora nella cooperazione internazionale, in particolare sul tema dell’immigrazione. Dopo aver vissuto a Roma e Bologna, tornano definitivamente a Buenos Aires nel 2010. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 406 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà L’Italia ha avuto rispetto all’esilio argentino una politica che può essere definita “italiana”: non ci ha dato nulla, ma ci ha lasciato fare le cose. Pero non ha formalizzato nulla: non ha riconosciuto l’esilio, ma non ci ha rotto le scatole per i permessi di soggiorno, la gente sapeva tutto, le cose che si facevano; ci teneva sott’occhio, pero, diciamo, ha avuto una politica di tolleranza. […]. Mentre nei paesi nordici, fondati sulle democrazie nordiche, Svezia, Olanda, sono stati dati una sorta di numeri chiusi. Ma era gente che veniva accettata, veniva dato un documento di esiliato politico, poi gli davano una sovvenzione, la scuola per i ragazzini […]. Se ti devo dire, pochissime volte ci e toccato intervenire per qualcuno che stavano mandando via […]. Arrivava molta gente senza documenti, c’e gente scappata in qualsiasi maniera. Questa gente poi continuava a essere “indocumentata”33. In altri lavori34 abbiamo analizzato le ragioni che hanno portato il governo italiano ad agire in questa maniera: il contesto globale della Guerra Fredda; i forti interessi economici dell’Italia in Argentina; l’operato della loggia massonica P2 (Propaganda 2), vero attore transnazionale; la mancanza di informazione in Italia riguardo alle questioni argentine; il clima di tensione degli anni di piombo in cui gli esiliati argentini potevano essere facilmente assimilati ai terroristi italiani di estrema sinistra o di estrema destra. Stando così le cose, non era nell’interesse del governo italiano espellere i clandestini argentini, perché ciò avrebbe potuto sollevare domande riguardo alla condizione di queste persone, alle ragioni della loro presenza in Italia 33 Intervista con Miguel Angel García, 2007, in A. LOLICATO, Movilidad transnacional y movimientos sociales : las organizaciones solidarias de argentinos en Roma y Barcelona, tesi di dottorato in Antropologia, Universitat Rovira I Virgili Tarragona, 2011, p. 368. 34 G. CALDERONI, La recepción de los exiliados argentinos en Italia entre la indiferencia del Estado y la solidaridad de la sociedad civil, presentato nelle 3° Jornadas de Trabajos sobre los Exilios Políticos del Cono Sur en el siglo XX (Santiago de Chile, Museo de la Memoria, 9-11 novembre 2016). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 407 e, di rimando, alla realtà argentina di quegli anni. Il governo italiano scelse così la strada del “non vedo, non sento, non parlo”. La reazione della società civile fu invece molto diversa e si oppose all’ignavia del governo. Evidentemente non facciamo riferimento alla popolazione italiana in toto, ma a quella parte di essa che entrò in contatto con gli esuli argentini e che, colpita dalle loro vicende, cercò di aiutarli con ogni mezzo. Per molti argentini, l’interazione con gli italiani resta uno dei ricordi più felici di quell’epoca: non solo le relazioni con le persone più politicizzate, come i membri dei partiti di sinistra (e a volte dell’ala progressista della DC) ma soprattutto con la gente comune, che non sapeva molto di politica e che li aiutava per solidarietà. Il supporto della società civile fu enorme: molti italiani aiutarono gli argentini a cercare un lavoro, una casa, arrivando persino a regalar loro cibo o vestiti. Le prime preoccupazioni degli esiliati argentini non riguardarono il riconoscimento del loro status giuridico in territorio italiano, bensì questioni da risolvere nell’immediato, come la ricerca di un lavoro e di un alloggio. Si trovavano in un paese praticamente sconosciuto, dove si parlava una lingua diversa e che – nonostante una certa vicinanza culturale – aveva costumi e codici sociali distinti, che non sempre corrispondevano a quelli argentini. Persino quelli che erano nati in Italia (e che si erano trasferiti in Argentina quand’erano molto piccoli) avevano difficoltà, soprattutto con l’idioma. Spesso non conoscevano l’italiano, perché in casa si parlava solo il dialetto del paese d’origine: erano frequenti i casi di argentini che parlavano calabrese o piemontese ma che non erano in grado di esprimersi correttamente in italiano. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 408 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà La ricerca dell’alloggio Per quanto riguarda la ricerca dell’alloggio, non vi fu alcun aiuto o agevolazione da parte dello Stato, salvo rare eccezioni, legate a iniziative personali o associative35. In mancanza di politiche statali mirate a risolvere queste questioni, furono gli amici, i parenti o gli agganci politici che permisero agli esiliati di trovare una casa. Coloro che arrivarono prima del colpo di stato poterono beneficiare del loro numero esiguo e della loro posizione intellettuale, nella più parte dei casi riconosciuta anche in Italia. Tuttavia, non poterono contare su un collettivo di argentini, come fecero coloro che raggiunsero l’Italia negli anni successivi. Miguel Ángel García e sua moglie Susana Bonaldi, arrivati nel 1974, raccontano di aver passato i primi mesi in un albergo di Roma nel quartiere Coppedè, dove «vivevamo di pizza e supplì!36», arrangiandosi come potevano. Coloro che giunsero negli anni successivi invece poterono contare sull’aiuto dei loro compatrioti arrivati precedentemente e di quegli italiani sensibili alla causa argentina. Questa solidarietà si rivelò fondamentale affinché i neo-arrivati potessero cavarsela nei primi tempi. Laura, trasferitasi a Roma all’età di 16 anni con i genitori e i fratelli, racconta che nella casa affittata dalla sua famiglia venivano spesso accolti numerosi amici dei suoi genitori, o amici di amici. Diana, scappata dall’Argentina con il suo bambino di due anni appena, si trasferì in un appartamento lasciato da un amico del suo compagno. Dora e i suoi due figli vissero per qualche mese in un monolocale appartenente a Roberto Savio, direttore di IPS, presso cui Dora lavorava. Si tratta solo di una manciata 35 36 Una di queste eccezioni è il caso della Pensione Claudia, si veda la nota 28. Intervista con Miguel Ángel García, Buenos Aires, maggio 2016. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 409 di esempi, che riescono però a mostrare in che modo il vuoto istituzionale fu colmato da altri attori. Nonostante i primi contatti fossero con dei compatrioti, il fatto di non risiedere in alloggi destinati esclusivamente agli esiliati e di essere costantemente in relazione con la popolazione locale permise agli argentini di non rinchiudersi in un ghetto37, come successe ai loro concittadini esiliati in altri paesi38. Una delle specificità dell’esilio argentino in Italia risiede proprio negli scambi continui fra gli esuli e la popolazione locale e nella sensibilizzazione degli italiani alla causa argentina. Oltre ai sindacalisti o ai politici interessati alla situazione degli argentini, è necessario sottolineare la risposta attiva di numerosi italiani. Questi, grazie al contatto con gli esiliati, impararono molto sulla realtà argentina e sulle problematiche latino-americane, di cui all’epoca in Italia non si sapeva molto. L’apprendimento della lingua e l’inserzione dei bambini nelle scuole In tutti i paesi di accoglienza, fatta eccezione per quelli latino-americani e per la Spagna, gli esiliati argentini affrontarono il problema dell’apprendimento di una lingua straniera. Non si 37 Il termine “ghetto” è usato in questo contesto non con l’accezione di isolamento forzato o imposto, ma inteso come la tendenza volontaria ad isolarsi nel vincolo e nell’interazione con i connazionali. Vedi M. FRANCO, Los emigrados políticos argentinos en Francia (1973-1983), tesi in Storia, Università di Buenos Aires e Università di Paris 7, 2006, p. 235. Vedi anche gli articoli di S. JENSEN, p. 152 e di G. MIRA, p. 91 in YANKELEVICH (ed.), Represión y destierro: itinerarios del exilio argentino. 38 Questo discorso vale non soltanto per i paesi del nord-Europa, le cui società erano molto diverse da quella argentina, ma anche per regioni come la Catalogna che erano culturalmente più vicine alla società di partenza degli esiliati. Vedi S. JENSEN, La provinica flotante El exilio argentino en Cataluña (19762006), Barcelona, KM 13.774, 2007. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 410 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà deve sottovalutare il peso di questo elemento, fondamentale per stabilire delle relazioni o più semplicemente per comunicare con la popolazione locale. In paesi come la Svezia, i Paesi Bassi o il Belgio fiammingo, l’incontro con l’idioma locale fu uno shock per gli esiliati, a causa delle difficoltà legate all’enorme décalage esistente fra queste lingue e lo spagnolo. Un discorso simile va fatto per il francese: pur essendo una lingua neo-latina e pur essendo studiato da alcuni a scuola, causò non pochi problemi agli argentini per la sua complessità39. Al contrario, nel caso dell’italiano l’apprendimento fu più rapido che negli altri paesi, grazie alla vicinanza con la lingua madre. Italiano e spagnolo si somigliano molto a livello fonetico e la variante argentina dello spagnolo è sicuramente quella che più si avvicina per intonazione all’italiano. Nel corso delle varie interviste realizzate con ex-esiliati argentini, molti hanno affermato di non parlare perfettamente l’italiano, ma di esprimersi correttamente in itagnolo40. La lingua…noi argentini l’italiano lo parliamo, perché si impara. Lo svedese lo devi studiare proprio seriamente…l’italiano anche, perché per scriverlo è una lingua difficile ma è bellissima. Io amo la lingua italiana. Però a orecchio allo svedese, come al tedesco o al danese, dovevi dedicargli del tempo. E quello fa sì che tu ti rinchiuda perché non potendo comunicare immediatamente, il bisogno che uno ha di comunicare ti fa creare un ghetto41. Un altro elemento da non sottovalutare è la prossemica: sia in Italia che in Argentina è molto comune “parlare con le mani” 39 Per un approfondimento sui problemi degli esiliati argentini con la lingua francese : FRANCO, El exilio. 40 “Itagnolo” ou “itañolo”: crasi fra le parole “italiano” e “spagnolo”. Il termine indica una lingua immaginaria ibrida che nasce dalla combinazione delle due lingue. 41 Intervista con Diana. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 411 ed è interessante notare come, per delle ragioni storiche, la maggior parte dei gesti argentini e italiani coincidano42. Ciò spiega la relativa facilità degli argentini nel comunicare con gli italiani, più di quanto non sia accaduto in Francia, ad esempio. Gli argentini appresero la lingua per strada, da autodidatti, o grazie alla lettura e alla televisione. Pur non essendoci corsi di italiano organizzati dal governo, altri organismi si incaricarono dell’insegnamento della lingua italiana, in particolare la CGIL o la Croce Rossa, oppure delle organizzazioni come la Fondazione Basso. Passavamo ore davanti alla televisione, è un buon modo per imparare una lingua […]. E leggevamo molto. Imparammo anche il linguaggio della strada, con conseguenze sorprendenti. […] Il fatto è che molte volte facevo delle conferenze e mischiavo il linguaggio colto con quello della strada, per di più romano! [ride]43. L’apprendimento della lingua passò anche per altri canali, come la creazione progressiva di legami amorosi o di amicizia fra italiani e argentini. Tuttavia, furono i bambini che rappresentarono una porta d’accesso all’universo linguistico italiano: i figli degli esiliati iniziarono ad andare a scuola, luogo di socializzazione per eccellenza, socializzazione che avveniva in italiano e non in spagnolo. L’inserzione dei bambini a scuola, contrariamente alle preoccupazioni degli adulti, si svolse senza problemi. Dora, intervistata a Buenos Aires, si emoziona ancora quando racconta di come i suoi figli siano stati accettati alla scuola Vittorino da Feltre, a Roma, pur non avendo i documenti necessari per l’iscrizione. 42 V. CASTAGNA, Argentina e Uruguay: linguaggi non verbali. Sezione: Corpo, Mappa della comunicazione interculturale, http://www.mappainterculturale.it/?page_id=128. 43 Intervista con Miguel Ángel García. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 412 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà Avevo dei bambini molto piccoli. Uno aveva quattro anni e l’altro tre, però per lavorare avevo bisogno di mandarli all’asilo. Così mi raccomandano una scuola, la Vittorino da Feltre, che era proprio davanti al Colosseo. Vado a parlare con la direttrice, ma mi servivano tutta una serie di documenti che non avevo e la sua risposta fu: “a me non interessano le storie degli adulti. Io so che qui ci sono due bimbi che devono stare con altri bambini, quindi domattina me li porta”. La maestra, quando i bambini andarono a scuola il primo giorno, li presentò agli altri bambini dicendo che venivano da molto lontano, da un paese che si chiama Argentina. Ovviamente i bambini non parlavano italiano, come non lo parlavo nenach’io. E la maestra disse agli altri bambini: “adesso loro non parlano, però non parlano non perché sono muti, ma perché parlano un’altra lingua, lo spagnolo, quindi voi e io gli insegneremo l’italiano e loro possono insegnare a voi e a me lo spagnolo”44. Nel racconto di Dora, così come in quelli di altri esuli, si mette l’accento sulla grande solidarietà delle persone del quartiere, degli insegnanti, dei datori di lavoro, dei preti, cioè di una parte della popolazione che fece da palliativo allo stato di abbandono istituzionale in cui versavano gli argentini. 44 Intervista con Dora. Traduzione personale dallo spagnolo: « Yo tenía dos niños muy chiquitos, Uno tenía cuatro años y el otro tenía 3, pero para trabajar tenía que mandarlos al jardín de infantes. Entonces me recomiendan una escuela, la Vittorino da Feltri, que estaba justo frente al Coliseo. Voy a hablar con la directora, pero me pedía una serie de documentos que yo no tenía y la respuesta fue a mi no me interesan las historias de los adultos. Yo sé que acá hay dos niñitos que tienen que estar con otros niños, así que mañana me los trae”. La maestra, cuando los nenes fueron el primer día, los presentaron a los otros niños diciéndoles que venían de muy lejos, de un país que se llama Argentina. Obviamente los niños no hablaban italiano, como no lo hablaba yo. Y la maestra les dijo a los otros niños: “ahora ellos no hablan, pero no hablan porque son mudos, no hablan porque ellos hablan otro idioma, el español, entonces ustedes y yo vamos a enseñarles el italiano y ellos les pueden enseñar a ustedes y a mi a hablar español” » Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 413 La ricerca di un lavoro La ricerca del lavoro fu un momento cruciale nella vita degli esiliati argentini in Italia perché segnò ulteriormente il progressivo distacco dalla patria: implicava il prolungamento di un soggiorno che inizialmente gli argentini consideravano una soluzione temporanea, di qualche mese. Per alcuni, iniziare a lavorare in Italia equivaleva ad abbandonare l’idea dell’imminente ritorno in Argentina e segnava un passo in avanti verso la consolidazione della loro condizione di esiliati. Oltretutto, la ricerca di un lavoro non era un’impresa semplice: gli esuli dovettero adattarsi spesso a lavori precari e al declassamento professionale. Ciò dipese in gran parte dal fatto che molti titoli stranieri non erano riconosciuti in Italia. Avvocati, ingegneri, professori universitari, psicologi e psicoanalisti riuscirono difficilmente a continuare l’attività professionale svolta in Argentina. Facendo di necessità virtù, gli argentini non ebbero altra scelta se non quella di adattarsi ad impieghi meno qualificati, quali: collaboratrice domestica, baby-sitter o badante, lavoro di sorveglianza, venditore ambulante, muratore, etc. A mo’ di esempio, citiamo la prima esperienza lavorativa di Wanda in Italia come collaboratrice domestica e badante di una signora anziana. Così racconta le sue avventure nello svolgimento di mansioni che esulavano dalla sua competenza: Mi ricordo del mio primo lavoro che era occuparmi di una signora che stava per morire. Requisiti per essere assunta: saper cucinare, saper stirare. Siccome sono figlia di persone povere, siccome nacqui per diventare dottoressa, mi madre non mi insegnò mai a stirare, non mi insegnò a pulire perché io dovevo studiare. Allora mi ricordo che la prima volta che mi dicono di cucinare, mi dicono di fare il pollo. Io non avevo la minima idea di cosa fare con un pollo! E la signora dal letto sentiva che il pollo voleva da tutte le parti perché non sapevo dove tagliarlo, non avevo la minima idea, finché la vecchia se ne accorse e mi insegnò a tagliare il pollo. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 414 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà Stirare. La prima volta che mi fecero stirare una camicia pensai di morire perché in vita mia non avevo mai stirato, aveva stirato sempre mia madre. E gli italiani avevano questo dono, che ti possono insegnare, che hanno molta solidarietà, no? Mi vestivano, mi regalavano cose per me, sempre…per questo dico che il ricordo della convivenza con gli italiani fu molto buono45. Il caso del PRT-ERP nell’Italia settentrionale Tutti gli esiliati argentini dovettero confrontarsi con la ricerca del lavoro, inclusi i membri delle organizzazioni armate. Per loro, la situazione era più delicata. Innanzitutto, accettare la condizione di “esiliati” significava ammettere la sconfitta, l’impossibilità di riprendere la lotta in Argentina. Per lungo tempo i membri delle organizzazioni armate considerarono l’esperienza dell’esilio non come un abbandono del campo di battaglia, ma come una ritirata strategica. L’esilio doveva essere una parentesi, un momento di preparazione per tornare in Argentina e continuare a combattere contro la dittatura. Il caso delle escuelitas del PRT-ERP nell’Italia settentrionale ne è un esempio. Fra il 1977 e il 1979 furono create quattro scuole di formazione per i dirigenti del partito, con lo scopo di riflettere sugli errori commessi in passato ed essere pronti a tornare in Argentina quando il momento sarebbe stato propizio. L’incarico di organizzare e gestire queste scuole venne affidato a Julio Santucho, fratello di Mario Roberto Santucho, leader del PRT-ERP e morto nel luglio del 1976 per mano dei militari argentini. La prima scuola ospitava un gruppo di 12 persone che si installarono in un piccolo paese in provincia di La Spezia, a Follo. Qui un amico di Santucho, Luigi Rossi, che gestiva da tempo attività di solidarietà con l’America latina, aveva offerto la casa di sua madre per ospitare gli argentini. Questo gruppo si spostò poi a Sarzana, in un ex struttura ospedaliera concessagli da Flavio Bertone, all’epoca 45 Intervista con Wanda. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 415 senatore del PCI per la provincia di La Spezia. L’esperienza ligure aprì la strada alla formazione di altre escuelitas: fra il 1977 e il 1979 erano attive quattro scuole del PRT-ERP: a Sarzana (SP), in Liguria; a Ivrea (TO) e Naviante (CN), in Piemonte; a Palazzolo sull’Oglio (BS), in Lombardia. È interessante sottolineare che, mentre le scuole di Sarzana, Ivrea e Naviante si trovavano in zone sotto l’influenza del PCI, Palazzolo rappresentava un caso a sé. La cittadina si trovava infatti in una “zona bianca”, cioè dove la DC era preminente rispetto al PCI. Ciò mostra come la solidarietà verso gli argentini dipese da ragioni che oltrepassavano la mera dimensione politica. Luis Mattini, dirigente del PRT-ERP, riconosce alla popolazione italiana un ruolo di prim’ordine nell’aiuto dato agli argentini in quei difficili momenti: La solidarietà della popolazione italiana – non dello Stato italiano, della popolazione italiana – probabilmente è stata la più forte che abbiamo ricevuto rispetto a qualsiasi paese nel mondo. Pensa che per esempio in Svezia hai il sistema svedese in cui tu arrivi come rifugiato e loro pensano a tutto, lo Stato svedese risolve tutto, nessuno si può lamentare. Però non è la stessa cosa che la popolazione. […] Gli italiani avevano più disinvoltura46. In queste zone, il rapporto instauratosi fra gli esuli e la popolazione locale fu ancor più forte che altrove. Ciò dipese in parte dal fatto che si trattasse di piccoli gruppi, che raramente raggiungevano le 30 persone e che vivevano tutti insieme, nella stessa struttura, in piccoli centri. Il loro stile di vita suscitava la 46 Intervista a Luis Mattini, Buenos Aires, maggio 2016. Traduzione dallo spagnolo: «La solidaridad de la población italiana – no del Estado italiano, de la población italiana – probablemente ha sido la más fuerte que nosotros hemos vivido en cualquier país del mundo. Mira que por ejemplo en Suecia tenés el sistema sueco donde vos caés como refugiado y te resueleven todo, el estado sueco te resuelve todo, nadie se puede quejar. Pero no es lo mismo que la población. [...] Los italianos tenian más soltura ». Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 416 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà curiosità della popolazione: gli argentini si svegliavano alle 5 di mattina, studiavano fino a mezzogiorno e nel pomeriggio lavoravano. Di solito si trattava di lavori stagionali, come la raccolta di nocciole o la vendemmia. Spesso, dopo cena, alcuni abitanti del paese si univano agli argentini per ascoltare le loro storie, per condividere le loro idee. Va detto che, soprattutto nei primi tempi, era raro che gli esuli dichiarassero apertamente la loro appartenenza politica: in un momento teso e delicato come quello degli anni di piombo in Italia, non era conveniente presentarsi come membri di un’organizzazione che aveva fatto ricorso alla lotta armata. Per tale motivo, e per evitare di essere rintracciati dai servizi segreti argentini, gli esiliati continuavano ad usare i loro nomi di guerra e a servirsi di documenti falsi, proprio come facevano in Argentina durante la clandestinità. Molto spesso le autorità locali erano al corrente di questa situazione, ma non fecero mai nulla che potesse pregiudicare la sicurezza degli esiliati. Racconta Susi Fantino: La gente arrivava in Italia portandosi dietro situazioni difficili, no? Con la grandissima rete di solidarietà attivata in quegli anni sia dall’amministrazione locale, sia dai partiti, sia dalle persone, dai compagni che abitavano nella zona, si cominciò ad aiutarli anche per le cose di prima necessità, dai vestiti alle risorse economiche per mangiare e per sopravvivere. Tra l’altro, una buona parte di questi nostri compagni, dal punto di vista legale, non tutti con documenti propri. Questa cosa il PCI la sapeva benissimo e su questo ci coprì, insomma. Parlo del PCI non perché fosse l’unica organizzazione che ci appoggiava ma ovviamente era la più forte, più sedimentata dal punto di vista delle amministrazioni e dunque la copertura poteva essere molto più efficace47. Al di là del supporto del partito, anche gli abitanti dei paesi mostrarono una grande solidarietà verso i gruppi di argentini: 47 Intervista con Susi Fantino, Roma, marzo 2016. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 417 Ci aiutarono in tutto, ci portavano cibo, ci trovavano qualche lavoro, partecipavano alle nostre riunioni, discussioni…la solidarietà della gente fu straordinaria. […] Lo Stato faceva la sua parte, eravamo stranieri…la gente no, la gente ci aiutava e ci proteggeva. E noi fummo corretti e responsabili, molto responsabili…e anche molti solidali, perché lavoravamo con loro, li aiutavamo. […] come dire, una cosa di solidarietà straordinaria48. Il legame che si instaurò con la popolazione locale fu molto forte, in particolare con gli ex-partigiani. Mano a mano che aumentava la confidenza reciproca, gli esuli iniziarono a raccontare chi erano veramente, contro cosa lottavano, a cosa aspiravano. Molto spesso si definivano “combattenti antifascisti”, per far sì che gli italiani comprendessero il loro punto di vista, la loro concezione della lotta armata, che dicevano essere di tutt’altra natura rispetto a quella che alcune organizzazioni italiane portavano avanti negli anni di piombo. Gli esiliati cercavano di mettere la loro lotta contro la dittatura argentina sullo stesso piano della lotta combattuta dagli antifascisti contro la Repubblica di Salò durante la Seconda Guerra Mondiale, conquistando così le simpatie degli ex-partigiani. La rivendicazione dell’antifascismo fu una delle strategie più efficaci per entrare in contatto con la popolazione italiana, ma non fu la sola. Passiamo ad illustrarne un'altra, legata alla questione della maternità. 48 Intervista con María. Traduzione dallo spagnolo: «Totalmente nos ayudaron, nos traían comida, nos conseguian algun trabajo, participaban de nuestras reuniones, discusiones..la solidaridad de la gente fue extraordinaria...[...] El estado hacia lo suyo, éramos extranjeros...no, la gente nos ayudaba y nos protegia. y nosotros fuimos correctos y responsables, muy responsables...este...y muy solidarios también porque trabajambamos con ellos, los ayudambamos...[...] bueno que sé yo, una cosa de solidaridad extraordinaria». Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 418 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà Le madri argentine e la parrocchia della Trasfigurazione49 Come abbiamo visto, l’empatia degli italiani nei confronti degli esuli è uno degli elementi che ritorna maggiormente nel corso delle interviste raccolte per questa ricerca. Quel che colpì maggiormente gli argentini fu il fatto che non si trattò solo di amici e parenti, o di persone ideologicamente vicine a loro, ma anche e soprattutto di persone che non avevano forti legami con la politica e che spesso non erano nemmeno aggiornati sui tristi eventi riguardanti l’Argentina. A mo’ di esempio, parleremo del caso della parrocchia della Trasfigurazione, nel quartiere Monteverde, a Roma. Questa chiesa, oltre ad aver fatto suo il messaggio del Concilio Vaticano II, si era sempre distinta per la sua solida tradizione di solidarietà e accoglienza. Nel 1979, la vita della parrocchia e quella degli argentini entrarono in contatto. Questo primo incontro diede luogo a una delle più importanti esperienze di lotta per la difesa dei diritti umani in Argentina. Nel maggio del 1979, un gruppo di madri argentine, fra cui Lita Boitano50, Juana Bettanín e Marta Bettini, arrivò a Roma, per parlare con il papa Giovanni Paolo II di ciò che stava succedendo in Argentina e delle tristi sorti toccate ai 49 L’elaborazione di questa parte si basa principalmente sul testo di V. CATrasfigurazione. Una storia di desaparecidos, accoglienza e solidarietà, Roma, CENRI, 2006. 50 Angela “Lita” Paolin Boitano è attualmente presidentessa dell’associazione Familiares de Desaparecidos y Detenidos por Razones Políticas. I suoi due figli, Miguel Ángel e Adriana Silva, militanti della Juventud Peronista, furono sequestrati fra il 1976 e il 1977. La ricerca dei figli scomparsi la portò a Roma, dove iniziò la sua attività di denuncia della situazione argentina. Negli anni 2000 il suo impegno è stato riconosciuto ufficialmente dal Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi, che le ha conferito l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Fra il 1979 e il 1983 è stata il punto di riferimento di buona parte degli esiliati argentini a Roma, in particolar modo delle madri dei desaparecidos. VALLETTI, Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 419 loro figli, desaparecidos, di cui non avevano più notizie. In realtà, la visita dal Papa non ebbe mai luogo; si trasformò, invece, in un lungo soggiorno a Roma, durato fino alla fine della dittatura nel 1983. Fu il senatore Raniero La Valle51, anch’egli abitante del quartiere di Monteverde, a mettere in contatto Lita e le altre madri con i sacerdoti della parrocchia della Trasfigurazione. L’obiettivo delle madri era quello di attirare l’attenzione dei media, dell’opinione pubblica – in particolare del Vaticano – per denunciare i crimini della dittatura e per far conoscere la situazione in cui versava l’Argentina. Per raggiungere tale scopo, il 28 settembre 1979 occuparono simbolicamente la parrocchia e iniziarono uno sciopero della fame che durò qualche giorno. Contemporaneamente organizzarono, sempre nella parrocchia, una mostra fotografica per denunciare la sparizione dei loro figli. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l’appoggio dei preti della Trasfigurazione, a cui si aggiunse il sostegno della comunità di esiliati argentini a Roma, del CAFRA, dei fedeli della parrocchia e degli abitanti del quartiere. Nei giorni seguenti, durante l’omelia, don Andrea Santoro mise sull’altare la lista con i nomi dei desaparecidos e iniziò a leggerla. Fu un gesto simbolico estremamente importante, indice di una presa di coscienza riguardo i tristi eventi in Argentina e che, al tempo stesso, mostrò una volontà ben precisa: queste persone scomparse non dovevano essere dimenticate, ma il loro ricordo doveva sopravvivere. Leggendo la trascrizione del discorso, le sue intenzioni appaiono più che chiare: 51 Senatore della Sinistra Indipendente, fu uno dei politici che più si impegnò nella denuncia della repressione in Argentina. Durante un’interrogazione in Senato lesse una lista contenente i nomi di 800 desaparecidos di origine italiana. Tale atto non ebbe effetti concreti e immediati, ma fu un gesto simbolico affinché quei nomi potessero sfuggire all’oblio restando in un atto parlamentare. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 420 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà Certo noi non siamo nulla per chiedere qualcosa al governo argentino, ma lo facciamo lo stesso: chiediamo notizie, chiediamo elenchi e ogni altro tipo di informazioni circa gli scomparsi. Chiediamo al governo argentino la possibilità di rivederli: possibilmente liberi e vivi. Chiediamo che dia loro la possibilità di esercitare quella libertà che Dio ci ha dato. […] Chiediamo che il nostro Vescovo, il Papa si faccia mediatore di questa richiesta. Che il governo italiano, dal momento che molti scomparsi sono italiani o di origine italiana, faccia propria questa richiesta, come ha fatto qualche giorno fa il Parlamento Europeo. Noi vogliamo che questi scomparsi siano ricordati non domani, dai nostri figli, sui libri di storia, ma oggi e che oggi possano comparire, non sulle pagine di un libro, ma sotto gli occhi nostri. Oltre ad appellarsi al governo argentino affinché le famiglie dei desaparecidos potessero avere delle notizie sui propri cari, Don Andrea interpellava anche il Papa – sperando in un suo intervento come mediatore – e il governo italiano. Il sostegno di don Andrea e degli altri sacerdoti a una causa così politicizzata non fu ben vista dal resto della comunità ecclesiastica. L’esperienza della Trasfigurazione è infatti emblematica dell’opposizione fra la solidarietà delle piccole cellule religiose e l’ostilità della gerarchia ecclesiastica cattolica. I sacerdoti della parrocchia monteverdina erano conosciuti come «i preti rossi, i preti comunisti», come racconta Don Franco: A noi ci chiamavano i preti comunisti. Ma te lo ripeto, comunisti perché se comunista significava stare vicino ai poveri, agli ultimi, ai diseredati, e a sentire dentro di noi, o almeno tentare di sentire dentro de noi quello che gli altri soffrivano, quello che gli altri sentivano, allora se può risponne de sì, io non c’ho paura manco de dillo insomma52. Ma non erano solo i « preti rossi » a sostenere le madri, che si integrarono rapidamente al tessuto sociale del quartiere, 52 V. CAVALLETTI, Trasfigurazione. Una storia di desaparecidos, accoglienza e solidarietà, Roma, CENRI, 2006, p. 68. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 421 diventando parte della comunità che ruotava intorno alla Trasfigurazione. Lo slancio solidale della comunità della parrocchia dipese principalmente dai sentimenti suscitati dalla situazione in cui si trovavano questi esiliati, come si evince dalle parole di Andreina, una donna del quartiere Monteverde, molto vicina a Lita Boitano : « la mia casa era aperta a tutti, poi io non sono stata a guardare di che colore politico erano »53. Su consiglio dei preti, le madri iniziarono a raccontare le loro storie drammatiche in altre parrocchie, con l’obiettivo di ottenere il loro supporto per inviare una lettera al Papa, firmata dai parroci di tali chiese. Tutti questi sforzi diedero i loro frutti: nell’Angelus del 28 ottobre 1979 Giovanni Paolo II parlò degli scomparsi argentini. Questo evento segnò un punto di svolta nell’esperienza monteverdina delle madri e l’inizio di una nuova fase di lotta per la verità e la giustizia. Il raggiungimento dell’obiettivo tanto agognato venne festeggiato con un asado sulla terrazza della parrocchia, che si trasformò in un momento di scambio reciproco a livello politico, ideologico, culturale e sociale54. Nonostante ciò, per le madri argentine il tanto atteso discorso del Papa non fu altro che una vittoria di Pirro, poiché si trattò di un intervento tardivo. Nell’ottobre del 1979 la dittatura aveva infatti annientato la maggior parte di coloro che erano considerati “dissidenti” o “sovversivi”, anche se all’epoca tali dati non erano ancora noti e si aveva la speranza di ritrovare i propri cari. Occorre sottolineare che questa campagna di sensibilizzazione non sarebbe stata possibile senza l’aiuto di alcuni politici della Sinistra Indipendente, in particolare Raniero La Valle, 53 54 Ivi, p. 80. Ivi, p. 85. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 422 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà Giancarla Codrignani55 e Ettore Masina56. Senza il loro supporto le donne argentine non sarebbero mai potute entrare in contatto con importanti personaggi del mondo politico e religioso. I tre parlamentari contattarono ripetutamente sia l’Ambasciata argentina che la Farnesina, nel tentativo di ottenere liste più precise con i nomi degli scomparsi e le ragioni della detenzione. Nonostante la scarsa attenzione da parte delle istituzioni, le madri riuscirono ad incontrare due personaggi di primo piano della scena politica italiana: il presidente del Senato Amintore Fanfani e il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che le ricevettero per ascoltare le loro storie. Nel discorso presidenziale del 31 dicembre 1981, Pertini parla di questi incontri: « Io qui, proprio da dove vi parlo, ho ricevuto due o tre volte madri che venivano dall'Argentina, clandestinamente. E le ho sentite piangere disperate perché da anni non avevano più notizie dei loro figlioli che erano stati, che sono stati indubbiamente uccisi57 ». L’empatia verso le madri fu più immediata, il loro caso ebbe una maggiore visibilità e una maggiore risonanza nell’opinione pubblica, pur essendo il loro arrivo posteriore a quello dei militanti politici. Qual è stato il punto di forza di queste donne? «Sembra certo che la qualità di madri che soffrivano la scomparsa dei figli e la loro unione in questa sofferenza che diventa collettiva costituiscono, di per sé, un ampio fattore esplicativo 55 Scrittrice, giornalista e politica italiana. Deputata della Sinistra Indipendente, impegnata nel movimento per la pace, andò più volte in America latina in missione parlamentare. 56 Deputato della Sinistra Indipendente, negli anni Ottanta fu a capo del Comitato Permanente dei Diritti Umani. Inoltre, fu lui a scrivere la prefazione della versione italiana del Nunca Más. 57 PERTINI Sandro, Discorso presidenziale del 31 dicembre 1981. https://www.youtube.com/watch?v=gjtg7bDYJok (sito consultato il 16 giugno 2017). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 423 dell’irriducibile forza di questo movimento»58. Già il solo status di madri alla ricerca dei figli spiega le ragioni del sostegno solidale della comunità che le ricevette. Ciò non toglie che nelle azioni di queste donne si potesse osservare un messaggio politico ben preciso, anche se nascosto dietro la loro condizione di “madri”: la ricerca dei figli, della verità, della giustizia, dell’opposizione alla dittatura e ai suoi crimini hanno una volontà politica implicita. Pur mettendo l’accento sull’aspetto etico di questa lotta, l’aspetto politico resta presente, seppur latente. Conclusione In questo articolo abbiamo mostrato come la società civile italiana abbia avuto un ruolo prominente nell’accoglienza degli esiliati argentini in Italia, a differenza al ruolo rivestito dal governo italiano che, pur avendone i mezzi, non si è attivato in loro aiuto. Con questa affermazione si corre però il rischio di dare una visione dicotomica della situazione, con uno Stato assente e una società civile prodiga e solidale. Non tutti i rappresentanti del governo hanno chiuso occhi e orecchie di fronte alle richieste degli argentini, né la popolazione nella sua totalità si è dedicata alla causa degli esiliati. Bisogna osservare, inoltre, l’esistenza di attori che hanno giocato il ruolo di “intermediari” fra governo e esiliati, fra esiliati e popolazione, fra esiliati e esiliati. Si tratta di sindacalisti, membri dei partiti politici, giornalisti, deputati, intellettuali, religiosi che hanno avuto un’importanza strategica rilevante. Il quadro è dunque ben più complesso e non si può ridurre la questione della solidarietà italiana verso gli esuli argentini a un’opposizione manichea fra Stato e popolazione. 58 T. DANGY, Maternité et politique : la place et le rôle du mouvement des mères de la Place de Mai dans la démocratisation de l’Argentine, Toulouse, Institut d’Etudes Politiques de Toulouse, 2006, p. 2. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 424 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà Detto ciò, non si può negare l’esistenza – e la ricchezza – di questa rete solidale che si sviluppò intorno al caso argentino e che impedì l’isolamento degli esuli in comunità di compatrioti. La relazione fra italiani e argentini è stata uno scambio continuo, in cui gli uni hanno appreso dagli altri, soprattutto in campo politico e di difesa dei diritti umani. Inoltre, l’affinità culturale fra i due paesi e la (ri)scoperta dei luoghi e delle famiglie di origine hanno avuto svolto un ruolo centrale nell’accoglienza degli esuli e nella loro maniera di relazionarsi con il Bel Paese. L’esperienza dell’esilio in Italia non è stata – e non avrebbe potuto essere – la stessa che in Svezia o in Belgio o in Olanda, nazioni in cui gli Argentini hanno potuto beneficiare del rifugio politico ma in cui, per ragioni culturali, è stato più difficile integrarsi alla popolazione. Gli esempi che abbiamo mostrato rappresentano casi estremamente diversi, dai militanti marxisti del PRT-ERP rifugiati in piccoli paesi sperduti sulle Alpi alle madri che bussano a tutte le porte di Roma per denunciare la scomparsa dei loro figli in Argentina. Ciò che li unisce non è solo la fuga dall’Argentina, la denuncia delle atrocità compiute nel loro paese, il comune destino di esiliati: ad accomunare le loro esperienze in Italia è anche quella solidarietà informale ricevuta nel Bel Paese. Non sarebbe stato possibile comprendere le dinamiche relazionali fra italiani e argentini senza tenere in considerazione la combinazione di affinità socio-culturali, storiche e politiche che ha rivestito un ruolo fondamentale nell’accoglienza degli esuli argentini in Italia. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà 425 Fonti Intervista con Enrico Calamai, Roma, luglio 2015 Intervista con Diana, Roma, settembre 2015 Intervista con Susi Fantino, Roma, marzo 2016 Intervista con Dora, Buenos Aires, maggio 2016 Intervista con Luis Mattini, Buenos Aires, maggio 2016 Intervista con María, Buenos Aires, maggio 2016 Intervista con Miguel Ángel García, Buenos Aires, maggio 2016 Intervista con Wanda, Buenos Aires, maggio 2016 PERTINI Sandro, Discorso presidenziale del 31 dicembre 1981. https://www.youtube.com/watch?v=gjtg7bDYJok (sito consultato il 16 maggio 2015) Bibliografia BERNARDOTTI M.A. Andata e ritorno. I paradossi degli immigrati argentini in Italia, in «Storia e problemi contemporanei», 18 (1996), pp. 61-90 BERNARDOTTI M.A., BONGIOVANNI B., Aproximaciones al estudio del exilio argentino en Italia, in P. YANKELEVICH (ed.) Represión y destierro: itinerarios del exilio argentino, La Plata, Ediciones Al Margen, 2004, p. 49-89 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 426 Calderoni, Una storia di accoglienza e solidarietà CALAMAI E., Niente asilo politico. Diario di un console italiano nell’Argentina dei desaparecidos, Roma, Editori Riuniti, 2003 CANELO B., Cuando el exilio fue confinamiento: argentinos en Suecia, in P. YANKELEVICH, S. JENSEN (eds.), Exilios. Destinos y experiencias bajo la dictadura militar, Buenos Aires, Libros del Zorzal, 2007, pp. 103-126 CARNOVALE V., Los combatientes. Historia del PRT-ERP, Buenos Aires, Siglo XX, 2011 CASTAGNA V., Argentina e Uruguay: linguaggi non verbali. Sezione: Corpo, Mappa della comunicazione interculturale, http://www.mappainterculturale.it/?page_id=128 CAVALLETTI V., Trasfigurazione. 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Come vengono ricevuti nel nuovo paese e cosa caratterizza i loro rapporti con il popolo francese ? Ispirandosi al sociocriticismo di Pierre Barbéris, l’articolo esamina in quattro parti l’accoglienza riservata ai due esuli all’estero. Analizza quindi gli specifici strumenti di scrittura di Essomba nel postulare che l’immigrazione clandestina appaia infine un progetto suicida per i giovani. Abstract : Jean Roger Essomba's Le Paradis du Nord accounts the misadventures of two young Cameroonians dreaming to live in France. How are they received in that area and what characterizes their relations with the French population ? Based on Pierre Barbéris’s sociocriticism, the study examines, in four parts, the reception given to the exiles abroad. Then, it scrutinizes Essomba’s specific writing devices in postulating that illegal immigration, in the end, appears a suicidal project for the youth. Keywords: Broken dream, Exile, Sociocriticism Sommario : Introduction – L’explicite ou les déclinaisons d’un projet ambigu – 1) Une logistique dérisoire – 2) Les affres d’une parodie de filiation – Les ressorts du désenchantement des clandestins – 1) La discrimination de la race noire – 2) La traque des immigrés clandestins – 3) Une collaboration mitigée – 4) La gestation des fronts de soutien et d’entraide – Implicite et significativité du récit : de l’écriture du sens au sens de l’écriture – 1) L’enjeu des anachronies narratives – 2) L’analepse ou les prémisses d’un exil improViaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 430 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé visé – 3) Les prolepses dans la dynamique de prédiction de l’errance nostalgique – 4) Les figures de rhétorique au service de l’écriture : ironie et questions de style – Le sens d’une écriture – 1) Le Paradis du Nord ou la métaphore d’un rêve brisé – 2) L’allégorie d’un exil hypothéqué – Conclusion – Bibliographie Introduction L’immigration clandestine reste un fait d’actualité qui se renouvelle sans cesse dans la littérature contemporaine. On a en mémoire la vague récriminatoire qu’a soulevée ce phénomène en Lybie en novembre 2017 avec la recrudescence de l’esclavage qu’elle a engendrée et le tollé qui s’en est suivi dans les pays monde entier. Force est alors d’établir que ce corpus connaît une ampleur dévastatrice tant il alimente les débats les plus houleux quant aux solutions définitives pouvant enfin conduire à son éradication. Si cette pratique obsédante continue toutefois de séduire des aventuriers de tous bords, force est de constater qu’elle n’inquiète pas moins les politiques. Ceci se justifie par le fait qu’elle entraîne des conséquences préjudiciables sur la personne du clandestin, sa famille et son pays d’origine. Tous les jours en effet, les médias annoncent, à grand renfort d’images insoutenables, le nombre toujours grandissant de cargos et bateaux de fortune chargés de clandestins qui échouent au large de la Méditerranée. C’est dire qu’émigrer clandestinement ne s’assimile à rien de plus qu’un acte suicidaire, puisque ses contours ne comblent pas toujours les attentes du clandestin africain affecté du syndrome de l’ailleurs. Au regard des postulats qui précèdent, il convient de se demander si l’ailleurs tant rêvé par les immigrés clandestins se révèle véritablement un espace propice à la reconstruction identitaire voire à l’enracinement décomplexé ou si, a contrario, il apparaît comme un univers maudit enclin à l’errance nostalgique Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 431 et à l’exil improvisé ? Autrement dit, quelles relations lient l’immigré clandestin à sa nouvelle terre d’accueil ? Comment s’intègre-t-il dans cet espace mythique très souvent hostile mais auquel il s’accroche parfois au péril de sa vie ? Pour apporter une réponse à ce questionnement, nous convoquons la théorie sociocritique de Pierre Barbéris. Dans son mode opératoire, le théoricien soutient que la sociocritique s’opère « à partir d’une recherche et d’un effort tâtonnant et découvreur qui invente un nouveau langage, fait apparaître de nouveaux problèmes et pose de nouvelles questions »1. Deux étapes définissent ce référentiel de lecture : l’explicite et l’implicite. Notre travail comporte quatre parties. La première et la deuxième montrent comment l’explicite est à l’œuvre dans le texte. Il s’agit de l’illustration du contraste criard entre un projet enchanteur de vivre une existence confortable ailleurs et les déclinaisons d’un rêve brisé. La troisième partie porte sur les aspects esthétiques qui sous-tendent la thématique mise en relief par le romancier. Justifiant du statut de l’écrivain comme producteur de discours de par la qualité du langage qui éclaire son message, la dernière partie s’intéresse à la signification ou la dimension éthique du récit. Elle décrypte notamment les divers axes qui sous-tendent la vision du monde de J. R. Essomba sur la question de l’immigration clandestine. L’Explicite ou les déclinaisons d’un projet ambigu Dans son approche critique, Pierre Barbéris entend par “explicite”, l’ensemble des « références claires à restituer, […] qui peuvent être disséminées »2 dans le texte littéraire. C’est 1 P. BARBERIS, Sociocritique, in D. BERGEZ, P. BARBÉRIS, P.-M. DE BIASI (eds.), Introduction aux méthodes critiques pour l’analyse littéraire, Paris, Bordas, 1990, pp. 121-153, en particulier p. 124 2 Ivi, p. 140. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 432 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé d’ailleurs dans cette perspective qu’il « importe [pour lui,] de traquer ce qui, dans le texte, se trouve “dit” et dénoté »3. Quant à l’immigration clandestine, elle se décrit comme le passage résolu par un clandestin d’un espace rebuté vers un espace sublimé. Un tel projet migratoire rejoint la visée qu’accorde Daniel Sibony au concept de voyage en affirmant que : Tout projet de faire, toute technique riche et consistante met en jeu un transfaire, une traversée de ses propres limites, un voyage où l’objet de départ se dissout dans l’objet d’arrivée, celle-ci devenant un nouveau départ; le ressort du voyage étant le désir de se “refaire”, de produire quelque chose d’autre que soi où l’on puisse se reconnaître, se méconnaître, à travers quoi on puisse fuir l’horreur de soi, apaiser sa soif d’autre, d’autre chose, et pourtant donner au soi une certaine consistance4. Plus souvent, les conditions de vie jugées exécrables par le clandestin motivent son transfert de son espace de vie habituel, ordinaire, pour un espace étranger où il devient un exilé par la force des choses. Objet de toutes les aberrations, l’espace premier apparaît comme maudit, parce que dépeint comme un enfer qu’il faut impérativement fuir. La vieille Zita, ex-voisine de Bernadette Kodock, la mère de Jojo, appréhende son quartier comme une géhenne qu’elle décrit par ces mots : « quand on a la chance de quitter cet enfer, pourquoi y revenir ? »5. Mais avant même de franchir le seuil de la terre d’accueil, l’immigré déchante bien vite au regard des conditions de voyage déplorables qui lui laissent supposer que vivre ailleurs n’est pas du tout une sinécure. 3 Ibidem. D. SIBONY, Entre-deux, l’origine en partage, Paris, Seuil, 1991, p. 302. 5 J.R. ESSOMBA, Le Paradis du Nord, Paris, Présence Africaine, 1996, p. 35. 4 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 433 1) Une logistique dérisoire En rêvant de vivre en Europe, le clandestin s’imagine baignant dans un confort princier. Mais, contrairement à ses aspirations résidentielles oniriques, il n’a droit qu’à un vulgaire abri de refuge. Autant reconnaître que l’offre d’hébergement dont il bénéficie se réduit à un repère de fortune. En situation de transit en Espagne, les clandestins Charlie et Jojo sont logés dans une couchette atypique : une vulgaire chaudière qui pue le fuel. D’ailleurs, les deux compères palissent à l’idée de savoir que ce cadre circonstanciel les abritera pour la nuit avant de repartir pour la France. Dans la pièce, « il y avait des outils de jardinage dans un coin […] A côté des outils de jardin, on avait étalé un vieux matelas et une couverture »6. De plus, dans l’échiquier professionnel du pays d’accueil, l’immigré est positionné comme un sujet dangereux, c’est-à-dire une menace pour ses concurrents du pays hôte. Il est suspecté de mettre en péril la sécurité de l’emploi de ceux qui l’accompagnent dans son projet. Face à cette situation, les passeurs ont recours à tous les stratagèmes possibles pour éviter d’ébranler leur réseau. Pour un clandestin, le séjour en Europe est parsemé d’embûches dont le plus grand consiste à se faire démasquer par les autorités policières locales. Abandonnés à leur sort, tributaires d’un destin compromettant, les immigrés cheminent alors le cœur battant dans les dédales de l’incertain, n’étant plus maîtres de leur sort. L’on comprend pourquoi lors de leur départ de l’Espagne pour la France, les clandestins consentent à s’installer dans « une remorque à moitié pleine de cageots d’oranges [dont] 6 ESSOMBA, Le Paradis du Nord, p. 48. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 434 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé la profondeur du double fond […] ne dépassait pas quarante centimètres »7. Les positions inconfortables qu’ils occupent pendant le voyage illustrent à quel point ils sont désormais considérés comme des pseudo-individus. Leurs droits fondamentaux sont bafoués, y compris celui de satisfaire les besoins naturels. En proie à un besoin vital pressant, les immigrés sont invités « à [le] faire dans [leurs] frocs »8. Force est donc de reconnaître que les stratégies de déplacement imposées aux clandestins font l’objet d’une attention vigilante de la part des passeurs rompus à la tâche. D’ailleurs, lesdits déplacements n’ont lieu qu’à des moments bien indiqués : soit la nuit, soit très tôt le matin. C’est assurément pour cette raison que les exilés attendent la nuit avant de rejoindre Toulouse. C’est également la nuit qu’épie le passeur espagnol pour prendre congé de ses hôtes de fortune. Répondant à Charlie au sujet de cette attention curieuse et soutenue, le passeur espagnol déclare : « je ne veux pas que vous puissiez décrire mon camion si on vous arrête un jour »9. L’errance nostalgique qui accompagne désormais les clandestins se lit aussi à la stature des prétendus bienfaiteurs qui les côtoient. 2) Les affres d’une parodie de filiation Dans le circuit de la déportation des clandestins vers le lieu tant rêvé, s’active une chaîne dont fait partie une bande de bonimenteurs rodés. Leur mission secrète consiste à nourrir d’espoir le clandestin en lui promettant monts et merveilles à son arrivée en terre étrangère. Le circuit qu’empruntent les clandestins pour se rendre en France se révèle complexe à plus d’un titre. Si d’une 7 Ivi, p. 50. Ivi, p. 50. 9 Ivi, p. 12. 8 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 435 part, il se compose de passeurs méfiants, force est de dire, d’autre part, qu’il se trouve truffé d’opportunistes en col blanc. Cette autre catégorie de personnages profite de l’extrême naïveté des immigrés pour ruiner leur ambition de faire fortune en Europe. Aussi l’accueil que réservent Modeste et Bernardin, les soi-disant compatriotes de Jojo et Charlie, s’avère-t-il en tous points fatal pour eux. Tirant avantage de leur expérience de malfrats, les deux malfaiteurs promettent du travail aux inconnus avec lesquels ils prétendent partager la même nationalité. Mais une fois de plus, le rêve des clandestins se révèle un cauchemard puisque les deux menteurs profitent de la rencontre improvisée avec leurs hôtes pour les droguer dans une Mercedes luxueuse volée, avant de les délester de leur argent. Par la suite, ils les abandonnent dans un parking souterrain des Hauts-de-Seine. Lorsque le lendemain Jojo découvre le traquenard, il révèle à son ami Charlie qu’ils se retrouvent dans un véhicule immatriculé 31(Paris), au lieu de 92 : « nos deux compatriotes nous ont drogués et ils nous ont abandonnés ici après nous avoir pris tout notre argent »10. A l’instar des mirages de Paris11 dont parlent Ousmane Socé dans son roman, ou encore du nègre à Paris12 auquel fait allusion Bernard Dadié dans son récit, le désenchantement des clandestins revêt des formes encore plus diverses qu’ils ne l’imaginent à leur arrivée à Toulouse. Les ressorts du désenchantement des clandestins La malédiction que connaît l’immigré clandestin naît du rejet dont il fait les frais dans un espace dysphorique qui le vo- 10 Ivi, p. 59. O. SOCE, Mirages de Paris, Paris, NEI, 1937. 12 B. DADIE, Un nègre à Paris, Paris, Présence Africaine, 1959. 11 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 436 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé mit. Les déclinaisons de ce rejet sont entre autres le discrimination de la “race” noire, la traque des clandestins et une collaboration mitigée avec les clandestins. 1) La discrimination de la race noire Celle-ci se perçoit dans le traitement raciste infligé aux clandestins de “couleur” par les résidents français. Elle se manifeste en ceci qu’aucune attention ne leur est accordée, même lorsqu’il s’agit pour eux d’engranger la moindre information susceptible de les aider à s’orienter dans une France qui leur paraît labyrinthique. Charlie et Jojo sont victimes de rejet de la part d’une dame blanche qui vient récupérer son véhicule dans le parking. Adossé à un mode de communication emphatique et pour le moins alarmiste, le rejet des clandestins par la dame s’opère à travers la mise en relief d’un discours itératif. De nature à ameuter le voisinage, ce discours interpellateur laisse effectivement croire à une agression. De plus, la description que donne la femme de ses prétendus agresseurs dévoile sa ferme volonté à leur créer de sérieux ennuis. C’est dans cette veine que des êtres humains sont comparés à des animaux en ces termes : « c’étaient deux grands Noirs… Vous auriez dû les voir, on aurait dit des bêtes sauvages. J’allais prendre ma voiture lorsqu’ils ont foncé sur moi »13. Amplifiant les faits en les arrosant de mensonges bien choisis, la dame évoque le danger encouru par d’éventuels chauffeurs qui s’aventureraient dans le parking. Le mensonge devient pour elle une compétence linguistique raciste actionnée dans le but de discriminer ou de susciter le rejet des clandestins dans la nouvelle terre d’accueil. Interrogée sur la véracité des 13 ESSOMBA, Le Paradis du Nord, p. 64. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 437 événements narrés, la dame en question ne s’offusque pas de déclarer que les hommes noirs l’ayant abordée lui voulaient du mal. Sa réponse ravive la colère des hommes : Puisque je vous le dis ! Il y en a même un qui a couru après moi. Heureusement […] je ne suis pas de ces femmes qui se laissent violer ainsi sans réagir. Lorsque celui qui me poursuivait m’a rattrapée, et qu’il m’a tenue fermement aux hanches, je lui ai donné un coup de genoux dans les testicules. Pendant qu’il se tordait de douleur, je me suis enfuie14. Le rejet de la race noire se manifeste également à travers la profération de paroles racistes à l’adresse des néo-immigrés. Il s’agit dans ce cas de jeter l’opprobre sur toute une race à cause du présumé viol d’une femme blanche. Le chef d’accusation formulé à l’intention de Charlie et Jojo vise à pointer un doigt accusateur sur la politique gouvernementale française relative à la question de l’immigration. Dirigeants politiques et politiques d’immigrations sont respectivement taxés de laxistes et de complaisants par les adeptes du racisme anti-noir en ces termes : « c’est effrayant ! Mais que voulez-vous ? C’est le résultat de la politique qui est menée dans ce pays »15. La haine nourrie à l’endroit des personnages de race noire est poussée au point où des vœux entiers sont formulés en faveur de la prise de pouvoir en France par des radicaux. Cet avènement éviterait le séjour dans ce pays de clandestins et marquerait la fin des cotisations pour leur assurer une sécurité sociale. La sympathisante du Front National affirme ainsi ses récriminations contre des Noirs qu’elle taxe de racaille, et surtout contre un système qu’elle juge antipathique et carrément lymphatique : « Vivement que le Front National16 prenne le pouvoir et qu’il nous mette 14 Ibidem. Ivi, p. 66. 16 Parti politique français d’extrême droite fondé en 1972. Dans ses engagements n° 24 à 27 communiqués lors de la présidentielle de 2017, ce parti a 15 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 438 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé cette racaille à la porte. Bon, ce n’est pas tout, il faut que j’aille travailler, moi, pour payer la sécurité sociale à des immigrés. Ah ! Quelle triste vie tout de même ! »17. La traque des immigrés clandestins est l’autre stratégie adoptée par les résidents occidentaux pour manifester leur rejet de la “race” noire. 2) La traque des immigrés clandestins Si, implicitement, la traque s’inscrit dans la logique de répulsion de l’Autre, elle a ceci de particulier qu’elle sert de ferment à la rancune. Secrétant des motifs de vengeance, la traque des “indésirables” noirs vise alors à démontrer au Noir qu’il incarne le danger permanent dans une société qui l’appréhende comme un paria. Il importe, à cet égard, de le débusquer du trou où il se terre pour éviter qu’il ne multiplie des larcins. Voilà pourquoi une femme souligne l’urgence à retrouver les exilés, où qu’ils se cachent : « il faut les retrouver […] Ils sont dangereux ! Je vous assure qu’ils sont dangereux »18. Marquée par la fouille systématique des coins et recoins où se blottissent les Noirs, la traque mobilise les Blancs et vise à les dresser, sans aucune forme possible de réparation, contre les Noirs. Ceci justifie pourquoi Charlie et Jojo étaient « tapis dans la voiture depuis environ cinq minutes, lorsque des pas se firent entendre. D’après le bruit, les poursuivants devaient être nombreux. Ils s’arrêtèrent pour slogan : « les droits des étrangers diminués, une immigration réduite au maximum ». En effet, son président, Marine Le Pen, veut sortir la France de l’espace Schengen qui permet la libre circulation des citoyens entre les frontières des 26 Etats-membres. Elle souhaite « rendre impossible la régularisation ou la naturalisation des étrangers en situation illégale » et « simplifier et automatiser leur expulsion ». ˂http://www.20minutes.fr/elections/206043920170502-presidentielle-trois-axes-forts-programme-front-national-inspiresextreme-droite˃ (Consulté le : 12-01-2018). 17 ESSOMBA, Le Paradis du Nord, p. 66. 18 Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 439 à côté de la voiture dans laquelle les deux clandestins étaient cachés »19. Un autre trait caractéristique de la traque réside dans le fait qu’elle dure tout le temps nécesaire pour contraindre les clandestins à sortir de leur cachot. Ainsi, quelles que soient les difficultés auxquelles ils restent confrontés, les traqueurs n’abandonnent guère leurs recherches ni leur cible. La fougue qui les anime n’a d’égales que les déclarations d’un poursuivant, convaincu que les deux clandestins se sont cachés à une endroit précis du large parking qui leur sert finalement de refuge : « ils sont sûrement quelque part, dans une voiture ou sous une voiture. Le parking est grand, nous aurons du mal à les retrouver »20. Autant dire que l’un des enjeux de la traque repose sur le fait qu’elle s’étale sur une durée indéterminée et couvre un espace géographique indéfini, tant que les deux Noirs restent introuvables. Voilà pourquoi la traque de Charlie et Jojo s’étend de Toulouse jusqu’au Boulevard de Ménilmontant. Elle incite les deux “fugitifs” à une fuite en avant à la vue des policiers sûrement aidés par des automobilistes qui croisaient le chemin des clandestins dans leur fuite folle. Par ailleurs, la traque a ceci de particulier qu’elle se distingue des autres formes de recherche des fugitifs par la quantité et la qualité des moyens mobilisés par les policiers en vue de parvenir à leurs fins. En dehors des moyens humains qu’elle capitalise, à l’instar du nombre impressionnant de poursuivants volontaires prenant fait et cause pour la plaignante, on relève le concours des policiers et des chiens féroces sollicités pour mettre rapidement la main sur les clandestins. L’un des poursuivants rassure ainsi la plaignante et prétendue violée : « calmez-vous, madame, nous les retrouverons. La police sera là dans quelques 19 20 Ivi, p. 63. Ivi, p. 64. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 440 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé instants avec des chiens. Ils auront vite fait de les débusquer »21. A côté des chiens qui accompagnent les policiers, l’usage de bombes lacrymogènes et des pistolets est évoqué. Ce dispositif de choc vise à rendre les fugitifs vulnérables aux assauts des traqueurs, à les confondre et semer en eux le doute. C’est l’effet que produit le gaz lacrymogène sur les deux clandestins qui les pousse à quitter précocément leur refuge sous un pont. Le narrateur omniscient rappelle que « les poumons en feu et les yeux larmoyants, ils franchirent la butte et dévalèrent à toute vitesse une pente engazonnée. […] Derrière eux, les policiers aussi s’étaient mis à courir. L’un d’entre eux cria : - Arrêtez-vous sinon on tire »22. L’un des objectifs non avoué suscité par la traque est la mise des clandestins hors d’état de “nuire”, y compris par des tirs de balles réelles. Cet effet est obtenu grâce aux coups de pistolet tirés en l’air qui font paniquer Charlie. Ayant trébuché, il se fait abattre sans toutefois manquer d’encourager son ami à poursuivre l’aventure : « ne t’arrête pas, Jojo ! Va-t-en ! »23. L’autre effet induit du phénomène de la traque sur les clandestins se voit dans les réactions diverses manifestées par ces derniers. La traque les plonge dans un état complexe fait de regrets, d’amertume et de panique. La panique naît quand les poursuivants viennent s’arrêter à côté de la voiture à l’intérieur de laquelle les deux immigrés clandestins trouvent refuge. Les deux interrogations rhétoriques qui suivent dévoilent l’état d’esprit dans lequel se trouvent les deux compères suite à l’alerte lancée par la plaignante blanche : « pourquoi s’étaient-ils arrêtés là ? Avaient-ils découvert leur 21 Ivi, pp. 63-64. Ivi, p. 84. 23 Ivi, p. 85. 22 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 441 cachette ? »24. Il faut dire que les battements de cœurs des deux amis qui s’ensuivent alimentent un sentiment de vive amertume. S’agissant du sentiment d’amertume, il trouve sa justification dans le questionnement interne qui ronge les clandestins. Se projetant dans l’avenir, ils caricaturent le destin qui deviendrait le leur au cas où on leur mettait la main dessus deux jours seulement après leur arrivée en France. Le narrateur révèle le sentiment assommant que ressent Jojo suite aux mensonges impénitents de la prétendue violée lorsqu’il déclare : « il y avait tellement de conviction dans la voix de la dame que Jojo lui-même ne savait plus où était la vérité. Charlie avait raison, si on leur mettait la main dessus, ils seraient sûrement condamnés pour tentative de viol »25. Quant au sentiment de regret, il se voit dans la double attitude qu’affichent les clandestins. D’une part, l’exil secrète en eux un arrière-goût d’amertume, lequel les entraîne à développer des aptitudes controversées pour se tirer d’affaire face à la pugnacité des poursuivants. Ils revêtent sans transiger la camisole de l’agresseur invétéré aux fins de s’éloigner du périmètre urbain où ils se sentent en insécurité. Parce qu’elle induit chez les clandestins des postures mitigées, la traque les pousse à changer de statut et à compliquer une situation suffisamment problématique. L’un des exilés, Charlie, devient agresseur. Furetant dans la serrure de la portière d’un véhicule parqué, il l’ouvre et invite Jojo à l’y retrouver. Tassés à l’arrière du véhicule, tous deux contraignent alors l’occupante à démarrer si elle tient à sa vie. Ils la menacent par ces mots : « si vous ne démarrez pas tout de suite, je vous fais cracher vos intestins […] allez-y doucement, madame, si vous tenez à la vie […] vous allez nous déposer très loin d’ici, […] mais si vous tentez de nous jouer un mauvais tour, 24 25 Ivi, p. 63. Ivi, p. 64. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 442 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé nous vous abattons sur-le-champ »26. Bien que déposés aux Champs Elysées, le lieu recommandé, les deux immigrés ne baissent pas la garde face à une menace qui s’avère désormais établie. A madame Cordeau, ils profèrent un supplément de menaces qui se confondent au chantage, ayant au préalable pris le soin de fouiller dans le sac à main de la femme apeurée : « Ecoutez-moi bien madame Cordeau […] si vous allez à la police, nous vous retrouverons vite »27. L’autre effet de panique naît chez les clandestins quand ils se rendent compte que le lot de leur nouvelle vie en France n’est que course folle et fuite en avant. Pour résorber ce malaise, l’un d’eux estime qu’il serait pertinent de leur part de se résigner dans l’échec et se faire rapatrier. Tandis que Charlie veut poursuivre le combat, au péril de sa vie, Jojo se montre plus réaliste. Comparant sa nouvelle misère à celle endurée de longue date au pays, il préfère la dernière forme de souffrance et se confie ainsi à son ami : « j’ai passé sept années de mon enfance dans la rue. Pourtant je n’ai jamais souffert comme je souffre depuis quelques heures. Chez nous au moins les rues étaient chaudes »28. Le dernier sentiment de regret émerge quand le poids du combat existentiel se fait insupportable pour les clandestins. Pressentant un échec cuisant en France, ils sont traversés par la volonté de tout abandonner ou animés du désir de se laisser simplement supprimer par la mort. Pris dans un tourbillon de lassitude, poursuivi par des policiers surarmés et des chiens surentraînés, tous près à le mettre sous l’éteignoir, Jojo ressent l’urgence de se laisser tout simplement mourir. D’abord, il plonge dans les eaux noires de la Seine, comme pour connecter l’ombre de sa vie à la noirceur de l’eau. Sa lassitude envahissante naît de 26 Ivi, p. 67. Ivi, p. 68. 28 Ivi, p. 82. 27 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 443 l’idée qu’il sait son combat perdu d’avance. Aussi ne consent-il plus du tout à lutter. Parce qu’il veut tout lâcher, il émet alors le vœu de retrouver une liberté désormais compromise : « ce serait tellement simple si tout s’arrêtait… Ne plus vivre, ne plus courir, ne plus souffrir, mourir. Oui, c’était ça la solution : mourir ! »29. L’usage par deux fois du verbe “mourir” dans ce fragment est significatif. Si d’une part, il informe le lecteur du désenchantement d’un clandestin quelques jours après son arrivée en Europe, il affiche davantage la volonté de ce dernier à abréger son calvaire, à conjurer son traumatisme. Autant voir dans cette stratégie, un élan mortifère, le désir manifeste de se suicider. D’ailleurs, pour joindre le vœu à l’acte, Jojo adopte dans la Seine une posture suicidaire, comme l’attestent ces mots du narrateur : « il arrêta de nager, ferma les yeux, bloqua sa respiration et se laissa couler »30. Au regard de ce qui précède, il convient de dire que la panique dans laquelle baignent les deux clandestins se définit comme un aveu d’échec. Elle montre la capacité qu’ont certains d’eux à pouvoir admettre que l’idée de l’exil est infructueuse voire inopérante. Voilà pourquoi la panique produit sur les immigrés des effets corrosifs graduels. Ces effets successifs traduisent le désenchantement de rêveurs patentés qui, au fil du temps, déchantent en se disant que l’équation de départ a certainement été mal posée. Par le biais d’une interrogation rhétorique adressée à Charlie, Jojo manifeste une longue complainte destinée à dissuader son ami de revenir à la raison : Pourquoi continuer à nous mentir à nous-mêmes ? […] nous nous sommes trompés, il faut l’admettre. C’est le commandant du bateau qui avait raison lorsqu’il disait que nous courions après une illusion. Nous avons payé pour avoir des papiers et du travail ; mais nous sommes tombés sur une véritable 29 30 Ivi, p. 83. Ivi, pp. 86-87. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 444 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé bande organisée. Nous pouvons encore nous estimer heureux qu’ile ne nous aient pas assommés et balancé à la mer … Si tu veux mon avis, Charlie, je crois que nous n’avons qu’une solution : laisser tomber !31. 3) Une collaboration mitigée L’accueil réservé aux clandestins varie très souvent selon une perspective double : le contexte où ils se trouvent, d’une part, et l’interlocuteur auquel ils ont affaire, d’autre part. S’agissant du contexte, il agit négativement sur le destin des immigrés en leur offrant d’assister à leur propre déchéance grâce à la conjonction fructueuse entre les automobilistes et la police en quête de “malfrats”. Cette synergie manifeste entre les citoyens et les forces de l’ordre atteste que la France n’a ménagé aucun espace pour abriter des hommes en situation problématique ou irrégulière. En outre, elle traduit l’antipathie d’une communauté face à des “malfaiteurs” en aventure. Alors qu’ils cheminent dans les dédales de l’inconnu, Charlie et Jojo constatent que des « regards curieux »32 d’automobilistes leur sont jetés avec récurrence. Lesdits automobilistes finiront par signaler la présence des deux immigrés frauduleux à la police. Flairant le danger qui les guette, Jojo appréhende cette collaboration comme une menace préjudiciable à leur accalmie. Il partage ses suspicions avec le naïf Charlie au sujet d’une possible trahison de la part des automobilistes curieux : « ils peuvent signaler notre présence à la police […] Tu oublies les deux femmes de ce matin ? »33. Quant aux relations des immigrés avec leurs interlocuteurs, elles sont autant dominées par le mépris racial et les antagonismes multiformes que par la solidarité humaniste rarement 31 Ivi, p. 82-83. Ivi, p. 79. 33 Ivi, p. 80. 32 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 445 manifestée à leur endroit. Mépris racial, dans la mesure où l’appartenance à une même race ne garantit en rien la collaboration entre les immigrés et leurs divers interlocuteurs. Préoccupés par la recherche d’Anatole, le cousin de Jojo, les deux clandestins butent contre l’hostilité d’un Noir qu’ils considèrent pourtant comme leur frère de race. Les regardant approcher avec « une certaine hauteur »34, l’homme enragé déclare ne point être leur frère. D’ailleurs il n’hésite pas à les renier ouvertement : « mon frère, mon frère, […] Je suis peut-être noir comme vous, mais je ne suis pas votre frère ! Je ne suis pas Africain ! »35. L’indignation de l’homme, teintée d’énervement, repose sur l’usage du ton emphatique dont la dominante est le lexème “frère”. Le reniement de ceux de sa race traduit le manque cruel de collaboration auquel fait souvent face l’immigré clandestin. L’attitude de cet interlocuteur s’assimile à celle vécue par les deux clandestins à Château Rouge. Si dans leurs rêves colorés Château Rouge apparaît comme le repère de la solidarité noire en France, dans la réalité malheureusement, cet espace s’identifie à un haut lieu du désenchantement. Dépouillé de la flamme de solidarité africaniste qu’il est supposé sécréter, cet espace traîne sa triste renommée auprès des clandestins désespérés. Voilà pourquoi les attitudes adoptées par les personnages y rencontrés restent dénuées de tout élan de générosité africaine dont les caractéristiques essentielles sont la courtoisie et la fraternité agissantes. Le narrateur relate que : « quelques personnes [...] leur parurent abordables. […] d’autres s’étaient enfuies comme si les clandestins avaient la peste »36. Les clandestins sont ainsi confondus à des sujets indésirables, des reclus d’Europe, les gueux de la société française en 34 Ivi, p. 70. Ibidem. 36 Ivi, p. 77. 35 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 446 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé particulier. Tant et si bien que pour leur céder le passage, ils doivent souscrire, à prix d’or, une sorte de laissez-passer. C’est cette rançon instituée par les jeunes habitants des étages sales et puants du 113, où résidait Anatole, le cousin de Charlie, qui est exigée aux clandestins, du fait que leur visage ne soit pas familier aux résidents. C’est donc ce péage qui pousse Charlie à la bagarre avec ces jeunes prétentieux dont le leader dévoile ainsi les termes de son chantage : « si vous voulez passer, vous nous filez chacun cinquante balles »37. Par contre, chaque fois que les clandestins reçoivent réponses à leurs inquisitions, celles-ci sont l’œuvre d’un vieil homme de race blanche. Autant croire qu’il s’agit d’un personnage ayant une certaine expérience de la vie. Se sentant solidaires des clandestins, imaginant leur peine au quotidien, il n’hésite pas à leur proposer l’assistance sollicitée. Dans le premier cas de figure, l’homme blanc âgé justifie l’inconduite de l’homme noir par la pression constante inhérente au milieu professionnel au sein de la société française capitaliste. Assorties d’une verve consolatrice, les paroles du vieil homme rassurent les clandestins : « vous savez, ici les gens vivent constamment sous pression. Alors ils se défoulent comme ils peuvent. Puis-je vous être d’une quelconque utilité ? »38. Il leur indique par la suite comment se rendre à Saint-Denis. Dans le second cas, le même vieil homme consent à échanger avec les clandestins pour dissiper les aprioris qui alimentent leurs convictions avant leur arrivée en France. Il les entretiendra sur les stratégies à adopter pour se tirer d’affaire dans son pays quand on est en mal de repères sûrs. Ainsi leur propose-t-il, dans un premier temps, de se constituer prisonnier en provoquant un incident susceptible d’induire leur arrestation par la police: « il 37 38 Ivi, p. 73. Ivi, p. 71. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 447 suffit de ramasser la pavé qui traine là, de le balancer contre la vitrine de la boutique en face et d’attendre la police »39. Par la suite, il les instruit au sujet des foyers d’hébergements que convoitent ces derniers et les informe que ces espaces n’accueillent que des personnes en règle. Enfin, en leur faisant savoir que les Restaurants de Cœur ont fermé et n’ouvrent à nouveau que l’hiver d’après, il leur prodigue ce conseil : « croyez-moi, la prison est une bonne solution. Avec un peu de chance, ils vous renverront peut-être chez vous »40. Si cette dernière offre fait les affaires d’Anatole, le cousin de Charlie, qui opte résolument pour “la Santé”, c’est-à-dire la prison, elle se révèle davantage une issue de sortie pour des immigrants clandestins confus auxquels s’offre la possibilité de revêtir le statut d’exilé. 4) La gestation des fronts de soutien et d’entraide L’immigré clandestin n’apparaît pas toujours comme un sujet infortuné dans la trame de Jean Roger Essomba. Il lui arrive parfois de tirer consolation de la générosité d’un autre personnage auquel il aura par le passé rendu un service quelconque. Le lien secret liant Jojo à Flora, une jeune meurtrière de circonstance, conduit cette dernière à faire une offre de logement à Jojo qui se blesse en voulant lui sauver la vie. Croyant le mettre en contact avec l’une de ses amis camerounaise, elle le connecte à Nina, alias Jacquie, sa sœur aînée, dont il avait perdu la trace au Cameroun. La promesse à lui faite par Nina participe de ces retrouvailles bienfaisantes entre immigrés africains hors de leur continent. Pour parfaire le tout, Nina promet à son frère de le sortir du squat devenu son logis : « de toutes les façons, tu peux 39 40 Ivi, p. 78. Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 448 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé me faire confiance, tu ne resteras pas longtemps dans ce squat. Je te trouverai autre chose de plus convenable »41. Le squat en question est un gîte qui abrite des Camerounais exilés aux fortunes diverses. Ils forment un front de solidarité compact au sein duquel rigueur et discipline sont de mise. En mettant sur pied ce front d’entraide, Anselme sentait l’impératif pour des exilés d’une même patrie de se serrer les coudes à l’étranger. Ce modus vivendi constitue pour eux un moyen sûr pour renforcer la chaleur fraternelle africaine et repousser les limites de l’adversité occidentale. Le squat donne à voir la manifestation d’une générosité opérante pour des exilés déboussolés, certes, mais animés d’un vif esprit d’autodiscipline, ainsi que le précise Anselme : « Nous occupons ces lieux illégalement : cela veut dire que nos entrées et nos sorties doivent être très discrètes. C’est pour cette raison que nous partons très tôt le matin, et que nous ne rentrons que plus tard dans la nuit. Pour des raisons de sécurité, il faut éviter de sortir d’ici le jour42 ». Autant dire, à cet égard, que l’accueil réservé à un exilé par un autre est des plus convivial. Parfois les fronts de solidarité se traduisent par l’offre, à un clandestin, d’une résidence plus commode, des faux papiers d’identité et un emploi. Voilà pourquoi Jojo finit par loger dans un studio qui « était situé au troisième étage d’un immeuble ancien dans une rue calme »43. Bien plus, il reçoit de son futur employeur une fausse carte d’identité et un nouveau nom : il se nomme désormais Jean-Philippe Sainpré. Certes, le travail de livreur de journaux qui lui et proposé scelle sa descente aux enfers, avec notamment son arrestation à la fin du récit ; mais il oblige d’avancer que la solidarité régissant les rapports entre 41 Ivi, pp. 107-108. Ivi, p. 111. 43 Ivi, p. 143. 42 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 449 exilés suscite un tel élan de cœur qu’il les nourrit, un temps soit peu, d’espoir. Quoique les seuls moments de joie que connaisse Jojo dans le récit de sa mésaventure émanent des rares instants vécus en compagnie de sa sœur Nina, le moins qu’on puisse dire est que l’exilé est globalement mal en point dans sa terre d’accueil. Tel est le cas lorsqu’il se trouve confronté à la justice étrangère. Bien qu’innocent dans les faits à lui reprochés, l’exilé se voit automatiquement inculpé par des juges racistes. Il rencontre d’énormes difficultés pour assurer sa défense face à une justice biaisée dont les juges corrompus sont décidés à lui régler ses comptes. Il devient la cible toute trouvée d’accusations erronées et sans fondements. Dans un réquisitoire bien ciblé visant à incriminer Jojo, l’avocat général le dépeint en des termes péjoratifs et pour le moins inhumains : Cet homme est incapable d’éprouver le moindre sentiment [de repentir ou de compassion] de cet ordre-là ! C’est une brute qui, si vous la laissez sortir d’ici, recommencera à tuer pour vivre. […] Je sais qu’il est de plus en plus difficile de nos jours de juger en toute sérénité quelqu’un d’une autre race. Mais s’il faut relâcher un criminel parce que nous avons peur qu’on nous accuse de racisme, alors ce pays sombrera dans le chaos. Je ne doute pas un seul instant que vous saurez vous montrer à la hauteur de la tâche qui vous est dévolue en châtiant comme il se doit ce criminel. Je demande la réclusion à perpétuité44. Mais comme on le sait, le sense de la littérature réside moins dans sa force reproductrice, la mimésis ou « compétence narrative »45 de l’écrivain, que dans sa capacité à produire un discours, la sémiosis, à travers le style bien particulier du romancier. C’est en tout cas l’idée que soutient Roland Barthes en affirmant que « c’est moins dans le fait qu’il utilise la langue que 44 45 Ivi, p. 166. H. MITTERAND, Le Discours du roman, Paris, PUF, 1980, p. 10. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 450 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé dans la façon dont il le fait que l’écrivain se trouve impliqué comme tel. La littérature est d’abord une action formelle »46. Implicite et significativité du récit : de l’écriture du sens au sens de l’écriture Pour Pierre Barbéris, l’implicite vise à montrer qu’ « un texte n’est pas fait que de chose en clair et qu’on n’avait pas pu ou voulu voir. Un texte est aussi une arcane qui dit le sociohistorique par ce qui peut ne paraître qu’esthétique, spirituel ou moral »47. De la sorte, le roman déploie une onde productrice signifiante qui établit le romancier comme un inventeur de discours. Henri Mitterand affirme dans cette perspective que par le travail de l’écriture, le roman médiatise un autre sens. Il « modifie l’équilibre antérieur du sens »48. Les manœuvres esthétiques adoptées dans le récit étudié visent à styliser des pratiques migrantes caduques ainsi que les conséquences néfastes qui en dérivent, tant sur les sujets africains eux-mêmes que pour le continent africain tout entier. 1) L’enjeu des anachronies narratives Par anachronies narratives, Gérard Genette entend « toutes les formes de distorsion ou de discordance entre deux ordres temporels »49. Dans le roman analysé, deux cas de figures voisinent, conférant au récit un mouvement de va et vient. Le rythme en vagues cadencées du récit se justifie par l’inscription dans son 46 R. BARTHES, Introduction à l’analyse structurale du récit, Paris, Seuil, 1966, p. 17. 47 BARBERIS, Sociocritique, p. 140. 48 MITTERAND, Le Discours du roman, p. 7. 49 G. GENETTE, Figures III, Paris, Seuil, 1972, p. 89. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 451 sein des analepses et des prolepses qui bousculent toute monotonie narrative. 2) L’analepse ou les prémisses d’un exil improvisé Grâce à « l’évocation après coup d’un événement antérieur au pont de l’histoire où l’on se retrouve »50, le texte étudié donne à voir la mutation de l’immigré du statut de clandestin à celui d’exilé. Dans cette perspective, le clandestin d’hier devenu exilé aujourd’hui n’envisage plus de retourner dans son pays à cause du sentiment de honte qui le parcourt. L’analepse est donc convoquée par les exilés lorsque ces derniers racontent avec une teinte de nostalgie, l’itinéraire pathétique les ayant conduits jusqu’en France. Jojo apprendra par exemple du passé camerounais d’Anselme au moment où les deux personnages font connaissance : « moi aussi avant de venir en France, je travaillais dans un hôtel à Yaoundé. Mais moi je n’avais pas l’idée obsessionnelle de venir ici »51. Par contre, l’histoire de Prisca révèle que c’est sa tante qui l’a emmenée en France pour « lui apprendre le métier de coiffeuse et […] l’employer plus tard dans son salon »52. Une fois en Europe, cette parente transforme sa nièce en mère-porteuse puis l’expulse de chez elle en récupérant au préalable l’enfant métis né de l’union adultérine entre son mari et ladite nièce. La dernière rétrospection digne d’intérêt dans le texte examiné est relative à la présence en France de Nina, alias Jacquie. C’est par les soins de monsieur Duval, un Blanc, qu’elle fut entraînée dans ce pays, prétendument pour des besoins de mannequinat. Une fois embarquée dans l’organisation de ce proxénète, elle est réduite à danser, nue, dans les Peep Show pour 50 ESSOMBA, Le Paradis du Nord, p. 89. Ivi, p. 118. 52 Ivi, p. 121. 51 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 452 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé éviter de retourner les mains vides au Cameroun. Nina relate sa peine à Jojo en lui dévoilant que « tout a commencé un soir dans une boîte de nuit à Douala »53. Le récit d’Essomba regorge également de structures narratives qui prédisent aux exilés les contours de leur malheur en Europe : les prolepses. 3) Les prolepses dans la dynamique de prédiction de l’errance nostalgique Sollicitée dans la trame narrative, la prolepse sert à décrire « toute manœuvre narrative consistant à raconter ou évoquer d’avance un événement ultérieur »54. Les prédictions visent ainsi à mettre en garde le clandestin face aux dangers futurs qui le guettent. Tel est le cas de la prédiction formulée par le commandant du bateau à l’endroit des deux clandestins qui partent de Douala jusqu’au large de Carthagène. Comme un devin, cet homme évoque l’échec d’une entreprise qu’il sent suicidaire et décourage Charlie et Jojo, alors qu’ils sont encore maîtres de leur destin en Afrique. Dans les fragments qui suivent, l’usage du futur simple à effet immédiat, « allez courir, serez », de même que l’emploi du présent de l’indicatif révélateur d’un état permanent, « êtes condamnés », traduisent des situations appelées à se réaliser dans un temps relativement proche. S’adressant par exemple à Charlie, dont l’efficacité à travailler sur le pont avant du bateau séduit, le commandant de bord prédit l’échec d’une aventure insensée vouée à la déconfiture. Cette aventure métaphorise une course éternelle que le rompu des voyages maritimes ne cache pas aux jeunes rêveurs : « reste 53 54 Ivi, p. 139. GENETTE, Figures III, p. 82. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 453 avec moi, cela vaudra mieux pour toi et ton ami que d’aller courir après une illusion »55. La suite du récit donnera raison à ce visionnaire qui ajoute à l’adresse des deux clandestins : « mais vous deux, qu’allez-vous faire ? Vous êtes condamnés à fuir éternellement »56. Bien que déclinée au présent, l’expression « êtes condamnés » articule une forte charge prospective tant elle renvoie à un futur proche. De fait, la vie en France de Charlie et Jojo n’est que course folle et fuite en avant : courir pour se loger la nuit dans un squat, fuir les chiens qui flairent la drogue dissimulée dans les journaux innocemment transportés par Jojo, fuir les policiers et se cacher à leur approche après l’alerte du présumé viol donnée par madame Cordeau. Suite à cette dynamique de fuite interminable, le récit scruté devient un questionnement ironique sur le sens d’une immigration finalement perçue comme un « voyage à l’envers57 ». 4) Les figures de rhétorique au service de l’écriture : ironie et questions de style L’ironie renvoie à un « énoncé par lequel on dit autre chose que ce que l’on pense en faisant comprendre autre chose que ce que l’on dit »58. Cette figure de rhétorique se donne à lire lorsque le commandant souhaite dire aux clandestins, sans tout à fait le leur montrer clairement, que ne sont appelés à réussir en Europe que ceux qui ont fait de bonnes études, les sportifs de haut niveau ou encore les artistes de haut vol. Ce faisant, il amène Charlie et Jojo à réaliser le danger assorti à la vaine entreprise migratoire 55 ESSOMBA, Le Paradis du Nord, p. 42. Ivi, p. 42. 57 J.B. EVOUNG FOUDA, La décivilisation du migrant colonial, in «Ecritures» 9 (2012), pp. 215-227. 58 P. LEJEUNE, L’autobiographie. De la littérature aux médias, Paris, Seuil, 1980, pp. 24-25. 56 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 454 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé qu’ils entendent mener en direction de la France. S’adressant particulièrement à Charlie, il ironise alors de la sorte : - Tu as fait des hautes études ? - Non - tu es un sportif de haut niveau ? - Non plus, mais pourquoi ces questions ? - Je veux juste te faire comprendre que ton aventure est insensée59. L’ironie réside dans l’obstination des clandestins à persévérer dans un choix de vie hasardeux. Elle devient ainsi l’une des modalisations visant à subvertir l’option pour l’immigration clandestine à travers des questions rhétoriques. Mode d’écriture obsédant chez J. R. Essomba, l’interrogation rhétorique ou question de style « n’appelle même pas de réponse, tant la réaction attendue du public est considérée, même de manière forcée, comme évidente »60. Elle dégage les marques du désenchantement qui anime Jojo dès son arrivée en France. Elle traduit en outre le contraste ahurissant qui s’établit entre ses préjugés mélioratifs sur la terre d’accueil et les réalités déstabilisatrices qu’il vit sur le terrain. Les questions que pose le commandant à Charlie visent implicitement à lui faire comprendre qu’il n’est pas éligible pour voyager pour la France : il n’en a pas le profil requis. De même, au premier jour de leur séjour français, Charlie et Jojo déchantent lorsque madame Cordeau les suspecte de vouloir la violer. L’accueil refroidissant auquel ont droit les deux compères apparaît dans cette méditation dominée par la tonalité interro-exclamative qui traverse Jojo : « la police ! Les chiens ! 59 60 ESSOMBA, Le Paradis du Nord, p. 42. J.-J. ROBRIEUX, Rhétorique et argumentation, Paris, Nathan, 2000, p. 116. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 455 Etait-ce possible qu’en cherchant le paradis, ils se soient retrouvés en enfer ? »61. Par contre, en retrouvant en France sa sœur Nina, la promesse d’un travail bien rémunéré ainsi qu’un logis confortable, Jojo pense son rêve enfin devenu réalité. L’interrogation rhétorique qu’utilise le narrateur omniscient dépeint la sérénité apparente qui, au fond, augure des lendemains attristants pour l’infortuné clandestin : « le paradis avait-il enfin décidé de lui ouvrir ses portes ? »62. La réponse négative à cette question trouve son origine dans l’inculpation puis la condamnation de Jojo à la fin du récit ouvrant ainsi la voie au sens d’une écriture. Le sens d’une écriture Pour J.- L. Dufays, L. Gemenne et D. Ledur, « tant qu’il n’est pas soumis au filtre de la lecture-construction, le texte littéraire n’est qu’un pur artefact dénué de toute signification »63. Autrement dit, le texte littéraire prend tout son sens lorsqu’il favorise l’éclosion d’un homme neuf et d’une société nouvelle. C’est assurément pourquoi l’« œuvre s’enlève du fond opaque de vivre, de l’agir et du souffrir pour être donnée par un auteur à un lecteur qui la reçoit et ainsi change son agir »64. De ce point de vue, le roman d’Essomba apparaît à lafois comme la métaphore du rêve brisé et l’allégorie d’un exil hypothéqué. 61 ESSOMBA, Le Paradis du nord, p. 65. Ivi, p. 144. 63 J.-L. DUFAYS, L. GEMENNE, D. LEDUR (eds.), Pour une lecture littéraire, Bruxelles, De Boeck, UPF, 2005, p.71. 64 P. RICŒUR, Temps et récit (Tome 1), Paris, Seuil, 1983, p. 86. 62 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 456 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 1) Le Paradis du Nord ou la métaphore d’un rêve brisé Dès le titre de son roman, J.R. Essomba énonce sa volonté à théoriser la problématique de l’illusion qui plonge continuellement la jeunesse africaine dans les travers du désenchantement migratoire. Celle-ci est ainsi réduite à nourrir des rêves démesurés qui n’ont d’égale que son ambition illégitime. Pour le romancier, le rêve de rejoindre absolument l’Europe ne doit en aucun cas s’accommoder de postures contraires à l’éthique comportementale. Le vol, doublé du meurtre, que commettent Charlie et Jojo peu avant leur voyage, n’est pas pour eux une marque de bénédiction. Traînant avec eux les stigmates de la malchance et les séquelles des échecs successifs acumulés sur le sol africain, ils ne sauraient envisager de bâtir un rêve sur les traces purulentes du sang versé. D’ailleurs, Charlie périt deux jours seulement après son arrivée en France après avoir sacrifié un homme innocent et délester un planteur de son argent en Afrique en vue de son voyage pour la France. Autant le dire, l’Occident ne représente en rien la métaphore du vrai paradis postulé par les deux compères, au regard de la cohorte de malheurs qui rythme leur quotidien en France. Pour s’y sentir à l’aise, comme dans un paradis authentique, il convient à l’avance de se conformer à la législation en vigueur : il importe de tenir à jour ses papiers officiels. Dépourvu de papiers, à l’instar des résidents du squat, le clandestin devient un sujet fragile, enclin à la manipulation, puisqu’étant en instance permanente de survie. Il doit alors se livrer au bon vouloir de ses protégés, ceux qui dans l’ombre tirent les ficelles qui le connectent à son avenir. Autrement il devra oublier la vie et mourir, à l’exemple d’une Flora assassinée par le clan du proxénète Duval. A défaut de voir sa vie sacrifiée à l’autel de manipulations interminables, le clandestin se doit de compromettre sa liberté, de sacrifier son corps et même de perdre son identité. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 457 Jacquie devient ainsi Nina, afin de mieux coller à sa nouvelle vie de prostituée professionnelle et séduire les nombreux accrocs du peep show français. En acceptant de subir une chirurgie du nez, elle consent à faire don de son “nouveau” corps à des organisations mafieuses. Elles la soumettent régulièrement à des pratiques humiliantes exacerbant la réification multiforme de la femme. Lieu des illusions perdues donc, la France symbolise finalement le cimetière des rêveurs. Voilà en quoi le parcours de Charlie et Jojo est comparable à une allégorie : celle d’un exil hypothéqué. 2) L’allégorie d’un exil hypothéqué Le premier motif d’hypothèque repose sur l’incapacité pour le clandestin à mûrir son projet dès le départ. Du fait qu’il ne se donne pas les moyens de mener à bon port sa politique migratoire, il s’offre en pâture à tous les errements qui ne peuvent que dégénérer en échec ou causer sa perte. Pour cette catégorie d’immigrés, la France apparaît comme une terre inhospitalière qui régurgite continuellement les immigrés clandestins. L’autre motif d’hypothèque est relatif à la honte qui s’empare de l’exilé aussitôt que son échec en France est établi. La honte décrit l’impossibilité pour l’immigré à retourner au pays les mains vides. Elle le pousse alors à s’éterniser en France, parfois au péril de sa vie, aux fins de se détourner du regard railleur des Africains restés au pays. Ayant découvert la trame de l’imposture dans l’attitude de monsieur Duval, Nina préfère “mourir” en France. C’est pour cette raison qu’elle confie à son frère : « retourner chez moi voulait dire rentrer au Cameroun vivre dans un taudis au milieu des marécages »65. Dans la même veine, Anselme ne consent plus à retourner au Cameroun. Dépourvu de 65 ESSOMBA, Le Paradis du Nord, p. 140. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 458 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé papiers, voici ce qu’il déclare à Jojo : « la honte ! J’aurais trop honte. D’ici, je les entends déjà à murmurer qu’avant son départ […] Non, j’aurais trop honte de retourner là-bas »66. Il y a enfin l’auto-culpabilisation. Elle se révèle une forme de plaidoirie en vue de sauver la jeunesse des eaux troubles de l’exil clandestin. Elle vise à dire qu’il est vain de défendre une cause perdue, en se fondant sur une série de préjugés déstabilisateurs. En rédigeant en prison ses mémoires pour les mettre à la disposition de la postérité par le biais de Maître Maillot, son avocat, Jojo achève de jeter une passerelle entre le passé et l’avenir. Les mots qu’il destine à la postérité revêtent à cet effet une résonance éthique : « si vous voulez m’aider, servez-vous de mon cas comme illustration pour leur faire comprendre que çà n’existe pas, le paradis »67. Conclusion Le Paradis du Nord de Jean Roger Essomba apparaît au demeurant comme la métaphore d’un rêve brisé et l’allégorie d’un exil hypothéqué à plus d’un titre. Dans un premier temps, le clandestin se positionne comme un rêveur impénitent. Son initiative téméraire ne lui génère aucun autre intérêt que celui de le plonger dans une amertume lassante. Force est de constater que la clandestinité dans laquelle baigne son “beau” rêve se bute contre une ambition démesurée et finalement hypothéquée de laquelle se dégage un vif sentiment de déception une fois que le clandestin affronte les dures réalités du terrain. L’œuvre de Jean Roger Essomba s’exhibe in fine comme un espace discursif militant, c’est-à-dire, un véritable plaidoyer en vue de la gestation 66 67 Ivi, p. 120. Ivi, p. 163. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé 459 de liens conviviaux opérants fondés sur une dynamique humaniste du vivre ensemble entre résidents du Nord et ceux du Sud. Autant croire que le romancier appelle de tous ses vœux l’émergence des échanges collatéraux Nord-Sud plus fructueux pour l’épanouissement de la race humaine tout entière, dans le strict respect des droits de l’homme et des règlementations en vigueur. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 460 Eyenga Onana, De l’immigration clandestine à l’exil improvisé Bibliographie BARBERIS P., Sociocritique, in D. BERGEZ, P. BARBÉRIS, P.-M. DE BIASI, Introduction aux méthodes critiques pour l’analyse littéraire, a cura di, Paris, Bordas, 1990, pp. 121-153 BARTHES R., Introduction à l’analyse structurale du récit, Paris, Seuil, 1966 DADIE B.B., Un nègre à Paris, Paris, Présence Africaine, 1959 DUFAYS J.-L., GEMENNE L., LEDUR D. (eds.), Pour une lecture littéraire, Bruxelles, De Boeck, UPF, 2005 ESSOMBA J.R., Le Paradis du Nord, Paris, Présence Africaine, 1996 EVOUNG FOUDA J.-B., La décivilisation du migrant colonial, in «Ecritures», 9 (2012), pp. 215-227 LEJEUNE P., L’Autobiographie. De la littérature aux médias, Paris, Seuil, 1980 MITTERAND H., Le Discours du roman, Paris, PUF, 1980 RICŒUR P., Temps et récit (Tome 1), Paris, Seuil, 1983 ROBRIEUX J.-J., Rhétorique et argumentation, Paris, Nathan, 2000 SIBONY D., Entre-deux, l’origine en partage, Paris, Seuil, 1991 SOCE O., Mirages de Paris, Paris, NEI, 1937 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Tavares, Estancia e imagen de Portugal 461 DOSSIER VARIA ARTICOLI Estancia e imagen de Portugal, según el viajero alemán - Jerónimo Münzer - en su periplo por la Península Ibérica (1494-1495). El caso de Lisboa di Alice TAVARES Universidad Nova de Lisboa DOI 10.26337/2532-7623/TAVARES Riassunto: L’articolo si propone di studiare il viaggio e il soggiorno del tedesco Jerónimo Münzer nella penisola iberica alla fine del XV secolo (14941495), in particolare in Portogallo. Si intende, da un lato, mettere in risalto la visione del viaggiatore, concentrando l'attenzione sulla città di Lisbona, sottolineando inoltre l'importanza della città e la presenza di elementi faunistici e botanici nel racconto del viaggio. D'altra parte, si analizzano le descrizioni e le esperienze quotidiane delle comunità straniere ed etnico-religiose incontrate dal Münzer. Abstract: This text aims to study the travel and journey of the German, Jerónimo Münzer, by the Iberian Peninsula, at the end of the 15th century (1494-1495), especially in Portugal. It is intended, on the one hand, to publicize the traveler's vision, stopping our focus on the city of Lisbon, underlining the importance of the aforementioned city and the presence of faunal and botanical elements. On the other hand, we will analyze the descriptions and daily experiences of the foreign and ethnic-religious communities. Keywords: Iberian Peninsula, Portugal, Jerónimo Münzer Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 462 Tavares, Estancia e imagen de Portugal Sommario: Introduction – Jerónimo Münzer en Portugal: su estancia en Lisboa – Fauna y flora de Portugal: el caso lisboeta – Lisboa de Münzer: una ciudad cosmopolita – Conclusión - Bibliografía Versione definitiva ricevuta in data 2 febbraio 2018 Introduction Jerónimo Münzer (Hieronymus Monetarius), viajero de origen alemán, se desplazó a la Península Ibérica, supuestamente al servicio del Emperador Maximiliano I (1459-1519), del Sacro Imperio Romano Germánico, a finales del siglo XV, en 14941495, con la misión de dar a conocer y de aportar informaciones sobre los acontecimientos políticos; las características geográficas, antrópicas y socioeconómicas de los reinos ibéricos (en especial de Castilla y Aragón y Portugal). Sobre esta obra y las motivaciones que llevaron a Jerónimo Münzer a viajar y a permanecer dos años en tierras ibéricas poco se sabe, llevándonos a entrar en el campo de las suposiciones. Una de las hipótesis que se suele plantear es que tenía el objectivo de traer una epístola del Emperador Maximiliano I al rey portugués, D. Juan II (1455-1495), incitándole a llegar a Asia, por vía marítima, a través del Atlántico. Posiblemente con apoyo alemán. De hecho, a partir de la narrativa de Münzer, podemos acceder a las descripciones del perfil del soberano portugués, en Évora, donde estaba su corte. Disponemos de informaciones sobre las relaciones familiares de D. Juan II, la receptividad y los contactos necesarios para entablar determinadas entrevistas con él y para conocer ciertos lugares e infraestructuras lisboetas, como la Casa de la Mina, donde se almacenaban y se hacían los negocios con productos europeos, del Norte de África y de Guinea. Sin embargo, como podemos comprobar a través del relato objecto de estudio, sigue siendo una incógnita el contenido de las conversaciones y de la supuesta misiva de Maximiliano I, Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Tavares, Estancia e imagen de Portugal 463 pues el propio Münzer no proporciona al lector los detalles y las temáticas de las conversaciones que motivaron las referidas citas. Otra de las razones más tradicionales que se suele atribuir a las salidas de Münzer de Núremberg, consiste en la huída provocada por los brotes de peste. Es fácil asociar esta línea de raciocinio a su viaje por la Península Ibérica, una vez que fue probable que Münzer se desplazara a Italia y a Holanda por este mismo motivo. A estas dos suposiciones, son probables los intereses y las potencialidades de negocio que Portugal y Castilla podrían ofrecer al emperador Maximiliano y a las familias de banqueros y mercadores, entre los cuales destacamos el hermano de Münzer – Ludwig Münzer -, con el objectivo de desarrollar sus investimentos económicos1. Como ya se sabe, Portugal fue pionero de las iniciativas exploratorias hacía el sur de África, con el sentido de abrir un nuevo camino hacía las Indias Orientales en búsqueda de especias asiáticas, mientras entablaba y consolidaba nuevas formas de negocio en la costa occidental africana, fundamentales para el desarrollo del comercio del oro proveniente de Guinea y para la adquisición de nuevos productos (esclavos, animales exóticos, marfil y especias). Estos emprendimientos mercantiles, experimentales y de conocimiento de las condiciones climáticas y marítimas de la costa atlántica del continente africano culminaron, años más tarde, en distintas expediciones. Destacamos, entre ellas, la misión de Barlomeu Dias que contornó el Cabo de las 1 P. MARTÍNEZ GARCÍA, El Sacro Imperio y la diplomacia atlántica: el Itinerario de Hieronymus Münzer, in J. SOLÓRZANO TELECHEA, B. ARIZAGA BOLUMBURO Y L. SICKING (eds.), Diplomacia y comercio en la Europa Atlántica Medieval, Logroño, Instituto de Estudios Riojanos, 2015, p. 117; P. MARTÍNEZ GARCÍA, El cara a cara con el otro: la visión de lo ajeno a fines de la Edad Media y a comienzos de la Edad Moderna a través del viaje, Frankfurt, Peter Lang GmH, 2015. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 464 Tavares, Estancia e imagen de Portugal Tormentas (1487), el viaje de Pêro da Covilhã que llegó a la costa oriental de África y al Golfo Pérsico (1488) y, por fin, la llegada de Vasco da Gama a la India (1497-1498), en el reinado de D. Manuel I (1469-1521), concretizando el proyecto de su antecesor, D. Juan II. Gracias a estas expediciones, Portugal abrió la ruta marítima y comercial con el Oriente. Este hecho propició un nuevo eje económico entre Europa y Asia, en perjuicio del monopolio mercantil de la República de Venecia y del Imperio Mameluco de Egipto y Siria, pues dominaban, sobre todo el comercio de lujo, sin olvidar las especias asiáticas, por vía terrestre. Recordamos también que por parte de Castilla y Aragón, Cristóbal Colón llegó a América, en 1492, a servicio de los Reyes Católicos, Da. Isabel y D. Fernando, con el sentido de descubrir una ruta alternativa para llegar a las supuestas Indias. Estamos delante de otra etapa representativa de los movimientos expansionistas ibéricos, que proporcionó una nueva configuración del espacio y además, impulsó el contacto y la colonización europea del continente americano. Es en este breve contexto peninsular de descubrimientos, expansión y colonización por parte de los reinos de Portugal y de Castilla, que Münzer recorrió parte de Europa a camino de la Península Ibérica. Conocemos su periplo, todo él hecho por tierra y, posiblemente, con sus compañeros, a través de la publicación de su relato, llevada a cabo por L. Pfandl en la revista, Revue Hispanique, en 1920, con el título Itinerarium Hispanicum2. Este texto, que nos llegó hasta los días de hoy, es un fragmento de la descripción de su viaje por Europa, una vez que disponemos de indicaciones de que el autor estuvo anteriormente en 2 L. PFANDL, Itinerarium Hispanicum Hieronymi Monetarii. 1494-1495, in «Revue Hispanique», vol. XLVIII, 113 (1920), pp. 1-179. Es conviente señalar que este artículo resulta de la edición, en latín, del manuscrito que se puede encontrar en Múnich (Alemania), en la Bayerische Staatsbibliothek, MARTÍNEZ GARCÍA, El Sacro Imperio, p. 104. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Tavares, Estancia e imagen de Portugal 465 Francia y en la actual Alemania. No obstante, utilizaremos en nuestro análisis otra versión del referido texto del viajero alemán, más reciente, de 1924, cuya edición fue de la responsabilidad de Julio Puyol3, publicada por la Real Academia de la Historia (Madrid). Poco se sabe del perfil de Münzer. De origen austríaco e hijo de Heinrich y Elisabeth Münzer, el autor nació en Feldkirch, en 1437. A pesar de las escasas indicaciones, no nos detendremos demasiado en delinear su biografía, aunque sepamos que ejerció un papel multifacético. Fue geógrafo, astrónomo y médico humanista de la corte imperial romano germánica de finales del siglo XV, llegando a estudiar en Leipzig y, años más tarde, a doctorarse en la Universidad de Pavía, en 1479. Mantuvo una relación estrecha y un papel preponderante en la corte del Emperador Maximiliano I, llegando este último al punto de confiarle, supuestamente, la misión de averiguar las potencialidades y las características físicas e humanas de la Península Ibérica. Subrayamos que esta zona de Europa despertaría fácilmente el interés y la curiosidad en las demás unidades políticas del viejo continente, debido a los fenómenos expansionistas, descubridores, colonizadores y científicos de que fue pionera. Las narrativas de viajes medievales y de principios de la época moderna han merecido especial atención por parte de la historiografía portuguesa. Podemos encontrar algunas ediciones y traducciones al portugués de periplos y misiones de otros viajeros europeos llevados a cabo tanto por tierra, como por mar. 3 J. PUYOL, Jerónimo Münzer, Viaje por España y Portugal en los años de 1494 y 1495, in «Boletín de la Real Academia de la Historia», 84 (1924), pp. 32-88, < http://www.cervantesvirtual.com/obra/jeronimo-munzer-viaje-porespana-y-portugal-en-los-anos-1494-y-1495/> (Consultada en el: 15-092017). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 466 Tavares, Estancia e imagen de Portugal Disponemos, a modo de ejemplo, el relato del holandés, Jan Taccoen de Zillebeke4, que pasó, años más tarde, por Portugal, mientras reinaba el rey D. Manuel I y las descripciones del viaje del veneciano, Luís Cadamosto y Pero de Sintra5, caballero del Infante D. Henrique y descubridor de Sierra Leona. Registramos, recientemente, un interés en el desarrollo de investigaciones a partir de los libros de viajes, proporcionándonos, en especial datos sobre los paisajes (fauna y flora)6, las distintas comunidades, sus vivencias y los distintos modos de observar a las gentes7. Con éste artículo tenemos el objectivo de dar a conocer el viaje de Münzer por la Península Ibérica, centrando nuestro enfoque en su instancia en Portugal, en especial, en la ciudad de Lisboa, antes de partir hacia el norte, en dirección a Santiago de 4 J. FONSECA (ed.), Lisboa em 1514. O relato de Jan Taccoen vab Zillebeke, Lisboa, Centro de História da Cultura da Universidade Nova de Lisboa y Edições Húmus, 2014. 5 Viagens de Luís de Cadamosto e de Pedro de Sintra, Lisboa, Academia Portuguesa de Historia, 1988. 6 P. LOPES, O animal na Literatura: Dos Bestiários aos Livros de Viagens, in I. DRUMOND BRAGA, P. DRUMON BRAGA (eds.), Animais & Companhia na História de Portugal. Fazer a História dos Animais, Lisboa, Círculo de Leitores, 2015, pp. 393-435. 7 P. LOPES, Viajar na Idade Média – A visão ibérica do mundo no Livro do Conhecimento, Lisboa, Círculo de Leitores, 2015; L. ALBUQUERQUE, Introdução à História dos Descobrimentos Portugueses, Mem Martins, Publicações Europa-América, 2001; B. TAYLOR, Los libros de viajes de la Edad Media Hispánica: bibliografía y recepción, in Atas do IV Congresso da Associação Hispânica de Literatura Medieval, Lisboa, Ed. Cosmos, 1993, pp. 57-70; M.H. GARVÃO, O livro Marco Paulo impresso por Valentim Fernandes: genealogia textual, leitura tipográfica e aspetos discursivos. Tesis de doctorado en Estudos Literários. Especialização em Literatura Portuguesa sob orientação do Professor Doutor João Dionísio, Lisboa, Universidade de Lisboa, 2010, URL < http://repositorio.ul.pt/handle/10451/2467 > (Consultada en el: 15-12-2017). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Tavares, Estancia e imagen de Portugal 467 Compostela (Galicia, España). Este será el objecto de estudio de nuestra investigación. En este sentido, organizaremos este artículo en tres apartados. En el primer ítem, señalaremos la importancia de Lisboa como un centro portuario neurálgico de atracción y de desarrollo de las actividades marítimas y socioeconómicas, sobre todo mercantiles, entre el Norte de Europa, el Mediterráneo y la costa africana. A continuación, analizaremos la flora y la fauna endógena y exógena originaria de las islas atlánticas (Azores, Madeira y Canarias) y del continente africano. En tercer lugar, dedicaremos nuestra atención al estudio de las descripciones y las vivencias cotidianas de las distintas comunidades extranjeras (alemanes, por ejemplo) y étnico-religiosas (judíos, conversos y moros). No nos olvidaremos de enfocar el problema de la llegada masiva de judíos y cristianos nuevos exilados, provenientes de Castilla, en búsqueda de una nueva vida en tierras portuguesas, resultante de conflictos sociopolíticos que culminaron con la expulsión de las minorías religiosas (mora y judía), decretada por los Reyes Católicos, en 1492. A lo largo de este texto y, por cuestiones metodológicas, recurriremos a otro tipo de fuentes como las de naturaleza jurídica local (fueros extensos, ordenanzas y actas de vereación8), otros libros de 8 Portugaliae Monumenta Historica. Leges et Consuetudines, vol. II, Lisboa, Academia Real das Ciências de Lisboa, 1856; M.T. RODRIGUES, Livro das Posturas Antigas, Lisboa, Câmara Municipal de Lisboa, 1974; J.P. COSTA, Vereações da Câmara Municipal o Funchal. Século XV, Funchal, Centro de Estudos de História do Atlántico, 1994; A.P. SANTOS, Ribeira Grande (S. Miguel – Açores) no século XVI. Vereações (1555-1578), Ribeira Grande, Câmara Municipal da Ribeira Grande, 2006; F. MORALES PADRON, Ordenanzas del concejo de Gran Canaria (1531), Gran Canaria, Ediciones del Excelentísimo Cabildo Insular de Gran Canaria, 1974. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 468 Tavares, Estancia e imagen de Portugal viaje9 y de conocimiento10, con la finalidad de entablar comparaciones, reforzar y de aportar otros datos sobre las características y las vivencias cotidianas de Lisboa. Jerónimo Münzer en Portugal: su estancia en Lisboa Después de su estancia en España, donde se detuvo en varias ciudades, entre ellas Barcelona, Valencia, Alicante, Granada, Málaga, Cádiz y Sevilla, Jerónimo Münzer llegó a Portugal, en el día 13 de noviembre de 1494. Su primera etapa en tierras lusas fue Serpa, villa localizada en Alentejo, donde permaneció poco tiempo, antes de seguir en dirección a Évora. En esta ciudad, el autor fue recibido varias veces en audiencia por el rey D. Juan II. Este incluso llegó a recibir a los compañeros de viaje de Münzer y, entre los cuales, armó caballero a Antonio Herwart, también de origen alemán, en la capilla regia de la misma ciudad, en las vísperas del dia de Santa Catalina (25 de noviembre)11. Las entrevistas regias son prueba de la facilidad que los viajeros disponían para citarse y entablar relaciones de cierta cortesía y afabilidad con el rey portugués. Desconocemos las motivaciones que llevaron Münzer a entrevistarse con el soberano portugués, aunque podamos tener algunas suposiciones como ya hemos dicho anteriormente. Lo mismo se puede decir, meses más tarde, con los Reyes Católicos, en Madrid12. En este apartado no nos detendremos sobre las varias conjeturas que llevaron a Jerónimo Münzer a entablar con- 9 Viagens de Luis Cadamosto e de Pedro de Sintra, pp. 83 ss; FONSECA Lisboa em 1514, pp. 122 ss. 10 D.P. PEREIRA, Esmeraldo de Situ Orbis, Lisboa, Academia Portuguesa de Historia, 1988. 11 PUYOL, Jerónimo Münzer, p. 206. 12 Ivi, pp. 257-260. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Tavares, Estancia e imagen de Portugal 469 tacto con los reyes de Portugal y Castilla y Aragón, aunque merezcan un estudio más detenido, con el objectivo de aclarar y de llegar a nuevas conclusiones más palpables sobre las relaciones y los intereses entre los reinos peninsulares y el Sacro Imperio Romano Germánico, a finales del siglo XV. Sobre todo, en un momento clave de expansión, de descubierta y de colonización de los territorios ultramarinos, en África y América. En este sentido, todas las informaciones que se pudieran obtener sobre Península Ibérica serían fundamentales para el conocimiento más minucioso de esta zona de Europa. Por otro lado, serían imprescindibles para colmatar cualquier duda sobre los nuevos objectivos territoriales de Portugal y de Castilla en el Nuevo Mundo. Además, aparte de las intenciones del viaje de Münzer, señalamos que sería plausible la curiosidad y el interés por los reinos de la Península Ibérica y en sus pretensiones en los nuevos continentes por parte de las demás unidades políticas europeas. No es, igualmente, de descartar cualquier hipótesis de carácter diplomático y económico en querer entablar contacto y apoyar a los reinos peninsulares, una vez que vivían una fase de esplendor con la apertura de nuevas rutas marítimas y comerciales. Desde Évora, Münzer se desplazó a Lisboa y pasado algún tiempo emprendió su viaje por el centro y Norte de Portugal, deteniéndose en Coimbra y Oporto, a camino de la ciudad sagrada de Santiago de Compostela (Galicia, España). Al observar la narrativa, nos percatamos de un rasgo característico de este tipo de relatos: la minucia de las descripciones de todo aquello que el autor ve y, claro está, señala aquello que supuestamente le llama más la atención o que le convenía registrar. Las informaciones que nos proporciona el viajero van más allá de sencillas descripciones del trayecto y de los lugares por donde pasa, deteniéndose en pormenores sobre los paisajes, los recursos y Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 470 Tavares, Estancia e imagen de Portugal potencialidades de las distintas zonas peninsulares; las características de las ciudades, sus edificios, sus gentes y sus modos de vida. Sus descripciones suelen ser comparativas13 y claro está, con puntos de referencia que eran conocidos del autor. Es lo que ocurre con las ciudades visitadas por Münzer. Por ejemplo, Lisboa es comparada con Núremberg siendo ésta última más pequeña y menos populosa14. Es uno de los primeros impactos que el alemán tiene cuando llega a Lisboa, procediendo a detallar su “aspecto” y las distintas formas de organización del espacio de ésta ciudad. Es decir, el paisaje urbano lisboeta estaba organizado del siguiente modo: No es sino tres ciudades: primeramente, hay un monte altísimo, en cuya cúspide álzanse dos castillos o alcázares del rey, y bajo ellos y por las laderas, las casas, monasterios, y demás edificios; a occidente, hay otro monte, cuya parte oriental está, asimismo, poblada y, finalmente, en medio de estos dos montes extiéndese una dilatada llanura, poblada también, que llega hasta el mar15. Lo mismo sucede con otras descripciones. Tal es el caso del río Tajo que pasa por la ciudad de Santarém16 siendo comparado con el río Mein (Meno), que atraviesa la ciudad alemana de Frankfurt17. A parte de estos elementos, tenemos el registro de 13 MARÍNEZ GARCÍA, El Sacro Imperio, p. 108. PUYOL, Jerónimo Münzer, p. 207. 15 Ibidem. 16 Ciudad portuguesa localizada en la orilla del Rio Tajo, al Norte de Lisboa. 17 “En este recorrido desde Lisboa a Santarém muy fecundo en todo y principalmente en aceite, vino, sal en la costa, como no hay nada más de desear. Santarém está situada en la orilla del aurífero y famoso río Tajo, que es mayor que el Mein por Fránckfort, y la riega hasta desembocar em aquel brazo de mar.” PUYOL, Jerónimo Münzer, p. 216. 14 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Tavares, Estancia e imagen de Portugal 471 que Münzer fue más lejos al enaltecer las potencialidades agrícolas y los recursos acuíferos y minerales del Tajo, tan importantes para el desarrollo de la ciudad de Santarém18. Tras leer el relato del viaje de Jerónimo Münzer, podemos observar que la ciudad de Lisboa ejerció un papel decisivo en el desarrollo de las actividades marítimas y económicas, pues funcionaba como un punto geoestratégico en el Atlántico, de unión entre el Norte de Europa y el Mediterráneo y también con el Nuevo Mundo (África, en este caso, con la costa occidental, y años más tarde, Asia y América, Brasil)19. Esta ciudad portuaria actuaba como un centro de confluencia de rutas marítimas, distribución y redistribución de productos y mercancías de distintos orígenes. Prueba de esto, son los comentarios de Münzer sobre la capacidad emprendedora del rey, D. Juan II, en potenciar los negocios20. En este sentido, comprobamos el dinamismo mercantil de la plaza lisboeta a través del testimonio del viajero, una vez que nos aporta indicaciones sobre las rutas y las operaciones comerciales desarrolladas con las ciudades portuarias italianas. Es decir, llegaban a Lisboa productos provenientes de distintas partes como telas de lana de colores, tejidos indiferenciados; capas, paños, utensilios de cobre y latón (salvas y calderas) procedentes de las islas del Atlántico Norte, Inglaterra e Irlanda y del Norte de África (Túnez). Todas estas mercancías eran, posteriormente, reenviadas a Génova y a “Etiopia”, más en concreto, al Norte del continente africano y a los entrepuestos comerciales de la África Negra, Guinea y Sierra Leona. 18 Ibidem. T. WALKER, Lisbon as a Strategic Haven in the Atlantic World, in W. KLOOSTER, A.L. PADULA (eds.), Atlantic Perspectives, New Yorker, Prentice Hall, 2000, pp. 60-75, C. BOXER, O Império Marítimo Português. 1415-1825, Lisboa, Edições 70, 2001. 20 PUYOL, Jerónimo Münzer, p. 205. 19 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 472 Tavares, Estancia e imagen de Portugal Si tenemos atención a la noticia del naufragio del navío, bautizado de Águila, a consecuencia de un temporal en la desembocadura del Tajo, poco después de salir de Lisboa, con destino a Italia, nos percatamos de la pérdida de un cargamento de azúcar21. Estamos delante de una mercancía codiciada en Europa y bastante lucrativa para el reino portugués. Portugal jugó un papel fundamental en este tipo de comercio como productor y exportador, porque disponía de plantaciones de azúcar de caña en los archipiélagos atlánticos, en un primer momento, en Madeira y Azores22 y, años más tarde, en Cabo Verde y en las islas de San Tomé y Príncipe. Por otro lado, esta mercancía fue de especial interés sobre todo por parte de mercaderes extranjeros, entre los cuales se destacan los italianos23. Estos tenían plantaciones azucareras en la isla Madeira y además, eran consorcios, disponían 21 “El 20 de diciembre salieron cuatro naves como la real con ochocientos marranos, y otro navío, llamado Águila, cargado con gran cantidad de azúcar y doscientos hombres, mercaderes y peregrinos, con buen patrón.” Ibidem. 22 Otras fuentes nos testimonian la existencia de plantaciones de caña de azúcar y la importancia del comercio de estos productos. Subrayamos las siguientes: el relato del veneciano, Viagens de Luis Cadamosto e de Pedro de Sintra, P. 93; G. FRUTUOSO, As saudades da terra., voll. II, III y IV, Ponta Delgada, Instituto Cultural de Ponta Delgada, 1998, p. 53 y la documentación jurídica de naturaleza local, las actas de las vereación de Funchal (Madeira) y de Ribeira Grande (isla de San Miguel, Azores), COSTA, Vereações da Câmara Municipal do Funchal, pp. 2 ss.; SANTOS, Ribeira Grande, pp. 2 ss. 23 Sin ser exhaustiva, una vez que sobre los mercaderes italianos y su presencia en Lisboa es una temática conocida por parte de la historiografía portuguesa y extranjera, mencionaremos algunos ejemplos: M.J.F. TAVARES, Das sociedades comerciais de judeus e italianos às sociedades familiares de cristãos novos. Exemplos, in N. ALESSANDRINI, M. RUSSO, G. SABATINI, A. VIOLA (eds.), Di Buon Affetto e Commerzio. Relações luso-italianas na Idade Moderna, Lisboa, CHAM, 2012, p. 28; F.G. BRUSCOLI, Bartolomeo Marchioni “Homem de grossa a Lisboa e l’Impero portoghese, Firenze, Leo S. Olschki, 2014; ID., I mercanti italiani, Lisbona e l’Atlantico (XV-XVI secolo)”, in J. SOLORZANO TELECHEA, B. ARIZAGA BOLUMBURO, L. SICKING Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Tavares, Estancia e imagen de Portugal 473 de participaciones y tenían el usufructo de derechos reales en las transacciones de determinados productos, entre ellos el azúcar. Asimismo, solían contar con la colaboración de otros mercaderes, entre ellos los judíos, invirtiendo en desarrollo de redes de negocios. El testimonio de Münzer sobre el comercio de Lisboa demuestra, de forma clara, la existencia de rutas marítimas ya consolidadas, sobre todo, entre la plaza lisboeta y Génova, Irlanda e Inglaterra. Sin querer detenernos demasiado en los negocios de la comunidad italiana, estos hechos evidencian la preponderancia de sus miembros en el desarrollo de sociedades mercantiles, desde el siglo XIV, con la llegada del genovés, Pesaña, en el reinado de D. Dinis (1261-1325). Con él vinieron marineros, corsarios y otros mercaderes (venecianos, florentinos, milaneses, a modo de ejemplo) dispuestos a entablar ejes comerciales, aprovechando el beneplácito y los privilegios reales para que pudieran arraigarse en Lisboa y desenvolver la economía portuguesa volcada, en particular hacía al mar24. (eds.) Diplomacia y comercio en la Europa Atlántica Medieval, Logroño, Instituto de Estudios Riojanos, 2015, pp. 57-80; ID, Bartolomeo Marchionni: um mercador-banqueiro florentino em Lisboa (séculos XV-XVI), in N. ALESSANDRINI, P. FLOR, M. RUSSO, G. SABATINI (eds.), Le nove son tanto e tanto buone, che dir non se pò. Lisboa dos italianos: História e Arte (sécs. XIVXVIII), Lisboa, Cátedra de Estudos Sefarditas «Alberto Benveniste», 2013, pp. 39-60. 24 Subrayamos algunos ejemplos bibliográficos, con el objectivo de no ser exhaustivos: G. VAIRO, La Lisbona di Manuel Pessanha, in N. ALESSANDRINI, P. FLOR, M. RUSSO, G. SABATINI (eds.), Le nove son tanto e tanto buone, che dir non se pò. Lisboa dos italianos: História e Arte (sécs. XIVXVIII), Lisboa, Cátedra de Estudos Sefarditas «Alberto Benveniste», 2013, pp. 19-37; V. RAU, Uma familia de mercadores italianos em Portugal no século XV: os Lomellini, in «Revista da Faculdade de Letras», vol. XXII, 2 (1957), pp. 57-80; ID., Bartolomeo Di Iacopo di Ser Vanni mercadorbanqueiro florentino «estante» em Lisboa nos meados do século XV, «Do Tempo e da História», 4 (1971), pp. 97-117. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 474 Tavares, Estancia e imagen de Portugal A Lisboa era frecuente llegar bienes originarios de la costa occidental africana, tales como especias – pimienta y grana del paraíso (cardamomo) -, oro, esclavos y colmillos de elefantes25 (marfil). Eran normalmente canalizados y transaccionados en la Casa de la Mina, una especie de almacén, localizado en la zona portuaria lisboeta, donde se concentraban, mayormente, las mercancías europeas y africanas26. Fauna y flora de Portugal: el caso lisboeta Cabe también señalar la presencia de indicaciones referentes a elementos faunísticos y botánicos que han llegado a sorprender a Münzer tanto en Évora, como en Lisboa. En ambos centros urbanos, encontramos registros de pieles y de animales exóticos embalsamados provenientes de la África Negra (Guinea), en exhibición en locales visibles para que todos pudieran contemplarlos. Fue lo que pasó con la piel de serpiente27 colocada en la Iglesia de San Blas, en Évora. En esta ciudad, podemos, igualmente, encontrar el registro de un camello28, de tierna edad, en el patio del palacio real, proveniente del Norte de África. Sobre este ejemplar traído del continente africano, al mando del rey, podemos decir que se trata de un animal ya conocido en Portugal, en el periodo medieval. Tenemos registros de camellos anteriores al siglo XV. Para ser más 25 PUYOL, Jerónimo Münzer, p. 205. PEREIRA, Esmeraldo de Situ Orbis, p. 91; I. GONÇALVES, Na Ribeira de Lisboa, em finais da Idade Média. ID., Um olhar sobre a cidade medieval, Cascais, Patrimónia, 1996, p. 69; ID., Posturas municipais e vida urbana na baixa Idade Média: o exemplo de Lisboa, in «Estudos Medievais», 7 (1986), pp. 171-172; A.V. SILVA, As muralhas da Ribeira de Lisboa, vol. I, Lisboa, Câmara Municipal, 1940, p. 98. 27 PUYOL, Jerónimo Münzer, p. 204. 28 Ivi, p. 205. 26 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Tavares, Estancia e imagen de Portugal 475 exactos, en la documentación jurídica local de la ciudad de Torres Novas, en un apartado dedicado exclusivamente a la población mora29. Es decir, en los fueros extensos de este centro urbano, los camellos aparecen relacionados con las tributaciones que la población musulmana tenía que pagar al rey30, por poseer determinadas cabezas de ganado (vacas, ovejas, cabras, corderos, carneros y camellos). Estamos hablando del azaqui. O sea, deberían entregar un animal por la posesión de cada cuarenta cabezas de ganado31. A parte del valor fiscal de los camellos, estos animales fueron posiblemente utilizados en el transporte de mercancías, bien como los equinos32. En los arrabaldes de Lisboa, registramos la posibilidad de vislumbrar una cabeza de pelicano que se encontraba en la zona de Santa María de la Luz. Veamos la descripción del ave y el impacto que causó al autor: Salimos a una milla de Lisboa, a Santa María de la Luz, muy conocida por sus milagros, donde vimos un pico de pelícano, que es como el del onocrótalo, pero no tan ancho, tiene una bolsa delante del orificio del estómago; es menos 29 “Item todollos mouros ou mouras que gados uacariis teuerem ou ouelhas ou cabras e carneiros ou cordeiros ou camellos pagam azaqui que he chamado a quarentena a saber de quarenta cabeças huma e sse menos ou mais forem será aualiado todo a dinheirs. E delles pagará de quarenta huum a elRei e do que ssonegarem pagaram em dobro e nom aueram outra pena nenhuma.”, Portugaliae Monumenta Historica. Leges et Consuetudines, vol. II, Lisboa, Academia Real das Ciências de Lisboa, 1856, p. 99, Título [12]. 30 Ivi, pp. 88-100; M.S. SILVA, A. TAVARES, Animais Utilizados como Instrumentos de Trabalho e de Transporte, I. DRUMOND BRAGA, P. DRUMOND BRAGA (eds.), Animais & Companhia na História de Portugal. Fazer a História dos Animais, Lisboa, Círculo de Leitores, 2015, p. 90. 31 Portugaliae Monumenta Historica, p. 99, Título [12]; M.F. BARROS, A Comuna muçulmana de Lisboa. Séculos XIV e XV, Lisboa, Hugin, 1998, p. 64; SILVA, TAVARES, Animais Utilizados, p. 91. 32 Ivi, p. 90. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 476 Tavares, Estancia e imagen de Portugal que el cisne y mayor que el ganso, y todas las plumas son cenicientas. Abunda en Guinea33. Además del pelicano, Münzer y sus compañeros pudieron contemplar los dientes de un pez enorme, como si fueran unas sierras, afamadas por cortar cualquier tipo de objectos34. A pesar de estas referencias, desconocemos el tipo de pez que pudiera ser, con estas características. Asimismo, en el coro del monasterio de frailes menores de la Santísima Trinidad35, en Lisboa, los viajeros tuvieron la oportunidad de admirar un cocodrilo momificado de grandes dimensiones. Otro ejemplo de animales exóticos que se podían apreciar en Lisboa fue una pareja de leones36. Es probable que estos animales hubieran sido traídos del Norte de África o de Guinea, una vez que, al cotejar otras fuentes, como el tratado de geografía Esmeraldo de Situ Orbis -, del portugués Duarte Pacheco Pereira, nos percatamos de la existencia de esta especie de felinos, a propósito de la amenaza y de la peligrosidad de estos animales para con los habitantes de la villa de Almancora37, en las cercanías del rio Salé (Marruecos), despoblándola. Ya la narrativa del viaje de Luis Cadamosto nos ofrece otro panorama, puesto que tenemos acceso a la descripción de la fauna que componía el paisaje de la isla de Arguin, (archipiélago del Golfo de Arguin, en Mauritania), en la cual se podían apreciar leones, bien como leopardos y avestruces38. 33 PUYOL, Jerónimo Münzer, p. 209. Ibidem. 35 Ibidem. 36 Ibidem. 37 PEREIRA, Esmeraldo de Situ Orbis, p. 59. 38 Viagens de Luis Cadamoso e de Pedro de Sintra, p. 103. 34 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Tavares, Estancia e imagen de Portugal 477 Añadimos, por fin, el almizclero39, que fue utilizado como materia prima para la confección de una bolsa, objecto de regalo a Münzer, por parte de su anfitriona – la esposa de Martín Bohemo de Brujas y capitán de las islas azorinas (Fayal y Pico) -, igualmente, de origen alemán y residente en Lisboa. Sin embargo, este animal era ya conocido de Münzer, desde su instancia en Barcelona40, ciudad donde lo vio por primera vez, en la casa del Infante D. Enrique (hermano de D. Fernando de Aragón), cerca de la zona de San Francisco. Lo describió de la siguiente forma: Un animal mayor que el zorro; cabeza, boca y orejas semejantes a las de armiño; color gris con manchas blancuzcas y oscuras; cola y pies de perro, bicho colérico y furioso. Estaba en una jaula de madera, sujeto con una cadena41. Y, en la misma casa, Münzer tuvo la oportunidad de contemplar dos aves: un tordo de color azul y un papagayo gris. Fijémonos en las características de esta última ave: Del tamaño de un grajo o de una urraca, con plumas blancas y grises en todo el cuerpo, y especialmente en el cuello, como los halcones y gavilanes de Alemania; tenía la cola de la longitud de la de un grajo, pero roja como el minio, y el pico y las patas como todos los demás papagayos; habla también como los otros, porque es verdadero papagayo, aunque de distinto género que los verdes42. Estos animales, como podemos constatar, ejercieron no solo un papel importante de admiración, representación y exhibición, pues eran considerados exóticos y raros para las gentes 39 PUYOL, Jerónimo Münzer, p. 47. Ibidem. 41 Ibidem. 42 Ibidem. 