dossier
Empowerment femminile:
affinare lo sguardo
Chiara Tintori
Redazione di Aggiornamenti Sociali,
<chiara.tintori@aggiornamentisociali.it>,
@chiartin
Dopo aver ascoltato l’esperienza di sei donne che sono state
o sono tutt’ora ai vertici di istituzioni imprenditoriali, accademiche, politiche e culturali, offriamo alcune coordinate entro
le quali collocare la riflessione sull’empowerment femminile.
Attraverso strumenti quantitativi e qualitativi, rileggiamo la
condizione sociale ed economica della donna nel mondo del
lavoro in Italia. Lontano da sterili rivendicazioni di qualche
forma di parità, ci chiediamo: come far crescere relazioni sociali con uno stile attento alla diversità e all’integrazione tra il
femminile e il maschile?
T
utto cominciò poco più di un anno fa, a un incontro dal
titolo «I benefici economici dell’empowerment femminile»,
organizzato dal Comitato nazionale Italia UN Women e
dall’Ufficio d’informazione del Parlamento europeo a Milano 1.
Dagli interventi sugli aspetti giuridici ed economici, nonché dalla
tavola rotonda con donne ai vertici di istituzioni pubbliche e private
è sorta l’ispirazione del dossier pubblicato sulla nostra Rivista nei
mesi scorsi (cfr Tintori 2018a, 2018b, 2018c). Da quel 24 marzo
2017 è seguito un lungo percorso di ascolto, confronto e ricerca,
mosso da alcune domande: quali sono le caratteristiche della lea-
1 Cfr <www.aggiornamentisociali.it/Archivi/AGSO/Files/Conferenza_Milano_Flyer.
pdf>.
278
Aggiornamenti Sociali aprile 2018 (278-287)
dossier
Dossier empowerment femminile
dership “al femminile”? Esistono attese,
Di
quale
modello di leadership possono
ostacoli e condizionamenti quando una
farsi portatrici le donne? Questa è la dodonna esercita le proprie responsabilimanda che ha ispirato il dossier sull’emtà come direttore generale, ministro o powerment femminile, che si conclude
economista? In quale modo è possibi- in questo numero, dopo le interviste ad
le conciliare la vita professionale con Alessandra Viscovi e Alessandra Smerilli
(Aggiornamenti Sociali, 1, 14-26), a Elsa
quella personale e familiare 2?
Sono interrogativi che aprono a Fornero e Nadia Urbinati (Aggiornamenti
Sociali, 2, 133-146), a Barbara Jatta e
questioni antropologiche e sociali com- Chiara Daniele (Aggiornamenti Sociali,
plesse, da trattare con cautela, sgom- 3, 223-234). Il dossier è disponibile sul
brando il campo da almeno due equi- nostro sito: <www.aggiornamentisociali.it/
voci. Il primo è lessicale e rimanda alla empowerment-femminile/?IDLYT=8975>.
necessità di utilizzare alcuni termini
come “donna” o “al femminile” con la consapevolezza che esistono “le donne” al plurale, ciascuna con la propria esperienza
soggettiva, un universo umano femminile non monolitico ma variegato; di conseguenza non possiamo riduttivamente pensare che
esista un unico e ben definito modello di leadership “al femminile”
(così come non esiste un modello unico di leadership maschile).
La seconda ambiguità dalla quale rifuggire è che trattare di empowerment femminile equivalga a una rivendicazione femminista. Le
donne non sono vittime a priori, né una categoria da proteggere o
dalle quali proteggersi. Certamente la storia sociale e professionale
consegna anche vissuti di ingiustizia, che vanno assunti e attraversati nel rispetto della sofferenza, ma desideriamo allontanarci il più
possibile da stereotipi di genere, tanto sterili quanto dannosi, per
aprirci a una prospettiva che coinvolga tanto le donne quanto gli
uomini (Tintori 2014). I passi avanti sul versante dell’empowerment femminile saranno duraturi e realmente costruttivi per il
buon vivere sociale solo se condivisi e integrati con la prospettiva maschile, cosicché donne e uomini possano autenticamente
«abitare insieme l’intero dell’umano» (Cinque, Melfi et al. 2016, 6).
