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Comitato di Direzione
Francesco Bonini, Simona Colarizi,
Giuseppe Parlato (coordinatore),
Gaetano Sabatini
Comitato Scientifico
Ester Capuzzo (La Sapienza.
Università di Roma)
Massimo de Leonardis
(Università Cattolica - Milano)
Fernando Garcia Sanz (CSIC - Escuela
Espanola de Arte e Historia)
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Roberto Pertici (Università di Bergamo)
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(Università di Murcia)
Valery Mikhailenko (Università degli Urali)
Metin Venxha (Università di Korça)
Comitato di Redazione
Coordinatori:
Silvio Berardi, Vittorio Bonacci
Componenti:
Danilo Breschi, Matthew D’Auria,
Emilio Gin, Simone Misiani,
Rodolfo Sideri, Marco Zaganella
Direttore responsabile
Luciano Lucarini
In copertina: Umberto Boccioni,
Carica di lancieri - Carica di cavalleria, 1915
Rivista trimestrale
Anno XIII n. 51 - 2014
Registrata presso il Tribunale di Roma
con il n. 51/2003 del 5 febbraio 2003
Via G. Serafino, 8
00136 Roma
Tel. 06 45468600
Fax 06 39738771
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INDICE
EDITORIALE
p.
5
SAGGI
Giuseppe PARLATO
La seconda segreteria Almirante e il successo
del Msi nel 1972
p.
9
Gregorio SORGONÀ
Politica economica e questione operaia
nel dibattito del gruppo dirigente del Pci
tra il 1957 e il 1965
p.
51
Il mito e il pensiero di Giuseppe Mazzini nei nuovi
Stati africani tra Ottocento e Novecento
p.
87
Valerio TORREGGIANI
Nuove prospettive di ricerca sul corporativismo
in Europa
p. 111
Simonetta BARTOLINI
Il romanzo storico nel III millennio:
se il revisionismo diventa epica dell’equivicinanza
p. 125
Il salvataggio dell’esercito serbo nel 1915,
con un documento inedito dello Stato Maggiore
dell’Esercito
p. 139
Il testimone bugiardo.
Il crollo del campanile di Venezia e i falsi fotografici
p. 169
NOTE E DISCUSSIONI
Silvio BERARDI
OSSERVATORIO
DOCUMENTI
Mila MIHAJLOVIC
Guglielmo DUCCOLI
RECENSIONI
Rodolfo SIDERI
Danilo BRESCHI
Emilio GIN
Valerio DI ZENZO
p. 181
A. Cavaterra, La rivoluzione culturale di Giovanni
Gentile. La nascita dell’Enciclopedia Italiana
E. Garin, U. Spirito, Carteggio 1942-1978,
a cura di M. Lodone
A. Martini, “Prigionieri del nostro mare”.
Il Mediterraneo, gli Inglesi e la non belligeranza
del “Duce” (1939-1940)
L. Spinelli, Il Sionismo in Italia e nella politica
estera fascista
NOTE BIOGRAFICHE DEGLI AUTORI
p. 199
125
Il romanzo storico del III millennio:
se il revisionismo diventa epica
dell’equivicinanza
di SIMONETTA BARTOLINI
Orientarsi nell’ormai sterminato territorio del romanzo storico
del nuovo secolo, seguendo i criteri di una mappatura omnicomprensiva, si rivela un’impresa titanica, basti, per farsi un’idea del
fenomeno, un dato empirico ricavato dal sito di vendite on line
della Mondadori1 che, alla data del 20 ottobre 2014, offriva 2703
“prodotti in Narrativa di ambientazione storica” riguardanti un
arco di pubblicazione fra il 2011 e il 2014.
Secondo la rilevazione dell’Istat, negli anni 2011 e 2012 in Italia sono state pubblicate quasi 59mila opere, circa 5000 in meno
rispetto al biennio precedente, un indice al ribasso che fa pensare
ad un ulteriore possibile diminuzione del numero di pubblicazioni nel biennio 2013-2014, complice anche la crisi economica che
ha drasticamente imposto una contrazione di consumi in tutti i
settori, per l’editoria si parla di un 20% in meno di fatturato2. In
1
www.inmondadori.it/libri/italiani/Narrativa-d-ambientazionestorica/sgnG04Z/113/sgn=G04Z.
2
http://www.istat.it/it/archivio/lettura.
126
questo panorama quei 2703 prodotti di narrativa storica risultano
essere un numero importante3 se si considera che ci stiamo riferendo ad un genere nell’ambito di una categoria di prodotto editoriale, il romanzo, che a sua volta rappresenta una frazione
dell’intera produzione. Si aggiunga a ciò che la cifra, indicata dal
sito di vendita online della Mondadori, rappresenta a sua volta solo un segmento del prodotto editoriale indicato.