40 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 478 Tavares, Estancia e imagen de Portugal de finales del siglo XV y, asimismo, eran vistos como pruebas de la grandiosidad y de riquezas, entre las cuales las faunísticas, que se podían encontrar en tierras extrañas del Nuevo Mundo, desconocidas para los europeos. Por otra parte, los animales exóticos no dejaron de ser elementos simbólicos de ostentación de poder y status43. Estamos delante de una forma de expresión con matiz medieval, que dejó huella en las primeras décadas de la Edad Moderna44. No es por acaso que los leones se encontraban cerca de la residencia real. A par de los animales exóticos, tenemos acceso a outras informaciones sobre los recursos faunísticos endógenos de Portugal, que se podían encontrar en los ríos y en su costa atlántica. Estamos hablando de especies piscícolas (pescados, sardinas y atunes) y de cetáceos (delfines). Los peces eran primordiales para el desarrollo comercial y para el suministro de las comunidades locales. Es el caso de las sardinas capturadas cerca de Setúbal. A partir del relato de Münzer podemos darnos cuenta de la gran abundancia de esta especie, aunque debamos subrayar que tal vez hubiera de la parte del autor una cierta confusión al confundir este tipo de pescado con el arenque. Posiblemente, se tratara de una comparación o de una manera de referirse a la sardina, llamándola de arenque45, una vez que este último pez es 43 A. PEREZ DE TUDELA, A.J. GSCHWEND, Renaissance Menageries. Exotic animals and pets at the Habsburg courts in Iberia and Central Europe, in K. ENENKEL Y P. SMITH (eds.), Early Modern Zoology: The construction of animals in Science, Literature and Visual Arts, Leiden, Brill, 2007, p. 423. 44 C. SIMÕES, The symbolic importance of the “Exotic” in the Portuguese court in the Late Middle Ages, in « Anales de Historia del Arte », 24, (2014), pp. 518-519. 45 “Oh, qué variadas clases de pescados, de arenques, que llaman sardinas, que se cogen a cuatro millas en la ciudad marítima de Setúbal, en tanta abundancia, que hay bastantes para todo Portugal, para España, Roma, Nápoles y Constantinopla. No hablo de los atunes, delfines y otros pescados.”, PUYOL, Jerónimo Münzer, p. 211. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Tavares, Estancia e imagen de Portugal 479 característico del Atlántico Norte y del mar Báltico, llegando fácilmente a los mercados del Sacro Imperio Romano-Germánico. Por otro lado, señalamos que se trata de una especie que existió en gran cantidad, al igual que la sardina, refiriéndose a ella como suficiente para suministrar las Penínsulas Ibérica e Itálica y Constantinopla. Se puede también interpretar el interés de Münzer por la sardina con fines mercantiles ya que había de forma copiosa en las aguas portuguesas, lueg podría ser una mercancía rentable. Ahora bien, podemos seguir nuestro análisis, refiriéndonos a la flora que llamó la atención a Münzer y a sus compañeros. Empecemos con los dragos que estaban ubicados en el monasterio de San Agustín y en el de frailes menores de la Santísima Trinidad. Estos árboles, además de ser originarios de Guinea como nos informa Münzer, eran característicos del paisaje de los archipiélagos de la Macaronesia (Azores – isla de San Miguel46 -, Madeira47 y Canarias48). El viajero los describe como unos árboles de grandes proporciones, proporcionándonos detalles sobre sus características y las propiedades de la madera y de sus frutos. O sea: es un arbol Alto como un pino, y su copa se divide en muchas ramas grandes con internodios, como la raíz del ácoro, del último de los cuales sale un gran haz de hojas que se parecen a las del ácoro o a las del jaramago, gruesas y espesas. Da racimos grandes y espesos, como los del datilero, con muchos granos como avellanas, de color cetrino49. 46 FRUTUOSO, As saudades da terra, vol. IV, p. 307. Ivi, vol. II, pp. 10 ss; Viagens de Luis de Cadamosto y de Pedro de Sintra, p. 90. 48 Ivi., vol. I, pp. 52-53. 49 PUYOL, Jerónimo Münzer, pp. 208-209. 47 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 480 Tavares, Estancia e imagen de Portugal Cabe comentar las propiedades del drago, pues de su tronco se puede obtener una resina («un jugo bermejo»50), de color rojo, más conocida por sangre del drago. Si cotejamos otra documentación, por ejemplo las descripciones isleñas del Atlántico, podemos observar que, en Canarias, este líquido, tipo goma, se utilizaba normalmente para fins medicinales y para limpiar las armas51. Tenemos aún la indicación de que los palillos de sauce, cocidos en vino blanco, mezclado con sangre de drago, eran utilizados para limpieza de los dientes en España continental52. De otro modo, en la isla de Porto Santo (archipiélago de Madeira), la madera del drago tenía otros fines: fabricación de artículos de menaje, construcción naval y gamellas utilizadas para el transporte de cereales53. Ya en Canarias, en el concejo de Gran Canaria (Las Palmas), la madera de este árbol solía ser utilizada en la elaboración de pesas y medidas, aunque estuviera prohibida54, según las ordenanzas municipales. Por otra parte, podemos encontrar otro ejemplo referente a la flora apreciada por Münzer. O sea, las cañas que solían ser llevadas por las corrientes a las Azores y a Madeira a causa de malas situaciones climatéricas en el Atlántico. Según nos elucida el viajero, eran utilizadas en el fabricación de lanzas y de otros artefactos que solían ser utilizados por las poblaciones africanas55. 50 Ibidem. FRUTUOSO, As saudades da terra., vol. I, pp. 52-53. 52 Ibidem 53 “E em muitas partes desta ilha produziu a Natureza muitos dragoeiros, do tronco dos quais se faz muita louça, e muitos são tão grossos, que se fabricam de um só pau barcos que hoje em dia há, que são capazes de seis, sete homens, que vão pescar neles, e gamelas que levam um moio de trigo.” Ivi, vol. II, p. 26. 54 MORALES PADRÓN, Ordenanzas del concejo, p. 109. 55 PUYOL, Jerónimo Münzer, p. 209. 51 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Tavares, Estancia e imagen de Portugal 481 Lisboa de Münzer: una ciudad cosmopolita Lisboa no fue solo un centro de atracción de productos y de mercancías de distintas partes, sino también una ciudad cosmopolita, de confluencia de diversas gentes de distintos puntos de Europa y de África. No obstante, en este apartado, no enfocaremos la presencia de determinados grupos asociados al comercio, como italianos, ingleses e irlandeses, puesto que ya los hemos mencionado anteriormente. Es, igualmente, importante señalar que en esta ciudad convivían varias comunidades étnicoreligiosas, entre las cuales los judíos y los musulmanes. Este hecho se puede apreciar, a través de una de las descripciones del viajero: La gente de ambos sexos es muy educada. Los más ricos, por lo general, son alemanes y holandeses. Viven en la plaza y en la rúa Nova, que está construída al estilo alemán. La mayor parte se dedica al comercio. Se encuentran aquí judíos inmensamente ricos, casi todos los mercaderes, y que sólo viven del trabajo de sus esclavos56. Al analizar la narrativa de Münzer, es, en primer lugar, fácil detectar la presencia de la comunidad alemana en Lisboa, tanto las personas residentes, como militares, marineros y mercaderes57, que estuvieron de forma puntual en la referida ciudad. A modo de ejemplo, podemos, en primer lugar, señalar los contactos alemanes que Münzer poseía en Lisboa, entre los cuales, sus anfitriones, Don Jodoco de Hurder, capitán de las islas azorinas (Fayal y Pico), socio y pariente de Don Martín Behaim 56 Ivi, pp. 213-214. Sobre la comunidad alemana, más conocida por hanseática, en Lisboa, sabemos muy poco. Se trata de una temática que requiere estudios más minuciosos sobre sus actividades y modos de vida. En este sentido, recomendamos el siguiente trabajo: A. MARQUES, Hansa e Portugal na ldade Média, Lisboa, Editorial Presença, 1993. 57 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 482 Tavares, Estancia e imagen de Portugal (1459-1507), cosmógrafo y constructor de los primeros globos terrestres58. La presencia alemana se hizo sentir más allá de la esfera mercantil, llegando incluso Portugal a contar con la participación de bombarderos en las empresas militares, en el Norte de África, en Alcácer Quibir. Encontramos, a modo de ejemplo, la mención a Jacobo Suewus, natural de Waiblingen (condado de Wiiemberg)59, según informaciones del viajero. Asimismo, subrayamos la convivencia de Münzer con marineros alemanes y las visitas a los barcos anclados en el puerto de Lisboa. De esta forma, el autor del relato tuvo la posibilidad de visitar la nave de Bernardo Fechter, natural de Dánzig, donde comió y confraternizó con sus conterráneos. En este sentido, podemos presentar otro ejemplo relacionado con la visita a la nave, Regina, donde viajarían bombarderos alemanes, cuyo capitán se llamaba Gregorio Piet, con destino al Reino de Nápoles. El objectivo de este viaje consistió también en llevar judíos y conversos expulsos de Castilla, por los Reyes Católicos (1492), hacía otros destinos lejos de la Península Ibérica, en búsqueda de una nueva vida, donde pudieran seguir sus preceptos religiosos y sus costumbres en libertad60. A partir de la afirmación del viajero alemán, estamos delante de una etapa de la migración forzada en masa de la población sefardí, con parada en Portugal, aunque esta situación ya se hubiera hecho sentir unos años antes, con la implementación de la inquisición en Castilla, en la década de 1480. Los judíos y 58 MARTÍNEZ GARCÍA, El Sacro Imperio, p. 113. PUYOL, Jerónimo Münzer, p. 215. 60 F. SOYER, King Manuel I and the expulsion of the Castilian Conversos and Muslims from Portugal in 1407: new perspectives, in «Cadernos de Estudos Sefarditas» 8 (2008), p. 36; ID., King João II of Portugal “O Príncipe Perfeito” and the Jews (1481-1495), in «Sefarad», vol. 69, n. 1, (2009), pp. 8081. 59 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Tavares, Estancia e imagen de Portugal 483 conversos castellanos se refugiaron en Portugal y permanecieron en sus fronteras, provocando situaciones de conflicto no solo con la mayoría cristiana, sino también con la comunidad judía residente en tierras lusas. A estos incidentes hay que subrayar la proliferación de epidemias, sobre todo en las ciudades de Lisboa y Oporto que sirvieron para agudizar los momentos de tensión entre ambas comunidades. Sin embargo, este problema nos lleva a plantear otras cuestiones sobre este caso de conflicto socioreligioso que involucró a Portugal, con el rey D. Juan II. Con una simple lectura de la fuente objecto de análisis, percibimos fácilmente que las afirmaciones de Münzer resultantes de su viaje a la Península Ibérica (1494-1495), no coinciden con la fecha de la expulsión definitiva de los judíos y de los musulmanes de Portugal, por el rey D. Manuel I (1469-1521), en octubre de 1497, decretada meses antes, en 5 de diciembre de 1496. Este procedimiento fue fundamental para la concretización del matrimonio de D. Manuel I con la Infanta Doña Isabel (1470-1498), hija de los Reyes Católicos, D. Fernando de Aragón y Doña Isabel. No obstante, desconocemos el registro de esta condición en el contracto matrimonial61. Si 61 Es bien posible que fuera cordada oralmente o que quedara redactada en algún documento que, de igual forma, no tenemos conocimiento de él. D. NOGALES RINCÓN, Em torno dos casamentos de D. Manuel I com as infantas de Castela D. Isabel e D. Maria, in A.M. RODRIGUES, M.S. SILVA, AL. FARIA (eds.), Casamentos da Família Real Portuguesa. Diplomacia e ceremonial. vol. I, Lisboa, Círculo de Leitores, 2017, p. 316; F. SOYER, The persecution of the Jews and Muslims of Portugal: King Manuel I and the End of Religious Tolerance (1496-1497), Leiden-Boston, Brill, 2007, p. 177; M.J.F. TAVARES, A expulsão dos judeus de Portugal: conjuntura peninsular, in «Oceanos», 29 (1997), pp. 11-20; ID., Os judeus em Portugal no século XV, vol. I, Lisboa, Universidade Nova de Lisboa. Faculdade de Ciências Sociais e Humanas, 1982, pp. 159-203; M. KEYSERLING, História dos judeus em Portugal, São Paulo, Livraria Pioneira Editora, 1971, pp. 74-104. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 484 Tavares, Estancia e imagen de Portugal cotejamos otras fuentes, como las ordenanzas de Lisboa, tenemos disposiciones concernientes a la salida de los judíos del reino, fechadas de 1497, haciendo alusión a la disponibilidad de embarcaciones existentes en el puerto para transportar las personas rumbo a las repúblicas italianas, Francia, Inglaterra, Flandes y para el Sacro Imperio Romano Germánico62. Es decir, Münzer nos describe una situación de expulsión de los judíos y cristianos nuevos castellanos de suelo portugués, en 1494, tres años antes de la salida forzada, determinada por D. Manuel. Observemos: Tienen un profundo temor al destierro, pues el rey de España ordenó al de Portugal que exterminase a los marranos, lo mismo que a los judíos, o entraría en guerra con él. El rey de Portugal, siguiendo el comportamiento del rey de España mandó que antes de la fiesta de la Natividad del Señor salieran de su reino todos los marranos, quienes han contratado la nave Regina, hermosísimo navío, y a mediados de diciembre marcharán a Nápoles. En cuanto a los judíos, el rey les ha concedido una tregua de dos años íntegros para que vayan saliendo del reino reposadamente. Tomando esto en consideración, los judíos salen continuamente y buscan en el extranjeros lugares para vivir63. Ahora bien, no resulta anómalo que los judíos y conversos castellanos quisieran desplazarse a otros destinos, aunque que hubiera embarcaciones disponibles para el debido efecto, desde su expulsión otorgada por los Reyes Católicos. Según las palabras de Soyer64, resulta importante profundizar estas problemáticas para no caer en contradicciones y para conocer de forma más minuciosa la política de D. Juan II ante los grupos étnicoreligiosos. Por otro lado, es pertinente evaluar las formas de control de la migración de refugiados judíos y conversos de Castilla, en particular en la frontera portuguesa. Queda aún por aclarar los 62 RODRIGUES, Livro das Posturas Antigas, pp. 172-175. PUYOL, Jerónimo Münzer, p. 256. 64 SOYER, King João II, pp. 80-93. 63 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Tavares, Estancia e imagen de Portugal 485 procedimientos y las vivencias de estas personas en Portugal, que fueron más allá de la necesidad de obtener permiso para salir del reino y del pago de tributaciones al rey. A estas premisas, es pertinente analizar y comparar la relación que el soberano D. Juan II tenía con los judíos portugueses, los judíos y cristianos nuevos castellanos. Sobre esta minoría religiosa, el viajero alemán nos proporciona otra visión de la comunidad judía portuguesa, en Lisboa. Son descritos como poseedores de carácter insolente, dedicados al sector mercantil, a la trata y al cobro de los tributos reales. Además, nos da a conocer su entorno, sobre todo de los judíos más ricos. Con esta obra, nos enteramos que los judíos más ricos vivían en la Rúa Nova juntamente con otros mercaderes de otras naciones65. Estos vivían en barrios propios, las juderías, donde disponían sus estructuras administrativas, jurídicas y sus espacios de culto. Incluso Münzer nos evidencia su experiencia al visitar una sinagoga, demostrando en su relato las características del espacio y los ritos de esta comunidad religiosa. Veamos, entonces, con más detalle la descripción de la sinagoga: Frente a la sinagoga hay un grande edificio, que cubre una gran vid, cuyo tronco tenía cuatro palmos de circunferencia. ¡Oh, qué bellísimo lugar y cátedra para predicar, como en las mezquitas! Ardían en la sinagoga diez grandes candelabros, y en cada uno de ellos cincuenta o sesenta lámparas, sin contar las otras. Las mujeres tenían una sinagoga aparte, en la cual ardían también muchas lámparas66. De igual forma, Münzer tuvo igualmente la oportunidad de convivir con la minoría musulmana. Visitó su barrio, localizado junto a las murallas del castillo, la morería, y la mezquita67. 65 PUYOL, Jerónimo Münzer, p. 213. Ivi, p. 207. 67 Ivi, p. 208. 66 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 486 Tavares, Estancia e imagen de Portugal Conclusión Esta obra, Viaje por España y Portugal en los años de 1494 y 1495, del alemán – Jerónimo Münzer - presupone un desafío para el investigador, una vez que se trata de un relato que requiere un estudio más pormenorizado de carácter interdisciplinar, contando, sobre todo con la participación de especialistas de historia, literatura, lingüística, geografía, por ejemplo. La colaboración de distintos campos de conocimiento nos permitirá ayudar, por un lado, a resolver las problemáticas y las diversas hipótesis que todavía siguen latentes sobre esta obra y las motivaciones del autor y, por otro lado, proporcionar un analisis más detallado de las descripciones, de los paisajes y de las vivencias cotidianas de la Península Ibérica, de finales del siglo XV, en un contexto particular de expansionismo, descubrimiento y de conocimiento de nuevos mundos más allá del Mediterráneo y del océano Atlántico (África, América y, posteriormente, Asia). Con este texto pretendemos dar a conocer el viaje de Münzer por la Península Ibérica, enfocando, sobre todo su estancia en el reino portugués. Para cumplir nuestros objectivos, tomamos como punto de partida su estadía en la ciudad Lisboa, una vez que se trata de la urbe portuguesa donde el viajero permaneció más tiempo, proporcionando al lector más detalles sobre sus experiencias. Debido a la localización geoestratégica, Lisboa funcionó como un punto neurálgico de confluencia de productos y de personas de distintas orígenes de Europa y África. Destacamos, a modo de ejemplo, la presencia de las comunidades de italianos, ingleses, irlandeses, flamencos y alemanes. Además, llamamos la atención para la convivencia de Münzer con las minorías étnico-religiosas, judíos y musulmanes. Relativamente a las mercancías, seleccionamos algunos ejemplos de animales y de plantas provenientes de los nuevos territorios oceánicos, de Portugal y de España. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Tavares, Estancia e imagen de Portugal 487 BIBLIOGRAFÍA FUENTES CAMPOS M.T., Livro das Posturas Antigas, Lisboa, Câmara Municipal de Lisboa, 1974 COSTA J.P., Vereações da Câmara Municipal o Funchal. Século XV, Funchal, Centro de Estudos de História do Atlántico, 1994 FRUTUOSO G., As saudades da terra., vols. 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Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 488 Tavares, Estancia e imagen de Portugal SANTOS A.P., Ribeira Grande (S. Miguel – Açores) no século XVI. Vereações (1555-1578), Ribeira Grande, Câmara Municipal da Ribeira Grande, 2006 Viagens de Luis de Cadamosto e de Pedro de Sintra, Lisboa, Academia Portuguesa de História, 1988 ESTUDOS ALBUQUERQUE L., Introdução à História dos Descobrimentos Portugueses, Mem Martins, Publicações Europa-América, 2000 BARROS M.F., A Comuna muçulmana de Lisboa. Séculos XIV e XV, Lisboa, Hugin, 1998 BOXER C., O Império Marítimo Português. 1415-1825, Lisboa, Edições 70, 2001 BRUSCOLI F.G., Bartolomeo Marchionni “Homem de grossa fazenda” (ca. 1450-1530). Un mercante fiorentino a Lisbona e l’impero portoghese, Firenze, Leo S. Olschki, 2014 BRUSCOLI F.G., I mercanti italiani, Lisbona e l’Atlantico (XVXVI secolo, in J. SOLÓRZANO TELECHEA, B. ARIZAGA BOLUMBURO Y L. 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Especialização em Literatura Portuguesa sob orientação do Professor Doutor João Dionísio, Lisboa, Universidade de Lisboa, 2010, URL <http://repositorio.ul.pt/handle/10451/2467> (Consultada en el: 15-12-2017) GONÇALVES I., Na Ribeira de Lisboa, em finais da Idade Média, in ID., Um olhar sobre a cidade medieval, Cascais, Patrimónia, 1996, pp. 61-75 GONÇALVES I., Posturas municipais e vida urbana na baixa Idade Média: o exemplo de Lisboa, in «Estudos Medievais», 7 (1986), pp. 155-172 KEYSERLINH M., História dos judeus em Portugal, São Paulo, Livraria Pioneira Editora, 1971 LOPES P., O animal na Literatura: Dos Bestiários aos Livros de Viagens, in I.D. BRAGA, P.D. BRAGA (eds.) Animais & Companhia na História de Portugal. 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Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Tavares, Estancia e imagen de Portugal 491 SILVA M.S., TAVARES A., Animais Utilizados como Instrumentos de Trabalho e de Transporte, in I.D. BRAGA, P.D. BRAGA (eds.) Animais & Companhia na História de Portugal. Fazer a História dos Animais, Lisboa, Círculo de Leitores, 2015, pp. 8194 SIMÕES C.S. 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SABATINI, A. VIOLA (eds.), Di Buons Affetto e Commerzio. Relações luso-italianas na Idade Moderna Lisboa, CHAM, 2012, pp. 21-162 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 492 Tavares, Estancia e imagen de Portugal TAYLOR B., Los libros de viajes de la Edad Media Hispánica: bibliografía y recepción, in Atas do IV Congresso da Associação Hispânica de Literatura Medieval, Lisboa, Ed. Cosmos, 1993, pp. 57-70 VAIRO G.R., La Lisbona di Manuel Pessanha, in N. ALESSANDRINI, M. RUSSO, G. SABATINI, M. FLOR (eds.), Le nove son tanto e tanto buone, che dir non se pò. Lisboa dos italianos: História e Arte (sécs. XIV-XVIII), Lisboa, Cátedra de Estudos Sefarditas «Alberto Benveniste», 2013, pp. 19-37 WALKER T., Lisbon as a strategic haven in the Atlantic World, in W. KLOOSTER, A.L. PADULA (eds.), Atlantic Perspectives, New Yorker, Prentice Hall, 2000, pp. 60-75 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli 493 Nell’andare e venire per fuori Napoli, per le fiere, e piazze di questo Regno: produzione e circolazione di ori e argenti nel Regno di Napoli nel XVIII secolo di Diego DAVIDE Università degli studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa” DOI 10.26337/2532-7623/DAVIDE Riassunto: Nel XVIII secolo le botteghe orafe napoletane raggiungono un primato artistico e professionale che gli consente di espandere il loro mercato di riferimento alle province del Regno. A tal fine vengono costituite specifiche società per commerciare “fuori della capitale”. La varietà delle produzioni offerte è accompagnata da molteplici livelli qualitativi, necessari per venire incontro alle esigenze di una clientela molto diversificata. Proprio in provincia, inoltre, gli orafi napoletani si rifornivano di ori vecchio o rotti da sciogliere e riutilizzare come materia prima per nuove produzioni. Abstract: During the XVIII century, the neapolitan goldsmith workshops attained a professional and artistic record, which allowed them to expand their target market to the provinces of the Kingdom. To reach the most distant locations, they established companies to trade «outside the capital». The variety of jewels offered for sale is accompanied by multiple levels of quality capable of intercepting the preferences of different kind of consumers. Furthermore, in the provinces, the neapolitan goldsmiths supplied themselves with old or broken gold to be solved and reused as raw material for new productions. Keywords: Craft guilds, Pedlars, Goldsmiths Sommario: Introduzione – Il mercato orafo del Regno: un monopolio napoletano? – Il commercio ambulante – Carriere orafe di successo: il sodalizio Ursi Milano – Conclusioni – Fonti – Bibliografia Versione definitiva ricevuta in data 30 gennaio 2018 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 494 Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli Introduzione Nelle società di Ancien Regime, in cui la comunicazione non verbale è una componente essenziale dell’interazione tra ceti, suppellettili e accessori in oro e argento, percepiti da un pubblico vasto ed eterogeneo come indicatori di benessere e ricchezza, sono posizionati al vertice delle preferenze dei consumatori1. La loro diffusione è stata documentata tra i ceti egemoni, che vi affidano la rappresentazione del proprio status e della propria superiorità2, tra quelli medi che emulano i comportamenti ostentativi adottati dalla classe aristocratica3, presso la Chiesa che trova nello sfarzo lo strumento con il quale sollecitare la devozione4 e persino tra le classi subalterne5. Tutt’altro che secondaria è poi la loro funzione economica: in quanto denaro 1 «L’acquisto di semiofori equivale - scrive Pomian - a quello del biglietto di ingresso in un ambiente chiuso e al quale non si può accedere senza aver ritirato una parte di quello che si possiede dal circuito utilitario». K. POMIAN, Collezione, in AAVV, Enciclopedia Einaudi, vol.I, Torino, Einaudi 1978, p. 352. Per un maggiore approfondimento sul tema del valore simbolico e comunicativo del consumo si veda M. DOUGLAS, B. ISHERWOOD, Il mondo delle cose. Oggetti, valore, consumo, Bologna, Il Mulino, 1984. 2 Cfr. R. AGO, Costumi e ricchezze in età moderna, in A. ARRU, M. STELLA (eds.) I consumi. Una questione di genere, Roma, Carocci, 2003, p. 37. 3 Cfr. A. CLEMENTE, Note sulla legislazione suntuaria napoletana in età moderna, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», (1) 2011, p. 134. 4 M. PAONE, I lunghi secoli dell’argento, in A. CASSIANO (a cura di), Il barocco a Lecce e nel Salento, Lecce, Galatina 1995, p. 174. 5 Secondo l’economista Ludovico Bianchini, già nel periodo normanno federiciano «molto argento ed oro lavorato […] possedettero quei popoli, talché non si ristanno quasi tutti gli scrittori dal ricordare che fin le donne nell’infimo volgo se ne ornavano la testa, il collo, il petto». L. BIANCHINI, Storia delle finanze nel Regno di Napoli, edizione a cura di L. De Rosa, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1971, p. 54. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli 495 fungibili, i beni in metallo prezioso costituiscono, per il possessore, una riserva alla quale attingere nei momenti di particolare bisogno. Con l’arrivo a Napoli di Carlo di Borbone (1734), il lusso diventa intrumentum regni6 e l’intera città, nelle sue varie componenti, è chiamata a prendere parte a eventi pubblici di grande valenza simbolica, in cui abbondano l’ostentazione e lo sfarzo7. La politica di prestigio del nuovo sovrano si traduce in una straordinaria occasione di crescita per l’artigianato orafo cittadino i cui esercenti sono riuniti, fin dal 1380, nella Nobile Arte degli Orefici che é, insieme con la Nobile Arte della Seta e la Nobile Arte della Lana, tra le più ricche e influenti del panorama cittadino8. Fatta questa breve premessa, volta a inquadrare sia l’oggetto sia il contesto di riferimento del presente lavoro, nelle seguenti pagine si illustrano le dinamiche di circolazione di oro e argento lavorati nel mercato orafo napoletano a cavallo della metà del Settecento9. La ricostruzione si è basata, quasi esclusi- 6 Cfr. A. CLEMENTE, Il lusso “cattivo”. Dinamiche del consumo nella Napoli del Settecento, Roma, Donzelli, 2011, pp. 52, 192-193. 7 E. PAPAGNA, La Corte di Carlo di Borbone il re “proprio e nazionale”, Napoli, Guida, 2011, pp. 12-13. 8 Indipendentemente dalla loro specializzazione, sono iscritti alla Nobile Arte degli Orefici di Napoli con la qualifica generica di “orefici”, orafi e argentieri, sia negozianti sia fabbricanti, gioiellieri, fabbricanti di galloni con esclusione dei tiratori d’oro e argento e dei battitori di oro e argento che afferiscono a corporazioni autonome. 9 Si veda a tal proposito B. BLONDE, E. BRIOT, N. COQUERY, L. VAN AERT (eds.), Retailers and consumer changes in Early Modern Europe. England, France, Italy and low countries, Tours, Presses Universitaires François Rabelais, 2005, pp. 5-6, nonché il breve saggio sui consumi scritto da Renata Ago che sottolinea «sappiamo cosa la gente aveva in casa ma ignoriamo in che modo quegli oggetti siano stati acquistati». AGO, Consumi, pp. 35-36. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 496 Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli vamente, sui documenti di due fondi archivistici: i catasti onciari, che contengono significativi elementi di conoscenza della struttura socioeconomica e professionale della popolazione del Regno10, e i registri del notaio Quirizio Ioele. La scelta del notaio non è casuale. Ioele roga a Napoli dal 1745 al 1787 in via della Loggia di Genova, adiacente piazza degli Orefici. Per circa quarant’anni è il riferimento della corporazione, di cui dal 1772 è anche cancelliere e segretario, e di alcune famiglie di negozianti orafi, gli Ursi e i Milano in particolare, per i quali stende numerosi atti di costituzioni di società, compravendita e fornitura. L’indagine condotta ci ha consentito di allargare le conoscenze relative ai luoghi delle vendite, alla tipologia delle merci vendute, all’estrazione sociale degli acquirenti. Il mercato orafo del Regno: un monopolio napoletano? Secondo un orientamento storiografico ormai consolidato, a partire dal XVII secolo Napoli diventa un grande centro di esportazione di opere d’arte e di manifatture di lusso. Le botteghe orafe della capitale, concentrate nella “piazza” degli Orefici, situata a ridosso della marina e delimitata a nord dalla Piazza Portanova e dalla Giudeca Grande e a sud dalla Loggia di Genova11, in numero mai inferiore alle 200 unità12, conseguono nel Regno, un indiscusso primato professionale e mercantile13. 10 M. MAFRICI (ed.), Il Mezzogiorno settecentesco attraverso i catasti onciari, Salerno, ESI, 1986. 11 Archivio di Stato di Napoli (da ora in avanti ASNa), Pandetta Corrente, F. 1008, f. 13 12 Archivio Notarile di Napoli (da ora in avanti ANNa), notaio Quirizio Ioele, registro anno 1776, atto 37. 13 Cfr. V. PACE, Per la storia dell’oreficeria abruzzese, in «Bollettino d’Arte», 2 (1972), p. 84; E. MATTIOCCO, Gli antichi marchi dell’oreficeria abruzzese, in «Quaderni di Archeologia, storia e arte» 1 (1997), p. 6; R. MAVELLI, Oro, argento et pannamenti di lino, lana e seta-corredi dotali delle Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli 497 Al fine di scoprire se tale primazia si sia tradotta in una scomparsa delle botteghe di provincia o se, pure tra le enormi difficoltà dovute a condizioni ambientali sfavorevoli, all’isolamento per inadeguatezza della rete viaria14, alla miseria delle popolazioni, un artigianato autoctono era presente e si opponeva all’aggressiva invadenza dei prodotti provenienti dalla capitale, è stato effettuato un saggio dei registri del catasto carolino. Nell’impossibilità di interrogare la fonte per tutte le università del Regno, più di un migliaio, si è cercato di individuare sulla base della letteratura secondaria, un certo numero di centri in cui più alta era la provabilità che si fossero insediate botteghe orafe15. Seguendo tali tracce sono stati individuate 58 università e per 42 di esse la documentazione ha dato un riscontro positivo. In ben 9 casi Rivello, Sulmona (9 addetti), Agnone, Pescocostanzo, Salerno (11 addetti), Bari (19 addetti), Chieti (23 addetti), Monteleone (50 addetti), Lecce (57 addetti) si può parlare di una presenza orafa molto significativa. Con l’eccezione di Teramo (7 addetti), Brindisi (6 addetti), Barletta e L’Aquila (5 addetti), le restanti 29 Università presentano un numero di orafi compreso tra 1 e 4 unità (Tabella 1). Il dato empirico dice però poco o nulla se non viene letto alla luce della particolare condizione in cui versa il Regno in pieno Settecento. Il primo aspetto che va considerato è quello demografico: a Napoli, capitale e spose montanare, in A.M. TRIPPUTI, R. MAVELLI (eds.), Ori del Gargano, Foggia, Grenzi, 2005, p. 85; S. DI SCIASCIO, Maestri argentieri napoletani nella diocesi di Bari (secc. XVII-XVIII) in «Napoli Nobilissima» vol. XXXI, fasc. I-II, (1992), p. 75. 14 G. CIRILLO, Protoindustrie mediterranee: città, verlagsystem nel Regno di Napoli nell'età moderna, Volume IV, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, 2012, p. 31. 15 Il termine bottega è qui utilizzato in accezione ampia e si riferisce, in generale, alla presenza di attività connesse all’artigianato orafo. Sui molteplici significati della parola “bottega” si veda N. COQUERY, Tenir boutique a Paris au XVIIIe siècle. Luxe et demi-luxe, Paris, CTHS, 2011, pp. 23-29. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 498 Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli metropoli europea vive circa 1/5 della popolazione regnicola16. Da un punto di vista economico e produttivo, poi, alla Napoli città di consumo e crocevia di scambi internazionali, fa da contraltare un contesto provinciale in cui prevale un’economia di sussistenza e dove l’artigianato coinvolge una percentuale della popolazione attiva non superiore all’8%. Fatte tali considerazioni ci sembra di poter affermare che il dato di maggiore evidenza emerso dallo spoglio dei catasti, ossia l’abissale differenza esistente tra le duecento e oltre botteghe operative a Napoli e il resto del Regno, esca fortemente ridimensionato e il numero degli esercenti, per quanto esiguo, potrebbe costituire una presenza artigianale di quale peso. Dall’analisi abbiamo conferma della capacità dell’aggregato urbano di fare da sprone allo sviluppo delle attività secondarie oreficieria compresa. Ciò spiega come mai a Lecce, che ha una popolazione numerosa e dove le manifestazioni mondane e religiose tengono alta la domanda, sia di generi di consumo sia di ornamenti, vi sia una ragguardevole presenza di orefici. Stesso discorso può essere fatto per Monteleone e per Chieti che, sede di Regia Udienza dal 1520 e arcidiocesi dal 1526, è la residenza di importanti famiglie aristocratiche non solo del patriziato chietino ma anche di importanti casate settentrionali17. È opportuno chiedersi, a questo punto, quale sia il ruolo delle botteghe provinciali, in che rapporto siano con le omologhe della capitale, se è lecito parlare di antagonismo o è più giusto esprimersi nei termini di collaborazione. Le indicazioni fornite dai documenti, sembrano suggerire che le botteghe di provincia operino come rivendite delle meglio 16 CIRILLO, Protoindustrie, p. 15. Il dato napoletano va a corroborare la tesi di Daniel Roche per il quale: «l’urbanisation et sa capacité transformatrice ont précedé l’industrie créant l’espace d’une consommation plus vaste». D. ROCHE, Préface in COQUERY, Tenir boutique, p. 13. 17 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli 499 attrezzate botteghe della capitale. Facciamo qui alcuni esempi: Domenico e Antonio Autieri, con bottega nella città di Reggio, stipulano con il negoziante orefice18 Francesco Canonico, di Napoli, un accordo in base al quale quest’ultimo si impegna a rifornirli di ori, argenti e gioie, “bollati con i marchi dei consoli dell’arte degli orefici della città di Napoli” per un totale di ducati 2876,93. Tra le merci acquistate troviamo: calici, sottocoppe, candelieri, caffettiere, incensiere, saliere, spade indorate, spade d’argento, orecchini ed anelli di varia fattura19. Canonico è anche il fornitore di Pasquale Iannucci, orefice di Campobasso “di passaggio in Napoli” che acquista ori e argenti lavorati per un totale complessivo di 2000 ducati20. A lui si rivolgono pure Gasparo e Francesco Ferro, “orefici commoranti nella città di San Severo, et al presente in Napoli per causa dell’infrascritto [negozio]” che acquistano per circa 1143 ducati “fioccagli, coretti, catenaccelli, anelli, perle, abitelli, posate […] tutti mercati con bulli dei magnifici consoli”21. Dall’orefice napoletano Giuseppe Fumo invece, nel luglio del 1787 Giuseppe Lombardi dell’università di S. Germano, in Terra di Lavoro, acquista 133 anelli d’argento, 134 anelli di rubini e altri piccoli oggetti per una spesa complessiva di 300 ducati22. Il rapporto commerciale tra i due è ben consolidato. Il Lombardi dichiara, infatti, di essersi, negli anni, ripetutamente rivolto al Fumo per l’acquisto non solo di gioielli ma anche di 18 A differenza dei “fabbricanti” non si dedica alla realizzazione di oggetti in oro ed argento ma esclusivamente alla vendita. 19 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1778, atto 29. 20 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1781, atto 25. 21 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1783, atto 22. 22 ASNa, Sacro Regio Consiglio, Ordinamento Zeni, F. 134, anno 1787. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 500 Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli “ferri per il mestiere” per una spesa complessiva di circa 6.200 ducati23. Anche il catasto carolino fornisce interessanti indicazioni in tal senso. Nella bottega del leccese Domenicantonio Pascali, sita al Portaggio di San Martino, si trovano ori e argenti, lavorati e non lavorati, per un ammontare di 1200 ducati. La quasi totalità di queste merci è di proprietà del suo corrispondente napoletano l’orefice Nicola Innocenzio Viva. Ci sono poi Giuseppe Ranieli e suo figlio Rosario, di Monteleone, nella cui bottega sono in vendita gioie in oro e argento per un capitale complessivo di 1000 ducati, la metà dei quali sono, però, dell’orafo napoletano Andrea Cappuccio24. Sarebbe tuttavia riduttivo pensare alla provincia esclusivamente nei termini di frontiera di espansione commerciale, poiché questa costituisce un ampio bacino di approvvigionamento della materia prima. Da un documento di bilancio fatto presentare alla Regia Corte di Trani dall’orefice negoziante Nicola Ursi a seguito del decesso dell’orefice Mengia, suo partner commerciale, emerge che il defunto era solito ricevere da Napoli, tramite i procacci, fibbie, anelli, collane, e a sua volta inviava nella capitale, cassette di ori e argenti vecchi destinati alla fusione e al riutilizzo25. A dimostrazione che la pratica fosse diffusa anche in altre province c’é la supplica inviata al Re Ferdinando IV da tale Fortunato de Felice; costui si oppone alla richiesta del ceto orafo, che sulla scorta di un aumento del prezzo delle monete estere chiede un adeguamento del prezzo di vendita dei preziosi, e sottolinea come la materia prima utilizzata per la creazione di nuovi lavori non sia costituita da monete forestiere, ma da ori vecchi o 23 ASNa, Sacro Regio Consiglio, Ordinamento Zeni, f. 134, “Maestro Giuseppe Fumo cum Maestro Giuseppe Lombardi”, anno 1787. 24 ASNa, Catasti onciari, Monteleone, voll. 6622 a 6626. 25 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1777, atto 26. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli 501 rotti inviati dalle province a Napoli affinché siano fusi e riutilizzati26. Una conferma arriva, infine, da Raffaele Pepe, studioso di economia e redattore, per il Molise, della statistica murattiana, che parla della capitale come del luogo gli orefici molisani provvedono a cambiare l’oro vecchio con il nuovo. Il commercio ambulante A contribuire alla diffusione dei prodotti partenopei in provincia, vi sono quei negozianti orafi napoletani che, riempiti i loro forzieri, raggiungono personalmente i luoghi di commercio. Nei registri del notaio Quirizio Ioele le società “di orefici negozianti, e ferianti” costituite nella capitale con il precipuo scopo di “andare e venire […] per le fiere e Piazze di questo Regno secondo gli ordini di lettere messive” sono numerose27. Tali negozi “ambulanti” sono, sotto il profilo giuridico, delle societas in cui un socio finanziatore si lega a uno o più soci minoritari che si accollano l’onere di viaggiare con le merci e di commerciarle. È il socio principale a decidere “il cammino [che] devono fare per fuori […] Napoli” gli altri soci, che investono nella società esclusivamente “le loro proprie persone, esercizij personali, fatiche [per] vendere, comprare, barattare i lavori”28. Il loro rapporto, destinato a concludersi generalmente dopo un anno, è regolato da una serie di “patti” che riguardano sia la gestione del negozio, sia quella del tempo libero. I soci minoritari devono “unitamente e non divisamente negoziare la dote di questa suddetta [società e] devono essere intesi in tutti li 26 ASNa, Pandetta Nuova II, F. 1008, f. 14, fol. 57 vº. Sulle società per la vendita in provincia si veda anche A. MASSAFRA (ed.), Produzione, mercato e classi sociali nella Capitanata moderna e contemporanea, Foggia, Amministrazione centrale, 1984, pp. 82-84. 28 Ibidem. 27 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 502 Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli negozi […] restando con ciò proibito a ciascuno di essi di giocare a qualunque sorta di gioco tanto in bottega quanto in casa terza, né tener conversazione, o pure andarci, anzi li medesimi s’obbligano a non partirsi dalla lor bottega così di giorno come di notte”29. Hanno inoltre l’onere di documentare tutte le vendite effettuate e, a richiesta, renderne conto al finanziatore. I frutti della società sono divisi tra i soci, in proporzione all’impegno profuso, all’atto di scioglimento della stessa. In allegato all’atto di costituzione troviamo l’elenco di tutti i lavori consegnati dal finanziatore agli orefici “ferianti”30. Vale la pena sottolineare la massiccia presenza di gioielli e accessori femminili (piogge, pioggini, ficocelle, cannacche, verghette, indirizzi con diamanti, croci ed orecchini), seguiti da suppellettili liturgiche (acquasantiere con e senza aspersore, candelieri, ostiere, reliquiari, crocifissi, incensiere, pissidi), accessori da uomo (fibbie per cravattini, bastoni, spade e sciabole di varie dimensioni e fattura, le diffusissime tabacchiere), e ancora anelli “da creatura”, “da figliola”, ciappe, bottoni, pettenesse, anelli con “fede, santi, serpe, cristi e morte” insieme a un gran numero di apparati quali sottocoppe, giare per sorbetto, bicchieri “alla marocchina”, saliere “ad uso di Boemia” caffettiere, cucchiaroni nuovi e usati e gli immancabili “nettadenti”. La varietà delle merci, non dissimili da quelle che troviamo nelle botteghe napoletane, fa pensare, oltre a un’uniformità di gusto, a una clientela che, proprio come quella partenopea, si presenta varia e composita: non solo famiglie aristocratiche o classe media, ma anche cappelle, monasteri, e nelle aree manifatturiere piccoli artigiani e lavoratori alla giornata31. Basta dare una lettura alla lista dei debitori della società Milano-Ursi 29 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1776, atto 20. Così vengono chiamati i negozianti orefici dediti alla vendita ambulante. 31 Sui salari dei lavoratori dei poli manifatturieri del Mezzogiorno, CIRILLO, Protoindustrie, p. 17. 30 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli 503 del 1756, per avere conferma di quanto appena affermato: accanto ai notai Francesco Antonio del Conte e Gervasio Pacileo di Foggia, al conte Angrissola di Trani, troviamo Diomede Valentino doganiere di Castel di Sangro, il “tavernaro” Michele Garofalo di Foggia, il barbiere Pietro Pascale di Canosa, il cocchiere Pietro Litterio, la serva del governatore di Canosa e il servo dell’abate Ciancarella. Tra i committenti di maggiore prestigio troviamo invece il capitolo della chiesa di S. Cataldo della città di Barletta che affida all’orefice Saverio Manzone, per il tramite di Nicola Ursi, la realizzazione della statua del “glorioso San Cataldo”. L’argentiere si impegna a realizzare nella sua bottega, insieme con i suoi “mastri e lavoranti”, ed a consegnare nell’arco di un anno una statua in argento del peso di 65 libbre e del valore di 1383.62 ducati32. Il santo, a figura intera, sostenuta da uno scheletro in ferro, con “pastorale con sua mazza tutta indorata, ed alcuni fogliami d’argento framischiati”, doveva essere poggiato su una pedana con ossatura in legno rivestita di rame dorato33 Carriere orafe di successo: il sodalizio Ursi Milano Il negoziante orefice Domenico Milano è, tra quelli presenti nelle carte del Ioele, uno dei più attivi finanziatori di società per la vendita ambulante. Vi compare per la prima volta l’8 ottobre 1745 quando costituisce con Nicola Ursi34 una societas per 32 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1775, atti 37 e 63. ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1773, atto 56 e registro anno 1774, atto 12. 34 Nicola Ursi deriva le sue fortune dalla costituzione di società per la vendita a Napoli ed in provincia di ori, argenti e gioie. Alla morte del padre Francesco, anch’egli orefice, ne eredita insieme ai fratelli Carl’Antonio e Antonino 33 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 504 Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli la vendita di oro, argento e gioielli presso “le fiere e le piazze del Regno”35. Dei 10.137,28 ducati di cui è composto il capitale, 804,88 sono crediti concessi da Nicola in varie località della Terra d’Otranto e di Terra di Bari36 nell’ambito di una società tra loro costituita nell’anno precedente, per mano del notaio Antonio Castellano. Le parti si accordano affinché i profitti vengano uniti a quelli realizzati da Gennaro Tortorella, finanziato dal Milano con un capitale di 10.315 ducati di cui 1.087, 25 in crediti da lui concessi nell’ambito di un’altra società stipulata pure questa l’anno precedente, sempre per mano del notaio Castellano. Questa volta però le merci risultano essere state vendute tra la Capitanata, il Molise e l’Abruzzo, la qual cosa lascerebbe intendere che Milano, nel finanziare le due società abbia avuto un’unica strategia di vendita. Egli da un lato, facendo percorrere ai soci direttrici diverse, punta a non creare concorrenza tra loro e dall’altro tenta di raggiungere, nello stesso arco temporale, più luoghi del Regno. Un altro particolare interessante riguarda poi la dislocazione di questi centri che, pur con qualche eccezione, sono situati lungo due delle principali direttrici del Regno, la strada delle Puglie e la strada degli Abruzzi e ciò dimostrerebbe lo stretto legame esistente tra sviluppo della rete viaria e stato dei commerci. Le società sono rinnovate, nelle medesime forme, nel 1746 e nel 1747 mentre nel 1748 si stabilisce che i profitti dovranno essere prima uniti a quelli spettanti a Milano dalla società Miliano-Lisiano-Pino e poi divisi tra lui, Ursi e Tortorella. l’attività: al primo dei tre, Carl’Antonio, è affidata la conduzione della bottega paterna, ma è insieme al secondo che Nicola realizza i primi “negozi”. ANN, notaio Quirizio Ioele, registro 1770, atto 47. 35 Vedi tabella 2, società stipulata in data 8. 10. 1745. 36 Risultano documentate vendite a Barletta, Bitonto, Altamura, Medugno, Minervino, Venosa, Andria, Corato, Terlizzi. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli 505 Se nel 1749 e nel 1750 i tre negozianti si rivolgono, per il rinnovo delle società, al notaio Giovan Battista D’Aveta37, nel 1751 ritornano da Ioele per la firma di una conventio38 in base alla quale Domenico Milano si obbliga a rinnovare per sei anni continui la società con Ursi e Tortorella, restando proibito a questi ultimi di associarsi con altri negozianti orefici o vendere lavori di altri. Nel 1756, alla morte di Gennaro Tortorella prende il suo posto Giovan Battista Milano, figlio di Domenico, che 14 anni più tardi suggella il sodalizio professionale sposando Gaetana Ursi, figlia di Nicola. Di grande interesse è anche il contratto prematrimoniale rogato in occasione di tale matrimonio. Ben 2000 ducati, dei 2500 che compongono la dote, sono rigirati da Giovan Battista a Nicola affinché li investa, per i successivi tre anni, nelle sue attività di orefice pagando semestralmente ai coniugi un interesse del 5%39. Nell’agosto del 177240, del 1773, del 1774, suocero e genero si legano in nuove societas, fino a quando il 9 settembre 1775 fondano la “Ragion cantante Nicola Ursi e Giovan Battista Milano”, una tipica societas omnium bonorum per la gestione della bottega napoletana e di quelle ambulanti41. Nella nuova società, Ursi investe le intere sue sostanze, circa 64.000 ducati mentre Giovan Battista vi pone un credito di 808 ducati che vanta nei confronti di Nicola, i 2.000 ducati portati in dote da sua moglie Gaetana, nonché il proprio impegno nel condurre personalmente le attività commerciali a Napoli e in provincia. Dal documento si evince anche che la famiglia gode di una condizione agiata: i due nuclei convivono in un appartamento al quarto piano di un palazzo di proprietà dell’Ursi sito 37 È questa la ragione per cui non sono presenti nella tabella 2. ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1751, atto 40. 39 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1770, atto 33. 40 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1773, atto 39. 41 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1775, atto 41. 38 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 506 Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli nel Largo degli Orefici, hanno a disposizione un cavallo, un calesse, diversi servitori, facchini, donne di servizio, una nutrice. La società dura ben più a lungo dei due anni stabiliti ed è ancora operativa nel 1779, quando, poco prima di morire, Nicola Ursi fa testamento42 nominando la figlia come sua erede universale. Oltre agli investimenti paterni, Gaetana entra in possesso di un intero edificio situato nel Largo degli orefici e composto da 4 appartamenti grandi, 5 botteghe per uso di orefice e di un palazzo con giardino e cappella sita a Resina. La scomparsa di Nicola non muta le strategie commerciali della famiglia anzi l’attività resta florida e Gaetana partecipa attivamente ai negozi, facendo le veci del marito in sua assenza da Napoli43. Tra il 1786 ed il 1787 Giovan Battista Milano ricopre il ruolo di governatore e tesoriere del Conservatorio di Santa Maria della Purità e dei Monti gestiti all’Arte degli Orefici44. Conclusioni Dal XVI secolo il nuovo ruolo assunto da Napoli crea un indotto tale da fare da volano allo sviluppo delle botteghe cittadine che raggiungono una affermazione professionale e artistica che consente loro di monopolizzare il commercio regnicolo. La Napoli corpo privilegiato, mercato internazionale, centro politico amministrativo, “testa che esangua il corpo”, con il suo straordinario potere di attrazione chiama a sé uomini ma anche idee e competenze, privando la provincia di risorse economiche ma anche artistiche e di un notevole spirito di intraprendenza. Sono le stesse condizioni per cui Napoli fagocita e schiaccia il resto del 42 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1779, atto 90. ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1780, atti 25 e 26. 44 ASNa, Pandetta Prima Istanza, F. 6, f. 3. 43 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli 507 Regno a mettere il ceto nelle condizioni ideali per realizzare l’indiscusso primato. Tra Sei e Settecento le botteghe di provincia non solo non riescono a esprimere propri stilemi ma non sono né strutturalmente, né artisticamente attrezzate per competere o solo operare parallelamente con quelle della capitale. L’abilità dei maestri si giova, per le commesse più prestigiose, della collaborazione di artisti del calibro del Vaccaro, del Sammartino, del Solimena che non disdegnano di realizzare modelli e seguire personalmente la realizzazione delle opere. L’abilità dei maestri si giova, per le commesse più prestigiose, della collaborazione di artisti del calibro del Vaccaro, del Sammartino, del Solimena che non disdegnano di realizzare modelli e seguire personalmente la realizzazione delle opere45. A Napoli ogni officina è un cosmo sinergico di conoscenze, competenze ed è questo che manca in provincia e che segna inevitabilmente la fine “artistica” di quelle esperienze. A ciò si aggiunga una legislazione in materia che, sin dall’epoca vicereale, al fine di controllare la circolazione dei metalli preziosi, limita fortemente la lavorazione fuori dalla capitale. Ciò detto, se lontano da Napoli non troviamo maestri in grado di operare con la stessa perizia dei Guariniello e dei Manzone, non tutte le officine della capitale raggiungono livelli di eccellenza. Un folto gruppo opera allo stesso livello di quelle provinciali, come rivenditori di botteghe più ampie e fornite, o per la fattura di piccoli lavori per i quali è necessario un quantitativo non cospicuo di metallo fino, a volte fornito dallo stesso committente che richiede la fusione di oggetti o ornamenti non più al passo con la moda del tempo. 45 Sulla collaborazione tra il Solimena e alcune affermate botteghe napoletane si veda E. CATELLO, Francesco Solimena disegni e invenzioni per argentieri, in «Napoli Nobilissima», 24 (1985), 3-4. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 508 Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli È poi necessario sottolineare come le botteghe di provincia, condotte da orafi del luogo, pur essendo la titolarità ascrivibile all’orafo napoletano, configurano un rapporto di “filiazione” che va a frantumare gli obblighi di residenza nella “piazza”. Crolla l’immagine della bottega abitata da lavoratori rigidamente inquadrati nei tre gradi di maestro-lavorante-garzone, etichette queste che mal si adattano ai molteplici ruoli e mansioni dei lavoratori che popolano l’atelier. Una realtà quindi che non è contemplata nello statuto dell’Arte, ma che esiste e che attesta anche per la Nobile Arte degli Orefici di Napoli quella flessibilità, quella capacità di adattamento, che gli storici hanno oramai riconosciuto al mondo corporativo.46 Ben più ampio dei confini segnati dalle mura cittadine, il mercato di riferimento degli orefici napoletani è, quindi, per dimensioni spaziali e per tipologie di consumatori, ampio e segmentato. Se da un lato, la gamma dei prodotti messi in vendita fa pensare a un’uniformità di gusto, dall’altra la notevole diffusione di preziosi di oro e argento di qualità inferiore a quella stabilita delle leggi del Regno, ci induce a credere che la vera discriminante di acquisto, tra una clientela facoltosa e una di scarse potenzialità economiche, sia nella quantità di metallo fino contenuto nell’oggetto acquistato e nell’accuratezza della manifattura. E’ stato accertato che i preziosi in circolazione nel Regno di Napoli nella seconda metà del secolo XVIII rispondano a più livelli qualitativi. Mentre nel caso di clienti facoltosi, che si rivolgono a botteghe affermate, sono essi stessi a chiedere il rispetto delle norme di produzione, negli altri casi le botteghe sono costrette ad adattare la loro offerta a una domanda che, pur di contenere la spesa, si accontenta di una manifattura grossolana 46 F. TRIVELLATO, Fondamenta dei vetrai. Lavoro, tecnologia e mercati a Venezia tra Sei e Settecento, Roma, Donzelli, 2000, pp. 1-16. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli 509 o di una qualità più bassa. Ciò dimostra che, nonostante la specialità della merce oggetto della trattazione, le dinamiche di vendita e consumo non sono dissimili da quelle di molte altre manifatture di età moderna. Tab. 1: Sintesi riepilogativa catasti Carlo di Borbone47 Provincia Università Addetti Abruzzo cit. Chieti 23 Abruzzo cit. Ortona 4 Abruzzo cit. Vasto 4 Abruzzo cit. Pescara 2 Abruzzo cit. Castiglione M.M. 1 Abruzzo cit. Lanciano 3 Abruzzo cit. Pescocostanzo 11 Abruzzo cit. Sulmona 9 Abruzzo cit. Teramo 7 Totale provinciale 65 Abruzzo Ult. Penne 2 Abruzzo Ult. L’Aquila 5 Totale provinciale Molise Molise Totale provinciale Capitanata Capitanata Capitanata Totale provinciale Basilicata Basilicata Basilicata Basilicata Basilicata Basilicata Totale provinciale 47 Campobasso Agnone S.Marco Lamis Troia Foggia Matera Rivello Potenza Genzano S. Chirico Raparo Senise 8 3 11 14 1 1 2 4 2 9 3 1 1 1 17 Anno 1754 1751 1747 1754 1752 1749 1748 1754 1756 1754 1747 1753 1753 1745 1741 1754 1753 1753 1748 1749 1753 Rielaborazione da ASN, Regia Camera della Sommaria, Catasti Onciari. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 510 Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli Terra di Bari Terra di Bari Terra di Bari Totale provinciale Terra Otr. Terra Otr. Terra Otr. Terra Otr. Totale provinciale Principato cit Principato cit Principato cit Principato cit Principato cit Totale provinciale Terra Lavoro Terra Lavoro Totale provinciale Calabria cit. Calabria cit. Totale provinciale Calabria ult. Calabria ult. Calabria ult. Calabria ult. Totale provinciale Totale complessivo Trani Bari Barletta Lecce Brindisi Taranto Otranto Salerno Padula Agerola Sanseverino Cava Piano Sorrento Vico Equense Cosenza Rossano Catanzaro Monteleone Reggio Oppido mam. 1 19 5 25 57 6 3 3 69 11 1 1 3 1 15 3 1 4 11 1 12 2 50 1 4 56 281 Tab. 2: Società per la vendita in provincia48 Data FiParti DuMerci nanrata ziatore 1753 1753 1754 1754 1754 1755 1744 1755 1749 1752 1755 1755 1754 1756 1743 1749 1746 1742 1755 Crediti 48 Tot. Cap. Rielaborazione dai registri di Quirizio Ioele. ASN, notaio Quirizio Ioele, aa. 1745-1756. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli 8-10-1745 15-101745 8-10-1746 19-101746 27-7-1747 22-8-1747 7-10-1747 7-11-1747 22-8-1748 d. milano d. milano d. milano d. milano g. scarpato d. milano nicola ursi g. tortorella n. ursi d. milano d. milano d. milano g.tortorella nicola ursi n. lisiano ignazio pino g. tortorella n. ursi a. sellari 23.8.1749 d. milano 1.10.1749 d. milano 19.4.1750 ignazio pino 20.10.175 3 d. anzalone g. tortorella m. sorica n. lesiano n.ursi g.tortorella m.buo nomo g. buonomo t. ascolese 511 1 anno 1 anno 1 anno 1 anno 1 anno 9332.40 804,88 9228.61 10570.06 1.087,2 5 753,09 8700.35 680,01 10.137,2 8 10.315,8 6 11.323,1 5 93.80,36 2.700,00 - 2.700,00 1 mes e 1 anno 1 anno non stabilita 6890.00 81,16 6.971,45 9203.07 507,41 9.710,48 9.772,47 162,62 5.892,54 - 10.137,2 8 5.892,54 1 mes e 1 anno 8.383,51 - 8.353,51 15.138,5 3 1.701,6 2 1.6840,1 5 1 anno - - 14.123,7 5 1 anno 11.705,3 2 1.001,5 8 11.705,3 2 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 512 17-3-1754 Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli g. ascolese a. starace s. starace 18-9-1754 a. starace s. starace 21-101754 d.azal one g. ascolese D. milano d. anzalone g. ascolese d. milano g. milano 11-4-1755 29-101755 1756 n. ascolese s. desiderio g. scarpati s. desiderio g. scarpati t. ascolese n. ascolese n. ursi g. tortorella t. ascolese n. ascolese nicola ursi g.b.mil ano 5 mesi 11.145,6 7 - 11.145,6 7 10 mesi 12.647,3 8 89,21 12.736,5 9 1 anno 11.835,6 3 847,25 10.988,3 8 1 anno 24.780,0 6 - 24.780,0 6 1 anno 10.425,2 7 - 10.425,2 7 1 anno 16.633,1 5 2843,58 19.476,7 3 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli 513 Fonti Archivio di Stato di Napoli Catasti onciari, Monteleone, voll. 6622 a 6626 Pandetta Corrente, F. 1008, f. 13 Pandetta Nuova II, F. 1008, f. 14, fol. 57 V Pandetta Prima Istanza, F. 6, f. 3 Sacro Regio Consiglio, Ordinamento Zeni, F. 134, anno 1787 Archivio notarile di Napoli Notaio Quirizio Ioele, Registro anno 1751, atto 40 Registro anno 1770, atto 33, 47 Registro anno 1773, atto 39, 56 Registro anno 1774, atto 12 Registro anno 1775, atti 37, 41 e 63 Registro anno 1776, atto 20, 37 Registro anno 1777, atto 26 Registro anno 1778, atto 29 Registro anno 1779, atto 90 Registro anno 1780, atti 25 e 26 Registro anno 1781, atto 25 Registro anno 1783, atto 22 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 514 Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli Bibliografia AGO R., Costumi e ricchezze in età moderna, in A. ARRU, M. STELLA (eds.) I consumi. Una questione di genere, Roma, Carocci, 2003 BIANCHINI L., Storia delle finanze nel Regno di Napoli, edizione a cura di L. De Rosa, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1971 BLONDE B., BRIOT E., COQUERY N., VAN AERT L. (eds.), Retailers and consumer changes in Early Modern Europe. England, France, Italy and low countries, Tours, Presses Universitaires François Rabelais, 2005 CATELLO E., Francesco Solimena disegni e invenzioni per argentieri, in «Napoli Nobilissima», 24 (1985) CIRILLO G., Protoindustrie mediterranee: città, verlagsystem nel Regno di Napoli nell'età moderna, Volume IV, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, 2012 CLEMENTE A., Il lusso “cattivo”. Dinamiche del consumo nella Napoli del Settecento, Roma, Carocci, 2011 CLEMENTE A., Note sulla legislazione suntuaria napoletana in età moderna, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», (1) 2011 COQUERY N., Tenir boutique a Paris au XVIIIe siècle. Luxe et demi-luxe, Paris, CTHS, 2011 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli 515 DI SCIASCIO S., Maestri argentieri napoletani nella diocesi di Bari (secc. XVII-XVIII) in «Napoli Nobilissima» vol. XXXI, fasc. I-II, (1992) DOUGLAS M., ISHERWOOD B., Il mondo delle cose. Oggetti, valore, consumo, Bologna, Il Mulino, 1984 MAFRICI M. (ed.), Il Mezzogiorno settecentesco attraverso i catasti onciari, Salerno, Edizioni Scientifiche Italiane, 1986 MASSAFRA A. (ed.), Produzione, mercato e classi sociali nella Capitanata moderna e contemporanea, Foggia, Amministrazione centrale, 1984 MATTIOCCO E., Gli antichi marchi dell’oreficeria abruzzese, in «Quaderni di Archeologia, storia e arte», 1 (1997) MAVELLI R., Oro, argento et pannamenti di lino, lana e setacorredi dotali delle spose montanare, in A.M. TRIPPUTI, R. MAVELLI (eds.), Ori del Gargano, Foggia, Grenzi, 2005 PACE V., Per la storia dell’oreficeria abruzzese, in «Bollettino d’Arte», 2 (1972) PAONE M., I lunghi secoli dell’argento, in A. CASSIANO (a cura di), Il barocco a Lecce e nel Salento, Lecce, Galatina, 1995 PAPAGNA E., La Corte di Carlo di Borbone il re “proprio e nazionale”, Napoli, Guida, 2011 POMIAN K., Collezione, in AAVV, Enciclopedia Einaudi, vol. I, Einaudi 1978 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 516 Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli TRIVELLATO F., Fondamenta dei vetrai. Lavoro, tecnologia e mercati a Venezia tra Sei e Settecento, Roma, Donzelli, 2000 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 517 Le ticket d’autobus à Paris : la marginalisation inaboutie d'un objet pratique et gênant di Arnaud PASSALACQUA Université Paris Diderot DOI 10.26337/2532-7623/PASSALACQUA Riassunto : L’articolo propone una storia di questo oggetto banale che è il biglietto dell'autobus parigino. Oggetto di minore attenzione economica rispetto al biglietto della metropolitana, con cui si fonde nel 1967, questo piccolo rettangolo di cartone è al centro di diverse tensioni. La sua apparente semplicità oggi non dovrebbe farci dimenticare che era il supporto di una griglia tariffaria complessa, specifica per una rete di superficie immersa nella città. Ha anche ricoperto il ruolo di un sesamo tra un folto spazio pubblico e uno spazio a bordo conosciuto sotto il controllo della compagnia. Di conseguenza, è al centro della lotta contro la frode, prima quella degli agenti e poi dei viaggiatori. Ma il biglietto è anche un oggetto simbolico, primo supporto delle relazioni tra l'operatore e le autorità pubbliche prima di essere più ampiamente una delle icone di Parigi, probabilmente per la sua alta malleabilità che gli permette di essere l'oggetto di molteplici usi oltre il suo utilizzo nel trasporto. Abstract : This article proposes a history of this banal object that is the Parisian bus ticket. Less invested than the metro ticket, with which it merged in 1967, this small rectangle cardboard is at the heart of different tensions. Its apparent simplicity today should not make us forget that it was the support of a complex tariff grid, specific to a surface network immersed in the city. He also held the role of a sesame between a bushy public space and a space on board known under the control of the company. As a result, it is at the center of the fight against fraud, first that of agents before it is more towards travelers. But the ticket is also a symbolic object, first support of relations between the operator and the public authorities before being more widely one of the Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 518 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris icons of Paris, probably because of its high malleability that offers it to be the object of multiple uses beyond its use in transport. Keywords : Urban transport, Paris, Ticket Sommario : Introduction – L'omnibus hippomobile et ses tickets... de correspondance – Le ticket, conséquence politique de la motorisation – Le ticket en carnet et le déplacement de la fraude – De la Deuxième Guerre mondiale aux Trente Glorieuses : la fusion des réseaux mais pas des tickets – Le ticket d'autobus devenu ticket de métro – Conclusion – Sources – Bibliographie Versione definitiva ricevuta in data 3 ottobre 2017 Introduction En France, le prix du ticket de métro parisien fait office de révélateur de ce que serait le pouvoir d'achat des citadins, au même titre que cette autre icône de la proximité qu'est la baguette. Pourtant, depuis les années 1970, le quotidien de nombre d'habitants de la région parisienne est plutôt rythmé par leur recours à un abonnement, si bien que le ticket est devenu l'apanage des touristes et de ceux qui n'empruntent qu'occasionnellement le réseau. Si le débat politique s'est bel et bien déplacé du prix du ticket vers celui des abonnements1, la question rituelle posée en période électorale reste attachée au ticket lui-même2. L'hypocrisie évidente d'une question posée par des journalistes adeptes du deux-roues motorisé à des politiques habitués aux voitures de 1 Comme en témoignent les débats récents autour de l'adoption d'un tarif unique pour le passe Navigo. 2 L'une des dernières occurrences de cette question récurrente a impliqué Nathalie Kosciusko-Morizet, pourtant ancienne ministre en charge des transports, qui a estimé le coût d'un ticket de métro parisien à plus du double de son tarif réel, lors de la campagne présidentielle de 2012 (« NKM voit le ticket de métro à “4 euros” », Lemonde.fr, 24 février 2012, en ligne). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 519 fonction, vient paradoxalement souligner l'ancrage du ticket dans les mentalités. Ce que le succès récent d'un ouvrage grand public vient d'ailleurs confirmer3. Il est pourtant rarement mentionné que, depuis 1967, le ticket de métro est en fait un objet multimodal, c'est-à-dire également un ticket d'autobus, de RER intra-muros et de tramway. La domination symbolique du métro sur l'autobus, ancrée dans les mentalités parisiennes depuis la Deuxième Guerre mondiale, ne doit pourtant pas masquer l'intérêt historique du ticket d'autobus face au ticket de métro. Alors que le métro a fait initialement le choix décisif d'un tarif uniforme pour tout trajet, le monde de la surface présente une complexité tarifaire, qui reflète un caractère général souvent plus artisanal qu'industriel. Plongé dans un espace public partagé, l'autobus est un système technique profondément ouvert, marqué par une dimension sociale que le métro laisse bien souvent oublier du fait de la maîtrise de ses espaces souterrains. Dans ce système de mobilité, le passage de l'espace de la rue à celui du véhicule est donc un enjeu tout particulier. C'est l'une des missions du ticket que d'assurer ce rôle de sésame. Le ticket est le support de plusieurs usages, au cours du voyage – contrôle des agents par la compagnie, contrôle des voyageurs par les agents, contrat liant les voyageurs à la compagnie – comme après dans ce qui peut être qualifié de deuxième vie d'un ticket devenu marque-page ou pense-bête, entré dans une collection4 ou réutilisé pour un usage frauduleux. Porteur 3 G. THONNAT, Petite histoire du ticket de métro parisien, Paris, Éditions Télémaque, 2010. 