Di seguito tracceremo la cornice del percorso fatto finora: dapprima con uno sguardo agli strumenti quantitativi che fotografano
la situazione delle donne nel contesto economico italiano in relazione a quello europeo, poi rileggeremo alcuni passaggi delle sei interviste con l’attenzione a individuarne alcuni tratti comuni trasversali;
2 Il presente articolo è debitore, oltre alle donne intervistate nel dossier (Alessandra Viscovi, Alessandra Smerilli, Elsa Fornero, Nadia Urbinati, Barbara Jatta,
Chiara Daniele) e alla redazione di Aggiornamenti Sociali, a: Chiara Bacchiega, Chiara
Bisconti, Floriana Cerniglia, Marcella Corsi, Riccardo Fanciullacci, Andrea Orlandini,
Paola Profeta, Susy Zanardo. A tutti loro il mio grazie.
Empowerment femminile: affinare lo sguardo
279
infine apriremo a come la differenza sessuale, in una prospettiva
integrale, possa rendere migliore la convivenza sociale.
1. Una fotografia “quantitativa”
Negli ultimi decenni è cresciuta la presenza di donne manager
in diversi ambiti professionali, pur con qualche contraddizione. Se si
guarda, per esempio, al panorama internazionale della politica e delle
istituzioni finanziarie, troviamo sempre più donne “ai vertici”: Angela Merkel, Teresa May e Christine Lagarde sono forse i volti più noti,
ma vi sono anche le sindache di Barcellona, Madrid, Parigi, Roma,
Stoccolma e Tokyo. Al contrario, da uno sguardo al settore bancario
a livello globale, permane un divario nella presenza di uomini e donne in posizioni di potere: queste ultime in media non raggiungono
il 2% nelle posizioni di CEO (amministratore delegato) e il 20% dei
consiglieri di amministrazione (cfr Sahaya R., Cihak M. et al. 2017).
Seppure con qualche squilibrio tra professioni e aree geografiche,
siamo dinnanzi a un’evoluzione inarrestabile, con risvolti anche sul
nostro territorio nazionale?
In Italia assistiamo a progressi significativi della presenza femminile nelle posizioni di vertice di grandi aziende: le donne leader nelle grandi imprese superano il 30%, quasi nove punti percentuali in più rispetto alla media dell’Unione Europea (UE; cfr
Casarico e Profeta 2017). Purtroppo però questi progressi non si
accompagnano ad avanzamenti nella politica e più in generale nel
lavoro (anche nei ruoli apicali), anzi questi sono i due ambiti in cui
le disuguaglianze di genere sono particolarmente marcate. Infatti
i dati più recenti mostrano che il tasso di occupazione femminile (a gennaio 2018 attestato al 49,3%)
Nel marzo del 2000, a Lisbona, il Consiglio
è ancora distante dall’obiettivo che la
Europeo adottò l’obiettivo strategico di «distrategia di Lisbona indicava del 60%
ventare l’economia basata sulla conoscenza
per il 2010; siamo al penultimo posto
più competitiva e dinamica del mondo, in
grado di realizzare una crescita economica
tra i Paesi UE, davanti solo alla Grecia.
sostenibile con nuovi e migliori posti di laPer quanto riguarda la politica, vi è
voro e una maggiore coesione sociale» (n.
una situazione paradossale: nel nuo5). Tra gli obiettivi indicati, vi era quello di
vo Parlamento siede poco più del 30%
aumentare il numero delle donne occupate
di donne, un record per la storia repubdalla media del 51% del 2000 a oltre il
blicana, ma il Rosatellum impone una
60% entro il 2010 (n. 30).
presenza minima in lista al 40% delle
donne: se le elette sono di meno, qualcosa non ha funzionato (cfr
Balduzzi, Casarico e Lisciandro 2018). Inoltre dal 1948 a oggi non
abbiamo mai avuto una Presidente della Repubblica, una Presidente
del Consiglio o del Senato e su oltre 1.500 incarichi di ministro, le
donne ne hanno ricoperti solo 78 (Andreuccioli, Borsi e Frati 2018),
280
Chiara Tintori
dossier
a conferma del fatto che «la maggioranza delle donne, in politica, sta
nelle retrovie» (cfr Grion 2017).