Questi numeri, pur nella loro parzialità, ci dicono quanto il
“romanzo di ambientazione storica” goda di buona fortuna presso il pubblico e di conseguenza quanti scrittori si cimentino in un
genere che assicura una discreta ricezione da parte del mercato
editoriale, ma anche quanto sia difficile individuare uno statuto4
che aiuti ad orientarsi in questa ipertrofica produzione letteraria
che, come ben indica la definizione del sito mondadoriano, raccoglie indiscriminatamente tutto ciò che può essere classificato
come romanzo di ambientazione storica.
All’interno di questa macrocategoria le distinzioni in sottogeneri sarebbero numerose: dal giallo alla biografia romanzata, dalla rievocazione di avvenimenti storici finalizzata ad una riscrittura epica del passato, alla ricostruzione romanzata di fatti che nella storiografia hanno subito un trattamento contestato.
All’interno di ciascuno di essi si dovrebbero evidenziare ulteriori
distinzioni secondo una classificazione cronologica esemplata
sulla suddivisione per grandi periodi storici: la storia egizia (il cui
modello è il celeberrimo Sinuhe l’egiziano del finlandese Mika
3
Seppure si tratti di una produzione considerevole, vale la pena segnalare che,
nello stesso sito, la categoria “Gialli Noir Avventura”, alla stessa data, registrava un’offerta pari a 17.117 titoli, dei quali 688 alla voce “Gialli storici”, fra
questi ultimi vengono compresi fra i titoli più recenti: G. DE CATALDO,
Nell’Ombra e nella Luce, Einaudi, Torino, 2014; A. CAMILLERI, La scomparsa di
Patò, Mondadori, Milano, 2000, 2014; C. LUCARELLI, Albergo Italia, Einaudi,
Torino, 2014; i romanzi di M. di Giovanni che al giallo storico ha dedicato
gran parte della sua produzione romanzesca.
4
Sullo statuto del romanzo storico e la sua evoluzione dall’’800 a oggi si veda
lo studio di M. GANERI, Il romanzo storico in Italia. Il dibattito critico dalle origini al postmoderno, Pietro Manni, Lecce, 1999.
Waltari5 i cui fasti sono stati replicati ultimamente dai romanzi
di Christian Jacq dedicati in gran parte alla figura del faraone
Ramses II), la storia antica greca e romana, Valerio Massimo
Manfredi è in questo ambito uno degli scrittori più ammirati e
seguiti insieme a Guido Cervo. Il medioevo viene rappresentato
esemplarmente dal capolavoro di Umberto Eco, Il nome della Rosa (1980), che apre una nuova stagione del romanzo storico diventando rapidamente un modello di grande fortuna6, cui farà
seguito la serie di romanzi ambientati nel medioevo inglese di
Ken Follet, I pilastri della terra (1989), e Mondo senza fine, (2007),
entrambi trasposti in miniserie per la televisione. Per quanto riguarda il rinascimento, il dopoguerra ha visto in Maria Bellonci,
con Lucrezia Borgia (1939), e Anna Banti, con Artemisia, le iniziatrici del genere biografico che Melania Mazzucco ha rinverdito recentemente con La lunga attesa dell’angelo (2008) dedicato
alla vita di Tintoretto e al suo rapporto con la figlia Marietta.
Avvicinandosi all’età moderna vale la pena di segnalare per il
’600 La chimera di Sebastiano Vassalli (1990), controcanto contemporaneo laico ai Promessi sposi manzoniani, e, dello stesso
autore, Marco e Mattio (1992) ambientato alla fine del ’700.
Per quanto riguarda l’ambientazione ottocentesca il panorama
si fa più ricco di titoli esemplari – dal Gattopardo (1958) di Tomasi di Lampedusa a Una storia romantica (2007) di Antonio
Scurati7 – che esplodono per numero e varietà con il ’900 e so5
Pubblicato per la prima volta nel 1945, nel 1954 ne fu fatta una trasposizione
cinematografica di grande successo che trasformò il romanzo in un long seller.
6
Anche per il romanzo di Eco la grande fortuna di pubblico (oltre che di critica) viene testimoniata dalla trasposizione cinematografica (1986) del testo con
un interprete di eccezione come Sean Connery nei panni di Guglielmo da Baskerville, per la regia di Jean-Jacques Annaud.
7
Fra i vari titoli abbiamo scelto di citare esemplarmente quelli di Tomasi di
Lampedusa e di Scurati non solo perché si costituiscono in qualche modo come poli cronologici entro i quali si collocano romanzi di ambientazione ottocentesca, ma anche perché, per motivi diversi, al loro apparire hanno sollecitato un non trascurabile dibattito proprio sul genere da essi rappresentato. Si
ricorderà la celebre bocciatura che Vittorini fece del libro di Tomasi di Lampedusa – inviatogli dall’autore, per la collana i Gettoni di Einaudi – fondata
sulla inattualità del romanzo storico negli anni del secondo dopoguerra che, a
127
128
prattutto in riferimento al ventennio fascista e alla II guerra
mondiale .
In questo panorama, variegato e complesso, ci limiteremo a
cercare di fare il punto su un particolare segmento del romanzo
storico ambientato nella prima metà del ’9008, che potremo indisuo giudizio, ne impediva la riproposizione in quanto genere ritenuto una
laudatio temporis acti, sostanzialmente improntato al nostalgismo e ad una
visione pessimistica contrastante con l’idea (teorizzata nel “Politecnico”) di
una letteratura neorealista, finalizzata a rappresentare una spinta ottimistica
di ricostruzione del soggetto-uomo e della società (a proposito della sfortuna
critica del Gattopardo si vedano le pagine di F. ORLANDO, L’intimità e la storia, Einaudi, Torino, 1998). Il romanzo di Scurati invece, al suo apparire, suscitò
una riflessione sulla vitalità del romanzo storico nel XXI secolo, sul concetto di postmodernità, e soprattutto provocò, da parte di G. GENNA, a sua volta autore di Hitler
(Mondadori, Milano, 2008), un tentativo di “risistematizzazione” del genere nella
contemporaneità assai prossima all’ipotesi di uno statuto (si veda in particolare F.
CORDELLI, Il nuovo romanzo di Scurati. Troppo perfetto per essere bello, in «Corriere
della sera», 30 settembre 2007 e G. GENNA, Considerazioni sul romanzo storico italiano di oggi: Una storia romantica di Antonio Scurati, 10 ottobre 2007, in
http://www.carmillaonline.com/2007/10/10/considerazioni-sul-romanzo-sto/).
8
La produzione di romanzi storici nel ’900 è concentrata nella seconda metà
del secolo, infatti nella prima metà il genere conosce una crisi significativa,
innanzi tutto per il protagonismo delle avanguardie cui fa da controcanto reattivo il rinnovato classicismo formale negli anni ’20, in entrambi i casi viene
messo in discussione il romanzo considerato genere dell’artificio manipolatore
dell’espressione dell’autenticità dell’esistenza, la letteratura preferisce percorrere la strada della prosa d’arte (V. CARDARELLI, Prologo in tre parti, in “La
Ronda”, n°1, aprile 1919, M. BIONDI, «La Ronda» e il rondismo, in Storia letteraria d’Italia, Vol. XI/ 2, Il Novecento, tomo II, a cura di G. LUTI, Vallardi Piccinin Nuova Libraria, Padova, 1993, pp. 657-698); in secondo luogo la straordinaria fioritura di memorialistica di guerra negli anni ’18-’40 (nelle sue varie
declinazioni – diari, taccuini, ricordi – compresa quella, almeno in parte, romanzesca per quanto di rilevanza numerica assai lieve) conseguente al primo
conflitto mondiale, adempie de facto anche alla residua voglia di narrativa storica tradizionale saturando l’offerta in tal senso (E. BRICCHETTO, La grande
guerra degli intellettuali, in Atlante della letteratura italiana, a cura di S.
LUZZATO e G. PEDULLÀ, III volume, Einaudi, Torino, 2012, pp. 477-489. La Bricchetto pubblica un saggio assai discutibile quanto a credibilità scientifica per i
numerosi errori ivi contenuti: individua in Papini e Prezzolini i fondatori di “Lacerba” che invece venne fondata notoriamente da Papini e Soffici, quest’ultimo
viene continuamente confuso con Prezzolini e a malapena citato fra gli intellettuali presenti al fronte, i suoi fondamentali libri di memorialistica non compaio-
130
struire un mondo il più possibile ammobiliato»11), nonché di coerenza, coesione e credibilità di azione, ambiente e Storia, per cui, per esempio, avendo l’autore deciso che uno degli assassinati sarebbe stato
trovato in un orcio pieno di nel sangue di maiale, la vicenda avrebbe
dovuto svolgersi in una stagione e in un luogo coerenti sia con la macellazione suina nel medioevo, ma anche con la presenza in Italia di
uno dei personaggi storici che appaiono nel romanzo, Michele da Cesena; di conseguenza l’abbazia veniva posta in una località di montagna dove a novembre, essendoci già la neve, e dunque abbastanza
freddo, era credibile la macellazione del maiale12.
Eco, stabilendo nelle Postille le leggi alle quali rispondeva il
complesso meccanismo del romanzo storico, formalizzava i punti
fondamentali del patto narrativo che deve regolare l’opera “mista
di storia e di invenzione”, legando le origini manzoniane con la
postmodernità, e di fatto superando la interpretazione lukàcsiana
caratterizzata da un determinismo storico di impronta marxista,
per giungere a impostare uno statuto di genere che, senza inchiodare il romanzo ad una normativa stringente, ne stabilisse i
confini necessari e le “garanzie” contrattuali nel rapporto con il
lettore («Occorre crearsi delle costrizioni, per potere inventare
liberamente13»), e autorizzava il romanzo storico ad accogliere
11
U. ECO, Il nome della rosa, Bompiani, Milano, 19801, le Postille, dopo essere
state pubblicate sulla rivista “Alfabeta”, dal 1983 furono poste in appendice alle
successive ristampe del romanzo. Qui si cita dall’edizione 1993, p. 513.
12
Vale la pena notare che quanto scrive Umberto Eco nelle Postille a proposito
della necessità e modalità di ammobiliare il mondo fantastico di un romanzo
(«Si può costruire un mondo del tutto irreale, in cui gli asini volano e le principesse vengono risuscitate da un bacio: ma occorre che quel mondo puramente
irrealistico, esista secondo strutture definite in partenza [...]»; p. 514) era già stato materia di analisi e definizione circa quarant’anni prima da J.R.R. TOLKIEN nel
saggio Sulle fiabe (nato come conferenza tenuta l’8 marzo 1939 all’Università di
St. Andrews in memoria di Andrew Lang, fu pubblicato nel volume Essays: Presented to Charles Williams,1947, quindi in Leaf and Niggle,1964, prima edizione
italiana in Albero e foglia, Rusconi, Milano, 1976). Si noti la somiglianza che
suggerisce un debito teorico di Eco nei confronti di Tolkien: «[...] l’inventore di
fiabe si rivela un felice “subcreatore”, il quale costruisce un Mondo Secondario
in cui la mente del fruitore può entrare. All’interno di tale mondo, ciò che egli
riferisce è “vero”, nel senso che concorda con le leggi che vi vigono» (pp. 47-48).
13
U. ECO, Postille a Il nome della rosa, cit. p. 514.
nei propri domini altri generi (per esempio il poliziesco come nel
Nome della Rosa), aprendo la strada a quella “plurigenericità” postmoderna che non di rado ha, a sua volta, lasciato il campo a
contaminazioni “di consumo14” nelle quali il romanzo storico ha
perso la propria perspicuità per trasformarsi in un generico racconto di ambientazione storica, più prossimo a quello che Eco definisce “romanzo di cappa e spada”15. Circa 25 anni dopo le Postille di Eco il dibattito si riaccende con la pubblicazione del romanzo di Antonio Scurati Una storia romantica che tenta la strada della riproposizione di una declinazione rinnovata del modello
rappresentato da Il Nome della rosa. Ovvero un romanzo ambientato nell’800, riccamente tessuto di intertestualità, dichiaratamente costruito con intensi richiami colti, e una scopertissima
metafora (i moti del 1848 per la contestazione del 1968, e il ritorno all’ordine borghese che se segue) che ha fatto parlare Cordelli
di artificio virtuoso, ma non innovativo16. Viceversa Giuseppe
Genna, ha riconosciuto al romanzo di Scurati la presenza di
quell’allegoria metastorica (il ’48 del XVIII secolo non rappresenta solo il ’68 del secolo successivo, ma tutti i periodi caratterizzati
da uno scontro fra potere e cittadino17) che gli fa compiere un
passo avanti rispetto alla semplice presenza metaforica (la traslazione di significato avviene parzialmente, solo in alcuni momenti
e non è diffusa né intride di sé tutto il testo) del romanzo di
Eco18. La discussione teorica intorno alla vitalità del romanzo
14
Utilizziamo questo termine per comodità, ma con la consapevolezza che il
rapporto fra letteratura cosiddetta ”alta” e letteratura ”di consumo” non risponde più ai canoni validi fino a qualche decennio fa, i contorni delle due categorie sono ormai sfumati, i limiti di separazione sbiaditi e non di rado si assiste a contaminazioni virtuose o per contro di natura corruttiva.
15
Ibid., p. 532.
16
F. CORDELLI, Troppo perfetto per essere bello, cit.
17
G. GENNA, Una storia romantica di Antonio Scurati, cit.
18
A proposito dell’interpretazione di Genna occorre rilevare che contraddice –
senza peraltro porsi il problema di una chiarificazione in tal senso, pur continuando a chiamare in causa Eco e il suo romanzo – la definizione di romanzo
storico fatta dell’autore del Nome della rosa, estendendola a quello che Eco definisce invece «romanzo di cappa e spada» caratterizzato, a differenza di quello
storico propriamente detto, dalla libertà di definire la perspicuità psicologica dei
131
132
storico del XXI secolo, come si vede, non prende in considerazione quello che abbiamo definito romanzo storico revisionista; ciò
non significa che alcuni dei romanzi che andremo a segnalare
non abbiamo suscitato ampie polemiche, ma, come si vedrà, esse
sono state di natura ideologica e non teorica. Poiché il focus che
ci siamo prefissi è centrato su un romanzo storico caratterizzato da
una disposizione metodologica (appunto, revisionista) verso la storia, si dovrà tener conto di declinazioni diverse, ovvero di quella
plurigenericità che cataloga varie forme di romanzo.
Diffusosi, per ovvi motivi, dal secondo dopoguerra in poi, il
romanzo storico di taglio autobiografico (primo ad apparire nel
panorama narrativo di questo genere) riguardava le vicende di chi
aveva partecipato alla Repubblica Sociale, ovvero militato dalla
cosiddetta “parte sbagliata”19, e in seguito, a qualche anno di distanza, di chi aveva subito la prigionia in Africa, in India o in America nei campi di concentramento delle forze alleate, scegliendosi il ruolo di non-cooperatore che aveva comportato un prolungarsi della detenzione e condizioni di vita più dure rispetto a quelle di chi aveva scelto di cooperare (il più delle volte si trattava di
accettare il lavoro all’interno dei campi di detenzione). Questi romanzi, mescolavano finzione narrativa e memoria di fatti vissuti
in prima persona, mettevano in scena quella spiegazione delle scelte compiute, la loro necessità, motivazione storica ideologica e sentimentale, che la condizione di sconfitti nell’Italia, fortemente segnata dalle divisioni conseguenti alla guerra civile fra fascisti e
partigiani, non aveva permesso ai loro autori di esprimere, per ristabilire una verità equivocata e proporre un riscatto della memoria. Il primo era stato il famoso romanzo di Giose Rimanelli, Tiro
al piccione (Mondadori, 1953), dal quale nel ’61 fu tratto
l’omonimo film che vide l’esordio alla regia di Giuliano Montaldo20, seguito negli anni successivi da A cercar la bella morte di
personaggi senza ancorarla al tempo storico nel quale essi agiscono come avviene
per esempio nei Tre moschettieri di Dumas (U. ECO, Postille, cit., p. 532).
19
La definizione è da attribuire proprio a Giose Rimanelli; cfr. S. MARTELLI,
Introduzione a Tiro al piccione, Einaudi, Torino, 1991.
20
Assai discussa e discutibile la trasposizione cinematografica del romanzo di
Rimanelli fatta da Montalto; a questo proposito una voce critica è quella di
Carlo Mazzantini (Mondadori, 1986) e da La memoria bruciata, di
Mario Castellacci, (Mondadori, 1998) solo per citare alcuni dei più
noti21. Non mancò però neppure il romanzo storico vero e proprio
come quello di Enrico de Boccard, Donne e mitra, pubblicato nel
1950, forse il primo in assoluto a trattare la guerra civile fra repubblichini e partigiani dal punto di vista degli sconfitti, in un romanzo che non avesse il taglio autobiografico, e più tardi, nel 1947 il
romanzo di Giuseppe Berto, Il cielo è rosso, (scritto nel campo di
concentramento di Hereford in Texas), seguito da Guerra in camicia nera (1955) un diario romanzato che mostra un’ulteriore declinazione di questa narrativa memoriale.
Se questi testi rappresentano le più significative voci del ’900,
gli anni 2000 si inaugurano con un genere che miscela il saggio
con il romanzo. È un giornalista con la passione della storia,
Giampaolo Pansa, a proporre questo genere nel quale la finzione
è affidata alla cornice che funge da pretesto per la narrazione di
quanto l’autore ha ricavato da fonti storiche. Ne I figli dell’aquila
(Sperling & Kupfer, 2002, il primo della serie poi definita verghianamente “Ciclo dei vinti”22) il narratore dichiara di raccogliere la storia da una testimone diretta: la moglie ormai vedova
di uno dei ragazzi che scelsero con determinata consapevolezza
la “parte sbagliata” e combatterono per la Repubblica di Salò. Da
Antonio Vitti per la “Rivista di studi italiani” reperibile online
www.rivistadistudiitaliani.com/filecounter2.php?id=104.
21
Sulla memorialistica della Repubblica sociale segnaliamo: S. BARTOLINI, La
memoria rimossa, voci e atmosfere della Rsi, (Macerata, 2003) poi in S. BARTOLINI, L. GANAPINI, A. GIANNULI, G. PARLATO, A.G. RICCI, M. TARCHI, Le fonti
per la storia della RSI, a cura di A.G. Ricci, Marsilio, Venezia, 2005, pp. 53-66;
G. IANNACCONE, L’armata degli adolescenti che pagò il conto della storia. Stili
e caratteri della letteratura di Salò, in Atti del convegno Guerre et violence
dans la littérature contemporaine italienne, Univers. Stendhal-Grenoble, in
“Cahiers d’études italiennes”, n. 3/ 2005, pp. 193-207; M. BERNARDI GUARDI,
Fischia il vento urla la bufera perché portiamo la camicia nera (storie della
parte sbagliata), Pagine editore, Roma, 2007.
22
Seguiranno: Il sangue dei vinti, Sperling & Kupfer, Milano, 2003; Sconosciuto 1945, ivi, 2005; I tre inverni della paura, Milano Rizzoli, 2008; I vinti non
dimenticano, ivi, 2010; La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti, ivi, 2012 e
il dittico Bella ciao (controstoria della Resistenza), ivi, 2014; Eia Eia Alalà
(controstoria del fascismo), ivi, 2014.
133
134
una lunga serie di incontri con l’ormai anziana signora nasce la
narrazione nella quale l’autorevolezza della fonte documentaria
viene attribuita alla voce della interlocutrice-testimone che funge
da garante della verità in quanto protagonista (solo parzialmente
diretta, ma appunto con funzione di testimone) di quanto viene
narrato. Pansa introduce il testo narrativo con un Prologo nel
quale spiega che l’artificio della vecchia signora, che lo convoca
per raccontargli la vera storia dei “figli dell’aquila” avendo maturato fiducia in lui leggendo i suoi libri precedenti, gli era stato
suggerito dalle insistenze di una lettrice che lo aveva esortato a
raccontare come era finito il fascismo dopo averne scritto della
nascita (La notte dei fuochi, 2001), oltre a ciò e ai ringraziamenti
che alludono alle lunghe ricerche documentarie, il libro privo di
note e di bibliografia, quindi di esplicitazione delle fonti, pur non
recando sotto il titolo la definizione romanzo che sancirebbe il
tipo di patto con il lettore, è formalmente a tutti gli effetti un romanzo, per quanto in odore di illegittimità23. E in effetti,
all’uscita del libro, Pansa si guadagna la qualifica di romanziere
piuttosto che quella di storico, anche se quel che lo esclude dalla
categoria della saggistica è “solo” la rinuncia ad ogni citazione di
fonte bibliografica e documentaria (la cornice narrativa è unicamente un pretesto formale) che peraltro molti degli addetti ai lavori hanno individuato nei libri che, nei primi anni ’60, Giorgio
Pisanò aveva scritto raccogliendo una gran quantità di materiale,
ma rimanendo in una sostanziale semiclandestinità24. Con il saggio storico romanzato di Pansa quella parte di storia fino ad ora
considerata materia incandescente, da trattare con molte cautele,
diventa oggetto di narrazioni più impregiudicate, libere (almeno
in parte) dal condizionamento ideologico, complice anche l’ormai
avvenuto cambio generazionale. Sulla strada di Pansa sicuramente si pone il recente romanzo di Dario Fertilio, L’ultima notte dei
23
Questo tipo di struttura si ripete più o meno sempre uguale in tutti i libri di
Pansa del cosiddetto “ciclo dei vinti”.
24
Si vedano fra gli altri G. PISANÒ, Il vero volto della guerra civile, documentario fotografico, Rusconi, Milano, 1961; Sangue chiama sangue, Pidola, Milano,
1962; La generazione che non si è arresa, ivi, 1964, Storia della guerra civile in
Italia, 1943-45, FPE, Milano, 1965-1966.
fratelli Cervi (Marsilio, 2012) che reca come sottotitolo Un giallo
nel triangolo della morte, anche in questo caso la materia, ultra
incandescente, della tragica uccisione dei sette fratelli comunisti
entrati nel mito di una ideologia che ha piano piano riscritto la
vera storia, può essere trattata solo romanzescamente; il romanzo
diventa così una sorta di maschera dietro la quale nascondere la
ricerca della verità senza scatenare l’ostracismo (che significa silenzio e oblio) dell’accademia o comunque degli storici di professione, uno scudo di formale ambiguità che ha il pregio di raggiungere un pubblico di più vasto di quanto non potrebbe fare un
saggio scientifico, e di lasciare allo scrittore libertà nel muoversi
fra verità ancora contestate25.Con il raggiungimento della maturità di quella generazione nata ben oltre la fine del fascismo,
sembra possibile avviare una rilettura restaurativa della verità di
eventi storici passati troppo frettolosamente in giudicato secondo
i criteri di un sentimento politico-ideologico che aveva caratterizzato l’immediato secondo dopoguerra, trascinandosi a lungo nella storia d’Italia, o riscoprire quanto trattenuto nelle pieghe della
storia ufficiale; in questa ottica si colloca la biografia romanzata
di personaggi rimasti nell’oblio della damnatio memoriae, come
quella scritta da Paolo Buchignani, Il santo maledetto, (Meridiano
Zero, 2014), dedicata a Marcello Gallian. Figura fascinosa di soldato postumo della prima guerra mondiale, dannunziano a Fiume, mussoliniano fedele e rivoluzionario ad oltranza anche
quando tutto era finito, scrittore con l’avanguardia nel sangue,
25
Va segnalato che il romanzo di Fertilio, a differenza di quelli di Pansa, è accompagnato da due saggi storici e da una ricca bibliografia, esso, pur avendo
avuto una buona accoglienza presso la stampa quotidiana, scatenò violente
polemiche quando ricevette il Premio Acqui Storia per il romanzo storico, entrambi (premio e romanzo) furono considerati un oltraggio alla memoria dei
partigiani per le “falsità” che secondo l’Anpi di Prato e poi di Alessandria sarebbero contenute nel libro di Fertilio (M. CERVI, Fratelli Cervi, il mito oscura
la storia, in «il Giornale», 11 settembre 2012; P. GHIGGINI, Fratelli Cervi, il libro
“eretico” di Dario Fertilio vince Acqui Storia. E l’Anpi perde le staffe, «Rep»,
http://www.reggioreport.it/2013/10/fratelli-cervi-vince-il-libro-eretico/, 26 ottobre 2014; C. CAVALLERI, Fratelli Cervi se la fiction dice più della storia, «Avvenire», 3 ottobre 2012; L’ultima notte dei fratelli cervi di Dario Fertilio, «il
Foglio», 20 dicembre 2012).
135
136
rivive sotto mentite spoglie (si chiama Matteo Galati mantenendo le iniziali del personaggio ispiratore) nelle pagine del romanzo
di Buchignani, che sceglie di dare al protagonista un nome di
fantasia, avvertendo però il lettore in esergo al libro, che «Questo
romanzo è liberamente tratto dalla vita e dall’opera di Marcello
Gallian».
Interessante e di grande successo presso il pubblico il romanzo
cripto biografico di Antonio Pennacchi, Canale Mussolini (Mondadori, 2010, premio Strega e premio Acqui) che si propone come
grande epopea epocale. La storia dei coloni veneti portati a bonificare le paludi pontine dal fascismo fondatore di città, del quale
diventano solidi sostenitori, rappresenta in assoluto e nella produzione dell’autore (noto per il romanzo autobiografico Il fasciocomunista, Mondadori, 2003) il modello narrativo dove il postmoderno si sposa con il post-ideologico, dando vita ad un romanzo storico dove il revisionismo non ha funzione di riscatto di
una verità negata, non è lo strumento per sanare il torto del silenzio, il risarcimento dell’oblio, ma piuttosto il tentativo di ritrovare quello spirito epico di equidistanza, o forse meglio di equivicinanza, alle due parti contrapposte di cui si narra, che, come
scrive Simone Weil, fa sì che Omero, nell’Iliade sia acheo quando
descrive Achille e i suoi compagni e troiano quando racconta di
Ettore e del suo popolo26. Simile, almeno negli intenti, l’epopea
generazionale narrata da Pietro Neglie, Ma la divisa di un altro
colore, (Fazi, 2014) e da Gabriele Marconi, Fino alla tua bellezza
(Castelvecchi, 2013) nonché quella famigliare di Paolo Mastrolilli,
Adelfi, (Rizzoli, 2007); in tutti e tre i romanzi la narrazione segue
il filo di vite che, iniziate nella solidarietà (fraterna nel romanzo
di Mastrolilli dove i protagonisti sono due fratelli, e cameratesca
in quelli di Marconi e Neglie che seguono le vite di vecchi commilitoni della prima guerra mondiale), proseguono dividendosi
sui fronti contrapposti di fascismo e antifascismo che hanno segnato il ‘900, a partire (nei romanzi di Neglie e Marconi) dalla
guerra civile spagnola, per finire a quella italiana. La vera novità
di questi romanzi sta, come in quello di Pennacchi, nel tentativo di
26
S. WEIL, La rivelazione greca, Adelphi, Milano, 2014, p. 58.
usare nel romanzo quella medietas storico-ideologica che restituisca il valore autentico al revisionismo sottraendolo alle facili polemiche di parte. In questo senso il romanzo storico assolve magnificamente al compito, anzi forse, proprio in virtù dell’antica qualità epica che si va a recuperare, è l’unico strumento per compiere
quell’opera di pedagogia storica popolare che ne caratterizzò parte
delle origini romantiche27.
Per concludere occorre ricordare la contro-epopea dei romanzi
di Pietrangelo Buttafuoco, in particolare il primo romanzo Le uova del drago (Mondadori, 2006) che al suo apparire scatenò in
egual misura, e in parte anche con eguale partigianeria, adesione
convinta e ripudio assoluto. Buttafuoco compie un’operazione
che ha qualche somiglianza con la contro-epopea degli indiani
d’America dopo l’epica wasp della conquista delle terre di frontiera. Ma nel caso di Buttafuoco la materia, e soprattutto il soggetto della contro-epica, è quel complesso coagulo di nazismo,
fascismo, islamismo che trovò nello scontro con mafia alleata con
gli americani in una Sicilia mai diventata moderna, un terreno
dai contorni ancora fumosi, densi di misteri, leggende, dove
l’antico si fonde continuamente con il moderno, provocando cortocircuiti storici imprevedibili e suggestivi.
La reazione al romanzo non poteva che essere violentissima sia
in difesa che in attacco28, ma quel che veramente è interessante del
sistema narrativo del romanzo storico di Buttafuoco, proseguito in
parte nel successivo Il lupo e la luna, (Bompiani, 2011), è il tentativo
di richiamare i modi, seppure nella declinazione e contaminazione
della contemporaneità, del canto tradizionale, il cuntu che è coralità
popolare e si richiama nei modi alla storia di antiche gesta evocanti
27
M. GANERI, Il romanzo storico in Italia, cit., p. 110.
Ci asteniamo dal dare conto dei vari interventi sul libro di Buttafuoco poiché si tratta per lo più di polemiche che poco hanno a che vedere con la qualità letteraria del romanzo; vale solo la pena di segnalare l’acrimonia violenta,
reazione al limite dell’isterismo, che mal si attaglia ad un critico come Andrea
Cortellessa che sul “Caffé illustrato” del gennaio-febbraio 2006 si lancia in una
energica stroncatura che ha più il sapore di un attacco personale piuttosto che
di una meditata lettura impregiudicata, per quanto legittimamente negativa,
di un romanzo.
28
137
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le avventure del paladino Orlando iconizzate sui carretti siciliani da
tempo immemorabile, e trasferita nel teatro dei pupi. Cultura antica
sopravvissuta nelle pieghe di una storia dall’evoluzione indubbiamente anomala rispetto al resto d’Italia, che utilizza il dialetto come
strumento di conservazione forzosa, come gergo culturale esclusivo
e in parte escludente (come ogni gergo), per mantenere il contatto
fra letteratura alta e tradizione popolare. Buttafuoco allestisce un
romanzo difficile, che forse non può diventare modello di genere,
che si può amare o esserne respinti, ma che indubitabilmente rappresenta un esperimento intellettuale e letterario non trascurabile,
ma forse neppure ripetibile.
E in effetti l’ultimo romanzo storico dello scrittore catanese
cambia modello, e con I cinque funerali della signora Goering,
(Mondadori 2014) entra sul territorio della metafora i cui soggetti
non sono i personaggi o le loro vicende, ma il culto dei corpi e in
parte dei corpi defunti. Ma questa è veramente un’altra Storia!
Abstract
In the varied and complex scenery of the historical novel, a particular
focus is currently being placed of a particular section, the one set in the
first half of the twentieth century which we could identify with the ‘revisionist’ novel, borrowing the controversial definition given by part of
the current historiography. Pending a complete mapping of the titles
ascribed to these publications characterized by the fact of standing opposed to the greater part of the publications of historical fiction concerning the first part of the nineteenth century more or less up to 1848,
which only recently has met a diffusion and subsequent interest from
critics and then the general public. We will only focus on some of the
most significant titles published in the last decade.