4 Cette collection semble moins répandue en France qu'au Royaume-Uni, où existe une très active Transport Ticket Society. L'appellation ésitériophilie, que l'on trouve pour désigner cette collection, n'est pas attestée par des dictionnaires établis. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 520 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris d'un tarif, le ticket révèle les représentations sociales d'un système de transport qui offre par exemple des réductions aux frères franciscains avant 1914, aux mutilés de la Grande Guerre ou aux occupants allemands de la Seconde Guerre mondiale. Il est aussi un moyen d'exercer une pression morale sur les fraudeurs, de la part de la compagnie comme de certains voyageurs en règle. L'enjeu du ticket tient également à sa valeur marchande. À l'image d'un timbre, le ticket, objet couramment employé par les Parisiens avant l'arrivée d'abonnements efficaces au milieu des années 1970, présente une valeur transactionnelle, du fait de l'utilité banale qu'il revêt. Tel un billet de banque, il doit se protéger contre toute forme de contrefaçon. Cet objet au format relativement stable mais aux couleurs multiples, bien que le jaune l'emporte dans la mémoire, est aussi un support de représentations. Lieu de souveraineté disputé entre l'exploitant et l'autorité publique finançant le service, il est un objet de tension entre modes dès lors qu'il sert à plusieurs d'entre eux. Il est aussi devenu une icône de Paris, probablement plus comme ticket de métro que d'autobus. Enfin, le dernier enjeu autour de ce petit rectangle cartonné est qu'il est devenu un obstacle au déplacement lui-même. Pratique pour le voyageur, il est gênant pour l'exploitant. La vente à bord est en effet perçue comme pénalisant la progression de l'autobus, tandis que la multiplication des tarifs et modalités d'utilisation complexifie un système qui souffre déjà d'une image confuse face à la réputation de clarté du métro. Cette problématique, spécifique à l'autobus, le rend particulièrement intéressant : l'exploitant souhaite en vendre le moins possible et travaille à sa disparition, tout en étant contraint d'en faire la publicité, puisque c'est une source de recettes. À partir de ces éléments problématiques, l'hypothèse de cet article est de montrer l'ancrage du ticket comme objet social Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 521 au-delà de son caractère technique, pour éclairer sa résistance, malgré la dynamique d'uniformisation et le danger de disparition qui le guette depuis plusieurs décennies sans avoir réussi à le faire disparaître5. Après une approche généalogique permettant de comprendre le fonctionnement d'un réseau sans ticket avant 1910, la mise en place d'un système de tickets sera étudiée (1910-1925), puis celle des carnets, marquée par la contestation et la traque de la fraude (1925-1945). Enfin, la fusion avec le ticket de métro (1945-1967) ouvre un nouvelle ère pour un objet qui semble devenu obsolète depuis lors. L'omnibus hippomobile et ses tickets... de correspondance Aujourd'hui encore, l'utilisation de tickets à bord des transports en commun n'est pas généralisée : plusieurs grands réseaux d'Amérique du Nord, comme à Toronto, fondent leurs recettes sur la vente de jetons que le voyageur doit insérer dans un appareil pour pouvoir accéder au service de transport, qu'il s'agisse d'un autobus, d'un tramway ou d'un métro. En Europe, le ticket est bien plus courant, même si certains métros même récents emploient le système du jeton, tel celui de Kiev. Le ticket est donc bien un dispositif dissociable du service de transport, ce que confirme son histoire à Paris. L'objectif d'un exploitant n'est pas de vendre des tickets mais d'enregistrer une recette, ce qui peut se faire selon différentes modalités. Inventé à la fin des années 1820, ce premier système de transport de la ville industrielle qu'est l'omnibus hippomobile s'implanta rapidement en Europe. De multiples compa5 Cet article s'appuie sur des recherches doctorales, en partie publiées dans A. PASSALACQUA, L'Autobus et Paris. Histoire de mobilités, Paris, Economica, 2011 (Archives nationales : AN ; Archives de Paris : AP ; Archives de la RATP : ARATP). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 522 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris gnies se lancèrent alors sur ce marché prometteur, avant qu'à Paris un monopole soit accordé en 1855 à la CGO6. À bord des omnibus, deux agents : le cocher n'avait aucun contact avec le public, tandis que le conducteur s'occupait des voyageurs et procédait notamment à l'enregistrement de la recette. Pour cela, il disposait d'un cadran installé à l'arrière du véhicule, qu'il devait incrémenter à chaque fois qu'un voyageur payait son accès à bord, ce qui faisait retentir une sonnette, d'où l'expression sonner un voyageur. La recette du conducteur et l'indication portée par le cadran, vérifiée et remise à zéro par un contrôleur au terminus, devaient ainsi correspondre7. Le cadran, visible et audible par tous, devait normalement contribuer à réduire la fraude des conducteurs, qui pouvaient toutefois ne pas faire sonner leur cadran face à un voyageur peu expérimenté ou de connivence. Pour accélérer les échanges de monnaie à bord, qui retardaient la marche des véhicules, la CGO avait introduit dès 1871 la vente de tickets à l'extérieur, dans ses propres bureaux ou dans des bureaux de tabac8. Vendus à l'unité, ils ne présentaient néanmoins aucun avantage pécuniaire pour les voyageurs, si bien qu'ils restèrent marginaux. À Londres, le constat est similaire : La LGOC9 vendit des tickets pré-payés dès les années 1850, mais ils furent fort peu utilisés10. 6 Compagnie générale des omnibus. Dès l'épisode des carrosses à cinq sols au XVIIe siècle, un employé marchant à côté du carrosse était chargé du contrôle de la recette, alors perçue directement par le cocher (voir N. PAPAYANIS, Horse-Drawn Cabs and Omnibuses in Paris. The Idea of Circulation and the Business of Public Transit, Baton Rouge, Londres, Louisiana State University Press, 1996, p. 20). 8 Voir L. LAGARRIGUE, Cent ans de transports en commun dans la région parisienne, Paris, RATP, 1956, vol. 1, p. 61. 9 London General Omnibus Company. 10 Voir O. GREEN, S. TAYLOR, The Moving Metropolis, A History of London's Transport since 1800, Londres, Laurence King Publishing, 2002, p. 85. 7 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 523 Ainsi, s'il était question de tickets à bord des omnibus, c'était à propos des tickets de correspondance. Passer d'une ligne à une autre était effectivement extrêmement courant sur un réseau très enchevêtré. Aux lieux de connexion, des bureaux permettaient aux voyageurs d'attendre leur correspondance. Un voyageur désirant effectuer un trajet avec correspondance devait donc la demander au conducteur, sans supplément tarifaire. Celui-ci lui remettait un ticket de correspondance tiré de sa planche à billets et validé à l'aide d'un timbre sec. Le voyageur devait alors prendre sa correspondance tout en se montrant patient au vu de la succession courante de véhicules passant complets devant les bureaux. Toutefois, afin d'éviter aux conducteurs de déchiffrer les indications portées par les tickets et donc pour faciliter la montée à bord, ils suivaient un code de couleurs en fonction de l'heure de la journée. D'un simple coup d’œil, le conducteur pouvait ainsi repérer si la correspondance était immédiate ou tentait de se faire après une pause de plusieurs heures, ce qui fut interdit à partir de 1894. Ce système pouvait paraître complexe et sa maîtrise faisait d'ailleurs partie des compétences à acquérir par les voyageurs11. Néanmoins, il présentait une réelle efficacité par rapport à d'autres solutions. Toronto, par exemple, expérimenta un système sans ticket dans lequel la correspondance se faisait sur simple déclaration du voyageur, ce qui dut rapidement être abandonné du fait de fraudes12. 11 C'est l'une des quelques recommandations importantes formulées dans les guides à l'attention des visiteurs de l'Exposition de 1900 (voir, par exemple, A. DA CUNHA, M. DE NANSOUTY, L. GUILLET, H. JARZUEL, H. LAPAUZE, G. VITOUX, Le Guide de l'Exposition de 1900, Paris, Flammarion, 1900, p. 22). 12 Voir R.B. FLEMING, The Trolley Takes Command, 1892 to 1894 , «Urban History Review/Revue d'histoire urbaine», vol. 19, 3 (février 1991), p. 220221. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 524 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris Du point de vue sémantique, le terme ticket était couramment employé à la Belle Époque. Son adaptation depuis l'anglais fut confortée par son usage dans les chemins de fer comme pour les Expositions universelles, tous deux d'origine britannique, même si le Littré rappelle qu'il s'agit étymologiquement d'un dérivé du français étiquette. Il rejoignit néanmoins le terme billet, anciennement ancré dans la langue française, notamment pour désigner le titre de transport à bord des trains. Dans le monde des transports urbains, ticket devint peu à peu prépondérant, devant billet, voire bulletin pour désigner les bulletins de correspondance, mentionnés par le Littré. Le ticket, conséquence politique de la motorisation L'introduction de titres de transport sous la forme de tickets fut une conséquence de la révolution qui toucha la mobilité parisienne entre 1900 et 191413. Ouverture du métro, motorisation des tramways et arrivée de l'automobile imposèrent à la CGO de remplacer ses omnibus hippomobiles plus que vieillissants par de nouveaux omnibus automobiles, vite appelés autobus. Elle attendit le renouvellement de sa concession, dont l'échéance arrivait en 1910, pour motoriser rapidement l'ensemble de son parc. Ce renouvellement fut précédé d'une discussion qui remit à plat les modalités de fonctionnement du service. Le Conseil municipal profita de la situation pour reprendre la main face à la CGO. Au vu des réductions de coût permises par la motorisation et de la hausse de fréquentation constatée, les élus réformèrent la grille tarifaire : la correspondance, trop compliquée et sujette 13 Voir A. PASSALACQUA, Innovation, concurrence et émulation dans la mobilité parisienne, de l'omnibus à l'autobus (1900-1914), «Ricerche storiche», vol. 37, 2 (mai-août 2007), p. 285-316. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 525 à des fraudes, fut supprimée au profit d'un fonctionnement par section, qui permit de mettre en place une relative proportionnalité entre le trajet effectué et le prix payé14. Ces tarifs, en baisse, avantageaient notamment les petits parcours, justement ceux sur lesquels l'autobus était pertinent face à la nouvelle offre du métro. Cette politique de l'offre, qui fut vite couronnée de succès, supposait donc une révision de la perception : elle imposa l'introduction de tickets correspondant au nombre de sections à parcourir ainsi qu'aux différents cas particuliers inscrits dans la grille tarifaire (1re ou 2e classe, services ouvriers, services de nuit, etc.). Le développement des services spéciaux, engagé avant 1914 et accentué au cours des années 1920, conduisit également à la multiplication de tickets spéciaux, comme ceux pour les autobus menant aux champs de courses, ornés d'une tête de cheval. L'idée de ticket était connue, puisque les tramways, exploités par différentes compagnies dont la CGO, en faisaient usage depuis 1873. De couleur, ils portaient de nombreuses indications écrites ou dessinées qui avaient tendance à en rendre la lecture complexe. Il est possible que la proximité du monde du tramway avec le monde du chemin de fer ait facilité l'importation de cet objet. À Londres, les premiers systèmes de tickets furent aussi introduits dans les tramways15. La LSTC16 fut la première à les utiliser à partir de 1875, dans le but de contrôler la recette, mais aussi de générer des revenus grâce aux publicités inscrites sur les tickets, dont le caractère attractif visait également à inciter les voyageurs à conserver leur ticket afin d'éviter toute réutilisation. 14 Pour le détail de ces tarifs, voir LAGARRIGUE, Cent ans de transports en commun, vol. 1, p. 111-114. 15 Voir GREEN, TAYLOR, The Moving Metropolis, p. 78-87. 16 London Street Tramways Company. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 526 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris Reste que l'introduction de tickets sur un réseau existant pouvait être problématique du fait que cet objet pouvait révéler des petits arrangements. Ce qu'illustre le cas de Londres17 : lorsque la LGOC décida de mettre en place un système de tickets sur ses omnibus en 1891, elle se heurta à une grève dure. Les conducteurs n'inscrivaient pas systématiquement chaque passager et conservaient ainsi une partie de la recette, partagée avec les cochers et palefreniers, malgré le contrôle par des mouches. Les tickets, au contraire, supposaient l'utilisation d'une pince qui conservait les résidus colorés de la perforation, ce qui permettait de vérifier les comptes18. À Paris, la généralisation de l'usage du ticket ne posa pas de problème aussi notable. Peut-être du fait que la remise à plat du système alla bien au-delà de la réforme de la perception en prévoyant notamment un nouveau statut protégé pour le personnel, dans un contexte de recettes croissantes. Matériellement, les receveurs furent dotés d'une planche portant des carnets à souches, desquels ils pouvaient découper 2000 tickets, tous numérotés afin de permettre des contrôles, aussi bien du voyageur que du receveur19. La couleur variait selon les tarifs. Initialement, les tickets portaient même l'indice de chaque ligne. Il s'agit donc bien d'un arsenal complexe déployé en réaction à la situation floue qu'avait permise le système antérieur de la correspondance. Ces nouveaux supports attirèrent rapidement les publicitaires qui purent y inscrire leurs réclames dès avant 1914, comme celle 17 Voir T.C. BARKER, M. ROBBINS, A History of London Transport, Passenger Travel and the Development of the Metropolis, The Nineteenth Century, Londres, George Allen & Unwin Ltd, 1963, p. 254-255 et 285-288. 18 Voir GREEN, TAYLOR, The Moving Metropolis, p. 87. 19 Pour des exemples, voir Le Patrimoine de la RATP, Charenton-le-Pont, Flohic, 1996, p. 74-75. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 527 pour des terrains à acheter dans la station balnéaire de Franceville-Plage20. Le format des tickets se conforma à un standard ferroviaire : le format Edmondson21. Ancien ébéniste employé de la compagnie Manchester and Leeds Railway dans les années 1830-1840, Thomas Edmondson avait mit au point un système de tickets imprimés sur des petits cartons (1 3/16 pouces x 2 1/4 pouces, soit 30 mm x 57 mm) portant un numéro de série et une date d'impression et dont la couleur indiquait le tarif. Ce qui permit une fluidification du stockage et de la vente des tickets, jusqu'alors écrits à la main. La CGO reprit ce format que la CMP22, son concurrent, avait adopté depuis 1900 pour le métro. En revanche, les discussions n'entérinèrent pas l'idée de carnets de tickets, ce que le métro vendait depuis son ouverture, sans réduction de prix, mais afin d'éviter aux voyageurs de faire la queue. L'idée de cartes d'abonnement fut également repoussée, par peur de trop faibles recettes. Malgré ces limites, ce fut donc un réseau modernisé, offrant des tarifs abordables et à la fréquentation en forte progression qui entra dans la guerre en 1914. Les autobus se trouvèrent immédiatement mobilisés et Paris privé de tout service pendant près de deux ans. Lorsque les lignes rouvrirent progressivement, la perception elle-même suscita de nouveaux enjeux : le manque de disponibilité de la monnaie métallique, appelé crise du billon, rendit sensible tout échange monétaire, comme l'achat de tickets. L'accroissement de la tension à bord, lié notamment au refus courant de voyageurs ne pouvant faire l'appoint, s'accompagna de trafics organisés par 20 Ibidem. Voir S. DE BEAUMONT, M. RICKARDS, A. TANNER, M. TWYMAN (eds.), The Encyclopedia of Ephemera. A Guide to the Fragmentary Documents of Everyday Life for the Collector, Curator, and Historian, Londres, The British Library, New York, Routledge, 2000, p. 262-263. 22 Compagnie du métropolitain de Paris. 21 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 528 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris le personnel, notamment les receveuses, qui remplacèrent les hommes pendant le conflit23. Après l'armistice, le manque de monnaie divisionnaire conduisit l'exploitant à frapper des jetons en aluminium de différentes valeurs, qu'il était possible d'acheter par dix24. Les voyageurs purent donc payer leur trajet avec des jetons de la compagnie, portant sur l'avers un dessin d'autobus. L'usage de jetons métalliques était courant dans les bateaux omnibus, ce qui put inspirer ce choix, abandonné en 1923, lors du retour à la normale de la disponibilité monétaire. La décennie 1910 vit donc l'instauration du ticket dans les autobus parisiens, non sans difficultés et limites. À l'exception de quelques privilégiés bénéficiant d'une carte de circulation signée de la main même du directeur général de la CGO, les 250 millions de voyageurs annuels empruntant le réseau à la veille de la guerre comme à sa sortie avaient intégré l'utilisation du ticket. Toutefois, cet objet était essentiellement une unité de compte, en réponse aux difficultés liées à la correspondance, et un support de contrôle des receveurs, plus qu'un objet destiné à faciliter l'accès au réseau. À partir de 1921, le tournant commercial engagé par la nouvelle compagnie exploitante, la STCRP25, renouvela son statut. Le ticket en carnet et le déplacement de la fraude Le réseau exploité par la jeune STCRP connut une forte augmentation de sa fréquentation, de 166 à 366 millions de voyageurs de 1920 à 1930, ce qui provoqua plusieurs dysfonc23 Voir P. DARMON, Vivre à Paris pendant la Grande Guerre, Paris, Fayard, 2002, réédition 2004, p. 194-195. 24 Pour des exemples, voir Le Patrimoine de la RATP, p. 213. 25 Société des transports en commun de la région parisienne. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 529 tionnements auxquels la compagnie s'efforça de faire face. Différents dispositifs furent ainsi introduits afin de réguler l'attente, la montée et les comportements à bord, qui eurent également pour effet de normaliser les pratiques d'un système artisanal qui devenait industriel. L'une des principales mesures prises fut l'introduction de carnets de tickets. Le 7 juillet 1926, le Conseil général de la Seine autorisa son exploitant à en vendre, d'abord à titre expérimental. L'objectif était de simplifier la tâche du receveur, qui devait annoncer les sections et les arrêts, devenus en partie facultatifs depuis 1910 et procéder à un encaissement complexe du fait des sections. À partir du 5 décembre 1927, la vente de carnets de 20 tickets est généralisée, dans les bureaux de la STCRP mais aussi dans différentes boutiques : il s'agit bien d'une opération d'externalisation visant à protéger l'exploitation. Dès ses débuts, la publicité s'empare de ce nouvel objet, comme celle pour Javel La Croix qui s'étale sur des pochettes également décorées de vues de paysages, de châteaux ou de personnages historiques en héliogravure. À cette occasion, les receveurs furent dotés d'un appareil oblitérateur-enregistreur, vite appelé moulinette. Elle imprimait sur le ticket plusieurs informations liées au voyage. Elle permettait de valider plusieurs tickets d'un coup, en raison du système des sections et comportait des compteurs pour la recette. Le receveur devenait ainsi un simple « agent pointeur », comme l'écrit l'organe officiel de la compagnie, L’Écho de la STCRP en 192926. Ce nouveau système se heurta à un double mouvement de résistance. D'abord celle des receveurs qui jugeaient les 2,5 kg 26 P. FITZNER, La STCRP pendant la Deuxième Guerre mondiale, maîtrise d'histoire sous la direction de Noëlle Gérôme et Antoine Prost, Université Paris I Panthéon-Sorbonne, 1993, p. 21. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 530 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris de la machine trop lourds. Cet outil de contrôle accru du travail ne fut évidemment pas bien accueilli, mais finit par devenir l'attribut attendu du receveur. Ensuite celle de certains voyageurs. La proportion de passagers n'utilisant pas les carnets de tickets atteignit 17 à 18 % sur les lignes à bord desquelles ils furent expérimentés, puis 23 à 33 % lors de leur généralisation27 : des habitués choisirent de ne pas avoir recours aux carnets. Cette réticence se fondait notamment sur l'idée que l'achat de carnets de tickets constituait « un emprunt forcé sans intérêts »28 concédé à la STCRP, une compagnie dirigée par une figure des milieux d'affaires, André Mariage. Et ce malgré l'économie d'environ 17 % qu'offraient les tickets en carnet par rapport à ceux à l'unité. Le refus par les voyageurs d'une systématisation des carnets de tickets se lit dans l'échec d'une opération lancée par la STCRP en 1931. La compagnie mit alors en circulation de nouveaux véhicules à entrée latérale et à tarifs simplifiés à bord desquels seuls les voyageurs munis de tickets étaient acceptés. Si leur exploitation s'avéra fluide, l'opération suscita un mécontentement des voyageurs, mettant en cause la rareté des lieux de vente des carnets mais aussi le concept lui-même. L'expérience fut suspendue sur les longues lignes à fort trafic et maintenue, de façon marginale, en banlieue où la clientèle était plus souvent abonnée. Ainsi, si la compagnie ne parvint pas à imposer l'usage systématique des carnets, cet objet se trouva néanmoins rapidement massivement utilisé, si bien que les réticences idéologiques semble s'être effacées assez rapidement. En réduisant ainsi les échanges à bord, la STCRP réussit également à apaiser les tensions. L'opposition récurrente entre voyageurs et agents, comme 27 Séances du conseil d'administration de la STCRP des 11 janvier, 19 septembre et 12 décembre 1928 (ARATP, 1G 8). 28 « Encore les carnets de tickets », ca. 1928 (ARATP, 1G 8). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 531 lorsqu'en octobre 1922 un receveur traita un voyageur achetant un ticket de 1re classe de « fainéant [et] sale bourgeois »29, semble ainsi s'être estompée. Cette diffusion des tickets achetés avant la montée à bord peut se lire dans les déviances dont ils firent l'objet. Ainsi, lorsque se développèrent des services illégaux de taxis collectifs, au milieu des années 1930, les agents de la STCRP furent frappés de constater que les tickets de la compagnie étaient acceptés par ces chauffeurs de taxi30. Ce qui laisse supposer que des receveurs devaient être impliqués dans des opérations de blanchiment. Comme le timbre, le ticket acheté en avance pouvait donc se trouver déconnecté du déplacement lui-même, jusqu'à atteindre le statut de monnaie d'échange, dans le monde de la mobilité. Ce nouveau fonctionnement déplaça la question de la fraude du personnel vers les voyageurs. Contrôlés par la moulinette et ayant moins d'occasion de vendre des tickets, les receveurs virent leur capacité à frauder se réduire fortement31, tandis que la fraude des voyageurs put trouver de multiples formes, décrites par les rapports internes de la STCRP et les journaux : tickets falsifiés, tickets couverts de corps gras, demande de tarifs réduit non justifiés, etc32. La STCRP dut ainsi intégrer la figure du voyageur fraudeur, plus difficile à appréhender que celle d'un agent dérogeant au règlement et s'exposant à une sanction. Alors que diverses 29 La Victoire, 7 octobre 1922. Voir A. PASSALACQUA, Les taxis collectifs aux marges de la mobilité parisienne des années 1930, «Transports urbains», 117 (juin 2010), p. 28-32. 31 Il semble néanmoins que certains procédaient à la revente à l'unité de tickets achetés en carnets. 32 Voir notamment Un voyage dans le “30” avec le contrôleur secret, «L'Intransigeant», 12 août 1926 et Les façons de ces messieurs de la S.T.C.R.P. , «Le Figaro», 9 février 1927. 30 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 532 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris institutions s'interrogeaient sur les moyens de contrôle et de falsification de documents33, la STCRP lança une politique intensive de répression de la fraude. Elle chercha d'abord à rendre ses titres de transport infalsifiables par des procédés chimiques : un stylo à réactif confié aux contrôleurs permit de révéler le caractère authentique d'une partie du ticket portant une encre spéciale34. La compagnie chercha également à repérer les faux à partir de tickets usagés récoltés à bord. Un véritable laboratoire produisait des rapports réguliers sur le matériel collecté. Toutefois, si de 1929 à 1936 la compagnie vérifia de 400 à 500 tickets par jour – soit environ un million en tout –, les cas de tickets contrefaits furent extrêmement marginaux35. La fraude avait en fait trouvé d'autres voies. Parmi celles mentionnées dans les archives et confirmées par des entretiens avec d'anciens agents, le fait de recouvrir de collodion ou de paraffine d'authentiques tickets, ce qui permettait d'effacer aisément les indications portées lors de la validation, la moulinette ne perforant pas les tickets36. Surtout, les flux massifs de fraudeurs étaient constitués de voyageurs sans tickets, profitant d'un système de perception défaillant : afin de permettre la progression rapide de l'autobus, les voyageurs montaient à bord immédiatement tandis que le receveur passaient faire la recette alors que le véhicule avançait. Dès lors un voyageur sans ticket pouvait toujours assurer qu'il attendait le passage du receveur, 33 L'administration s'intéresse à des questions similaires touchant à l'immigration (voir G. NOIRIEL, Le Creuset français. Histoire de l'immigration, XIXeXXe siècle, Paris, Le Seuil, 1988, réédition 2006, p. 95-107). 34 Voir les notes STCRP/DEC/1185 du 26 juillet 1929 et STCRP/DEC/3358 du 7 mars 1930 (ARATP, 1R 149). 35 Voir les rapports STCRP du 15 mars 1935 et RATP/R/10635 du 30 juin 1965 (ARATP, 1R 149). 36 Voir la note STCRP/DEC du 7 octobre 1935 (ARATP, 1R 149). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 533 quitte à s'être arrangé pour ne pas être repéré, au milieu de la foule. La STCRP choisit donc de se doter d'importants effectifs de contrôleurs. En 1930, 558 agents en uniforme renforçaient la présence des receveurs, tandis que 90 en civils pouvaient procéder à des contrôles au moment de la descente du voyageur, mais avant qu'il ne redevienne simple piéton37. Cette pratique particulièrement ambivalente ralentissait la marche des autobus et fut jugée dangereuse pour les voyageurs par la Préfecture de police, qui rappela régulièrement son interdiction. Néanmoins, la STCRP demanda à ses contrôleurs en civil de la maintenir dans leurs habitudes38. La compagnie finit par obtenir son autorisation en 1927, à l'arrivée de Jean Chiappe à la Préfecture de police, au moment où les carnets de tickets entraînèrent une intensification du contrôle des voyageurs. Les résultats de ces dispositifs de contrôle furent probablement discutables. La direction de la STCRP en était très satisfaite, mais les taux de fraude rapportés semblent trop faibles pour être réalistes : cette politique aurait permis de faire chuter la fraude à moins de 1 % au début de 193439. Le fait que plusieurs trucs aient été conservés par les archives écrites comme par la mémoire orale et qu'une connivence tacite ou occasionnelle ait pu s'instaurer entre les voyageurs et les receveurs, qui n'avaient aucun intérêt à forcer un voyageur récalcitrant au risque de susciter un esclandre, laisse penser que le contrôle était en réalité bien moins efficace que ne l'estimait la direction. Cette période vit également l'invention de différentes figures récurrentes : celle des voyageurs réputés les plus fraudeurs, comme les jeunes ; celle des lignes où la fraude serait la plus 37 Rapport STCRP/DEC/2382 du 14 février 1930 (ARATP, 1R 149). Lettre de la Préfecture de police à l'inspection des VFIL du 27 avril 1927 (ARATP, 1R 145). 39 Voir la note STCRP/DEC/1998 du 21 février 1934 (ARATP, 1R 149). 38 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 534 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris forte, en banlieue ; celle du fraudeur occasionnel opposé au récidiviste invétéré ; celle de la fraude délibérée face à la fraude involontaire résultant d'une mauvaise compréhension des tarifs, etc. Cette structuration d'un champ nouveau connaît de lourds ressorts moraux, explicités par la STCRP, par exemple lorsqu'elle incita les voyageurs en règle à aider le receveur dans son travail, par le biais d'affiches à bord. Si la fraude est un thème des années 1930, c'est également en raison de la crise économique, qui incita également les acteurs à trouver des voies d'économie. À l'heure de la coordination des transports40, une évolution des tickets parut être une piste possible. Un déjeuner entre André Mariage et Paul Martin, patron de la CMP, aborda cette question le 28 janvier 1936 en envisageant d'abord le principe de tickets communs pour les grands monuments41. Toutefois, les rivalités entre les deux compagnies empêchèrent toute réelle avancée sur le sujet, comme sur d'autres. Le cas de Londres fut également étudié42. La ville apparaissait très en avance dans la conception d'une grille tarifaire adaptée aux usages et à la diversité de la population : tarifs pour écoliers le dimanche, tickets illimités en soirée, tarifs réduits aux heures creuses, etc. Malgré cela, les blocages parisiens l'emportèrent. De la Deuxième Guerre mondiale aux Trente Glorieuses : la fusion des réseaux mais pas des tickets 40 Sur la coordination, voir N. NEIERTZ, La Coordination des transports en France de 1918 à nos jours, Paris, Comité pour l'histoire économique et financière de la France, 1999. 41 « Déjeûner du 28 janvier 1936 (M.M. A.Mariage, Labussière, P.Martin) » (ARATP, 1G 7). 42 « Mesures susceptibles d'accroître le nombre de voyageurs », ca. 1938 (ARATP, 1R 288). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 535 Comme en 1914, le conflit qui s'ouvrit en 1939 eut un impact durable sur les transports parisiens, dans le sens d'une unification de leur fonctionnement. Les conditions particulières d'une ville en guerre puis occupée produisirent d'abord des effets conjoncturels. Alors que les tickets se multipliaient (habillement, charbon, tabac, alimentation...), la pénurie de papier conduisit le métro à proposer des tickets valables pour deux voyages successifs, alors que la fréquentation du réseau était massive, du fait de la forte réduction de l'offre en surface. L'autobus assura en effet essentiellement des services en banlieue, sans avoir à toucher à ses tickets. La création d'un ticket écrit en français et en allemand au prix unique pour les militaires et fonctionnaires allemands, tandis que leur trajet en métro était gratuit, montre que le réseau de surface n'était pas un enjeu majeur43. La présence allemande à Paris offrit, par ailleurs, l'occasion à l'un des dirigeants des tramways de Munich d'analyser le système des tickets à bord des autobus parisiens : très impressionné, il releva que « 7 secondes suffis[ai]ent pour la perception d'une place »44, grâce aussi bien à la configuration des véhicules, au système de tarification, qu'à la discipline des voyageurs. Dépassant les préjugés du vainqueur sur le vaincu, son article, paru en allemand dans une revue professionnelle, rend compte de l'ancrage d'un dispositif efficace à Paris. Mais le conflit eut surtout des conséquences structurelles de long terme : le gouvernement de Vichy choisit en effet de fusionner en 1942 l'exploitation du métro et celle de la surface, 43 Notons qu'à Londres à la même époque, un ticket réservé aux forces américaines vit le jour. 44 « La prise en charge des voyageurs aux point d'arrêt des omnibus à Paris par l'Oberbaurat Hans Huebs, des Tramways de Munich », traduction de l'article paru dans le n° 20 de la revue Verkehrstechnik du 20 octobre 1942 (ARATP, 1R 250). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 536 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris sous l'égide de la CMP. Pour ce qui est de la tarification, des discussions en amont avaient déjà eu lieu entre la STCRP et la CMP et, dès le 4 août 1941, des cartes combinées permirent d'emprunter l'autobus en banlieue et le métro, ce qui répondait à la configuration alors minimaliste de l'offre de transport. Tandis que des cartes hebdomadaires de travail offrirent six allers-retours par semaine, sans correspondance entre réseaux. Si l'idée de carnets de tickets communs fut envisagée en amont de la réforme, la fusion ne retint finalement pas cette option : les tickets restèrent différents, malgré une base commune de calcul45. Au final, cette nouvelle tarification, qui supprime également la 1re classe en surface, reflète l'esprit de la réforme : en s'accompagnant d'une réduction de la longueur des sections, elle produisit un renchérissement explicite de l'autobus, afin de garantir au métro une fréquentation la plus forte possible46. Les premiers carnets sortis par la CMP pour le réseau de surface portaient de la propagande pour le Secours national, tandis que le nom de la compagnie disparut à la Libération, au profit du sigle RR, pour rappeler le réseau routier de l'autorité provisoire qui lui succède. Les publicités traduisirent cet esprit nouveau d'après-guerre, comme en 1949, lorsque le film Le 84 prend des vacances s'afficha sur les carnets. Un tarif réduit vint faciliter la vie des familles nombreuses du baby boom à partir de décembre 1948. Tandis que les grandes grèves de 1953 offrirent l'occasion d'utiliser des tickets spéciaux pour accéder aux services de remplacement par camions. Alors que la vie du réseau reprenait son cours, le thème ancien de la fraude et la figure connue du receveur alimentèrent 45 « Note sur les nouveaux tarifs de transports dans la région parisienne », juillet 1941 (AN, F/14/13 623). 46 Voir « Rapport du président du Conseil des transports parisiens à Monsieur le secrétaire d'État aux communications » du 15 février 1941 (AP, Pérotin/10 331/56/1/272). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 537 de nouveau images et discours. Comme l'écrivait le conseiller général Roger Degornet à la direction du nouvel exploitant unique, la RATP47, en 1957, « il faudrait que les usagers soient des saints pour payer ce qu'ils doivent »48. Si ce jugement d'un cheminot habitué aux modes de perception ferroviaires est peut être sévère, il convient de noter que plusieurs documents incriminèrent la fraude sur le nombre de sections dans la période d'aprèsguerre49. Les trajets effectués étaient plus longs que ceux payés, en moyenne d'1,1 section, selon une étude de la RATP de 195550. Un ancien agent confirme cette focalisation sur ce type de fraude, à propos d'une catégorie, forgée alors, de vieilles dames fraudeuses : « elles avaient beau être riches, quelquefois, elles changeaient de place, en douce, ou elles nous disaient qu'elles venaient de monter pour ne donner qu'un seul ticket [...]! »51. Féminisé au cours du conflit – comme en 1914-1918 – le métier de receveur le resta durablement. Des expressions comme « c'est cocotte qui fait la recette » ou « les receveuses à ticket » témoignent de cette présence féminine dans un milieu fortement masculin et non dénué de machisme. Receveurs et receveuses tinrent une place centrale dans le Paris des années 1950, à bord d'un matériel vieillissant. La démocratisation de l'automobile, au cours de la décennie 1955-1965, leur conféra progressivement une image surannée. Contrairement à leur alter ego du réseau ferré, le poinçonneur – réputé exercer l'un des « sots métiers » consistant à « [faire] des trous dans les billets » et à renseigner 47 Régie autonome des transports parisiens. Lettre de Roger Degornet au directeur général de la RATP du 14 avril 1957 (ARATP, 1R 148). 49 Voir le carton ARATP, 1R 149. 50 Séance du 23 mai 1955 du conseil d'administration de la RATP (ARATP, 1R 149). 51 « 50 ans d'histoire à la RATP », Entre les lignes, octobre 1999, p. 11. 48 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 538 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris sur les correspondances – les receveurs remplissaient de multiples fonctions52. Au-delà des activités de recette et de validation des tickets, ils géraient les flux, annonçaient les stations, donnaient des informations sur un réseau plus complexe et moins connu que celui du métro, régulaient les tensions à bord, voire s'intéressaient à la circulation.... Le ticket n'était donc qu'une de leurs raisons d'être. Le ticket d'autobus devenu ticket de métro La massification de l'usage de l'automobile se traduisit par un effondrement de la fréquentation de l'autobus et une forte dégradation de son image, à Paris plus qu'en banlieue. La chute des recettes fit de cette situation un problème financier pour des transports parisiens, qui avaient déjà peu bénéficié de la modernisation des Trente Glorieuses53. Les solutions efficaces qui permirent de sortir de cette ornière furent d'abord fondées sur un aménagement de l'espace public – les couloirs réservés – mais une dynamique parallèle d'intégration tarifaire tenta également de résoudre le problème, de façon plus ou moins heureuse. En 1967, après plusieurs années de déficit, le ministère des Finances imposa à la RATP une réforme tarifaire visant à atteindre une vérité des prix, dans le sillage des idées développées par le rapport Nora54. Elle se traduisit en une forte augmentation, notamment sur les petits parcours, ce qui eut pour effet de faire de nouveau chuter la fréquentation, puisque l'autobus était un système compétitif sur de telles distances. 52 Voir « Le poinçonneur des lilas » dans SERGE GAINSBOURG, Du chant à la une !, Mercury, 1958. 53 Sur la RATP à cette époque, voir M. MARGAIRAZ, Histoire de la RATP, Paris, Albin Michel, 1989. 54 Rapport sur les entreprises publiques, Paris, La Documentation française, 1968. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 539 Plus attendue fut l'introduction simultanée de tickets communs à l'autobus et au métro, 25 ans après la fusion ! S'ils ne permettaient pas de correspondance entre réseaux, ils rendirent encore plus intéressant l'achat de carnets, puisque les occasions de les utiliser étaient plus nombreuses. Comme le soulignait encore l'exploitant sur ses plans de réseau en 1963, « [v]ous réaliserez une économie importante en utilisant des tickets de carnet »55. En 1967 puis 1973, les tickets furent légèrement allongés afin de favoriser leur oblitération à bord des autobus, que les voyageurs apprirent alors à effectuer eux-mêmes56. Le receveur, métier ancien du réseau, disparut définitivement en 1971, dans un souci de réduction des coûts autant que de modernisation du matériel57. Plus exactement, le machiniste, devenu machinistereceveur, fut désormais chargé des missions de son collègue disparu. Mais, afin de les réduire au minimum pour ne pas retarder le véhicule, l'oblitération fut reportée sur le voyageur qui dut y procéder à l'aide d'un nouvel appareil imprimant et perforant58. De position variable, les trous ainsi réalisés permettaient d'identifier les tickets oblitérés en même temps, correspondant à des trajets à plusieurs sections. Désormais, tout voyageur monté à bord se devait d'être en règle et pouvait être sujet à un contrôle avant la descente sans contestation possible. Pour sa part, le machiniste-receveur se trouva pris dans un jeu complexe de logiques opposées (con- 55 Autobus Paris, Paris, RATP, 1963. Leur longueur passe à de 57 à 66 mm. 57 Voir M. PRÉVOST, La Suppression du poste de receveur dans les autobus parisiens, Paris, RATP, 1985. 58 Voir Instruction professionnelle relative aux appareils de validation des tickets et coupons de cartes hebdomadaires, Paris, RATP, 1971. 56 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 540 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris duite, service, contrôle) qui affaiblirent un métier pourtant enrichi59. Les agents, jusqu'alors isolés à l'avant du véhicule, y gagnèrent néanmoins un contact nouveau avec les voyageurs, pour les renseigner ou leur vendre des tickets. L'idée ancienne du cocher bourru ne parlant qu'à ses chevaux s'effaçait, tandis que la bande magnétique introduite en 1973, témoignait de la disparition simultanée, en souterrain, des poinçonneurs. Ces réformes débouchent donc sur une déshumanisation du réseau, ce phénomène étant notamment dû à la volonté parallèle de la direction d'externaliser au maximum la vente de tickets, aussi assurée par des appareils automatiques en certains pôles. L'introduction, au cours des années 1980, des autobus articulés à bord desquels le passager put monter par n'importe quelle porte, porta cette logique à son extrême puisqu'il était désormais possible de voyager sans interférer avec aucun agent. La cohérence de cette nouvelle vision du service de transport fut acquise avec la création, en 1975, de la Carte orange, à l'initiative du STP60 et en réponse à des mouvements d'usagers. Ce titre de transport multimodal révolutionna les pratiques : conçue en cohérence avec la création du RER61, cette carte mensuelle permettait de voyager sans limite sur tous les systèmes collectifs de zones choisies à l'avance. Elle eut pour conséquence la reprise de la fréquentation du réseau de surface : nombre de voyageurs montèrent alors à bord par opportunité, l'autobus remplaçant un trajet à pied, du fait de sa simplicité d'usage. Aux arrêts, le rôle du machiniste-receveur devint celui de contrôler visuellement les cartes que devaient présenter les voyageurs. Rituel d'entrée qui réactiva des ambiguïtés anciennes. Quel intérêt pouvait avoir un agent à contraindre un voyageur à montrer sa 59 Voir I. JOSEPH, Le temps partagé : le travail du machiniste-receveur , «Sociologie du travail», vol. 34, 1 (1992), p. 3-22. 60 Syndicat des transports parisiens. 61 Réseau express régional. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 541 carte ou à acheter un ticket, alors qu'il devait surtout veiller à l'avancée de son véhicule et pouvait souhaiter éviter tout esclandre ? Alors que le ticket se trouvait marginalisé par cette innovation dont ce fut aussi l'un des objectifs, il connut au cours des années 1980 un véritable engouement médiatique, lié à son utilisation à des fins publicitaires. Lancée dans la promotion du transport depuis le milieu des années 1970, la RATP utilisa paradoxalement son ticket pour faire parler de réseaux sur lesquelles elle souhaitait surtout transporter des abonnés. Cet objet, perçu comme multimodal alors qu'il n'offrait pas de correspondance entre les modes, fit un excellent support de communication, spécifique à l'entreprise, là où la Carte orange était partagée avec d'autres opérateurs. Le ticket devint ainsi l'icône d'un exploitant prenant progressivement conscience de l'unité de ses réseaux et, au-delà, de Paris elle-même. Sa couleur jaune, introduite en 1978, et sa bande magnétique étaient pourtant récentes. Tandis qu'il ne s'agissait en fait pas d'un objet quotidien, mais justement d'un objet relevant de l'exception, là où l'abonnement était devenu la norme. D'un point de vue esthétique, la très grande malléabilité du ticket permit des utilisations très diverses qui offrirent des renouvellements au sein d'une campagne au long cours, Ticket chic, ticket choc62. Le ticket permit à la RATP de dépasser le complexe qu'elle entretenait vis-à-vis de l'automobile, lisible dans la campagne qui domina la fin des années 1970, 2e voiture, dont le slogan montrait déjà la volonté d'unifier les réseaux. Dans ce contexte, il est sûr que l'autobus s'effaçait derrière le métro, le ticket étant identifié comme un ticket de métro, dont l'utilisation par Yves 62 Voir H. LAMBINET, Ticket chic, ticket choc. Référence et mythologie d'une image publicitaire, maîtrise d'arts plastiques, sous la direction de Pascal Bonafoux, Université Paris VIII Saint-Denis, 1994, 134 p. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 542 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris Montand dans le Salaire de la peur63 avait d'ailleurs inspiré les publicitaires. Cette campagne permit toutefois à l'autobus de combler son retard d'image lorsqu'elle fut déclinée en un slogan spécifique Le bus a le ticket, en 1982. Tandis que sur le réseau, le processus de marginalisation s'accentuait, avec la vente à l'unité de tickets spécifiquement réservés aux autobus, à partir de 1986. Conclusion Le ticket d'autobus est d'abord un objet matériel, dont la taille et la matière reflètent une configuration sociale et technique, ainsi que les usages auxquels il s'adapte. Mais il s'agit également d'un territoire partagé, entre opérateurs et avec les autorités qui en assument le financement, même si la RATP est parvenue à capter à elle l'image unifiée du ticket jaune, masquant bien des différences entre les réseaux. Enfin, le ticket est aussi le support de la relation entre les voyageurs et l'exploitant : il incarne l'idée d'une coproduction des transports, qui fait du voyageur un acteur de son propre déplacement, sans quoi les véhicules roulent à vide. Support matériel, le ticket est aussi devenu un espace de création et de communication, que ce soit pour des raisons esthétiques ou publicitaires, ou pour lutter contre la fraude. Cette dimension lui a même conféré le statut d'icône, sous la forme du ticket jaune et après fusion avec le ticket de métro. La force identitaire de cette couleur est lisible dans les aléas qui suivirent sa disparition en 1992 : dans le cadre d'un remaniement global de la RATP et de son image, le ticket se teinta alors d'un vert qualifié de jade, avant de passer au violet en 2003, à l'occasion d'une simplification tarifaire, puis au blanc en 2007, dans le cadre 63 H.-G. CLOUZOT, Le Salaire de la peur, 1953. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 543 d'une reprise en main par l'autorité organisatrice, le STIF64, passé peu avant sous l'autorité d'une Région soucieuse de marquer ses territoires. Le ticket accrut encore sa facilité d'utilisation, puisqu'il offrit alors la possibilité de correspondances multiples. Toutefois, la frontière ancienne entre le ferré et le routier demeure encore aujourd'hui bien tangible : aucune correspondance n'est possible de l'un à l'autre, trace d'une distinction ancrée dans l'approche de ce qu'est le transport public, celle qui oppose un métro transport de masse du XXe siècle, à l'autobus, héritier de l'omnibus hippomobile. De même, il est étonnant de constater que le ticket à l'unité survit aujourd'hui encore. Pourtant, dès la fin des années 1920, le but de l'exploitant en développant les carnets de tickets était d'extérioriser les échanges financiers à bord, afin de gagner du temps et de réduire les incidents susceptibles de survenir avec les receveurs. La fusion avec le réseau ferré permit de développer les infrastructures commerciales, chaque station de métro devenant un possible bureau de vente. Le développement de formules combinées entre les réseaux, dont la Carte orange est la plus aboutie, et l'utilisation ancienne de cartes hebdomadaires de travail contribuèrent à rendre secondaire l'achat de tickets à bord. Mais impossible de le faire disparaître. L'exploitant s'est en fait trouvé bien vite prisonnier de ce petit morceau de papier dont le fonctionnement s'avéra entraver la progression de ses véhicules. Il est dès lors rentré dans une relation ambiguë avec cet objet, les voyageurs étant incités, par divers moyens, à se munir de carnets ou d'abonnements. Sans pour autant qu'il soit possible de cesser toute vente à bord, même après la disparition des receveurs, au début des années 1970. Celui-ci n'est-il pas né- 64 Syndicat des transports d'Île-de-France. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 544 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris cessaire comme signe de la recette et comptabilisation de la fréquentation ? Ou comme double rite d'entrée65, celui de la montée à bord mais aussi de la découverte du réseau ? La lutte contre le ticket d'autobus se poursuit, notamment avec l'introduction, en 2007, d'un ticket d'accès à bord, vendu par le machiniste-receveur et portant comme mention principale « sans correspondance ». Alors que l'esprit dominant le réseau routier depuis les années 1970 est le sentiment d'avoir atteint une réelle homogénéité du réseau, le ticket semble être le dernier élément de résistance à cette vague d'homogénéisation, qui se traduit, en matière tarifaire, par la faveur donnée à l'abonnement. La direction du réseau est parvenue à faire disparaître le receveur, mais pas le ticket. La lutte contre la fraude, pour sa part, s'est largement concentrée sur les abonnements, notamment avec l'introduction progressive du passe Navigo, à partir de 2001, au format d'une carte de crédit, concurrent en vogue du format Edmondson. Ce support doté d'une puce électronique facilita la validation en montant à bord et permit à la RATP de renforcer le caractère systématique de ce geste attendu de ses voyageurs, à travers l'imposante campagne Bus Attitude des années 2000, au nom révélateur d'ambitions morales. Du fait du son produit par la validation, qui rappelle le cadran du conducteur, le contrôle s'élargit à l'ensemble des voyageurs à bord : le thème ancien et probablement illusoire d'un auto-contrôle des voyageurs fait ainsi de nouveau surface. Le Navigo n'est qu'un support, ce qui explique qu'il fut possible à ses débuts de disposer d'une Carte orange violette, 65 Sur cette notion, voir, par exemple, É. LE BRETON, Les compromis fragiles du traitement des conflits publics dans les transports urbains, «Sociologie du travail», vol. 43, 4 (2001), p. 515-531. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 545 couleur du passe, absurdité sémiologique qui manifeste les tensions perceptibles autour de cet objet. Le ticket, passé sur de nouvelles technologies, n'en demeure pas moins un puissant objet moral. Tandis que l'équipement du voyageur, qui peut désormais renouveler son abonnement de chez lui ou utiliser son téléphone comme support, laisse penser que le système devient autonome de l'exploitant lui-même. La vente à l'unité de tickets d'autobus à bord est néanmoins toujours possible, gênante mais fortement ancrée dans le contexte parisien. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 546 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris Sources Archives nationales Note sur les nouveaux tarifs de transports dans la région parisienne, juillet 1941, F/14/13 623 Archives de Paris Rapport du président du Conseil des transports parisiens à Monsieur le secrétaire d'État aux communications du 15 février 1941, Pérotin/10 331/56/1/272 Archives de la RATP Déjeûner du 28 janvier 1936 (M.M. A.Mariage, Labussière, P.Martin), 1G 7 La prise en charge des voyageurs aux point d'arrêt des omnibus à Paris par l'Oberbaurat Hans Huebs, des Tramways de Munich », traduction de l'article paru dans le n° 20 de la revue Verkehrstechnik du 20 octobre 1942, 1R 250 Lettre de Roger Degornet au directeur général de la RATP du 14 avril 1957, 1R 148 Mesures susceptibles d'accroître le nombre de voyageurs ca. 1938, 1R 288 Note STCRP/DEC/1998 du 21 février 1934,1R 149 Note STCRP/DEC du 7 octobre 1935, 1R 149 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris Notes STCRP/DEC/1185 du 26 juillet STCRP/DEC/3358 du 7 mars 1930, 1R 149 547 1929 et Rapport STCRP/DEC/2382 du 14 février 1930, 1R 149 Rapports STCRP du 15 mars 1935 et RATP/R/10635 du 30 juin 1965, 1R 149 Séances du conseil d'administration de la STCRP des 11 janvier, 19 septembre et 12 décembre 1928, 1G 8 Séance du 23 mai 1955 du conseil d'administration de la RATP, 1R 149 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 548 Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris Bibliographie BARKER T.C., ROBBINS M., A History of London Transport, Passenger Travel and the Development of the Metropolis, The Nineteenth Century, Londres, George Allen & Unwin Ltd, 1963 DA CUNHA A., DE NANSOUTY M., GUILLET L., JARZUEL H., LAPAUZE H., VITOUX G., Le Guide de l'Exposition de 1900, Paris, Flammarion, 1900 DE BEAUMONT S., RICKARDS M., TANNER A., TWYMAN M. (eds.), The Encyclopedia of Ephemera. A Guide to the Fragmentary Documents of Everyday Life for the Collector, Curator, and Historian, Londres, The British Library, New York, Routledge, 2000 DARMON P., Vivre à Paris pendant la Grande Guerre, Paris, Fayard, 2002, réédition 2004 FITZNER P., La STCRP pendant la Deuxième Guerre mondiale, maîtrise d'histoire sous la direction de Noëlle Gérôme et Antoine Prost, Université Paris I Panthéon-Sorbonne, 1993 FLEMING R.B., The Trolley Takes Command, 1892 to 1894, «Urban History Review/Revue d'histoire urbaine», vol. 19, 3 (février 1991) GREEN O., TAYLOR S., The Moving Metropolis, A History of London's Transport since 1800, Londres, Laurence King Publishing, 2002 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) Passalacqua, Le ticket d’autobus à Paris 549 Instruction professionnelle relative aux appareils de validation des tickets et coupons de cartes hebdomadaires, Paris, RATP, 1971 JOSEPH I., Le temps partagé : le travail du machiniste-receveur , «Sociologie du travail», vol. 34, 1 (1992), p. 3-22 LE BRETON É., Les compromis fragiles du traitement des conflits publics dans les transports urbains, «Sociologie du travail», vol. 43, 4 (2001), p. 515-531 LAMBINET H., Ticket chic, ticket choc. Référence et mythologie d'une image publicitaire, maîtrise d'arts plastiques, sous la direction de Pascal Bonafoux, Université Paris VIII Saint-Denis, 1994 MARGAIRAZ M., Histoire de la RATP, Paris, Albin Michel, 1989 NOIRIEL G., Le Creuset français. Histoire de l'immigration, XIXe-XXe siècle, Paris, Le Seuil, 1988, réédition 2006 PAPAYANIS N., Horse-Drawn Cabs and Omnibuses in Paris. 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Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 551 FONTI Per curare la mente e il corpo, per conoscere. Un viaggiatore di diporto nell’Italia di primo Ottocento* di Fabio D’ANGELO Università degli studi della Repubblica di San Marino DOI 10.26337/2532-7623/D’ANGELO Riassunto : Il saggio propone un’analisi sui passaggi chiave del diario del viaggio in Italia effettuato dallo zoologo Giosuè Sangiovanni da febbraio a giugno 1818. Dal récit de voyage emergono alcuni interessanti elementi che contraddistinguono i viaggi di primo Ottocento: l’affermazione delle istanze culturali romantico-sensitive, la partecipazione alla comunità politica liberale, la richiesta di servizi di accoglienza e di ospitalità. Abstract: The paper offers an analysis of the key passages in the diary written by zoologist Giosuè Sangiovanni about his voyage to Italy from February to June 1818. Sangiovanni’s récit de voyage contains some interesting elements that distinguish early nineteenth century travel: the affirmation of romanticsensitive cultural issues, participation in the liberal political community, the demand for hospitality. Keywords: Naples, Italy, Recreational Travel * La nota introduttiva è una versione riformulata del saggio apparso in A. BERRINO, «Storia del Turismo. Annale», 10 (2016), Milano, Franco Angeli, pp. 11-21. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 552 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Sommario: Introduzione – Il viaggio come cura e necessità – La socialità di un viaggiatore – Un viaggiatore di diporto – Conclusioni – Fonti – Bibliografia – Giornale del mio viaggio da Napoli a Venezia, eseguito nell’anno 1818 Versione definitiva ricevuta in data 6 febbraio 2018 Introduzione La fine dell’epopea napoleonica e il ritorno dei Borbone a Napoli (1815) alimentarono un flusso di viaggiatori verso la capitale, ma è pur vero che non pochi abitanti del Regno lasciarono temporaneamente Napoli e raggiunsero altre città italiane. Tra di essi lo scienziato Giosuè Sangiovanni, per il quale viaggiare e visitare «città tanto care» costituì anche l’occasione per «allontanar[si] per qualche tempo da un paese [Napoli] troppo funesto»1. Egli affidò il racconto di quell’esperienza e dei lunghi soggiorni presso i grandi e i piccoli centri urbani della Penisola a un diario di viaggio. Questo contributo propone dunque un’analisi del manoscritto inedito, nonché la sua edizione critica con note e commento, di Giosuè Sangiovanni, Giornale del mio viaggio a Venezia eseguito nell’anno 1818, conservato presso la Biblioteca di Zoologia del Dipartimento di Biologia dell’Università degli studi di Napoli Federico II. Il documento è un volume rilegato che contiene anche alcune note autografe relative all’esilio in Francia dello stesso Sangiovanni tra il 1800 e il 1818; queste ultime recentemente pubblicate in edizione critica da Vittorio Martucci2. 1 Su Giosuè Sangiovanni si rimanda a F. D’ANGELO, Giosuè Sangiovanni, ad vocem «Dizionario Biografico degli Italiani», vol. 90 (2017), pp. 207-2010. 2 Per l’esilio in Francia di Sangiovanni mi permetto di suggerire F. D’ANGELO, Les hommes de science napolitains en exil en France, des passeurs Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 553 Questo lavoro si inserisce nel filone storiografico che considera il primo Ottocento come un momento a sé nella storia del viaggio e del turismo; quel periodo presenta infatti caratteri propri rispetto al secondo Settecento da una parte e al turismo di secondo Ottocento dall’altra. Nel diario di Sangiovanni appaiono evidenti alcuni elementi caratterizzanti questa fase di transizione: le istanze culturali romantico-sensitive, il credo politico liberale, la richiesta di servizi di accoglienza e di ospitalità. Il viaggio come cura e necessità Io accettai con molto piacere la sua onorevole e generosa offerta, che mi presentava nel tempo medesimo la favorevole occasione di rivedere città tanto a me care, e quella, ancor più grata, di allontanarmi per qualche tempo da un paese per me troppo funesto3. Così Giosuè Sangiovanni, professore di anatomia comparata all’Università di Napoli, ricorda la decisione di aver accolto l’invito di Gaetano Bellelli, un ex generale di Gioacchino Murat, ad accompagnarlo nella visita ad alcune città d’Italia al fine di individuare i migliori istituti formativi della Penisola presso i quali iscrivere i figli Raffaele e Pasquale. Il viaggio in Italia, iniziato il 10 marzo e conclusosi il 14 giugno 1818, si configurava come momento di sollievo, occasione necessaria per allentare la sorveglianza del governo borbonico, poiché Sangiovanni aveva sostenuto la Repubblica napoletana nel 1799 e successivamente il governo di Murat a partire dal 1808. La visita delle città italiane era inoltre un momento di scientifiques et politiques, in «Revue d’Histoire du XIXe siècle», 53/2 (2016), pp. 39-59. Sul diario del viaggio in Francia si veda invece G. SANGIOVANNI, Diari, V. MARTUCCI (ed.), Napoli, ISPF, 2014. 3 G. SANGIOVANNI, Giornale del mio viaggio a Venezia eseguito nell’anno 1818, 10 marzo 1818. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 554 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo compensazione delle fatiche dell’attività di scienziato che egli svolgeva a Napoli tra numerose difficoltà. Giosuè Sangiovanni infatti aveva aderito con grande entusiasmo ala breve parentesi repubblicana a Napoli del 1799 ed era stato poi condannato all’esilio al rientro dei Borbone nel Regno. Come molti suoi compatrioti aveva riparato in Francia dove aveva avuto la possibilità di continuare gli studi interrotti in patria4. Richiamato a Napoli da Murat nel 1808 nell’ambito di un intenso programma di riforme, che aveva coinvolto anche le istituzioni scientifiche, egli aveva effettuato importanti ricerche. Aveva sviluppato, muovendosi sul sentiero scientifico tracciato da Jean-Baptiste Lamarck, suo maestro a Parigi negli anni dell’esilio, una delle idee chiave degli studi dello scienziato transalpino, l’ereditabilità dei caratteri acquisiti5. Con la fine della dominazione dei Napoleonidi nel 1815, l’attività lavorativa e la vita quotidiana di Sangiovanni proseguirono con difficoltà e sofferenza. Prima giacobino, poi murattiano egli era inviso ai Borbone che erano tornati a occupare il trono di Napoli. Costantemente sorvegliato dalla polizia, fu per pochi mesi allontanato dall’Università e privato dei fondi stanziati per la gestione del Museo zoologico. Il viaggio a Venezia diventava quindi una possibilità per «godere un poco di libertà e di piacere, che in un paese straniero quantunque sia la forma del suo governo giammai si nega al viaggiatore» e per poter «arricchire l’animo mio di altre nuove ed utili conoscenze, cose tutte le quali 4 Sull’esilio in Francia alla fine del Settecento degli italiani si veda A.M. RAO, Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia, 1792-1802, Napoli, Guida, 1992. Su quello degli scienziati del Regno di Napoli, tra i quali Sangiovanni, si rimanda invece a F. D’ANGELO, Dal Regno di Napoli alla Francia. Viaggi ed esilio tra Sette e Ottocento, Napoli, Dante&Descartes, 2017. 5 P. CORSI, Lamarck en Italie, in «Revue d’histoire des sciences», 37 (1984), pp. 47-64. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 555 insieme unite debbono non poco contribuite al miglioramente della mia ben alterata salute»6. Che il viaggio debba essere considerato come terapia e che esso arrechi benefici effetti sono idee che in Sangiovanni ricorrono spesso, come peraltro nei viaggiatori europei di primo Ottocento7: il viaggio è momento di evasione, cura per il corpo e la mente. A riguardo egli ricorda che a Roma fu sufficiente «la vista dei dominii dei successori di S. Pietro» per ottenere, «forse per virtù soprannaturale, subitaneo sollievo»8. Spostarsi in Italia e in Europa nella prima metà dell’Ottocento comprtava nuove esigenze. Le reti di relazioni che i giovani rampolli dell’aristocrazia del vecchi continente avevano sfruttato nei secoli precedenti per ottenere accoglienza e agevolazioni durante il viaggio formativo non erano più valide9. I nuovi viaggiatori, che la recente storiografia per i primi decenni dell’Ottocento definisce di diporto10, erano espressione dell’alta borghesia che non disponeva degli stessi canali dei viaggiatori del secolo precedente per avere ospitalità privata. Essi avevano bisogno di servizi e di informazioni utili che permettessero di orientarsi e di gestire gli imprevisti. A tale necessità l’editoria rispondeva con prontezza, immettendo sul mercato librario delle guide che fornivano indicazioni pratiche per trovare una sistemazione e visitare città e paesi11. 6 SANGIOVANNI, Giornale del mio viaggio, 10 marzo 1818. Si veda ad esempio L. MELIGRANA, Il viaggio: la più bella ginnastica dello spirito. Esperienze di un turista del 1820, in «Storia del turismo. Annale», 7 (2008), pp. 11-45. 8 SANGIOVANNI, Giornale del mio viaggio, 11 marzo 1818. 9 C. DE SETA, L’Italia del Grand Tour: da Montaigne a Goethe, Napoli, Electa, 1996; G. BERTRAND, Le grand tour revisité: pour une archéologie du tourisme: le voyage des français en Italia, Roma, École française, 2008. 10 A. BERRINO, Storia del turismo in Italia, Bologna, Il Mulino, 2011, p. 11. 11 G. TORTORELLI, Viaggiare con i libri. Saggi su editoria e viaggi nell’Ottocento, Bologna, Pendragon, 2012. 7 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 556 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Gli ostelli erano punti di ristoro e di riposo e si configuravano anche come luoghi di rifugio temporaneo in paesi non sicuri, nonché di salvezza dai briganti. A Mola di Gaeta lo scienziato «giunge a salvamento in un albergo sul lido del mare» dopo aver passato città pericolose12; fermarsi presso una locanda a Terracina, in cui egli soggiornò durante il ritorno a Napoli, fu l’unico modo per liberarsi «dai briganti che infestano i nostri maledetti confini»13. Le guide, «non più un’opera erudita ma strumento agevole»14, diventavano un mezzo efficace per rispondere alle sollecitazioni e alle domande di servizi dei viaggiatori. Esse annotavano con sempre maggiore precisione i nomi, gli indirizzi, i servizi, i proprietari, i gestori e naturalmente i prezzi praticati dagli albergatori. In questo modo registrarono la nascita e l’affermazione dell’imprenditoria alberghiera che agli inizi dell’Ottocento muoveva i primi passi15. Sangiovanni, giunto a Roma il 14 marzo, guida alla mano, scelse inizialmente di sistemarsi all’albergo della Sibilla presso la Porta del Popolo. Cambiò successivamente alloggio, trasferendosi alla locanda della Monaca a Tor Sanguigna a pochi metri da piazza Navona e nei pressi della Basilica di Sant’Apollinare, poiché il precedente «era caro e situato nel luogo più cospicuo della principale strada di Roma [strada del Corso]»16. Come per molti altri viaggiatori di questi anni, individuare la struttra meno cara era uno dei criteri di scelta degli alberghi. Anche per lo scienziato la tenue disponibilità economica non consentiva di avere vasta scelta. A Venezia la prima opzione fu il Leon Bianco 12 SANGIOVANNI, Giornale del mio viaggio, 10 marzo 1818. Ivi, 13 marzo 1818. 14 BERRINO, Storia del turismo, p. 29. 15 E. KAWAMURA, Alberghi e albergatori svizzeri in Italia tra Ottocento e Novecento, in «Storia del turismo. Annale», 4 (2004), pp. 11-39. 16 SANGIOVANNI, Gioranle del mio viaggio, 13 e 15 marzo 1818. 