Un altro indicatore che aiuta a mettere a fuoco la situazione contraddittoria in cui ci troviamo è il divario retributivo: dati Eurostat
(2018) riferiti a imprese con oltre 10 addetti mostrano che nella UE
i guadagni orari lordi delle donne sono in media inferiori a quelli
degli uomini del 16,3%, mentre in Italia il gap è poco superiore
al 5%; tale calcolo non tiene conto dell’insieme di fattori che lo
influenzano, quali il grado di istruzione, l’esperienza lavorativa, le
ore lavorate, il tipo di attività svolta, i bonus, i benefit e i premi
di produzione percepiti. I dati INPS invece, riferiti all’intera storia
contributiva dei lavoratori italiani nel settore privato, rilevano che
il differenziale retributivo si è attestato in media attorno al 14,5%,
con una forte eterogeneità lungo la carriera lavorativa (cfr Casarico
e Lattanzio 2018). Tra i motivi di tale squilibrio vi è che le donne
partecipano al mercato del lavoro spesso con lavori part time, carriere discontinue (a causa della maternità) e che sono impiegate in
settori in cui hanno minori possibilità di progredire.
Nella prima indagine nazionale sulle nuove imprese innovative
(startup) emerge che la presenza femminile è minore tra i dirigenti (circa il 13%), maggiore tra gli operai e gli impiegati a tempo
determinato (il 27%) e ancora superiore tra stagisti e tirocinanti (circa il 35%), ma le startupper italiane sono in media più giovani e più
istruite dei loro colleghi uomini e sono concentrate al Centro-Sud
(cfr ISTAT 2018).
Complessivamente il Rapporto annuale del World Economic Forum, il Global Gender Gap Report 2017 – costruito su quattro indici:
lavoro, politica, istruzione e salute –, non ci consegna una fotografia
confortante: l’Italia è 82esima su 144 Paesi, in caduta libera di trentadue posti rispetto all’anno precedente (cfr World Economic Forum
2017). Una retrocessione di tale portata mette a rischio la crescita
sostenibile e inclusiva del Belpaese: cosa manca alla nostra organizzazione sociale per permettere alle donne di essere più competitive a livello internazionale, in termini di possibilità economiche e di carriera?
Il lavoro delle donne è stato interpretato come potenziale volano della ripresa economica italiana (cfr Ferrera 2008; Del Boca e
Profeta 2018). Non solo, l’empowerment femminile produrrebbe alcuni vantaggi in termini di innalzamento della qualità del business
e una nuova agenda, cioè una nuova direzione rispetto ad alcune
istanze sociali (come la salute e l’educazione), sulle quali le donne
leader tendono ad avere più attenzione. Più in generale, avere sia
uomini sia donne ai vertici aumenta la creatività, diversifica le
competenze, contribuisce a migliorare il processo decisionale
Empowerment femminile: affinare lo sguardo
281
(cfr Profeta 2017). Sono alcuni degli effetti benefici della valorizzazione della differenza, che abbiamo toccato con mano nelle nostre
interviste.
2. Una fotografia “qualitativa”
Presentati i dati più significativi sull’empowerment femminile, ci
concentriamo ora sulla rilettura, non esaustiva, di alcuni passaggi
delle sei interviste; dal “quanto” al “come”.
Alessandra Viscovi, Alessandra Smerilli, Elsa Fornero, Nadia Urbinati, Barbara Jatta e Chiara Daniele non sono donne scelte come
campione statistico rappresentativo dell’universo femminile. Sono
testimoni, selezionate perché hanno incarichi di responsabilità in
campo economico, politico e culturale e perché hanno accettato con
grande disponibilità di mettersi in gioco in un dialogo.
Le loro sono storie di donne, ciascuna con uno sguardo unico
e originale su quanto vive, sul proprio lavoro e sul mondo; sono
donne realizzate e libere. Può essere che la loro libertà di espressione,
comprensibilmente, sia stata talvolta limitata dai ruoli di responsabilità che ricoprono, oppure condizionata da passi falsi o da episodi di
esclusione. Resta il fatto che hanno trasmesso la soddisfazione per le
loro esperienze pacificatrici, pur in una quotidianità articolata; alcune sono apparse più profetiche di altre, altre a tratti disilluse, ma riconosco che ho incontrato donne felici. E di questi tempi non è poco.
La rilettura delle interviste pubblicate sulla nostra Rivista si focalizza su tre ambiti trasversali: l’evoluzione e involuzione della
presenza delle donne nel tempo, le donne nella Chiesa, l’originalità
femminile e la conciliazione lavoro-famiglia.
a) Evoluzione e involuzione nel tempo
Nadia Urbinati, politologa della Columbia University di New
York, attingendo alla sua storia personale ci consegna un passato in
cui alle donne non era consentito l’accesso alle discipline “nobili”
come la teologia e la filosofia; ora che «la professionalizzazione della
filosofia ha aperto le porte anche alle donne […], il sistema dei valori
(ideologici-politici-etici) è ancora resistente alla presenza» (Tintori
2018b, 141-142) delle stesse. Suor Alessandra Smerilli, docente universitaria ed economista, riporta l’originalità del suo vissuto da religiosa nella disciplina economica, per decenni appannaggio esclusivo
degli uomini; ancora oggi registra la sorpresa da parte di alcuni professionisti quando si presenta, quasi sempre in abiti laici, a convegni
pubblici. Sono due esperienze che mostrano come la presenza delle
donne si sia evoluta nelle discipline filosofiche ed economiche,
seppure ancora con qualche resistenza.
282
Chiara Tintori
dossier
Un’esperienza differente è quella di Chiara Daniele, già direttrice
della Fondazione Feltrinelli e ora consulente presso diverse istituzioni culturali, che ha avuto la «consapevolezza di essere stata, in
alcune circostanze, l’unica donna tra le persone sedute attorno a
un tavolo» (Tintori 2018c, 229). Inoltre negli ultimi quindici anni
in Italia ha «notato una diffusa regressione della possibilità per le
giovani donne, seppure straordinariamente capaci, di raggiungere in
breve tempo ruoli apicali, e più in generale, del rispetto verso le donne in quanto tali e in quanto professioniste» (ivi, 229-230), a fronte
anche di un clima poco favorevole: «troppe volte si ha l’impressione
che sia tutto lecito, dalle discriminazioni salariali a quelle di carriera in tutti i settori professionali, senza sollevare alcuno scandalo e
alcuna vergogna sociale» (ivi, 230).
Esperienza opposta è quella di Barbara Jatta, prima donna direttore dei Musei Vaticani (MV) in oltre 500 anni di storia, che ha la
fortuna di lavorare in un ambiente disponibile e aperto, ma soprattutto di incontrare in contesti internazionali sempre più donne
che ricoprono ruoli di responsabilità, che «iniziano ad avere voce,
possono dare il loro apporto e il loro contributo» (ivi, 227).
b) Le donne nella Chiesa
Due delle nostre intervistate ci offrono alcune istantanee sulla
Chiesa. Le loro esperienze sono dissimili. Per suor Alessandra
Smerilli le donne nella Chiesa non devono ambire a occupare spazi
o gestire poteri, è però convinta che «la Chiesa è meno Chiesa e
l’umano è meno umano se le donne non partecipano ai processi
decisionali, se non esercitano responsabilità» (Tintori 2018a, 25).
Oggi talvolta le donne «dopo aver provato a dare il proprio contributo all’interno di strutture ecclesiastiche, preferiscono spendere la
propria professionalità altrove, dove c’è meno da lottare per essere
riconosciute alla pari degli uomini» (ivi).
L’esperienza professionale di Barbara Jatta, da oltre vent’anni in
Vaticano, «è bellissima e felicissima» (Tintori 2018c, 226). A proposito della sua nomina a direttrice dei MV afferma: «mi auguro
di essere stata scelta per la mia professionalità e non per il fatto di
essere donna!» (ivi, 225). Barbara Jatta ha sempre respirato un’aria
di fiducia nei suoi confronti, senza discriminazioni o pregiudizi,
sintomo di apertura e disponibilità da parte dei suoi diretti referenti
(vescovi e cardinali), forse anche perché interpreta il suo ruolo non
come di potere, ma di direzione e governo.