13 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 557 situato sul Canal Grande; dopo qualche giorno cambiò albergo poiché il Leon Bianco anche «se nobile era caro»17. Nel Giornale troviamo l’indicazione dei prezzi praticati da alcuni alberghi d’Italia, ma anche giudizi, seppure sintetici, sulla qualità del servizio. Per questi aspetti probabilmente il diario doveva essere destinato alla stampa, proponendosi infatti anche come guida e supporto a quanti desiderassero viaggiare in Italia. Sangiovanni sconsiglia l’albergo della Posta a Forlì in quanto gestito da pessimi locandieri, così come suggerisce di non soggiornare a Serravalle del Chienti, oggi comune in provincia di Macerata, poiché era un paese «detestabile» dove i vinadanti erano «malissimamente trattati»18. Sangiovanni offre così una panoramica su alcuni albergi in Italia, indicando la loro ubicazione, i prezzi e dando un giudizio sintetico sui servizi offerti. Non mancano poi informazioni sulle strade da percorrere per spostarsi sul territorio italiano e sul trattamente riservato ai viaggiatori alle dogane. L’autore annota ad esempio che la strada che conduceva da Bologna e Ferrara era una delle migliori in Italia: il tragitto, non dissestato e di agevole percorrenza, era maggiormente apprezzabile perché costeggiato ai due lati da pinatagioni di pioppo. La strada che collegava Tolentino a Belforte del Chienti, oggi entrambe nella provincia di Macerata, era invece orribile e rovinata. Altrettanto danneggiato era il tratto dal Belfrote del Chienti a Serrevalle del Chienti composta «di continue salite e discese»19. Il riferimento ai percorsi citati in alcuni passaggi del Giornale si inserisce in un discorso più ampio sullo stato delle vie di comunicazione in Italia. La dominazione napoleonica aveva no- 17 Ivi, 8 maggio 1818. Ivi, 1 giugno 1818. 19 Ibidem. 18 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 558 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo tevolmente contribuito a migliorare l’impianto viario della Penisola, ristrutturando la rete stradale, o costruendo nuovi percorsi20. Gli interventi di manutenzione e costruzione delle strade operati dagli ingegneri erano indispensabili per ragioni militari ed economiche: favorire un più rapido spostamente degli eserciti, stimolare una maggiore e migliore circolazione delle derrate e delle materie prime21. Un impianto viario potenziato era inoltre necessario a fronteggiare e a favorire il numero crescente di viaggiatori che, soprattutto durante la Restaurazione, valicava le Alpi e giungeva in Italia. Tuttavia, secondo Sangiovanni, gli spostamente sul territorio italiano oltre che dal miglioramento della rete stradale, dovevano essere facilitati da un più agevole controllo alle frontiere. Egli racconta che gli ufficiali della dogana all’ingresso nei domini pontifici avevano perpetrato maltrattamenti e soprusi ai suoi danni e che tale atteggiamento era stato adottato pure nei confronti di altri viaggiatori22. Il comportamento della polizia degli Stati pontifici, che non si differenziava da quello assunto da altre dogane, si collocava in un contesto in cui, negli anni immediatamente successivi all’epopea napoleonica, gli Stati europei cercavano di controllare e di limitare la mobilità degli uomini. Percorse le strade più agevoli, superati i controlli alle frontiere, individuato l’albergo migliore, allo scienziato non restava che intraprendere la visita delle città che di volta in volta toccava. A Roma per muoversi con maggiore agilità, per orientarsi meglio nella visita e apprezzare pienamente le bellezze artistiche 20 A. DI BIASIO, Strade e vie di comunicazione nell’Italia napoleonica, Napoli, ESI, 2001. 21 F. D’ANGELO, Scienze e viaggio. Ingegneri e architetti del Regno delle Due Sicilie, Villasanta, Limina mentis, 2014. 22 SANGIOVANNI, Giornale del mio viaggio, 23 maggio 1818. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 559 che l’Urbe offriva, lo zoologo acquistò l’Itinerario di Roma antica e moderna prodotto da Mariano Vasi, la guida italiana più diffusa in questi anni. Recandosi alla tipografia di Vasi, egli ebbe peraltro la possibilità di conoscere personalmente l’autore dell’Itinerario, che definisce «letterato distinto»23. L’Itinerario di Vasi fu uno strumento di grande utilità poiché permise a Sangiovanni di esaminare accuratamente i quadri, le pitture, le statue di marmo e di bronzo dislocati in punti diversi della città. Nel corso dell’Ottocento le guide cominciavano a imporsi come oggetto irrinunciabile del viaggio. Laddove mancavano, soprattutto per i centri minori della Penisola e per quelli meno battuti dai viaggiatori, venivano rimpiazzate da accompagnatori locali. In alcuni casi erano persone di giovane età, più o meno istruite sulla storia del loro paese. A Papigno, oggi frazione del comune di Terni, lo scienziato racconta che fu un ragazzino di soli nove anni, tale Matteo Moccadelli, ad accompagnarlo a visitare la cascata delle Marmore. Il fanciullo, dotato di eloquenza e precisione ciceroniana, fornì al suo ospite tutte le informazioni sull’origine e sulle caratteristiche della cascata, che gli mostrò da diversi punti24. Il talento del giovane cicerone impressionò a tal punto Sangiovanni, che questi avrebbe voluto portarlo con sé a Napoli per farlo studiare. Rinunciò però al suo proposito per l’opposizione della madre25. Le guide, oppure gli accompagnatori occasionali come il giovane Moccadelli, furono elementi importanti del viaggio in Italia di Sangiovanni. Altrettanto indispensabili furono i rapporti di amicizia e di conoscenza che agevolarono il soggiorno dello scienziato nelle diverse città visitate. 23 Ivi, 17 marzo 1818. Ivi, 3 giugno 1818. 25 Ibidem. 24 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 560 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo La socialità di un viaggiatore Negli anni dell’esilio parigino, dal 1800 al 1808, Sangiovanni aveva avuto la possibilitàdi incontrare e di discutere con altri emigrati, con gli scienziati francesi e i suoi compatrioti e questo alleviò le difficoltà e le sofferenze proprie dell’esilio. Condividere opinioni e incontrare uomini che sperimentavano la medesima sorte costituivano i requisiti fondamentali per sopravvivere in terra straniera. Durante il viaggio in Italia del 1818 la socialità, intesa come forma di aggregazione volontaria e non casuale, offrì allo zoologo napoletano le stesse occasioni sperimentate nel periodo del soggiorno forzato in Francia. Si presentava come momento in cui «si discute liberamente, si formano opinioni, si leggono libri e giornali, si tengono conferenze e mostre, si ascoltano relazioni di viaggio e rapporti scientifici»26. Frequentare gli scienziati era un modo per aggiornarsi sulle recenti ricerche nella medicina, zoologia e mineralogia; discutere con gli artisti era necessario per conoscere i monumenti e le opere d’arte; incontrare i compatrioti, in alcuni casi esuli, era l’occasione per riflettere sulle sorti del Regno di Napoli e sul governo dei Borbone, soprattutto all’indomani della fine di Gioacchino Murat. Il viaggio in Italia fu un’opportunità che consentì a Sangiovanni di riallacciare i rapporti con uomini che per ragioni prevalentemente politiche avevano abbandonato Napoli, definitivamente o temporaneamente. È possibile inoltre ipotizzare che gli incontri con alcuni compatrioti costituirono un momento di discussione, preludio alla partecipazione ai moti del 1820 e al parlamento nazionale27. 26 A. BERRINO, Forestieri a Napoli nell’Ottocento: attrazioni, socialità e cultura, in «Memoria e ricerca», 46 (2014), pp. 13-28, p. 16. 27 Sulla partecipazione di Sangiovanni ai moti del 1820 e sulla nomina a membro del parlamento napoletano si rimanda a F. D’ANGELO, Il Mezzogiorno, Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 561 Certamente volontaria fu la decisione di accompagnare, fino a Firenze, Gaetano Bellelli, uomo di spicco dell’esercito murattiano, poi protagonista durante i moti del 1820 e infine capo del governo provvisorio di Salerno. A Firenze il generale Bellelli decise di rientrare a Napoli per sbrigare alcuni affari personali, mentre Sangiovanni proseguì il viaggio fino a Venezia in compagnia di Francesco Muscettola. Non casuale fu la visita a Firenze a Giuseppe Poerio, uno dei più autorevoli rappresentanti del governo repubblicano nel 1799 e successivamente deputato al parlamento napoletano nel 1820. Avevano poi cadenza quotidiana le riunioni in casa di Giuseppe Zurlo, appuntamenti, come emerge chiaramente dal Giornale di Sangiovanni, che avevano un ritmo serrato e che rappresentavano una consuetudine piacevole e importante. Attraverso i dialoghi con il conte Zurlo, che era stato ministro dell’Interno al tempo di Murat, Sangiovanni riviveva gli anni del governo napoleonico, i più fecondi, a suo dire, per la ricerca scientifica nel Regno. La sera del 24 marzo presso l’appartamento di Zurlo, egli incontrò pure Alessandro Begani, generale d’artiglieria dell’esercito di Murat. Gli appuntamenti con i compatrioti esuli, gli ex murattiani, i ministri del governo francese furono di natura politica, di altro genere quelli con i colleghi incontrati durante il viaggio in Italia. La socialità scientifica, in cui comunque la conversazione non trascurava aspetti mondani e apparentemente di secondaria importanza, era un modo per proporre un più intenso scambio di idee e di riflessioni puramente scientifiche. Prendere parte ai ritrovi con uomini di scienza di altre città rappresentava un’opportunità per farsi apprezzare, giudicare e soprattutto per aggiornarsi. l’Europa, il Mediterraneo. Il carteggio Sangiovanni, Roma, Aracne, 2018 (in corso di pubblicazione). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 562 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo A Fondi, durante il viaggio da Napoli a Venezia, Sangiovanni discusse con un medico, tale Zecca, delle origini del “tifo nervoso” e della “febbre petecchiale”, termine con cui si identificava il tifo esantematico, e dei possibili rimedi atti ad arginare le loro conseguenze. A Firenze lo zoologo napoletano si intrattenne con il medico Antonio Nanula, anch’egli di Napoli. Per incontrare Francesco Aglietti, consigliere del governo austriaco a Venezia e protomedico di Stato, fu necessaria la lettera di raccomandazione rilasciata da Zurlo. Aglietti, che fece ricerche sulla litiasi delle arterie evidenziando l’importanza delle lesioni anatomiche nella formazione degli aneurismi, era medico di grande reputazione e di prestigio a Venezia e in Italia. Sangiovanni avrebbe potuto frequentarlo soltanto esibendo una lettera commendatizia. Le lettere di raccomandazione, alle quali lo scienziato napoletano ricorreva spesso durante i suoi spostamenti in Italia, contribuivano a garantire l’identità e la legittimità del viaggiatore. Raccolte prima della partenza o durante il tragitto, permisero di attivare a suo profitto un insieme di conoscenze indirette e di abbreviare così il tempo necessario per accedere alle risorse materiali, sociali e intellettuali delle città attraversate. Le lettere di raccomandazione servirono inoltre in diverse occasioni per procurare una guida per visitare una città, accedere alle sfere della socialità urbana, oppure ad alcune comodità materiali come ad esempio un alloggio. Il viaggio in Italia fu l’occasione per discutere non soltanto di medicina. A Roma Sangiovanni si interessò agli studi matematici di Bartolomeo Gandolfi, che conobbe al Collegio Nazareno grazie ala lettera di presentazione di Teodoro Monticelli, studioso di mineralogia all’Università di Napoli. Sempre a Roma, accompagnato dalle lettere di Carlo Giuseppe Gismondi docente di mineralogia a Napoli per pochi mesi, Sangiovanni visitò la farmacia di tale Conti, presso la Basilica di Sant’Eusta- Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 563 chio, e prese parte come uditore alla Sapienza alle lezioni di Domenico Morichini sulla magnetizzazione dell’ago d’acciaio. Il 25 marzo in caso dello stesso Conti, si intrattenne con Luigi Metaxà, professore di veterinaria alla medesima scuola. L’incontro con Girolamo de’ Bardi, direttore dell’Istruzione pubblica e del Gabinetto di fisica di Firenze, fu l’occasione per ricordare gli anni di studio a Parigi sotto l’influenza di Georges Cuvier. A Ferrara infine conobbe personalmente Antonio Campana, docente di chimica e di farmacia all’università. Il Giornale conferma che uno dei luoghi maggiormente caratteristici della socialità ottocentesca fu il salotto, accanto al quale si affermarono in maniera sempre più evidente altri luoghi di ritrovo e di incontro: associazioni, club, caffè, circoli, società filantropiche, gabinetti di lettura. Come surrogato di associazionismo politico, al tempo vietato, il salotto era momento di confronto tra posizioni e opinioni diverse. In esso si dibatteva pure di scienza, di arte, di letteratura. È quanto appare dal diario del viaggio in Italia: in caso di un certo abate Pennoni la sera del 17 marzo si discusse delle visite alla Colonna Antonina e al Colosseo, effettuate al mattino. Il giorno seguente, il 18 marzo, in compagnia di Gaetano Bellelli e di Francesco Muscettola, Sangiovanni fece visita allo studio di Antonio Canova che conobbe personalmente: lo scultore mostrò ai suoi ospiti alcune realizzazioni, le Tre Grazie e la statua di Ferdinando I di Borbone. Con il pittore Agostino Tofanelli lo scienziato dialogò sul Colosseo e sul Campidoglio. Il dopocena del 27 marzo, sempre accompagnato dall’abate Pennoni, si recò presso la dimora di un poeta, Scrucci, ad ascoltare alcune sue composizioni: «su temi dati dagli astanti e tirati a sorte [Scrucci] ha improvvisato La morte di Saffo, Le nozze di Psiche ed Amore nel cielo, La morte di Socrate, della quale egli ha formato una tragedia»28. 28 SANGIOVANNI, Giornale del mio viaggio, 27 marzo 1818. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 564 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo In Toscana gli appuntamenti presso la dimora del duca di Diano avevano ancora come oggetto di discussione l’arte. Al dopopranzo del 25 aprile si ricordava la visita effettuata alla Villa Medicea del Poggio Imperiale, sul colle di Arcetri; la sera del 27 invece si parlava della fabbrica di porcellana fondata a Doccia da Carlo Ginori nel 1737. Momenti di svago e di incontro furono pure le serate trascorse a teatro. Al Valle di Roma, presso Sant’Eustachio, Sangiovanni apprezzò la rappresentazione dell’Agnese di Ferdinando Paër, mentre al San Benedetto di Venezia, «bellissimo e più grande del nostro Fondo», ammirò la rappresentazione del Barbiere di Siviglia29. Un viaggiatore di diporto Il viaggio in Italia e il Giornale che raccoglie le esperienze e le sensazioni provate in quella occasione consentono di elaborare alcune riflessioni. Negli anni della Restaurazione, un periodo in cui gli Stati preunitari italiani sono alla ricerca di un nuovo equilibrio dopo gli sconvolgimenti rivoluzionari e napoleonici, il movimento dei viaggiatori riprende, anche se sotto un controllo serrato effettuato alle frontiere. A partire dagli ultimi anni del Settecento, ma soprattutto dagli inizi dell’Ottocento, l’esperienza del viaggio si arricchisce della sensibilità romantica: l’inquietudine e l’irrequietezza interiore. Il viaggiatore è attento ai paesaggi naturali e ai monumenti creati dall’uomo, così come prova ammirazione per la cultura popolare e i suoi costumi. L’Ottocento inaugura inoltre «la 29 Ivi, 13 maggio 1818. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 565 grande stagione del sublime naturale, letterario e artistico, veicolato dal sentire romantico»30. Lo stimolo alla partenza non viene più soltanto da ragioni scientifiche, politiche, ma anche dalle istanze romantiche, tra le quali lo spleen con cui si «intende la malinconia che connota il Romanticismo [o] una sorta di ansia melanconica senza motivo»31. Con ritmo serrato e tono malinconico Sangiovanni racocnta nel suo giornale l’emozione suscitata dai resti della civiltà romana. Alle rovine dell’antica città di Minturno seguiva sulla strada per Formia il mausoleo di Cicerone, che ricordava il luogo in cui era stato assassinato32. Il sentimento della rovina era tipico del sentire romantico. Le rovine ispiravano in Sangiovanni la sensazione del disfacimento dele cose prodotte dall’uomo, dando allo spettatore la commozione del tempo che scorre. Le testimonianze delle civiltà passate, anche se aggredite dalla corrosione del tempo, erano comunque presenti nelle rovine. Ed esse, per lo spirito romantico, erano più emozionanti e piacevoli di un edificio, di un manufatto intero. Ad Albano Laziale, alla vista di tombe e altri monumenti antichi andati in rovina, lo scienziato confessava che L’animo dell’osservatore all’aspetto del loro prodifioso numero [dei monumenti antichi], meditando sull’estraordinaria potenza del popolo che li edificò passa per gradi dalla contemplazione all’ammirazione, dall’ammirazione alla sorpresa, dalla sorpresa allo spavento, e da questo all’avvilimento33. 30 R. BODEI, Paesaggi sublimi. Gli uomini davanti alla natura selvaggia, Milano, Bompiani, 2008. 31 BERRINO, Storia del turismo, p. 22. Sul concetto di spleen si rimanda a M. BOYER, Histoire générale du tourisme. Du XVIe au XXIe siècle, Paris, L’Harmattan, 2005. 32 SANGIOVANNI, Giornale del mio viaggio, 11 marzo 1818. 33 Ivi, 13 marzo 1818. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 566 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Al sentimento della rovina si affianca una categoria estetica, il pittoresco, che connota il Romanticismo. I punti di veduta che offrivano le colline senesi «sono estremamente pittoresche», così come il Valico della Somma, tra Spoleto e Terni, presentava «luoghi circonvicini tutti cinti da montagne coverte di boschi molto pittoreschi»34. Un piccolo bosco e la cascata nelle sue vicinanze rappresentavano altrettanti punti di veduta molto interessanti e pittoreschi. Il pittoresco era la categoria estetica dei paesaggi che pure in Sangiovanni si configurava come il rifiuto della precisione geometrica, per ritrovare la sensazione gradevole nella irregolarità e nel disordine spontaneo della natura. Nella cultura romantica accanto alla categoria del pittoresco si impone pure quella del sublime. Agli occhi dello zoologo la montagna di San Casciano in Val di Pesa, oggi comune italiano della provincia di Firenze, era «orribilmente aspra»35. Sgomento e paura egli provava alla vista in lontananza delle Alpi. La catena degli Appennini, ammirata dal versante adriatico, appariva, in contrapposizione ossimorica, bella e orribile. Senso di smarrimento provocava la cascata delle Marmore, «nulla di più ammirabile, di più maestoso» che «si frange, s’imbianca, si cambia in ischiuma, in nube, in vapore e poi risale e sorpassa la sua origine; ed infine, che quando la sua collera è calmata, rientra nel letto del fiume e corre pacificamente verso il suo destino»36. Tuttavia non soltanto i paesaggi naturali suscitavano spavento e meraviglia: un uomo poteva provare stupore e irrequietezza nel vedere Venezia edificata sull’acqua, città paragonata a un’immensa flotta di navi da guerra che «maestosamente galleggia sul mare, sprezzando ogni tempesta»37. 34 Ivi, 16 aprile e 3 giugno 1818. Ivi, 16 aprile 1818. 36 Ivi, 3 giugno 1818. 37 Ivi, 7 maggio 1818. 35 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 567 Al bello, categoria estetica propria del neoclassicismo e che doveva ispirare sensazioni gradevoli, si opponeva il sublime romantico. Esso non nasceva dal piacere della misura e della forma bella, né dalla contemplazione disinteressata dell’oggetto, ma aveva la sua radice nei sentimenti di paura e di orrore suscitati dall’infinito, dalla dismisura, da tutto ciò che è terribile o che riguarda cose terribili, il vuoto, l’oscurità, la solitudine, il silenzio. Il sublime era in ultima analisi quel sentimento misto di sgomento e di piacere determinato sia dall’assolutamente grande e incommensurabile, sia dallo spettacolo dei grandi sconvolgimenti e fenomeni naturali che provocavano nell’uomo il senso della sua fragilità e finitezza. Nelle pagine del Giornale, oltre al richiamo ai canoni estetici del pittoresco e del sublime, appare evidente l’inquietudine interiore del viaggiatore, il cui animo spesso si lascia attrarre dalla malinconia e dalla morte come soluzione necessaria a placare i dissidi dell’inconscio. Il senso d’inquietudine, d’insoddisfazione e di malinconia spingeva Sangiovanni a cercare conforto o nella contemplazione della natura, sentita come proiezione dello stato d’animo, o nella propria interiorità, o nella morte. Ai padri del convento di San Lazzaro degli Armeni a Venezia egli «diede un eterno addio»; grande sofferenza interiore provò al momento della partenza da Venezia: «Io cesserò di essere infelice quando finità la mia esistenza, imperocché infelicità ed esistenza per me sono sinonimo». La visita al cimitero di Bologna «se non fa venire il desiderio di morire, diminuisce almeno il terrore della morte e la fa meno temere. Felice colui che essendo già preso al termine di sua vita, può andare a morire in Bologna!!»38. Il Giornale è dunque lo specchio di un’anima, il ritratto di una moralità che in Sangiovanni non è difficile scorgere seria e 38 Ivi, 19, 20, 25 maggio 1818. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 568 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo schiva, a tratti ombrosa e intransigente, che gli fa biasimare aspramente l’ipocrita e indifferente condotta dei cattolici e delle gerarchie ecclesiastiche in occasione delle celebrazioni della Santa Pasqua. Chi partecipò alla messa pasquale nella Basilica di San Pietro, egli si chiede: Era attento alle sacrosante funzioni che con indicibile pompa e solennità vi si celebravano? Niente affatto: non ve n’era alcuna. La chiesa di S. Pietro era in tumulto, in rumore, in confusione, in lascivia. Tutti portavano a braccio le loro innamorate, scandalosamente vestite e scoverte quasi fino all’ombelico ed ai seni. I cardinali, i prelati ed i vescovi, erano ancor essi confusi nella folla, tenendo a braccio le loro drude, scelte, come ben si comprende, fra le più belle e lascive dame romane, ancor queste più oscenamente vestite e chiassavano, ridevano, squasiavano. I principali attori di questa scandalosa commedia erano i primi ministri di Cristo39. Ancor più duro è il commento all’attività commerciale degli abitanti di Loreto che consisteva nella vendita di oggetti sacri legati al santuario della città: essa non era altro che il frutto di «una maleintesa religione!»40. Se i lauretani erano da condannare, da ammirare erano invece i paesani che organizzavano ogni anno la festa popolare presso il Parco delle Cascine, vicino Firenze. Una gran quantità di gente popolare, galantemente vestita, desina, balla, canta e suona. Non puol’idearsi una festa popolare più dilettevole che mostri quanto contribuisca la pubblica educazione rendere un popolo civile, costumato, manieroso ed istruito41. A Le Maschere, piccolo contado oggi frazione del comune di Barberino del Mugello, lo zoologo prese parte a una festa popolare che si svolse i primi tre giorni di maggio in cui «diversi 39 Ivi, 19 marzo 1818. Ivi, 31 maggio 1818. 41 Ivi, 30 aprile 1818. 40 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 569 drappelli di amabili donzelle, ornate di corone di fiori recitavano a coro le loro canzoni di Maggio». Un canto in particolare lo colpì, quello che derise il «tumulo fungo fetido ed inetto Vecchione», che nel periodo dei moti del 1820-1821 fu ministro dell’Interno a Napoli42. L’attenzione dell’autore del Giornale alle manifestazioni popolari di alcuni paesi dell’Italia si inserisce nel nuovo clima culturale della fine del Settecento e dei primi decenni dell’Ottocento, in cui fu forte l’interesse conoscitivo verso gli usi, i costumi e le credenze popolari. Gli stessi che nei secoli precedenti erano considerati consuetudines non laudabiles, devianze e sopravvivenze di un’antichità pagana, nella cultura romantica invece le manifestazioni culturali del vulgus diventavano oggetto di osservazione e non di giudizio, di conoscenza, di descrizione. A un’antica mentalità che vedeva negli strati più umili della società l’espressione di rozzezza e di inciviltà, si opponeva quella ottocentesca: il popolo e la cultura da esso espressa rappresentavano i referenti irrinunciabili ai quali ispirarsi in cerca di un principio unificatore in grado di far affiorare un senso di unità interna da contrapporre alla frammentarietà politica. Il popolo, che in precedenza era stato vituperato e condannato per i suoi atteggiamenti devianti, era l’anima della nazione, culla dei valori autentici e puri cui attingere per costruire un’identità nazionale. Altro aspetto interessante del Giornale è il continuo confronto, mai però apertamente dichiarato ma comunque riconoscibile a una lettura profonda del diario, tra le città italiane visitate e quelle del Regno di Napoli. Ai pessimi abitanti di Itri «inclinati al furto e al massacro, tendenze le quali vengono sicura- 42 Ivi, 2 maggio 1818. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 570 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo mente in loro generate fin dal nascere dalla orrenda conformazione del luogo ove dimorano»43, si opponevano le gioiose popolazioni della Toscana. Alle redditizie campagne dell’alto Lazio, della Toscana, dell’Umbria e della Romagna coltivate con tecniche moderne si contrapponevano quelle del Mezzogiorno. Alle università italiane, dotate di efficienti laboratori e di strumenti scientifici adeguati, facevano da contraltare quelle napoletane spesso alle prese con difficoltà economiche, burocratiche e amministrative. Ma il paragone operato tra Napoli e il resto d’Italia non voleva essere fine a se stesso, né tantomeno voleva presentarsi come sterile critica, come l’invettiva di chi era stato espulso per motivi politici dalla sua patria ed era stato poi sempre sotto stretta sorveglianza. Voleva essere in realtà un monito, o meglio un incitamento, non tanto al governo quanto alla società civile, a ispirarsi ai modelli politici, economici, culturali, scientifici, i migliori della Penisola. Conclusione Sangiovanni si avvicina alle bellezze naturali, artistiche e paesaggistiche dei luoghi visitati con un approccio non più soltanto scientista, bensì dando libero sfogo alle sensazioni e senza nascondere l’aspetto ludico. Il viaggio in Italia è inoltre un momento necessario di evasione, di riposo. Per l’attiva partecipazione alla Repubblica napoletana e al Decennio francese, Sangiovanni è stato posto sotto stretta sorveglianza dai Borbone durante la Restaurazione; l’allontanamento temporaneo da Napoli è quindi anche un’esigenza psicologica, un’occasione per ritemprare la mente e il corpo. 43 Ivi, 11 marzo 1818. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 571 Ma la partenza per qualche mese dalla capitale diventa pure un’occasione di formazione scientifica e di educazione intellettuale. Roma, Firenze, Bologna, Venezia appaiono nel diario di viaggio il cuore pulsante della cultura italiana di primo Ottocento e rappresentano i centri propulsori del sapere scientifico. I nomi prestigiosi, le istituzioni, le ricche biblioteche, i grandi musei della Penisola, citati frequentemente nel Giornale sono modelli ai quali il Regno di Napoli avrebbe potuto e forse dovuto ispirarsi per conseguire altri risultati eccellenti nel campo dell’astronimia, della fisica e della medicina e stabilizzarli sulla lunga durata. Seguire Sangiovanni lungo le strade d’Italia permette di annotare le curiosità storiche e geografiche di città, di piccole contrade, di borghi, di fiumi. Ma soprattutto di conoscere i fremiti di uno spirito romantico dinanzi ai paesaggi naturali. Occorre ancora sottolineare che il viaggio in Italia è un’importante opportunità di discussione politica in un momento storico rilevante, come quello della Restaurazione. Gli incontri con i compatrioti, gli esuli napoletani, gli ex murattiani servono a mantenire vivo «le souvenir de Murat»44 e del riformismo francese del Decennio. In particolare, il modello amministrativo, burocratico e tecnico-scientifico impiantato dai napoleonidi nel Mezzogiorno doveva essere mantenuto, secondo lo zoologo, nonostante il ritorno dei Borbone. E infine l’obiettivo del viaggio, apparantemente non dichiarato, sembra essere esplicito sin dalle prime battute: occorre proclamare alla patria d’origine, a Napoli, che il riscatto può trovarsi solo nella conoscenza di altre città, nel confronto con altri 44 P.-M. DELPU, De l’État muratien à l’État bourbon: la transition de l’appareil étatique napolitain sous la Restauration (1815-1822), in J.-C. CARON, J.P. LUIS (eds.), Rien appris, rien oublié ? Les Restaurations dans l’Europe postnapoléonienne (1814-1830), Rennes, PUR, 2015, 37-50, p. 45. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 572 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo uomini, nell’assimilazione di altre culture, nell’apprendimento di una nuova scienza e di nuove tecniche. Qualche anno più tardi, nel 1845, gli scienziati dell’Italia ancora divisa si riuniranno per elaborare mappe comuni del loro sapere45. Essi avranno sempre più la consapevolezza, maturata anche da Sangiovanni alla fine del viaggio in Italia, che il risorgimento delle scienze e della cultura può e deve essere prologo di quello politico e morale. 45 M. MERIGGI, Prove di comunità. Sui congressi preunitari degli scienziati italiani, in C. POGLIANO, F. CASSATA (eds.), Storia d’Italia. Annali 26. Scienza e cultura dell’Italia unita, Torino, Einaudi, 2011. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 573 Fonti Biblioteca del Dipartimento di Biologia, Università degli studi di Napoli Federico II Giornale del mio viaggio da Napoli a Venezia, eseguito nell’anno 1818, mobile metallico – libri antichi Bibliografia BERRINO A., Forestieri a Napoli nell’Ottocento: attrazioni, socialità e cultura, in «Memoria e ricerca», 46 (2014), pp. 13-28 BERRINO A., Storia del turismo in Italia, Bologna, Il Mulino, 2011 BERTRAND G., Le grand tour revisité: pour une archéologie du tourisme: le voyage des français en Italie, Roma, École française, 2008 BODEI R., Paesaggi sublimi. Gli uomini davanti alla natura selvaggia, Milano, Bompiani, 2008 BOYER M., Histoire générale du tourisme. Du XVIe au XXIe siècle, Paris, L’Harmattan, 2005 CORSI P., Lamarck en Italie, in «Revue d’histoire des sciences», 37 (1984), pp. 47-64 D’ANGELO F., Les hommes de science napolitains en exil en France, des passeurs scientifiques et politiques, in «Revue d’histoire du XIXe siècle», 53/2 (2016), pp. 39-59 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 574 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo D’ANGELO F., Scienze e viaggio. Ingegneri e architetti del Regno delle Due Sicilie, Villasanta, Limina mentis, 2014 D’ANGELO F., Dal Regno di Napoli alla Francia. Viaggi ed esilio tra Sette e Ottocento, Napoli, Dante&Descartes, 2017 DE SETA C., L’Italia del Grand Tour: da Montaigne a Goethe, Napoli, Electa, 1996 DELPU P.-M., De l’État muratien à l’État bourbon: la transition de l’appareil étatique napolitain sous la Restauration (18151822), in J.-C. CARON, J.P. LUIS (eds.), Rien appris, rien oublié ? Les Restaurations dans l’Europe postnapoléonienne (18141830), Rennes, Presses Universitaires de Rennes, pp. 37-50 KAWAMURA E., Alberghi e albergatori svizzeri in Italia tra Ottocento e Novecento, in «Storia del turismo. Annale», 4 (2004), pp. 11-39 MELIGRANA L., Il viaggio: la più bella ginnastica dello spirito. Esperienze di un turista del 18120, in «Storia del turismo. Annale», 7 (2008), PP. 11-45 MERIGGI M., Prove di comunità. Sui congressi preunitari degli scienziati italiani, in C. POGLIANO, F. CASSATA (eds.), Storia d’Itaia. Annali 26. Scienze e cultura dell’Italia unita, Torino, Einaudi, 2011 RAO A.M., Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia, 1792-1802, Napoli, Guida, 1992 SANGIOVANNI G., Diari, V. MARTUCCI (ed.), Napoli, ISPF, 2014 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 575 TORTORELLI G., Viaggiare con i libri. Saggi su editoria e viaggi nell’Ottocento, Bologna, Pendragon, 2012 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 576 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Giornale del mio viaggio a Venezia eseguito nell’anno 1818 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 577 Oggetto del viaggio Venne in pensiero al Signor Colonnello Don Gaetano Bellelli46 di Capaccio, mio caro e stimabile amico, il lodevole divisamento di eseguire un viaggio infino a Firenze, in unione dei due suoi primi figli, Raffaele e Pasquale, per farlo servire alla istruzione di questi e per osservar da vicino gli stabilimenti di educazione di Roma, di Siena e di Firenze, onde poterne avvalere per la scientifica e morale educazione degli altri suoi figli di più tenera età. Mi comunicò egli questo suo saggio disegno e vedendolo da me con elogio ed applauso approvato m'invitò a volerlo accompagnare per essergli di aiuto durante il viaggio e di consiglio nella scelta dell'Istituto di educazione sopra mentovato. Io accettai con molto piacere la sua onorevole e generosa offerta che mi presentava nel tempo medesimo la favorevole occasione di rivedere città tanto a me care e quella, ancor più grata, di allontanarmi per qualche tempo da un paese per me troppo funesto. Mi accinsi perciò sollecitamente al viaggio. Siccome era prossima l'epoca della Pasqua, si decise tra noi di profittare ancora di questa favorevole circostanza per esser presenti alle magnifiche cerimonie della Settimana Santa e veder Roma nei principali giorni della sua attuale grandezza. Fu perciò stabilito il 10 marzo pel giorno della nostra partenza. __________________________________________ 46 Gaetano Bellelli (1780 – 1838) durante il Decennio francese fu creato barone da Gioacchino Murat. Fu inoltre colonnello della Legione provinciale di Salerno e dopo la fine del regno murattiano partecipò ai moti del 1820 e diventò capo del governo provvisorio di Salerno. R. RAIMONDI, Degas e la sua famiglia in Napoli, Napoli, Sav, 1958, p. 154. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 578 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 10 Marzo Siamo partiti in posta da Napoli alle 8 del mattino col cattivo tempo. Io sono stato fortunatissimo di potermi allontanare per qualche tempo dal luogo ove ho tanto sofferto durante dieci anni, di andare a godere un poco di libertà e di piacere che in paese straniero, qualunque sia la forma del suo governo, giammai si nega al viaggiatore e di potere infine arricchire l'animo mio di altre nuove ed utili conoscenze, cose tutte le quali insieme unite debbono non poco contribuire al miglioramento della mia ben alterata salute47. Giunti in Capua, siamo andati a far colazione in casa del Signor de Filippi48, Intendente di quella provincia, molto amico del Signor Bellelli, uomo amabile, buono e molto affezionato. Siamo quindi partiti da Capua, passati per Sparanise49 e giunti poi a Sant’Agata50, ove abbiamo lasciato i cavalli di posta ed attaccato i nostri che si erano fatti precedere. Si osservano quivi i resti dell'antica città di Minturno51. Al di là di Sant'Agata vedesi il Monte Falerno, tanto celebre presso gli antichi Romani per la squisitezza dei suoi vini. 47 Dopo aver partecipato alla Rivoluzione del 1799, Giosuè Sangiovanni fu condannato all’esilio per sette anni. Rientrato a Napoli dalla Francia nel 1808 fu uno degli scienziati più importanti della Napoli murattiana. Al ritorno dei Borbone a Napoli dopo la fine del Decennio francese fu tenuto sotto stretta sorveglianza dalla polizia per i suoi trascorsi politici. 48 Costantino de Filippi, intendente di Terra di Lavoro tra il 1818 e il 1819. L. RUSSO, Francesco di Ruggiero, sindaco carbonaro di San Prisco e consigliere distrettuale, in «Rassegna storica dei Comuni», 176-181 (gennaio-dicembre 2013), pp. 118-122. 49 In provincia di Caserta. 50 In provincia di Benevento. 51 Nel 1818 Minturno, attualmente nella provincia di Latina, apparteneva al Regno delle Due Sicilie. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 579 Siamo giunti dopo al Garigliano che si passa su di un ponte di legno [sostenuto] da tredici barche. Esso è navigabile. Al di là di questo fiume veggonsi, sulla dritta della strada, i resti ben conservati di un antico acquedotto composto di moltissimi archi e sulla sinistra, rimpetto l'acquedotto, quelli di un picciolo Colosseo o Circo. Era già tardi e noi avevamo ancora molto cammino a fare. I luoghi che si dovevano passare non erano molto sicuri e noi abbiamo perciò temuto non poco, quantunque avessimo ritrovato da tratto in tratto dei piccioli posti di guardia. Era già notte quando abbiamo incontrato, non molto lungi da Mola di Gaeta52, due altre carrozze da viaggio, la di cui vista ci ha rincorati alquanto. Siamo finalmente giunti a salvamento a Mola di Gaeta verso le 8 della sera ed abbiamo preso alloggio nell'albergo che è sul lido del mare. Abbiamo fatto in questo giorno 48 miglia napoletane. 11 Marzo Siamo partiti per tempo da Mola di Gaeta. Al di là di Castellone53 abbiamo raggiunto due altre carrozze napoletane dirette ugualmente per la volta di Roma, la prima della Signora Donna Marianna Savaresi la quale con uno dei suoi figli andava a ritrovare 52 Borgo del comune di Formia. Nel 1818 apparteneva al Regno delle Due Sicilie. 53 Borgo del comune di Formia. Nel 1862 dall'unione di Mola di Gaeta e di Castellone nacque la città di Formia. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 580 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo il Conte Zurlo54, l'altra del Signor Don Francesco Muscettola55, il quale accompagnava in viaggio la sua figlia Donna Nicoletta ed il marito di costei Don Nicola Vecchione figlio del tanto famoso per ogni genere di nequizia e di perfidia, Giovan Battista Vecchione56. Siamo andati da costoro istruiti che bisognava far vistare il nostro passaporto a Mola di Gaeta, altrimenti a Fondi57 ci sarebbe stato impedito di passar oltre e saremmo stati obbligati di ritornare a Mola di Gaeta per farlo eseguire. Vi abbiamo perciò spedito il nostro cocchiere. Frattanto abbiamo continuato a piedi il nostro cammino infino al luogo ove veggonsi in un podere presso la strada gli avanzi di un edificio romano in forma di piramide quadrangolare di smisurata grandezza che dicesi essere il Mausoleo di Cicerone, il quale fu in questo sito assassinato. Io penetrato da religioso rispetto per la memoria di sì grand'uomo e da profondo orrore pel modo infelice col quale terminò egli la sua luminosa carriera, l'ho attentamente contemplato e più volte percorso. La carrozza che avevamo lasciata ci ha finalmente raggiunti col cocchiere, reduce da Mola di Gaeta col passaporto vidimato, ed abbiamo continuato il nostro viaggio verso Itri58. Lungo la strada incontrasi molti avanzi di antichi edifici. 54 Giuseppe Zurlo (1757 – 1828), ministro delle Finanze sotto Ferdinando IV di Borbone, poi dell’Interno durante il Decennio francese. Su Giuseppe Zurlo ad vocem Dizionario biografico degli italiani. 55 Probabilmente appartenente alla celebre famiglia dei Muscettola. Si veda M.A. VISCEGLIA, Formazione e dissoluzione di un patrimonio aristocratico: la famiglia Muscettola tra XVI e XIX secolo, in «Mélanges de l'École française de Rome», (1980), pp. 555-624. 56 Giovanbattista Vecchione è stato ministro dell'Interno del Regno delle Due Sicilie tra il 1821 e il 1822. Si veda L. SANSONE VAGNI, Una dimora filosofale in Pozzuoli del nobile puteolano Giovanbattista Vecchione, Foggia, Bastogi Editrice italiana, 1994. 57 In provincia di Latina. Nel 1818 apparteneva al Regno delle Due Sicilie. 58 Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 581 Itri è situato nella gola di due monti, tutti coverti di randi e floridi alberi di olivo. Il paese è grande abbastanza. Gli abitanti sono pessimi ed inclinati al furto ed al massacro, tendenze le quali vengono sicuramente in loro generate fin dal nascere dalla orrenda conformazione del luogo ove essi dimorano la quale completamente favorisce il furto e l'assassinio59. Al di là di Itri incontrasi l'antica strada consolare sui lati della quale veggonsi infiniti avanzi di edifici romani. Fra questi due se ne osservano costruiti su i due lati della strada, i quali sembrano essere stati addetti a due grandi mausolei, ovvero ad una fortificazione che fiancheggiava la strada consolare. Usciti appena dalle montagne d'Itri si entra nella grande e bella pianura di Fondi, la quale è in parte coverta di aranci. Presso all'altra estremità della pianura trovasi Fondi. Questa città è piccola e poco popolata, a cagione dell'aria cattiva che vi regna durante le stagioni estiva ed autunnale prodotta dalle acque stagnanti della pianura che la circonda. Le mura e le porte di questa città sono antiche. Essa è traversata dalla via Appia. Ho qui ritrovato il medico mio amico Signor Zecca che vi è condottato dal quale sono stato istruito che il tifo nervoso e la febbre petecchiale fanno in questo paese grande strage durante le indicate stagioni. Continuando il cammino siamo giunti a Portelle, ovvero alla Torre dei Confini60 e finalmente siamo entrati negli Stati Papali. 59 Nel 1816 Sangiovanni condusse alcune ricerche sugli abitanti di Laurino, suo paese natale, nelle quali associava la tendenza al furto e a commettere atti delinquenziali alla conformazione del territorio. Una teoria, quest’ultima, non nuova. L’ingegnere militare murattiano Francesco Costanzo, impegnato agli inizi della dominazione dei Napoleonidi a sedare in Calabria le rivolte antifrancesi, spiegava l’inclinazione delle popolazioni locali alle azioni criminose, nonché le precarie condizioni economiche delle province del Regno con la particolare struttura orografica di quelle zone. 60 Il riferimento è alla Torre dell'Epitaffio e alla Portella che segnavano il confine tra lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 582 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Quantunque l'atmosfera che regna nei domini dei successori di San Pietro non sia al certo troppo benefica e salutare, pure la sua prima influenza, forse per virtù soprannaturale, ci ha arrecato subitaneo sollievo al corpo ed alla mente. Gli avanzi di antichi edifici sono frequentissimi su questa strada. Siamo finalmente giunti a Terracina61, antica città dei Volsci, ove abbiamo pernottato. Questa città è divisa in antica ed in moderna. Quest'ultima, che è traversata dalla strada rotabile, è situata sul lido del mare. Al di là della porta d'ingresso, vedesi sulla dritta una montagna a piè della quale evvi un immenso macigno, isolato da ogni lato e di figura quasi conica, al quale è stato dato il nome di Gran Sasso d'Italia, che leggesi scolpito sulla sua base. Vi sono, inoltre, dei belli edifici. La città antica è fabbricata a dritta sulla montagna al di là della nuova. Vi si entra per una porta di antica costruzione. Evvi una spaziosa piazza in fondo alla quale è situata una gran chiesa con un bel portico, composto con antiche colonne di marmo e di granito, sulla cornice del quale veggonsi dei belli bassi rilievi. Nel portico evvi una gran vasca di granito orientale, nella quale, al dire degli abitanti, i pagani scannavano i cristiani. Nell'interno della chiesa si ammirano delle belle colonne ed un pulpito in mosaico simile a quello che esiste nella chiesa di San Matteo in Salerno. Abbiamo pernottato in Terracina nell'albergo presso la porta di Napoli. 12 Marzo Siamo partiti per tempo da Terracina. Poco di là di questa città principiano le Paludi Pontine che si traversano sulla strada detta Linea Pia, fatta sotto il pontificato 61 In provincia di Latina. Nel 1818 apparteneva allo Stato Pontificio. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 583 dell'ottimo e santo papa Pio VI, la quale è lunga 25 miglia. Le acque delle Paludi sono raccolte da molti piccioli canali i quali si riuniscono man mano in altri maggiori e quindi in due più grandi i quali fiancheggiano la grande strada e finalmente si riuniscono in un solo che va a metter foce nel mare presso Terracina. A Rocca di Fiume62 vedesi un antico ponte romano tutto intero sul quale passava la Via Appia che costeggia le falde delle montagne essendo forse in quel tempo la sottoposta pianura una profonda palude. È questo formato di grandi pezzi cubici di travertino che altri viaggiatori, male a proposito, han creduto essere di marmo. Sventuratamente questo ponte tra poco non esisterà più giacché oggi vi abbiamo veduto molti operai che vi travagliavano per demolirlo e che disponevano lungo la strada quei belli macigni lavorati forse per destinarli, d'ordine superiore, ad altro uso. La Linea Pia finisce a Torre dei Tre Ponti63 ove abbiam fatto colazione. Vi sono due colonne miliare con iscrizioni ed altri avanzi di antichi edifici. Siamo quindi giunti a Cisterna64, piccolo abitato, situato in un luogo piacevole. Le campagne sono piene della specie di quercia che produce il sughero (Quercus suber). Finalmente verso le due dopo mezzogiorno siamo giunti a Velletri65. Da Terracina infino a Velletri s'incontrano continui avanzi di antichi monumenti. 62 Si tratta di una località nei pressi di Terracina. Ibidem. 64 In provincia di Latina. 65 In provincia di Roma. 63 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 584 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo La città di Velletri è situata su di un'altura ed in una posizione alquanto ripida. È ancora cinta in parte dalle antiche mura romane. È abbastanza grande e contiene circa 1500 abitanti. Vi sono dei belli edifici. Fra gli altri è degno di osservazione il palazzo di Lancellotti66, altra volta di Ginetti, il quale è costruito su di un disegno magnifico. Vi è attaccato un giardino ornato a ribocco di belle statue di marmo e di tre antichi mausolei situati su di piedistalli di marmo. Evvi una bella loggia o corridoio con fini bassi rilievi in stucco. Ma sventuratamente è in pessimissimo stato, giacché non se ne prende più alcuna cura e le statue sono in parte mutilate e tutte rovinate. Nella corte scoverta vi è la statua di un papa, quasi colossale. La piazza che vi è davanti è spaziosa ed elegante, ed è ornata di molte fontane. Il palazzo del cardinale67 è anche bello. 13 Marzo Siamo partiti per tempo da Velletri. Il cielo era coverto di densissima nebbia che mi ha impedito di potere attentamente osservare i luoghi che vi sono scorsi durante le prime ore del mattino. Il primo luogo abitato che abbiamo incontrato è stato Genzano68, paese ben fabbricato, ornato di belle strade nell'interno e di passeggiate che s'incrociano ancor più belle al di fuori. Poco lungi da Genzano incontrasi la Riccia69, paese ameno abbastanza, situato su di un promontorio. Poco discosto dalla Riccia vedesi un monastero di Benedettini dell'ordine di quei del nostro Montecassino. 66 Si tratta di Palazzo Lancellotti che apparteneva alla famiglia Ginetti. Marzio Ginetti (1586 – 1671) ciambellano d’onore di Papa Paolo V fu creato cardinale da Papa Urbano VIII nel concistoro del 19 gennaio 1626. 68 In provincia di Roma. 69 Ibidem. 67 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 585 Prima di giungere ad Albano70 incontrasi vicino la strada la tomba dei Curiazi71, tanto celebri nella storia, la quale conservasi ancora quasi intatta. Siamo quindi giunti ad Albano, piccola e bella città edificata sulle rovine di Alba Longa, ornata di strade regolari e spaziose. Questa è l'ultima città che s'incontra prima di giungere a Roma. Essa forma il luogo di piacere e nel tempo stesso di villeggiatura della nobiltà romana. Abbiamo qui ritrovato il Signor Conte Zurlo, il quale vi si è recato per incontrare la nostra compagna di viaggio Donna Marianna Savaresi. I due lati della strada che si percorre da Albano infino a Roma sono quasi interamente coverti di avanzi di tombe e di altri antichi monumenti più o meno andati in rovina. L'animo dell'osservatore, all'aspetto del loro prodigioso numero, meditando sulla straordinaria potenza del popolo che li edificò, passa per gradi dalla contemplazione all'ammirazione, dall'ammirazione alla sorpresa, dalla sorpresa allo spavento e da questo all'avvilimento. Cinque miglia prima di giungere in Roma, s'incontrano sulla dritta gli avanzi di due antichi acquedotti; il più picciolo dei quali porta ancora l'acqua in Roma. Il più grande ed il più magnifico è in vari punti rotto ed in parte rovinato. Siamo finalmente giunti all'antica capitale del mondo per la porta di San Giovanni. Abbiamo traversato l'estesa piazza e siamo entrati nella chiesa di San Giovanni in Laterano, la quale per la nobile e singolare sua architettura, per la magnificenza e profusione delle dorature, per il gran numero di preziose e vaste colonne che lo adornano, pel suo delicato frontespizio, per la 70 Ibidem. Nei pressi di Albano Laziale si trova un sepolcro tardo-repubblicano detto degli Orazi e dei Curiazi figure leggendarie della Roma antica. 71 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 586 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo squisitezza dei quadri che vi si contengono, ecc. viene a ragione proclamato come uno dei più belli tempi di Roma. Proseguendo il cammino, siamo andati a fermarci alla Piazza Colonna, ove siamo giunti alle 11 antimeridiane, e di là noi siamo andati ad alloggiare all'Albergo della Sibilla, nella strada del Corso, presso la Porta del Popolo, e gli altri nostri compagni di viaggio in abitazioni per loro anticipatamente preparate. Questa sera sono andato a visitare il Signor Conte Zurlo dal quale sono stato abbracciato ed accolto con singolare affettuosa distinzione. 14 Marzo Siamo rimasti nello stesso albergo. 15 Marzo Essendo troppo caro l'alloggio, durante questi giorni, nell'albergo della Sibilla, per esser situato nel luogo più cospicuo della principale strada di Roma, siamo andati questa mattina ad alloggiare nell'albergo della Monaca a Torsanguigna, presso Sant'Apollinare. Dopo ci siamo recati a Montecavallo per vedere la cappella del Papa ove questa mattina ha officiato. Davanti la piazza a lato delle statue colossali di Castore e di Polluce abbiamo veduto la gran vasca o tazza di granito orientale che vi si sta situando, ritrovata non ha guari. Sono quindi andato col Signor Bellelli a desinare in casa del Duca di Eboli, figlio del Principe di Angri, il quale si è qui volontariamente rilegato (sic) per motivo di gelosia con la sua cochetta, presuntuosa ed antipatica consorte. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 587 16 Marzo La mattina siamo andati a vedere il colossale e magnifico tempio di San Pietro ove abbiamo ammirato tutte le sue magnificenze e quelle della piazza che gli è davanti. Ci siamo poi recati nel vicino quartiere detto il Trasteverino, che abbiamo scorso infino al ponte che segue quello di Sant’Angelo, vicino la Fontana detta degli Specchi. Sono andato a desinare in casa del Signor Abate Pennoni, sulla strada del Corso, insieme con la famiglia Muscettola. Il dopo pranzo, in unione del detto Signor Pennoni, siamo andati a vedere la Colonna Antonina, il Colosseo, gli Archi di trionfo e le altre antichità che s'incontrano sulla strada al di là del Campidoglio. Infine siamo andati al Palazzo Farnese. Le ore della sera le abbiamo passate in casa del signor Abate Pennoni. 17 Marzo Ho comprato l'Itinerario72 e le piante di Roma antica e moderna del Signor Vasi73. Questa circostanza mi ha procurato l'opportunità di fare la grata conoscenza dell'autore il quale è un uomo di avanzata età, e dotato di una bontà e schiettezza senza pari. Egli è di professione calcografo ed è nel tempo stesso letterato distinto. Ha in sua casa un negozio di carte geografiche e topografiche, di rami, di disegni, di quadri, di libri, ecc.; ed ha ancora per suo uso una tipografia. Ho passato le ore della sera in casa del Signor Conte Zurlo. 72 Si tratta dell'Itinerario di Mariano Vasi. M. VASI Itinerario istruttivo di Roma antica e moderna ovvero Descrizione generale dei monumenti antichi e moderni, e delle opere le più insigni di pittura, scultura, ed architettura di quest'alma città e delle sue adjacenze, Roma, presso l'autore, 1807. 73 Mariano Vasi (1744 – 1820) editore e tipografo romano. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 588 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 18 Marzo La mattina di mercoledì santo sono andato insieme con i Signori Bellelli e Muscettola a vedere lo Studio di scultura del signor Canova74. E con questa occasione ho avuto il piacere di conoscere da vicino quest'uomo, decoro della nostra Italia, tanto celebre nella sua arte, le di cui opere rivaleggiano con le più rare e pregiate dei primi scultori dell'antica Grecia. Vi ho ammirato fra le altre statue: 1° il gruppo in un sol pezzo delle Tre Grazie, nel quale, per un accidente che non poteva prevedersi, il marmo della Grazia di mezzo presenta alcune venature piombine nelle gambe ed in qualche altra parte del corpo; 2° Il Giudizio di Paride; 3° La Ninfa risvegliata da Amore, che suona la lira; 4° La Statua colossale del nostro re Ferdinando 1°; 5° L'Ercole che uccide il centauro. Siamo quindi andati a vedere la nuova e bella passeggiata fatta dai Francesi in Santa Maria dei Monti la quale è sull'altra che esiste a dritta della Piazza del Popolo. E finalmente ci siamo recati a vedere l'Accademia Francese, che è al di sopra della Piazza di Spagna. La sera siamo andati a San Pietro per assistere alle Tre ore di tenebre, nella Cappella Sistina, ed al Miserere nell'interno del tempio di San Pietro. Ho qui incontrato molti napoletani che si sono recati in Roma per vedervi le funzioni della Settimana Santa. Siamo quindi andati a passare le ultime ore della sera in casa del Signor Pennoni. 74 Antonio Canova (1757 – 1822) pittore e scultore, ritenuto il massimo esponente del Neoclassicismo. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 589 19 Marzo La mattina di giovedì Santo ci siamo nuovamente recati in San Pietro per assistere alle funzioni che si celebrano nella Cappella Sistina, alla Cena ed alla Lavanda. Il Papa, verso la fine della funzione, è stato portato su di una specie di sedia o palanchina alla cinese sulla loggia o gran balcone che è sulla porta di mezzo del tempio di Ssn Pietro, ha buttato sulla piazza varie proteste, secondo il solito, ed ha fatto una classica benedizione all'immenso numero di uomini di ogni nazione che erano nella sottoposta piazza. Ho ammirato la magnificenza con la quale sono state eseguite le sacre funzioni nell'interno del tempio di San Pietro, la bella tenuta della truppa di linea e della cavalleria che erano di parata nella piazza del tempio, e la quantità immensa del popolo che tutta la riempiva. Sono andato in seguito ad esaminare attentamente le cosiddette Logge di Raffaello d'Urbino le quali veramente sorprendono. Il dopopranzo sono andato al Museo del Vaticano. Ho ivi percorso gli estesissimi corridoi delle antiche iscrizioni o lapidi in marmo, le Sale delle Statue, dei Mosaici, delle Carte geografiche o topografiche, quelle ancor numerose delle pitture, ove è Carlo Magno, l'immensa, bella e ricca biblioteca e le stanze delle medaglie. Ho principalmente ammirato, fra un milione di preziosi e rarissimi oggetti di antichità, la superba tazza o vasca di bellissimo granito orientale ed il Cocchio tirato da due cavalli, se non erro di un sol pezzo, in marmo. La sera sono andato con la solita compagnia dei Signori Bellelli, Muscettola e Pennoni nella chiesa di San Pietro, per vedere la Gran Croce illuminata, la quale, essendo sospesa in mezzo alla croce del tempio, lo illumina interamente. È essa composta di circa 700 piccole lampade ad olio, maestrevolmente disposte su tutta la superficie. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 590 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo È inutile il dire che, durante questa notte non si accende alcun altro lume in tutta l'immensa estensione del tempio. Ecco un breve cenno di ciò che osservasi in questo vasto tempio la notte di giovedì santo, il quale non riuscirà certo di scarso a chi leggerà queste succinte notizie. In vari punti della chiesa si celebrano le sacre e mistiche funzioni che si fanno in questo giorno con straordinaria magnificenza e dignità. Fra le altre, su di una piccola loggia con parapetto davanti di un picciolo santuario, diremmo così, scavato nella spessezza dei pilastri, nella parte più elevata dell'edificio, ove conservasi centinaia di sacre reliquie, vedesi un prelato passare continuamente da un lato all'altro della cennata loggia, e mostrare una dopo l'altra tutte le reliquie che vi si contengono, e fare con ognuna di queste una solenne benedizione al popolo sottoposto. Giova l'avvertire che questo nascondiglio di sacre ossa è talmente elevato su del pavimento della chiesa, che non scorgersi affatto da colui che ne ignora il sito, ed a quello che n'è istruito, il sacerdote che vi funziona sembra un uccello bianco che frettolosamente passeggia da un angolo all'altro della sua gabbia. Il tempio intanto era pieno d'una immensa quantità di gente di ogni nazione e di ogni culto, che giungeva a circa le 5000 persone. Ma erano esse tutte devotamente intente alle sacrosante funzioni che con indicibile pompa e solennità vi si celebravano? Niente affatto: non ve n'era alcuna, giacché anche le più cattoliche ne venivan distolte da uno spettacolo il quale, anche involontariamente, attirar doveva la loro costante attenzione, e distoglierla dalla meditazione dei divini e luttuosi misteri che vi si rappresentano. La chiesa di San Pietro era in questa notte simile ad un luogo di pubblico passeggio, o, meglio ancora, al Palazzo Reale di Parigi dal quale solo differiva perché era coverto, e perché la gente vi stava a testa nuda. In tutto il resto era simile ai citati luoghi, se Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 591 pur non voglia dirsi maggiore, in tumulto, in rumore, in confusione, in lascivia. Tutti, passeggiando dall'uno all'altro estremo del tempio, portavano a braccio le loro innamorate, scandalosamente vestite e scoverte quasi infino all'ombelico ed ai seni, che solo adombravano di nero velo. I cardinali, i prelati ed i vescovi, erano ancor essi confusi nella folla, tenendo a braccio le loro drude, scelte, come ben si comprende, fra le più belle e lascive dame romane, ancor queste più oscenamente vestite, e chiassavano, ridevano, squassavano, maniavano, come se stati fossero soli e da alcun vivente osservati. Quelli poi che non avevan compagna, tra quali contavansi quasi tutti gli stranieri, seguivan da presso le coppie più scelte per ammirar le bellezze delle impudiche dame romane, e per osservare con sorpresa la impudente temerarietà e la lascivia dei loro drudi porporati. Io ed il Signor Bellelli abbiam fatto parte, come ben si comprende, di quest'ultima classe. Ma neanche ciò bastava a render completa la turpe scena e la nostra sorpresa. Il caso vi ha ancor esso concorso a mettervi il colmo. Nel mentre che sì strane cose si stavano da noi attonitamente osservando, due inglesi, per cagioni ancora impudiche e che la decenza non permette di specificare, si sono battuti e feriti a sangue a colpi di bastone in un angolo del tempio, dietro le colonne; e con ciò il tempio di S. Pietro è restato interdetto né giorni più classici delle sue fondamentali liturgie. All'aspetto di tante sì strane ed inaspettate scene, io ed il signor Bellelli siamo restati grandemente sorpresi e scandalizzati, considerando che simili lubriche cose si permettevano e si eseguivano in Roma, nel principale tempio del cattolicesimo e durante la celebrazione delle più sacre e luttuose funzioni della Settimana Santa e che i principali attori di questa scandalosa commedia erano i primi ministri di Cristo, gli essenziali sostegni del Santuario. Basti il dire, per tutto dire, che io ed il signor Bellelli ci siamo scandalizzati all'eccesso e che concordemente abbiamo Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 592 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo conchiuso d'esser questa capitale della Santa ed Apostolica chiesa cattolica, la più lubrica, la più immorale e la più irreligiosa di quante ne esistono nel cristianesimo, e mille volte ancora più incredula ed ipocrita della stessa Napoli, che infino ad ora avevamo creduto di non essere in ciò seconda ad alcuna. O tempora, o mores! O quantum est in rebus inane! 20 Marzo Venerdì santo. La mattina, in unione di Signori Pennoni e Muscettola, siamo andati a visitare i santi sepolcri nelle Chiese di Sant’Antonio dei Portoghesi, di Sant’Andrea delle Fratte, ecc. Sono quindi andato al Collegio Nazareno ove ho fatto la conoscenza del Signor Abate Gandolfi75 che vi dimora e pel quale aveva delle lettere del Cavalier Monticelli76. Questa mattina si è dovuto consacrar nuovamente, o benedire il tempio di San Pietro, a cagione del sangue che vi avevano sparso nella scorsa notte i due inglesi, battendosi. Non so se questa funzione sia stata fatta dal Papa, o da qualche Cardinale a ciò da lui delegato. La sera siamo andati in San Pietro per vedere nuovamente la illuminazione della Gran Croce, e la solita modesta e religiosa passeggiata nell'interno del tempio di numerosissima gente, la quale, senza ripeterlo, è riuscita simile in tutto a quella di ieri la notte. L'avvenimento della scorsa notte dei due inglesi che si batterono, ha obbligato il governo ad apporre delle guardie di truppa di li- 75 Bartolomeo Gandolfi (1753 – 1824) dal 1779 docente di filosofia nel collegio Barberini degli Scolopi di Ravenna, poi professore di filosofia, matematica e teologia al Nazareno di Roma. 76 Teodoro Monticelli (1759 – 1845) mineralista e autore di un’importante opera di vulcanologia vesuviana, Prodomo della Mineralogia Vesuviana. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 593 nea dietro le colonne ed in tutti gli angoli più reconditi del tempio e non illuminati dalla Gran Croce per evitare simili sconcerti ed altri del pari, o anche più osceni. 21 Marzo Mattina di Sabato Santo, siamo andati alla Chiesa detta la Scala Santa77. Per ascendervi si sale in ginocchioni una bella ed elegante gradinata coverta, non molto spaziosa, composta di gradini di marmo, e per ogni gradino deve dirsi, se non erro, un'Ave Maria e fare orazione durante qualche minuto. Da ciò ben si comprende che non vi vuol poco tempo, allorquando vuol farsi con la dovuta devozione il cennato tragitto. È questa la così detta Scala Santa, per la quale non è affatto permesso di salire su piedi, né per conseguenza di scendere. Un'altra ve n'è posta lateralmente destinata a quest'uopo. Se non erro, la Scala Santa si apre solo in questo giorno. Giunto sopra, trovasi la Chiesa e varie stanze o cappelle, che ne dipendono, ove conservansi gli oggetti più rari e preziosi in fatti di religiosa antichità. In una di queste cappelle conservasi il ritratto di Gesù Cristo, dipinto da San Luca, ed una delle spine della sua corona, che vi si conserva con molta cura e religiosità. In questa cappella, non so perché, non è permesso l'ingresso alle donne. Nella cappella laterale detta di San Domenico, ho ammirato il bello e prezioso quadro della Vergine. Siamo quindi andati alla magnifica e divina chiesa di San Giovanni in Laterano, ove abbiamo sulle prime assistito al battesimo di due ebrei che si son fatti cristiani. Ho colà esaminato la Cappella dei Corsini, ove vedesi il superbo ed antico sarcofago di porfiro, trovato sotto il Panteon di Agrippa, ed il bel quadro in 77 Si tratta del Santuario della Scala Santa nelle immediate adiacenze della basilica di San Giovanni in Laterano. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 594 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo mosaico della cappella. Sono disceso nel succorpo della stessa cappella, nel quale sono le tombe di tutti gl'individui della famiglia Corsini, ed una bella statua di marmo. Ci siamo infine recati al Colosseo, al Giardino botanico ed al Campidoglio, per esaminarvi i Musei delle Statue e dei quadri, sotto la guida del pittore Tofanelli78. La sera sono andato con i Muscettola dal Signor Conte Marescotti79, e dopo cena in casa dell'abate Pennoni. 22 Marzo Giorno di Pasqua. La mattina sono andato in San Pietro per vedervi le funzioni che vi si celebrano in questo giorno. Il Papa vi ha assistito con tutti i cardinali. Egli era assiso sul suo magnifico trono, e circondato su i due lati dai cardinali e dagli altri grandi della sua corte. Non potendo officiare Sua Santità, attese le sue gravi indisposizioni, ed il grande edema ch'egli soffre alle gambe, ha celebrato la messa in suo luogo il cardinale Mattei80, sull'altare che è sotto il baldacchino di bronzo, sostenuto da quattro colonne torte di bronzo corinzio, e sopra l'altare di argento, ove dicesi d'essere sepolto il corpo di S. Pietro, il quale è il piano del succorpo del tempio. Ho veduto il Papa molto da presso, ed ho più volte ricevuto le sue sante benedizioni. La cerimonia è stata bellissima: ricchezza eccessiva, magnificenza straordinaria, grandezza senza limiti, dignità patriarcale, 78 Agostino Tofanelli (1770 – 1834), pittore romano, frequentò i corsi dell’Accademia del Nudo di Roma dal 1781. Alcune sue opere sono nel Palazzo Spada e in alcuni appartamenti del Quirinale. 79 Pietro Abbati Marescotti (1768 – 1842) matematico modenese si dedicò alle ricerche nei campi delle equazioni algebriche, del calcolo delle probabilità e della teoria dei gruppi. 80 Potrebbe trattarsi del cardinale Alessandro Mattei (1744 – 1820), oppure del cardinale Lorenzo Girolamo Mattei (1748 – 1833). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 595 profusione infinita, tutte han fatto a gara per renderla classica ed imponente. Vi è stata un'immensa quantità di gente di ogni nazione e molta truppa di linea e le guardie del corpo, riccamente vestite. La funzione è stata terminata con la benedizione che il Papa ha data sopra la loggia di mezzo della facciata del tempio. Siamo andati a desinare con i Signori Muscettola dal Signor Abate Pennoni. Il dopopranzo siamo andati al passeggio nella Strada del Corso, ove ho ammirato il lusso della nobiltà romana, e più di tutto la bellezza dei cavalli attaccati ai loro cocchi. In seguito siamo andati alla nuova ed amena passeggiata che è sopra la Piazza del Popolo. La sera, con la stessa compagnia, ci siamo recati a vedere l'illuminazione del tempio di San Pietro, che principia dai portici infino alla sommità della croce dell'altissima cupola. La piccola illuminazione principia appena fatto notte: essa è fatta con piccioli lumi. La grande comincia ad un'ora di notte precisa, ma in un modo sì pronto che in un istante tutto il tempio vedesi illuminato. Questo colpo d'occhio è veramente inconcepibile, è sorprendente. Siamo dopo andati a veder la Girandola, ovvero il fuoco di artificio che si fa sul Castello Sant’Angelo. Esso è stato bellissimo, ma questo non mi ha tanto sorpreso, perché io ne aveva già veduto dei simili ed anche migliori in Parigi principalmente ed in Napoli. Le ultime ore della sera le abbiamo passare in casa del Signor Abate Pennoni. 23 Marzo La mattina sono andato a meglio osservare la Piazza e la Porta del Popolo, l'Obelisco e la fontana che trovansi nel mezzo di questa piazza, la Chiesa di Santa Maria del Popolo, la chiesa di Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 596 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Santa Maria de' Miracoli e quella di Santa Maria di Monte Santo, che sono, da questo lato, al principio della strada del Corso. Con l'Itinerario del signor Vasi alla mano, ho accuratamente esaminato tutti i quadri, le pitture, le statue di marmo e di bronzo, ed i mausolei che trovansi in questi tempi. Il dopopranzo, ho scorso la Città dal lato del Campo di Fiore, ed anche più lungi. Sono quindi andato a vedere il paesaggio al Corso. Le ore della sera le ho passate in casa del Signor Abate Pennoni. 24 Marzo La mattina ho recato la lettera del Padre Gismondi81 al signor Conti, farmacista in Sant’Eustachio e professore alla Sapienza. Sono andato a vedere le esperenze sulla magnetizzazione dell'ago di acciaio per mezzo del raggio cilestre, fatte alla Sapienza dal signor Morichini82, che con questa occasione ho personalmente conosciuto, e dal quale sono stato accolto con molte gentilezze. Ho fatto quindi conoscenza ancora, in casa del Signor Conti, del Signor Metaxà83 professore di Veterinaria nella scuola medesima, il quale mi ha fatto infiniti complimenti e molte civiltà. Ho conosciuto altresì il professore di fisica nello stesso Archiginnasio, Signor....... [Sangiovanni non riporta il nome]. Il dopopranzo al passeggio. 81 Carlo Giuseppe Gismondi (1762 – 1824), mineralogista, nel 1814 viene chiamato a Napoli a occupare la cattedra di mineralogia all'Università. 82 Domenico Lino Morichini (1773- 1836) chimico e medico romano introdusse a Roma le teorie di Lavoisier e fu in contatto con i più importanti scienziati europei quali Joseph-Louis Gay-Lussac, Georges Cuvier e Humphry Davy. 83 Luigi Metaxà (1778 – 1842) fu uno dei primi docenti di medicina veterinaria a Roma e in generale in Italia. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 597 La sera sono andato dal Signor Conte Zurlo, ove ho ritrovato il Signor Generale Begani84, e poi in casa del Signor Abate Pennoni. 25 Marzo La mattina ho veduto la Piazza della Minerva, l'Archiginnasio della Sapienza, il Palazzo Madama, il Palazzo Giustiniani, e la Chiesa di San Luigi de' Francesi. Il dopopranzo sono andato a vedere le chiese di Sant’Agostino, di Sant’Antonio dei Portoghesi, di Sant’Apollinare, di San Salvatore in Lauro, di Santa Maria in Vallicella, chiamata la Chiesa Nuova, e la Piazza Navona. La sera da Zurlo e dal Duca di Eboli. 26 Marzo La mattina sono salito sulla Colonna Antonina, che è situata nel centro della Piazza Colonna. Essa è composta, se non erro, di 28 pezzi cilindrici di marmo, tutti di uguale altezza e diametro, e messi l'uno sull'altro come i pezzi metallici della Pila Voltaica. Nell'asse di questi pezzi è scalpellata la scala a lumaca, composta di 191 gradini, e nella circonferenza, da tratto in tratto, vi sono praticate delle finestrine a guisa di saettiere, per illuminarla. Sulla sommità della colonna vi è uno spazio quadrato ben grande, circondato da una solidissima balconata di ferro, che la rende simile ad un'altissima trave cilindrica che avesse in cima una gabbia quadrata due volte più larga del diametro della trave 84 Alessandro Begani (1770 – 1837) generale d’artiglieria nell’esercito della Repubblica Cisalpina seguì poi Gioacchino Murat durante l’occupazione del Regno di Napoli. Nel 1820, dopo aver preso parte ai moti, fu costretto a riparare in Toscana. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 598 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo istessa. In mezzo a questo spazio elevasi la statua colossale di..... [Sangiovanni non riporta il nome]. Da questo sito vedesi sotto i piedi l'intera Città di Roma. Quest'altezza spaventa l'osservatore, massime quando si affaccia sulla balconata e si sforza di vedere la sottoposta colonna. Gli sembra allora che questa macchina colossale, aggravata dal lato ove egli si trova dal peso del suo picciolo corpo, vada insensibilmente a piegarsi, ad uscir di equilibrio e quindi rovesciarsi sul suolo. Il Signor Bellelli non ha avuto il coraggio di affacciarvisi: appena avvicinato alla balconata, ha tremato ed è fuggito a prender fiato ed a mettersi in sicurezza nella vicina scala. Infatti, allorquando si guarda nel modo sopra indicato, vedendosi tanto elevato dal suolo sottoposto, e situato sulla cima di una colonna, la quale sembra piegarsi sotto i piedi per quindi crollare, la testa gira ed il timore è immenso, a malgrado che siasi sicuro che, tranne per forza di destino, niun sinistro accidente possa in quel momento avvenire. Sulla esterna superficie di questa colonna veggonsi scolpite a basso rilievo su di una larga fascia spirale, tutte le gesta dell'Imperatore Antonino. Questa colonna è fuor di dubbio una delle più belle e sorprendenti opere dell'antichità, ed una delle più pregiate e rare cose che possegga la moderna Roma. Ardimentoso e vasto fu il disegno di quel gran popolo nell'immaginarlo, quanto sicuro e felice il successo nell'eseguirla! 27 Marzo Il dopopranzo ho percorso la Strada Ripetta dal suo principio, ove essa porta un altro nome infino alla Piazza del Popolo, ed ho attentamente esaminato tutti gli edifici che vi si trovano. La sera sono andato all'accademia data dal Signor Scrucci, poeta estemporaneo straordinariissimo. Egli, su temi dati dagli astanti e tirati a sorte, ha improvvisato: 1° Sulla morte di Saffo; 2° Sulle Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 599 nozze di Psiche ed Amore nel cielo; 3° Sulla morte di Socrate, della quale egli ha formato una tragedia. È inesprimibile la facilità, e nel tempo medesimo la celerità con la quale il giovine Scrucci improvvisa, nonché l'unità che serba nell'esporre l'argomento impostogli, l'elevatezza del pensiero e la purità della lingua che impiega. La sorpresa diviene ancora maggiore nella tragica composizione, ove diversi sono gli attori ch'egli fa entrare in scena. 28 Marzo Il dopopranzo sono andato a vedere la Chiesa di S. Agnese, quella di S. Giacomo degli Spagnoli; il palazzo Braschi, dove evvi una scala magnifica; la Piazza Pasquino, e la celebre statua che porta questo nome; la chiesa di S. Pantaleone; il Palazzo; la Chiesa di S. Andrea della Valle; la Piazza ove era altra volta il Teatro di Pompeo; il palazzo Stoppani; il Palazzo Mattei, edificato sulle fondamenta e su parte delle mura del Circo Flaminiano. La sera dal Signor Abate Pennoni. 29 Marzo La mattina sono andato nuovamente col Signor Bellelli ad alloggiare nell'Albergo della Sibilla, nella Strada del Corso, presso la Piazza del Popolo. Il dopopranzo ho veduto nella Strada del Corso, la Chiesa di Santa Maria di Montesanto; quella di Gesù e di Maria; il Palazzo Torlonia; quello di Verospi; l'altro di Chigi; la Piazza ed il palazzo di Montecitorio; il tempio di Antonino il Pio nella Piazza di Pietra, ove attualmente è la Dogana; la chiesa di Sant'Ignazio; il Collegio ed il Seminario Romano; il Palazzo Sciarra; il Palazzo Simonetti; la Chiesa di San Marcello. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 600 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo La sera da Pennoni, e quindi al Teatro della Valle, ove si è rappresentata Agnese Fitzhenry. 30 Marzo La mattina sono nuovamente asceso sulla Colonna Antonina, e, col favore del buon tempo, ho esaminato la Città ed i luoghi che la circondano. Sono dopo andato a San Pietro, ho esaminato l'interno del tempio, quindi la Cupola, ed infine sono salito per la terza volta fin entro la palla. Sono entrato ancora su i balconi che sono nell'interno della Gran Cupola. Infine sono nuovamente andato a vedere il Museo delle Iscrizioni ovvero delle Lapidi, quello dei Busti, l'altro delle Statue, ed infine quello degli Arazzi. La sera sono andato in casa della Signora Clelia, e dopo da Pennoni. 31 Marzo La mattina sono andato in sulle prime a vedere gli avanzi colossali dei pilastri del Ponte Trionfale, e quindi mi sono recato in San Pietro per osservare l'esteso succorpo e l'immenso numero di tumoli di Papi e di Re che vi si conservano; la magnifica Sagrestia, ove veggonsi due grandissimi moderni sarcofagi di porfido, ed una gran tazza del più bello granito d'oriente; la gran Biblioteca, ricca di antichi codici, e l'immenso Museo pieno di preziosi e rarissimi quadri. Il dopopranzo sono andato col Signor Pennoni a vedere la sua bella vigna, che produce graziosissimo vino, la quale è attaccata alla Villa Albani, fuori la Porta...... [Sangiovanni non riporta il nome]. In un angolo della sua cantina vedesi un'apertura o entrata delle antiche catacombe, che si estendono sotterra per alcune miglia al di là. Consistono queste in un lungo ed angusto Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 601 corridoio scavato nella rocca, con nicchie laterali, ove seppellivansi i cadaveri, e che dopo si fabbricavano. Vi si veggono ancora delle ossa. La sera da Pennoni. 1 Aprile La mattina ho veduto il Palazzo di Costaguti; la Chiesa di Santa Maria de' Funari; quella di Santa Maria in Campitelli; le tre grandi colonne che sono nella corte di una casa la quale è vicino a questa chiesa, e che credesi avere appartenuto al Tempio di Giove; il Portico di Ottavia; il Teatro di Marcello, ora Palazzo Corsini; la Chiesa di San Nicola in Carcere; quella di Santa Maria della Consolazione; l'altra di San Giovanni decollato; l'Arco di Giano Quadrifronte; la Chiesa di San Gregorio in Velabro; l'Arco di Settimio Severo; la Gran Cloaca, ovvero Cloaca Maxima; la Sorgente di acqua che è vicino alla Gran Cloaca, e che credesi essere la celebre antica sorgente di Saturna; la Chiesa di Sant’Anastasia, vicino la quale Romolo principiò il solco della sua nuova città; il Gran Circo. 2 Aprile La mattina sono andato a vedere la Basilica di San Paolo; la Porta di San Paolo; la Piramide di Caio Cestio, vicino la quale è il Cimitero dei protestanti; Monte Testaccio, formato in tempo degli antichi romani dai rottami dei vasi di creta cotta d'ogni specie, che in quel luogo esclusivamente andavano a buttarsi; l'antico Arco di San Lazzaro; le Navalia; gli avanzi del Ponte Sublicio; i ruderi degli antichi Magazzini di sale; il Monte Aventino; il Tempio di Vesta, al di sopra del quale la Gran Cloaca va a scaricarsi nel Tevere, sotto il Ponte rotto; il Colosseo; il Foro; il Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 602 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Tempio del Sole e della Luna, la di cui estensione, se giudicar sen voglia dagli avanzi, doveva essere immensa. Il dopopranzo sono andato nuovamente ad osservare nel Campidoglio il Museo delle Statue e dei quadri. Nella corte di questo edificio ho veduto i due piedi di marmo che appartennero ad una statua colossale di 30 cubiti, una coscia e gamba, come pure due teste, una di bronzo e l'altra di marmo, appartenute ugualmente a statue di straordinaria grandezza. Sono quindi andato a vedere un giardino vicino al Campidoglio, la ben alta ed erta Rupe Tarpeia85, la quale dalla elevazione del Campidoglio giunge infino al lido del sottoposto Tevere. Infine sono andato a vedere il Palazzo Doria; il Palazzo di Venezia; la Chiesa di Gesù, e quella di Santa Maria Ara Coeli. La sera sono andato dal Conte Zurlo, e poi dal Signor Abate Pennoni. 3 Aprile La mattina sono andato a vedere il Ghetto degli Ebrei, il Ponte Fabrizio, o Ponte a quattro capi; l'isola del Tevere; la Chiesa di San Sebastiano; il Ponte Cestio, o di San Bartolomeo; il Ponte Palatino, ovvero Ponte rotto; la Chiesa di Santa Cecilia martire, appartenente a nobile stirpe romana, ove è la sua bella statua di marmo, sdraiata di lato sul letto di morte, dietro colpo di pugnale ricevuto alla gola, la di cui vista intenerisce oltremodo e fa piangere, la camere del martirio, le stufe, il calderone, ecc., ove essa in vari modi era tormentata; la Chiesa di Santa Maria dell'Orto; il Ponte di Ripa grande; il Grande Ospizio di San Michele; la Dogana; il Ponte Portese; la Chiesa di San Francesco; quella dei Quaranta Santi; l'altra di Santa Maria in Trastevere, ove evvi una ricchissima soffitta dorata, per la quale l'oro è stato a larga mano 85 Rupe Tarpea, parete rocciosa posta sul lato meridionale del Campidoglio. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 603 profuso; la Chiesa di San Crisogono; quella di Santa Maria della Scala; il Monta Gianicolo, o Montorio; la Chiesa di San Pietro in Montorio, d'onde vedesi tutta la città, ed ove evvi una superba veduta; la Fontana Paulina, detta di San Pietro in Montorio; la Porta San Pancrazio; la Villa Giraud; la Villa Corsini; il Palazzo Corsini; la Casina Farnese, detta Farnesina; la Chiesa di Sant’Onofrio; la Porta di Santo Spirito; il Ponte Sisto, la Strada Giulia. Il dopopranzo sono andato a vedere la Chiesa di Santa Maria Maggiore ove, nella Cappella del Sacramento, conservansi sedici once del fieno, la fascia e i lini che servono a Gesù bambino nella grotta di Betlemme; l'Obelisco, che è dal lato della Tribuna; la Colonna che è davanti la gran facciata di Santa Maria Maggiore; l'Arco di Gallieno; la piccola, ma bella chiesa di Santa Praxede, ove conservasi il braccio con la mano di questa santa, con la spugna ch'ella impiegava per assorbire e raccogliere il sangue dei martiri, rinchiuso in un braccio di argento; il pozzo, ove ella buttava il sangue raccolto dei martiri; la pietra che le serviva di letto; la colonna sulla quale Cristo fu flagellato; un pezzo della cute di San Carlo Borromeo, come pure la tavola sulla quale egli dava da mangiare ai poveri, e la sedia sulla quale egli sedeva. Davanti l'altare maggiore di questa chiesa vi sono molti gradini di rosso antico, ben lunghi e larghi, di un sol pezzo. La sera dal signor Abate Pennoni. 4 Aprile La mattina, a malgrado del pessimo tempo che ha fatto, il quale mi ha impedito di girar molto per la Città, come avrei voluto, pure, per tutto osservare prima di partire, sono uscito ed ho veduto il Tempio di Pallade; il Tempio ed il Foro di Nerva; l'Arco dei Pantani; il Mausoleo di Augusto. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 604 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Il dopopranzo sono andato a prender congedo dai Signori Conti e Metaxà. 5 Aprile La mattina ho veduto la Fontana di Trevi; la Piazza ed il Palazzo Barberini; il Convento dei Cappuccini ed il loro Cimitero, ove delle ossa assortite dei defunti frati se ne son costruite con ammirabile maestria e pazienza colonne, piramidi, archi, tempi, testoni, fiori, ecc., che rendono quel luogo per sua natura luttuoso e triste, oggetto di curiosità e di grande ammirazione. Sono quindi andato a vedere nello stesso Convento il quadro del distinto pittore francese, Signor Gravet che rappresenta un coro di Cappuccini che officiano, il quale è di un effetto meraviglioso. Allorquando si guarda alla dovuta distanza e direzione, attraverso di un piccolo cono di carta, si veggono le persone e gli altri oggetti del Coro uscire a rilievo sul piano del quadro. L'autore si è piaciuto di ritrattarvi al naturale tutti gli attuali frati di questo convento, e le immagini sono similissime agli originali. Ho infine veduto la Piazza delle quattro Fontane; la Piazza ed il Palazzo di Montecavallo; la Chiesa di Sant’Andrea; quella di San Bernardo, e l'altra di Santa Susanna. Ho incontrato questa mattina per istrada il mio caro amico, Signor Marperger, capitano tedesco, del quale feci la conoscenza ai bagni d'Ischia. Egli mi ha messo alle strette perché fossi andato a dimorare insieme con lui, ma io, trovandomi in compagnia del Signor Bellelli, non ho potuto accettare la sua affettuosa offerta. Il dopopranzo sono andato a vedere la Fontana dell'Acqua Felice, detta ancora di Mosè; le Terme di Diocleziano; la imponente Chiesa di Santa Maria degli Argioli, ove è la bella Specola, ed ove, in parte sepolte sotto il pavimento del tempio, veggonsi le immense colonne di bellissimo granito orientale; il Convento Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 605 dei Certosini, il Castrum Praetorium, presso la Porta Pia; la Porta Pia; la Villa Patrizi; la Porta Salara. 6 Aprile La mattina sono andato a vedere il Tempio di Antonio e di Faustina, ora Chiesa di San Lorenzo in Miranda, il Tempio di Remo, attualmente vestibolo della Chiesa dei Santi Cosmo e Damiano; la Basilica di Costantino, volgarmente detta il Tempio della Pace; la Chiesa di S. Francesca Romana. Il dopopranzo ho veduto l'arco di Tito; il Tempio di Venere e di Roma (del Sole e della Luna); il Monte Palatino; il Palazzo dei Cesari; i Giardini Farnesiani; l'Arco di Costantino; l'Anfiteatro di Flavio, volgarmente detto Colosseo. La sera in casa del Signor Pennoni. 7 Aprile La mattina sono andato a vedere la Chiesa di Santa Croce di Gerusalemme; quella di San Clemente; l'altra di San Giovanni in Fonte, ovvero il Battistero di Costantino; la Scala Santa e la Cappella del Salvatore, detta Sancta Sanctorum; la Porta di San Giovanni; la Basilica di Santa Croce di Gerusalemme; il Sestorium86, volgarmente chiamato il tempio di Venere e di Cupido. Il dopopranzo ho veduto l'Anfiteatro Castrense; la Porta Maggiore; il Tempio di Minerva Medica; il Castello dell'Acqua Giulia, detto i Trofei di Mario; la Porta di San Lorenzo. La sera sono andato al Teatro della Valle, e quindi in casa di Pennoni. 86 Sessorium complesso residenziale di epoca imperiale. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 606 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 8 Aprile La mattina sono andato alla Legazione di Napoli, e poi alla Polizia per separare il mio passaporto da quello del Signor Bellelli, col quale era riunito, e per aver quindi la carta di soggiorno per rimanere in Roma. La sera in casa del Signor Pennoni. 9 Aprile Questa mattina sono partiti per la volta di Napoli il Signor Bellelli con i suoi figli, il marchese Cesa87 e la sua moglie, e la signora Angelina Pennoni, nipote del Signor Abate. Io e la famiglia Muscettola li abbiamo accompagnati infino alla Porta di San Giovanni. Dopo siamo andati a vedere la Chiesa di Santa Croce di Gerusalemme ed il Battistero di Costantino il Grande, che i Signori Muscettola, dietro la mia favorevole relazione, desideravano di osservare. Ho desinato in casa dei Signori Muscettola; ed il dopopranzo, insieme con essi, sono andato alla Chiesa di Santa Maria in Trastevere ed a quella di Santa Cecilia, che io aveva egualmente indotti a vedere, in seguito della narrazione loro fatta delle cose interessanti che vi sono da osservare. In esecuzione dell'appuntamento fatto ieri col Signor Marperger, sono andato questa sera a dimorare, per la prima volta, in sua casa, situata Vico Cenci alla Regola, n° 1°, vicino il Ghetto degli Ebrei. 87 Potrebbe trattarsi di uno degli esponenti della famiglia dei Palomba, marchesi di Cesa, attualmente comune italiano della provincia di Caserta. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 607 10 Aprile Questa mattina sono andato a vedere i quadri del Palazzo Farnese; le statue in gesso ed i quadri degli allievi napoletani, e posti nello stesso palazzo; la Farnesina, e le belle pitture a fresco che vi si conservano; le Sale di quadri del Palazzo Corsini, alla Longare, rimpetto la Farnesina, e la Villa dello stesso Principe. Ho desinato con i signori Muscettola. 11 Aprile Io era deciso di restare un altro mese in Roma per meglio osservare, e forse per l'ultima volta, le sue rarità, e per questo oggetto ho lasciato la compagnia del mio ottimo amico, Signor Bellelli, il quale peraltro, quantunque avesse avuto in progetto di giungere infino a Firenze, pure le sue domestiche cure lo hanno obbligato a subito ritornare in Napoli. Intanto, avendo legato stretta amicizia col migliore degli uomini, Signor Francesco Muscettola durante la nostra comune permanenza in Roma, ed avendo egli avuto campo di scorgere in me l'uomo, la di cui amicizia e compagnia poteva essergli di molto aiuto o conforto nel suo malaugurato viaggio, dopo avermi più e più volte inutilmente sollecitato ad accompagnarlo, è giunto infino alle commoventi preghiere per indurmi a seguirlo. Mi è allora convenuto di condiscendere alle sue voglie, a condizione che sarei anche io entrato per la mia parte nel ratizzo delle spese del viaggio. Avendo egli, dopo molto stento, di ciò convenuto, si è tra noi deciso di partire la mattina del 13 corrente. Mi ho spedito il passaporto per Firenze. Ho desinato in casa di Muscettola. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 608 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 12 Aprile Mi sono occupato a prepararmi tutto il bisognevole per la partenza. 13 Aprile Alle 6 del mattino sono partito da Roma con la famiglia Muscettola. Passando per la Piazza del Popolo vi abbiamo veduto la ghigliottina preparata per giustiziare questa mattina uno scellerato che uccise suo padre e poi lo seppellì in luogo nascosto. Egli è delle vicinanze di Roma. Poco al di là di Ponte Molle, sulla dritta della strada, s'incontra l'avanzo di un picciolo mausoleo, che dicesi essere di Nerone. Abbiamo fatto riposo a Bracciano88. Alle 5 della sera siamo giunti a Ronciglione89, ove abbiamo pernottato. Questo paese è distante 40 miglia da Roma. Sulla strada s'incontrano diversi avanzi di antichi edifici. Tutto il suolo che si percorre da Roma infino a Ronciglione è vulcanico: ne sono chiare prove le lave durissime, il tufo vulcanico di varia consistenza, i lapilli a strati ed a masso, che dappertutto s'incontrano. Le campagne che abbiamo oggi traversate, presentano tutte delle vedute piacevoli ed amene. I terreni sono piani e composti di circa sei palmi di terra vegetale, quindi suscettibili di facilissima coltura, ed atti a somministrare più che abbondanti prodotti. Ma a che giova la loro naturale fertilità, se essi sono tutti incolti o boscosi, e destinati soltanto a produrre pinguissimi erbaggi? Tranne un mezzo miglio di estensione intorno Roma, che è perlopiù sottoposto a lussuose colture, tutto il resta della terra felice 88 89 Bracciano in provincia di Roma. Ronciglione è attualmente un comune italiano della provincia di Viterbo. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 609 che le appartiene è abbandonato a se stesso, è incolto, derelitto, selvoso e disabitato! Il primo paese che incontrasi dopo Roma n'è per circa venticinque miglia distante. Egli è vero che questo Stato li manca del numero necessario di uomini per sottoporre ad utili colture tutta la estensione delle sue terre, ma ben se ne potrebbe coltivare una parte dagli abitanti che vi sono, se la indolenza dei proprietari e la poltroneria del popolo, prodotte e mantenute da politiche cagioni, le quali altri mezzi men lodevoli somministrano alla loro esistenza, non ne fosse l'unica, la vera e la criminosa sorgente. 14 Aprile La mattina siamo partiti alle 4 da Ronciglione. Abbiamo passato la montagna di Viterbo, la di cui salita è molto aspra. Tutta questa montagna è vulcanica. Siamo giunti a Viterbo, città piacevole ed ornata di molte fontane, e dopo, a Lago divino90. Continuando il cammino si arriva a Montefiascone91, ove abbiamo fatto riposo. Questo paese è situato sul lato orientale del Lago di Bolsena. Da sopra la piazza, posta al suo Occidente, vi è un bel punto di veduta, presentato dalla sottoposta e vasta pianura che è sul lato del lago, verso Montefiascone. Il Lago di Bolsena ha circa diciotto miglia di larghezza, cinque di lunghezza e circa quaranta di circonferenza. Il suo lato settentrionale è formato da una serie di alte montagne, ovvero, se si vuole, da una sola montagna lunga, dritta, tutta composta di sostanze vulcaniche, e principalmente di lave durissime, brune, basaltiche. 90 Si tratta in realtà del Lago di Vico di origine vulcanica situato nella provincia di Viterbo. 91 Montefiascone è attualmente un comune italiano nella provincia di Viterbo. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 610 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Non vi è dubbio che il Lago di Bolsena sia stato il cratere di un grandissimo vulcano che arse in tempi remotissimi. Che vasta estensione, che immensa profondità dovette esso avere nel tempo di sua esistenza! Mi è sembrato che una parte della montagna che limita il lago al Settentrione, sia calcare, ma essa fu tutta calcinata dal fuoco del vicino vulcano. La disposizione degli strati, dei lapilli, del tufo e della lava, chiaramente mostra che questo lago, Iddio sa in quale epoca fu il cratere di un colossale vulcano, come ad evidenza lo mostra l'immensa estensione delle terre vulcaniche che lo circondano. Poco prima di giungere a Bolsena, vicino la strada, si vede su questa montagna una lava basaltica divisa in tanti prismi, inclinati all'orizzonte, sotto un dato angolo, e che hanno, tuttalpiù, un palmo e mezzo di spessezza. Essi presentano un colpo d'occhio ammirabile. Vicino Montefiascone ho ritrovato sulla strada un pezzo di granito talmente cotto dal fuoco, che toccandolo cadeva in polvere. Siamo infine giunti a Bolsena, paese edificato sulle rovine dell'antica città dallo stesso nome, e vicino il gran lago di cui abbiam fatto parola. Uscendo dall'abitato, veggonsi nelle sue vicinanze, gli avanzi degli antichi edifici Etruschi. Proseguendo il cammino, si giunge a San Lorenzo vecchio92, il quale è andato in rovina, e quindi, dopo una difficilissima e penosa salita, si perviene in San Lorenzo nuovo, piccolo villaggio, con una piazza ottagonale, ove abbiamo pernottato. Da Ronciglione infino a San Lorenzo nuovo vi sono 36 miglia. 92 Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 611 15 Aprile Alle 4½ del mattino siamo partiti da S. Lorenzo. Il primo paese che incontrasi sulla strada è Acquapendente93, patria del celebre anatomico Fabricius ab Aquapendente94. Qui veggonsi dei grandi ammassi di lava dura e fuori della porta, verso Firenze, trovasi altresì un pezzo della vicina montagna di lava tutta divisa in prismi inclinati. Qui finisce la lunga estensione del suolo vulcanico, il quale principia da Velletri, se pur con più esattezza non voglia dirsi da Napoli. Si passa in seguito il bel ponte costruito sul fiume Paglia, si giunge poi a Ponte Centino e poco al di là si esce dagli Stati Papali. Si principia quindi la salita di Radicofani95, la quale è asprissima. Da questo lato il monte è tutto composto d'una immensa quantità di ciottoli, non saprei dire se di mare o di fiume, che è molto al di sopra dell'attuale livello del fiume sottoposto. Il resto della montagna è composto di gran quantità di terra argillosa, in modo che presenta dappertutto degli scoscendimenti (falanghe), i quali in alcuni siti sono spaventevoli. Si giunge dopo al castello di Radicofani, al di sotto del quale, sulla grande strada, trovasi la Dogana. Poco di là, per lo spazio di circa un quarto di miglia, incontrasi sulla strada un immenso ammasso di pietre cotte, o murcie smosse dal loro luogo nativo, alcune di color rosso, altre di color nero, altre grigie, ecc. Io credo che ciò sia stato prodotto da tremende scosse di tremuoti avvenuti in tempi da noi remotissimi. Al di là, la montagna è benanche argillosa durante tutta 93 Ibidem. Girolamo Fabrici d'Acquapendente (1533 – 1619) medico, allievo di Gabriele Falloppio, insegnò anatomia e chirurgia a Padova tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento. 95 Radicofani in provincia di Siena. 94 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 612 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo la discesa; finita la quale si sale a San Quirico96, ove abbiamo pernottato. Da S. Lorenzo nuovo infino a San Quirico vi sono 40 miglia. 16 Aprile Alle 5 del mattino siamo partiti da San Quirico. Dopo passato il fiume Ombrone si giunge a Buonconvento97, villaggio gaio e ben situato. I poderi di questo paese, posti in una bella ed amena pianura, sono buoni e ben coltivati. Ecco ciò che di preferenza mi è piaciuto nella agricoltura di queste contrade. Per sostenere le viti nei loro arbusti gli agricoltori adoperano la stessa specie di ontano, che impiegasi per lo stesso oggetto, per quanto è a mia conoscenza, soltanto nella mia patria, e che colà volgarmente chiamano occhiano (Acer [Monspessulanum]), con la sola differenza ch'essi ad ogni piede di ontano, invece di quattro rami, come praticasi nella mia patria, ne lasciano infino a venti, dividendo per ben due volte i quattro principali rami dell'albero, fino in guisa ch'esso ha la forma di un cono rovescio a larga base, e vuoto nel mezzo. Ognuno di questi rami serve per sostenere un sarmento (da noi detto testa) delle viti che dipendono da quell'ontano. Questa specie di piantagione, nel mentre che è vantagiosissima per la perfetta maturazione delle uve, produce un effetto meravigliosissimo. Al di là di Buonconvento, il terreno è ancora buono per qualche spazio; dopo incontrasi nuovamente il suolo sterile ed argilloso, il quale è totalmente inetto alla vegetazione. 96 97 Ibidem. Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 613 Proseguendo intanto il cammino ci siamo avvicinati a Siena. I dintorni di questa città offrono da tutti lati un orizzonte estesissimo, e dei punti di veduta sorprendenti e variatissimi. Alle 12 siamo giunti in Siena. Questa città è piacevole ed ornata di bellissimi edifici. Meritano soprattutto d'essere osservati: 1° la Piazza Circolare, concava ed in pendio, a guisa di lumaca; 2° il Palazzo della Signoria, che è nel fondo di questa piazza, attaccato al quale trovasi la Torre svelta ed elevata, che vedesi da lontano; 3° il Duomo, coverto esternamente ed internamente di marmo bianco e nero, disposto alternativamente a guisa di fasce; 4° il Battistero di San Giovanni, fatto sullo stesso gusto; 5° il Collegio Tolomei; 6° e moltissimi belli edifici e palazzi. I grandi edifici sono costruiti in pietra di taglio, il resto delle case è fabbricato a mattoni, come anco i muri dei poderi e dei giardini presso la città. Il pavimento delle strade è anche fatto a mattoni. Questa eleganza di costruzione non è prodotta dal lusso, ma bensì dalla necessità, giacché il terreno delle vicinanze di Siena si presta a questo modo di costruzione, e si nega a qualunque altro, giacché è tutto composto di buonissima argilla, e manca assolutamente di pietra. Da San Quirico infino a Siena vi sono 26 miglia. Alle 4 pomeridiane siamo partiti da questa città. Sei miglia circa fuori Siena, la strada presenta delle bellezze di situazione che rapiscono: i punti di veduta che si offrono allo sguardo dell'osservatore sono estremamente pittoreschi. Più di là, si lascia sulla man dritta il vasto territorio di Chianti, celebre per la squisitezza de' suoi vini. Si giunge dopo a Castiglioncello98, e quindi a Poggibonsi99, borgo ben grande, situato alle falde di una collina. 98 99 Ibidem. Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 614 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Passato Poggibonsi, a circa dodici miglia distante da Siena, trovasi la montagna di San Martino, la sommità della quale è coverta di grandissime conchiglie fossili avvolte e conservate, in alcuni siti negli strati argillosi, ed in altri in strati di terra limosa mobile. Cammin facendo, ho raccolto delle ostriche, dei balani, delle veneri, ecc. La estensione di terra nella quale questi fossili si ritrovano è di alcune miglia, giacché se ne rinvengono infino alle Tavernelle100, ed anche più oltre. Dopo alle Tavernelle, il terreno argilloso finisce, e principiano gl'immensi ammassi di ciottoli marini, dei quali sono composte tutte le colline, le pianure e le montagne di questa parte della Toscana, infino a circa cinque miglia prima di giungere a Firenze. Si trova in seguito la celebre salita di San Casciano101, ch'è di circa un miglio e mezzo, la quale è tutta dritta ed orribilmente aspra, e poi si giunge in San Casciano, borgo ben grande, che si traversa. Tre miglia prima di arrivare in Firenze, il terreno principia ad abbassarsi in vallate, costeggiate da montagne elevatissime e ravvicinate, nude, sterili e composte di gres a strati di ogni spessezza, i quali facilmente si prestano ad ogni specie di lavoro. Di questa pietra è fabbricata la città di Firenze, e con i suoi fogli larghi e levigati sono ancora maestrevolmente lastricate le sue strade. In alcuni luoghi questa pietra trovasi nello stato di decomposizione. Andando più oltre si perviene al Convento della Certosa, e quindi al sobborgo della città, che è piacevolissimo, e finalmente alla città istessa, ove siamo giunti alle 7 della sera. 100 Tavernelle Val di Pesa è attualmente un comune italiano della provincia di Firenze. 101 Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 615 Siamo andati ad alloggiare all'Albergo dello Scudo di Francia, Strada dei Leoni, presso il Palazzo Vecchio del re. È impossibile che possano descriversi o dipingere le bellezze che presenta la parte della Toscana che finora abbiamo trascorsa, risultanti dalla immensa varietà dei punti di veduta che offre, dal gran numero di colline di varia forma ed in diverso modo disposte, dalle apriche e fertili vallati che queste racchiudono, dalla maniera ammirabile con la quale è coltivata, e dalla quantità degli edifici rurali e di piacere che l'adornano. Bisogna vederla se se ne vuole avere la vera idea. 17 Aprile Ha piovuto continuamente. Sono uscito appena un poco verso la sera. 18 Aprile Il pessimo tempo che ha fatto anche quest'oggi, mi ha permesso appena di uscire un momento verso la sera. 19 Aprile La mattina sono andato a visitare il Signor Duca di Diano, il quale da qualche tempo dimora con suo figlio in questa città. Il dopopranzo sono andato insieme con lui alla passeggiata alle Cascine che è stata bellissima, a causa della quantità del popolo e della gente distinta che vi si è radunata. Ho qui incontrato il nostro compatriota Signor Antonio Nanula102, che aveva lasciato in Roma. 102 Antonio Nanula (1780 – 1846), professore di anatomia all'Università di Napoli. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 616 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo La sera sono andato al Teatro della Pergola. 20 Aprile Ho desinato in casa del Signor Duca di Diano. Il dopopranzo siamo andati nuovamente insieme alla passeggiata alle Cascine. La sera sono andato a visitare il nostro compatriota, Signor Poerio103, il quale, esiliato da Napoli, si è qui stabilito. 21 Aprile La mattina sono andato ad osservar nuovamente il Gabinetto Fisico e Zoologico, di cui tralascio di far parola per averne già dato qualche cenno in altro mio viaggio. Il dopopranzo sono andato a visitare il signor Ricci e la sua moglie, da me conosciuto in Napoli, il quale dimora nella sua campagna, che è due miglia fuori Firenze, uscendo dalla Porta di San Gallo. Ci siamo dati mille baci di tenerezza e di amicizia. La sera sono andato, insieme col Signor Duca di Diano, in casa della Signora Sofia, conosciuta per mezzo del detto Signor Duca. 22 Aprile La mattina sono andato a vedere la Chiesa di Santa Maria del Fiore; il Duomo in tutte le sue parti, ove conservasi, sulla piccola porta a man sinistra, l'antico quadro di Dante; il Campanile; la Compagnia della Misericordia; la Chiesa di San Giovanni, antico Battistero; il Bigallo; il Palazzo dell'Arciduca; la Chiesa di San Salvatore; la Basilica di San Lorenzo in tutte le sue parti; la 103 Giuseppe Poerio (1775 – 1843) partecipò alla Rivoluzione napoletana e successivamente ebbe importanti cariche amministrative durante il governo di Giuseppe Bonaparte a Napoli. Nel 1823 partì in esilio per la Toscana. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 617 celebre Biblioteca Medico Laurenziana, ove conservasi religiosamente, sotto piccola campana di cristallo il dito indice della mano dritta dell'Immortale Galileo Galilei, per ordine del Governo. Io l'ho baciato ben due volte con rispetto e venerazione. Il dopopranzo ho veduto la Compagnia delle Stimate; la Chiesa di San Jacopo in Campo Corbolini, ove, sulla porta da centro la chiesa, vedesi un piccolo quadro che rappresenta un fanciullo il quale sostiene le armi della famiglia Antella, dipinto su di un mattone da Giovanni di Sangiovanni; la Chiesa di Sant’Onofrio; quella di San Giuliano; l'altra di Sant’Antonio; il Castello San Giovanni Battista. 23 Aprile La mattina ho veduto il Palazzo Vecchio del Gran Duca; la Gran Galleria con molte statue e belle pitture; la Galleria ove sono i ritratti degli individui della famiglia dei Medici; quelli dei Gran duchi, ed i sorprendenti lavori in avorio ed in ambra; la Loggia che è sulla piazza, con tutte le belle statue che vi sono; la stupenda Fontana della Piazza; la statua equestre di Cosimo 1°; l'Edificio, o Palazzo degli Officii, cioè la Zecca, la Biblioteca Magliabechiana, la Galleria dei quadri e delle statue. Sono quindi andato a desinare dal Signor Ricci, nella sua villa, che apparteneva altra volta al Signor Sassi, sotto il cui nome è essa ancora oggi conosciuta. La sera sono andato in casa del Signor Duca di Diano. 24 Aprile Durante le ore del mattino ho veduto la Chiesa di Santa Croce, che è ricchissima in belli quadri ed in Mausolei di marmo, tra quali distinguonsi quello dell'immortale Galileo Galilei, quello Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 618 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo del celebre Alfieri, fatto con impegno dall'egregio Canova, l'altro di Buonarroti, ecc.; la Chiesa di San Giuseppe; il Monastero e la Chiesa dei Cappuccini; la Vecchia Zecca; la Chiesa di San Francesco; quella di Sant’Ambrogio; l'altra di S. Teresa; la Casa dei Buonarroti; il Palazzo Spinelli, ove è la fontana dell'acqua di Santa Croce; il Palazzo Strozzi; le Prigioni, chiamate Stinche. Il dopopranzo sono andato alle Cascine, e la sera dal Duca di Diano. 25 Aprile Il dopopranzo sono andato, in compagnia del Signor Duca di Diano, a Poggio Imperiale, ove, mediante i suoi rapporti, ho avuto l'agio di minutamente vedere tutte le stanze degli appartamenti di questo magnifico sovrano edificio, la Sala delle Statue, il Giardino e la Cappella. È questo un Palazzo che incanta. Vi si ammirano principalmente le Statue di Apollo e di Bacco; le pitture della galleria e delle vicine camere del secondo piano; l'altare della Cappella, tutto composto di pietre dure e di camei; molti cesti (coffres) egualmente ornati di vari disegni in pietre dure, e quella macchina cinese fatta in cristallo filato, destinata a dividere una camera a guisa di cortina. La sera sono andato in casa del Signor Duca di Diano 26 Aprile Il dopopranzo sono andato a passeggiare alle Cascine, in unione del Signor Duca di Diano e la Signora Sofia. 27 Aprile La mattina, in compagnia del Duca di Diano, della Signora Sofia, del Signor Ricci e di sua moglie, dopo aver fatto colazione Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 619 nella casa di campagna di quest'ultimo, sono andato a vedere la Fabbrica di porcellana del Conte Ginori, che è quattro miglia distante da Firenze. Ho così avuto l'opportunità di esaminare attentamente tutte le parti di questa bella e rinomata fabbrica, e tutte le operazioni necessarie per fare le porcellane. Tutte le campagne che abbiamo percorse sono piacevoli, amene e ben coltivate. 28 Aprile La mattina sono andato a vedere la bella fabbrica di alabastro del Signor Pisani, sul Prato, n° 1; la Chiesa di San Marco; quella dell'Annunciata, che è bella e ricchissima, principalmente per la rinomata particolare cappella dell'Annunciata, ove veggonsi, in puro metallo di argento, quaranta lampade, quaranta vasi per contener fiori; l'altare ed una trave al di sopra per sospendere le cortine che vi sono davanti. Accanto a questa vi è un'altra piccola cappella, di cui non mi ricordo il nome, i di cui muri sono tutti coverti con lamine di pietre dure, come corniole, agate, calcedonie, ecc. e guernite di altre pietre ancor più preziose. Ho veduto ancora la Casa ed il Convento degli Innocenti; l'Accademia di Belle Arti, ricchissima in preziosi quadri; lo Studio del Pittore, Signor Marchese Benvenuti; quello di Scultura in marmo ed in alabastro del Signor Bartolini, che è bellissimo; l'altro dello stesso genere del Signor Giovanni Insom104, che è bello ancor esso; la Farmacia di Santa Maria Novella, ammirabile per la sua proprietà, per la eleganza, per la sua estensione, e pel gran numero e sceltezza dei semplici, e particolarmente per le medesime composte d'ogni genere che vi si preparano. Ho desinato in casa del Signor Duca di Diano. 104 Giovanni Insom (1775 – 1855) scultore trentino fu un apprezzato alabastraio e scultore del marmo. Si formò artisticamente in Toscana. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 620 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 30 Aprile La mattina, giovedì della Ascensione, sono andato alle Cascine per vedere la festa popolare che si fa ogni anno. Una gran quantità di gente popolare, galantemente vestita, vi accorre, la quale, distribuita in vari drappelli fa colazione, desina, balla, canta e suona in mezzo alle fratte e sotto l'ombra degli alberi. Le amabili contadine toscane, accompagnate dai loro genitori e dai loro amanti, sono modestamente gaie e festose. Non può idearsi una festa popolare più dilettevole di questa, e che mostri nel tempo medesimo quanto contribuisca la pubblica educazione, ben diretta dalla saggia mano del governo, rendere un popolo civile, costumato, manieroso ed istruito. Il dopopranzo sono ritornato alle Cascine per vedere il resto della festa, e la passeggiata dei nobili in carrozza ed a piedi. Distinguevasi fra questi Sua Altezza Reale il Granduca105, il quale disceso dal suo cocchio passeggiava confuso con la folla, rispondendo affabilmente a chiunque se gli avvicinava per parlargli, e godendo all'eccesso della gioia e della felicità del suo amato popolo, dal quale, con ripetuti evviva, era affettuosamente salutato come padre e come re. E voi monarchi tutti, se non della terra, almeno della nostra colta Europa, perché non imitate la condotta di sì grand'uomo, per essere adorati come lui, o almeno men detestati e più sicuri? Il popolo intanto, diviso in vari crocchi, continuava come questa mattina a mangiare sotto l'ombra degli alberi, a cantare, a ballare ed a darsi ad altri onesti piaceri ed all'allegria. Il tempo che ha ancor esso concorso per la sua pubblica gioia, giacché la giornata è stata sempre calma, serena e di calore moderato. 105 Ferdinando III d'Asburgo Lorena, (1769-1824), Granduca di Toscana dal 1790 al 1801 e dal 1814 al 1824. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 621 Questo giorno, per me sempre memorando, ha messo il sigillo al mio piacevole soggiorno in Firenze. Io sarei fortunatissimo se potessi passarvi il resto dei giorni miei! Ma, oimè, io sono nato per essere sempre infelice! 1 Maggio Sono stato occupato a dar sesto ai miei affari per prepararmi alla partenza. Ho preso congedo dai miei compatrioti, Signori Poerio e Mandrini, dalla Signora Sofia e da suo marito, dalla Signora Della Lena, alla quale aveva già prescritto con vantaggio un metodo di cura per le sue infermità, e dal Signor Duca di Diano. Questi ultimi addio hanno molto interessato il mio cuore. I rapporti procurano dei piaceri e delle pene insieme. Questa è la vita umana! La sera ho ricevuto la visita del Signor Conte Bardi106, Direttore dell'Istruzione Pubblica e del Gabinetto di Fisica, il quale desiderava di conoscermi in seguito del modo favorevole col quale gli fu parlato di me dal mio illustre maestro, Signor Cuvier107, allorquando si recò in Firenze per organizzare l'istruzione pubblica della Toscana sotto l'Imperatore Napoleone. Egli mi ha trattato con molta distinzione. Sono restato dispiaciuto non poco di averlo conosciuto sì tardi. 106 Girolamo de' Bardi (1777 – 1829) socio dell’Accademia dei Georgofili si occupò prevalentemente di geologia e di mineralogia. Attraverso le sue numerose escursioni sull’Appennino raccolse diversi minerali che incrementarono le collezioni del Museo di fisica e di storia naturale di Firenze. 107 Georges Cuvier (1769 – 1823) uno dei più importanti scienziati francesi ed europei degli anni a cavallo tra Sette e Ottocento, professore di anatomia comparata al Muséum d’histoire naturelle di Parigi, paleontologo fu maestro di Giosuè Sangiovanni durante l’esilio a Parigi dello scienziato napoletano agli inizi dell’Ottocento. Sull’esempio di Cuvier, Sangiovanni chiese l’introduzione della cattedra di anatomia comparata all’Università di Napoli. La richiesta fu accolta con regio decreto di Giuseppe Bonaparte nel 1806. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 622 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 2 Maggio Alle 5 del mattino siamo partiti da Firenze, uscendo per la Porta di San Gallo, ove è l'Arco Trionfale. Ho lasciato questa città con pena indicibile. Una nebbia densissima ha durato infino alle 7½ del mattino, in guisa che non ho potuto godere delle bellezze dei dintorni di questa capitale. Dopo la giornata è stata bellissima. Siamo passati per Trespiano, ove è il Cimitero pubblico di Firenze. Le campagne sono amene e ben coltivate infino a cinque miglia al di là della città. Dopo esse sono per qualche tratto sterili, e la maggior parte incolte. Ho percorso la bella villa del Signor Marchese Gerini, composta di lunghi viali di cipressi. Da questo luogo si gode di una veduta bellissima. A sei miglia distante da Firenze si lascia sulla dritta la bella e magnifica Villa Reale, detta Pratolino. Ci siamo fermati alle Maschere, piccolo contado composto di un albergo e di poche case, ove siamo stati accompagnati e festeggiati da diverse drappelli di amabili donzelle, ornate di corone di fiori, le quali recitavano a coro le loro canzoni di maggio, feste che presso i toscani si celebrano durante i primi tre giorni di questo mese. Esse, su due piedi, compongono e cantano, in modo gaio e festevole, ad ogni passeggero delle lusinghiere canzoni di lode, e ciò per avere qualche moneta. Era bello il sentire le lodi menzognere che han recitato, beffando e deridendo, a quel tumulo fungo del fetido ed inetto Vecchione, il quale accerchiato dalle donzelle, stava a guisa di gufo nel centro, e stoltamente compiacendosene si aggirava dintorno. Qui le campagne sono belle e ben coltivate. Si passa quindi per Fontebuona, Cafaggiolo, Martecarelli, che sono piccioli contadi composti di poche case. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 623 Prima di giungere a Covigliaio108, si trova la montagna chiamata il Giogo, la più alta degli Appennini, ove veggonsi slamamenti di terra. Siamo giunti a Covigliaio, ove abbiamo pernottato. Abbiamo fatto circa 32 miglia. La mattina ha fatto grande nebbia; il giorno gran calore, la sera freddo sensibilissimo. La strada è bellissima da Firenze infino a Covigliaio. Principiando da Firenze, tutte le montagne sono composte di una specie di gres, per lo spazio di circa venti miglia, dopo esse sono di calce carbonata argillosa, di color palombino. 3 Maggio Siamo partiti da Covigliaio alle 5 del mattino. Il cielo era coverto di densissima nebbia. Passata Firenze ed i suoi dintorni, non si trovano più alberi di olivi. Si giunge a Pietramala109. Ad un mezzo miglio di distanza da questo piccolissimo villaggio, sulla montagna detta Monte di Fo, vi è un voluto picciolo vulcano, il quale, or più, or meno, brucia continuamente. Io però penso che ciò sia dovuto al semplice gas idrogeno che si accende, uscendo in quel luogo dalle viscere della terra, imperocché non vi è né cratere, né lava all'intorno, né vi è mai stata esplosione alcuna, e la fiamma fievole e bassa vedesi silenziosamente uscire attraverso una maceria di sassi. Abbiamo principiato la difficile salita della montagna che porta il nome di Scaricalasino, con un freddo eccessivo. Fin qui le montagne sono di pietra calcare argillosa, di color piombino. Il mare Adriatico si principia a vedere prima di giungere sulla vetta di Scaricalasino. 108 109 Covigliaio frazione del comune di Firenzuola. Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 624 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Giunti a Scaricalasino110 siamo stati crudelmente visitati dalla Dogana. Si giunge in seguito alle Filigara, e quindi a Loiano111; durante quel tratto si gode di una bellissima veduta. Da Loiano infino a Pianoro112 la veduta è bella ed estesissima. Sulla man dritta vedesi l'Adriatico; sulla sinistra scorgonsi le Alpi d'Ivrea, le quali coverte di neve, si presentano da lungi nella loro maestosa grandezza; in linea retta scovronsi le pianure di Milano, di Verona, di Padova e quelle del Po. Qui le montagne sono di gres molto fragile. Si giunge a Pianoro. Da qui infino a Bologna la strada è quasi sempre nel fondo d'una larga vallata. Da Covigliano [Covigliaio] infino a cinque miglia prima di giungere a Bologna non vi sono vigneti: il suolo è ineguale, arido, nudo, argilloso, poco fertile e freddo: vi sono solamente querce ed erbaggi da pascolo. Verso Pianoro, si trovano degli arbusti fatti con olmi, che han pochi rami, vigneti, bassi ad un dipresso come i nostri. Circa tre miglia prima di arrivare in Bologna, le terre sono fertili e mirabilmente coltivate. Vi sono dei bellissimi casini di campagna, edificati con molta magnificenza, fra le quali principalmente distinguesi quello di Aldrovandi Marescotti113. Nelle vicinanze vi sono delle grandi cartiere e dei belli molini. Siamo giunti infine a Bologna alle 3 dopo il mezzogiorno abbattuti da un calore eccessivo, dopo 34 miglia di strada. Siamo andati ad alloggiare nell'Albergo dei Tre Moretti, Contrada de' Vetturini. 110 Scaricalasino identificava l'attuale comune di Monghidoro della provincia di Bologna. 111 Loiano in provincia di Bologna. 112 Ibidem. 113 Carlo Filippo Aldrovandi Marescotti (1763 – 1823) poeta e autore di commedie. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 625 Dirò qualche cosa intorno alle bellezze e rarità di questa città al ritorno da Venezia, quando avrò più l'agio di esaminarle. 4 Maggio Alle 5 del mattino siamo partiti da Bologna. Uscendo da questa città si entra in una vasta pianura, continuazione di quella del Milanese. Giammai in mia vita ho veduto in alcun'altra parte ove io ho viaggiato una strada rotabile più bella di quella che conduce da Bologna a Ferrara. Essa non è solamente bella in se stessa, ma lo diviene maggiormente per esser sempre costeggiata dai due lati da piantagioni per lo più di pioppi ed in parte di olmi; e ciò per lo spazio di trenta miglia. Poco discosto da Bologna principiano i ristagni di acqua scavati a bella posta in mezzo alle terre, vicino alla strada rotabile, per raccogliere le acque della pianura, le quali vanno poi a scaricarsi e raccogliere in un gran canale, che è a lato della strada medesima. Più oltre s'incontrano delle risaie e dei ristagni pieni a ribocco di giunchi e di canne selvagge, da noi volgarmente dette cannogne (Arundo phragmites). In ragione che si avvicina a Ferrara i ristagni delle acque crescono e si estendono. Ciò deve di necessità produrre in queste contrade la cattiva condizione dell'aria durante la stagione estiva. Egli è vero che purtroppo vi vorrebbe per totalmente distruggere questo nocivissimo inconveniente, ma è vero altresì che un governo più umano potrebbe al certo diminuirlo. Verso Bologna le campagne sono ben coltivate: vi sono degli arbusti di ontani (occhiano) e di olmi, con due soli rami, e disposti in larghe e lunghissime fila. La terza è seminata a grano. Le case di campagna non sono così belle come quelle che vidi ieri, ma esse sono tutte di costruzione adattata agli usi rurali; ma, ciononostante, sono edificate con disegni eleganti e tenute con molta proprietà. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 626 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Si passa per Capodargine114 e quindi per Malalbergo115. Alcune miglia prima di giungere in quest'ultimo paese, incontrasi, sulla sinistra della strada rotabile, il canale navigabile detto di Malalbergo, il quale principia a Bologna e termina qui. Passato Malalbergo incontrasi il fiume chiamato Reno, il quale si valica su di una scafa, sostenuta da barche. Subito che si entra nel tenimento di Ferrara vedesi l'agricoltura ancor più negletta. Si traversano, per lo più, delle vaste estensioni di erbaggi infino alla posta della città, davanti la quale trovasi una vasta pianura, continuazione della prima, senza alcun albero. La sera siamo andati a visitare Sua Eminenza il Cardinale Arezzo116, nostro compatriota, Delegato e Governatore del Ferrarese, pel quale il Signor Muscettola aveva delle lettere di raccomandazione. È questi un uomo di bella statura e di aspetto molto avvenente e, sopra ogni credere, amabile, gentile affezionato e buon vivente. Egli è venuto personalmente a renderci la visita questa sera istessa. Siamo quindi andati al Gran Teatro ove si è rappresentata la tragedia intitolata Metello prigioniere in Cartagine nuova composizione di un canonico ferrarese. Siamo andati ad alloggiare nell'Antico Albergo dei Tre Mori, Contrada di Bocca-Leone. 114 Capo d'Argine fa parte di Meolo attualmente comune italiano della provincia di Venezia. 115 Malalbergo in provincia di Bologna. 116 Tommaso Arezzo (1756 – 1833) cardinale, aveva avuto nel 1806 importanti incarichi diplomatici a San Pietroburgo, a Dresda e a Berlino da Papa Pio VII. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 627 5 Maggio Restato in Ferrara per osservarne le cose che meritano l'attenzione del viaggiatore. Questa città che ben contenere 20.000 abitanti, ne conta appena 22.000. Essa è tutta fabbricata in mattoni. Vi è una bella piazza chiamata Piazza Nuova, ove sono il Duomo, il Palazzo, ovvero il Castello del Cardinale Governatore ed il Gran Teatro. Fra le cose che esistono in Ferrara, e che meritano particolare menzione, sono: il Duomo, o Cattedrale; il Castello, o Palazzo del Cardinale Delegato; il Gran Teatro; la Chiesa di Santa Maria in Vado; l'Università, o Liceo; la Certosa, o attuale Cimitero; la Casa dell'Ariosto; la Chiesa dei Benedettini; l'Ospedale di Sant’Anna; e Montagnoni, ossia la Pubblica passeggiata. 1° Il Duomo, Cattedrale è di architettura gotica. La facciata è bella: l'interno e a croce greca e latina. Vi sono dei bellissimi quadri di primi maestri nell'arte, del Caraccio cioè, del Guercino117 e del Garofalo118, ed un'antica immagine a fresco in mezzo busto della Vergine, che tiensi per molto miracolosa. Le pitture a fresco della cupola sono ancora di mano maestra. Vi si vede benanche la pietra sepolcrale di Lelio Giraldi119, dotto uomo ferrarese. 2° Il Castello, o Palazzo del Cardinale Delegato, governatore del Ferrarese è grandissimo. Esso è circondato ed incrociato da un largo e profondo fosso pieno di acqua stagnante, ma che si rinnova da quando in quando. Vi si entra mediante ponti di legno. Esso deve essere molto malsano. Vi è molto pesce. L'interno è 117 Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino (1591 – 1666), pittore, considerato uno dei migliori artisti della fase più matura del Barocco. 118 Benvenuto Tisi da Garofalo (1481 – 1559) esponente della Scuola ferrarese fu uno dei pittori più rappresentativi del Rinascimento italiano. 119 Lilio Gregorio Giraldi (1479 – 1552), umanista ferrarese autore del trattato di mitologia De deis gentium. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 628 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo assai vasto, ma non in bonissimo stato. L'attuale delegato, Cardinale Arezzo, lo ha accomodato in parte. Vi sono alcuni buoni quadri e tre pitture a fresco. 3° Il Gran Teatro è, senza dubbio, uno dei più belli d'Italia, fra quelli di secondo ordine. Esso è molto più grande di quello del Fondo, ha una bella forma, ed è molto armonico. Dovrebbe solamente esser meglio dipinto. 4° La Chiesa di Santa Maria in Vado è bella. La maggior parte delle bellissime pitture che vi si veggono sono del distinto pittore Bologna. Vi è ancora un'antica cupola, sulla quale veggonsi le stille di sangue uscite en jaillissant dall'ostia, durante la consacrazione, il giorno di Pasqua, del 28 marzo 1174. 5° L'Università, o Liceo si compone di una Biblioteca, di un Gabinetto di Fisica, di un Giardino botanico, di una Sala di quadri e di busti antichi in marmo, di un Gabinetto di Statue antiche in bronzo, e di un altro di Medaglie. a) La Biblioteca è ricca abbastanza: essa contiene circa 80.000 volumi, fra quali molti codici manoscritti e molte edizioni del 1400. I manoscritti sono in pergamena ed in carta. Si contano fra i primi: 1° Diciotto volumi autentici dei salmi, ornati di bellissime miniature di colori vivissimi e ricche di oro; 2° Quattro volumi atlantici della Bibbia; 3° Un trattato di Canonica in folio, ornato egualmente di miniature dorate, ecc. ecc. Fra i secondi si numerano: 1° Il manoscritto autografo del Pastor Fido di Guerini; 2° I manoscritti autografi del Tasso: cioè, a) La Gerusalemme Liberata; b) Il suo Testamento, fatto quando egli doveva partire per la Francia, nel quale, tra le altre cose, egli raccomanda principalmente ad un suo amico la conservazione e la cura dei suoi manoscritti. Lo prega inoltre di fare anticipatamente esaminare e correggere, da alcuni letterati suoi amici, quelli che egli aveva destinati ad essere impressi. Infine, egli raccomanda a questo stesso suo amico i suoi miserabili mobili, fra Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 629 quali alcune cortine, ecc. Io l'ho baciato con molto rispetto e venerazione; c) alcune lettere, fra le quali quella scritta ad un grande di Ferrara, con la quale lo supplica di fargli ottenere la grazia di farlo uscire dalla tenebrosa e malsana prigione di Sant’Anna e mandare nell'Ospedale dello stesso stabilimento, ove sarebbe stato meglio trattato. 3° Vi si conservano ancora quarantacinque pagine autografe dell'Orlando Furioso dell'Ariosto; una parte delle sue lettere, e la Commedia intitolata La Scolastica. Conservasi nella stessa biblioteca: il calamaio di bronzo dell'Ariosto; una medaglia con la sue effigie, ritrovato sul suo corpo, allorquando, negli scorsi anni, fu dissotterrato per ordine del Generale Miollis120; la sedia tutta in legno, ove egli sedeva; e finalmente la sua tomba ornata di belle iscrizioni. b) Nello stesso locale vi è un meschino Gabinetto di Fisica, un piccolo Giardino botanico, una sala miserabile di quadri e di busti antichi, in marmo, un Gabinetto assai ben fornito di piccole statue antiche di bronzo, ed altre simili cose, ed un mediocre Gabinetto di medaglie. Nel gabinetto dei bronzi antichi si conserva un basso rilievo di ferro fuso, del 1004, ritrovato nel Ferrarese, sul quale, nella data, veggonsi impiegate le cifre arabe, fra le quali distinguesi particolarmente il 4, d'onde deducesi d'esser falso ciò che si è finora creduto, cioè, che Leonardo Pisano, il quale visse nel XIII secolo, al quale questa invenzione si è finora riportata, sia stato quello che il primo inventò le dette cifre. Il meritevole direttore di questo Museo, ha pubblicato su tale interessante argomento una memoria pregevolissima. 120 Sextius Alexandre François de Miollis (1759 – 1828) generale francese partecipò alla Prima campagna d’Italia di Napoleone tra il 1796 e il 1797 segnalandosi nell’assedio di Mantova al comando delle sue truppe. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 630 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo In questo Liceo s'insegnano i diversi rami di Scienze. Il Signor Campana121, che ho ora personalmente conosciuto, v'insegna la Chimica e la Farmacia. 6° La Certosa, o attuale Cimitero. Quest'edificio si compone della Chiesa e del Monastero. a) La Chiesa è grande, bella e luminosa. Vi sono dei bellissimi quadri del Bononi122, dello Scarsellino123, del Cignaroli124, di Avanzi125, del Ghedini126, del Bastaroli127, del Turchi128, del Roselli129, del Caracci130, del Venturini131, ecc. Del pittore Bononi, 121 Antonio Campana (1753 – 1832) medico e chimico ferrarese istituì privatamente un’Accademia di fisica e di chimica. Il cardinale Giovanni Riminaldi lo nominò professore straordinario di fisica sperimentale all’Archiginnasio. 122 Carlo Bononi (1569 – 1632) pittore, è considerato uno degli artisti preminenti della Scuola ferrarese. 123 Ippolito Scarsella, detto Scarsellino (1550 – 1620), pittore ferrarese esponente dello stile tardo manierista. 124 Giambettino Cignaroli (1706 – 1770) pittore la cui produzione si estesa alla pittura celebrativa, fu pure scrittori di testi d’arte. Il suo gusto pittorico è collocato a metà strada tra l’ultimo raffaellismo e l’inizio del classicismo. 125 Jacopo Avanzi (metà XIV secolo – 1416) pittore bolognese fu attivo soprattutto a Padova dove iniziò ad affrescare la Cappella di San Giacomo nella Basilica di Sant’Antonio. 126 Giuseppe Ghedini (1707 – 1791) pittore, fu direttore dell’Accademia di Ferrara. È considerato un importante esponente del Barocco ferrarese. 127 Giuseppe Mazzuoli, detto il Bastarolo (1536 – 1589) pittore la cui produzione artistica si fonda sulla tradizione figurativa ferrarese. 128 Alessandro Turchi (1578 – 1649) pittore veronese che riscosse un notevole successo presso l’aristocrazia scaligera. 129 Niccolò Roselli (1556 – 1580) artista di riferimento del Rinascimento ferrarese. 130 Annibale Carracci (1560 – 1609), pittore bolognese, la sua produzione artistica si realizzò in antitesi a quella del tardo manierismo e propose un recupero della grande tradizione della pittura italiana del Cinquecento. Con Caravaggio e Rubens pose le basi per la nascita della pittura barocca. 131 Gaspare Venturini (1575 – 1593) si formò nell’ambiente del Manierismo ferrarese. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 631 che fu brigante, se ne vede il ritratto sotto l'immagine di un personaggio del quadro da lui fatto. b) Tutto il monastero, comprese le varie corti, i chiostri, i corridoi e le stanze in pian terreno ed i giardini, sono stati destinati ad uso di Cimitero della città. È ammirabile la decenza che si è serbata nella distribuzione di questo luogo di eterno riposo. In generale il cimitero delle donne è diviso da quello degli uomini: separato da ogni altro è il luogo di sepoltura delle monache, che non quello dei monaci e dei sacerdoti. Molti particolari si han comprato nello stesso locale le stanze a pian terreno per la sepoltura degli individui delle loro rispettive famiglie, e le hanno adattate all'uso a cui sono destinate. 7° Casa dell'Ariosto. Entrando la porta dell'abitazione di questo sommo poeta, ritrovasi sul primo arco interno del corridoio coverto, che le serve di corte, il distico seguente: “[...] Ludovici vastis imago, Nomine divini qualis Homerus erat”. Questa casa, che fu edificata dallo stesso Ariosto, è composta di tre sole stanze messe di seguito, ben grandi e luminose. Essa conservasi ancora, per Municipale disposizione, tal quale era a suo tempo: è stata soltanto internamente restaurata e biancheggiata dal Podestà del Comune. Nell'ultima stanza, dove egli dormiva, ed ove scrisse le sue opere immortali, vi sono due finestre ed un camino da fuoco, sul quale leggesi scritto di recente in caratteri cubitali la notizia seguente “Lodovico Ariosto in questa camera scrisse, e questa casa da lui edificata abitò; la quale duecento ottant'anni dopo la morte del divino poeta fu da Girolamo Cicognara, Podestà, co' denari del Comune comprata e restaurata, perché alla venerazione delle genti si mantenesse”. Vi è a tale uopo addetto un custode, il quale la tiene continuamente aperta, perché possa da ognuno esser visitata, né si permette che alcuno vi abiti. È essa sita in Contrada Mirasole. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 632 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 8° Chiesa dei Benedettini. Questa chiesa è bella e ricca di ottimi quadri di eccellentissimi autori. 9° Ospedale di Sant’Anna. È ben diviso, molto aerato, ben tenuto e capace di 700 letti. Vi è una sala divisa per le donne, la Pozzeria, una collezione d'istrumenti chirurgici, ecc. Nel pianterreno di questo Spedale, sotto di un arco, vedesi sulla dritta, la portellina d'ingresso alla tetra stanza che servì di prigione del Tasso. Su di una lapide, messa sulla porta della medesima, leggesi scolpito: “In questo carcere restò rinchiuso il Tasso durante anni sette e mesi due”. Consiste questa prigione in un'angusta stanza a lamia, orribile, oscura ed umida in modo che stentasi non poco a credere che abbia colà potuto restar prigione, non dico il Tasso, ma l'uomo più selvaggio e montagnaro del globo, senza perirvi dopo pochi giorni. È essa una specie di larga e spaventevole tomba, la di cui volta, le mura ed il pavimento di nuda terra, grondano acqua. In un angolo della medesima vedesi una piccola nicchia scavata nel muro, ove egli teneva la sua tetra lampada, e scorgesi ancora in un altro sito il luogo ove egli accendeva del fuoco per riscaldarsi. Questa fu la sorte del Gran Tasso! Serva la conoscenza delle sue grandi e continuate sventure di consolo a tanti altri infelici al par di lui, ma al certo di lui illustri e meritevoli! 10° Montagnoni. Porta questo nome una gran passeggiata pubblica, situata fuori le mura della città. È essa composta di spaziosi e lunghi viali, fiancheggiati da vigorosi e giovani alberi. Siamo andati quest'oggi a desinare da Sua Eminenza il Cardinale Arezzo, dal quale siamo stati trattati con molta decenza ed affezione. La sera siamo stati al passeggio a Montagnoni. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 633 6 Maggio Alle 5 del mattino siamo partiti da Ferrara. Non molto discosto da questa città, e quasi infino al Po, s'incontrano da tratto in tratto dei grandi ristagni di acqua. Giunti a Ponte Lago scuro132 abbiamo passato il Po su di una grande scafa, in sei minuti, a malgrado della sua larghezza, che qui è di un quarto di miglio. Questa scafa nel modo singolare com'essa è costruita, non descrive una linea retta, camminando, ma bensì un segmento di un grand'arco di cerchio. Qui finisce il territorio Ferrarese e principia il Rovigiano. Si costeggia quindi il suo lido sinistro durante circa due miglia. Qui le campagne sono fertili. Incontransi degli arbusti a fila lunghe e molto larghe, per fare i quali s'impiegano anche i noci, e da tratto in tratto delle belle abitazioni rurali. Vi sono molte piantagioni di meli e di peri, e belle seminagioni di grano e di canape. In queste contrade s'impiegano infino a quattro paia di buoi per tirare un aratro, il quale è attaccato ad una specie di carro con ruote e singolarmente costruito. Vi sono molti ristagni di acqua a lato della strada rotabile. Si giunge dopo al piccol villaggio di Tonaro, ove veggonsi dei grandi canali per raccogliere le acque, e quindi a Canale Bianco, fiume cosìddetto, il quale si costeggia per un miglio e mezzo e poi si passa sulla scafa. Dal Po infino qui la strada è pessima: qui diviene migliore. L'aspetto di estesi pascoli e di fertilissime pianure, rallegra e consola il viaggiatore che le traversa. La struttura degli edifici fatti per conservare il fieno che vi si raccoglie, merita d'essere imitata, per ciò che riguarda la perfetta conservazione del genere e la sua sicurezza. Da Bologna infino qui s'incontrano delle estese piantagioni di salci, particolarmente nelle vicinanze del canale, sul lato dritto del quale ve ne sono dei bo- 132 Pontelagoscuro frazione del comune di Ferrara. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 634 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo schi d'una estensione immensa. Proseguendo il cammino, si arriva ad Avenà, contado fabbricato a mattoni, ove si ammira ancora, ed anche dopo, la bella coltura delle campagne. Dopo si giunge a Rovigo, città ben grande, tutta edificata in mattoni che ha delle belle strade e dei portici. Il Duomo è bello e grande: il quadro che è sull'altare maggiore è bellissimo. La chiesa della Presentazione è di figura ottagonale: essa è bellissima. I muri sono tutti coverti di ottimi quadri, fatti fare dalle diverse Podestà della Città, e da qualche doge di Venezia. La madonna che vi si osserva è dipinta a fresco, e dicesi d'essere miracolosissima. Vi è una bella piazza con una colonna. Il palazzo del Podestà è sulla piazza. Le donne hanno vantaggiosa statura, sono di un bel colorito, vivaci e ben pettinate. Uscendo da Rovigo, ed anche dopo, s'incontrano dei belli poderi, delle padule e dei giardini fruttiferi. Circa tre miglia al di là, trovasi la Bovara, ove si passa l'Adige, sul quale vi sono venti molini a grano. Dopo Rovigo si ha sempre bellissima strada. Si giunge quindi al piccolo fiume Ozzo, ove si paga un dazio per le vetture. Dall'Adige infino a Baselice vi è una stupenda strada nuova, fatta da Bonaparte, tutta dritta e lunga dieci miglia. Si giunge infine a Baselice, ove abbiamo pernottato. Sull'altra collina che è sulla dritta di Baselice, e poco da esso discosto, nel podere del Signor Dodu, Veneziano, vi è un santuario composto di sette cappelle separate, fatte a foggia di grandi nicchie, situate l'un a dopo l'altra sulla strada che conduce al suo palazzo. In ognuna di queste nicchie vi è una statua in marmo di grandezza naturale. Questo podere, nel quale si ammirano dei superbi viali, si estende su tutta la collina. Il palazzo è magnifico e bello. Qui vi sono degli alberi di olivo. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 635 7 Maggio Alle 5 del mattino siamo partiti da Baselice. Appena uscito dall'abitato, incontrasi sulla sinistra della strada il canale che conduce da Baselice a Padova. Qui le campagne sono fertili, e la strada è fiancheggiata da piantagioni di pioppi. Gli agricoltori di queste contrade fanno uso ancor essi dell'aratro a ruote, tirato da tre o quattro paia di buoi. S'incontrano ancora delle estese piantagioni di salci. Due miglia circa fuori di Baselice, sulla dritta della strada, incontrasi il canale che va a Venezia. Prima di giungere a Battaglia133 e poco da esso discosto, sulla sinistra, sono i bagni in un bello edificio. Si giunge dopo a Battaglia, che è traversata dal canale di Baselice, e quindi ai Bagni di Sant’Elena. Questo paese è proprio elegante. Fuori dell'abitato incontrasi una bella casa di campagna. La grande strada che si batte è bellissima. Più oltre, vedesi sulla sinistra della strada un'altra superbissima casa di campagna. Dopo si arriva a Montegrotto134, piccolo villaggio, ove è la strada che conduce ai Bagni di questo nome. Si giunge quindi a Padova, e se ne traversa una parte. Fuori della città la strada e le campagne sono bellissime. Appena uscito da Padova, trovasi sulla dritta il famoso e bel Canale della Brenda, che da qui va a Venezia. La prima Villa rimarchevole che incontrasi, ornata di un bel Casino di Campagna, è quella della famiglia Giovanci. La strada rotabile costeggia la Brenda, ed ha lateralmente, da tratto in tratto dei ristagni di acqua. Si giunge dopo al bel villggio di [Sangiovanni non riporta il nome] circondato, dai due lati della Brenda, di bellissime case di campagna e di 133 Battaglia Terme è attualmente un comune italiano della provincia di Padova. 134 Montegrotto Terme in provincia di Padova. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 636 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo ville nobilissime, tutte ornate di statue di marmo, fra le quali altamente distinguesi quella dell'Imperatore, la quale è immensa, bellissima, circondata da estesi parchi, e più di ogni altra ricca di gran numero di statue di marmo, di fontane, di giardini, ecc. Che luoghi deliziosi! Che magnificenza! Che lusso! Tutto v'inspira piacere e voluttà. Più oltre incontrasi Dolo135, paese grande ed ameno, diviso ed in gran parte circondato e bagnato dalla Brenda. Vi sono delle piccole isole, delle tintorie e dei molini. Fuori Dolo, i due lidi della Brenda sono coverti, quasi senza interruzione di bellissime case di campagna e di Ville. Si giunge dopo a Mira Vecchia136, ove continua la serie non interrotta di case di campagna, di abitazioni particolari, di ville, di poderi, di frutteti, di giardini, ecc., in mezzo ai quali maestosamente signoreggia la Brenda. Più giù, la strada è fiancheggiata da una lunga linea di robusti castagni d'India (Hypocastanum caballinum). Continuando il cammino, si giunge a Mira, che è una continuazione non mai interrotta di edifici, divisi dalla Brenda, la quale in questo luogo forma una specie di porto, ove veggonsi riunite molte barche di quelle che sono addette al traffico del canale. Un mezzo miglio al di là della Mira, le abitazioni o finiscono, o ve ne sono pochissime, ed i terreni sono men buoni. Dalla Mira in poi, il canale della Brenda è sporco. Anche qui impiegasi tre paia di buoi per ogni aratro a ruote. Circa tre miglia prima di giungere a Mestre, la Brenda si allontana dalla strada rotabile. Da questo punto scovresi per la prima volta Venezia che somiglia ad un'immensa flotta di navi da guerra, la quale maestosamente galleggia sul mare, sprezzando ogni tempesta. Le terre vicino Mestre sono mediocri. Da tratto 135 136 Dolo è attualmente un comune italiano della provincia di Venezia. Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 637 in tratto veggonsi dei piccioli ristagni di acqua, che debbono rendere l'aria di queste contrade non troppo sana. Alle 4 dopo mezzogiorno siamo giunti a Mestre, ove abbiamo pernottato. Mestre è un paese ben grande e fabbricato a mattoni, come Ferrara e Rovigo, ed è traversato da diversi canali. Le strade hanno anch'esse dei portici, sono larghe, aerate ed amene. Vi è una bella piazza ed una buona chiesa. È, infine, una piccola città piacevole ed amena. Qui principia il canale che conduce al mare, per andare a Venezia. 8 Maggio Alle 7½ del mattino siamo partiti da Mestre, imbarcati sul canale. Cammin facendo, si passa attraverso di fortificazioni e di canali. Si principia quindi a vedere Venezia con più distinzione. L'aspetto di una città che galleggia sulle acque sorprende non poco colui che non ha idea di simili costruzioni, e che per la prima volta la vede. Dopo due miglia, si giunge all'Anconetta137, ove si lasciano i passaporti con ricevuta, per averli poi l'indomani alla Direzione di Polizia in Venezia. Qui principia la Gran Laguna. Dopo altre due miglia si trova un'altra guardia doganale. Tre miglia sulla dritta di Venezia, al suo mezzogiorno, vedesi l'isola di San Giorgio, e sulla sinistra, verso il Settentrione, quelle di Burano e di Murano più vicine a Venezia. Dopo Murano, sulla sinistra, vedesi l'isola di San Lorenzo di Murano, più vicina a questa città, e ad un miglio e mezzo da essa distante trovasi l'altra di S. Secondo. Dall'ultimo posto della Dogana, che è sul canale, infino a Venezia, vi è sulla laguna una serie di fittoni o piccole travi, piantati 137 Anconetta frazione del comune di Vicenza. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 638 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo da tratto in tratto sul fondo del mare, che sortono fuori dall'acqua, e che chiamasi la Guida di notte. Serve questa ad indicare il luogo più profondo del mare, il quale, a malgrado di qualunque bassa marea, non resta mai privo di acqua, e ne rende perciò sempre sicuro il tragitto. Nel mezzo di questa Guida di notte, due miglia circa distante da Venezia, trovasi, situata su quattro o cinque fittoni, una piccola cappella di legno simile ad una gran cassa, entro la quale conservasi la Madonna della Marina per la quale in ogni anno si fa in questo medesimo sito dai marinai e dai gondolieri una festa brillante, in guisa che una grande estensione di mare ne resta all'intorno tutta coverta di barche e di gondole. Assistono a questa festa le primarie autorità della città, e vi accorre con grande lasso tutta la nobiltà di quella capitale, nonché un numero immenso di popolo. Alle 9 del mattino siamo giunti a Venezia entrando pel Gran Canale, il quale è larghissimo e divide la città curvandosi a modo di un grande S. Si passa sotto il primo ponte, e poi sotto il secondo, chiamato Ponte Rialto composto di un solo anco e coverto di botteghe. È questo certamente un ponte magnifico, ed unico nel suo genere: è tutto costruito in pezzi di pietra di taglio. Siamo andati ad alloggiare al Leon bianco, albergo posto sul Gran Canale, nobile ma caro. La mattina sono andato frettolosamente a vedere la gran piazza e la chiesa di San Marco. Il dopopranzo sono andato a visitare il Signor Aglietti138, Consigliere del Governo Austriaco, Protomedico dello Stato, e medico 138 Francesco Aglietti (1757 – 1836) medico, studiosi di anatomia fu nominato nel 1814 protomedico del governo. Nel 1783 aveva fondato il Giornale per servire alla storia ragionata della medicina di questo secolo e nel 1793 le Memorie per servire alla storia letterale e civile. In quest’ultima opera assunse una posizione conservatrice e antilluministica che poi abbandonò Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 639 di riputazione in città, pel quale io aveva lettera di raccomandazione del Signor Conte Zurlo. Egli mi ha accolto con grande affezione, e con paterna bontà si è offerto di prestarmi qualunque assistenza durante il mio soggiorno in questa città. Mi sono quindi recato ai Giardini Pubblici, fatti sotto il governo di Bonaparte, i quali sono grandi e bellissimi. Era già notte quando mi sono ritirato all'albergo per le strade di terra accompagnato dal nostro domestico. Vicino a giungere alla porta, sono stato frettolosamente avvertito dal domestico di fermarmi all'istante se non voleva precipitarmi nel Gran Canale. Infatti, non ne era che due altri passi lontano. Serva ciò di avviso agli stranieri, i quali, prima di conoscere la bizzarra struttura delle strade di questa singolare città, osano camminarvi soli di notte, giacché in alcuni siti le strade vanno a terminare nel Gran Canale, ed in altri, come sulla Riviera degli Schiavoni, la grande strada di terra è traversata in più punti da canali di acqua a livello della terra, per cui riesce impossibile di avvedersene prima di cadervi. 9 Maggio La mattina ho scorso la maggior parte di Venezia, per formarmene un’idea generale, che apporrò sommariamente al termine del mio soggiorno in questa città. Sono andato a vedere le Chiesa di San Salvatore; di San Cassano; di Sant’Eustachio; di San Giacomo dell'Orio; di San Glorioso de' Fari, la quale è ricchissima in statue ed in superbi mausolei; di San Paolo; di San Silvestro; di San Leone. Ho ben esaminato il ponte di Rialto. Il giorno alle due siamo andati ad abitare al Campiello de' Pignoli, n° 295 in casa della dopo la caduta della Serenissima nel 1797. In campo medico effettuò diverse ricerche sulla litiasi delle arterie. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 640 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Signora Maria Susi, dietro l'Orologio della Piazza di San Marco. Sono quindi andato alla Piazza di San Marco. 10 Maggio La mattina sono salito sulla chiesa di San Marco, e l'ho percorsa internamente ed esternamente. Ho veduto da vicino le pitture in mosaico che sono nella sua parte interna, ed i quattro cavalli di bronzo tanto rinomati, i quali sono posti sulla parte esterna ed anteriore del tempio. Ho osservato in movimento il Grande orologio che è davanti la piazza di San Marco, ove le ore sono battute da statue automate di bronzo, di statue più grande della naturale, e dove in ogni ora si vede uscire da una porta, che anticipatamente si apre, un angelo con la trompetta, seguito da tre Magi. Tutti quattro, passando davanti la statua della Vergine, inclinano la testa, presentano i loro omaggi, passano ed entrano in un'altra porta, che è dall'altro lato della Vergine. Diletta non poco l'osservare in movimento questo bello e complicato meccanismo. Sono quindi salito sul Campanile, o cosiddetta Torre di S. Marco. Questa è eccessivamente alta. Quando si è nel portico o nel corridoio di questo edificio, vedesi tutta Venezia, il di cui edificato è senza dubbio molto grande, in seno alle acque. L'immaginazione si spaventa nel vedere sotto un sol colpo di occhio una città sì grande edificata in mezzo alle onde. Il dopopranzo ho veduto la Chiesa di San Pietro di Castello; di San Francesco di Paola; di San Pietro e Paolo; di San Giuseppe; di San Francesco della Vigna; di San Martino. Sono stato ancora a vedere il Giardino Pubblico. La sera sono andato a passeggiare sulla Piazza di San Marco. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 641 11 Maggio La mattina sono andato a vedere le chiese di San Giovanni di Bragora; di Sant’Antonino; di San Giorgio degli Schiavoni; di San Giorgio dei Greci; di Santa Maria della Pietà; di San Zaccaria; di San Giovanni in Oleo, o nuovo; dei Santi Giovanni e Paolo, che è una delle più belle chiese di Venezia, per la sua architettura ed amenità e per la sua ricchezza in quadri, in altari, in marmi ed in mausolei. Il dopopranzo sono andato di bel nuovo ad osservare con attenzione internamente ed esternamente il Duomo di San Marco. 12 Maggio La mattina ho veduto l'Ospedale Militare; l'Ospedaletto; le Chiese di Santa Maria Formosa; di San Leone; di Santa Maria della Consolazione, o della Fava; il Palazzo Savorgnan; quello del Signor Santo Lombardi, e l'altro del Signor Grimanzi, che è il migliore. Mi sono quindi recato nel Palazzo Pubblico o Sovrano per osservarlo. È questo composto: della sala delle quattro Porte; dell'Anti-Collegio, ora Anticamera del Tribunale di Appello; della Sala del Collegio, ora Prima Camera di Appello; della Vecchia Sala dei Pregati, ora Stanza dell'Appello; di una stanza presso la Cappella; della Cappella; della Sala dei Consigli de' Dieci, ora Cancelleria dell'Appello; della Sala della Bussola; della Sala del Maggior Consiglio, ora luogo della Biblioteca e del Museo; della Sala dello Scudo; della Sala de' Filosofi, ora Polizia Generale; della Sala de' Banchetti; della Sala dello Scrutinio, ora de' dibattimenti. Tutte queste Sale e la Biblioteca sono riempite di un'immensa quantità di quadri, grandi e bene ornati, opera dei migliori pittori, Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 642 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo e per ciò di una perfezione ammirabile. È questo, fuor d'ogni dubbio, il miglior edificio che esiste in Venezia. Sotto il Rio, ovvero Canale del Palazzo Ducale o Sovrano, che è fra questo Palazzo e le prigioni, vi sono dei criminali, ove, sotto il Governo aristocratico di questa città chiudevansi i detenuti per reati di Stato. Il pavimento o letto del Canale e di pietre tagliate e ben connesse, e quindi coverto con lamine di piombo, perché l'acqua non possa penetrare nelle sottostanti prigioni. Questo edificio è molto rimarchevole pel modo singolare come è costruito, e per le idee di orrore che risveglia nell'animo. Povera umanità! Il dopopranzo sono andato a vedere le Prigioni; le colonne della Piazzetta; la Vecchia Libreria, ora Palazzo del Sovrano; la Zecca; il Campanile e la loggetta di S. Marco; le Procuratorie nuove; le Procuratorie vecchie; la Torre dell'Orologio; gli Stendardi; il Palazzo Trevisan. 13 Maggio Il mattino ho veduto le Chiese di San Mosè, la cui facciata è carica di Statue e di colonne; di San Gallo; di San Giuliano; la Porta di Guglielmo Bergamasco; la piccola Chiesa di Santa Croce degli Armeni; la Parrocchia del Santissimo Salvatore; la Chiesa di San Bartolomeo; la Parrocchia di San Luca; l'Officio delle Poste; la Chiesa di San Benedetto; il Teatro di San Luca; quello di San Benedetto; la Parrocchia di San Stefano; il Palazzo Morosini; quello Pisano; l'altro di Loredani; la Chiesa di San Vitale; quella di San Samuele; il Palazzo Falier; la Chiesa di San Maurizio; quella di Santa Maria Zobenigo, la cui facciata è carica di Statue e di colonne. Il dopopranzo ho veduto il Palazzo Duodo; la Chiesa di San Fantino; l'Ateneo, altra volta Scuola di San Girolamo, il quale è ric- Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 643 chissimo in belli quadri; il Teatro della Fenice, il quale è magnifico. Esso, per quanto mi sembra, deve seguire quello della Scala di Milano; la Sala o Ridotto, ove tengonsi le Accademie una volta per mese, la quale è bellissima come lo sono ancora le camere a lato; infine, ho veduto la Parrocchia dei Santi Apostoli. La sera sono andato al Teatro di San Benedetto, ove si è rappresentato il Barbiere di Siviglia. Questo Teatro è bellissimo, è meno grande di quello della Fenice di qui, e più grande del nostro Fondo. È esso composto di tre ordini di logge: ogni ordine ha trentasei logge, eccetto l'ultima che ne ha trenta, ed il 1° e il 2° ordine i quali mancano di ciò che occupa la porta d'ingresso ed il Palco Reale. 14 Maggio Il mattino ho veduto il Palazzo Valmarana; le Chiese di San Canciano; di San Giovanni Crisostomo; di Santa Maria dei Miracoli; dei Santi Apostoli, che è bellissima; di Santa Maria dei Gesuiti, che è estremamente bella, e l'altare maggiore è ornato di un superbo tabernacolo di marmo con molte statue e dieci colonne torte di verde antico, grandissime; l'Ospedaletto; il bello Palazzo Zen, il quale è però in pessimo stato; la piccola Chiesa di Santa Caterina; il Liceo Convitto, che è il primo luogo d'insegnamento di Venezia; la Chiesa di San Felice; quella di San Marziale o Marciliano; l'Oratorio di San Girolamo; l'Oratorio di San Filippo Neri; il Palazzo Contarini e quello di Rizzo Patarol. Sono andato infino a vedere la Chiesa di Santa Maria dell'Orto, altra volta di San Cristoforo, ove è il bel quadro della Presentazione di Nostro Signore all'Orto, del Tintoretto, il Giudizio universale, e Mosè, il quale riceve la legge delle dodici tavole sul Monte Sinai da Dio, dello stesso autore, i quali due quadri sono senza dubbio qualche cosa di preziosissimo. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 644 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 15 Maggio La mattina ho veduto le Chiese di San Lodovico, o Sant’Alviso; di Santa Maria della Misericordia; l'Edificio della Scuola della Misericordia; il Palazzo Da-Lezzo; la Chiesa dei Santi Ermagora e Fortunato, detta San Marcuola; di San Fosca; di Santa Maria Maddalena; il Palazzo di Andrea Tirali; l'Oratorio detto le Cappuccine a San Girolamo; la Chiesa di San Geremia; il Ghetto nuovo e vecchio; il Palazzo Cominelli139; quello di Manfrin; l'altro di Savorgnan; la Chiesa di San Giacobbe, che è bellissima; il Giardino Botanico; l'Oratorio dell'Ospedaletto di San Giobbe; Santa Maria delle Penitenti; Santa Maria in Nazaret, detta degli Scalzi, chiesa bellissima, ricca in marmi di Carrara, di quadri, di dieci colonne torte al grande altare, e di un frontespizio magnifico, essa rimane sul Gran Canale; l'Oratorio di Santa Lucia; il Palazzo Leon-Covazza; la Scuola detta dei Nobili. Da qui si passa il Gran Canale e si va a vedere le Chiese di San Nicola Tolentino, che è bellissima; quella di Sant’Andrea; di San Simeone Profeta, volgarmente grande; dei Santi Simeone e Giuda, o San Simone picciolo; di San Jacopo dall'Orio; il Palazzo Foscari. 16 Maggio Il mattino sono andato a vedere il Palazzo Baglioni; il Palazzo Corner; le Chiese di San Cassiano; di Santa Maria Mater Domini; quella di Sant’Eustachio, volgo San Stae; di San Silvestre; di San Giovanni di Rialto; di San Jacopo di Rivoalto; di Santa Maria Gloriosa de' Frari, chiesa molto magnifica, ricca di statue, 139 Palazzo Labia. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 645 di grandi mausolei, di belli altari e di superbi quadri. Qui è sepolto il gran Tiziano Vecellio140 sotto il pavimento della chiesa, vedesi scolpito il seguente distico: “Qui giace il Gran Tiziano de' Vecelli, Imitator de' Zeusi e degli Apolli”. Questa chiesa è su di una piazza che è la più grande di Venezia dopo quella di San Marco. Sono andato dipoi ad osservar attentamente la Chiesa e la Scuola di San Rocco. Il frontespizio e la chiesa di questo edificio sono bellissimi. Ma ciò che lo rende più interessante sono i quadri ben conservati dei migliori pittori, cioè del Tiziano, di Solimena141, del Tintoretto142, di Fossati143, di Rizzi, di Trevisani144, di Pordenone145, di Fontebasso146 ecc., e le bellissime statue di marmo. La scuola della stessa Arciconfraternita di San Rocco, che è a lato della chiesa, ha una facciata bellissima. Questa Arciconfraternita è composta di due grandi sale, una inferiore e l'altra superiore, e di un'altra stanza chiamata l'Albergo. Non vi è nulla di più bello di queste due grandi sale e della Scala di comunicazione tra loro. L'oro vi è stato sparso con disprezzo: l'architettura, il disegno, le dorature, i bassorilievi, ecc., sono sorprendenti. Ma ciò che le rende ancora più interessanti sono i quadri 140 Tiziano (1488 – 1576). Francesco Solimena (1657 – 1747) pittore napoletano considerato uno degli artisti più importanti della cultura tardo-barocca italiana. 142 Jacopo Robusti, detto Tintoretto (1519 – 1594). 143 Domenico Fossati (1743 – 1784) pittore veneziano si specializzò nella produzione scenografica. Dipinse le scene per i maggiori teatri veneziani tra gli anni Sessanta e Ottanta del Settecento. 144 Francesco Trevisani (1656 – 1746) pittore e poeta affiliato all’Accademia dell’Arcadia. 145 Giovanni Antonio de' Sacchis, detto il Pordenone (1484 – 1539) è considerato il massimo pittore friulano del Rinascimento. All’inizio della sua attività artistica fu vicino al gusto pittorico di Raffaello e di Michelangelo. 146 Francesco Fontebasso, (1707 – 1769) pittore veneziano, è stato definito uno dei massimi rappresentanti della pittura veneta del periodo del Rococò. 141 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 646 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo che vi si conservano, fatti espressamente per quel luogo, e secondo la dimensione dei muri, dai primi pittori di quel tempo, del Tiziano, cioè, del Tintoretto, di Pellegrini147, di Zanchi148, di Pietro Negri149. La maggior parte di questi però è del Tintoretto, ma essi sono dei più perfetti di questo autore, giacché furono fatti pel sito, ed a spese dei fratelli dell'Arciconfraternita, i quali sono dei ricchi negozianti della città. A loro spese furono anche edificate la Chiesa e la Scuola. Ma quando si entra nella piccola Sala, che chiamasi Salotto, si resta colto dalla ricchezza e profusione dell'oro della soffitta, e dai quadri che vi si conservano, particolarmente da quello che è dirimpetto la porta d'ingresso, il quale rappresenta la Crocifissione, quadro d'una immensa grandezza e di una esecuzione divina. Esso è pure del Tintoretto. Questo edificio è fuor d'ogni dubbio uno dei primi di Europa. In Venezia, esso rivaleggia solo col Palazzo di San Marco per la scelta e la perfezione dei quadri. Ed a dire il vero, non possono descriversi, bisogna vederli per acquistare l'idea. Sono andato ancora a vedere la Chiesa di S. Tommaso, volgarmente detta San Tomà. Qui vedesi la statua in marmo di Santa Teodosia che interessa moltissimo. Fu questa la prima ed ultima opera pubblica di un giovine scultore, il quale morì poco tempo dopo di averla finita. Essa è finemente fatta, ed interessa quasi altrettanto quanto quella di S. Cecilia in Roma, che vedesi, come abbiam detto, nella sua chiesa. 147 Giovanni Antonio Pellegrini (1675 – 1741) esponente di punta del Rococò veneto, fu molto attivo anche a Londra, Düsseldorf, Anversa, Parigi e Vienna. 148 Antonio Zanchi (1631 – 1722) sulla scia di Luca Giordano diventa uno degli esponenti di spicco della poetica “dei tenebrosi” che nella sua produzione artistica si espresse in un ampio impiego della tecnica del chiaroscuro e nel ricorso a composizioni pittoriche drammatiche. 149 Pietro Negri (1628 – 1679) pittore veneziano del tardo Barocco anch’egli appartenente alla cosiddetta corrente “dei tenebrosi”. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 647 Ho veduto inoltre, la Chiesa di San Paolo, vulgo San Polo, la di cui piazza è larghissima, il Palazzo Mocenigo, altra volta di Correr; quello di Capello, e la Chiesa di San Giovanni Evangelista. La sera sono andato al Teatro San Luca. È questo bello, poco più picciolo di quello di San Benedetto, ma non così bello. Vi sono cinque ordini di logge, composto ognuno di quarantuno logge, in tutto 404. I tre teatri di Venezia che ho veduti finora sono di bella forma, e quasi tutti simili tra loro: essi son spaziosi, armonici. Le sedie della platea son ben spaziose, vi si resta comodissimamente. Il terzo posteriore della platea è vuoto, cioè è senza sedie. Le logge di tutti gli ordini si continuano fin sotto l'arco di tutti scenico, ove ve ne sono tre per ogni ordine, da ciascun lato, almeno per quello di San Luca, di cui meglio mi ricordo il numero. 17 Maggio La mattina ho veduto le Chiese di San Pantaleone, la cui soffitta è ricchissima in doratura; di Santa Maria del Carmine, situata su di una gran piazza: essa è molto grande, bellissima, e ricchissima in quadri, statue, mausolei, ornamenti ecc.; la Scuola della Madonna del Carmine; la Chiesa di Santa Barbera; di San Raffaello Arcangelo; il Palazzo Toscarini e de' Zenobio; la Chiesa di San Nicolò; quella di Santa Teresa, ove è, tra gli altri il bel quadro della Maddalena, di Langellotti; l'altra de' Santi Gervasio e Protosio; l'Eremita, ora Scuola di Carità per le fanciulle; il Palazzo de' Sangiantofetti; quello de' Nani; la Chiesa d'Ogni Santi; di San Sebastiano, ove vedesi la bella statua della Vergine in marmo, col figlio Gesù ed il Battista della stessa età, opera bellissima ed interessantissima di Tommaso Lombardo; di Santa Maria del Rosario; detta de' Gesuiti, che è moderna e bellissima; quella dello Spirito Santo; l'Ospedale civico e la sua chiesa; il Palazzo Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 648 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Zustinian150; quello di Orsato; l'altro di Recanati; la Scuola di Carità per li fanciulli. Ho veduto ancora la chiesa di Santa Maria della Salute. Questo tempio moderno è senza dubbio uno dei più belli di questa città, sia per l'architettura che per li marmi, per le statue e per li quadri. Questi ultimi sono per la maggior parte del Tiziano, del Giordano151, di Triva152, di Prudenti153, di Salviati154, di Pietro Liberi155, del Padovanino156, di Cordella157, di Palma158, del Tintoretto, di Zanchi. Giusto le Court159 ha fatto il blocco in marmo del grande altare, che è qualche cosa di bello. Questa chiesa è situata sull'orlo del Gran Canale, detto Canalazzo. Ho veduto ancora la Dogana Marittima. 150 Palazzo Giustinia. Luca Giordano (1634 – 1705) pittore napoletano conosciuto anche con il soprannome di “Luca Fapresto” assegnatogli mentre stava lavorando nella chiesa di Santa Maria del Pianto a Napoli quando dipinse in due giorni le tele della crociera. Il soprannome deriva anche dalla sua sorprendente velocità nel copiare i grandi artisti del Cinquecento, tra i quali Raffaello e Annibale Carracci. 152 Antonio Domenico Triva (1626 – 1699) figura rilevante all’interno dell’arte veneziana del XVII secolo la cui pittura riprende una base barocca. La sua attività comprende tele, ornamento per le residenze e le chiese della Baviera, ma anche una serie di incisioni ad acquaforte. 153 Bernardino Prudenti (1631 – 1694) pittore veneziano di cui le testimonianze attestano numerose opere in chiese e palazzi pubblici di Venezia. 154 Francesco Salviati (1510 – 1563) pittore fiorentino uno dei massimi esponenti del periodo del manierismo. 155 Pietro Liberi (1614 – 1687), pittore padovano fu attivo, dopo aver viaggiato in Italia e Europa, prevalentemente a Venezia. Subì gli influssi della pittura del Padovanino, ma fu affascinato anche dall’arte di Raffaello, di Michelangelo di Annibale Carracci e di Tiziano. Particolarmente famose le sue opere di soggetto mitologico, Diana e Atteone, di soggetto religioso e storico, La battaglia dei Dardanelli. 156 Alessandro Varotari, detto il Padovanino (1588 – 1648). 157 Giovanni Cordella [?]. 158 Jacopo Nigretti de Lavalle, detto Palma il Vecchio (1480 – 1528). 159 Giusto le Court (1627 – 1679). 151 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 649 Il dopopranzo sono andato nuovamente sul campanile di San Marco, per farmi un'idea più esatta della grandezza e forma della città, e della posizione delle isole che la circondano. È questo un edificio di figura quadrata. Vi si sale per una rampa che costeggia i quattro muri del campanile, ma non è a lumaca. Bisogna fare 37 tese, o lati di questa rampa per salire infino al luogo ove sono le campane: le tese piane, cioè senza gradini. Ma dal sito ove sono le campane infino alla sommità del campanile, che finisce in piramide quadrangolare, vi è almeno un altro quarto di altezza. Esso è tutto edificato in mattoni dalle fondamenta infino alla sommità. 18 Maggio Il mattino sono andato a vedere l'isola di San Giorgio Maggiore, che è rimpetto il Palazzo Sovrano. Ho veduto il bel porto costruito per ordine di Napoleone, e la bella chiesa di San Giorgio Maggiore, che dà il nome a questa piccolissima isola, ma che è una delle più belle di Venezia. Di là sono passato all'isola vicina della Giudecca, e l'ho percorsa dall'uno all'altra estremità. Ho esaminato la Chiesa delle Zitelle, appartenente ad un conservatorio di figlie di negozianti veneziani; quella del Redentore, che è una delle più ragguardevoli di Venezia, per la forma, per l'architettura e per alcuni buoni quadri. Mi sono state qui mostrate moltissime reliquie di Santi. Sono quindi andato a vedere la Chiesa di Sant’Eufemia, ove sono dei belli quadri, fra quali si ammira quello di San Rocco e della Madonna messi in un campo di oro, che è opera del pittore Vivarino160. Vi è ancora una bella ed interessante statua in marmo dell'Addolorata, fatta da Giovanmaria Morlatier161. Le Chiese di 160 161 Bartolomeo Vivarini (1430 – 1491). Giovanni Maria Morlaiter (1699 – 1781). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 650 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo San Blasio e di San Giacomo sono chiuse e servono di magazzini. Quest'isola è lunga circa un miglio, e nel suo mezzo è sufficientemente larga. Vi sono dei forni per cuocere mattoni, e molti giardini fatti sulle rovine di antiche abitazioni. Rimpetto quest'isola vedesi la Gran Muraglia, ovvero il Lido, che serve per riparare la città di Venezia verso il lato orientale dalle onde del mare Adriatico. È questa diretta dal Sud al Nord, dalla lunghezza di circa sei miglia. Essa principia da... [Sangiovanni non riporta il nome] e va a terminare a Barlocco. Sul mare, dal lato di Venezia vi è sull'isola della Giudecca una bellissima strada (quai). Quest'isola è molto piacevole. Il dopopranzo sono andato nuovamente a vedere la Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. Questo tempio è grandissimo e ricco a ribocco di superbi mausolei, di quadri e di statue. È questa fuor di dubbio una delle più belle chiese di Venezia. Nel mezzo della piazza ch'è davanti questo tempio, vi è la statua equestre in bronzo di Bartolomeo Coleono162. 19 Maggio Quest'oggi ho percorso le altre isole che si trovano nelle lagune di Venezia. Sono partito dalla città alle 6 del mattino. Dopo aver traversato la città dalla Piazza di San Marco, vicino le colonne infino alle Fondamenta Nuove, sono andato a vedere: 1° L'Isola della Certosa, ovvero di San Cristoforo, sulla quale da pochi anni in qua è stato fatto il Cimitero per la città di Venezia, il quale, in proporzione della popolazione, non è grande abbastanza. Altresì il governo municipale di questa città si propone di farne un altro su di una piccola isola che giace rimpetto San 162 Bartolomeo Colleoni, 1395 – 1475. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 651 Cristoforo. Si vede in questo cimitero un bel mausoleo in marmo fatto per una dama che non è ancora morta. 2° Di là sono passato all'Isola vicina di San Michele, che attualmente è deserta. La chiesa è chiusa, ed il collegio che vi era è passato in città. 3° Murano è la terza isola che ho visitata. Sono andato a vedere le fabbriche dei vetri e dei cristalli, e mi sono istruito del modo come si fanno i vetri e le lastre per le finestre, ed altri oggetti dello stesso materiale. La fabbrica delle margheritine non è sfuggita alla mia attenzione. Si sono tirati avanti di me dei fili di vetro di diversi colori e differente diametro. È cosa veramente sorprendente il vedere filare il vetro e ridurlo alla sottigliezza di un filo di seta, e della lunghezza di circa cento palmi, avendo nel mezzo, in tutta la sua lunghezza, un forame sottilissimo. Dopo aver filato in tal modo gran quantità di vetro di un sol colore della cennata lunghezza, e distesi i fili per terra, gli uni su gli altri, li rompono alla lunghezza di circa tre palmi, ne riempiono le casse e li mandano in Venezia, ove si fanno poi le margheritine, tagliandole tutte ad uguale lunghezza, e quindi arrotondandole al fuoco dai due lati. Questi fili si fanno di differenti diametri, principiando da quelli della grossezza di un filo di seta, infino a quella di una penna da scrivere. Quei di maggior diametro si fanno per ispedirli in Turchia, ove sono molto desiderati. È impossibile il descrivere il modo e la celerità con cui si fa un filo di questo vetro, lungo, come abbiam detto, circa cento palmi. Basta solo il dire che non vi s'impiega mezzo minuto di tempo! Ecco ad un dipresso come vi si procede. Un operaio attinge dalla vasca del vetro fuso, con la punta di un bastone di ferro bucato nel mezzo, una piccola palla di vetro liquefatto, e leggermente la gonfia, nel mentre che un altro uomo, che sta dirimpetto al primo, attacca l'estremità di un altro bastone di ferro anche riscaldato, al punto opposto della cennata palla di vetro, e fugge velocissimamente in senso opposto, e giunto al Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 652 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo termine della sua corsa, posano entrambi il filo per terra. Questo filo riesce tanto più sottile quando il secondo operaio più velocemente fugge. Il paese di Murano è grandissimo. Esso potrebbe contenere i ventimila abitanti, ma ora ne conta circa cinquemila. È anch'esso traversato da canali navigabili. Vi sono tre chiese, quella di San Pietro, ove veggonsi dei belli quadri; l'altra di San Giovanbattista, e quella di Santa Chiara, che è stata cambiata in Magazzino. Quest'isola è in gran parte circondata di muri. Prima di giungere a Burano, vedesi sulla sinistra il picciolo Castello di Campalto, costruito sotto Napoleone. Veggonsi dallo istesso lato, ad una giusta distanza, le montagne del Tirolo cariche di nervi. In questo sito incontransi molte secche, che al mio ritorno vi sono passato per sopra con la gondola, perché erano state allora già coverte dalle acque. Nelle lagune, per effetto della marea, le acque del mare crescono e si abbassano due volte per ogni ventiquattro ore. Vi è da osservare che questo fenomeno ritarda ogni giorno di una mezz'ora. 4° Più vicino Burano, sulla dritta, vi è la piccolissima isola di San Giacomo della Palude, sulla quale vi era un convento ed una chiesa, ma ora tutto è andato in rovina. 5° Mazzorbo. Si giunge a Mazzorbo, isola lontana sette miglia da Venezia. Il monastero e la chiesa sono chiusi. La chiesa delle Cappuccine è ruinata. Quest'isola è grande abbastanza, ma deserta, imperocché il paese, quantunque grande è poco abitato. Vi è un bel canale in forma di Y, il ramo a conduce a Torsello ed a Burano. Vi sono due chiese, Sant’Eufemia e l'Albaverde, ove sono dei soldati ed alcuni pezzi di cannone. Vi sono ancora moltissimi giardini e molte terre. 6° Torsello. Poco distante da Mazzorbo, ed al suo nord-est, trovasi l'isola di Torsello. Il paese contiene pochissimi abitanti. Il convento di S. Giovanni è chiuso. Il Duomo è bello e grande: vi Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 653 sono dei preziosi antichi mosaici, imperocché la chiesa è antichissima. Vi sono quattro grandi finestre che hanno le porte di marmo. Un sacerdote mi ha detto che ciò era stato fatto dagli antichi ai tempi di Attila per difendersi da quel conquistatore che tutto devastava, e per mettere in salvo dal suo furore i santi e le reliquie, ch'essi avevano rinchiuse in questo tempio. Il campanile è altissimo e fatto sul disegno di quello di San Marco. Vi sono tre campane, fra quali una grandissima. Io vi sono salito. Dalla sua cima si scorre tutt'altro intorno una grande estensione di terre, tanto esso si eleva sul livello del mare. 7° Burano. Poco lontano da Torsello trovasi Burano. Quest'isola è ben grande. Il paese è anche esteso, ma men grande di Murano. Ciò non pertanto è ben popolato, giacché fa circa sedicimila abitanti, i quali sono tutti pescatori e poverissimi. I canali del paese sono sporchissimi, ed i loro muri tutti rovinati. Vi sono due chiese. Il Duomo contiene dei buoni quadri ed un bello altare maggiore. 8° Andando verso il Lido, incontrasi una piccola isoletta chiamata la Certosa, sulla quale evvi un solo Convento. 9° Vicino la Certosa vedesi il Forte di Sant’Andrea del Lido, anche poco esteso. 10° Sulla dritta vedesi la piccola Isola di Sant’Elena, ove è la fabbrica del biscotto per la truppa 11° Si giunge quindi al Lido, ovvero alla gran duna che divide il mare Adriatico dalle lagune di Venezia. Vi è la ricevitoria e la Chiesa di San Nicolò, che è bella. Più giù incontrasi una piacevole piccola strada che conduce direttamente sull'Adriatico. Desideroso di vedere per la prima volta questo mare, ho superato il gran ciglione, e vi sono giunto all'una e mezza dopo mezzogiorno. Da questo punto scovresi una grande estensione di mare. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 654 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 12° Lazzaretto. Si giunge al Lazzaretto, che è una piccola isola ove fanno la quarantena gli uomini e le mercanzie che vengono dall'Oriente, perciò non vi si può salire. 13° S. Clemente. Più sotto trovasi San Clemente, piccola isola, ove è la Polveriera. Questa si vede, ma non è permesso di avvicinarvisi. 14° Da questo punto vedesi da lungi l'isola della Grazia, ove evvi una chiesa e dei soldati. 15° L'isola di San Giorgio. 16° San Lazzaro degli Armeni. Ritornando un poco indietro, si va a San Lazzaro degli Armeni, piccola isola sulla quale vi è un convento di preti armeni. È impossibile il descrivere la proprietà, l'eleganza e la semplicità di questo convento. Bisogna vederlo per ammirarlo. Esso inspira il desiderio di restarvi. I religiosi sono istruiti, avvenenti ed affezionati. Essi sono tutti indefessamente occupati all'esercizio del loro culto religioso, all'istruzione dei giovani armeni nei loro offici religiosi, nei loro studi, nell'arte della tipografia, nella coltura del loro giardino e nella direzione della loro piccola società. Vi sono circa quaranta monaci, compresi i laici, ed otto giovani allievi anche armeni. Essi hanno una bella Biblioteca composta di libri impressi, che versano su diverse materie, ed un'altra più piccola di codici manoscritti e stampati, tutti in lingua armena, diversa da ogni altra lingua per li caratteri e per la pronunzia. Vi conservano ancora molti classici armeni, principalmente in materia di religione, i quali tutti sono stati impressi nella loro stamperia, e da loro medesimi. Hanno essi inoltre un picciolo, ma bel Gabinetto di mineralogia, di macchine fisiche ed astronomiche per la istruzione dei loro allievi, disposto con ordine e ammirabile eleganza. La loro stamperia è piccola, ma ben ordinata ed elegante. Essi debbono ora ingrandirla, avendo guadagnato molto spazio sulle secche, parte Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 655 del quale servirà ancora per estendere di molto il loro giardino che è attaccato al monastero. La chiesa è ammirabile: essa è ornata di belli quadri e di alcune statue. Ma lo spirito di eleganza, di semplicità e di pulitezza di questi venerandi padri si è applicato in grado eminente nel formare questa casa di Dio. Vi si resterebbe sempre per adorarla ed ammirarla. Nel picciolo atrio della Chiesa si veggono due mausolei in marmo, uno antico e l'altro moderno, il quale è stato fatto per ordine di una persona ancora vivente: questi sono sospesi al muro: il moderno è semplice ed elegante. Nel mezzo del chiostro del Convento vi è un picciolo giardino di piacere. I fiori delle rose e dei gelsomini vi fanno un bel contrasto col parterre, il quale è ben distribuito e diligentemente coltivato. Il loro refettorio rivaleggia con l'eleganza e proprietà degli altri luoghi di questo convento. Vi sono ancora dei belli quadri. Le stanze addette all'insegnamento, le abitazioni degli studenti, ognuna delle quali ha un picciolo quadro di giardino pel divertimento del giovine nelle ore del suo riposo, le abitazioni dei padri e degli altri religiosi, offrono la stessa semplicità ed eleganza. I pavimenti dei corridoi, delle sale, delle celle, delle Biblioteche, della Chiesa, della Stamperia, ecc. sono tanti specchi seducenti. Infine, tutto si somiglia, imperocché tutto è stato diretto dallo stesso spirito di religione, di uguaglianza, di bontà, di amore e di unione. I padri mi han fatto un'accoglienza distinta. Io ho lasciato questo luogo con molta pena e con le lagrime agli occhi. Ho abbracciato tutti questi buoni e pii padri, dando loro un eterno addio, e sono partito. 17° San Servolo. Ritornando verso Venezia, ho visitato l'ultima isola, quella di San Servolo, ove è la Casa dei Matti. Vi è una bella chiesa. La casa dei matti è tenuta con molta proprietà ed Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 656 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo eleganza. Essi vi sono ben trattati: vi sono ancora dei piccioli giardini. Alle 6 pomeridiane sono giunto di ritorno a Venezia; cioè dopo dodici ore di viaggio. 20 Maggio Il mattino mi sono occupato a fare spedire i passaporti. Il dopopranzo sono nuovamente salito sul campanile di San Marco. Sono andato quindi a vedere l'Accademia di Belle Arti. Non si può descrivere la bellezza e la perfezione di alcuni quadri che qui si conservano: essi rivaleggiano solo con quelli che veggonsi nel Palazzo Sovrano. La sera sono andato a prendere congedo dal Signor Consigliere Aglietti e da sua moglie. 21 Maggio La mattina ho veduto la processione del Corpus Domini, che è stata bellissima. Ogni Chiesa di Venezia v'invia una piccola società di confratelli, composta di circa dodici individui, i quali portano ognuno un gran candeliere acceso, dei gonfaloni o candelabri che hanno una lanterna alla sommità, delle piccole statue in legno di Santi i quali indicano la Chiesa alla quale la società di confratelli appartiene, ed una croce. Alcune chiese mandano ancora una specie di baldacchino. Seguono i preti ed i fratelli di differenti congregazioni vestiti alla paesana, con candele accese. La società di ogni chiesa porta ancora delle grossissime candele o ceri, che pesano per lo meno sessanta libbre ognuna, giacché vi abbisogna un vigoroso facchino per portarlo quando è intero. La processione ha fatto il giro della piazza di San Marco sotto bellissime tende per ciò fatte, e quindi si è fatta la benedizione nella chiesa di San Marco. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 657 Il dopopranzo mi sono occupato a prepararmi per la partenza che avrà luogo domenica. Io lascio con moltissima pena questa città singolare, dopo esservi restato quattordici giorni completi. Non vi resto amici, tranne la frivola conoscenza della famiglia Aglietti. Io vi ho esaminato minutamente tutto ciò che essa offre di piacevole, di bello e d'istruttivo; e posso assicurare, senza mentire, che finora non ho esaminato mai con tanta attenzione alcuna città come questa. Sono stato maggiormente a ciò fare dalla quasi certezza di non più rivederla. Terribile considerazione! Felice colui che nulla ha mai veduto in sua vita, che non desidera di vedere alcuna cosa, che non ha l'anima sensibile per soffrire quando egli vede, e che non soffre quando poi abbandona per sempre il suolo ove ha vissuto e le amicizie che vi ha contratte. Riguardo a me, la natura non mi ha fatto così. Io soffro quando godo come quando non godo affatto. Mi affeziono a tutto ciò che presenta la menoma qualità che merita di essere apprezzata, sia oggetto vivente o inorganico. Quando me ne divido, il mio spirito si abbatte: se veggo una montagna che per le sue fisiche qualità attira la mia attenzione, io soffro, allorquando debbo allontanarmene. Io cesserò per conseguenza di essere infelice quando finirà la mia esistenza, imperocché infelicità ed esistenza per me sono sinonimo “Notizie succinte sulla Città di Venezia”. Questa città è tutta edificata in mattoni, tranne i grandi palazzi ed alcune chiese che sono costruite in marmo d'Istria, il quale è una specie del nostro travertino di Gaeta. Tutte le strade che servono al commercio intorno della città sono di tre specie diverse, di terra cioè, di acque e miste. a) Strade di terra. Queste sono interamente lastricate, come quelle di ogni altra città, e sono le più piccole. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 658 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo b) Canali. Questi riempiono perfettamente di acqua lo spazio fra le linee delle case situate su i due lati, e si traversano o scorrono in gondola. c) Strade miste. Queste da un lato o sopra una linea delle case hanno il canale e dall'altra il pavimento, ossia, una metà è di acqua e l'altra è di terra, ovvero, che hanno il canale nel mezzo, e sui i due lati la strada lastricata. Quasi tutte le abitazioni di Venezia hanno due porte d'ingresso, una che sporge sul canale di acqua e l'altra sulla strada di terra. D'ordinario, massime i palazzi nobili e qualche teatro, come quello della Fenice, hanno la porta principale che sporge sul canale e la piccola che mette sulla strada di terra o sulla mista. Perché la circolazione nell'interno della città sia egualmente libera, tanto se voglia tutta scorrersi a piedi ovvero in gondola, su tutti punti ove le strade di terra s'incontrano coi canali vi sono dei piccioli ponti di fabbrica per farne la continuazione. S'immagini una serie di corde parallele messa l'una a qualche distanza dall'altra, tinta di color nero, messa su di un'altra simile serie di color bianco, in modo che le corde dell'una intersechino ad angolo retto quelle dell'altra, e così si avrà ad un dipresso l'idea dell'intreccio dei canali e delle strade della città di Venezia. Le strade sono sempre nettissime. Non vi sono immondezze, né pietre. Non vi sono carrozze, né cavalli, né asini, perché la costruzione della città vi si oppone, e perciò proibiti. Non si veggono neanche molti cani. La notte, quando fa bel tempo, nei luoghi più commercianti della città, ed ove le strade sono più anguste, sembra come se si passeggiasse all'interno di una casa, tanta è la nettezza delle strade e l'eleganza delle botteghe tutte illuminate. In generale queste sono più piccole delle nostre, ma esse sono più proprie, più elegantemente messe, e le mercanzie sono più visibili, quantunque ben conservate. Questa città contiene attualmente centoquaranta mila abitanti. Questi sono docili, socievoli, civilizzati ed amanti del travaglio. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 659 Non vedesi alcun povero in mezzo alle strade. Essi sono, ciononostante, interessati, qualità peraltro che non è loro esclusiva. I viveri vi sono a bonissimo prezzo, tranne i salami, che sono cari, ed i vini che sono pessimi e carissimi. “Modo di edificare nelle lagune di Venezia”. Il fondo delle lagune o del mare sul quale è fabbricata la città di Venezia, è o di roccia, o di fango, o di terra altra volta coltivata, o di canneto, o di boschi sepolti sotto le acque. Egli è facilissimo di edificare su tutte queste specie di fondi, tranne su quello di roccia, il quale offrendo resistenza, rende più difficile e penosa questa specie di costruzione sotto acqua. Quando si vuole edificare si circonda in sulle prime lo spazio che si vuole occupare con una palizzata fatta a doppio ordine di tavole sostenute da fittoni o travi di legno, ben conficcati nel fondo del mare, che restano tra loro uno spazio vuoto della spessezza del muro. Si riempie questo vuoto con fango o limo dello stesso mare, in guisa che l'acqua non possa più penetrarvi. Questa palizzata che deve toccare con le due estremità la terra, ovvero ad altri edifici, esce tanto fuori dell'acqua da non poter essere superata dalla più alta marea che regna in quei luoghi. Fatta la palizzata o cassa, si vuota con le trombe tutta l'acqua contenuta nel chiuso infino a che questo resti a secco. Si lascia in tal guisa il fondo scoverto per qualche tempo, perché si asciughi e prenda consistenza. Si conficcano allora su questo fondo, principiando da un lato dello spazio, e seguendo una linea retta, l'uno a contatto dell'altro dei grossi fittoni di legno o travicelli, battendo fortemente ognuno di questi pezzi con un grosso pistone sostenuto da due barche laterali, per farlo entrare il più che è possibile nel fondo del mare, e dopo si sega a circa mezzo palmo sopra il fondo scoverto, allorquando questo è orizzontale. In tal modo operando, tutto lo spazio sul quale deve basarsi l'edificio resta coverto dalle Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 660 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo teste di questi fittoni, i quali formano una superficie piana e continuata. Vi si gettano dopo dei ruderi di antiche fabbriche, dei rottami o dell'arenaccio per riempire perfettamente tutti gli spazi che sono restati vuoti fra le teste dei cennati fittoni. Quindi sulla superficie formata dalle teste dei cennati fittoni, appianata dai rottami, si appongono con cemento delle pietre molto larghe e piane, dai Veneziani dette lastre, e si covre tutto lo spazio restato a secco. Su di questo pavimento di pietre si disegna in seguito l'edificio che vuol costruirsi e si principia a fabbricare con mattoni o con pietra e cemento, infino a che i muri siano usciti fuori dall'acqua. Si lascia in questo stato l'edificio durante due stagioni, per farlo ben assodare e per vedere se esso produca delle fenditure o crepacci. Dopo si continua infino a che sia terminato. La cassa o palizzata resta in sito infino a tanto che l'edificio sia bene rassodato ed il cemento indurito, e se scorgesi che in qualche punto penetra dell'acqua fra la palizzata ed il muro di fabbrica, si cerca di ripararvi battendo fortemente con grossi pistoni in quel punto il materiale che è dentro il cassone, e se neanche si giunge si vuota continuamente l'acqua con le trombe. Quando poi giudicasi che le fondamenta siano ben assodate, si toglie la palizzata, che forma il chiuso, e l'acqua del mare si mette allora in contatto con l'edificio. Questa specie di costruzione è molto solida, imperocché il legno che rimane sempre nell'acqua del mare, si consolida e si conserva per moltissimi secoli. Dal fin qui detto chiaro comprendesi quanto debba riuscir costoso ai Veneziani questo modo singolarissimo di edificare. Tutte le strade di terra sono perfettamente riempite di ruderi, di pietre e di altri simili materiali. Per farle, si chiudono in sulle prime le due estremità di un rivo ossia canale di acqua e dopo si vuota l'acqua con le trombe, e quindi si riempie e vi si fa il pavimento. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 661 Alcuni di questi schiarimenti li debbo alla bontà del Signor Conte Carli163 da me conosciuto in casa del Consigliere aulico, Signor Aglietti; e gli altri, che sono in maggior numero, li ho rilevati io stesso sui luoghi ove ora si sta edificando in Venezia. 22 Maggio Alle 5 del mattino siamo partiti da Venezia e, passando per Mestre, siamo giunti alle 3 dopo mezzogiorno in Padova. La città di Padova è tutta edificata in mattoni; ed è fuor d'ogni dubbio una delle più belle città d'Italia, fra quelle di second'ordine. Essa è grande e ben popolata; ha larghe strade, molte belle piazze, magnifici palazzi, superbi tempi, grandi edifici, e dei porticati come quei di Bologna. Meritano principalmente singolare attenzione: 1° Chiesa di Sant’Antonio di Padova, qui chiamata la Chiesa del Santo. Essa è grande, gaia, ha tre navi con quattro cupole coverte in piombo. È ricca di superbi mausolei e di altari di marmo di Carrara, di molti bassi rilievi di buoni autori e di quadri non spregevoli. L'altare del Santo è fra tutti il più magnifico. Esso è tutto in marmo, ed ha la forma di una gran tribuna, sulla quale si ascende per una grande scala anche di marmo. Il Tesoro del Santo è ricchissimo. Consiste questo in tre grandi [illeggibile] chiusi con porte di bronzo a coulisse, pieni di un numero immenso di reliquie di Sant’Antonio e di molti altri santi, tutte in argento, in oro ed in pietre preziose. Vi si conserva la testa, la lingua e molte ossa del Santo. Il grande altare del Tesoro è ancora ricco e magnifico. 2° La Chiesa di Santa Giustina, che è la più grande di tutte le chiese di Padova, ha tre navi. Essa è meno ricca in marmi, ma è più gaia di quella di Sant’Antonio. Non vi è alcun mausoleo. 163 Agostino Carli Rubbi (1748 – 1825). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 662 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Tutti gli altari sono appaiati dai due lati della Chiesa. Essa ha benanche molte cupole coverte in piombo come quelle di Sant’Antonio. L'altare maggiore, dietro il quale conservasi il corpo di Santa Giustina è tutto di bel marmo coverto di pietre dure, di agate, di lapislazzuli, di coralli, di calcedoni e di cose simili, che formano diversi disegni. Su di alcuni altari laterali vi sono dei pregevoli blocchi di statue. In una cappella vedesi un pozzo, ove, dicesi, si conservano dei corpi degl'innocenti. Vi è un bel quadro della Strage degli Innocenti, di autor napoletano, ed un altro dirimpetto, anche bellissimo e di buono autore. Vi sono dei belli organi. Il coro e due armari laterali all'altare maggiore, in legno di noce, offrono un lavoro in basso rilievo sorprendente. Esso ha costato molte centinaia di scudi. 3° Il Giardino Botanico è ben grande, ricco di piante e benissimo mantenute. Vi sono delle belle statue. È situato fra le due antecedenti chiese. 4° La Gran Piazza che è davanti la Chiesa di Santa Giustina è la più bella che possa immaginarsi. Essa è grandissima, ed ha nel mezzo molte statue in marmo, disposte su di una curva ellittica, con un piccolo ponte che passa su di un canale. 5° Il Gran Salone. Fra la grande piazza, che è nel mezzo della città, ed un'altra piazza laterale, vi è un grande edificio composto di una sola stanza lunghissima e larghissima, chiamata il Gran Salone, con due logge laterali, che si stendono lungo i due lati. Vi si sale per quattro scalinate che mettono nelle piazze, situate agli angoli dei lati più brevi. È coverto il Salone con una volta di legno in forma di embrici, vestita di lame di piombo. I muri sono dipinti a fresco. Vi sono circa ventiquattro finestre sulla parte superiore di ciascuno dei lati lunghi, d'onde penetra la luce. Si entra nelle logge per due grandi porte da ogni lato. 6° Piazza dei Signori. È ancor questa una gran piazza sulla quale evvi un gran Palazzo, appartenente altra volta al Podestà della città, ed ora è destinato ad uso di caserma. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 663 7° Il Fiume che traversa la città su di uno dei suoi lati, sul quale evvi un ponte bellissimo, a tre archi. 8° Il Duomo. È una gran Chiesa, ma non però così grande come lo sono le due altre già descritte; ciononostante è sufficientemente bello. 9° L'Università. Ne ho veduto solamente l'edificio, che è quasi rimpetto il Gran Salone. Esso è bello e grande. Ho alloggiato nell'Albergo della Stella d'Oro, sulla Piazza della Posta. La sera verso le 10, dopo essermi coricato, ho conosciuto alla sua voce, il Signor Emidio Gregorio, nel mentre che egli passava davanti la stanza ove io era coricato. 23 Maggio Avrei dovuto restare anche oggi in Padova per meglio scorrerla e vedere i suoi stabilimenti d'istruzione pubblica, i suoi Musei, le sue Biblioteche, ecc., ma essendo in compagnia, ha bisognato cedere alle circostanze e partire. Mi sono alzato perciò alle 3 del mattino. Sono andato ad abbracciare nel suo letto il Signor Emidio Gregorio e gli ho dato un ultimo addio. Mi sono trattenuto con lui appena cinque minuti, e sono stato obbligato di partire alle 3½ del mattino. Siamo giunti a Monselice164 alle 7 del mattino, ed a Rovigo alle 11½. Abbiamo sulle prime passato il piccolo fiume Orrio, dopo l'Adige, quindi il Canale bianco, e finalmente il Po. Quest'ultimo ha attualmente 40 piedi di acqua nel mezzo del suo fluente, ed in un punto piuttosto stretto, come quello ove è la scafa, ha più di un quarto di miglio di larghezza. Alla Dogana del Papa, che è sul Po, abbiamo subìto la visita su gli effetti a mezz'ora di notte in un modo molto noioso. In alcun 164 Monselice in provincia di Padova. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 664 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo luogo d'Italia si è così maltrattato relativamente alle dogane come in tutti gli Stati del Santo Padre. È un oggetto che cruccia ed irrita oltremodo, imperocché la visita non ha altro scopo che quello di affliggere e tormentare i viaggiatori, e di ritardarli nel loro cammino. Io rendo giustizia alla mia patria: a malgrado della sua orribile depravazione, ritrovo che essa lo è meno di questi paesi d'Italia che io ho scorsi finora. Qui si è scorticato nei Burò dei passaporti, maltrattato nelle dogane, rubato negli alberghi e presso i mercadanti, e malmenato dappertutto. Io scuso ora gli uomini, i quali, essendo stati ben formati dalle mani della natura, si sono dopo corrotti. Infatti, o non bisognerebbe vivere nel mezzo di queste razze infami di oggigiorno, ovvero, vivendovi, essere sacrificato, o per salvarsi, fare come esse fanno. Morale terribile, ma sventuratamente è per lo appunto quella di oggi. Siamo giunti in Ferrara alle 10½ della notte, dopo essere stati digiuni fin dalle tre pomeridiane del giorno precedente, ciò che ci ha reso più piacevole la visita della dogana papale sul lido sinistro del Po, il ritardo per la visita del passaporto, e l'apertura della porta di Ferrara, che a quest'ora era già chiusa. Siamo andati ad alloggiare nell'Albergo dei Tre Mori. 24 Maggio Siamo partiti alle 10 del mattino da Ferrara. In queste contrade le siepi dei poderi si fanno di prugni selvaggi (trigne), di piccioli olmi, di rami di salcio e di altri piccioli arbusti che crescono lentamente, piantati così [Sangiovanni disegna il modo in cui sono piantati gli alberi]. Nel Polesine si fanno soltanto di rami di salcio. La strada rotabile che da qui conduce a Bologna è tutta fiancheggiata di olmi o di pioppi, piantati l'un dall'altro distante circa dieci palmi. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 665 Abbiamo passato il Po sulla scafa. Dopo siamo giunti a Malalbergo, ove è il canale. Abbiamo continuato il nostro cammino, e siamo giunti alle 7 della sera in Bologna, in giorno di domenica. La Parrocchia che abbraccia il quartiere della città nel quale è l'albergo ove noi andavamo ad abitare, faceva la festa del Corpus Domini, che qui dura otto giorni. Questa festa si celebra principalmente nelle due domeniche che seguono il Corpus, e si fa da due parrocchie per anno. In tale circostanza tutte le case e le strade della parrocchia sono guarnite di drappi in seta di diversi colori, e le strade per le quali passa la processione sono coverte con tende. La sera, nella strada più bella della parrocchia vi è illuminazione fatta con candele di cera, ed un'immensa quantità di nobiltà e di popolo vi passeggia. Ciò è avvenuto precisamente davanti il nostro albergo. In questo giorno tutte le famiglie della parrocchia, anche le più povere, sono in festa ed in pranzo, ove invitano i loro amici e parenti. Questa festa, pel modo come si celebra, è senza dubbio bellissima, ed offre un bel colpo di occhio. Noi ne abbiam goduto dai balconi del nostro albergo. La sera sono andato a ritrovare il Signor Duca di Diano, il quale qui ci attendeva. 25 Maggio Siamo restati in Bologna. Io sono andato a vedere: 1° L'Accademia di Belle Arti, ove, fra tanti belli quadri, meritano particolare attenzione, la Vestizione di San Guglielmo, prima maniera del Guercino; San Bruno, seconda maniera dello stesso autore; il quadro di Nostro Signore il quale invita San Matteo a Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 666 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo seguirlo del Caracci; il Martirio di Sant’Agnese, del Domenichino165; la Pietà, di Guido Reni166; Nostra Signora del Rosario con due putti che risaltano sulla tela come se fossero di marmo; del Domenichino; San Petronio e Sant’Alò; la Beata Vergini, di Vincenzo da Imola; la Beata Vergine in gloria; San Matteo, San Francesco e San Geronimo dell'Albano167; l'Assunzione della Vergine del Caracci; la Deposizione della Croce, di Alessandro Tiarini168; la Nascita, di Francesco Francia169; Santa Cecilia di Raffaele d'Urbino (opera stupenda)170; Santa Margherita, del Parmigianino171; la Strage degl'Innocenti, di Guido [Reni]; la Maddalena del Perugino172; San Pietro martire, del Domenichino; il famoso Cristo de' Cappuccini di Bologna, di Guido Reni. Qui vedesi ancora la statua in marmo di Virginia uccisa da suo padre, opera del professore di scultura, Signor Di Maria. È questa bellissima, e tale è stimata dagl'intendenti. 2° La Chiesa di Santa Maria de' Servi, di architettura gotica, che è grandissima e ricca in marmi. 3° Il Teatro della Comune è di giusta grandezza. Esso è tutto costruito in fabbrica, incluso le logge ed i corridoi. La parte anteriore delle logge è di marmo, lavorato a foggia di balaustrata. 4° Il Palazzo della famiglia Ercolani è nuovo, grande, ha una bella scala e belle corti. La Galleria è ricca in quadri. Fra i più pregiati possono annoverarsi il quadro di San Francesco, del Viano. È desso spirante su una stuoia lacera: è impossibile di 165 Domenico Zampieri, detto il Domenichino (1581 – 1641). Guido Reni (1575 – 1642). 167 Francesco Albani (1578 – 1660). 168 Alessandro Tiarini (1577 – 1668). 169 Francesco Francia (1450 – 1517). 170 Raffaello Sanzio (1483 – 1520). 171 Girolamo Francesco Maria Mazzola, detto il Parmigianino (1503 – 1540). 172 Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino (1448 – 1523). 166 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 667 descrivere la naturalezza del volto moribondo del Santo e quella dei giunchi della vecchia stuoia. Un inglese, per averlo, ha offerto un peso d'oro uguale a quello del quadro. La Carità di Franceschini173, trasportata su di un'altra tela senza punto danneggiarla. I Giganti fulminati da Giove, di Guido Reni; la Resurrezione, di Simon di Pesaro174; il San Rocco del Caracci; il Loth di Gherardo delle notti175. Vi sono inoltre moltissimi grandi paesaggi cinesi dipinti su tavola, e due piccole tavole anche cinesi, ed una tavola in pietra dura e preziose di Europa. 5° La Certosa. È questo un immenso e bello edificio che rimane due miglia fuori della città, verso il suo ponente. Vi è una bella chiesa con ottimi quadri e molte statue in marmo. Vi sono ancora circa cinquanta camere sullo stesso piano della chiesa, che comunicano fra loro, ove sono delle cappelle, delle immagini e dei bassi rilievi antichi con iscrizioni indicative attaccati ai muri e molto ben conservati, i quali sono stati presi da altre chiese. Nei giardini, nei corridoi e nelle stanze accanto ai corridoi, di cui ve n'è un gran numero, vi è il Cimitero della Città, colà stabilito fin dal 1800, ove veggonsi molte pietre sepolcrali. Vi sono delle camere intere destinate per famiglie particolari, ove le tombe in varie serie disposte sono scavate entro il muro come piccole camere lunghe e basse, le une poste sulle altre. In alcuni corridoi veggonsi già retti dei belli mausolei in marmo di personaggi distinti, trapassati dopo la costruzione di questo cimitero. Ve n'è, tra gli altri, uno bellissimo, che è piaciuto ad una dama di qualità Bolognese, di farsi eseguire prima di morire, per averlo fatto a suo piacimento, e perché si trovi pronto a rice- 173 Marcantonio Franceschini (1648 – 1729). Simone Cantarini, detto il Pesarese (1612 – 1648). 175 Gerard van Honthorst, detto Gherardo delle notti (1592 – 1656). 174 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 668 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo verla quando sarà estinta. Vi si legge scolpita benanche l'iscrizione, tranne il giorno e l'anno della morte. Questo divisamento non ordinario della dama Bolognese, che in sulle prime sembra strano e bizzarro, ben ponderato trovasi saggio e filosofico. Esso giova a raddolcire in gran parte la tristezza che in noi produce l'idea ben dura del nostro ultimo fine, allorquando con sì fredda e costante risoluzione si è disposto ad attenderlo. Dappertutto vi sono dei vasi con fiori e degli alberi sepolcrali. Questo grande ed immenso locale è mantenuto con una pulitezza ed eleganza che non possono descriversi. Basti il dire che la veduta di questo cimitero, se non fa venire il desiderio di morire, diminuisce almeno il terrore della morte e la fa meno temere. Felice colui che essendo già preso al termine di sua vita, può andare a morire in Bologna!! 