Due esperienze agli antipodi, entrambe autentiche, che mostrano
quanto sia articolata la questione del coinvolgimento delle donne
nella Chiesa; si fanno passi avanti, alcuni più di valore simbolico
Empowerment femminile: affinare lo sguardo
283
che d’impatto complessivo. Il sentiero è comunque tracciato dallo
stesso papa Francesco: «il ruolo della donna nella Chiesa non è femminismo, è diritto! […] La donna vede le cose con una originalità
diversa da quella degli uomini, e questo arricchisce: sia nella consultazione, sia nella decisione, sia nella concretezza» (papa Francesco 2016). Al di là dei complessi meccanismi culturali e strutturali,
«rimane limitato e poco valorizzato l’apporto teologico delle donne;
si è poco consapevoli del gender gap esistente in tutte le istituzioni
ecclesiali e resta inevasa la domanda sul rapporto tra maschile e
potere nella Chiesa» (Noceti 2018, 50).
c) Originalità femminile e conciliazione
Secondo Alessandra Viscovi, già direttore generale di Etica SGR,
per far evolvere modelli di impresa al passo con i tempi occorrono
pratiche collaborative che possano pienamente valorizzare le attitudini
femminili. Sulla stessa lunghezza d’onda, Chiara Daniele rigetta il
lavoro in solitaria e promuove «la capacità femminile di costruire
reti» (Tintori 2018c, 232), nonché «l’attenzione a occuparsi della vita
concreta delle persone, specie delle fasce più deboli della società: donne, bambini, anziani, chi non riesce a farcela in un mondo che continua a escludere chi non ritiene necessario» (ivi, 231). Anche Nadia
Urbinati riconosce che nell’attuale fase di transizione populista e antipartitica, in un contesto politico dove prevale la logica amico-nemico,
le donne – nelle proprie culture, religioni e tradizioni – possono essere promotrici di un’alleanza multietnica tra soggetti più deboli.
Per suor Alessandra Smerilli le donne «hanno un compito fondamentale: porre l’attenzione sulla cura della nostra casa comune»
(Tintori 2018a, 23); esse sono più inclini a risolvere dilemmi in
gruppo e possono esercitare una leadership flessibile, creativa e
inclusiva. Elsa Fornero, già Ministro del Lavoro e delle Politiche
sociali nel Governo Monti, ha vissuto il suo incarico politico con
senso del dovere e delle istituzioni, ma anche con una grande spinta ideale, interpretando la sua partecipazione al «Governo tecnico
come un’occasione per re-indirizzare il Paese verso una crescita non
soltanto economica, ma anche civile e morale» (Tintori 2018b, 136).
Tratto comune delle nostre voci è la necessità di una relazione
collaborativa con il proprio compagno di vita, fatta di comunicazione, condivisione e suddivisione del lavoro in casa. Oltre a individuare adeguati sostegni familiari e innovativi strumenti legislativi e
politiche sociali che contribuiscano a una migliore armonizzazione
della vita familiare con quella personale e lavorativa, la prospettiva
più promettente è quella integrale, accennata da suor Smerilli, quando
afferma che dovremmo «tutti comprendere che una persona è meno
284
Chiara Tintori
dossier
persona se non si occupa della cura della famiglia e delle relazioni»
(Tintori 2018a, 26), e ben esplicitata da Alessandra Viscovi: «essere
donne, uomini, figli, madri e padri e professionisti contemporaneamente non richiede uno sdoppiamento della personalità. Per
me l’ecologia integrale significa questo, un’attenzione a ogni aspetto
della vita e una coerenza di fondo che si manifestano, con lo stile di
ciascuno, dalla gestione del personale, all’organizzazione familiare e
aziendale, alle relazioni» (Tintori 2018a, 21).
3. Per un percorso integrale
I Rapporti e le indagini ci hanno permesso di conoscere qualcosa
di più sulla partecipazione della donna al mercato del lavoro, mentre
grazie alle sei interviste abbiamo indagato se e in che modo è stato
possibile esprimere la propria originalità femminile.
Riflettere sull’empowerment femminile è un’occasione preziosa per interpretare il senso simbolico della diversità. A questo
riguardo intravediamo tre spunti per imboccare il sentiero di una
convivenza integrale, dove tutto è in relazione e l’attenzione ai legami sociali si sviluppa in modo sistemico e poliedrico.
Il primo è di metodo: «se si vuole raggiungere dei cambiamenti
profondi, bisogna tener presente che i modelli di pensiero influiscono
realmente sui comportamenti» (papa Francesco 2015, n. 215). Ecco perché abbiamo bisogno prima di tutto di riorientare il nostro
sguardo, assumendo una coscienza e una consapevolezza di noi
stessi. Vedere come siamo, donne e uomini, non le nostre proiezioni
e i nostri timori, gli stereotipi e i luoghi comuni di cui – è inutile negarlo – siamo talvolta impregnati fino al midollo. Prima di suggerire
accorgimenti organizzativi e normativi che facilitino l’empowerment
femminile, è importante assumere uno sguardo “altro”, che interpreti
il mondo in modo nuovo, libero e autentico. Auspico che il tempo
delle rivendicazioni e delle rivoluzioni possa lasciare il passo al tempo
della metamorfosi e della conversione, prima di tutto dello sguardo
di ciascuno di noi per un nuovo modello di pensare l’essere umano e
il suo abitare, da donna e da uomo, il mondo del lavoro.
Quale può essere questo sguardo? E qui veniamo al secondo
spunto. Il pensiero sulla differenza sessuale (cfr Fanciullacci e
Zanardo 2016) può venirci in aiuto, in quanto esplicita l’originalità del maschile e del femminile, che non sono un’emanazione
banale del solo dato biologico, ma «l’esito della convergenza di una
pluralità di fattori, che hanno a che fare simultaneamente con la
costruzione corporea, con la percezione del sé, con le mediazioni
individuali e con dinamiche socio-culturali in cui ciascuno si trova
inserito» (Petagine 2016, 31).
Empowerment femminile: affinare lo sguardo
285
Lo stile della leadership può essere l’occasione per affermare il
valore della diversità. Eppure spesso non è stato così. Noi donne
siamo entrate nei luoghi di responsabilità con una modalità che
non è nostra, equiparando i nostri comportamenti a quelli maschili. Ci affanniamo a vivere nel mondo del lavoro con uno stile che
non sempre è femminile, in parte perché ci è richiesto, ma in parte
perché fatichiamo a riconoscere cosa vuol dire esprimere la nostra
autentica e originale femminilità in luoghi dove il potere è stato
esercitato dagli uomini con il loro stile. Secondo l’attuale AD di
Allianz Worldwide Partners Italia, «la mia generazione è stata quasi
costretta a scimmiottare il modello maschile: diversamente non si
veniva ascoltate. Io stessa mi sono trovata a battere i pugni sul tavolo: un gesto che non mi appartiene! Oggi le cose stanno cambiando.
Bisogna rimanere se stesse perché è proprio con la nostra diversità
che possiamo creare valore per il business e le persone» (D’Angelo
2018, 27). Quanto è importante riconoscere e valorizzarci reciprocamente per quello che siamo, recuperando lo sguardo della differenza
sessuale, senza assolutizzarla e assumerla come modello monolitico
del femminile e del maschile, ben sapendo che di essa «non si può
dire tutto, neppure della propria, come non si può dire tutto dell’essere umano, perché è sempre oltre e altro rispetto a ciò che riusciamo a formulare» (Zanardo 2015, 837).
Il terzo e ultimo spunto riguarda la necessità di giungere a una
nuova alleanza socio-culturale tra l’uomo e la donna, «chiamata
a prendere nelle sue mani la regia dell’intera società. Questo è un
invito alla responsabilità per il mondo, nella cultura e nella politica,
nel lavoro e nell’economia; e anche nella Chiesa. Non si tratta semplicemente di pari opportunità o di riconoscimento reciproco. Si
tratta soprattutto di intesa degli uomini e delle donne sul senso della
vita e sul cammino dei popoli» (papa Francesco 2017). Abbandonare l’egolatria e l’antropocentrismo è una vera e propria rivoluzione
culturale, tanto per le donne quanto per gli uomini; sviluppare una
nuova capacità di uscire da se stessi verso l’altro e assumere la prospettiva relazionale e integrale può essere un nuovo inizio, visto
che il maschile e il femminile avranno sempre un modo diverso di
vivere il lavoro, di approcciarsi al potere e alle responsabilità.
La sfida culturale ed educativa che ci sta innanzi è di portata
storica e non abbiamo ricettari. Possiamo ipotizzare percorsi personali e relazionali, comunitari e organizzativi, in cui assumere lo
sguardo “altro” della differenza sessuale? Quali passi intraprendere
affinché l’alleanza uomo-donna si rinnovi in un clima coraggioso
di dialogo onesto e libero? Come condividere quanto già oggi si
sperimenta di positivo negli ambienti di lavoro, perché la prospettiva
286
Chiara Tintori
dossier
ANDREUCCIOLI C. – BORSI L. – FRATI M. (2018),
Parità vo cercando. 1948-2018, settant’anni di elezioni in Italia: a che punto siamo
con il potere delle donne?, Senato della Repubblica, Roma, 7 marzo, in <www.senato.
it/4746?dossier=2308>.
BALDUZZI P. – CASARICO A. – LISCIANDRO M.
(2018), «Ma la metà del cielo diventa un terzo
in Parlamento», in lavoce.info, <www.lavoce.
info/archives/51756/la-meta-del-cielo-diventa-un-terzo-parlamento>.
CASARICO A. – L ATTANZIO S. (2018), «Donne al
lavoro: la busta paga rimane più leggera», in la
voce.info, <www.lavoce.info/archives/51686/
le-donne-cambiano-lavoro>.
CASARICO A. – PROFETA P. (2017), «Parità di genere: è ora che l’Italia si dia una mossa», in la
voce.info, <www.lavoce.info/archives/49396/
parita-genere-strada-tutta-salita>.
CINQUE M. – MELFI M. – PETAGINE A. (edd.)
(2016), A misura di uomo e di donna. Soft
skills al maschile e al femminile, Orthotes Editrice, Nocera Inferiore (SA).
D’ANGELO F. (2018), «Paola Corna Pellegrini. La
paladina delle lavoratrici», in Famiglia Cristiana, 4 marzo.
DEL BOCA D. – PROFETA P. (2018), «8 marzo tutto l’anno» in lavoce.info, <www.lavoce.info/
archives/51692/8-marzo-lanno>.
EUROSTAT (2018), Gender Pay Gap Statistics,
<http://ec.europa.eu/eurostat /statisticsexplained /index.php/Gender_ pay_ gap_
statistics#Main_tables>.
FANCIULLACCI R. – Z ANARDO S. (edd.) (2016),
Donne, uomini. Il significare della differenza,
Vita&Pensiero, Milano.
FERRERA M. (2008), Il fattore D. Perché il lavoro
delle donne farà crescere l’Italia, Mondadori,
Milano.
PAPA FRANCESCO (2017), Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti all’Assemblea generale dei membri della Pontificia Accademia
per la vita, 5 ottobre, <http://w2.vatican.va/
content/francesco/it/speeches/2017/october/
documents/papa-francesco_20171005_assemblea-pav.html>.
— (2016), Discorso all’Unione internazionale superiore generali (UISG), 12 maggio,
<https://w2.vatican.va/content/francesco/it/
speeches/2016/may/documents/papa-francesco_20160512_uisg.html>.
— (2015), enciclica Laudato si’ sulla cura della
casa comune, in <www.vatican.va>.
GRION L. (2017), «Il potere politico non è
rosa: più donne al vertice ma il comando non è loro», in repubblica.it, <www.
repubblica.it /politica/2017/11/08/news/
il_potere_politico_non_e_rosa_piu_donne_al_vertice_ma_il_comando_non_e_loro180536444/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P5S1.8-T1>.
GUIDOLIN U. (2016), «Empowerment femminile»,
in Aggiornamenti Sociali, 5, 412-413.
ISTAT (2018), Startup Survey 2016. La
prima indagine sulle neoimprese innovative in Italia, <https://www.istat.
it / it / file s / 2018 / 02 / Rapp o r to - St ar tup.
p d f ? t i t l e = S t a r t u p + s u r v e y +2 016 + +27%2Ffeb%2F2018+-+Volume.pdf>.
NOCETI S. (2018), «La sfida di fare Chiesa insieme», in Jesus, 3, 48-50.
PETAGINE A. (2016), «L’alterità uomo-donna
come sfida e come risorsa», in CINQUE M. –
MELFI M. – PETAGINE A. (edd.) (2016), 21-46.
PROFETA P. (2017), «Gender Equality in DecisionMaking Positions: The Efficiency Gains», in
Intereconomics, 1, 34-37.
SAHAYA R. – CIHAK M. et al. (2017), Banking on
Women Leaders: A Case for More?, IMF Working Papers 17/199, settembre 7, in <www.imf.
org/en/Publications/WP/Issues/2017/09/07/
Banking-on-Women-Leaders-A-Case-for-More-45221?cid=em-COM-123-35841>.
TINTORI C. (ed.) (2018a), «Leadership femminile
tra economia e finanza. Interviste ad Alessandra Viscovi e Alessandra Smerilli FMA», in Aggiornamenti Sociali, 1, 14-26.
— (2018b), «Politica “al femminile”. Interviste
a Elsa Fornero e Nadia Urbinati», in Aggiornamenti Sociali, 2, 133-146.
— (2018c), «Donne e istituzioni culturali: lo stile
di una presenza. Interviste a Barbara Jatta e
Chiara Daniele», in Aggiornamenti Sociali, 3,
223-234.
— (2014), «Condividere per conciliare», in Aggiornamenti Sociali, 6-7, 445-452.
WORLD ECONOMIC FORUM (2017), The Global Gender Gap Report 2017, <http://www3.weforum.
org/docs/WEF_GGGR_2017.pdf>.
ZANARDO S. (2015), «La questione della differenza sessuale», in Aggiornamenti Sociali, 12,
833-844.
© FCSF - Aggiornamenti Sociali
risorse
integrale possa crescere? Lasciamoci provocare da queste domande,
per costruire insieme una società più inclusiva nella differenza, dove
essere pienamente donne e uomini, cioè persone autentiche e libere.
287
scheda / film
Malala
«H
di Davis Guggenheim
Stati Uniti 2015
Docufilm, 128 min
288
© FCSF - Aggiornamenti Sociali
o il diritto di cantare. Ho il diritto di andare al mercato. Ho il diritto di parlare. Avrò la mia educazione
– che sia a casa, a scuola, o altrove. Non possono fermarmi».
Questa frase rappresenta la personalità di Malala Yousafzai,
la giovanissima ragazza pakistana ferita quasi fatalmente dai
talebani nell’ottobre del 2012. Malala era divenuta una persona “scomoda” per aver curato un blog-diario per la BBC
– in cui denunciava il regime oppressivo dei talebani nella
valle dello Swat – e aver rilasciato alcune interviste in cui
discuteva la mancanza di diritti delle donne pakistane e ribadiva il suo sostegno nei confronti dell’istruzione femminile.
Il titolo originale del documentario (che racconta la vita di Malala dai quindici ai diciassette anni) è, significativamente, He
named me Malala, “Mi ha chiamata Malala”. Come spiegato
all’inizio del film, suo padre Ziauddin Yousafzai, insegnante e
diplomatico, ha scelto per lei questo nome in riferimento a una
leggenda locale, la cui protagonista è una coraggiosa bambina
di nome Malalai, che avrebbe ispirato i propri connazionali a
mantenere la resistenza durante un conflitto con l’Inghilterra,
morendo in battaglia. Il nome e la leggenda sono elementi
ricorrenti nel corso del documentario, che segue la vita di Malala in Inghilterra, a Birmingham, dove ha dovuto rifugiarsi dopo
l’intervento che le ha salvato la vita, poiché è impossibile, per
lei e per la sua famiglia, tornare in Pakistan sotto il regime
talebano, che continua a minacciare la sua incolumità.
Del documentario colpiscono il coraggio con cui questa ragazza ha affrontato avvenimenti tanto terribili e la grazia con
cui concilia la sua vita di studentessa e le sue responsabilità
di attivista e “influencer” a livello internazionale. Ma si è anche colpiti dal fatto che non è stato l’attentato, che ha reso
insensibile metà del suo viso e le è costato buona parte delle
sue facoltà intellettive, a renderla la personalità straordinaria
e influente che è adesso. Malala infatti era già “Malala”; nata
in una famiglia “moderna” da un raro matrimonio d’amore, è
sempre stata intelligente e matura, appassionata di cultura e
educazione, devota alla difesa dei diritti, come il padre, anche
lui attivista. E, a chi le chiede se suo padre le abbia imposto
una vita “diversa” (e pericolosa) con la scelta del nome e con
i propri insegnamenti, risponde orgogliosamente: «[Mio padre]
Mi ha chiamata Malala, ma non mi ha resa Malala».
Malala ha raccontato la sua storia nel libro Io sono Malala, nel
2013, anno in cui ha fondato il Malala Fund, un’organizzazione benefica che lavora per garantire il diritto all’istruzione
femminile e che dal gennaio 2018 estenderà i programmi di
finanziamento anche all’India e all’America latina. Nel 2014,
Malala è stata insignita del premio Nobel per la pace, la più
giovane vincitrice di sempre.
Chiara D’Agostino