26 Maggio Questa mattina ho veduto: 1° La Torre degli Asinelli. Questa torre singolare è di forma quadrata. Essa è tutta costruita in mattoni. La sua altezza totale è di 366 piedi. Vi si ascende per una scala di legno composta di 450 gradini che scorre i quattro lati della torre. È stata edificata da 700 anni. L'architetto fu il Signor Asinelli, di cui essa ha preso il nome. Dalla sua cima si scorre un orizzonte estesissimo e tutta la città. È pericolosissimo il salirvi e molto più ancora il discenderne, come ho sperimentato io stesso, imperocché la meschina costruzione della scala, in parte tarlata e l'aspetto dell'altezza da cui si discende, produce lo spavento, anche perché manca di spalliera. Fa quindi stupore che questa colta città non ripari un tanto pericolo, e non curi questo edificio tanto raro nel genere suo e tanto utile alle scienze ed alle belle arti di una scala agiata e sicura. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 669 2° La Torre Garrisanti [Garisenda], che è pochissimo discosta dalla precedente, è ancora più singolare e sorprendente. Essa è ancora di forma quadrata, è costruita del pari in mattoni, ed ha circa 180 piedi di altezza. È stata costruita in modo che la perpendicolare calata giù dalla sua cima, esce nove piedi fuori della sua base. Questa sua inclinazione o pendenza fa supporre a colui che ignora d'essere essa stata fatta ad arte, che la torre stia cadendo, e l'illusione è tanto grande, ch'egli prende precipitosamente la fuga per non esser sepolto sotto le sue rovine. È anche costruita in mattoni e vi si ascende egualmente per una scala di legno. 3° La Madonna di San Luca. È questo un Santuario situato su di un monte discosto tre miglia dalla città. Vi si va per un porticato di fabbrica continuato composto di circa 680 archi, il quale principia dalla città e va infino alla porta della chiesa. La metà di questo porticato è in piano e l'altra metà in salita molto aspra. Questo edificio è stato fatto a spese delle varie confraternite e delle famiglie ricche della città. La chiesa è bella abbastanza, ma non vi sono quadri di pregio, né vi è alcuna statua allorquando si è sulla sommità della montagna, si scorre tutta la città ed i suoi dintorni, e vi si gode di un bel punto di veduta. 4° La Fontana della Piazza a San Petronio. Vi è una bella statua di Nettuno, in marmo; opera dello scultore Gaetano Bologna. 5° Il Duomo. È questo grande ed alla gotica, ma bensì luminoso. Vi sono dei buoni quadri e delle belle statue in marmo. Sul grande altare vi è un superbo baldacchino composto di diversi marmi. 6° Quadreria Marescalchi. Fra la gran quantità di quadri che contiene, vi si ammirano principalmente: la pittura sul coverchio del cembalo di [illeggibile]; la Venere di Tiziano; il quadro che rappresenta l'uomo e la donna nel fiore della loro beltà, da un lato, Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 670 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo e questi stessi individui nello stato di morte, imputriditi e verminosi, fatto da Ligozzi176; la circoncisione di Palma seniore; i due putti del Correggio177; il Salvatore del Correggio; quadro rarissimo, bellissimo, preziosissimo, il migliore di tutta la collezione. È stato pagato ventimila franchi, e si sono assegnati, durante la sua vita, duecentocinquanta franchi al mese all'antico padrone; San Pietro e San Paolo, del Caravaggio178; il Simone con giudici; il Lamone e Tamari del Guercino; il filosofo del Rembrandt179; la morte di Abele di Guido Cagnacci180; il Discepolo ed il Maestro del Caravaggio; il Ratto di Proserpina di Guido Reni; la Regina d'Otaiti, di Ledeis; di S. Girolamo, del Guercino, seconda maniera; il ritratto di Aldovrandi, di Annibale Caracci, il ritratto di un olandese, di Rembrand[t]. 7° Quadreria Zambeccari. Vi si ammirano principalmente i quadri seguenti: la Cena di Scarsellino; il Cristo deposto e morto di Luca Giordano; la Testa di S. Giovanni di Valentino; il Bacio di Giuda a Cristo di Torelli181; la nascita della Vergine di Caravaggio; Tizio divorato dall'avvoltoio dello Spagnoletto182; la Maddalena di Sirani183; il San Girolamo della stessa; la Giuditta del Calvari184; la Vergine col bambino dell'Albano; la Giuditta del Caravaggio; Loth e le figlie del Guercino; la Vergine del Fran- 176 Jacopo Ligozzi (1547 – 1627). Antonio Allegri, detto il Correggio (1489 – 1534). 178 Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio (1571 – 1610). 179 Rembrandt (1606 – 1669). 180 Guido Cagnacci (1601 – 1633). 181 Felice Torelli (1667 – 1748). 182 Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto (1591 – 1652). 183 Giovanni Andrea Sirani (1610 – 1670). 184 Denjis Calvaert, detto Dionisio Fiammingo (1540 – 1619). 177 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 671 ceschini; il Cristo di avorio, lungo circa due palmi dell'Algardi185; San Pietro del Tiarini; la Maddalena del Soti; la Lucrezia del Tibaldi186; la Maddalena del Guercini; il San Girolamo dello stesso; San Pietro del Tiarini; Ercole e Iole del Guercini; il San Francesco del Domenichini; Abramo con gli angeli del Caracci; Mosè dello stesso; San Francesco di Guido Reni; la Vergine in gloria di [illeggibile]; San Sebastiano di Tiziano. 8° Teatro della Comune è situato su di una bella strada. Esso è ben costruito. L'interno è tutto in fabbrica: le logge hanno la parte anteriore in marmo, a guisa di balaustrata. È però troppo basso relativamente alla sua larghezza. È questo il primo teatro che io ho veduto in mia vita costruito tutto in fabbrica. 9° Istituto, o Università. Questo edificio è grande e bellissimo. Esso contiene gli stabilimenti seguenti: a) Un gabinetto di pietre sepolcrali o iscrizioni antiche, alcune statue ed alcuni busti ben mediocri; b) Un Museo di mineralogia e di geologia abbastanza e mediocremente distribuito, ma ora si principia a classificarlo secondo i metodi moderni. c) Un Museo di zoologia, sufficientemente ricco in oggetti, ma mal distribuito e confuso, imperocché gli stessi oggetti spesso si trovano tra loro disgiunti e messi in diversi luoghi della serie. La classe delle conchiglie è ben ricca in ispecie ed in individui. Quella dei pesci è poverissima. I mammiferi sono per la maggior parte male impagliati. Vi è un cranio intero di un cetaceo senza denti, di cui non mi ricordo ora il nome, il quale è lungo circa quattro palmi. d) Un Gabinetto anatomico, il quale contiene molte preparazioni in natura conservate nello spirito di vino, alcuni scheletri, delle preparazioni e due statue in cera, una dell'uomo e l'altra della 185 186 Alessandro Algardi (1598 – 1654). Pellegrino Tibaldi (1527 – 1596). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 672 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo donna, che è bellissima; molte preparazioni miologiche, quelle degli organi dei sensi, della generazione, ecc. parte in cera e parte in natura. e) Un Gabinetto patologico, molto ricco in pezzi di malattie interessantissime, conservate nello spirito di vino, ed altri ancora in cera. Vi si conserva un pezzo singolarissimo di un'ovaia di donna, divenuta idropica e distesa a segno da contenere infino a settanta libbre di acqua. Questa si conserva gonfiata ed a secco. Vi sono ancora differenti mostri di animali e della nostra specie, come pure una serie di feti di differenti età. f) Un Gabinetto di preparazioni in cera, e d'istrumenti chirurgici relativi all'ostetricia, come pure un'altra serie di feti. Queste preparazioni presentano tutti possibili casi che possono avvenire g) Un Gabinetto di fisica ricchissimo in macchine d'ogni sorta, ed acquistate senza risparmio, giacché vi sono circa dieci macchine elettriche di diverse specie e di differente grandezza, e quasi altrettante macchine pneumatiche. Vi è pure una pila di Volta gigantesca. Vi sono delle macchine per l'[illeggibile] delle forze, pel moto dei corpi, ecc. h) Un Gabinetto di antichità, come medaglie, utensili antichi e di selvaggi, tre belle mummie egizie ben conservate, due delle quali sono fasciate. Vi si conservano molte opere di selvaggi scolpite su frutti di cocco, benissimo lavorate ed anche dorate. k) Una sala di quadri rappresentanti la maggior parte letterati di Bologna. Fra questi vi è il quadro ed una statua in marmo più grande del naturale, di Marsigli, fondatore di questo bellissimo stabilimento. l) Una biblioteca sufficientemente ricca di classici, di edizioni antiche e di libri moderni. N'è bibliotecario il Signor Mezzofanti, uomo dottissimo in letteratura e filologia, il quale conosce e parla (come mi si è detto) trentaquattro lingue antiche e moderne!! Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 673 m) Un Gabinetto di fossili, la maggior parte spettanti all'elefante, qualche pezzo al rinoceronte, ai pesci, ecc. Ma è ben limitato. Vi è inoltre un bell'Anfiteatro, ove s'insegna la Chimica. Vi sono alcuni coccodrilli, delle grandi testuggini di mare, alcuni serpenti boa abbastanza grandi, ecc. Evvi infine un custode urbano ed educato, ed istruito di tutto ciò che nello stabilimento si contiene, in modo che egli spiegava da scienziato tutto ciò che mi mostrava spettante alla mineralogia, alla zoologia, alla fisica, all'anatomia, ecc. Quante collezioni scientifiche, e quanti mezzi di pubblica istruzione nella capitale di una semplice provincia, qual è Bologna, e di una provincia degli Stati del Santo Padre! Dovrebbe Bologna servir di esempio, se non di scorno, alla metropoli dalla quale dipende, ed a talune altre capitali di grandi Stati d'Italia. 27 Maggio Siamo partiti da Bologna alle 5½ del mattino, in compagnia del Signor Duca di Diano. Le campagne che si traversano sono tutte pianure fertili, ben coltivate e piacevoli. Gli arbusti sono ancora piantati a linee larghissime. Le strade sono belle ed amene. Da tratto in tratto incontransi delle case di campagna. La strada rotabile è costeggiata da molti piedi di quercia. Si passa per Castel San Pietro187. Alle 11½ del mattino siamo giunti ad Imola, discosta 20 miglia da Bologna. Il Duomo di questa città è nuovo e bello, ed ha tre navi. Si sale al coro ed all'altare maggiore per quattro scalinate. Al di sotto vi è un bellissimo succorpo, con tre tombe e degli angeli. Davanti la chiesa ed all'interno vi è una strada bella e larghissima. La Piazza Maggiore ha i portici su due lati, sul terzo lato vi è la Chiesa del Suffragio, e sul quarto il Palazzo della 187 Castel San Pietro in provincia di Bologna. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 674 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Municipalità. La Chiesa di Santa Maria è di mediocre grandezza. Essa ha una sola nave, ed è bella abbastanza. Vi sono alcuni quadri mediocri. La Chiesa di Sant’Agostino ha una sola nave, ed è passabilmente bella. Vi è un quadro di Cristo in Croce, del Franceschini. Il quadro delle anime purganti è anche bello; quello di Sant’Agostino è buono ma rovinato. Questa città è piccola, ma gaia. I muri sono larghi. Vi sono dei palazzi sufficientemente buoni. Fuori la porta incontrasi il fiume Santerno, il quale si passa su di un ponte di legno ben lungo. Le campagne continuano ad essere amene e ben coltivate. Si giunge poi al picciolo paese detto Castel Sant’Angelo. Alle 4½ pomeridiane siamo giunti nella bella città di Faenza. Vi si entra per una porta magnifica. Vi è una bella piazza e dei palazzi ed edifici superbi. Prima di entrare in città vi è un sobborgo ed un altro ve n'è all'uscita, chiamato Borgo Durbecca. Le campagne circonvicine sono bellissime e ben coltivate. Vi sono delle pianure estesissime. Gli arbusti sono simili agli altri che abbiamo descritti. Continuando il cammino, si approssima a Forlì. Qui le campagne sono ridenti, e la coltura è ben diretta. La strada che conduce a Forlì è buonissima ed un poco in pendio. Si entra nella città di Forlì per una porta. È questa grande, e le sue strade sono spaziose ed amene. Il Duomo è grande e ha tre navi. L'altare maggiore è bello. La cappella della Vergine del Fuoco è ricca in marmi ed in stucchi dorati. La cupola è stata dorata da Carlo Cignani188, il quale vi lavorò venti anni continui. La sua forma è elegantissima. La piazza è una delle più belle d'Italia. Vi è la Chiesa di San Mercuriale, nella quale conservasi il suo corpo. Vi sono ancora i palazzi del Magistrato, di Albicini, di Merenda e di Piazza. Vi è accanto anche il Monte di Pietà. 188 Carlo Cignani (1628 – 1719). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 675 La strada che da Bologna conduce infino a Forlì è dritta e bella. Le campagne sono piane, amene e ben coltivate. Dappertutto vi sono degli arbusti piantati a linee molto distanti l'una dall'altra. Vi sono pochissimi casini di campagna, ma diverse case rurali. Siamo giunti a Forlì alle 7 della sera, ove abbiamo pernottato nell'Albergo della Posta, nel quale vi sono dei pessimi osti. Uscendo dalla città, verso la strada di Roma, vedesi una bella villa o passeggiata fatta in quest'anno. Vi sono delle colonne e altri piccioli edifici. 28 Maggio Alle 5 del mattino siamo partiti da Forlì. Fuori della porta la strada è bonissima, ed è fiancheggiata di pioppi. Le campagne e la loro agricoltura qui continuano ad essere le stesse. Si passa il fiume [Sangiovanni non riporta il nome] su di un ponte di legno, quello di fabbrica essendo rotto. Al di là del fiume evvi un bel punto di veduta somministrato da una pianura estesissima, circondata sul lato meridionale da una catena di colline e di montagne della Toscana. La strada continua ad essere amenissima. Incontrasi sulla sinistra una bella casa di campagna con villa. Si giunge a Forlipopoli189, piccolo contado che ha una bella piazza. Poco al di là, alla distanza di un miglio e mezzo, vedesi sulla dritta Partenore, paese edificato su di una piccola montagna. Si perviene al fiume Savio, il quale si passa su di un ponte magnifico a tre grandi archi, e quindi si entra a Cesena, città grande abbastanza, con buoni edifici e grandi chiese. La piazza è estesa ed ha una bella fontana di marmo nel mezzo. La strada continua ad esser bonissima. 189 Forlimpopoli in provincia di Forlì-Cesena. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 676 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Si arriva quindi a Savigliano190, paese allegrissimo, con larghe strade, con portici ed una piazza. Le siepi di spine sono qui molto più belle che altrove. Si giunge dopo a Sant’Arcangelo191, paese posto su di una piccola collina, che si traversa nella sua parte inferiore. È questo un paese ben grande e sufficientemente bello. Le campagne che seguono sono egualmente amene. Si arriva a Rimini, appena passato il fiume Marecchia, su di un antico ponte romano, e quando si sorte dalla città, si passa sotto di un arco di marmo, egualmente di costruzione romana, fatto in onore di Augusto. Sulla piazza evvi la statua in bronzo di Paolo V. Questa antica città è sul mare. Essa è tutta fabbricata in mattoni, vi è una bella piazza, dei belli edifici, e delle eccellenti costruzioni. Si perviene alla Cattolica192, ove abbiamo passato la notte. È questo un picciolo e mediocrissimo paese, circondato da pessimi terreni. 29 Maggio Alle 5 del mattino siamo partiti da Cattolica. Poche miglia dopo finisce la pianura e principiano le colline e le piccole montagne. Si traversano due villaggi e quindi si trova sulla sinistra una bella casa di campagna con grandi viali. Dopo poco si giunge alla città di Pesaro, davanti la quale scorre il fiume Foglia. Pesaro è una città ben grande, situata presso il mare e molto popolata, giacché contiene circa diecimila abitanti. Ha lunghe e belle strade con porticati, ed una grande piazza, ed è inoltre ornata di belle chiese e di magnifici edifici. Il fiume Sauro le scorre 190 Ibidem. Santarcangelo in provincia di Rimini. 192 Ibidem. 191 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 677 da lato. È anch'essa edificata in mattoni. I luoghi che circondano la città, e la città istessa sono molto ridenti. Dopo la Cattolica s'incontrano delle campagne bellissime e ben coltivate. Gli arbusti hanno i correnti come i nostri. Però lungi da Pesaro la strada si eleva sopra il livello del mare. Essa è piacevole come quella che da Vietri conduce a Salerno. Nulla può immaginarsi di più ridente e più ameno. Il mare è sulla sinistra costeggiato da una larga strada e sulla dritta vi è una catena continuata di colline ridentissime e ben coltivate. Continuando la stessa strada, sempre amena e piacevole, si giunge a Fano, città situata anch'essa sul mare e che ha un porto. È cinta di muri e fortificata. Sul davanti della città, entrando dal lato di Pesaro, vi è un fiume che offre una cascata. Vi sono molti edifici e belle chiese. La strada è sempre costeggiata dal mare, che n'è più o meno lontano, e dalla catena di colline. Si giunge quindi a Sinigaglia193. In un lato di questa città vi è un gran canale navigabile, che parte dal mare, sul quale canale vi è un ponte. Alla sua estremità vi è il molo, che inoltrasi molto nel mare e protegge il canale. All'estremità del porto vi è una lanterna molto elevata, sostenuta da una macchina di legno. Da sopra il molo si gode di una bella veduta: da un lato vedesi un mare estesissimo, e dall'altro veggonsi delle colline ridenti e ben coltivate. Lungo la parte del canale che è dentro la città vi sono dei grandi edifici con portici spaziosi, per uso della celebre fiera di Sinigaglia. Questa piccola città è tutta murata e fabbricata a mattoni, in gran parte scoverti, cioè senza stucco. Essa è regolarmente edificata, in certo modo come Torino, giacché le strade sono larghe, dritte, e si tagliano ad angolo retto. Gli edifici ed i palazzi sono grandi e belli. Fuori le porte vi sono dei borghi. Evvi una gran piazza 193 Senigallia è attualmente un comune italiano della provincia di Ancona. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 678 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo circondata da grandi e belli edifici, i quali in parte hanno dei portici. Fra questi vi è il Duomo, o chiesa cattedrale, il quale è di recente costruzione, è ben grande e di bella forma. Vi sono alcuni quadri. Ho qui veduto davanti all'Albergo della Posta, ove ho pernottato, giungere verso le 7 della sera, il Sig. De Angelis, napoletano e mio intimo amico, il quale va in Parigi in compagnia della Signora Contessa Orloff194. Ci siamo tenerissimamente abbracciati e forse per l'ultima volta. 30 Maggio Siamo partiti da Sinigaglia alle 5 del mattino. I dintorni di Sinigaglia sono piacevolissimi; le campagne fertili e ben coltivate. La strada che da qui conduce ad Ancona è sempre sul lido del mare, ed è bellissima. Quest'ultima città scorgesi molto da lungi. Le colline che costeggiano il mare sono composte tutte di argilla purissima con la quale si fanno i mattoni per la costruzione degli edifici. Si giunge quindi in Ancona, città edificata sul lido del mare ed alle falde di un monte elevato, sul pendìo del quale essa anche si estende. Questa città è tutta murata e fortificata con cura. La strada d'ingresso fra le due porte è bellissima. Sulla gran piazza evvi il tempio di San Domenico ad una sola nave. Esso è grande, luminoso e bello. Vi è un elegante battistero, sul quale è posto un bel quadro di San Giovanbattista che battezza Gesù, un altare maggiore ed un pregevole quadro di Gesù crocifisso, nel coro. Nelle cappelle laterali vi sono dei buoni quadri, fra quali quelli dell'Ascensione, della Resurre- 194 Anna Orloff (1781 – 1824). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 679 zione, ecc. Attualmente si sta facendo una magnifica scala davanti la chiesa, con una fontana. Nel mezzo vi è la statua colossale di Innocenzo XIV195, in travertino, fatta di recente. Il molo è lunghissimo e molto bello. Nel principio vi è un arco trionfale in marmo di costruzione romana. L'Ospedale di San Francesco è sufficientemente buono. La Chiesa del Gesù è bella, e contiene dei quadri alquanto buoni. È costruita ad una sola nave con cappelle laterali. Il monastero dei Gesuiti, che ne dipende, è ora addetto ad uso di Seminario. La Chiesa degli Scalzi è piccola, di forma rotonda e piacevole. Vi sono alcuni quadri passabili. La Cattedrale è situata sulla cima del monte, sul pendio del quale è fabbricata Ancona, e per conseguenza alla sommità della Città. La sua porta è gotica: dai due lati vi sono due Leoni e delle colonne di marmo giallo, che io credo di Egitto. La Chiesa è a croce greca, con navi laterali. Gli altari del Sacramento e del Cristo sono bellissimi. Vi sono dei buoni quadri, molti sarcofagi e pietre sepolcrali. Sotto le due citate cappelle vi sono due succorpi: quello che è sotto la cappella del Sacramento contiene tre urne, due di belli marmi stranieri e la terza di bronzo; questa, che è dietro l'altare del succorpo contiene il corpo di San Ciriaco; nelle altre due messe lateralmente a questa, si conservano i corpi di Libero e di San Marcellino. Dalla piazza del Duomo si ha un punto di veduta estesissimo e bello. Veggonsi, sotto lo stesso colpo di occhio una gran parte della città, le fortezze, il mare e le colline adiacenti. La Chiesa del Sacramento è piccola ed a croce latina. È elegantissima, molto luminosa e contiene dei belli quadri. La Chiesa di Sant’Agostino ha una sola nave. È grande, luminosa ed ha dei buoni quadri, particolarmente i tre che sono nel 195 Si tratta invece della statua di Papa Clemente XII (1652 – 1740). Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 680 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo coro. Davanti la chiesa vi è una bella piazza, ornata di eleganti palazzi. Tutta la città, come le altre vedute finora è fabbricata in mattoni. Appena uscito da questa città trovasi sulla sinistra una grande estensione di terre ben coltivate e limitate da colline. Sulla strada di Loreto196 incontrasi sulla dritta una bella casa di campagna. Seguono dei pendii e delle pianure ben coltivate e coverte di piante di ogni genere. La strada che conduce a Loreto è buona, ma essa si compone tutta di salite e di discese orribili. Si sale infino ad Osimo197, ove si ha una veduta estesissima di mare, di terre e di paesi. Dopo nuovamente si scende. Avvicinandosi a Loreto trovasi una salita terribile che continua infino al paese, ove siamo giunti alle 7½ di sera. Ho qui veduto dei semenzai di occhiani e di alberi fruttiferi, che meritano d'essere imitati. 31 Maggio Siamo restati in Loreto infino all'una dopo mezzogiorno, per vedere il Santuario ed il paese. Questo paese è abbastanza grande. È desso fabbricato su di una montagna sulla quale si sale, come abbiam detto, per una strada ripidissima. Sulla sinistra della porta esiste una torre bassissima, di figura rotonda e di un grandissimo diametro. Il principale commercio degli abitanti consiste in oggetti di devozione, spettanti principalmente al loro santuario, come corone, reliquie, medaglie di diversi santi e di varia forma, abitini, immagini, cartoline contenenti la polvere che si raccoglie nella stanza della Madonna, ed altri simili oggetti. Non vi è bottega, né punto di strada ove non si vendano simili cose. 196 197 Loreto in provincia di Ancona. Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 681 Gli abitanti, o sono realmente tutti poveri, o fingono di esserlo, imperocché uomini e donne di ogni età, e principalmente i fanciulli, restano tutti in mezzo le strade per domandare l'elemosina ai viaggiatori, ma in modo insultante e noioso, giacché essi si gettano per terra davanti le carrozze, gridano come ossessi, fanno smorfie orribili e disgustevoli, e vi accompagnano in tal guisa senza punto stancarsi, infino a che per liberarsi da questa noiosa vessazione si è, suo malgrado, e contro ogni politica, obbligato di batterli. Ecco quali sono gli effetti di una malintesa religione! La poltroneria, la miseria e la degradazione! La Chiesa della Madonna è grande e bella. Nella parte interna e superiore della medesima evvi una piccola stanza isolata e coverta, di rozza costruzione, ove conservarsi l'immagine della Vergine, che dicesi essere quella stessa stanza ove la Vergine dimorava in Palestina, e che per opera di miracolo, fu, insieme con quella sua effigie da lei trasportata di notte sulla cima di quell'aspro monte. In seguito del quale miracoloso avvenimento vi fu edificato il Santuario. In questa medesima stanza conservasi il piatto di cui servivasi la Vergine in questa sua dimora, il Cristo, il tesoro, ecc. Sul davanti della Chiesa vi è una piazza grande e magnifica, e su i due lati di questa, un grande edificio, appartenente al Santuario, ove dimorano i canonici, i preti e le altre persone destinate al servizio del medesimo, ed all'amministrazione delle sue rendite. Vi è ancora un appartamento per ricevere le persone di alto rango, che potrebbero giungere in Loreto, come monaci, Papi, principi reali, cardinali, ecc. In questo magnifico appartamento vi sono dei belli quadri, e dei mobili analoghi. Nei sotterranei di questo edificio, evvi un gran magazzino destinato a conservare il grano, ed un grandissimo cellaio per deporvi il vino delle rendite del Santuario, ed altri magazzini per uso della stessa chiesa. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 682 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Sotto lo stesso edificio e sulla piazza, vi è una farmacia della stessa chiesa, che contiene circa trecento vasi di Faenza per conservarvi le medicine, di varia grandezza, e tutti dipinti a smalto da Giulio Romano198, con i disegni di Raffaello. Vi è dipinta tutta la storia della Bibbia e le metamorfosi di Ovidio, dipinti in un modo ammirabile. Da una loggia dell'appartamento nobile si gode di una bella veduta, e si scorre una gran parte delle sottoposte possessioni del Santuario che giungono a molte migliaia di moggia. Per istruirsi completamente di tutto ciò che riguarda questo Santuario, bisogna leggerne la descrizione fattane in un libro scritto a tale uopo. Siamo partiti da Loreto all'una dopo mezzogiorno. Le campagne che si traversano sono amene e ben coltivate. La strada che da Loreto conduce a Macerata199 si compone di continue ed orribili salite e discese. Si giunge a Recanati200 per una salita asprissima, e se ne esce per una discesa orribilissima. Recanati è situato su di un piccolo monte elevatissimo. Il paese è ameno, e vi è una bella piazza. Si giunge quindi al fiume Potenza che è tre miglia discosto da Macerata. Di qua dal fiume veggonsi i resti di un antico anfiteatro costruito in mattoni, che io credo essere opera romana. Passato il fiume si principia la terribile salita di Macerata, che è lunga tre miglia. Si perviene a Macerata, città situata su di un'altra collina. Questa città ha una superba porta, e quindi una bella strada, che continua infino all'altra sua porta opposta. Essa ha un orizzonte esteso in 198 Giulio Romano (1499 – 1546). Macerata in provincia di Ancona. 200 Ibidem. 199 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 683 modo che vedesi anche l'Adriatico. Le strade sono larghe. I palazzi belli e grandi, fra quali principalmente si distingue quello di Palomba. Evvi una bella piazza, sulla quale è la chiesa dei Barnabiti201 che ha una sola nave, con cappelle ed alcuni buoni quadri. La Chiesa di San Filippo è di forma ellittica. Vi sono dei belli altari, ricchi in colonne di marmo di diversi colori ed in buoni quadri. La Chiesa di San Giovanni ha una sola nave a croce latina, con cappelle. Abbiamo alloggiato nell'Albergo della Posta. 1 Giugno Siamo partiti alle 6 del mattino da Macerata. La strada si compone di salite e di discese continue. Le campagne di questa parte delle Marche sono meno fertili. Si hanno egualmente delle terre piane, circondate di colline. La coltura dei gelsi bianchi vi abbonda, e per conseguenza l'industria dei bachi da seta. Si giunge a Tolentino202, paese situato in cima di un colle, e molto mediocre. I suoi edifici sono piuttosto infelici. Vi è una piazza ben larga, ed il Santuario di San Nicola detto Tolentino. La salita per andarvi è terribile, ma la discesa per uscirne, che principia davanti la porta di uscita è mille volte peggiore. Poche miglia al di là di Tolentino si entra nelle montagne che compongono la catena degli Appennini. Le strade sono orribili e rovinate. Si passo sotto Belforte203, piccolo paese posto sulla cima di un monte. Abbiamo fatto riposo a Balcimora. 201 Si tratta della Chiesa di San Paolo. In provincia di Macerata. 203 Ibidem. 202 Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 684 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Appena uscito da Balcimora ha principiato a piovere dirottissimamente. La pioggia ci ha accompagnato senza la minima interruzione infino a Serravalle204. La strada, che si compone di continue salite e discese, è tutta rovinata. Questa parte degli Appennini, che durante il bel tempo ci avrebbe incantati con l'aspetto dei suoi belli orrori, passata in compagnia di un diluvio di acqua, circondati da tutti disagi e pericoli del viaggio, ci è sembrata orribile. A malgrado ciò, io ho ammirato più che ho potuto le sue bellezze. Vi si osservano da per tutto gli angoli rientranti e gli sporgenti delle diverse montagne che compongono questa catena degli Appennini. Vi sono dei piccioli villaggi miserabili e spaventevoli. Siamo giunti, ciò nonostante tutti salvi a notte avanzata al detestabile paese di Serravalle, dove abbiamo pernottato, ed ove siamo stati malissimamente trattati. Consiste questo paese in una lunga serie di casolari spaventevoli sparsi di qua e di là. 2 Giugno Alle 6 del mattino siamo partiti da Serravalle. Appena uscito dall'abitato, si sale un poco e dopo si trova una pianura molto estesa e circondata di montagne tutte coverte di erbaggi, ed in parte coltivate. Si giunge quindi ad un altro miserabile villaggio, chiamato Corfiorito205, al di sopra del quale vi è un'altra pianura alquanto estesa, ed un picciolo lago, il quale, forse, durante l'estate si dissecca. Tutt'all'intorno vi sono delle montagne coverte di boschi ridenti. Si perviene in seguito alla discesa di Corfiorito, che è lunga circa un miglio ed un quarto, e rapidissima. I luoghi circondanti orribili e selvaggi, le montagne che la circondano e le valli che la 204 205 Ibidem. Frazione montana del comune di Foligno Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 685 fiancheggiano divertono e piacciono oltremodo al viaggiatore che le trascorre. Si giunge quindi in un altro contado, ove principia la discesa, la quale va infino ad un miglio presso Foligno. È questa lunga circa due miglia e mezzo, ed è orribile e pessima. Finita la discesa, trovasi una strada larga, piana, bella e dritta, lunga circa un miglio, che conduce infino alla porta di Foligno. Questa città è piacevole. Le sue strade sono dritte e larghe a sufficienza; ma il pavimento della maggior parte delle medesime è pessimo. Le case sono, per lo più, fabbricate in pietre mescolate con mattoni. Pochissime sono interamente costruite in mattoni, e queste sono le più antiche. Vi sono molte piazze, cioè la Piazza Grande, ove è il Duomo, la Piazza San Domenico, ove è la Chiesa dello stesso nome, la Piazza Gregori, ove sono dei buoni edifici. Vi sono ancora dei belli palazzi, fra quali il Palazzo Brunetti. Non più di questo mi è stato permesso di osservare durante le due ore che mi sono fermato in questa città. Uscendo da Foligno, su di una bella strada, che continua infino a Spoleto, si entra in una pianura estesissima e ben coltivata. Essa si estende sulla dritta a molte miglia. Ad una certa distanza si passa al di sotto di Trevi206, che è edificato su di una piccola montagna quasi conica. Essa resta sulla sinistra della strada. Questa gran pianura è circondata più o meno da montagne e da colline. Continuando il cammino, si passa per molti piccioli villaggi e per li luoghi di posta. Finalmente, dopo diciotto miglia si giunge a Spoleto207, piccola città edificata alle falde di una montagna. Essa si presenta sotto un aspetto piacevole, imperocché non è in un piano, ma bensì su di un pendio. Contiene circa ottomila abitanti. Vi siamo giunti alle 8 della sera. 206 207 In provincia di Perugia. Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 686 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Abbiamo avuto durante dieci miglia di strada una pioggia dirottissima, ed io che conduceva una carrozza, mi sono completamente bagnato. Davanti la porta di Spoleto, che è sul torrente, vedesi sotto la sabbia un ponte a due archi costruito con grandi pietre di taglio, sopra del quale passa la strada che conduce nella città. È stato scoverto da poco, nel mentre che si accomodava la strada. Giudicandone dalla sua costruzione, sembra un'opera antica. La città è grande abbastanza: vi sono delle buone chiese, e delle strade sufficientemente belle. Nella maggior parte del suo recinto scorgonsi degli antichi muri. 3 Giugno Siamo partiti da Spoleto alle 6 del mattino. Uscendo dall'abitato, la strada è sufficientemente bella. Le campagne sono fertili e ben coltivate. Vi sono molti querceti. Dopo alcune miglia principia la salita della montagna di Somma, che è asprissima, e che è lunga circa un miglio e mezzo. La discesa è ancor più lunga e più aspra. I luoghi circonvicini, tutti cinti da montagne coverte di boschi, sono molto pittoreschi. La strada diviene quindi buonissima. Dopo diciotto miglia si giunge a Terni, città ben grande e bella. Abbiamo avuto la pioggia durante buona parte del viaggio. Il fiume Velino passa su di un lato della città, davanti la porta che conduce alla cascata, ove si passa su di un ponte. Esso è grande quanto lo è il Liri vicino Sora208. Su questo fiume vi sono molti canali per animare mulini ed altre macchine. La Chiesa di San Salvatore era nei tempi antichi un tempio pagano dedicato al Sole [Sangiovanni disegna a mano uno schizzo del Tempio del Sole di Terni]. È questo un edificio rotondo con 208 In provincia di Frosinone. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 687 una sala oblunga nel davanti. Il tondo aveva anticamente, tutto all'intorno, delle aperture a forma d'archi. Si veggono oggi in alcune specie di piccole scuderie, che restano sotto il tempio, le sue fondamenta fatte con grandi pietre di taglio. Sembra che vi erano ancora dei sotterranei. La parte che è fuori terra è fabbricata ancora in pietre di taglio, ma piccole, perché esse hanno i lati meno lunghi di un palmo. L'interno dell'antico tempio fu coverto con stucco, e gli archi furono chiusi quando si adattò ad uso di chiesa cattolica. Non ho avuto il tempo di osservare gli avanzi dell'Antico Anfiteatro nel giardino dell'Episcopio, ne' i resti degli antichi bagni nella Villa Spada, che ora, per quel che mi si è detto, è divenuto un semplice giardino, che appartiene ad un certo signor Camillo, mercadante. Chiamasi attualmente il Giardino di S. Giuseppe. Alle 2 dopo mezzogiorno sono partito da Terni per andare a vedere la celebre cascata di tal nome, che è distante cinque forti miglia dalla città. Nell'andare si hanno tre miglia di buona strada, un miglio di salita mediocre ed un altro miglio di salita aspra. Ho fatto tutto questo cammino in un'ora e 35 minuti, accompagnato dalla pioggia e battendo strade rovinate. Un miglio circa prima di giungere nel luogo d'onde l'acqua si precipita, trovasi un piccolo villaggio chiamato Papingi, o Papigni209. Colà ho preso per guida un piccolo ragazzo, per nome Matteo Moccadelli, di nove anni di età. Non può lodarsi abbastanza la destrezza, il talento e la sagacità di questo povero buon fanciullo. Egli mi ha guidato in modo da farmi ben vedere tutto e da tutti lati della cascata, e col più grande risparmio di tempo possibile, istruendomi nel tempo stesso con una eloquenza e precisione ciceroniana di tutte le notizie necessarie. Sono andato a vedere sulle prime il volume dell'acqua del fiume, che deviata dal suo fluente, scorre per un piccolo canale scavato 209 Papigno frazione del comune di Terni. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 688 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo sulla parte piana del monte, si dirige verso il suo orlo elevato e tagliato a perpendicolo, e forma la cascata. Dopo sono andato a vedere la gran cascata in questione, da un luogo poco distante e laterale alle medesime. Continuando quindi il cammino, e scendendo un poco dalla cima del monte, l'ho esaminata da diversi punti. E finalmente sono andato a vederla dal punto migliore, che è dal Casotto, piccola stanza con logge edificata su di un piccolo promontorio che è quasi rimpetto la cascata. Da questo sito osservasi questa, il più che sia possibile, dalla sommità della montagna infino al fondo della sottoposta valle ove va a terminare. Vedesi il gran volume dell'acqua precipitarsi con impetuosità da alto in basso e divenire fin dal principio vaporosa e bianca, per effetto della gran resistenza che le viene offerta dall'aria, in modo che sembra un'immensa nube di finissima neve. Giunta l'acqua nel fondo della valle, si eleva in gran parte in vapori bianchi e leggeri, ed in tal guisa nuovamente risale non solo infino alla sommità del monte donde era pochi istanti prima partita, ma benanche molto al di sopra, e colà estendendosi tutto all'intorno e molto lontano nella sovrapposta pianura, si cambia, raddensandosi, in una leggera e continuata pioggia. La scossa che produce questo immenso volume di acqua, cadendo da una sì grande altezza, fa continuamente tremare una grande estensione della sommità del monte. Sono andato in seguito a vedere il Ponte Lagoratore, che è fabbricato sul gran canale, il quale forma la cascata di mezzo, che non cessa mai di fluire. Sono andato poi a veder la cascata dal fondo della valle sottoposta, e sono passato sul ponte di tufo formato dal sedimento calcare delle acque dello stesso fiume; il quale ponte, nel suo mezzo, non è più largo di un piede, su tre piedi di larghezza. Sulla dritta di questo ponte fatto dalla natura tutta l'acqua di questo gran fiume si sprofonda e perde sotterra, Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 689 producendo un gran turbine, e sulla sinistra vedesi uscire bollendo in molti punti dello stesso gorgo. È perciò pericolosissimo il passarvi, imperocché, se sventuratamente si venisse a cadere nel fiume la morte sarebbe inevitabile. Continuando la strada, sono salito sul monte che è dirimpetto la cascata, e l'ho considerata di fronte. Essa è realmente sorprendente! Non è nulla di più ammirabile, di più maestoso! Vedesi da questo punto un enorme volume di acqua che si precipita da un'altezza di mille e sessantacinque piedi, che si rompe, si frange, s'imbianca, si cambia in schiuma, in nube, in vapore, e che poi risale e sorpassa la sua origine; ed infine, che quando la sua collera è calmata, rientra nel letto del fiume e corre pacificamente verso il suo destino. Di là sono andato a vedere le due grotti naturali nel tufo, che contengono molte finissime e variate stalattiti. La prima chiamasi Grotte delle Marmore. Nel mezzo della seconda vedesi sospesa una stalattite in forma di campana di grandissima dimensione. Sulla strada che conduce alla Cascata s'incontrano delle estesissime piantagioni di olivi. Questa provincia ne abbonda moltissimo. Chi potrebbe mai descrivere i sentimenti che eccita nello spirito questo spettacolare fenomeno della natura e dell'arte? Riesce sempre insufficiente il nostro linguaggio allorché trattasi di pennellare al completo le sensazioni che riceve il nostro animo dai complicati e sublimi fenomeni della natura. Pel nostro oggetto basti il dire che la veduta della ben celebre Cascata di Terni, osservata da tutti gli enunciati punti, produce sorpresa, ammirazione, piacere, timore e spavento. Sarei restato più tempo per considerare il Niagara della nostra Europa, ma la notte si avvicinava ed il tempo minacciava il mio sicuro ritorno. Mi sono quindi mosso verso la patria di Tacito (Terni). Ho traversato un boschetto di elci, da un lato limitato da una rocca ben Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 690 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo erta ed elevata, dall'altro da una montagna meno ripida e traversata dal fiume. Questo piccolo bosco e la cascata presentano dei punti di veduta molto interessanti e pittoreschi: infatti i pittori ne prendono continuamente i disegni. Sono giunto a Terni, in compagnia del mio picciolo mentore, Matteo Moccadelli, alle 7 della sera. Sorpreso dai talenti non ordinari e dalla naturale eloquenza del povero giovine Moccadelli, non che dal suo carattere docile ed avvenente, mi era deciso di condurlo meco in Napoli, per farlo istruire e riguardarlo come figlio. Gli ho manifestato in istrada questo mio pensiero, ed egli, come se avesse pur conosciuto il mio carattere, mi ha promesso di volermi seguire, a condizione che la sua povera madre vi avesse acconsentito. Giunti in Terni, è andato a tenere discorso con sua madre, ed insieme sono quindi da me venuti. Anche la madre ha condisceso di buon grado a darmi il suo figlio, e sono andati via; ma non potendo resistere all'amor filiale, dopo avervi alquanto riflettuto, è ritornata da me a notte avanzata, e mi ha detto ch'ella non si sentiva il coraggio di rinunciare per sempre al proprio figlio. Tocco da simile commovente spettacolo, nel quale era interessato anche il mio cuore, ho lodato la madre, ed ho fatto qualche donativo al figlio, il quale era tocco da doppia passione. 4 Giugno Alle 6 del mattino siamo partiti da Terni. Uscendo dalla città si trova una pianura estesissima, fertile e ben coltivata, che continua infino alle vicinanze di Narni210. Quest'ultimo paese rimane sulla sommità di un piccolo monte. Vi si sale per una strada asprissima. L'abitato è mediocre; vi è 210 In provincia di Terni. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 691 però una bella strada su gli [illeggibile] del precipizio della vallata che lo fiancheggia, la quale trovasi uscendo da Narni. Sulla montagna che è all'altro lato di questa valle vedesi una grotta, ove rimane un eremita, il quale è tenuto in grande venerazione nel paese e ne' luoghi vicini. Uscendo da Narni si entra in colline ed in montagne piacevoli, coverte di boschi e di fratte. Vi sono ancora delle pianure, ma sterili. Continuando la strada si giunge su di una lunga catena di altre colline, le quali si estendono infino ad Otricoli211. Dalla sommità di queste colline godesi da tutti lati di una veduta estesissima di montagne, di colline, di pianure e di paesi che seduce ed incanta il viaggiatore. Otricoli, ove ci siamo alquanto riposati è un picciolo paese che ha un bello orizzonte e delle buone possessioni all'intorno. La principale coltura di questo paese è l'olivo, gli arbusti, il frumento. Vi sono ancora dei ricchi pascoli. Appena uscito da Otricoli, dopo una lunga discesa, trovasi una gran pianura in mezzo alla quale veggonsi gli avanzi di tre antichi monumenti fra quali un mausoleo di forma conica quasi intero. Dopo un'altra discesa, si trova un'altra pianura molto più grande della prima e fertilissima, alla estremità della quale incontrasi il Tevere, che si passa sul Ponte Felice, di antica costruzione romana, composto di tre archi, il quale è grande, nobile e maestoso. Al di là del ponte vi è il picciolo villaggio chiamato Borghetto, fuori del quale principia una salita molto lunga e rapidissima, che è un'antica strada romana. Terminata la salita, si entra in una gran pianura incolta, destinata per pascolo. Sulla sinistra vedesi la montagna di San Silvestre, la quale è altissima e di figura quasi conica. Dal mezzo di questa pianura godesi di una bella ed estesissima veduta. 211 Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 692 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Proseguendo il cammino, si giunge a Civita Castellana212, dopo aver passato un ponte su di un piccolo fiume, il quale scorre davanti i muri di questa piccola città, nel seno di una profonda valle, che serve da questo lato di fortificazione. Questa città è piacevole e bella. È tutta murata ed ha un bel castello. Vi è una piazza e dei buoni edifici. Dal lato di Roma vi è un altro ponte. Uscendo da Civita Castellana si entra in una gran pianura coverta di erbaggi e di fratte. La strada che la traversa è bella e dritta. Avvicinandosi a Nepi213, trovasi una strada ben lastricata. Si traversa un bosco ed infine si giunge a Nepi. Questa piccola città ha un bello orizzonte. Essa è cinta di antichi muri, di torri, e di bastioni. Sul davanti, verso Civita Castellana, vi è una valle profonda scavata nella rocca, come quella cennata città, per la quale scorre un piccolo fiume. Nell'interno della città vi sono due piazze: nella prima vi è una bella fontana, che è attaccata ad un grande edificio del governo; nella seconda vi è un'altra fontana nel mezzo. L'acqua che anima queste fontane viene da tre miglia lontano, e propriamente da Valle Oscura, nel Ronciglione, ed è qui portata da un antico condotto ad archi, i quali vicino Nepi sono altissimi. 5 Giugno Siamo partiti da Nepi alle 8 del mattino. Fuori del paese vi sono delle belle pianure, coverte in gran parte di querceti e seminate a frumento. Vi sono ancora degli abbondanti pascoli. La strada, in gran parte è dritta e piana. Si giunge infine a quel punto della strada di Roma, ove vi si unisce quella di Loreto, il che avviene a 27 miglia lontano da Roma. 212 213 In provincia di Viterbo. Ibidem. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 693 Si arriva infino a Monterosi214, quindi a Baccano, dopo alla Storta215 ed infine a Roma, ove siamo giunti alle 3 dopo mezzogiorno. La strada da Nepi a Roma è sempre lastricata. 6 e 7 Giugno Abbiamo pranzato in casa del Signor Abate Pennoni. 8 Giugno Ho pranzato in casa del Signor Conte Zurlo. 9 e 10 Giugno Sono stato occupato per prepararmi alla partenza. 11 Giugno Siamo partiti da Roma ad un'ora dopo mezzogiorno, in compagnia del Signor Duca di Diano e della Signora Principessa Sciarra, nata Cassano. La strada che da Roma conduce ad Albano è senza dubbio interessantissima. Essa traversa una pianura estesissima ed uniforme tutta seminata di avanzi di tombe, di antichi monumenti e di lunghissimi condotti di acqua, di costruzione anche remota. Il piccolo contado di Castel Gandolfo è situato alla sommità di una collina, verso la sua faccia meridionale, tendente all'occidente, ove l'aria è molto salubre. 214 215 Ibidem. La Storta frazione del comune di Roma. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 694 D’Angelo, Per curare la mente e il corpo Albano è una bella piccola città. Essa è anche elevata sulla pianura. Vi è un magnifico palazzo di recente costruzione, appartenente a Carlo IV re di Spagna. All'estremità di Albano, sulla strada rotabile, si trovano gli avanzi della tomba degli Orazii e dei Curiazi. Da questo punto in poi la strada è bellissima, imperocché essa è circondata dai due lati di alberi, ed in tal modo essa continua infino alla Riccia. I boschi che covrono le colline di questi luoghi sono incantevoli. Essi invitano al piacere. Proseguendo il cammino si avvicina a Velletri. Qui le vigne sono piantate come le nostre. In generale tutte le terre scorse quest'oggi sono fertili, ed alquanto ben coltivate, tranne quelle delle vicinanze di Roma che sono poco o affatto messe a coltura. Siamo giunti a Velletri alle 7 della sera ed abbiamo alloggiato nell'Albergo Ginetti. Velletri è lontano 26 miglia da Roma. 12 Giugno Siamo partiti da Velletri alle 7 del mattino. Abbiamo passato, non senza pena, le Paludi Pontine, per effetto del calore eccessivo, che ci soffogava, e siamo giunti alle 5 pomeridiane in Terracina, ove abbiamo pernottato. 13 Giugno Alle 5 del mattino siamo partiti da Terracina in compagnia di altre quattro vetture di viaggio, e scortati da quattro gendarmi per causa dei briganti che infestano i nostri maledetti confini. La scorta ci ha accompagnati infino al Garigliano. Felicemente l'abbiamo campata. Siamo giunti alle 8½ della sera a Sant’Agata. Ha fatto caldo eccessivo. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) D’Angelo, Per curare la mente e il corpo 695 14 Giugno Ultimo giorno del mio piacevole ed istruttivo viaggio. Alle 5 del mattino abbiamo fatto partenza da Sant’Agata. A mezzodì siamo giunti in Capua, ed alle 6 della sera in Napoli, in casa del degno e benemerito uomo, Cavaliere Francesco Muscettola. Abbiamo avuto una pessimissima giornata. Il calore è stato soffogante, e la polvere, a cagione delle strade che sono rovinate, a guisa di nube, ci ha sempre avvolti ed accompagnati infino a Napoli. Oltre a ciò, dodici miglia distante dalla capitale, si è rotto il collo d'oca della nostra carrozza. Si è accomodata nel miglior modo che è stato possibile, ed in tal guisa siamo stati trascinati infino a Napoli. Entrando nella città ci siamo divisi dagli altri compagni di viaggio. Questo è il giro delle cose umane! Fine. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 696 Recensioni Laura Fournier-Finocchiaro, Cristina Clímaco (eds.), Les exilés politiques espagnols, italiens et portugais en France au XIXe siècle. Questions et perspectives, Paris, L’Harmattan, 2017 di Pierre-Marie DELPU Il volume collettaneo, che raccoglie dieci contributi di storici e specialisti di letteratura francesi, spagnoli, italiani e portoghesi, si propone di mettere a confronto le esperienze dell’esilio di tre spazi politici e culturali dell’Europa meridionale, studiandoli in relazione a un terreno di analisi comune, la Francia, nell’Ottocento uno dei principali paesi d’accoglienza di esuli politici. Il libro si colloca nel solco di una ricca storiografia che, non limitandosi al solo studio dell’esilio nei movimenti politici del XIX secolo, ha evidenziato la pluralità delle esperienze, le forme d’integrazione nelle società locali e le inflessioni che ha prodotto nei percorsi individuali e collettivi degli attori coinvolti. La scelta di privilegiae questo osservatorio si spiega con il numero e la diversità delle migrazioni politiche dirette verso la Francia, la loro continuità nel lungo Ottocento, la capacità del paese di creare dispositivi d’accoglienza e di controllo nuovi, tematiche ampiamente dibattute in lavori recenti1. Queste migra- 1 Si veda ad esempio D. DIAZ, Un asile pour tous les peuples ? Exilés et réfugiés en France au cours du premier XIXe siècle, Parigi Armand Colin, 2014 ; C. MONDONICO-TORRI, Les réfugiés en France sous la Monarchie de Juillet : l’impossible statut, «Revue d’histoire moderne et contemporaine», 47 ( 2000/4), pp. 731-745. Si rimanda anche ai lavori collettivi, su scala internazionale, del programma di ricerca nazionale francese : https://asileurope.huma-num.fr/ [consultato il 25 gennaio 2018]. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 697 zioni hanno implicato culture politiche diverse, lontane dal limitarsi ai soli rivoluzionari ai quali sono state a lungo ridotte, una diversità che viene chiaramente affrontata nel libro. Il volume è suddiviso in due parti principali. Viene inizialmente tracciato un bilancio delle storiografie proprie a ognuna delle tre comunità di esuli, sul tempo lungo dell’età contemporanea. Sono in seguito esposti alcuni dei cantieri di ricerca relativi alla tematica. I contributi qui raccolti danno successivamente risalto al ruolo dell’esilio nella formazione dei movimenti democratici spagnoli (J. Roca i Vernet, Fl. Peyrou), agli esuli come mediatori letterari e linguistici (L. Fournier-Finocchiaro, I. Gabbani), alla varietà dei percorsi degli esuli italiani a Parigi (P. Benvenuto), agli esuli italiani nel Portogallo (M.M. Tavares Ribeiro) e alla comunità degli esuli portoghesi in Francia (A. Leblay). Gli autori analizzano in tal modo diversi settori sconosciuti della storia delle migrazioni politiche nella letteratura francofona – principalmente per quelle portoghesi, meglio conosciute per il Novecento2 –, e la scelta dei casi studiati permette un confronto fruttuoso tra storiografie nazionali raramente collegate tra esse. Malgrado l’ambizione di fornire uno studio nazionale, il libro è essenzialmente centrato sul caso parigino. La capitale francese è effettivamente stata uno dei principali ricevitori delle migrazioni politiche, ma le zone di provincia vengono marginalmente afforntati, seppur da diversi contributi, particolarmente quelli attenti al caso spagnolo. (J. Canal, J. Roca i Vernet e A. Leblay). Lavori recenti hanno invece dimostrato come i dipartimenti di provincia abbiano accolto una frazione significativa 2 V. PEREIRA, La dictature de Salazar face à l’émigration. L’État portugais et ses migrants en France (1957-1974), Parigi, Presses de Sciences po, 2012. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 698 degli esuli europei, appoggiandosi su un ampio dispositivo d’inquadramento organizzato dallo Stato centrale3. Il ruolo delle colonie, particolarmente dell’Algeria, viene peraltro sottovalutato. Questa focalizzazione quasi esclusivamente parigina, che dipende dalle fonti letterarie e di stampa che sono il materiale principale della maggior parte dei contributi, conduce a centrare la prospettiva sui fenomeni ideologici, intellettuali e letterari. Gli autori valorizzano così le figure meglio conosciute poiché hanno costituito mediatori culturali di prim’ordine (tra gli Italiani, Giuseppe Mazzini, Guglielmo Pepe o Daniele Manin). Ma questa scelta tende a trascurare gli esuli ordinari, mentre le fonti di polizia, di giustizia e dell’amministrazione – consultate da alcuni autori (J. Roca i Vernet, P. Benvenuto) – ne descrivono i percorsi individuali e collettivi. Infine, i contributi propongono l’analisi dei casi di studio considerandoli come tre realtà parallele, affrontando invece in maniera marginale le relazioni tra di esse. Un solo contributo, che verte sui proscritti italiani nel Portogallo, concepisce l’esilio come un fenomeno connesso, ma è lontano dal contesto francese annunciato dal titolo e dalla premessa del libro. Il libro fornisce comunque delle chiavi di lettura importanti che alimentano un dibattito già ricco4 e informano utilmente sulla formazione delle mobilitazioni politiche trasnazionali nell’Ottocento. 3 Oltre D. DIAZ, Un asile pour tous les peuples ?, si rimanda ad esempio a G. BRON, Révolution et nation entre le Portugal et l’Italie : les relations politiques luso-italiennes des Lumières à l’Internationale libérale de 1830, thèse de doctorat, EPHE, 2013. 4 Ad esempio e sul caso italiano M. ISABELLA, Risorgimento in esilio.L’iInternazionale liberale e l’età delle rivoluzioni, Bari, Laterza, 2011 [2009], e A. BISTARELLI, Gli esuli del Risorgimento, Bologna, il Mulino, 2011. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 699 La Révolution culturelle en Chine et en France. Expérience, savoirs, mémoires. Miao Chi, Olivier Dard, Béatrice Fleury et Jacques Walter (eds.), Paris, Riveneuve éditions, 2017 di Paola PADERNI Il libro raccoglie diciannove saggi di studiosi cinesi e francesi ed è il risultato di un seminario di alcuni giorni dedicato alla Rivoluzione culturale (RC) nel cinquantesimo anniversario dalla data in cui il movimento politico prese ufficialmente avvio, in Cina, nel 1966. Non è solo, però, il movimento cinese della Rivoluzione culturale ad essere preso in esame. Nell’approssimarsi di un altro anniversario, quello del cosiddetto ‘maggio del 68’, i promotori del progetto hanno voluto interrogarsi su quanto e come la RC cinese, con il suo armamentario ideologico e i suoi simboli, abbia influenzato il movimento del ’68 francese e più in generale la Francia nel decennio a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70. L’approccio scelto dai curatori è multidisciplinare, con una prevalenza di esperti in scienza della comunicazione e storici, questi ultimi prevalgono con poche eccezioni tra i ricercatori cinesi. Per quanto il tema della ‘rivoluzione culturale’ possa essere trasversale nella Cina e nella Francia della seconda metà del XX secolo, appare subito chiaro che per modalità formali, metodologiche e contenuti, il libro si compone di due parti che finiscono per avere pochi punti in comune. Da una parte, infatti, vi sono sei o sette studiosi cinesi, se includiamo anche Miao Chi, che lavora presso l’Université de Lorraine, che affrontano aspetti diversi della RC, soprattutto le origini del movimento, e che soprattutto ci offrono la possibilità di accedere a ricerche definite indipendenti per la loro circolazione fuori dai canali ufficiali, e tuttora soggette a controllo. Gli altri saggi invece, ossia i due terzi del libro, sono interamente dedicati alla Francia e alle sue Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 700 connessioni con la Cina e divisi secondo tre diverse tematiche: cultura/controcultura, destra/sinistra, raccontare/raccontarsi. Delle tre parole usate nel sottotitolo del libro, memoria è forse quella che più di ogni altra serve a caratterizzare le ricerche degli studiosi cinesi che spesso sono stati protagonisti del movimento politico di cui oggi si occupano come studiosi. Molte delle riviste indipendenti, quasi tutte non cartacee ma reperibili in rete, dedicate alla storia della RC, richiamano nel loro nome alla necessità di conservare memoria di avvenimenti le cui conseguenze incidono tuttora sul presente. Yang Jisheng, noto anche in occidente per il suo libro sulla grande carestia che colpì la Cina negli anni ’60 provocando decine di milioni di morti, ritiene che tra i danni causati dalla RC vi sia anche quello della mancanza di memoria, negata da una burocrazia che così conserva il suo potere e difende i propri interessi. Proprio per non dimenticare, in tanti provano a ricostruire momenti salienti, congiunture, o anche solo liste di nomi di persone morte per morte violenta, grazie a testimonianze orali, documenti di archivio o privati messi insieme a volte da collezionisti che li hanno scovati in mercatini dell’usato. Non mancano analisi che ricostruiscono i rapporti sociali del periodo, come quella di Sun Peidong sulle letture dei giovani istruiti che non solo mostra che i libri non scomparvero durante la RC ma che l’accesso e l’interesse verso l’istruzione e la cultura rimasero appannaggio di taluni appartenenti a classi privilegiate. Nell’insieme, anche se pochi, questi studi testimoniano la vitalità di un settore scientifico che ha anche un alto valore politico, come sottolineano i curatori nella loro introduzione. I saggi che vanno sotto il tema cultura/controcultura hanno come primo oggetto di analisi alcuni prodotti cinematografici di quegli anni, compresa la cinematografia cinese di cui si occupa Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 701 Wu Di, redattore della rivista Jiyi (Memoria) ed esperto di cinema cinese che giudica la produzione degli anni della RC, inferiore per numeri e diversa per modelli tematici da quella del periodo precedente, come un “prezioso fossile politico, museo di una corrente di estrema sinistra, enciclopedia di una corrente di pensiero”, ma nondimeno, almeno per alcuni di loro, come testimonianza di “uno stato d’animo di cui sono depositari”. Sono però le analisi di Kristian Feigelson sui film francesi che hanno per tema la Cina o quelle dedicate da Vincent Lowy ai documentari sulla Cina che risultano interessanti per comprendere al meglio quanto ciò che accadeva in quegli anni avesse origini e motivazioni tutte interne, nonostante l’ispirazione potesse provenire da diecimila kilometri di distanza. Nel caso del film di Jean-Luc Godard, La Chinoise, fu, secondo Feigelson, il modo per il regista di radicalizzare la sua posizione rispetto al cinema tanto dal punto di vista politico che artistico; nel caso del film di René Viénet La dialectique peut-elle casser des briques? ispirato ad un film popolare di Hong Kong si trattava di parodiare la logorrea maoista, in uno stile anche di Pop Art, forte della appartenenza politica situazionista e della conoscenza della Cina del suo autore. Sono, però i due documentari, quello di Michelangelo Antonioni, Chung Kuo, La Cina del 1973, autorizzato ma poi criticato dalla dirigenza cinese per motivi di lotte politiche interne, e Comment Yukung déplaça les montagnes del 1976 voluto e realizzato da Joris Ivens e sua moglie Marceline Loridan-Ivens come risposta ad Antonioni, a dividere il pubblico francese più secondo appartenenze politiche che su giudizi estetici. Lo stesso si può dire del clamoroso insuccesso del film preso in esame da Françoise Audiger, Les Chinois à Paris di Jean Yanne del 1974, cineasta allora popolare, che utilizzando il genere fantapolitico descrive una Francia occupata dall’armata comunista cinese, tratteggiata in modi caricaturali, con l’intento di denunciare ‘le storture della società francese e in particolare Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 702 delle sue élite’. Il titolo del saggio Révolution Culturelle et contre-culture en France, un exemple de malentendu di Matthieu Remy indica chiaramente quanto l’idea di “rivoluzione culturale” che si era andata sviluppando in circoli, movimenti, gruppi studenteschi di sinistra, pur partendo a volte da premesse marxista-leniniste, si sia sempre più allontanata dal movimento lanciato da Mao Zedong, preferendo spingere per la trasformazione della vita quotidiana che consentisse una rivoluzione nei costumi sociali e contro le discriminazioni di genere e sessuali. Una idea di “rivoluzione culturale” decisamente libertaria che apriva la strada ai movimenti femministi, gay e queer. E per questo anche molto distante dagli esiti della RC cinese. Il secondo gruppo di saggi raccolti sotto l’etichetta sinistra/destra è dedicato a quanto e come gruppi di estrema sinistra, destra ed estrema destra si rivolsero all’armamentario ideologico del maoismo per confermare propri convincimenti o per utilizzarlo per battaglie pregresse, il cui unico obiettivo principale in genere era spesso, sia a destra sia a sinistra, l’URSS. Marion Fontaine si occupa della Gauche Prolétarienne, Hugo Melchior dei trotskisti, Olivier Dard della estrema destra (destra radicale), Kaixuan Liu dei marxisti-leninisti dell’Associazione di amicizia franco-cinese, e Gilles Richard del viaggio in Cina di un gruppo di giovani giscardiani nel 1976. Gli ultimi due saggi vanno oltre lo specifico della Rivoluzione culturale per allargarsi alla storia delle relazioni anche ufficiali tra la Francia e la Cina. In questa stessa sezione, il saggio di Érik Neveu Trois registres d’usage de la Révolution culturelle au sein des maoïsmes français è quello che a mio parere da’ conto in modo migliore del perché tante persone, anche molto diverse tra loro, poterono rimanere affascinate dalla Cina di quel tempo. Il modello cinese alternativo al comunismo sovietico è il primo dei tre registri individuati da Neveu, che prese avvio prima dell’inizio della RC, Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 703 grazie anche alla filiera italiana rappresentata dagli scritti di Maria Antonietta Maciocchi e Rossana Rossanda, e che si richiamava alla necessità di combattere il sorgere di una classe dominante, privilegiando il ruolo delle masse. Un secondo registro, ossia la RC come rivoluzione nella sovrastruttura che attaccava l’autorità era in sintonia con lo spirito di rivolta degli studenti contro un sistema universitario giudicato mandarinale. Terzo registro, la RC come vettore per legittimare una “vocazione di eterodossia” che intendeva sovvertire ruoli sociali e situazioni date: superamento dell’opposizione tra città e campagna, rifiuto della differenza tra lavoro intellettuale e manuale, abolizione del sapere teorico e pratico. Che tutto ciò fosse vero solo sul piano teorico o per nulla veritiero è stato per lungo tempo difficile da capire, nonostante qualcuno lo avesse indicato fin da subito, come ad esempio Simon Leys nel suo libro del 1971, Les Habits neufs du président Mao. Chronique de la Révolution culturelle. Autore tra i più citati in quasi tutti i saggi del volume e che forse avrebbe meritato uno studio a sé per arricchire la storia di quegli anni aventi come tema la Cina e la sua influenza sulla Francia. La difficoltà di leggere e capire quanto stesse succedendo nella Cina degli anni della RC, - come chi scrive può testimoniare avendo vissuto come studentessa nella Cina di quegli anni, dal 1974 al 1976, - è in parte il tema di uno degli articoli della terza ed ultima sezione dedicata alle testimonianze, al raccontare e raccontarsi. Jacques Walter dedica il suo saggio a tre donne, Annette Wieviorka, Suzanne Citron, e Marceline Loridan-Ivens che hanno in comune l’essere ebree, per almeno due di loro aver subito l’internamento e la deportazione e allo stesso tempo aver vissuto in Cina e averla raccontata in termini tali da “legittimare uno stato autoritario” ma ad avere avuto difficoltà ad ammetterlo. Analizzando gli scritti di queste scrittrici con biografie diverse nonostante i tratti comuni, connotati da forte riflessività, Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 704 consente a Walter di circoscrivere i modi di costruzione delle diverse identità narrative, di misurare l’impatto del tempo sulla configurazione o riconfigurazione delle esperienze, e soprattutto di valutare quanto la sfera intima abbia avuto un ruolo determinante nella modalità di mettere in relazione due sistemi forieri di morte, come la Shoah e i momenti più tragici della storia cinese del XX secolo. Ultimo in questa sezione un articolo di Beatrice Fleury che ricostruisce la storia di Jean-Luc Einaudi, noto in Francia per aver svelato aspetti salienti di alcuni episodi della storia francese recente che nulla hanno a che fare con la Cina (manifestazione del 17 ottobre 1961) grazie anche, secondo Fleury, al suo passato maoista. Nell’insieme il libro ha il merito di aver tentato una lettura trasversale di un momento storico particolare che tocca due luoghi distanti ma investiti entrambi da un sovvertimento politico e sociale che può andare sotto il nome comune di “rivoluzione culturale”. É un esempio di histoire croisée che punta ad arricchire e a leggere molte vicende sotto punti di vista diversi. Se è apprezzabile la presentazione della ricerca degli storici cinesi sulla RC troppo poco conosciuta in Occidente al di fuori degli addetti ai lavori, l’aspetto più interessante del libro rimane l’insieme dei saggi dedicati alla storia francese nei suoi incroci con la Cina, ricchi di spunti e di problematiche che potrebbero essere estese ad altri contesti, ad esempio quello italiano per gli stessi anni, sulla scia di ricerche già avviate da studiosi italiani come il volume collettaneo La Cina di Mao, l’Italia e l’Europa negli anni della Guerra fredda, a cura di Carla Meneguzzi Rostagni e Guido Samarani, Bologna, 2014. Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa)