Università Ca’ Foscari Venezia
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Laurea in Scienze del Servizio Sociale
Per un invecchiamento
pienamente attivo
Un’indagine sulla condizione e le attività degli anziani
a Cavallino-Treporti, Marcon e Quarto d’Altino
a cura di
Pietro Basso e Fabio Perocco
2
Per un invecchiamento
pienamente attivo
Un’indagine sulla condizione e le attività degli anziani
a Cavallino-Treporti, Marcon e Quarto d’Altino
a cura di
Pietro Basso e Fabio Perocco
La ricerca è stata condotta tra l’autunno del 2006 e l’estate del 2007 da un
gruppo di docenti e studenti del Corso di Laurea in Scienze del Servizio
Sociale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia nell’ambito del progetto “Dalle
storie alla storia. I nonni raccontano” promosso dai Comuni di Cavallino-
Treporti, Marcon e Quarto d’Altino e supportato dalla Direzione dei Servizi
Sociali dell’AUlss 12 veneziana e dalle associazioni territoriali degli anziani.
Componenti del gruppo di ricerca: P. Basso (coordinatore), F. De Girolami e
F. Perocco (docenti dell’Università Ca’ Foscari Venezia), A. Calzavara, J.
Epis e Mariangela Partinico (studenti del Corso di Laurea in Servizio Sociale).
Il rapporto di ricerca è stato curato da P. Basso e F. Perocco. Le parti scritte
vanno attribuite a: P. Basso (cap. 6), A. Calzavara (cap. 4), F. De Girolami
(cap. 2, cap. 3), J. Epis (cap. 3), M. Partinico (par. 2 e 3 del cap. 5), F.
Perocco (cap. 1, cap. 5).
Ringraziamo tutte le persone e le istituzioni intervistate o interpellate che con
la loro disponibilità e con il loro aiuto hanno contribuito alla realizzazione di
questo lavoro.
Venezia, novembre 2007
4
Indice
1. Anziani e società: premesse e finalità di una ricerca 5
2. Età anziana e politiche sociali, con particolare
attenzione al Veneto 21
3. Gli anziani a Cavallino-Treporti 39
4. Gli anziani a Marcon 59
5. Gli anziani a Quarto d’Altino 87
6. Per un invecchiamento pienamente attivo 113
5
6
1. Anziani e società: premesse e finalità di una ricerca
1. Presentazione
Presentiamo qui i risultati dell’indagine sulla condizione anziana a
Cavallino-Treporti, Marcon e Quarto d’Altino, condotta nell’ambito del
progetto “Dalle storie alla storia. I nonni raccontano”, promosso dai rispettivi
comuni e dall’Ulss 12 veneziana.
La finalità generale della ricerca è l’analisi della condizione degli anziani,
dei servizi per gli anziani e dell’attivazione degli anziani in questo dato
territorio, e del legame tra questi tre aspetti. L’ipotesi di partenza è che da parte
di alcuni settori della società, in primis gli anziani, esistano delle resistenze
rispetto ai processi di esclusione, di marginalizzazione e di passivizzazione
dell’anziano; che siano presenti delle contro-spinte rispetto alle dinamiche di
schiacciamento dell’anziano nella condizione e nella rappresentazione
unilaterale di soggetto passivo, malato, inadeguato, consumatore solitario,
“eccedenza sociale” perché improduttivo. E che queste reazioni si realizzino, si
articolino, a seconda delle condizioni di esistenza reale, a seconda dei contesti
locali.
Ipotizziamo, inoltre, che tra processi di sanitarizzazione e di
passivizzazione degli anziani da una parte, aspettative e pratiche di sviluppo ed
emancipazione umana dall’altra parte, siano presenti dei conflitti, degli
spostamenti in avanti e dei rinculi, e che questo movimento dialettico sia legato
anche a una serie di fattori quali le politiche sociali, le strutture economiche, le
trasformazioni famigliari, le forme di supporto e sostegno effettivamente a
disposizione.
La ricerca si colloca, pertanto, in quel settore di studi e di interventi che si
occupa della vita attiva e della partecipazione degli anziani, con una particolare
attenzione alle tematiche dell’associazionismo e dell’attività lavorativa.
L’indagine si è svolta seguendo alcuni obiettivi coerenti con la finalità
generale. Primo, ricostruire la morfologia economico-sociale dei territori
7
oggetto di studio, analizzare le trasformazioni avvenute negli ultimi decenni,
esaminare l’evoluzione della struttura della popolazione e l’architettura delle
politiche sociali locali, sì da capire come i comuni hanno affrontato il tema
della anzianità e quale posizione essi hanno assunto nei confronti degli anziani.
Secondo, esaminare il tipo di attivazione presente tra gli anziani. Ovvero se
prevale un’attivazione più di carattere “consumistico”, legata soprattutto a
momenti di svago, alla fruizione di servizi e beni ricreativi, cioè ad un
consumo del tempo libero più o meno “passivo”; oppure, invece, se è presente
anche un’attivazione più autentica, più significativa, caratterizzata, per fare un
esempio, dalla produzione e dalla fornitura di sostegno, di aiuto, di servizi, di
cura agli altri (parenti, coetanei, vicini, giovani), di partecipazione alla vita
della società. Un’attivazione, la seconda, che è al contempo intergenerazionale,
extra-associativa ed inter-associativa.
Ciò ha comportato degli interrogativi sull’associazionismo degli anziani e
per gli anziani. Ci siamo chiesti, cioè, quali bisogni ruolo esso esprima, quale
funzione esso svolga, quale sia il senso di questo associazionismo, quali i
rapporti con l’ente locale, con il resto dell’associazionismo e con la società
locale.
Abbiamo voluto capire, quindi, che tipo di tempo è quello trascorso dagli
anziani nell’associazionismo: se è meramente un tempo libero di svago, un
tempo in qualche modo “vuoto”, o se, invece, è un tempo attivo, un tempo di
crescita umana. Ciò ha implicato verificare se l’associazionismo presente nelle
realtà studiate sia caratterizzato più da attività ricreative, di svago, o più da
attività di impegno, di servizio, di lavoro sociale attivo.
Terzo, analizzare alcuni aspetti specifici della condizione personale e
sociale degli anziani, in particolare il lavoro e i rapporti uomo/donna.
Attraverso la prima dimensione abbiamo voluto esaminare quale posto occupa
il lavoro nel quadro d’insieme della vita e delle attività degli anziani; con la
seconda abbiamo voluto analizzare le difficoltà di socializzazione delle donne
anziane e le relazioni tra uomini e donne.
2. Un quadro sintetico delle tendenze e dei problemi di fondo
Un complesso di processi sociali generali caratterizzanti la società di oggi e
un insieme di fenomeni specifici riguardanti gli anziani costituiscono la cornice
e lo sfondo di questa ricerca. Questa non è la sede in cui affrontare in maniera
sistematica questo complesso di elementi, e tuttavia ci sembra necessario
soffermarci seppur in breve su alcuni di essi: a) le dinamiche demografiche
nazionali, in rapporto a quelle globali; b) il concetto e le politiche di
8
invecchiamento attivo, di cui da alcuni anni si discute a livello nazionale ed
internazionale; c) l’attività lavorativa degli anziani, in Italia e in Europa.
a) Per quanto concerne la struttura della popolazione, l’Italia, come noto, è
un paese caratterizzato da un peso rilevante, e in crescita, della componente
anziana. Nel 2001 il 24.5% della popolazione italiana era costituito da
ultrasessantenni, e ciò collocava l’Italia al primo posto nel mondo come peso
percentuale di questa fascia d’età sull’intera popolazione nazionale1; le
previsioni dell’Onu stimano che nel 2025 questa percentuale salirà al 34%
(soltanto dopo il Giappone, al 35.1%)2.
L’invecchiamento della popolazione italiana non è un fenomeno
eminentemente nostrano né tanto meno estemporaneo, ma si iscrive all’interno
della transizione demografica mondiale. Essa consiste nel passaggio da un
regime di alta mortalità e alta fertilità ad un regime di bassa mortalità e bassa
fertilità, che ha interessato l’intera popolazione mondiale nel corso del XX°
secolo – anche se in maniera più forte negli ultimi decenni. La transizione a
questo nuovo regime demografico è alla base di alcune trasformazioni (la
crescita repentina della popolazione mondiale, il rallentamento successivo di
questa crescita, i cambiamenti nella distribuzione delle fasce d’età in rapporto
alla crescita e al rallentamento della crescita della popolazione) che si sono
prodotte, in maniera differenziata, nella struttura della popolazione del
pianeta3. In particolare, essa è all’origine dell’invecchiamento, più accentuato
nei paesi occidentali, dell’intera popolazione mondiale. Insieme alla crescita
complessiva della popolazione mondiale, negli ultimi decenni si è verificato,
infatti, un incremento della proporzione degli anziani sull’intera popolazione
mondiale, specialmente nei paesi occidentali. Secondo le previsioni dell’Onu,
nel 2025 gli ultrasessantenni nel mondo saranno un miliardo e 200 milioni, e
due miliardi nel 2050 – di cui l’80% concentrato nei paesi industrializzati.
Attualmente circa il 70% degli ultrasessantenni dell’intera popolazione
mondiale vive nei paesi occidentali, ma anche nei paesi del Sud e dell’Est del
mondo è in corso un rapido invecchiamento della struttura della popolazione,
aggravato dall’emigrazione dei più giovani.
1
Prima del Giappone (24.3%) e della Germania (24%). Numericamente, invece, i paesi
con il più alto numero di anziani (over 60) sono la Cina (con 134.2 milioni), l’India (81
milioni) e gli Usa (46.9 milioni). Cfr. United Nations, World Population Prospects.
The 2000 Revision, New York, 2001.
2
Ib.
3
Riprendiamo, da qui in poi, gli ultimi risultati emersi dalle stime dell’Onu. Cfr.
United Nations Population Division, World Population Prospects: The 2006 Revision.
Population Ageing, New York, 2007.
9
L’Italia rientra nel gruppo di quei paesi che si trovano in una fase
caratterizzata, dal punto di vista demografico, dall’accentuazione sia
dell’aumento della longevità sia del calo della fertilità; la combinazione tra
questi due elementi ha accresciuto e moltiplicato il processo di invecchiamento
già in atto da alcuni decenni4. Nel 2005 la popolazione dei paesi
industrializzati5 aveva una media d’età superiore ai 34 anni, e dodici paesi di
questo gruppo (compresa l’Italia) avevano una età media superiore ai 40 anni6;
l’America Latina, invece, aveva una media d’età di 26 anni, l’Africa di 19
anni.
L’invecchiamento ha cambiato la struttura della popolazione europea. Il
numero degli ultrasessantenni ha superato quello dei giovani sotto i 15 anni;
nel 2005 gli anziani erano circa 227 milioni (nel 1950 erano circa 60 milioni),
mentre i giovani erano poco meno di 100 milioni (nel 1960 erano 140 milioni).
Si può osservare nitidamente questo cambiamento nella distribuzione per fasce
d’età registrato nel 2005, la cui struttura non richiama più una forma
piramidale ma una forma cilindrica: 0-14 anni, 15.9%; 15-59 anni, 63.5%;
over60, 20.6%; over80, 3.5%. Per il 2050 le proiezioni demografiche delineano
una contrazione della fascia degli adulti e un deciso incremento della fascia
degli anziani e dei grandi anziani: 0-14 anni, 14.6%; 15-59 anni, 50.9%;
over60, 34.5%, over80, 9.6%. All’interno di questo fenomeno, che vede la
riduzione della popolazione in età da lavoro e l’invecchiamento della stessa
popolazione anziana, con la conseguente espansione del numero dei grandi
anziani, si è verificata una femminilizzazione della componente anziana: nel
2005 in Europa le donne costituivano il 59.3% degli over60 e il 70% degli
over80.
Guardando più da vicino la struttura della popolazione italiana, osserviamo
che nel corso del tempo essa ha subìto dei cambiamenti molto significativi. Se
alla fine dell’Ottocento gli over60 costituivano circa il 9% della popolazione,
nel 1921 essi erano passati al 10.5%, nel 1951 al 12.2%, nel 1981 al 17.4%7 e
4
Il perdurante declino della fertilità comporta, non solo la diminuzione del numero
delle nascite e il decremento proporzionale dei bambini, ma anche la diminuzione del
peso delle fasce d’età composte dai giovani e dai giovani-adulti. Allo stesso tempo
l’aumento della longevità accelera la crescita della proporzione delle persone anziane
in maniera maggiore rispetto ai giovani e agli adulti.
5
Compresa l’Albania, l’Irlanda, la Moldavia.
6
Nel 2005 la popolazione europea aveva una età media di 39 anni, il Nord America di
36 anni. Nel 2001, nove dei dieci paesi con più di dieci milioni di abitanti con la più
alta percentuale di anziani erano in Europa. Cfr. United Nations, World Population
Prospects. The 2000 Revision, op. cit.
7
Istat, Sommario di statistiche storiche, Istat, Roma, 1986.
10
nel 2001 al 22.2%8; a ciò è corrisposto il passaggio da un rapporto di 9,28 attivi
per ciascun over60 nel 1861 a 2,8 attivi nel 1971. Anche altri elementi mettono
in luce l’invecchiamento della popolazione italiana verificatosi negli ultimi
decenni: la crescita dell’indice di vecchiaia9 (dal 38.9 del 1961 al 141.5 del
200610) e dell’indice di dipendenza strutturale11 (dal 19.7 del 1951 al 51.1 del
200512). Come si vede, l’invecchiamento della popolazione italiana13 è una
tendenza che ha radici lontane, ma che negli ultimi vent’anni ha subìto una
particolare accelerazione. L’esito di questa tendenza che oggi si presenta di
fronte a noi è il ribaltamento della tradizionale figura piramidale usata per
rappresentare la struttura della popolazione, struttura che all’1.1.2006 risultava
articolata nel modo seguente: 14.1% gli under15, 66% i 15-64enni, 19.9% gli
over65 (di cui 5.3% gli over80)14. Non si tratta ovviamente di un processo
solamente biologico, ma anche e soprattutto sociale, che è avvenuto in
concomitanza con la frammentazione dei nuclei familiari e la pluralizzazione
delle forme famigliari, la destrutturazione dello stato sociale e la crescente
polarizzazione della società, il peggioramento delle condizioni di vita di una
larga fetta della popolazione e la marginalizzazione degli anziani dalla società.
Oggi, in effetti, assistiamo ad un peggioramento delle condizioni di vita
materiale di molti anziani. Degli oltre 16 milioni di pensionati italiani, circa un
terzo riceve una pensione che va dai 500 ai 1000 euro; un quarto percepisce
meno di 500 euro, un altro quarto riceve tra i 1000 e i 1.500 euro, il resto
supera i 1.500 euro mensili. Il quadro è ancora più preoccupante se si tiene in
considerazione che un certo numero di famiglie con un anziano hanno
8
Per questo dato e per i dati seguenti si veda Censis, Indagine nazionale, Roma, 1984.
9
Il rapporto tra la popolazione over65 e la popolazione under14.
10
Istat, Annuario statistico 2007, Istat, Roma, 2007, p. 45. Si tenga presente che
l’invecchiamento in Italia non è uniforme: mentre le regioni del Sud, specie la
Campania, mantengono una componente giovanile significativa (l’indice di
invecchiamento in Campania si attesta sul 90.1), le regioni del Centro e del Nord,
invece, sono caratterizzate da un quadro piuttosto negativo (il Nord-Ovest raggiunge il
161.8).
11
Il rapporto tra la popolazione over65 e la popolazione in età 15-19 anni.
12
Istat, Situazione del paese 2006. Sintesi, Istat, Roma, 2007. L’indice di dipendenza
degli anziani, che è parte dell’indice di dipendenza strutturale, rileva una crescita
lineare dal 20% al 30% di oggi. Si aggiunga anche che l’indice di senescenza – il
rapporto tra la popolazione over80 e la popolazione compresa tra i 65-80 anni – è
passato dall’11.9% del 1951 al 22.6% del 2001.
13
Una tendenza a scala europea, seppur in maniera meno intensa.
14
Istat, Annuario statistico 2007, op. cit. Tra gli anziani la componente femminile è
maggioritaria.
11
dichiarato di non aver denaro sufficiente per le spese mediche15. Per non
parlare della non autosufficienza, che interessa quasi tre milioni di persone ed è
quasi interamente a carico delle famiglie, in un momento in cui le pensioni
hanno perso in un decennio il 30% del loro potere d’acquisto. E’ difficile
pensare all’invecchiamento attivo (tema sviluppato nel prossimo punto),
all’anziano come soggetto attivo fornitore di aiuto, di sostegno e di educazione,
se si ha di fronte un anziano che è crescentemente preoccupato della propria
stessa sopravvivenza.
b) Da almeno una decina d’anni, diversi soggetti, tra cui importanti
organizzazioni internazionali come l’Organizzazione mondiale della sanità,
hanno sviluppato una riflessione complessiva sul concetto e sulle politiche di
“invecchiamento attivo”. L’Oms è giunta a definire l’invecchiamento attivo
come un processo di valorizzazione delle opportunità di salute, partecipazione
e sicurezza, atte a migliorare la qualità della vita degli anziani16. Secondo
l’Oms, questo approccio consente la realizzazione di quelle potenzialità
funzionali al raggiungimento o al mantenimento del benessere fisico, sociale e
mentale, durante il corso di vita; in particolare esso sostiene la partecipazione
degli anziani alla vita della società, secondo i propri bisogni, desideri e
capacità. In questo senso il termine “attivo” non si riferisce alla sola capacità di
essere fisicamente attivi o di partecipare al mercato del lavoro, ma alla
partecipazione completa alla vita sociale, culturale e civile. Il concetto di
invecchiamento attivo supera, quindi, quello di “invecchiamento sano”, poiché
attraverso di esso vengono riconosciuti i diversi fattori che, oltre allo stato di
salute, coinvolgono e interessano la vita degli anziani. Esso abbandona un
approccio di carattere assistenziale basato sui bisogni, che assumeva e
rappresentava l’anziano come un soggetto passivo, destinatario privilegiato di
interventi istituzionali; e ne sposa uno, invece, di tipo emancipatorio, che
guarda con attenzione all’uguaglianza delle opportunità e di trattamento in tutti
gli aspetti della vita sociale.
Sulla base di questi assunti, l’obiettivo fondamentale di nuove politiche
sociali dovrebbe essere il mantenimento dell’autonomia e dell’indipendenza,
da perseguire anche attraverso l’integrazione dei concetti di interdipendenza e
15
Ageing Society – Osservatorio sulla Terza Età, Rapporto nazionale 2007 sulla
condizione e il pensiero degli anziani, Noema Edizioni, Verona, 2007.
16
Who, Active Ageing: A Policy Framework, Geneva, 2002. Il concetto di
invecchiamento attivo si basa sul riconoscimento della risoluzione dell’Onu n. 46 del
1991, “Principi delle Nazioni Unite per le Persone Anziane”, secondo la quale a tutte le
persone anziane devono essere garantite indipendenza, partecipazione, cura,
autorealizzazione, dignità.
12
di solidarietà intergenerazionale. L’Oms sottolinea che il mantenimento di un
buon stato di salute, prevenendo o ritardando i disturbi e le malattie legati
all’invecchiamento, può anche far diminuire i costi umani, sociali ed
economici gravanti oggi sui singoli, sulle famiglie e sui sistemi sanitari. E
sollecita l’adozione di politiche e programmi nel campo del lavoro, della
formazione, della sanità, che facciano proprio l’approccio dell’invecchiamento
attivo, affinché si producano delle ricadute positive, quali: la diminuzione delle
disabilità associate alle malattie croniche dell’età anziana; l’aumento del
numero delle persone che godono di una buona qualità della vita
nell’invecchiamento; l’aumento del numero di anziani che partecipano
attivamente ai diversi aspetti della vita della società; la diminuzione delle spese
per cure sostenute dalle famiglie e dai sistemi sanitari.
L’Oms considera tutti gli anziani una risorsa fondamentale per le famiglie,
le comunità e le economie, poiché possono collaborare attivamente con i
familiari, con i coetanei, nel quartiere, nel paese. Tuttavia ritiene necessaria
una risposta istituzionale e sociale più forte alla crescente domanda di
riconoscimento del contributo attivo, produttivo, portato dagli anziani nel
lavoro formale e informale, nelle attività domestiche e nel volontariato.
Consiglia, quindi, che le politiche e i programmi di invecchiamento attivo
incoraggino la responsabilità personale e l’auto-attivazione, riconoscano il
contributo dato dagli anziani nel presente, considerino che l’apprendimento e
la formazione proseguono anche nell’età anziana, prevedano la realizzazione di
contesti di vita accoglienti, non discriminanti e non ostacolanti17. Per questo
ultimo aspetto, ad esempio, l’Oms sollecita la trasformazione e l’adeguamento
17
Passando dagli aspetti di principio alle proposte operative, l’Oms individua tre aree
principali sulle quali dovrebbero basarsi le politiche di invecchiamento attivo: la salute,
la partecipazione, la sicurezza. Relativamente alla partecipazione, vengono individuate
in particolare tre linee d’azione: l’offerta di istruzione e formazione attraverso tutto il
corso di vita, in una ottica di life-long learning; il riconoscimento e il potenziamento
della partecipazione attiva della popolazione anziana nello sviluppo di attività
economiche (formali, informali, di volontariato) in base ai propri bisogni, preferenze e
capacità; l’incoraggiamento della piena partecipazione alla vita della comunità. In
riferimento alla seconda linea d’azione, vengono individuati degli interventi specifici:
l’inclusione degli anziani nella pianificazione, implementazione e valutazione delle
iniziative di sviluppo sociale e nei programmi di riduzione della povertà; la non
penalizzazione degli anziani nell’accesso a fondi, finanziamenti, crediti, previsti da
programmi e progetti di sviluppo; politiche del lavoro che rinforzino la partecipazione
degli anziani al mercato del lavoro, rispettando le loro capacità, preferenze ed
esigenze; il riconoscimento e il supporto del lavoro informale nella famiglia e nella
comunità; il riconoscimento del valore delle attività di volontariato e l’espansione delle
opportunità di partecipazione ad esso.
13
delle città, i cui luoghi, servizi, politiche, infrastrutture, dovrebbero supportare
e facilitare l’invecchiamento attivo attraverso alcune azioni, quali il
riconoscimento delle capacità e delle risorse presenti tra gli anziani, risposte
flessibili alle loro esigenze, il rispetto delle loro scelte e modi di vita, la
promozione della loro inclusione e del loro contributo nella vita sociale18.
L’Oms presenta delle buone ragioni economiche per la diffusione di questo
approccio: l’impegno profuso dagli anziani nel lavoro di cura e nelle attività
domestiche costituisce una voce importante della vita economica e dello stesso
prodotto interno lordo degli stati; l’allungamento della vita lavorativa, favorito
dal mantenimento di uno stato di buona salute, consente un minor carico sulla
spesa previdenziale; il mantenimento di un buon stato di salute comporta una
riduzione della spesa sanitaria.
Sul piano delle politiche e dei processi culturali, infine, l’Oms sollecita la
diffusione di un nuovo paradigma, in cui l’idea e l’immagine dell’anzianità non
siano più associate al pensionamento (in senso di “ritiro”), alla malattia e alla
dipendenza, ma piuttosto all’autonomia, al contributo attivo allo sviluppo.
Il dibattito sull’invecchiamento attivo, riportato qui in maniera molto
sintetica, e condiviso da diversi soggetti collettivi e da numerose
organizzazioni internazionali, è importante, utile e condivisibile. Tuttavia in
esso si possono individuare dei punti critici, alcuni di carattere teorico e altri
legati ad un piano più operativo, alcuni interni alla logica adottata e altri legati
ai processi sociali generali. Andando con ordine, ci soffermiamo su tre punti: il
tema salute/malattia; la direzione generale di sviluppo della società
contemporanea; l’idea dell’anziano come risorsa.
Per quanto riguarda il primo punto, nonostante si sottolinei l’importanza del
prendere in considerazione tutti gli aspetti della vita degli anziani, viene
rimesso al centro della loro vita il fattore salute/malattia, riproducendo in parte
quella immagine stereotipata che si intendeva contrastare.
Relativamente al secondo punto, queste proposte non tengono conto né, in
particolare, dei processi di pauperizzazione, di polarizzazione sociale, di
destrutturazione e privatizzazione del welfare, né, in generale, di una serie di
dinamiche sociali, economiche e politiche che vanno sostanzialmente in una
direzione opposta a quanto proposto nei documenti dell’Oms e che possono
essere riassunte sotto la voce “politiche neo-liberiste”. In particolare non è
chiaro se le proposte sopraindicate contengano e costituiscano una forma di
critica e di contrasto al pensiero e alle politiche neo-liberiste, oppure se esse
18
Who, Global Age-friendly Cities: a Guide, Geneva, 2007. Questa attenzione
dovrebbe essere particolarmente forte nel campo degli alloggi, dei trasporti e
dell’informazione.
14
rappresentino una modalità tecnica funzionale, di adattamento organico, agli
indirizzi dominanti. In questo secondo caso, appare francamente molto difficile
la loro effettiva traduzione in pratica.
Per quanto concerne il terzo punto, gli anziani sono considerati una
“risorsa”, ma in una accezione ben precisa e alquanto ristretta: risorsa
economica, ammortizzatore sociale. In un periodo come quello attuale,
caratterizzato da una nuova regolazione dei rapporti di produzione all’insegna
dell’accentuazione della intensità e precarietà del lavoro, da tagli generalizzati
del welfare e dall’inasprirsi della situazione economica, la popolazione anziana
viene individuata come una utile, utilissima fonte di una mole enorme di lavoro
produttivo e riproduttivo, sottopagato, gratuito, complementare e/o sostitutivo,
funzionale agli interessi e ai meccanismi della fase storica attuale (nella quale
il lavoro informale e l’economia sommersa sono in espansione). Alcuni esempi
possono mettere in luce certe ambiguità presenti nel discorso
sull’invecchiamento attivo: l’affermazione secondo la quale l’invecchiamento
attivo favorisce la riduzione delle spese sanitarie va a braccetto con il pensiero
e le politiche neo-liberiste, che sostengono l’abbattimento dei sistemi di
protezione sociale; il suggerimento di politiche del lavoro e della formazione
incentivanti l’invecchiamento attivo non tiene conto delle reali dinamiche
presenti nel mercato del lavoro, in particolar modo di quelle relative alla
gestione del personale e alle nuove forme di organizzazione del lavoro
(dinamiche che tendono ad espellere dai luoghi di lavoro anche gente di mezza
età perché non adeguatamente produttiva); la proposta di allungamento della
vita lavorativa ha dei limiti se non si prendono in considerazione i tempi di
lavoro e le condizioni di lavoro di oggi.
In conclusione, l’invecchiamento attivo, così come viene proposto dalla
comunità internazionale, appare una buona proposta, ma spesso solo sulla
carta, perché risulta realmente praticabile solo da pochi; non solo nei paesi del
Sud del mondo, ma anche nello stesso Occidente. I processi di privatizzazione
e di liberalizzazione, con il loro portato nei diversi ambiti della vita sociale
degli stessi anziani (dalle dinamiche urbanistiche al mercato degli alloggi, dal
caro vita all’accentuazione delle disuguaglianze sociali, e così via), le
dinamiche di inclusione ultra-selettiva che contraddistinguono l’epoca attuale,
sembrano andare nella direzione opposta rispetto agli indirizzi suggeriti in
precedenza. Ecco perché questa concezione di invecchiamento attivo, se non
vuole essere la proposta di una nuova collocazione sociale degli anziani
all’insegna dell’adattamento alle politiche neo-liberiste, dovrebbe estendere il
proprio significato, includendo la possibilità, e la necessità, che gli anziani
continuino a mantenere una posizione e un ruolo attivo di resistenza a tutti i
15
fattori che tendono a rendere più difficile la loro esistenza, un ruolo di
cambiamento, in senso pieno, anche dopo il pensionamento.
Passando al contesto italiano e alle politiche sociali, Massimo Paci auspica
forme di invecchiamento attivo realizzabili con il passaggio da un welfare
nazionale basato sui trasferimenti a un welfare locale dei servizi che potrebbe
«tradursi in una importante occasione di crescita dell’occupazione. E di ciò
potrebbero trarre vantaggio in parte gli stessi lavoratori più avanti nell’età,
molti dei quali oggi dimostrano di avere le competenze necessarie per svolgere
attività di volontariato o di impegno civile (…) in sostanza dobbiamo abituarci
a guardare l’invecchiamento della popolazione come ad una risorsa»19.
L’autore auspica anche un incremento del tasso di attività lavorativa degli
anziani, che necessita però di un innalzamento della scolarità, essendo la
partecipazione al mercato del lavoro legata sempre più ad una scolarità di
livello medio-alto. Tutto ciò è condivisile, con l’aggiunta, però, che per un
invecchiamento attivo e un innalzamento dell’attività tra gli anziani vanno
presi in considerazione anche i caratteri fondamentali delle forme attuali di
organizzazione e divisione del lavoro, così come il peggioramento delle
condizioni generali di lavoro tra le quali ha un posto particolare la progressiva
de-qualificazione dei lavoratori.
In questi ultimi anni, rispetto alle tradizionali politiche sociali per gli
anziani sono stati compiuti dei passi in avanti. Si sta progressivamente
passando da politiche basate sull’idea dell’anziano passivo, malato, soggetto
debole, a politiche centrate sull’idea dell’anziano come soggetto attivo, come
figura capace, come risorsa per la comunità. Tuttavia in queste nuove
politiche permane un limite, che consiste nel mancato collegamento tra la
condizione dell’anziano e il funzionamento complessivo del sistema sociale e
dei rapporti sociali. Se prendiamo in considerazione, ad esempio, i progetti per
un invecchiamento attivo, a volte è stato osservato, da chi li ha realizzati, lo
scarso coinvolgimento delle donne anziane che sono risultate “isolate in casa”
o “poco partecipative”; ebbene non può non essere così se chi ha ideato il
progetto non ha preso in considerazione le condizioni materiali cui sono
sottoposte molte donne, cariche come sono di lavoro domestico e di cura e
povere di tempo libero. Non può non essere così se chi ha progettato non ha
fatto i conti con gli assetti e le dinamiche della società di oggi, in cui gli
anziani vengono resi fragili, passivi, da circostanze economiche e politiche di
ordine generale e sistemico. Gli anziani costituiscono certamente una
componente sociale differenziata, multiforme, plurale; tuttavia, nel loro
19
Paci M., La formazione permanente e la vita che si prolunga, in Vicarelli G. (a cura
di), Il malessere del Welfare, Liguori, Napoli, 2005, pp. 41-50 (p. 43).
16
insieme, vivono, patiscono una condizione di isolamento, di svalorizzazione.
Questo è un punto cruciale da tenere in considerazione nella programmazione
delle politiche sociali.
c) Quanto all’attività lavorativa degli anziani, l’incremento della
componente anziana all’interno della popolazione totale ha avuto luogo proprio
mentre per i lavoratori più anziani si riducevano le opportunità occupazionali.
Studi recenti20 hanno osservato che in Europa, specie in Italia, l’allungamento
della vita media e la crescita delle aspettative di vita degli anziani sono andate
di pari passo con l’abbassamento dell’età di uscita effettiva dal lavoro; in
particolare c’è stato un decremento della popolazione attiva nelle classi di età
più anziane parallelamente all’invecchiamento della popolazione. Questo
abbassamento dell’età dell’uscita effettiva dal lavoro, che ieri interessava quasi
esclusivamente i lavoratori più anziani, da alcuni anni coinvolge direttamente o
indirettamente anche un certo numero di cinquantenni sostanzialmente
incamminati sulla strada finale della propria carriera lavorativa (almeno di
quella “ufficiale”). Nel passato recente i governi hanno affrontato tale
situazione innalzando l’età pensionabile, ma con risultati non sempre positivi,
se non scarsi, perché le aziende, continuando sulla strada dell’uscita lavorativa
precoce, hanno creato un numero ingente di persone senza lavoro benché
ancora prive dei requisiti per accedere alla pensione21. Ciò è potuto avvenire
attraverso una nuova regolazione del mercato del lavoro tutta all’insegna della
precarietà e una destrutturazione del percorso lavoro-pensione, processi
sostenuti da politiche di “accompagnamento” alla disoccupazione e
all’espulsione dal mercato del lavoro quali il ricorso massiccio ai pre-
pensionamenti, alle pensioni di invalidità e a varie forme di protezione
sociale22. Se oggi le politiche sociali (a livello internazionale, europeo,
nazionale, regionale) si richiamano frequentemente al concetto di
invecchiamento attivo, sul terreno delle imprese, invece, le cose stanno
diversamente; molto spesso, infatti, nelle riorganizzazioni industriali queste
20
Riprendiamo qui le osservazioni contenute in Morlicchio E. – Pirone F., Lavoro e
cittadinanza attiva per gli anziani a Torino, “ICT & Society Occasional Papers”, 4,
2006; Geroldi G., Lavorare da anziani e da pensionati, FrancoAngeli, Milano, 2000.
21
Su questo fenomeno si veda Paci M., Disuguaglianza di reddito e intervento dello
stato, “Assistenza Sociale”, 2, 1996, pp. 53-60; De Leonardis O., Il welfare mix e
l’eredità difficile del welfare state, “Assistenza Sociale”, 1, 1996, pp. 35-50; in
particolare Guillemard A.M., Lavoro, sicurezza sociale e ciclo di vita, “Assistenza
Sociale”, 4, 1996, pp. 33-56.
22
L’Italia si contraddistingue per il forte “abbandono”, come si usa dire, del lavoro da
parte dei lavoratori compresi tra i 55-64 anni, specie per quanto riguarda la
componente femminile. Cfr. Morlicchio E. – Pirone F., op. cit., p. 14.
17
ultime sono innanzitutto interessate a lasciare a casa i lavoratori più anziani, e
in un arco di tempo abbastanza ristretto, perché considerano (e molto spesso è
così) che sui lavoratori più giovani potranno esercitare una pressione alla
produttività maggiore. Comunemente ricorrono ai pre-pensionamenti, ma
questo è in contraddizione con l’idea del prolungamento della vita attiva. Oggi
accade sempre più spesso che una parte dei lavoratori più anziani siano
costretti a ritirarsi dal lavoro in condizioni finanziarie sfavorevoli (cosa che
non favorisce di certo un invecchiamento sereno e attivo) e poi debbano ri-
occuparsi in condizioni peggiori in attività lavorative irregolari, al nero. Ecco
come paradossalmente sulla nozione di invecchiamento attivo si allunga
un’ombra, quella dell’utilizzo di forza-lavoro anziana a buon mercato.
Questi processi, particolarmente pesanti nei momenti recessivi e nelle fasi
di ristrutturazione, hanno mortificato materialmente e spiritualmente per primi
i lavoratori più anziani e gli anziani giovani, determinandone l’uscita precoce
dall’occupazione e aumentandone l’insicurezza esistenziale. Nelle
rappresentazioni “pubbliche” si attua spesso un ribaltamento del rapporto tra
causa ed effetto23, sì che gli anziani appaiono come un peso (non a caso è in
questo settore di studi e intervento sociale che domina la nozione falsamente
neutrale di “indice di dipendenza”…). Un peso sociale, sanitario,
previdenziale, famigliare. Un peso no solo sul presente, ma anche sul futuro
della società. Un peso di cui sono responsabili gli anziani stessi in quanto tali.
In questo senso l’ageism finisce con l’essere, paradossalmente, l’apparato
ideologico che sostiene e giustifica una declassificazione sociale degli
individui basata sull’età, che ha fatto e fa da motore – a seconda delle
congiunture – alla mobilizzazione o alla marginalizzazione di forza lavoro
anziana; una discriminazione sociale che va di pari passo con altre forme di
disuguaglianza basata sulla ricchezza e la classe sociale, sulla razza e sulla
provenienza nazionale, sul genere24.
La destrutturazione dei rapporti di lavoro, la frammentazione del percorso
lavoro-pensione e l’amputazione del welfare sono processi che insieme
influiscono pesantemente sull’intero ciclo della vita, specie sulla terza e sulla
quarta età. Le situazioni specifiche, locali, individuali, possono assumere
23
Negli ultimissimi anni è aumentata l’occupazione nelle fasce d’età più anziane, a
causa di ragioni demografiche e per la presenza di meccanismi restrittivi nell’accesso
alla pensione; tuttavia non c’è stato un cambiamento di direzione rispetto alla
marginalizzazione dei lavoratori più anziani.
24
Graebner W., Il pensionamento e le origini della discriminazione in base all’età, in
Giori D. (a cura di), Vecchiaia e società, Il Mulino, Bologna, 1984, pp. 47-87;
Townsend P., La dipendenza strutturata degli anziani: creazione della politica sociale
nel XX secolo, in Giori D. (a cura di), op. cit, pp. 117-141.
18
diverse caratteristiche a seconda dei vari contesti; tuttavia si può individuare
come costante la maggiore penalizzazione subìta dalle donne, essendo esse
maggiormente discriminate e segregate degli uomini nel mercato del lavoro
“ordinario”, e persistendo una distribuzione diseguale del lavoro riproduttivo,
domestico, di cura. Il tempo della vecchiaia per gli uomini e per le donne è
differenziato, e segue le linee della divisione sessuale del lavoro e della
distribuzione ineguale dei carichi di lavoro. Più ozioso e “libero” per gli uni,
più faticoso e “occupato” per le altre – le quali hanno sulle spalle molte volte
anche le famiglie dei figli e/o i vecchi genitori.
3. La prospettiva di analisi
Rispetto alla multiforme tematica della condizione degli anziani, questa
ricerca ha adottato uno specifico punto di vista. Essa non si è focalizzata, come
avviene di solito, sulla salute, sulla sofferenza, sulle malattie degli anziani. E
non si è nemmeno concentrata sull’aspetto della memoria, sull’anziano come
memoria vivente. Questo perché gli anziani non sono solo malattia, né sono
solo memoria.
E’ vero che l’invecchiamento comporta, per ragioni biologiche, un
peggioramento dello stato di salute delle persone (anche se non in maniera
uniforme poiché la classe sociale, l’istruzione e altri fattori differenziano lo
stato di salute e di malattia), ma gli anziani restano comunque dei soggetti vivi
coinvolti nella vita sociale quotidiana. Sono avviati verso la fine della loro vita
lavorativa, ma non per questo la loro vita è già finita. L’anzianità è una fase
della vita da vivere nella sua pienezza – ovviamente in rapporto alle condizioni
in cui ci si trova; è un periodo della vita durante il quale si può verificare una
ulteriore crescita dell’essere umano.
E’ vero che la memoria individuale è un importante strumento di
ricostruzione della memoria collettiva e di orientamento nel mondo, ma gli
anziani non guardano soltanto all’indietro: sono anche portatori di una propria
soggettività, di un proprio punto di vista sul mondo e possono costituire una
presenza non necessariamente ed esclusivamente tradizionalista.
Con l’adozione di questo punto di vista ci siamo concentrati sul ruolo
sociale e sul posto degli anziani in alcuni territori della provincia veneziana,
sulle loro condizioni di esistenza e sulle loro relazioni sociali. Non abbiamo
quindi considerato gli anziani come un mondo a sé, come una componente
sociale “staccata” dal resto della società solo perché fuoriusciti dal mercato del
lavoro. E nel tentativo di esplorare con questa attitudine la loro condizione,
abbiamo utilizzato questo punto di osservazione per analizzare le
19
trasformazioni sociali in corso, ed in particolare i processi di inclusione ed
esclusione, le dinamiche di passivizzazione e di frammentazione, le forme di
resistenza e di difesa sociale.
Come detto all’inizio, la ricerca si è concentrata soprattutto sul ruolo attivo,
sull’auto-attivazione degli anziani; e in rapporto a questo aspetto si è
soffermata in particolare sull’associazionismo e l’attività lavorativa. Di
conseguenza ci siamo occupati quasi esclusivamente degli anziani auto-
sufficienti, pur sapendo che la non-autosufficienza è una realtà rilevante e, allo
stesso tempo, non corrisponde alla completa e totale passività.
4. Il disegno della ricerca
Da queste premesse si è sviluppata la ricerca empirica, che si è articolata in
più fasi. Nella prima fase, di carattere preparatorio, è stata analizzata la
morfologia economico-sociale dei contesti indagati sì da ricostruire una prima
rappresentazione del territorio, anche attraverso la recente storia sociale dei
contesti di indagine, puntando ad evidenziarne i mutamenti di maggior rilievo
avvenuti negli ultimi decenni. Per far ciò sono stati raccolti ed elaborati dati di
primo livello (dati forniti dalle amministrazioni comunali e provinciali
provenienti dai settori competenti, dati dell’Istat) e sono stati utilizzati dati
secondari (elaborazioni prodotte da enti territoriali di livello provinciale o
regionale), così come ricerche e documentazione scientifica sul contesto e
pubblicazioni a carattere locale.
Nella seconda fase della ricerca è stato preso in esame il posto e la
condizione generale degli anziani nei territori oggetto d’indagine mediante la
raccolta e l’elaborazione delle informazioni principali sulla popolazione locale
e sulla componente anziana; l’esame delle politiche sociali locali nei confronti
degli anziani; la realizzazione di 25 interviste a figure significative (assessori
alle politiche sociali, assistenti sociali, sindacalisti, parroci, rappresentanti di
associazioni, dirigenti scolastici, medici di base, dirigenti di strutture sanitarie
locali). Sono state raccolte ed elaborate informazioni di primo livello (dati
statistici forniti dalle amministrazioni comunali, delibere e bilanci comunali,
progetti e linee di intervento locale) e di secondo livello (ricerche,
pubblicazioni, materiale documentario, letteratura grigia).
Nella terza fase, infine, sono stati presi in esame alcuni aspetti specifici
della condizione personale e sociale dell’anziano: l’attività lavorativa, i
rapporti tra i generi, il ruolo e le forme dell’associazionismo. Per far ciò sono
state condotte 7 interviste di gruppo con rappresentanti di associazioni o con
anziani frequentanti i centri anziani, 12 interviste individuali a uomini e donne
20
frequentanti e non frequentanti i circoli anziani. La realizzazione delle
interviste individuali ha incontrato alcune difficoltà, dovute ad una certa
diffidenza presente tra gli anziani, che ha generato dei rifiuti nel concedere
l’intervista oppure un atteggiamento abbottonato.
21
22
2. Età anziana e politiche sociali, con particolare
attenzione al Veneto
1. Verso una nuova cultura dell’anziano
Occuparsi oggi dell’età anziana significa fare i conti innanzitutto con due
elementi oggettivi, tra i molteplici esistenti: da un lato la transizione
demografica in atto (di cui abbiamo parlato, in modo sintetico, nel cap. 1),
dall’altro i cambiamenti degli scenari famigliari. Per quanto riguarda questo
secondo aspetto, il passaggio da una famiglia patriarcale a nuclei familiari più
ristretti, caratterizzati da maggiore autonomia rispetto ai legami parentali ed
affettivi, ha privato gli anziani di quella posizione centrale in cui erano prima
collocati e che consentiva loro di esercitare un ruolo di primo piano quanto
meno nella sfera “privata”. A modificare la vita degli anziani hanno concorso,
naturalmente, anche altri fattori alla base del cambiamento delle strutture
familiari, tra cui la natura diversa delle abitazioni, il mutare delle possibilità e
delle condizioni lavorative, l’entrata sempre più consistente delle donne nel
mercato del lavoro.
Per delineare un ritratto realistico degli anziani è necessario abbandonare
due facili e radicati stereotipi: da una parte l’immagine dell’anziano come
semplice consumatore di risorse, destinatario passivo di interventi istituzionali,
un “vecchio” che chiede e riceve molto di più di quello che restituisce;
dall’altra parte l’immagine dell’anziano come “persona di una certa età, piena
di acciacchi e con un carattere non sempre facile da trattare”. Relativamente al
primo stereotipo, dobbiamo considerare che il termine “anziano” si riferisce
per lo più a persone autosufficienti, attive, con voglia di partecipare alla vita
della società e della propria comunità, nelle loro varie dimensioni. Ad esempio,
un recente rapporto del Censis sulla condizione della terza età in Italia, volto ad
analizzare l’uso che gli anziani fanno del loro tempo, delinea, forse con
qualche esagerazione eccessivamente rosea, il ritratto di «un anziano che
dedica la sua giornata alla cura della persona, segue i media, legge i libri ed usa
23
con relativa disinvoltura anche la tecnologia telematica»25. Per quanto riguarda
il Veneto, altro esempio, un’indagine regionale svolta nel 2003 sottolinea che
all’interno della famiglia gli anziani sono spesso dei fornitori di cure, con le
donne in prima linea26. Si tratta di cure rivolte ad altri anziani (parenti o vicini)
o ai nipoti27. L’indagine evidenzia, inoltre, che se il principale ambito di
riferimento degli anziani è quello interno alla cerchia familiare, non è da
sottovalutare la loro presenza attiva, significativa, nella società locale; nei
diversi territori comunali della regione veneta è risultata rilevante, infatti, la
presenza di realtà associative con finalità ricreative, culturali, di volontariato.
Per quanto riguarda il secondo stereotipo, è necessario ricordare che gli
anziani non costituiscono un unicum. Innanzitutto essi possono essere distinti
in due gruppi principali, in quelle che possiamo identificare come “terza età” e
“quarta età”. Nel primo gruppo, parliamo di anziani tra i 60 e i 75 anni, si trova
la maggior presenza di persone ancora attive, se pur pensionate, in grado di
svolgere un ruolo nella società al di là anche della mera cerchia familiare;
verso questo gruppo devono essere concentrati i maggiori sforzi di prevenzione
perché si tratta di una fascia d’età che vive maggiormente il rischio del disagio
prodotto dai possibili effetti negativi del pensionamento, dalla maggiore
esposizione alle malattie, dall’impoverimento delle relazioni affettive causato
dalla vedovanza28, da una situazione reddituale sempre meno adeguata al
crescente costo della vita. Il secondo gruppo, comprendente gli anziani dai 75
anni in su, è composto in misura maggiore da soggetti in stato di dipendenza;
l’avanzamento dell’età comporta il dover fare i conti con un corpo che
risponde sempre meno ai compiti previsti dalla vita quotidiana, mentre
diventano più frequenti gli incontri con le strutture ospedaliere che, per alcuni,
si trasformano in luogo di transito verso una struttura residenziale con il
definitivo abbandono della propria casa. E’ un gruppo di anziani in cui le
demenze, le sindromi di allettamento e gli stati di completa dipendenza sono
frequenti; ciò richiama alla necessità di servizi attenti alle nuove necessità
sanitarie e assistenziali, senza però trascurare la giusta risposta ai bisogni
relazionali. Non si deve, ovviamente, incorrere nell’idea che tutti gli anziani
entrati nella quarta età perdano la lucidità mentale e l’autosufficienza
cognitiva, anzi; pur essendo diffusa la presenza della malattia dementigena,
25
Rapporto Censis/Salute La Repubblica 2005, L’uso del tempo della terza età,
“Inform”, 73, 13 aprile 2007. L’indagine ha previsto la somministrazione di interviste
ad un campione di 1.500 ultrasessantenni.
26
Aequinet, Primo rapporto sugli anziani, Padova, 2003.
27
In questo caso i nonni rappresentano una risorsa importante nell’organizzazione
domestica e lavorativa dei figli, senza il costo di oneri aggiuntivi.
28
Con le donne qui maggiormente protagoniste.
24
non tutti ne vengono colpiti e la dipendenza fisica non è sempre accompagnata
dalla non autosufficienza cognitiva.
Oltre alla distinzione per fascia d’età (“terza età” e “quarta età”), e oltre alla
distinzione tra anziani autosufficienti (è di costoro che ci occupiamo in questa
ricerca) e anziani non autosufficienti, si deve tener conto dell’eterogeneità
delle singole situazioni individuali determinate da diversi fattori, quali il
lavoro, il titolo di studio, le appartenenze culturali, il contesto territoriale di
residenza, le condizioni di salute, e così via. Fattori che, logicamente, si
ripercuotono sugli stili di vita, sulle caratteristiche della personalità, sugli
atteggiamenti e sui comportamenti, sui bisogni e sulle richieste.
Una importante sfida culturale, dunque, è quella di non considerare
l’invecchiamento come un mero “problema”, e questo è tanto più vero se si
considera che ormai è esperienza condivisa la conoscenza di anziani ancora
attivi, capaci di adattarsi ai cambiamenti avvenuti lungo l’arco della propria
vita. Negli ultimi decenni questa sfida è stata lanciata e raccolta anche dalla
comunità internazionale, che ha trovato una significativa sintesi con la
risoluzione n. 46 del 1991, “Principi delle Nazioni Unite per le Persone
Anziane”, secondo la quale a tutte le persone anziane devono essere garantite
indipendenza, partecipazione, cura, autorealizzazione, dignità. Già nel 1982 a
Vienna, durante l’Assemblea mondiale dell’invecchiamento, era stato
dichiarato che la vecchiaia è «necessaria per lo sviluppo pieno della personalità
e che è opportuno orientare l’educazione degli anziani verso il concetto di
creatività: un’attività creativa nella vecchiaia consente il superamento e il
compenso della decadenza conseguenti alla perdita di ruolo e al senso di
emarginazione»29. In questo senso l’età anziana, lo ripetiamo, non deve essere
guardata, attesa e vissuta come «uno spazio vuoto e triste tra l’attività e la
morte, bensì come l’ultima fase della crescita e della maturazione della
persona»30.
Il fenomeno dell’invecchiamento demografico introduce nei vari contesti
sociali problemi nuovi e va a modificare equilibri consolidati, ma è interesse di
tutti farsi contaminare da un nuovo modo di guardare e confrontarsi con l’età
anziana. Una nuova cultura dell’anziano può fare da supporto a quelle politiche
per gli anziani che li vedono protagonisti attivi nel contesto in cui vivono. I
giovani, tanto per fare un solo esempio di rilevante importanza, attraverso gli
adulti che accudiscono i loro genitori anziani possono veder esercitata la cura
29
Gruppo “Simbolum” – Cooperativa Insieme si può, L’anziano e la cultura, Ufficio
Studi Acli Treviso, Grafiche Marini, Treviso, 1987, p. 56.
30
Ivi, p. 54.
25
della riconoscenza, confrontarsi con «un modello di rapporto tra le diverse
generazioni improntato alla fiducia e alla reciprocità»31.
2. Età anziana e politiche sociali: alcune sottolineature
In questo paragrafo introduciamo alcune riflessioni sul ruolo che assumono
nell’età anziana una serie di aspetti come la fragilità, il tempo e il genere, e
quali possono essere delle politiche sociali efficaci in rapporto ad essi.
Per quanto riguarda la fragilità, questo termine viene abitualmente abbinato
ad altri descrittori della condizione degli anziani. Ma la fragilità «non è una
categoria univoca, definita attraverso un unico criterio (…), descriviamo non
già e non tanto la perdita di autonomia e di abilità di un individuo, quanto la
sua tendenza a rassegnarsi, a lasciarsi andare, a perdere reattività/resilienza di
fronte a situazioni di criticità»32. La fragilità, quindi, non deve essere confusa
con la disabilità, anche se la prima può precorrere la seconda – ed è per questa
ragione che anche da un punto di vista di politica sociale è importante rilevare
e mettere a frutto le risorse fisiche, mentali e sociali degli anziani che li
possono mantenere autonomi e socialmente inseriti. Ai fini di interventi
efficaci è importante affrontare e valutare globalmente i diversi fattori di
rischio che possono influire negativamente sulla vita degli anziani. Tra di essi è
da considerare la solitudine, determinata da un acquisito stato di
vedovanza/divorzio o dall’essere privi di una rete familiare33; così come la
mancanza di attività fisica, che può aggravare il rischio delle cadute,
aumentare l’incidenza di alcune malattie34, indebolire le capacità funzionali
dell’anziano e l’esecuzione degli atti legati alla capacità di gestire la vita
quotidiana. Anche degli spazi ambientali non adeguati possono costituire delle
potenziali occasioni di eventi negativi. Su questi aspetti dovrebbe essere
realizzata, perciò, un’attenta azione preventiva.
Parlare del tempo vuol dire affrontare il suo significato e il suo uso, ed è
importante poterlo fare partendo dal punto di vista degli anziani. Un aspetto
che certamente differenzia, pur con le dovute distinzioni, l’età anziana dalle
precedenti, è la percezione di come trascorre il tempo. In questa nostra epoca
tutto sembra dover scorrere a ritmi veloci, tanto che si tratti di lavoro quanto
31
Cigoli V., Il corpo familiare, FrancoAngeli, Milano, 2000, p. 77.
32
Micheli G.A., Anziani fragili: quale soglia di screening?, “Prospettive sociali e
sanitarie”, 14, 2007.
33
L’isolamento sociale protratto può amplificare iniziali malesseri fisici o toni
dell’umore deflessi ed arrivare a veri e propri stati depressivi
34
Disturbi cardiovascolari, diabete, ipertensione.
26
che si tratti di piacere; ma una società centrata su obiettivi di successo e di
produttività, come quella attuale, riempie di ostacoli il cammino di chi non
riesce a rispondere più a tali canoni, arrivando a volte a produrre un’anticipata
emarginazione di persone ancora ben dotate di risorse di autonomia. Si pensi,
ad esempio, alla poca tolleranza verso quegli anziani che si dimostrano lenti
nel completare le operazioni ad una cassa di supermercato o hanno difficoltà
nel salire su un autobus; pochi esempi, ma sufficienti, per capire come gli
anziani spesso siano percepiti e si percepiscano incapaci, solo perché una
riduzione della vista, un rallentamento nella deambulazione o nella mobilità
articolare non permettono loro di eseguire le operazioni alla velocità
considerata “normale”.
Un altro aspetto da considerare è l’uso del tempo dopo l’abbandono
dell’attività lavorativa e l’entrata nel pensionamento. Quella che per molti era
stata immaginata come una tappa attesa perché portatrice del tanto agognato
“riposo”, rischia di rivelarsi per alcuni una pura illusione. Il tempo liberato
dall’obbligo lavorativo può diventare molto spesso un tempo di forzata
inattività, a causa della perdita del proprio ruolo produttivo e a causa
dell’incapacità di vivere questa nuova condizione in maniera utile e creativa.
Diventa così un tempo vuoto, che favorisce un processo di graduale isolamento
e solitudine, soprattutto se è mancata in precedenza qualsiasi preparazione a
questo nuovo ciclo di vita. Gli anziani che invece si mantengono attivi ed
operosi, trovano nuovi incentivi e nuovi ruoli anche nell’età della pensione,
appagando così il legittimo desiderio di continuare a far parte integrante della
società. Ecco allora che politiche sociali adeguate dovrebbero sostenere la
partecipazione degli anziani alla vita sociale; in particolare uno «specifico
carattere di prevenzione hanno i servizi socio-culturali per gli anziani, a
iniziare dagli interventi rivolti alla preparazione al pensionamento. Questi
interventi possono poi svilupparsi nell’area della formazione permanente, sia in
attività culturali, tendenti a risolvere problemi di solitudine e a proporre nuovi
campi di lavoro e nuove relazioni, sia in forme di associazionismo.
L’associazionismo può realizzarsi anche come cooperative di produzione di
servizi, per consentire alle persone anziane di esplicare un’attività sociale o
lavorativa adeguata all’età e all’esperienza e, più in generale, per conservare
all’anziano la rete dei rapporti sociali»35. Il già citato rapporto del Censis ha
evidenziato «come la grande maggioranza degli anziani dedichino
mediamente, nell’arco di una giornata, più di sei ore al sonno, un’ora e 40
minuti all’alimentazione, un’ora alla cura della persona, due ore e 15 minuti
alle faccende domestiche e un’ora al giorno alla spesa. Per quanto riguarda
35
Regione Veneto, Normativa regionale in materia di Politiche Sociali. Vol. 1: Leggi
e Regolamenti, “Veneto Sociale”, luglio 2006, p. 41.
27
invece il tempo libero, oltre a seguire i programmi della televisione e della
radio, amano la lettura dei libri e dei quotidiani, usano con disinvoltura il
telefono e nel 20,9% dei casi, a dispetto di quanti vedono gli anziani lontani
dalle diverse tecnologie, si connettono per più di un’ora a Internet. Sono poi
attivi e pronti a sacrificarsi per la famiglia: il 35,8% dei nonni si occupano
direttamente dei nipoti, ma temono la solitudine (86,4%), la depressione
(78,1%), la mancanza di soldi nella quotidianità (78%), la carenza dei servizi
per non autosufficienti (70,1%) e l’indifferenza degli altri (68%). Vengono
chiesti luoghi di aggregazione di facile accesso (73,6%), case più comode e
sicure (63%), trasporti migliori (59,7%) e corsi di formazione per l’utilizzo
delle nuove tecnologie (40,4%)». Questi dati confermano che se è vero che
dobbiamo imparare a introdurre nell’immaginario collettivo in maniera più
intensa la figura dell’anziano attivo, generoso, capace di stare in gioco, è
altrettanto vero che gli anziani devono trovare un contesto ricco di relazioni
sociali positive, devono essere messi nelle condizioni adeguate per poter
continuare ad alimentare l’invecchiamento con un segno positivo. Per tali
ragioni, specie su un piano di politica sociale, l’età anziana va presa in esame
in collegamento e in rapporto al funzionamento generale del sistema sociale;
questo assunto si traduce nell’orientamento che l’età anziana può e deve essere
affrontata anche con interventi che tengano conto del rapporto concreto e
costante con le altre età.
Anche la questione di genere ci porta a registrare alcuni dati di realtà che
possono contribuire a capire dove e come indirizzare gli interventi di politica
sociale. La femminilizzazione della popolazione anziana è ormai un fenomeno
globale e per averne conferma basterebbe considerare la realtà delle strutture
residenziali per anziani, in cui la componente femminile supera di gran lunga
quella maschile36. Rispetto agli uomini, le donne anziane hanno più probabilità
di essere povere e questo è legato alla condizione sociale generale – in
particolare quella lavorativa – della donna; le donne ricevono mediamente una
retribuzione inferiore rispetto a quella degli uomini, sono sovra-rappresentate
nei lavori precari e irregolari, molto spesso sono costrette a ritirarsi dal mercato
del lavoro per dedicarsi ai figli, se giovani, o ad un genitore anziano, se adulte.
Ovviamente tutti questi elementi si ripercuotono negativamente su di loro una
36
In ogni paese europeo, per esempio, le donne vivono più a lungo degli uomini e, man
mano che la popolazione invecchia, la differenza tra i due sessi si fa più pronunciata.
Può essere interessante osservare questo aspetto provando a limitarci ai dati del
territorio di nostro interesse e cioè la provincia di Venezia: i “47 anni” segnano il
momento del sorpasso della presenza femminile rispetto a quella maschile, dato che va
sempre più consolidandosi fino ad arrivare ai “74 anni” dove lo scarto supera le mille
unità e così prosegue. Cfr. la tabella in appendice a questo capitolo.
28
volta diventate anziane37. Tra i tanti, vale l’esempio del lavoro di cura, che
implica non solo azioni concrete di assistenza e tanta fatica fisica, ma anche un
complesso di atteggiamenti di disponibilità, di attenzione, di pazienza, così
come una serie di rinunce e di scelte obbligate. Nei contesti familiari sono state
e sono quasi sempre le donne ad essere chiamate in causa dai bisogni di
assistenza, con la differenza, rispetto al passato, che oggi esse sono quasi
sempre impegnate contemporaneamente su più fronti: come lavoratrici, come
mogli, come madri, come balie dei nipoti e dei genitori in quarta età. Politiche
sociali che non prendono in considerazione queste situazioni non riusciranno a
percorrere molta strada.
3. Gli anziani e i giovani
“Quali sono le persone con le quali ha piacere di entrare in contatto?”, è una
delle domande poste dall’indagine del Censis già citata. Il 62% degli anziani ha
indicato i figli, seguiti dai nipoti per il 40.5%. Si tratta di percentuali che, per
chi ha svolto l’indagine, rappresentano un indicatore «del ruolo fondamentale
rivestito dalla famiglia, ma anche della centralità del rapporto
intergenerazionale tra anziani e giovani, soprattutto se familiari. Il rapporto con
i giovani è comunque un aspetto essenziale per vivere bene in età avanzata, in
quanto viene percepito come stimolo al rinnovamento per restare al passo con i
tempi»38. Si tratta di indicazioni molto interessanti, anche se è opportuno
sottolineare che l’indagine ha registrato semplicemente delle intenzioni; allo
stato attuale, infatti, la relazione tra i giovani e gli anziani globalmente è
tutt’altro che stretta e solida.
Nel 2003 l’Associazione di volontariato Anteas-Veneto ha condotto
un’indagine regionale sul tema delle relazioni intergenerazionali39. La ricerca si
37
Ci sono delle differenze legate anche ai diversi problemi di salute a cui possono
andare incontro, invecchiando, gli uomini e le donne. Per queste ultime pensiamo, ad
esempio, alle fratture dovute alla maggior incidenza nella donna dell’osteoporosi; per
l’uomo pensiamo ad alcune malattie di tipo professionale come le patologie polmonari,
dovute ad una probabile maggior esposizione ad ambienti lavorativi nocivi.
38
Rapporto Censis/Salute La Repubblica 2005, op. cit.
39
La ricerca, completata nel maggio del 2004, ha utilizzato un campione ragionato
rappresentativo delle relazioni tra i 615.000 giovani dai 6 ai 20 anni e gli 816.000
anziani con più di 65 anni. Si è così avuto un totale di 1.431 interviste: 615 a giovani e
816 ad anziani. Per quanto riguarda la provincia di Venezia gli intervistati sono stati 99
giovani e 154 anziani e, tra i comuni di nostro interesse, si trovano Marcon e Quarto
d’Altino. Cfr. Cason D. – Anteas Veneto, Relazioni fra giovani e anziani nel Veneto.
Indagine campionaria dell’Anteas, Anteas Veneto, Mestre, 2004.
29
proponeva di raccogliere elementi conoscitivi sulle forme delle relazioni tra i
giovani e gli anziani, sui bisogni e sulle motivazioni che le alimentano, sulla
percezione del valore di tali relazioni, sulle aspettative dei giovani e degli
anziani in rapporto a tali relazioni. Per quello che concerne gli anziani, è
emerso che essi considerano importanti i rapporti con i nipoti e in generale con
i giovani, e che valutano come utili le iniziative realizzate per crearne dei nuovi
– indicando nelle associazioni culturali gli ambiti più favorevoli a tale scopo.
In riferimento ai giovani, un numero elevato dichiara di trascorrere ogni giorno
un po’ di tempo con i nonni, portando come motivazione più frequente il
lavoro dei genitori. In generale affermano di avere delle buone relazioni anche
con altri anziani, e ritengono che l’ambito più favorevole per crearne di nuovi
sia rappresentato dalla scuola e dagli spazi caratterizzati da attività comuni.
Circa i due terzi dei giovani intervistati affermano che l’età anziana è da
considerare positivamente; in questo senso si esprimono soprattutto i ragazzi
più giovani e più ancora le ragazze, mentre i giudizi più negativi sulla
vecchiaia sono espressi soprattutto da coloro che frequentano poco gli anziani.
Per chi ha già una frequentazione, è presente anche il desiderio di rendere più
intense le relazioni esistenti e sono sempre i più giovani ad esprimersi in tal
senso.
Queste due ricerche, una di ambito nazionale, l’altra di ambito regionale,
mettono in luce una quadro positivo, forse eccessivamente ottimistico. Esse
individuano un interessamento reciproco tra le generazioni, registrano una
disponibilità a stringere relazioni più forti e più fitte; fanno emergere un
desiderio di incontro tra generazioni che, allo stato attuale delle cose, però, è
presente soprattutto al livello delle aspirazioni. Le politiche sociali dovrebbero
inserirsi comunque in questo spazio di possibilità, e contribuire a dar corpo a
queste intenzioni, agevolando la creazione di condizioni che consentano il
passaggio dal dichiarato all’effettivo, dal potenziale al reale. La realizzazione
di legami più fitti e intensi tra giovani e anziani non sempre avviene in modo
spontaneo, talvolta è necessario provocarla, guidarla, stimolarla. Le politiche
sociali, con il contributo indispensabile della scuola, dovrebbero quindi
favorire opportunità d’incontro, creare spazi di socialità, fornire spunti di
lavoro comune, all’interno di interventi strutturati e non estemporanei.
4. Le politiche della Regione Veneto per l’area anziani
Le caratteristiche demografiche del Veneto non si sottraggono al processo
di invecchiamento che interessa la popolazione italiana. Nel panorama
nazionale il Veneto si colloca al 13° posto in rapporto all’incidenza degli ultra-
30
sessantacinquenni sul totale della popolazione, con un indice di vecchiaia che
negli ultimi vent’anni è raddoppiato: si è passati da 58 a 124
ultrasessantaquattrenni ogni 100 giovani di età inferiore ai 15 anni. Il
censimento del 1961 aveva registrato una popolazione ultrassessantacinquenne
di 351.027 unità, mentre al 31.12.2006 questa componente è salita a 908.936
unità (di cui 369.912 maschi e 539.024 femmine).
Le previsioni Istat indicano che nei prossimi trent’anni la popolazione
anziana raddoppierà il suo peso sul totale della popolazione, passando dal 2000
al 2030 da poco meno del 18% a quasi il 33% sul totale, con un importante
aumento dei grandi anziani (over 85) a fronte di un parallelo decremento degli
anziani della classe di età più giovane (65-74 anni). Questo dato merita
attenzione perché, se non dovesse essere preso nella giusta considerazione,
rischia di prefigurare una situazione futura molto più critica rispetto a quella
presente. Senza un ricambio generazionale, senza la presenza dei naturali
caregivers quali sono i membri più giovani dei nuclei familiari, sia la politica
della domiciliarità che quella della residenzialità voluta, come vedremo, dalla
Regione Veneto, rischiano di non sortire gli effetti voluti, a causa di una
insufficiente presenza di soggetti attivi sia all’interno dei contesti familiari che
nel territorio.
Passando all’analisi delle politiche regionali nei confronti degli anziani,
possiamo individuare una sorta di divisione dei compiti tra la Regione e gli
Enti locali, in cui la prima si occupa, essenzialmente, degli anziani non auto-
sufficienti, mentre i secondi si occupano del resto degli anziani. Per questa
ragione, nonostante la nostra ricerca non abbia preso in considerazione gli
anziani non auto-sufficienti, nell’esaminare le politiche regionali il riferimento
cadrà prevalentemente sulle politiche verso la non-autosufficienza.
A partire dalla L.R. 64/1975, la Regione Veneto si è orientata verso
l’integrazione delle politiche e degli interventi socio-sanitari40. Essa prevedeva
40
La definizione operativa di “integrazione” utilizzata dal Piano Sanitario Nazionale
1998-2000 è la seguente: «l’integrazione istituzionale si basa sulla necessità di
promuovere collaborazioni fra istituzioni diverse (in particolare aziende sanitarie,
amministrazioni comunali, ecc.) che si organizzano per conseguire comuni obiettivi di
salute. Può avvalersi di un’ampia dotazione di strumenti giuridici quali le convenzioni
e gli accordi di programma. L’integrazione gestionale si colloca a livello di struttura
operativa: in modo unitario nel distretto e in modo specifico nei diversi servizi che lo
compongono, individuando configurazioni organizzative e meccanismi di
coordinamento atti a garantire l’efficace svolgimento delle attività, dei processi e delle
prestazioni. Condizioni necessarie dell’integrazione professionale sono: la costituzione
di unità valutative integrate, la gestione unitaria della documentazione, la valutazione
dell’impatto economico delle decisioni, la definizione delle responsabilità nel lavoro
31
l’istituzione di Consorzi socio-sanitari41, con compiti di gestione e di
organizzazione di attività integrate sociali e sanitarie a favore dei cittadini, in
particolare della popolazione anziana, dirette a favorirne la permanenza a
domicilio. Questo orientamento è stato mantenuto con la L.R. 55/1982,
istitutiva delle Ulss, ed è stato confermato dalla politica nazionale sia a livello
sanitario (D.Lgs. 229/1999) sia a livello sociale (L. 328/2000). La Regione ha
ulteriormente provveduto ad emanare una serie di precisazioni concernenti le
linee organizzative da seguire, al fine di favorire il processo di integrazione in
tutte le sue componenti: istituzionale, gestionale e professionale42. Con il 2006
la Regione ha fissato le linee di indirizzo per l’assistenza socio-sanitaria alle
persone anziane non autosufficienti attraverso il Piano per la residenzialità
(Allegato A alla DGR n. 464 del 28 febbraio 2006), il Piano locale per la
domiciliarità (Allegato A alla DGR 39 del 17 gennaio 2006) e il Piano locale
della disabilità (Allegato A alla DGR 1859 del 13 giugno 2006).
La necessità di ripensare e migliorare il modello organizzativo degli
interventi domiciliari e territoriali, basato sul ruolo assunto dal distretto socio-
sanitario come luogo della programmazione dei servizi e degli interventi
personalizzati domiciliari43, si è presentata quando sono emerse alcune criticità
nell’applicazione del modello stesso: la settorializzazione e la parcellizzazione
degli interventi; la mancanza di una presa in carico unitaria, effetto di un
integrato, la continuità terapeutica tra ospedale e distretto, la collaborazione tra
strutture residenziali e territoriali, la predisposizione di percorsi assistenziali
appropriati per tipologie d’intervento, l’utilizzo di indici di complessità delle
prestazioni integrate».
41
Denominati Unità locali per i servizi sociali e sanitari.
42
La Regione Veneto ha optato per individuare nelle Unità Valutative Geriatriche
(Progetto Obiettivo Anziani: documento di approvazione per l’esecutività da parte
delle Commissioni Affari Sociali della Camera e Igiene e Sanità del Senato [30
gennaio 1992]) e nelle Unità Operative Distrettuali (Regione Veneto – DGR n. 2034
del 10 maggio 1994) gli strumenti operativi, basati sulla multiprofessionalità, più
idonei a mettere in atto quella politica socio-assistenziale attenta ai bisogni dei suoi
cittadini e contemporaneamente rispettosa della loro essenza unitaria tanto da
mantenere viva l’attenzione sulle loro risorse e sul loro diritto all’autodeterminazione.
Ed è sempre in virtù di tale processo che è stata costruita, deve essere utilizzata e letta
la Scheda di Valutazione Multidimensionale della persona Adulta Anziana
(S.V.A.M.A.), quale prodotto di sintesi di questa analisi e progettualità comune
(Regione Veneto – DGR n. 1721 del 19 maggio 1998, con ulteriore definizione nel
DGR 3979/1999). Mentre un’ulteriore conferma della necessità della valutazione
multidimensionale e multiprofessionale del bisogno assistenziale è presente nel DGR
561/1998.
43
DGR 3242/2001 che rafforza il distretto socio-sanitario come punto di accesso dei
cittadini alla rete dei servizi sanitari e sociosanitari.
32
debole raccordo tra i servizi; la carenza di riferimenti normativi relativi agli
standard organizzativi e professionali dei servizi per la domiciliarità, essendo
quelli in atto superati dalle esperienze in corso.
La finalità generale del Piano locale per la domiciliarità (Pld) consiste nella
«promozione e tutela della qualità di vita dei cittadini in situazione di fragilità,
in particolare delle persone che rischiano l’esclusione da un contesto familiare.
Tale finalità viene perseguita attraverso la creazione e lo sviluppo continuo di
una rete, composita ed organizzativamente ordinata, di politiche, di risorse e di
interventi a sostegno della domiciliarità e delle famiglie che si fanno carico
della cura, dell’assistenza e della tutela delle persone fragili. Il Pld è uno
strumento per la domiciliarità, finalizzato a rendere il mantenimento della
persona non autosufficiente in famiglia meno difficile, più conveniente e più
soddisfacente, anche sotto il profilo delle relazioni affettive intrafamiliari e
delle relazioni sociali»44. Come si può capire, l’idea di domiciliarità è legato al
concetto di “casa”, luogo degli affetti e della memoria, luogo materiale e
simbolico delle scelte di vita autonoma. Si tratta, cioè, di un luogo che non
perde necessariamente questi significati quando comincia a comparire “la
malattia”, quando il processo degenerativo si esprime con dei comportamenti
che sembrano volerlo annullare e fa diventare la casa una sconosciuta, piena di
ostacoli e di barriere. E’ questa “forza terapeutica” del domicilio che è stata
accolta e legittimata nel contesto normativo, proprio per affermare la necessità
di porre, tra gli elementi utili a rispondere ai bisogni espressi, il luogo abituale
di vita.
Questa prospettiva si è rafforzata quando il legislatore, occupandosi della
residenzialità, ha previsto che questa si integri con il sistema della
domiciliarità, attraverso l’attivazione di interventi di “sollievo” o l’accoglienza
diurna. Questo è un indirizzo che va nella direzione di un rinnovamento della
cultura dei servizi a favore degli anziani, poiché «la struttura residenziale va
accolta e presentata come la risorsa che entra in campo quando il domicilio non
è più un luogo idoneo a soddisfare i bisogni e quindi la qualità di vita
dell’anziano. Non va vissuta quindi in contrapposizione alla domiciliarità ma,
al contrario, come supporto al lavoro di cura del familiare che potrà continuare
così a dare la sua presenza affettiva e come sostituto invece quando, per varie
ragioni, la rete familiare non c’è fisicamente e/o affettivamente»45.
Inserire poi nel Pld, come presa in carico, anche l’ambito comprensivo
dell’azione promozionale e preventiva, significa sottolineare la necessità di
44
Regione Veneto – Venetosociale, Le nuove linee guida regionali per la non
autosufficienza, giugno 2006 (www.venetosociale.it).
45
De Girolami F. – Faggian S., La relazione nelle strutture residenziali, Carocci Faber,
Roma, 2006, p. 13.
33
intervenire anche là dove può manifestarsi un rischio di disgregazione delle
risorse del singolo e/o della famiglia, soprattutto se lo spirito è quello di porsi
di fronte alle istanze provenienti dal territorio, accogliendole come risorse utili
per la realizzazione della politica locale. Sappiamo, in effetti, come i Piani
regionali debbano poi trovare, in ambito locale, nei Piani di Zona e nella loro
programmazione territoriale, lo strumento operativo reale di individuazione
degli obiettivi di integrazione sociosanitaria.
5. L’area anziani nel Piano di Zona dell’Ulss 12 veneziana
L’analisi demografica dell’area veneziana46 in rapporto ai due ultimi
censimenti mette in luce un calo della popolazione, verificatosi nonostante
l’incremento dell’immigrazione di origine straniera. In questo quadro generale
è necessario, però, fare delle distinzioni, poiché nella tendenza al calo
demografico ha un ruolo di spicco il comune capoluogo, specialmente l’area di
Venezia centro storico; gli abitanti di Marcon e Quarto d’Altino, invece,
risultano in aumento del 15%47 e quelli di Cavallino-Treporti in aumento del
9%.
Per quanto riguarda la componente anziana, nell’area veneziana
all’1.1.2004 erano presenti 71.582 ultrassessanticinquenni: 27.985 maschi, il
19.3% dell’intera popolazione maschile, e 43.597 femmine, il 27.3%
dell’intera popolazione femminile48.
I dati censuari recenti mettono in risalto anche un altro aspetto degno di
interesse, ovvero l’incidenza, in riferimento alle strutture familiari, delle
famiglie unipersonali, che registrano un incremento significativo. Effettuare
delle analisi che permettano di capire quante di queste famiglie siano riferibili
a persone anziane potrebbe essere un dato di conoscenza importante per
contribuire a giungere ad una corretta analisi della condizione della
popolazione anziana. Un anziano che vive solo ha, infatti, maggiori possibilità
di andare incontro a situazioni di disagio, fisico e psicologico. Nell’età anziana
difficilmente ci si trova di fronte alla solitudine come scelta di vita; è più
frequente, semmai, che vi sia una solitudine coatta indotta da una svariata
46
Per area veneziana si intende il territorio dell’Azienda Ulss 12, comprendente i
comuni di Venezia, Marcon, Quarto d’Altino e Cavallino-Treporti. Le citazioni
presenti nel paragrafo fanno riferimento al testo originale del Piano di Zona per cui si
rimanda ad esso per un completo approfondimento.
47
Incrementi che li collocano al secondo e terzo posto fra tutti i comuni della
provincia.
48
Piano di zona dell’Ulss 12. 2005-2007, p. 63.
34
gamma di circostanze: la mancanza di reti parentali, la vedovanza, le
conflittualità familiari, la migrazione.
Il Piano di zona 2005-2007 dell’Ulss 12 è stato approvato dalla Conferenza
dei Sindaci il 31 marzo 2005. Un momento importante del suo processo di
formazione è stato l’iter seguito, dal momento che sono stati realizzati una
serie di forum volti alla definizione delle linee-guida che hanno visto la
partecipazione delle diverse realtà cittadine.
Il Piano 2005-2007, che ha aggiornato il Piano precedente approvato dalla
Conferenza dei Sindaci nel settembre 2001 secondo la L.R. n.56/94, ha dovuto
tener conto delle trasformazioni della struttura demografica avvenute nell’area
veneziana. Nel suo percorso il Piano 2005-2007 si è posto dei criteri guida, che
fanno riferimento ai seguenti aspetti:
• “consolidare le risorse disponibili”, per confermare i risultati positivi e
monitorare gli interventi, sì da intervenire in tempo reale per eventuali
correttivi;
• “predisporre un percorso sostenibile e praticabile”, che preveda il
coinvolgimento di più soggetti del territorio, istituzionali e non, e che si
dovrebbe declinare in tre distinti piani di lavoro: «quello istituzionale che
include i soggetti titolari delle decisioni; quello operativo che include i soggetti
gestori delle azioni (servizi, progetti, dispositivi); quello della partecipazione
dell’utenza organizzata»;
• “costruire un sistema di monitoraggio e valutazione congruente”, al fine di
«sviluppare livelli uniformi di monitoraggio delle azioni e di valutazione della
capacità di realizzazione degli obiettivi».
Il Piano 2005-2007 ha operato nell’analisi e nella progettazione di cinque
aree tematiche: materno-infantile, dipendenze, salute mentale, disabilità,
anziani. Per quanto riguarda l’area anziani, i target di intervento previsti
«guardano sia agli anziani che si trovano in una situazione di perdita di
autonomia (cioè coloro che necessitano di interventi assistenziali continuativi),
sia agli anziani “fragili” (cioè persone cronicamente affette da patologie
multiple, con problematiche anche di tipo socio-economico)». L’idea che
sostiene questo tipo di intervento è quella di poter raggiungere tre tipologie di
soggetti: le persone anziane, le reti familiari e informali, il sistema dei servizi.
Operativamente, il Piano ha individuato i seguenti ambiti di intervento:
8la domiciliarità, che raccoglie le azioni che perseguono la finalità di
mantenere la persona al proprio domicilio e nel contesto abituale di vita,
prevedendo un potenziamento degli orari del servizio dell’Adi,
compatibilmente con le risorse disponibili, e delle attività svolte dal Coadd
(Centro ospedaliero di approfondimento diagnosi per le demenze) e un
35
maggiore utilizzo della consulenza specialistica offerta dal Centro regionale
per le demenze;
8la residenzialità, che raccoglie le azioni che garantiscono un’adeguata
assistenza in strutture organizzate, riproducendo ambienti e tempi di tipo
familiare. E’ prevista l’apertura di una nuova struttura residenziale
extraospedaliera per i residenti del Distretto 2 nel comune di Cavallino-
Treporti e, per gli anziani in perdita di autonomia del territorio dei comuni di
Marcon, Cavallino-Treporti e Quarto d’Altino, saranno attivati alcuni posti
letto di residenzialità protetta;
8lo sviluppo di comunità e reti sociali, con indicati obiettivi e azioni per
promuovere solidarietà e supporto sociale agli anziani (sportelli unici
distrettuali che forniscono informazioni anche a domicilio, sostegno alla
vetrina del volontariato e della solidarietà, sostegno a progetti di vicinato
attivo49);
8la mobilità, con azioni che favoriscano interventi per la mobilità degli
anziani sul territorio, facilitando i loro spostamenti e l’accessibilità ai luoghi
d’interesse;
8la definizione di strumenti per l’integrazione sociosanitaria, con azioni
finalizzate a favorire l’integrazione delle pratiche dei servizi sociali e sanitari
rivolti agli anziani;
8l’ottimizzazione del sistema dei servizi, garantendo la continuità assistenziale
attraverso i centri servizi per anziani, che dovranno essere in grado di offrire
supporto logistico ed operativo integrato nella rete degli interventi;
8 la realizzazione di progetti di ricerca dedicati al tema degli anziani, volti a
dare continuità al lavoro di ricerca sull’anziano fragile, a creare un gruppo di
ricerca interistituzionale finalizzato alla messa a fuoco di indicatori in grado di
definire il soggetto “fragile”, a sviluppare una conoscenza della situazione
49
Nel 2003 con Delibera n. 4243 l’Assessorato alle Politiche sociali della Regione
Veneto ha finanziato un’iniziativa volta ad innescare un processo di espansione e
qualificazione della telefonia sociale, che ha dato vita al Progetto “Vicini di vita”
affidato, per la realizzazione, all’Associazione Aequinet e attivato in via sperimentale
nell’Ulss 15 Alta Padovana con un coinvolgimento, nella fase propedeutica della
ricerca, delle Ulss di Belluno, Treviso e Legnago. In un’intervista al presidente di
Aequinet sul numero di novembre-dicembre 2006 di “Assistenza Anziani” si legge:
«L’obiettivo del progetto è quello di ampliare le opportunità di intervento in relazione
ai variegati bisogni assistenziali delle persone anziane che vivono in casa propria,
senza l’immediato e continuo supporto della famiglia o in condizioni di isolamento
sociale. La Regione con tale progetto vuole raggiungere anche l’obiettivo di aggregare
e finalizzare in modo efficiente le formazioni sociali già impegnate nell’erogazione di
prestazioni e servizi alla persona, quindi mettere in comunicazione le persone e le
differenti agenzie pubbliche e del privato-sociale esistenti nel territorio».
36
relativa agli anziani in perdita di autonomia e con scarse risorse nelle reti
parentali50.
Dopo aver illustratato, nel primo e nel secondo capitolo, il quadro di
riferimento della ricerca e il contesto generale e regionale in cui essa si colloca,
presentiamo nei prossimi capitoli i risultati della ricerca sul campo facendo
riferimento ai contesti d’indagine: Cavallino-Treporti, Marcon, Quarto
d’Altino.
50
L’indebolimento delle reti parentali caratterizza tutto il territorio, ma ciò è emerso
solo negli ultimi anni nei comuni di Marcon, Quarto d’Altino e Cavallino-Treporti.
37
Appendice al capitolo 2 – “Età anziana e politiche sociali”
Tab. I – Veneto: Popolazione dai 65 anni in su residente al 1° gennaio 2006 per età e sesso.
Età Maschi Femmine Totale
65 27227 29608 56835
66 26970 28815 55785
67 25829 28608 54437
68 23248 26327 49575
69 21269 25114 46383
70 21752 25465 47217
71 20717 25008 45725
72 19017 23472 42489
73 18036 23610 41646
74 17465 23464 40929
75 17214 24270 41484
76 15516 21945 37461
77 14798 22497 37295
78 14263 22561 36824
79 12668 21448 34116
80 11803 20558 32361
81 10494 19456 29950
82 9656 18943 28599
83 8525 17232 25757
84 7325 16068 23393
85 6350 14954 21304
86 3766 8728 12494
87 2318 5902 8220
88 2083 5561 7644
89 2208 6199 8407
90 2279 7125 9404
91 2048 6396 8444
92 1595 5341 6936
93 1210 4242 5452
94 859 3212 4071
95 559 2320 2879
96 371 1604 1975
97 208 1087 1295
98 122 722 844
99 74 482 556
100 e più 70 680 750
Totale 369912 539024 908936
Fonte: Istat.
38
Tab. II - Provincia di Venezia: stima della popolazione residente al 1°
gennaio 2006 divisa per sesso ed età.
Età Maschi Femmine Totale
0 3794 3441 7235
1 3728 3624 7352
2 3862 3491 7353
3 3673 3361 7034
4 3767 3348 7115
5 3757 3438 7195
6 3650 3450 7100
7 3630 3556 7186
8 3532 3452 6984
9 3454 3295 6749
10 3479 3099 6578
11 3395 3163 6558
12 3371 3244 6615
13 3483 3386 6869
14 3514 3255 6769
15 3591 3355 6946
16 3312 3259 6571
17 3532 3269 6801
18 3421 3100 6521
19 3379 3320 6699
20 3638 3471 7109
21 3602 3409 7011
22 3870 3547 7417
23 3937 3891 7828
24 4096 3972 8068
25 4246 4104 8350
26 4737 4383 9120
27 5331 4895 10226
28 5521 5235 10756
29 6062 5590 11652
30 6279 5951 12230
31 6747 6460 13207
32 6873 6605 13478
33 7119 6652 13771
34 7116 6723 13839
35 7052 6759 13811
36 7454 6912 14366
37 7245 6921 14166
38 7320 7016 14336
39 7444 7198 14642
40 7391 7198 14589
41 7605 7490 15095
42 7117 7021 14138
43 6949 6885 13834
44 6781 6713 13494
45 6393 6261 12654
46 6446 6349 12795
47 5986 6038 12024
48 5806 5988 11794
49 5702 5828 11530
39
Segue Tab. II - Provincia di Venezia: stima della popolazione residente
al 1° gennaio 2006 divisa per sesso ed età.
50 5483 5648 11131
51 5433 5628 11061
52 5426 5444 10870
53 5390 5504 10894
54 5149 5424 10573
55 5359 5790 11149
56 5693 5813 11506
57 5771 6001 11772
58 5903 6079 11982
59 6328 6512 12840
60 4198 4562 8760
61 5200 5427 10627
62 5176 5486 10662
63 5113 5413 10526
64 5097 5448 10545
65 5263 5852 11115
66 5138 5546 10684
67 4851 5554 10405
68 4542 5156 9698
69 4009 4937 8946
70 4193 4870 9063
71 3991 4787 8778
72 3623 4459 8082
73 3545 4472 8017
74 3339 4404 7743
75 3276 4605 7881
76 2904 4116 7020
77 2790 4202 6992
78 2657 4149 6806
79 2394 4022 6416
80 2080 3690 5770
81 1877 3564 5441
82 1812 3589 5401
83 1665 3227 4892
84 1391 2851 4242
85 1234 2798 4032
86 691 1578 2269
87 431 1048 1479
88 421 1035 1456
89 422 1100 1522
90 430 1285 1715
91 381 1115 1496
92 320 921 1241
93 239 705 944
94 164 585 749
95 118 441 559
96 60 292 352
97 42 205 247
98 21 143 164
99 12 94 106
100 e più 19 126 145
Totale 404253 428073 832326
Fonte: Istat.
40
3. Gli anziani a Cavallino-Treporti
1. La storia e il territorio
L’istituzione del Comune di Cavallino-Treporti, sancita con legge regionale
n. 11 del 29 marzo 1999 mediante scorporo di parte del territorio dal Comune
di Venezia, rappresenta l’epilogo di lunghe vicissitudini caratterizzate da più
consultazioni referendarie inerenti l’autonomia da un sistema di relazioni
ambivalenti, quando non conflittuali, tra l’Amministrazione centrale veneziana
ed i cittadini della “periferia”.
La sfida sottesa alle rivendicazioni autonomistiche, forti di una presunta
distinta e specifica identità territoriale, sociale ed economico-produttiva e della
necessità di snellire e semplificare i rapporti con il sistema di governo locale,
ha significato, soprattutto dopo la fase di gestione commissariale e dunque con
l’insediamento della prima Giunta nella primavera del 2000, misurarsi con
l’esercizio delle possibili scelte strategiche. Ma, prima ancora, con l’azione
diretta a “costruire” la macchina comunale e l’organizzazione dei servizi.
Il processo di separazione dal Comune di Venezia è avvenuto con
gradualità e attraverso una sorta di “tutoraggio” transitorio che ha consentito –
tramite convenzione tra i due Comuni – di erogare senza soluzione di
continuità i principali servizi rivolti alla popolazione e tra questi, in modo
particolare, i servizi sociali ed assistenziali. Parallelamente è stata avviata, e
resta tuttora per certi versi incompiuta, la definizione della titolarità
(divisione/attribuzione) degli aspetti patrimoniali.
Comunemente definito come “Litorale Nord” della laguna di Venezia, la
configurazione attuale del territorio di Cavallino-Treporti, stretto tra mare e
laguna, risente della continua evoluzione dell’assetto idrogeologico; il
paesaggio si caratterizza come “spazio aperto”, combinazione di acque e di
terre, alcune di recentissima formazione, altre con testimonianze storiche che
risalgono all’epoca romana.
Nonostante le significative trasformazioni urbanistiche degli ultimi decenni,
il territorio presenta tuttora un patrimonio ambientale e naturalistico unico e di
grande valore. Di fatto, semplificando, la struttura morfologica si può definire
41
in termini di peninsularità, evidenziando l’esistenza di una “porta di terra” –
corrispondente al ponte sul fiume Sile, linea di confine con il Comune di Jesolo
– e due “porte d’acqua”, date dai terminal di Treporti e Punta Sabbioni, che
consentono il collegamento acqueo con Venezia e le isole.
Nel Comune di Cavallino-Treporti convivono due realtà, due centri, due
poli. Il nome stesso non ha fatto altro che prendere atto di questa polarità. Da
una parte Cavallino, protesa verso Jesolo e San Donà di Piave, la cui economia
si basa soprattutto su attività commerciali e turistiche, dove si trova però anche
qualche azienda agricola e un’attività di pesca. Dall’altra Treporti, gravitante
storicamente verso Venezia e la laguna, caratterizzata morfologicamente dal
paesaggio agrario tipico del territorio lagunare con lo scavo di una fitta rete di
canali e canaletti. Qui l’economia si basa sull’agricoltura, sull’artigianato, le
attività commerciali, i rinomati ristoranti tipici, ma anche sull’attività di pesca
che negli ultimi anni sta conoscendo un buon sviluppo.
Tuttavia, quella che a prima vista può apparire come una struttura
territoriale bipolare, ad una analisi più attenta si presenta connotata da una
policentralità costituita da altre realtà con proprie specificità. Si tratta di Lio
Piccolo, Le Mesole, realtà dalle origini più antiche del comune, che insieme a
Treporti rispecchiano le radici storiche, profonde del territorio; ma anche
dell’isola di Saccagnana, di Punta Sabbioni – il cui territorio si è formato in
gran parte solo nel Novecento, sede del terminal delle motonavi per Venezia e
Burano e del ferry-boat per l’isola del Tronchetto, ora interessata dai lavori di
costruzione del Mose, la grande opera che dovrebbe difendere Venezia dalle
acque alte; e poi Ca’ Vio, Ca’ Pasquali, Ca’ Ballarin, Ca’ di Valle, aree dove
l’agricoltura e soprattutto il turismo sono le attività precipue.
Entro questo contesto per molti versi policentrico, negli ultimi anni un terzo
soggetto, un terzo polo ha preso corpo sul territorio. E’ Ca’ Savio, che ha
conosciuto uno sviluppo demografico e urbanistico rapidissimo. Composta sia
da cittadini autoctoni che da immigrati arrivati soprattutto da Venezia, Burano
e Lido, costituisce la frazione più popolosa del comune. E’ la frazione che
intorno agli anni ’70 è stata interessata dalla prima vera esplosione edilizia del
territorio: prima il paesaggio era connotato principalmente dalle caratteristiche
dune; oggi Ca’ Savio, polo gravitante verso Venezia, è dal punto di vista
logistico, frazione chiave, è servita con discreta continuità dai mezzi pubblici, e
in essa sono allocati il Municipio, il distretto sanitario, banche, uffici, servizi,
attività commerciali e turistiche, uffici direzionali.
Il territorio del comune di Cavallino-Treporti si presenta dunque allo stesso
tempo bipolare (o tripolare) e policentrico, e tuttavia accanto ai nuclei più
popolati e dotati di servizi pubblici e commerciali – per la maggior parte
42
collocati lungo la direttrice stradale principale, via Fausta, che si sviluppa per
circa quindici chilometri tra Jesolo e Punta Sabbioni – esiste una significativa
polverizzazione di abitazioni in aree rurali, isolate, non servite dal sistema
pubblico dei trasporti.
La storia relativamente recente, la crescita demografica legata per lo più ai
movimenti migratori dal centro storico di Venezia e dalle isole (Burano in
particolare), l’assenza di un “centro” capace di assumere su di sé il ruolo di
“unificazione” del territorio, la crescita urbanistica ed economica “scomposta”
e “disordinata” degli ultimi decenni, sono tutti fattori che influiscono
indubbiamente sul senso di appartenenza e sull’identità della comunità. Sembra
di poter intuire la convivenza e l’intreccio tra più modelli culturali di
riferimento e più appartenenze, legati in parte all’area di provenienza ed in
parte alle consuetudini e ai rapporti di scambio con il centro storico o con le
realtà del Veneto orientale (Jesolo e San Donà di Piave in primis).
2. Cambiamenti sociali a Cavallino-Treporti: demografia, economia.
La popolazione residente censita nel 2001 con la rilevazione Istat risultava
pari a 11.824 unità, salite a 12.909 secondo le statistiche del Servizio
demografico e statistico del Comune aggiornate al 31.12.2006. Le tabelle che
seguono mostrano l’andamento della popolazione dal 1971 al 2001 e offrono
uno spaccato sulla situazione demografica attuale.
Tab. 1 – Cavallino-Treporti: evoluzione della popolazione attraverso i Censimenti.
Anno Popolazione residente Densità Famiglie
per Km2
M F MF n. componenti n. medio
componenti
1971 4.459 4.209 8.668 270,9 2.199 8.588 3,91
1981 5.067 4.998 10.065 314,5 3.208 10.148 3,16
1991 5.381 5.509 10.890 340,3 3.670 10.805 2,94
2001 5.855 5.969 11.824 263,6 4.647 11.775 2,53
Fonte: Istat.
43
Tab. 2 – Cavallino-Treporti: popolazione residente al 31.12.2005 divisa per fasce d’età.
Fascia d’età Maschi Femmine Totale e v. %
0-17 950 900 1.850 (14.7%)
18-30 878 869 1.747 (13,9%)
31-64 3.435 3.375 6.810 (54.2%)
65-74 549 586 1.135 (9%)
75-84 341 472 813 (6.4%)
85-oltre 50 149 199 (1.5%)
Totale 6.203 6.351 12.554
Fonte: Elaborazione Servizio demografico e statistico del Comune di Cavallino-Treporti.
Il Comune di Cavallino-Treporti ha visto aumentare notevolmente i propri
residenti nel corso di pochi decenni. Dagli 8.668 residenti del 1971 è passato ai
12.909 del 2006, un aumento della popolazione del 33% circa. Nel 2001 le
famiglie erano 4.647, mentre nel 1971 erano 2.199. All’aumento del numero
delle famiglie ha corrisposto un decremento del numero medio dei componenti
delle stesse, che nell’arco di tre decenni si è abbassato progressivamente
passando da 3,9 unità nel 1971 a 2,5 unità nel 2001. Ciò è dovuto sia
all’immigrazione interna che alla frammentazione dei nuclei famigliari. Su
questo secondo aspetto è necessario segnalare gli importanti cambiamenti
avvenuti nell’ambito della struttura famigliare, ossia la diminuzione del
numero delle famiglie numerose, l’aumento di famiglie con pochi componenti
e la presenza delle nuove forme di famiglia.
La densità demografica è pari a 264 abitanti per kmq. Una densità
relativamente bassa, da mettere in relazione sia con la presenza di ampie aree a
destinazione agricola, sia con le aree balneari nonché di altri ambiti demaniali
non del tutto disponibili. La crescita della popolazione è stata comunque
continua, frutto di un saldo migratorio sempre positivo che negli ultimi tre anni
si è attestato annualmente attorno alle 200 persone. Anche i nati sono più dei
morti, circa una ventina in più ogni anno.
I dati del censimento 2001 fanno registrare la presenza di 2.822 edifici di
cui 2.579 prevalentemente residenziali nei quali sono insediate 4.645 abitazioni
occupate, con un incremento in valore assoluto di 987 unità rispetto al 1991. Il
censimento 2001 indica la presenza di una certa quantità di altre abitazioni –
pari a 754 unità – definite come «abitazioni non occupate oppure abitate
solamente da persone che non hanno dimora abituale nelle stesse». Questo
porta le abitazioni totali censite nel comune di Cavallino-Treporti a 5.399
unità.
44
Nel 1955 a Cavallino-Treporti con l’apertura del primo campeggio ha inizio
una “vocazione turistica” che assumerà negli anni una crescente importanza
nell’economia locale e che pone oggi il litorale, con la sua fitta concentrazione
di campeggi e villaggi turistici (30 unità) sulla fascia di territorio parallela
all’arenile, ai primi posti in Europa per l’offerta di vacanze all’aria aperta. In
base ai dati forniti dall’Azienda di promozione turistica, il movimento turistico
totale relativo a tutte le strutture ricettive ed extra-alberghiere mette in luce
come le presenze totali (stranieri e italiani) si assesti, dal 1995 ad oggi, sopra i
5 milioni di arrivi all’anno, di cui la maggior parte assorbiti dai campeggi e dai
villaggi turistici. La specifica tipologia ricettiva all’aria aperta è stata, in questo
contesto, quasi una scelta obbligata data la morfologia del territorio ed altri
vincoli, connotandosi, almeno nella fase iniziale, per il limitato impiego di
capitali. La vita dei residenti si intreccia dunque nei mesi estivi con una
presenza turistica di forte impatto sul sistema delle infrastrutture commerciali,
della viabilità, dei rapporti sociali e delle relazioni familiari.
Le attività e i servizi legati al turismo rappresentano un’importante
opportunità occupazionale che ha inciso sul benessere economico della
popolazione, ma hanno sostanzialmente mutato gli stili di vita e le relazioni
famigliari. Anche i compiti di cura e di accudimento dei figli e delle persone
anziane risentono dei ritmi frenetici della stagionalità. Dall’agricoltura e dai
ritmi dettati dalle stagioni, dal duro lavoro della terra e dalle origini
prevalentemente contadine, o comunque legate alla vita della laguna, all’eden
dei campeggi dell’economia turistica, in pochi decenni Cavallino-Treporti è
cambiata radicalmente. Basti pensare che nel censimento del 1961 larga parte
delle residenze risultavano prive di servizi igienici all’interno dell’abitazione e
piuttosto spesso anche prive di acqua corrente, e talvolta non disponevano di
elettricità.
Questo sviluppo, combinato con la “distanza” amministrativa del Comune
di Venezia da questo territorio, ha portato al proliferare di forme, seppur non
speculative, di abusivismo diffuso. La mancata pianificazione urbanistica ha
segnato e continua a segnare l’attuale paesaggio. Le opere di edilizia realizzate
negli ultimi anni e quelle che ancora oggi si stanno realizzando fanno
riferimento a piani regolatori e a progetti degli anni Settanta, quando a
prevalere era la logica “cemento e tondini di ferro” e non l’attenzione alla
qualità della vita e il rispetto dei vincoli ambientali.
I nuovi modelli sociali e culturali, le attese verso una migliore qualità della
vita si confrontano, e talvolta confliggono, con i valori della cultura contadina,
necessariamente in trasformazione, rendendo difficile il formarsi di un’idea di
comunità e del senso di appartenenza alla comunità locale. L’attività turistica
scandisce ormai i tempi della vita e regola il sistema sociale dei tempi (il tempo
45
dedicato alla famiglia, al riposo, all’impegno sociale e civile, alla crescita
culturale). Tutta la popolazione è influenzata dalla frenesia di quella che molti
definiscono “monocultura turistica”.
In agricoltura, l’attività di maggior rilievo fino all’avvento dello sviluppo
turistico, sono state introdotte innovazioni e metodi di coltivazione avanzati.
Da alcuni anni essa si è specializzata nell’orticoltura. La ciclicità dettata dal
ritmo delle stagioni è stata superata dalle coltivazioni in serra, garantendo così
la produzione di alcuni prodotti per dodici mesi all’anno. Il settore agricolo
assicura oggi livelli soddisfacenti di redditività ed occupazione e conta
numerose aziende impegnate in cicli produttivi di colture sempre più
specializzate introdotte nei grandi mercati del Triveneto. Uno dei problemi
principali del settore è dato dalle ridotte dimensioni delle aziende agricole, con
la relativa difficoltà a stare sul mercato in modo competitivo.
Dalla relazione al “Progetto preliminare al Prg” dell’agosto 2004 si evince
che «al 1991 nel territorio del comune risultavano insediate 575 unità locali
che impiegavano 2.074 addetti. I dati relativi all’8° Censimento generale
dell’industria e dei servizi fanno registrare 836 unità locali e 2.309 addetti. Si
tratta di una crescita assai più marcata rispetto a quella registrata nel decennio
tra il 1981 e il 1991. Le unità locali afferenti ai settori dell’industria
costituiscono circa il 18% del totale, e impiegano circa il 17% degli addetti, ma
mentre le prime hanno ripreso a crescere tra il 1991 e il 2001, i secondi
evidenziano invece un comportamento inverso con un calo di circa il 6%. Per
quanto concerne il commercio sia unità locali che addetti mostrano un trend in
forte crescita (rispettivamente +21.1% e +33.7%). Peraltro a questo settore
afferiscono oltre la metà sia delle unità locali che degli addetti complessivi
(rispettivamente 425 pari al 50.8% e 1.237 pari al 53.6% secondo i dati
provvisori del 2001). Gli altri settori del terziario evidenziano nell’ultimo
periodo intercensuario un comportamento simile all’industria: incremento delle
unità locali e decremento degli addetti (rispettivamente +89.6% e -7%)»51.
Il censimento del 2001 ha rilevato 4.897 attivi occupati. I tassi di attività
della popolazione sono risultati allineati a quelli della media provinciale (50.4
rispetto a 49.7), mentre si è riscontrato un tasso di disoccupazione un po’ più
elevato (il 7.2% rispetto alla media provinciale del 5.3%), specie tra le donne
(il 10.9%, media provinciale femminile del 7.3%)52.
51
Relazione al progetto preliminare al PRG, Comune di Cavallino-Treporti, agosto
2004.
52
E’ da sottolineare che il censimento ha rilevato la situazione a fine ottobre e ciò va
tenuto in considerazione perché a Cavallino-Treporti durante la stagione autunnale e
invernale non si registrano presenze turistiche, pertanto la quasi totalità degli addetti
46
Da non sottovalutare, inoltre, il fenomeno del pendolarismo. Sono molti,
infatti, i residenti che si recano quotidianamente a lavorare fuori Comune,
diretti soprattutto verso Venezia ma anche verso Jesolo e San Donà di Piave.
Spostamento della forza lavoro che nella stagione estiva inverte la direzione e
diventa pendolarismo in entrata, visto l’impatto che il settore turistico ha
sull’economia del territorio. Da sottolineare un’altra importante forma di
pendolarismo: quello scolastico. Nel territorio non sono presenti scuole
superiori, né università. Le direttrici dello spostamento sono prevalentemente
Venezia, Jesolo e San Donà di Piave. Per ciò che concerne il corpo insegnante
nelle strutture scolastiche del Comune, vi è un significativo pendolarismo in
entrata caratterizzato da un certo turn-over.
A Cavallino-Treporti il livello medio di istruzione è modesto. Si colloca ai
primi posti (al 5°) nella graduatoria provinciale di non conseguimento
dell’obbligo scolastico per la popolazione compresa tra i 15 e i 52 anni (13%),
mentre in riferimento al diploma di scuola superiore si situa al 39° posto con il
40.2% dei residenti compresi tra i 19 e i 34 anni in possesso di questo titolo.
Una situazione, questa, che se da un lato può destare preoccupazione, dall’altro
lato sta migliorando progressivamente con l’incremento registrato tra il 1991 e
il 2001 del 14.1% di diplomati.
All’interno di questo quadro è da evidenziare un’assenza di rilievo: quella
dei partiti politici. Nel corso del Novecento la presenza più significativa sul
piano delle aggregazioni civili non è stata quella di un vero e proprio partito
politico bensì della Coldiretti, un’organizzazione che ha svolto un ruolo, per
dirla in gergo politico, di “cinghia di trasmissione”. A Cavallino la attività
politica si concreta quasi esclusivamente nel momento della costituzione delle
liste e delle elezioni. La latitanza dei partiti è stata ed è forte. Chi fa politica è
di fatto colui che è impegnato nell’amministrazione. Manca la politica diffusa
intesa come discussione sui grandi temi sociali che interessano la nazione e il
mondo ma anche la partecipazione e il confronto su importanti temi locali.
3. Le politiche sociali
A seguito della attuazione del decentramento politico-amministrativo e
dell’istituzione dei Consigli di quartiere, a partire dall’inizio degli anni ’80
l’Assessorato alla sicurezza sociale del Comune di Venezia ha previsto a
Cavallino-Treporti una unità operativa di servizio sociale di base, assegnandovi
alle attività turistiche risulta disoccupato in attesa di essere riassunto nella stagione
turistica successiva continuando a percepire una indennità proporzionale al salario.
47
la figura professionale dell’assistente sociale (1 operatore), soggetta nel tempo
ad un frequente turn-over.
La provenienza extraterritoriale del personale, con i relativi problemi di
pendolarismo e mobilità, sta alla base della difficoltà di garantire ad essa
continuità e stabilità; inoltre la collocazione marginale del quartiere
contribuisce a creare situazioni professionali di isolamento e difficoltà nei
rapporti con le altre sedi e con gli uffici centrali.
Gli strumenti essenziali disponibili a livello decentrato, oltre al servizio
sociale professionale, consistono essenzialmente nell’assistenza domiciliare e
nelle forme indifferenziate di integrazione economica. Altri servizi e risorse
restano disponibili ed attivabili a livello centrale, sia per quanto riguarda le
competenze comunali sia per quanto concerne le prestazioni erogate dai servizi
socio-sanitari dell’Ulss (Ser.t, Neuropsichiatria infantile, Centro di salute
mentale, etc). Risulta in questo modo difficilmente praticabile tanto la presa in
carico di situazioni complesse e/o multiproblematiche quanto la realizzazione
del lavoro in rete.
La forbice tra bisogni e possibilità di risposta si allarga progressivamente
quanto più si affinano le strategie e l’organizzazione dei servizi sociali del
Comune di Venezia, che sperimenta progetti e apporta innovazioni che sono
concretamente fruibili solo nei quartieri del centro storico e, soprattutto, nelle
realtà di Mestre e Marghera. Non sono certo queste le ragioni sottese alle
rivendicazioni autonomistiche, sostenute per lo più dalle categorie economico-
produttive più forti, ma certo queste carenze hanno assunto un significato
importante nelle scelte politiche del nuovo Comune, che si mostra attento e
sensibile alle tematiche sociali.
Tutto ciò risente ovviamente anche delle trasformazioni più ampie che sul
piano politico e culturale riguardano il rapporto tra la pubblica
amministrazione e i cittadini e, dunque, anche l’approccio ai bisogni – in
continuo mutamento – che richiedono non solo e non tanto l’implementazione
di differenti e maggiori prestazioni, ma anche un diverso ruolo della comunità
locale, maggiormente protagonista nel perseguimento di obiettivi di diffusa
sicurezza sociale e benessere inclusivi delle azioni dirette alle fasce deboli. Lo
sforzo iniziale dell’Amministrazione comunale ha riguardato, a partire dal
2000, sia l’aspetto organizzativo e l’assetto dell’Ufficio di servizio sociale53 sia
il sistema delle risorse strumentali. Su tale versante la priorità iniziale è stata il
mantenimento degli standard quantitativi e qualitativi esistenti, adeguando,
strada facendo, con nuovi appalti e regolamenti, gli strumenti in uso alle
specificità locali.
53
Dei 4 dipendenti assegnati 1 è un impiegato amministrativo e 3 sono assistenti
sociali, uno dei quali con funzioni di responsabile.
48
Sul piano degli investimenti in aree carenti di risposta, la Giunta ha dato
corso a due grandi progetti di opere pubbliche. Il primo, ultimato, è stato la
creazione di un centro per anziani; il secondo, ancora da edificare, è un centro
diurno per disabili medio-gravi. In tema di infanzia e adolescenza è stata
invece sviluppata a partire dal 2001 una serie di attività (consulenza
pedagogica, interventi educativi domiciliari, percorsi informativi e formativi
per genitori, progetto affidi) che rientrano nella progettualità condivisa con i
Comuni di Marcon e Quarto d’Altino e si avvalgono di finanziamenti regionali
(già legge 285/97).
Peraltro si avverte sempre più la necessità di dialogo tra Comuni limitrofi,
possibilmente omogenei per dimensioni e caratteristiche, al fine di creare un
luogo condiviso di pensiero e progettazione, aperto allo scambio con il privato-
sociale, e di costruire nuove e più efficaci modalità di gestione dei servizi. La
dimensione contenuta del Comune di Cavallino-Treporti implica infatti un
rischio di “asfissia” e di impedimento evolutivo, di chiusura sull’emergenza
del quotidiano dove prevale il rapporto meccanicistico e burocratizzato tra
bisogni e prestazioni.
3.1. I servizi a favore degli anziani
Gli interventi a favore degli anziani si muovono lungo le due principali
direttive del sostegno alla domiciliarità e del ricorso, per le situazioni di grave
perdita di autonomia, all’inserimento in strutture residenziali.
Rientrano nella prima macroarea l’assistenza domiciliare (anche integrata
con prestazioni infermieristiche e sanitarie), il supporto alla mobilità (trasporto
speciale, tessere agevolate), il servizio di telesoccorso/telecontrollo
domiciliare, i contributi economici comunali erogati a titolo una tantum e di
integrazione del minimo vitale, le agevolazioni tributarie (esenzione TIA,
riduzione ICI), i contributi erogati dal Comune a titolo di assegni di cura, le
misure di sostegno economico finanziate dalla Regione ed erogate dal Comune
cui compete la fase istruttoria, come i contributi ex L.R. 28/91 e i contributi
alle famiglie che si avvalgono di assistenti familiari, i contributi regionali
erogati dall’Ulss a favore delle persone affette da Alzheimer, i soggiorni
climatici organizzati dal Comune.
Nei casi di grande fragilità sia della persona in perdita di autonomia sia
della rete/contesto di appartenenza, per i quali risulti insostenibile la
permanenza a domicilio, il Comune interviene in tutta la fase di analisi e
supporto alle decisioni ed anche, in presenza di particolari condizioni
economiche, concorrendo alle spese delle rette di ricovero.
49
Sul territorio non sono presenti strutture diurne e residenziali per anziani
non autosufficienti, è inevitabile pertanto il ricorso a strutture dislocate nel
territorio veneziano o di altri comuni limitrofi. Va segnalata la presenza di una
struttura, gestita da un ordine religioso e priva di convenzioni/accreditamento,
che accoglie circa una trentina di donne anziane (provenienti anche da fuori
comune) le quali teoricamente dovrebbero essere in condizioni di totale
autonomia. In realtà l’accoglienza si protrae spesso anche in situazioni di grave
deterioramento delle condizioni personali.
Tab. 3 – Alcune attività del Servizio politiche pociali-Area anziani: anno 2005.
Tipologia interventi N. casi in carico Risorse finanziarie Note
Telesoccorso 62 0 *
(servizio regionale)
Istruttoria per nuovi ricoveri 15 Implica attività di
in casa di riposo servizio sociale
professionale
Trasporto speciale 13 55.000,00 **
Soggiorni climatici 72 36.333,00 ***
Contr. economici una tantum 22 13.495,00
e minimo vitale
Contributi rette case di riposo 6 34.600,00
Subentro nel pagamento TIA 23 2.785,33
Assistenza domiciliare/ ADI 63 242.000,00
Assegni di cura 15 25.220,00
Contributi LR 28/91 96 93.365,17
Contributi “Badanti” 10 14.622,00
* Il Comune non investe risorse finanziarie proprie ma ha rinunciato all’applicazione di ticket che,
secondo le disposizioni regionali, costituirebbe entrata.
** I costi del servizio sono complessivi e includono anche il trasporto delle persone disabili (33). E’
difficile costruire una esatta proporzione perché il servizio comprende anche trasporti occasionali.
*** Il Comune introita quote di partecipazione stabilite in base a regolamento su indicatori della
situazione socio-economica/ISEE (per tot. €. 23.283).
4. L’associazionismo e i centri di aggregazione degli anziani
Sono iscritte all’Albo comunale oltre 70 associazioni54, il che lascia
presupporre un tessuto locale particolarmente fertile. Tuttavia, ancora oggi,
l’insieme di queste associazioni resta in gran parte connotato da
autoreferenzialità e con rarefatte capacità di dialogo e di collaborazione. Da
anni e con alterne fortune, a partire dalle iniziative in tema di politiche
giovanili, si è investito nella ricerca di confronto e collaborazione per mettere
54
Prevalentemente a carattere culturale, ricreativo, sportivo.
50
tale ricchezza a disposizione della comunità locale. L’esperienza induce
tuttavia a leggere l’attività associativa come ancora incanalata in un rapporto di
contrapposizione o, almeno, di netta distinzione, con l’ente locale, soggetto cui
chiedere spazi, finanziamenti e patrocinio delle iniziative, piuttosto che
proporgli forme di partnership nella progettazione e definizione di interventi di
interesse collettivo. L’assenza di un coordinamento tra le varie associazioni e,
nello specifico, tra quelle che hanno come target la popolazione anziana, è un
bisogno forte e sentito che tuttavia per le ragioni sopra espresse non trova
sbocchi concreti.
Da un paio d’anni è stata promossa una giornata di visibilità e dialogo,
coincidente con la “Fiera delle associazioni”, una sorta di vetrina che conta per
l’annuale edizione oltre 40 realtà partecipanti; essa vuole promuovere sia il
rapporto tra associazioni che la conoscenza delle stesse tra i cittadini. Di fatto –
e per variabili che si possono evincere dalle pagine dedicate alle caratteristiche
demografiche di questo territorio piuttosto che urbanistiche ed economiche –
l’identità e il senso di appartenenza alla comunità locale non è probabilmente
un dato di partenza su cui si fonda l’autonomia del Comune di Cavallino-
Treporti, quanto piuttosto il risultato futuro di un processo avviato proprio con
la costituzione del Comune stesso. Anche le reti informali che tendono a
muoversi a partire dalle parrocchie o in termini individuali piuttosto che
aggregati, da altri versanti della solidarietà, sono assenti o comunque poco
visibili.
4.1. Il Centro Polivalente e l’ex scuola Pascoli
Nell’estate del 2005, mutato il quadro politico con le elezioni d’aprile vinte
dalla lista civica in precedenza all’opposizione, sono state rimesse in
discussione la finalità e la destinazione della quasi ultimata struttura destinata
ad essere il Centro anziani. Si sono tenute delle movimentate riunioni
pubbliche in cui l’Amministrazione comunale ha espresso la volontà di dare in
affidamento la struttura sulla base di un bando pubblico valutando la qualità
del progetto di gestione e premiando eventuali offerte presentate da
aggregazioni di soggetti.
In particolare è stato stabilito che il nuovo Centro (400 mq in località Ca’
Savio, la frazione più popolata del Comune) garantisca i seguenti aspetti: il
libero accesso alla struttura a tutti i cittadini del territorio senza distinzione di
genere, lingua, razza, idee politiche, fede religiosa, età; la promozione di
attività che favoriscano la socialità, l’aggregazione, la formazione delle
persone anziane, con particolare riferimento ed attenzione alle situazioni di
51
isolamento e marginalità legate anche alle caratteristiche geomorfologiche del
territorio; la valorizzazione delle capacità di espressione della cittadinanza
attiva delle persone anziane, anche nell’ambito delle relazioni di solidarietà e
mutuo-aiuto; la promozione di iniziative e servizi che favoriscano l’interazione
e lo scambio intergenerazionale; la valorizzazione e la cooperazione con le
realtà associative e istituzionali locali nell’ottica del lavoro in rete e secondo
finalità di sviluppo della comunità; l’utilizzo della struttura da parte di soggetti
diversi, anche non formalmente costituiti in associazione, per attività a
carattere culturale e ludico-ricreativo compatibili con le finalità ed il corretto
utilizzo del Centro.
Il Gruppo anziani autogestito, gruppo storico di Cavallino, in completo
dissenso con questo tipo di destinazione, ha deciso di non concorrere e la
gestione della struttura, inaugurata il 30 agosto 2006 e denominata “Centro
Sociale Polivalente”, è stata affidata – previo espletamento di una gara – ad
una aggregazione temporanea di soggetti comprendente diverse associazioni e
una cooperativa sociale impegnate nell’area della disabilità, da tempo
ingaggiate in un rapporto di proficua collaborazione con il Comune e l’Ulss e
capaci di misurarsi in termini culturalmente più ampi con le componenti sociali
del territorio. Questa situazione ha prodotto una frattura in termini di dialogo
tra il Comune e il Gruppo anziani autogestito e una chiusura autoimposta dal
gruppo stesso nel partecipare alle attività del Centro polivalente. Solo dalla
seconda metà del 2007 le cose sono andate migliorando dal momento che
alcuni iscritti al Gruppo anziani autogestito partecipano alle attività proposte
dal Centro. Rimane tuttavia lo strappo con uno dei gruppi storici e
numericamente più consistenti del territorio e l’associazione degli anziani non
ha ora una sede fissa dove potersi riunire. Una mancanza che viene vissuta in
modo negativo dagli associati.
Gli spazi del Centro, tranne alcune eccezioni significative, tendono ad
essere vissuti riflettendo le linee di genere. Le donne, presenza numerosa,
vivono i “loro” spazi così come pure gli uomini. Le difficoltà di convivenza
sotto lo stesso tetto non sono semplici ma vengono meno in occasione di certi
eventi ricreativi quali ad esempio la cosiddetta “serata danzante”. Dalla sua
apertura ad oggi il Centro ha contato circa 100.000 presenze55, con una
partecipazione giornaliera di un numero di anziani che varia dalle trenta alle
quaranta unità. Per ciò che concerne gli orari di accesso si riscontrano anche
qui delle diversità tra uomini e donne. Solitamente gli uomini arrivano prima
ed escono dopo rispetto alle donne poiché nella vita quotidiana non svolgono,
o le effettuano in minima parte, attività domestiche.
55
Essendo polivalente il centro è frequentato da tutte le fasce di popolazione.
52
Un altro aspetto da sottolineare è che il Centro è frequentato, per ciò che
concerne la componente anziana, quasi esclusivamente da persone che abitano
nelle località di Ca’ Savio e limitrofe e non da anziani che abitano a Cavallino
o comunque nella parte del paese che fa riferimento al polo jesolano. Le
ragioni di questo sono da imputare sia alla bassa frequenza delle corse dei
mezzi pubblici – corse che peraltro non raggiungono, vista la viabilità
territoriale, tutte le zone del comune – sia al fatto che gli anziani si spostano
principalmente a piedi o in bicicletta, ma, anche, per ragioni di campanilismo e
di identità locale che emergono in maniera forte.
Interessanti, per avere una lettura più approfondita degli anziani che
frequentano il Centro e del loro rapporto con esso, sono i dati relativi al
questionario elaborato da alcune figure professionali responsabili e compilato
dalla fascia di popolazione più anziana che lo frequenta. Il questionario è stato
compilato da 35 persone di cui 10 maschi e 25 femmine56. Le risposte alla
domanda “quali sono i vostri attuali interessi?” mettono in luce un dato che è
emerso anche nella fase operativa della nostra ricerca. Gli anziani sono
soprattutto interessati ai “giochi di società”: 31 persone su 35. Il tempo libero
dello stare insieme è, dunque, tempo dedicato ad attività ricreative: a
catalizzare l’interesse sono soprattutto il gioco delle carte per il genere
maschile, il gioco della tombola per quello femminile. Altre opzioni di risposta
quali “interessi sociali”, “lavoretti artigianali” e la voce “altro” sono state poco
considerate57. Risulta altresì interessante rilevare che 13 interpellati – specie gli
uomini – rispondono che tra i loro attuali interessi ci sono quelli culturali. Dato
tanto più significativo allorquando viene letto in relazione al contesto
territoriale, povero di spazi dedicati alla cultura. Un tema, quello culturale, che
a Cavallino-Treporti dovrebbe essere oggetto di maggiore attenzione da parte
degli attori sociali, amministratori in primis, in modo da creare un confronto e
una partecipazione più larga su un elemento vitale per la comunità. La maggior
parte dei rispondenti al questionario prende parte alle attività organizzate dal
personale del Centro Polivalente – “angolo della salute”, “angolo dei ricordi”,
“angolo lettura”, “lettura quotidiani”, “attività ricreativo-sociali” –
56
L’età media degli intervistati è di 71 anni. L’età massima per la componente
femminile è di 84 anni mentre quella minima di 52 anni. Per la componente maschile
l’età massima è di 82 anni e quella minima di 60 anni. 17 intervistati vivono da soli,
con la componente femminile in maggioranza (15 donne rispetto a 2 soli maschi), dato
quest’ultimo da leggersi in relazione anche alle diverse aspettative di vita dei due
generi.
57
Coloro i quali si dicono interessati a questi ambiti sono rispettivamente nel numero
di 9, 7 e 10.
53
dimostrandosi, dato questo emerso in sede di intervista, particolarmente
interessata all’angolo della salute.
Per quanto riguarda l’accoglienza, l’efficienza, l’organizzazione, il servizio
bar, la pulizia dei locali e dei bagni nonché gli orari di apertura, la maggior
parte degli anziani si considera molto o abbastanza soddisfatta. La quasi
totalità di chi ha compilato il questionario va volentieri al Centro. Alla
domanda “sarebbe interessato a fare il tesseramento per usufruire di iniziative
specifiche per i soci (ballo, gite, visite a musei, altro)?”, 13 persone su 35
(37%) non dimostrano questa volontà. Fatto da leggersi, probabilmente, con la
volontà di molti anziani di non sentirsi troppo vincolati nel loro tempo libero
quotidiano.
E’ interessante notare come la maggior parte degli intervistati non abbia
inoltrato richiesta di spazi all’interno del Centro. La richiesta è venuta solo da
alcune donne. Se uniamo il fatto che la maggior parte degli intervistati non ha
attività da proporre né suggerimenti da dare per migliorare il funzionamento
del Centro possiamo trarne, collegandoci anche a quanto emerso nel corso
della ricerca, alcune osservazioni. Anzitutto, l’anziano non è abituato a
chiedere. E’ un anziano che si è “fatto da sé”, che ha considerato e continua a
considerare fondamentale la cultura del lavoro. E’ un anziano che chiede poco
perché non contempla, o è poco presente in lui, la dimensione della richiesta.
Questo non significa che sia un anziano passivo o disinteressato, richiama
piuttosto la fondamentale necessità e importanza di creare un tessuto sociale
nel territorio ricco di “stimoli” che favorisca e implementi l’auto-attivazione
dei cittadini.
Un altro polo aggregativo importante per la popolazione anziana è costituito
dall’ex scuola Pascoli, sita vicino alla piazza di Cavallino, dove hanno sede
diverse associazioni e un’importante biblioteca ricca di volumi e documenti
fotografici sulla storia e sui costumi locali gestita dall’associazione culturale
“Tra Mar e Laguna”. Qui la presenza di diverse associazioni – ed è una
problematica emersa dalle interviste – richiederebbe un coordinamento e una
progettualità condivise per poter sviluppare al meglio le potenzialità attuali e
future.
Nell’ex plesso scolastico gli anziani hanno a disposizione una stanza al
piano terra dove, con cadenza quotidiana, si ritrovano a svolgere attività
ludico-ricreative, soprattutto il gioco delle carte. La partecipazione fa
riferimento esclusivamente agli anziani di Cavallino e delle frazioni limitrofe.
L’esigenza da parte degli anziani di avere uno spazio a disposizione è nata in
seguito al rifiuto da parte dei titolari dei bar del posto di consentire, per ragioni
economiche e di “immagine”, il gioco delle carte. Le donne (per ragioni
54
storico-culturali legate alle tradizioni contadine e alla famiglia patriarcale) non
partecipano a questa attività di tempo libero poiché il non “occuparsi della
famiglia” e l’impiego del tempo in attività “diverse” assume per loro una
connotazione negativa. Saltuariamente e con discontinuità le donne si sono
ritrovate in una stanza attigua a quella degli uomini per giocare a tombola. Il
giorno di ritrovo fissato era la domenica, ma ciò non avviene più.
La partecipazione delle donne alle attività ricreative assume, seppur ni
modo sfumato, valenze e significati diversi nei due Centri che riflettono quel
policentrismo, anche culturale, del quale si è accennato in precedenza. Da una
parte Ca’ Savio, frazione recente cresciuta negli ultimi anni per l’apporto di
migrazioni da Burano, Lido e altre località con pensionati che, per quanto
concerne la componente maschile, hanno svolto lavori diversi da quello
agricolo; dall’altra parte Cavallino, con forti tradizioni agricole, e in parte,
artigiane. Nel periodo estivo entrambi i Centri registrano un calo della
partecipazione dovuto a vari fattori legati alle partenze per le vacanze, al lavoro
negli orti, all’aiuto nell’accudimento dei nipoti come sostegno ai figli che
lavorano nel settore turistico che nel periodo estivo impone ritmi frenetici e
orari prolungati.
5. Gli anziani a Cavallino-Treporti
Gli anziani “di” Cavallino-Treporti sono, per la maggior parte, le persone
che sono nate e hanno trascorso la vita in questo territorio. Un numero
contenuto di “ceppi” familiari, spesso connotati da patronimici o appellativi
identificativi conservati nei passaggi generazionali.
Sono diventati anziani “a” Cavallino-Treporti le persone e le coppie
trasferitesi in età adulta, soprattutto a partire dagli anni ’60, quando il
movimento “migratorio”, in misura massiccia dall’isola di Burano e
successivamente dal centro storico veneziano, ha cominciato ad assumere
notevole consistenza. Ma vi sono anche anziani che arrivano a Cavallino-
Treporti “da” comuni limitrofi, Venezia in primis, in qualche modo “espulsi”
dai propri contesti di appartenenza per condizioni di “fragilità” spesso legate a
motivi economici.
Gli anziani hanno stili di vita diversi che, a seconda delle sopradescritte
tipologie, definite grossolanamente, hanno a che fare con diverse
rappresentazioni della propria identità, con un diverso senso di appartenenza
alla società locale, differenti modalità di esprimere bisogni e cercare risposte
ad essi.
55
Le trasformazioni economiche e sociali che condizionano su vasta scala i
modelli di famiglia e le forme di solidarietà intrafamiliari influiscono anche su
questa realtà territoriale, ma ciò si avverte maggiormente nei casi di fragilità e
perdita di autonomia. Le attività, gli scenari di riferimento, le aspettative delle
persone anziane attive e in buona salute sembrano infatti ancora differenziarsi
a seconda delle origini.
Gli anziani di Cavallino-Treporti sono persone molto attive che
mantengono un legame forte con le loro origini contadine. Molti anziani, la
maggior parte tra quanti sono originari del territorio, sono proprietari di piccoli
appezzamenti e vivono la coltivazione e la cura dell’orto come un elemento
imprescindibile della loro quotidianità con l’eccezione del periodo invernale.
Ed è proprio nel periodo invernale, specie per chi è solo, che risulta importante
la presenza di luoghi da vivere come occasione di incontro, a maggior ragione
se è un anziano immigrato che, a differenza di chi è originario del posto, soffre
una situazione di maggior solitudine a livello relazionale vista la lontananza
delle reti parentali che spesso rimangono in altri comuni. L’essere soli,
soprattutto nel corso dell’inverno, tende ad isolare e quindi non consente di
sviluppare o di tenere in “aggiornamento” le proprie potenzialità sia fisiche che
psico-sociali. Un problema, quello della solitudine, che per le persone che
hanno problemi di deambulazione e di non autosufficienza assume connotati
ancor più rilevanti. La noia toglie valore al tempo e paralizza la voglia di
vivere. Ecco dunque la necessità di raggiungere con dei mezzi appropriati le
persone che hanno difficoltà a recarsi nei luoghi di aggregazione, e questo in
un comune dove i mezzi pubblici denotano una certa carenza.
Non bisogna dimenticare che molti anziani vivono con pensioni basse,
soprattutto quelli che hanno la pensione da coltivatori diretti o da artigiani.
Ecco che allora coltivare l’orto non significa soltanto mantenere un legame con
le tradizioni, ma diviene anche una importante forma di integrazione al reddito.
Non solo: ci sono anche anziani, sia uomini che donne, che si recano a prestare
servizio presso abitazioni del Lido o di Venezia o che continuano a svolgere da
pensionati, seppur in toni ridotti, la loro attività di artigiani. Basse pensioni per
alcune categorie e perdita di potere d’acquisto delle pensioni in generale sono
elementi che fanno sentire il loro peso sulla qualità del tempo della persona
anziana. In queste circostanze il tempo libero diviene tempo lavorativo. Non
per scelta, ma per obbligo.
A Cavallino-Treporti la questione del tempo, della sua scansione, dei ritmi
del lavoro assume connotati particolari che emergono in modo dirompente
nella stagione turistica. E’ proprio in questo periodo dell’anno che l’anziano
diviene un elemento fondamentale, una risorsa insostituibile all’interno della
rete parentale che permette ai figli, o comunque alla generazione più giovane
56
impegnata in questo settore, di poter affrontare la frenetica attività che batte
alle porte. Non solo lavoro di accudimento dei nipoti, ma anche di aiuto nella
gestione dell’attività legata al turismo svolta dai figli. Il tempo libero
dell’anziano diviene così tempo di lavoro produttivo. Un dato importante,
indipendentemente dal fatto che l’anziano si senta in questo modo persona
attiva nel suo vivere quotidiano. Un anziano che nello specifico, a dispetto di
una certa visione dominante, non è elemento estraneo, quasi uno scarto sociale,
ma è invece importante nodo nell’organizzazione dei tempi lavorativi e
lavoratore esso stesso. E’ dunque comprensibile che questo “tipo” di anziano
senta nel suo tempo libero soprattutto l’esigenza di svolgere attività ludico-
ricreative, di svago, di divertimento.
In alcuni momenti il tempo libero che l’anziano impiega nelle associazioni
diviene, in occasione di alcuni eventi che coinvolgono l’intero comune, tempo
produttivo. Il comune infatti si appoggia, per la realizzazione di alcune parti di
eventi (ad esempio nello svolgimento dell’ultima NightMarathon), a delle
associazioni. Da queste collaborazioni gli anziani si aspettano
dall’amministrazione un ritorno che sia diverso da un semplice “grazie”; e
sottolineano una disparità tra dare e avere, che è uno degli elementi di
conflittualità con l’attuale politica comunale in tema di associazionismo.
Vi sono inoltre i neo-pensionati che svolgono un grande lavoro di cura nei
confronti dei genitori anziani (i grandi anziani). Un lavoro difficile, che
richiede sacrifici e che è svolto anche senza l’aiuto di terze persone. Un lavoro
che si protrae per anni – a volte inizia prima del pensionamento – e che
tendenzialmente, per ciò che concerne la ripartizione dei carichi di lavoro, è
più oneroso per le donne.
Quasi a rimarcare la vitalità degli anziani emerge, soprattutto per chi ha
lavorato come artigiano, la voglia e la necessità di poter tramandare o
quantomeno far conoscere i propri saperi alle generazioni più giovani.
Qualcuno sarebbe molto entusiasta di poter collaborare in questa direzione con
la scuola. Cosa che si scontra tuttavia con elementi quali il pendolarismo e il
continuo turn-over del corpo docente, fattori di demotivazione degli insegnanti,
che rendono difficile la programmazione di progetti ad ampio respiro.
57
Appendice al capitolo 3 – “Cavallino-Treporti”
Tab. I - Cavallino-Treporti: popolazione anziana residente al 31.12.2005
Fascia d’età Maschi Femmine Totale
65-74 549 586 1.135
75-84 341 472 813
85 e oltre 50 149 199
Totali 940 1.207 2.147
Fonte: Servizio Demografico e Statistico del Comune di Cavallino-Treporti.
Tab. II – Cavallino-Treporti: anziani che vivono soli.
Anno Maschi Femmine Totale
1999 204 367 571
2000 216 386 602
2001 228 406 634
2002 241 425 666
2003 251 434 685
2004 263 452 715
2005 278 469 747
2006 293 488 781
Fonte: Servizio Demografico e Statistico del Comune di Cavallino-Treporti.
Tab. III – Cavallino-Treporti: anziani che vivono in famiglia al 31.12.2005.
Maschi Femmine Totale
820 817 1637
Fonte: Servizio Demografico e Statistico del Comune di Cavallino-Treporti.
Tab. IV – Cavallino-Treporti: n. nuclei famigliari (“famiglie anagrafiche”) distinti per anno.
Anno n. nuclei famigliari
1999 4.644
2000 4.723
2001 4.663
2002 4.747
2003 4.881
2004 5.034
2005 5.191
2006 5.264
Fonte: Servizio Demografico e Statistico del Comune di Cavallino-Treporti.
58
Tab. V – Cavallino-Treporti: movimento turistico campeggi e villaggi turistici.
01/01 ARRIVI PRESENZE
31/12 Italiani Stranieri Totale Italiani Stranieri Totale
Anno n. % (*) n. % (*) n. % (*) n. % (*) n. % (*) n. % (*)
1991 101.865 246.224 348.089 947.160 2.432.147 3.379.307
1992 109.676 7,67 244.915 -0,53 354.591 1,87 1.008.820 6,51 2.455.990 0,98 3.464.810 2,53
1993 115.552 5,36 274.342 12,02 389.894 9,96 1.038.894 2,98 2.795.776 13,83 3.834.670 10,67
1994 113.765 -1,55 331.637 20,88 445.402 14,24 1.029.959 -0,86 3.458.595 23,71 4.488.554 17,05
1995 112.061 -1,50 374.431 12,90 486.492 9,23 1.082.215 5,07 3.922.091 13,40 5.004.306 11,49
1996 111.616 -0,40 377.081 0,71 488.697 0,45 1.034.198 -4,44 3.871.080 -1,30 4.905.278 -1,98
1997 108.899 -2,43 386.931 2,61 495.830 1,46 990.956 -4,18 3.984.422 2,93 4.975.378 1,43
1998 106.970 -1,77 398.838 3,08 505.808 2,01 967.809 -2,34 4.028.703 1,11 4.996.512 0,42
1999 104.654 -2,17 408.808 2,50 513.462 1,51 940.753 -2,80 4.135.087 2,64 5.075.840 1,59
2000 103.831 -0,79 420.609 2,89 524.440 2,14 951.712 1,16 4.181.332 1,12 5.133.044 1,13
2001 103.230 -0,58 443.546 5,45 546.776 4,26 937.650 -1,48 4.403.044 5,30 5.340.694 4,05
2002 100.954 -2,20 425.809 -4,00 526.763 -3,66 923.267 -1,53 4.260.839 -3,23 5.184.106 -2,93
2003 107.179 6,17 390.190 -8,37 497.369 -5,58 961.851 4,18 3.885.722 -8,80 4.847.573 -6,49
2004 110.209 2,83 387.610 -0,66 497.819 0,09 961.827 0,00 3.833.466 -1,34 4.795.293 -1,08
2005 112.645 2,21 389.688 0,54 502.333 0,91 966.138 0,45 3.838.418 0,13 4.804.556 0,19
2006 123.898 9,99 398.419 2,24 522.317 3,98 1.042.548 7,91 3.967.643 3,37 5.010.191 4,28
Fonte: Azienda di Promozione Turistica di Venezia – Ufficio Statistiche. (*) = Differenza percentuale su anno precedente
Tab. VI – Cavallino-Treporti: movimento turistico totale (tutte le strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere).
01/01 ARRIVI PRESENZE
31/12 Italiani Stranieri Totale Italiani Stranieri Totale
anno n. % (*) n. % (*) n. % (*) n. % (*) n. % (*) n. % (*)
1991 129.151 277.814 406.965 1.208.737 2.601.016 3.809.753
1992 134.396 4,06 278.285 0,17 412.681 1,40 1.239.459 2,54 2.638.944 1,46 3.878.403 1,80
1993 140.195 4,31 309.523 11,23 449.718 8,97 1.302.049 5,05 3.028.237 14,75 4.330.286 11,65
1994 138.455 -1,24 368.302 18,99 506.757 12,68 1.246.522 -4,26 3.664.520 21,01 4.911.042 13,41
1995 134.793 -2,64 410.887 11,56 545.680 7,68 1.288.823 3,39 4.120.558 12,44 5.409.381 10,15
1996 134.247 -0,41 409.852 -0,25 544.099 -0,29 1.257.903 -2,40 4.101.558 -0,46 5.359.461 -0,92
1997 135.551 0,97 425.042 3,71 560.593 3,03 1.216.023 -3,33 4.205.804 2,54 5.421.827 1,16
1998 133.715 -1,35 441.367 3,84 575.082 2,58 1.177.311 -3,18 4.260.109 1,29 5.437.420 0,29
1999 134.481 0,57 452.464 2,51 586.945 2,06 1.165.702 -0,99 4.370.962 2,60 5.536.664 1,83
2000 134.081 -0,30 463.491 2,44 597.572 1,81 1.196.057 2,60 4.404.798 0,77 5.600.855 1,16
2001 135.115 0,77 488.811 5,46 623.926 4,41 1.197.839 0,15 4.671.321 6,05 5.869.160 4,79
2002 132.799 -1,71 473.153 -3,20 605.952 -2,88 1.171.915 -2,16 4.542.525 -2,76 5.714.440 -2,64
2003 136.885 3,08 427.706 -9,61 564.591 -6,83 1.210.590 3,30 4.110.210 -9,52 5.320.800 -6,89
2004 141.945 3,70 424.397 -0,77 566.342 0,31 1.207.981 -0,22 4.106.570 -0,09 5.314.551 -0,12
60
2005 145.953 2,82 428.107 0,87 574.060 1,36 1.224.569 1,37 4.072.883 -0,82 5.297.452 -0,32
2006 157.613 7,99 442.398 3,34 600.011 4,52 1.323.201 8,05 4.237.430 4,04 5.560.631 4,97
Fonte: Azienda di Promozione Turistica di Venezia – Ufficio Statistiche. (*) = Differenza percentuale su anno precedente.
61
4. Gli anziani a Marcon
1. Cenni storici58
Non è tempo perso, crediamo, iniziare questo capitolo su Marcon con il
ricordare (molto in breve) il recente, faticoso e per vari versi tuttora incompiuto
processo di formazione di questo paese come entità realmente unitaria, e di
trasformazione economico-sociale del territorio marconese da agricolo ad
industriale e terziario.
A Marcon, fino alla prima guerra mondiale il municipio era ospitato nella
casa del segretario comunale. Nei primi anni venti come sede municipale si
scelse una vecchia palazzina appositamente riadattata che era servita come
alloggio per i militari durante la guerra e che si trovava di fronte alla casa del
primo funzionario del Comune. Anche se nel 1934 il Rettorato provinciale di
Venezia si era espresso a favore della deliberazione del podestà di Marcon per
il trasferimento della sede municipale a Gaggio, tale trasferimento non è mai
avvenuto.
Il 20 febbraio 1947 il Consiglio comunale affrontò l’argomento della
localizzazione del nuovo edificio, che doveva essere ricostruito a spese dello
Stato. Due erano le proposte: in base alla prima, la nuova sede doveva trovare
ubicazione tra le scuole di Marcon e l’attuale sede provvisoria del Comune,
essendo il fondo di proprietà comunale, vicino all’abitazione del medico, alla
casa della levatrice, alla pesa pubblica, alle scuole comunali e al confine delle
due frazioni Marcon e Gaggio; in base alla seconda, invece, la sede municipale
doveva essere ubicata nel centro di Gaggio perché centro geografico territoriale
del comune e vicino alla ferrovia. Si deliberò a maggioranza che il nuovo
edificio dovesse essere costruito sul terreno di proprietà comunale. La località
58
Scroccaro L. – Prandi A., 1900 Marcon: un paese nel Veneto, Comune di Marcon,
1991.
prescelta contava nel 1951 soltanto 111 abitanti, quindi la sua popolazione era
inferiore rispetto a quella di tutti gli altri centri, ma l’equidistanza dell’area
prescelta da Marcon Centro fu probabilmente l’elemento determinante. Sulla
decisione pesò la volontà di comporre e appianare i contrasti tra le frazioni,
allora abbastanza forti, per poter affrontare insieme i problemi della
ricostruzione.
Prima della costruzione del municipio, il “capoluogo” (se così possiamo
chiamarlo) era costituito da poche case e nelle rilevazioni topografiche non
risultava nemmeno indicato come località. Ci si limitava a segnalare la
presenza di una scuola e di un’osteria. Nel 1954 viene acquistato un
appezzamento di terreno antistante il municipio, per dotarlo di una piazza; i
lavori di sistemazione, iniziati nel gennaio del 1956, erano considerati urgenti e
indispensabili anche perché si riteneva che l’apertura di un cantiere avrebbe
sollevato lo stato di disoccupazione dei lavoratori del posto, molto forte in
quegli anni segnati dall’emigrazione.
Tra il 1960 e il 1970, con l’avvio del processo di industrializzazione,
fenomeni come quelli dello spopolamento e della disoccupazione si
esauriscono e nel mentre prende corpo una profonda trasformazione di tutto il
territorio.
Molte cose cambiano anche a Marcon Municipio59: via Provinciale, dopo la
costruzione del tratto dell’autostrada Venezia-Trieste, crea un nuovo percorso,
mentre un cavalcavia collega il paese con la zona industriale che da poco è
sorta a sud di Gaggio; al fabbisogno d’acqua del comune provvede la rete
idrica dell’acquedotto (1964) e non più l’insieme di fontane pubbliche, private
e consorziali a cui in precedenza era affidato questo compito; viene realizzata
la ristrutturazione e la sopraelevazione della sede municipale (1964/67) per
renderla più funzionale alle esigenze di una realtà in costante e rapido
sviluppo.
II “capoluogo” raggiunge ormai una superficie territoriale di circa 18 ettari,
è segnato da una rete di nuove strade lungo le quali sorgono numerose
abitazioni, tanto che, in meno di un decennio, la sua popolazione aumenta del
140%.
Un “territorio di case sparse”, un “paese senza piazza”, così era stato
definito per il passato Marcon, a causa delle sue caratteristiche urbanistiche.
Ma, mentre si va cancellando la prima definizione visto che il paese durante gli
anni ’70 diventa la sede dei principali servizi comunitari, come per esempio
l’educazione scolastica elementare, la seconda definizione continua a resistere.
59
Prima del 1980 Marcon era distinto in due sub-aree: Marcon-Municipio e Marcon-
Chiesa.
63
Nel corso degli anni gli abitanti del centro continuano ad aumentare,
vengono abbandonate le case coloniche a favore di casette unifamiliari
costruite lungo le strade più importanti. Tra il 1946 e il 1971 vengono costruite
ben 596 case, ma il bisogno di abitazioni resta superiore all’offerta perché
Marcon è diventato sobborgo di Mestre, e questa nuova situazione fa passare in
secondo piano il problema della struttura urbana del centro, che risulta priva di
un punto di riferimento collettivo quale può essere una piazza. Negli anni ’80,
poi, si comincia a considerare Marcon-Chiesa e Marcon-Municipio come un
unico centro.
Il nome della frazione di Gaggio, di origine longobarda, significa “bosco,
boscaglia”, in considerazione della vasta presenza di boschi di rovere che fino
ai primi decenni del XX secolo esistevano nella zona est del comune.
Agli inizi del novecento la popolazione di Gaggio era dispersa su un
territorio molto vasto, segnato da acquitrini e paludi e reso insalubre dalla
malaria. Alla fine degli anni venti Gaggio contava 176 famiglie, per un totale
di 1.431 abitanti, in maggioranza contadini a mezzadria o in affitto, ma anche
braccianti, salariati e operai, e in minor numero proprietari; tutti, comunque,
gente povera.
Immigrazione ed emigrazione erano forti, con prevalenza della prima, con
un conseguente aumento progressivo della popolazione. Le condizioni generali
di salute non erano cattive, poiché la malaria, anche se non era del tutto
scomparsa, colpiva quasi esclusivamente l’area di Zuccarello.
Nel 1940 il paese contava 2.040 abitanti; la sua popolazione continuava a
crescere, con un fluttuare continuo. Gli anni cinquanta, caratterizzati dalla
“fuga dalle campagne”, iniziano con vivaci movimenti di vendite di terreni.
Molti se ne vanno e gli occupati nell’agricoltura, che nel 1951 costituivano il
60% della popolazione attiva, si riducono nel 1961 al 29%. Il processo di
trasformazione di questo territorio si accelera all’inizio degli anni sessanta
tanto che, nel 1965, in occasione dell’inaugurazione della nuova canonica, si
po’ dire di esso: «in poco tempo abbiamo visto mutare completamente
l’aspetto del nostro paese e sorgere un nuovo Gaggio, cresciuto e sviluppatosi
sotto i nostri occhi; sui campi che hanno visto generazioni e generazioni di
contadini lavorare, penare e vivere sono sorte nuove industrie ferventi di
attività (la Flag e la Laval, il Colorificio San Marco ed una nuova fornace, la
Laterizi G.P.), così gli abitanti di Gaggio si sono trasformati in operai efficienti
e qualificati»60.
60
Scroccaro L. – Prandi A., op. cit.
64
A partire dal 1966 viene costruito anche il tratto di autostrada che attraversa
il comune di Marcon e che comporta, con la trasformazione della viabilità
interna del comune, un’accentuazione della separazione di Gaggio non solo dal
capoluogo, ma anche dai nuclei abitati che facevano capo alla frazione.
Lo sviluppo demografico della frazione di San Liberale, dovuto alla
bonifica agraria, è stato costante per tutto il corso degli anni quaranta e il paese
si struttura, malgrado la flessione della popolazione che caratterizza gli anni
dal 1951 al 1968, a partire proprio da allora. San Liberale è una località di
recente origine, legata al costituirsi nel 1953 dell’omonima parrocchia, di cui la
chiesa costituisce il cuore.
Nel 1964 lo sviluppo edilizio di Marcon ha subìto un arresto a causa della
stretta creditizia delle banche; ne sono conseguite sospensioni nelle vendite dei
lotti, interruzioni e rallentamenti di molti lavori in corso o non intrapresi, ma a
San Liberale sorgono comunque una serie di edifici nuovi, l’osteria e vari
negozi (di stoffe, di casalinghi, di rifornimenti per le auto e di alimentari).
Negli anni sessanta si è avuta una importante riduzione del peso
dell’agricoltura nella vita economica del paese: gli occupati nelle attività
primarie, che nel 1951 erano 1.095, dieci anni dopo si erano ridotti a 450, e
anche la parte di territorio comunale che contava il numero maggiore di
aziende agricole di una certa importanza, ben cinque superiori ai 30 ettari di
estensione, non poté non risentirne. Anche a San Liberale, si ha però, tra il
1968 e il 1980, un consistente incremento della popolazione.
Dell’area geografica di Marcon fanno parte le località di Colmello, Praello e
Zuccarello. Fino alla meta degli anni sessanta l’accesso ai servizi che non
esistevano a Marcon, come per esempio le banche e i mercati generali,
avveniva lungo la strada che collegava Marcon a Mogliano e al Trevigiano.
Proprio su questa strada, superato il Pellagrosario, è ubicata, dopo qualche
chilometro, Colmello. Generalmente in Veneto è chiamato colmello un
qualsiasi gruppo di case, a Marcon invece questa è proprio la denominazione di
una località, probabilmente perché il centro più abitato del comune era proprio
Colmello: un insieme di case povere abitate da braccianti e operai, un’osteria e,
fino a non molti anni fa, nulla più che alcuni negozi di generi alimentari e
un’officina.
Colmello aveva una propria sagra che si svolgeva in autunno, al tempo del
vino nuovo, ed era tanto vivace e avvezza ai divertimenti, soprattutto al ballo,
da essere chiamato la “piccola Parigi”. La forte presenza abitativa rispetto al
resto del territorio comunale, che determinò nel 1925 la creazione da parte
della parrocchia di un asilo e di una scuola-lavoro in collaborazione con le
65
suore del Pellagrosario e, successivamente, nel 1939, la sistemazione
provvisoria nell’osteria delle classi 4^ e 5^ elementare del comune istituite in
quell’anno, ha caratterizzato questo centro fino all’inizio degli anni settanta.
Nel 1951, quando la maggior parte della popolazione del Comune (il 65%)
viveva sparsa nel territorio, in case coloniche spesso sprovviste, oltre che di
acqua potabile e di servizi igienici, anche di illuminazione elettrica (238 su
574), Colmello era uno dei centri principali e superava per numero di abitanti il
“capoluogo” (242 rispetto ai 172 di Marcon Chiesa).
Quando cominciò l’esodo dalle campagne, Colmello non beneficiò del forte
impulso economico apportato dai nuovi insediamenti industriali incentivati
dalla legge 633 del 1959. Questi si concentrarono a sud di Gaggio, lungo l’asse
viario che collega Marcon con Porto Marghera, e contribuirono a determinare,
con una costante e sempre maggiore richiesta di manodopera, la progressiva
immigrazione interna, locale, che ha caratterizzato gli anni settanta. Tale
immigrazione, dovuta anche alla ricerca di residenze extraurbane da parte di
una ormai consistente quantità di residenti nel centro direzionale di Mestre, per
desiderio di quiete, maggiore vivibilità e case a costi più bassi, si indirizzò
prevalentemente verso il capoluogo e coinvolse solo marginalmente Colmello,
che nel 1980 non superava neppure i 400 abitanti, mentre Marcon (Chiesa e
Municipio) ne contava già oltre 3.800.
Per completare la descrizione di questo territorio, bisogna ricordare che
Dese, Zero e Fossa Storta sono i fiumi di risorgiva che, per un tratto abbastanza
lungo, corrono lungo i limiti settentrionale, meridionale e orientale del comune
di Marcon. Zero e Dese uniscono le loro acque in un unico corso poco a valle
dell’idrovora di Zuccarello.
Questi corsi d’acqua sono caratterizzati da un percorso meandriforme e per
ampi tratti pensile, da scarsa pendenza e da modesta velocità dell’acqua.
Proprio per queste loro caratteristiche, per secoli il territorio a sud-est del
comune di Marcon è stato caratterizzato da paludi ed acquitrini su cui
emergevano la località di Zuccarello (zucco o poggio) e il bosco della Motta
(rialzo). L’ambiente era per questa ragione poco ospitale e insalubre e causa
della diffusione della malaria.
Le autorità della Repubblica di Venezia non erano mai intervenute a
risanare quest’area, pensando che la palude salvaguardasse la città di Venezia
dalle epidemie e dagli insabbiamenti della laguna; solo nella seconda metà
dell’ottocento gli amministratori del consorzio Dese, su cui ricadeva la
gestione idraulica del territorio, pensarono di coinvolgere i vari comuni della
gronda lagunare in un piano di bonifica, che riguardava parte del comune di
Marcon, di Favaro e di Mestre. Un primo progetto fu presentato nel 1889, ma
66
si dovette aspettare il 1925 perché si concretizzasse il risanamento della zona,
che non rientrò fra le opere comprese nel piano nazionale di bonifica integrale
varato nel periodo fascista (R.D. 13 febbraio 1933, n. 215), che, quando
avvenne, comportò la costruzione di opere principali come l’idrovia e una fitta
rete di scoli e fossati che da allora segna la parte est del territorio.
La bonifica mutò completamente l’aspetto di gran parte dell’intero territorio
comunale e determinò notevoli miglioramenti sul piano economico e sociale:
scomparve la malaria che per secoli aveva imperversato con conseguenze
disastrose per la popolazione; si installarono numerosi nuovi insediamenti sui
terreni risanati; coloni, mezzadri e braccianti furono assunti nelle aziende;
cominciò a popolarsi la frazione di Gaggio, fino a diventare un vero e proprio
paese all’interno del comune di Marcon.
2. Geografia e struttura del territorio
Il comune di Marcon copre attualmente una superficie di 25 km², ed è
composto dal capoluogo, dalle frazioni di Gaggio e San Liberale, e dalle
località di Colmello, Praello e Zuccarello.
Il territorio è delimitato a nord-est da Quarto d’Altino, a nord-ovest da
Mogliano Veneto e a sud da Venezia, con cui è connesso da una sviluppata
viabilità locale, utilizzata in modo significativo dal trasporto pubblico, che sarà
potenziata dalla realizzazione a nord del passante di Mestre e a sud dal
collegamento ferroviario con l’aeroporto di Venezia “Marco Polo”.
Il paese si trova al centro tra l’autostrada A27 (Mestre-Vittorio Veneto-Pian
di Vedoia) e l’autostrada A4 (Venezia-Trieste), che ha un’uscita proprio a
Marcon-Centro Commerciale. Sempre per quanto riguarda i collegamenti
stradali, il capoluogo trova nella strada statale 13, il Terraglio, e nella strada
provinciale 64, che collega Casale sul Sile con la strada Terraglio, altre due
importanti vie di comunicazione. Ottima è la sua localizzazione rispetto alle
possibilità di trasporto aereo e ferroviario, trovandosi nelle vicinanze sia
dell’aeroporto di Venezia che dell’aeroporto di Treviso. Nella frazione di
Gaggio è inoltre presente una stazione ferroviaria, che dista pochi chilometri da
quelle di Quarto d’Altino (situate sulla linea Venezia-Trieste) e di Mestre.
L’intreccio tra le due autostrade suddivide lo spazio in due ambiti nettamente
distinti: territorio aperto, rurale, ad est, incardinato su pochi e compatti centri
abitati ed alcune grandi aziende agricole, e spazio fortemente antropofizzato ad
ovest, a vocazione residenziale a monte della Fossa Storta, ed industriale a
valle della stessa. Al centro della fascia infrastrutturale è poi localizzato uno
dei maggiori centri commerciali della regione, il Valecenter.
67
La compresenza di questa duplice componente è una delle caratteristiche
peculiari di Marcon. Qui convivono infatti due paesaggi, entrambi
caratterizzati: quello urbano, più conosciuto, e quello rurale, “protetto” dalla
barriera ferroviaria. Il primo negli ultimi decenni è stato teatro delle
trasformazioni economiche, sociali e urbanistiche che accomunano in larga
misura la “città diffusa” del Veneto centrale. Il secondo conserva ancora oggi
la struttura rurale del paesaggio di bonifica costruito nella prima metà del
novecento, in un certo contrasto con il primo. Agli occhi dell’amministrazione
comunale questa duplicità è considerata, da una parte, una risorsa da
valorizzare, nel tentativo di conciliare il ruolo economico di una cittadina
moderna con un buon livello di qualità della vita, dall’altra, però, un motivo di
difficoltà che impone la ricerca di un’identità. Come conseguenza di
quest’ultimo aspetto, l’amministrazione comunale ha commissionato al Coses
(un istituto di ricerca regionale) uno studio sullo sviluppo urbanistico e socio-
economico del territorio negli ultimi cinquant’anni, che è stato condotto nel
biennio 2005-200661.
Dall’indagine è emerso il ritratto di una collettività forte e in continua
evoluzione. Da paese esclusivamente agricolo ancora nel 1951, Marcon è
divenuta prima un centro prevalentemente industriale, poi un territorio
caratterizzato dalla prevalenza del terziario; la sua popolazione è passata dai
4.315 abitanti del 1951 ai 13.752 attuali (di cui all’incirca il 30% è originario,
il 45% è residente da più di 10 anni e il 25% da meno).
Marcon mostra le migliori performance della provincia secondo i seguenti
parametri: la relazione tra domanda di lavoro e offerta potenziale, con un
rapporto tra residenti e addetti che supera il 50%; l’attrazione dei posti di
lavoro, che porta nel 2001 ad avere un numero di pendolari in entrata superiore
a quelli in uscita; la dimensione media delle imprese che, per numero di
addetti, è sempre superiore alla media provinciale; la crescita progressiva delle
unità produttive locali che vede un incremento, tra il 1951 e il 2001, del 42%.
Questi elementi evidenziano che dal boom degli anni sessanta in poi
Marcon ha realizzato una certa autonomia dal grande polo industriale di Porto
Marghera e dall’economia di Venezia in genere, non assumendo, come si vedrà
invece nel prossimo capitolo nel caso di Quarto d’Altino, le caratteristiche di
“paese dormitorio”.
Parallelamente allo sviluppo economico c’è stato un forte incremento della
popolazione residente, con un ricambio della popolazione tra i più alti della
provincia. Ciò è dovuto in parte all’offerta di posti di lavoro e in parte
61
Il risultati sono confluiti nel volume Caldura R. – Dragotto M. (a cura di), Marcon.
Paesaggi di transizione, Cicero, Venezia, 2007.
68
all’offerta di residenza a costi contenuti in un contesto di discreta vivibilità (tra
cui tranquillità, possibilità di avere un giardino e un orto, buone connessioni
stradali e ferroviarie).
E’ stato osservato che la configurazione del tessuto insediativo e
residenziale è diversa rispetto a quella dei distretti circostanti. Lo spazio
abitativo risulta infatti distribuito in sub-aree (Marcon, Colmello, Gaggio, e
San Liberale) e non esiste una vera e propria urbanizzazione diffusa: la
campagna non è invasa da residenze, né da edifici a destinazione produttiva, i
nuclei sono costituiti da aggregati di case, soprattutto unifamiliari,
geograficamente vicine ma relativamente lontane dall’abitato cui si attribuisce
valore di centro principale, cioè Marcon. Ciò è da attribuire alla presenza di un
modello di fabbrica centralizzato e tradizionale, all’esistenza di un territorio di
bonifica caratterizzato da una proprietà poco frazionata e dunque più resistente
all’installarsi del tipo casa-capannone industriale, che caratterizza invece
l’hinterland veneto, ed infine alle prescrizioni urbanistiche (Programma di
fabbricazione del ’70 e successive varianti) che hanno promosso l’estendersi di
ampie lottizzazioni residenziali a bassa densità, non prevedendo né sistemi di
spazi pubblici, né attrezzature distribuite62.
Mentre il “modello” urbano del nord-est prevede che gli insediamenti si
fondano intorno a un nucleo e solo successivamente si scindano, a Marcon è
successo il contrario. Qui l’assenza di un’unità urbanistica che caratterizzi il
paese dal suo sorgere vede una “densificazione” urbana grazie soprattutto
all’incremento degli edifici residenziali, che produce degli ambiti insediativi,
delle “isole senza connessione”, anche per l’assenza di un centro
rappresentativo forte. È stato così osservato che Marcon non si sta definendo
attorno ai luoghi classici di rappresentazione, quelli di culto e di potere, e che
alla debolezza dei segni identitari dello spazio pubblico si affiancano
importanti segni micro-identitari (ad esempio la localizzazione di grandi
strutture di servizio) e una diffusa proprietà privata indotta dal modello
abitativo locale63.
62
Schiavo F., Abitare gli spazi di transizione? Dalla visione zenitale alla “conoscenza
percorso”: il caso di Marcon, in Caldura R. – Dragotto M. (a cura di), op. cit., pp. 127-
141.
63
Ivi.
69
3. «Tutto il mondo è paese, tranne Marcon, Gaggio e Dese»
«Tutto il mondo è paese tranne Marcon, Gaggio e Dese» è un vecchio detto
che evidenzia come da tempo questo paese venga considerato e si consideri
come una realtà particolare.
Soprattutto dagli anni settanta Marcon è divenuto meta di arrivo per molte
persone provenienti dai paesi limitrofi, spinte dal desiderio di vivere in un
luogo tranquillo dove era ancora possibile il contatto con la natura, ma allo
stesso tempo ben fornito e dal costo della vita non altissimo. Coloro che si
sono insediati a Marcon sono arrivati a flussi, a scaglioni, andando a creare una
struttura della comunità locale a più livelli: i marconesi originari, gli immigrati
attivati due/tre decenni fa, infine coloro che sono arrivati negli ultimi
cinque/dieci anni.
Questo processo ha comportato due conseguenze importanti per la
tradizionale popolazione locale. In primo luogo veder mutare drasticamente il
paesaggio in base ad una realizzazione notevole di infrastrutture stradali,
abitazioni e servizi; in secondo luogo il relazionarsi con persone di
provenienza e stili di vita differenti. Tali dinamiche, normali nel cammino di
un paese che cresce, non sono però scontate per i suoi abitanti, tanto da porre
perfio in questione il nome stesso del paese.
Questi due aspetti sono vissuti dalla popolazione locale in modo differente,
a seconda delle provenienze e appartenenze. Gli “autoctoni” (storici, per dir
così) ritengono essenzialmente negativa la trasformazione di Marcon, in modo
particolare il boom edilizio e l’incremento della circolazione di auto e camion.
Se un tempo Marcon era un’isola verde accanto a una città grigia, adesso gli
spazi naturali sono ridotti al minimo poiché non solo i campi destinati
all’agricoltura ma anche le aree verdi e i giardini privati vanno riducendosi. A
soffrire in misura minore l’evoluzione urbanistico-ambientale sono le persone
giunte di recente, cioè quando il territorio aveva già assunto i lineamenti di
cittadina, oppure perché provengono da cittadine più grandi e sono quindi
abituati a realtà di questo tipo; va detto comunque che il nuovo aspetto assunto
dal paese non piace nemmeno a un certo numero di persone trasferitesi a
Marcon perché si ritrovano a vivere in un contesto simile a quello da cui si
sono allontanate.
Nonostante il mutamento urbanistico-ambientale non piaccia molto ai
marconesi originari, che oltre a non riconoscersi più nel territorio non lo
conoscono nemmeno più, essi giudicano però positivamente lo sviluppo dei
servizi di cui si è fornito il paese, primo fra tutti il distretto socio-sanitario.
Per quello che concerne il processo di integrazione tra i diversi gruppi di
popolazione che si sono insediati nel tempo, l’accettazione dei nuovi venuti da
70
parte dei locali è stata sofferta, specialmente all’inizio, perché Marcon si
presentava come una realtà piuttosto chiusa. I primi arrivati hanno dovuto fare
una certa fatica per inserirsi nella comunità, anche se con il tempo sono riusciti
ad integrarsi, aiutati in questo anche dai flussi successivi, cui si sono
avvicinati, uniti dal senso di appartenenza a realtà e dinamiche simili,
agevolando nell’inserimento, a loro volta, gli ultimi arrivati. Ovviamente le
istituzioni comunali hanno accolto le persone giunte da fuori e non sono sorti
particolari problemi nella vita civile, tuttavia il nucleo originario oggi resta
ancora, in qualche modo, una realtà a sé stante; questa situazione non è
espressamente dichiarata ma la popolazione in un certo qual modo ne è
consapevole. Il proverbio citato in apertura di paragrafo ha ancora una sua
ragion d’essere…
4. Cinquant’anni di cambiamenti: demografia, economia, famiglia,
casa.
I grandi cambiamenti che hanno interessato Marcon si comprendono bene
se osservati dal punto di vista demografico. All’1.1.2005 il numero dei
residenti ammontava a 12.904 unità (6.483 femmine e 6.421 maschi), di cui
365 di origine straniera (una presenza, questa, assai inferiore alla media del
Veneto). Un terzo della popolazione risultava concentrato nella fascia d’età 26-
44 anni, che contava 4.311 unità.
Degno di nota è il rapporto tra popolazione giovane (25%) e popolazione
anziana (13%). Sebbene, infatti, anche Marcon non sia estraneo al generale
processo di invecchiamento della popolazione, il paese si trova in una
condizione migliore rispetto ad altre realtà.
Tab. 1 – Marcon: residenti all’1.1.2005 divisi per macro-fasce d’età.
Fascia d’età F M Totale e v. %
Giovani (0-25 anni) 1.572 1.591 3.163 (25%)
Adulti (26-64 anni) 3.964 4.067 8.031 (62%)
Terza e quarta età (oltre 65 anni) 947 763 1.710 (13%)
Fonte: Istat.
Come si può notare dalla tabella sottostante, e in modo più dettagliato dalla
tabella I posta in appendice, l’andamento demografico mette in luce una
crescita costante della popolazione, con una punta massima avvenuta nel
71
decennio 1971-1981 (+65.6%), legata all’industrializzazione di Marcon che in
quel decennio aveva visto quadruplicare gli addetti alle attività extra-agricole.
Dagli anni novanta prende il via una fase meno dinamica dell’andamento
demografico; tuttavia Marcon continua a vivere un moderato ma costante
aumento della popolazione, confermando lo sviluppo dei comuni situati ad est
della provincia; un andamento che, seppur lento, non si è ancora arrestato. Le
dinamiche determinatesi nella distribuzione della popolazione hanno
contribuito alla relativa saturazione dei comuni centrali della cintura di
Venezia, con la conseguente crescita dei prezzi di residenza. La parziale
congestione dell’area ha indotto quindi la popolazione a spostarsi verso nord-
est, là dove le politiche dei Comuni in campo residenziale hanno consentito
un’offerta abitativa a costi minori.
A questo elemento vanno poi aggiunti altri fattori che hanno attratto
lavoratori e famiglie a Marcon e che sono alla base dell’incremento
demografico: una consistente struttura industriale di tipo manifatturiero e
terziaria, fortemente connessa al sistema infrastrutturale (soprattutto quello
autostradale), che la rende funzionale non solo alla domanda locale ma anche
ad accogliere processi insediativi di scala sovra-comunale; il carattere bipolare
dell’ambiente che permette di vivere in un contesto fortemente urbanizzato ma
allo stesso tempo di godere di un paesaggio in parte ancora rurale; la possibilità
di avere una casa di buone dimensioni, contornata da giardino e/o orto, ad un
prezzo relativamente accessibile.
Tab. 2 - Marcon: evoluzione della popolazione: periodo 1971-2001.
Censimento Popolazione residente
1971 4.905
1981 8.122
1991 10.551
2001 12.199
Fonte: Istat.
L’evoluzione della popolazione non è avvenuta solo in termini di crescita,
ma anche in termini di mutamento della sua struttura. Considerando il periodo
1981-1991, l’indice di invecchiamento, per esempio, è aumentato di 24,7 punti;
la media del tasso di natalità, considerando gli anni dal 2002 al 2005, si è
assestato all’1,05.
L’invecchiamento della popolazione ha portato negli ultimi quindici anni ad
una concentrazione della popolazione anzitutto nell’età adulta e poi in quella
anziana, con un netto calo nelle coorti più giovani. Va tuttavia segnalato che il
72
tasso di natalità annuo nel periodo 2002-2005 segue un andamento crescente e
che il numero dei nuovi nati supera quello dei deceduti con un saldo naturale
medio di 57,7. Tale fenomeno è dovuto solo in minima parte all’apporto degli
immigrati stranieri, che costituiscono una componente minima della
popolazione totale (2.8% nel 2005); pare invece attribuibile ad una
popolazione relativamente giovane proveniente dai paesi limitrofi dove è
rilevante l’apporto di famiglie di recente formazione e pertanto in età prolifica.
Tab. 3 – Popolazione residente (n. e %) divisa per classi d’età: Censimenti 1991 e 2001.
Fascia d’età 1991 2001
0-29 anni 4.411 (42%) 3.966 (32%)
30-64 anni 5.213 (49%) 6.797 (56%)
65-oltre anni 927 (9%) 1.436 (12%)
Fonte: Istat.
Per quanto riguarda i cambiamenti che hanno interessato la famiglia, si è
assistito ad un aumento dei nuclei familiari, passati dalle 3.317 unità del 1991
alle 4.319 del 2001. Tale crescita è attribuibile in parte all’immigrazione
interna, e in parte alla scomposizione delle famiglie numerose in nuclei più
piccoli. Le famiglie con 1-2 componenti sono passate da 1.027 a 1.783 unità;
quelle con 3-4 componenti da 1.891 a 2.243 unità; quelle con 5 e più
componenti da 399 a 293 unità.
In riferimento ai tipi di nucleo familiare, dall’ultimo censimento si ricava la
seguente situazione: 1.063 coppie senza figli; 2.300 coppie con figli; 276
nuclei costituiti da madre con figli e 63 da padre con figli.
La tabella sottostante mostra la situazione relativa al livello di istruzione.
Come si può osservare, anche Marcon segue la tendenza generale a proseguire
la formazione scolastica nella scuola media superiore e ad intraprendere il
percorso universitario; nell’incremento della presenza di titoli di studio medio-
alti è da tenere in considerazione l’apporto dell’immigrazione interna.
Tab. 4 – Istruzione: Censimenti 1991 e 2001.
Censimento Laurea Diploma Media Elementare Alfabeta Analfabeta
senza titolo
1991 144 1752 3812 3186 1056 46
2001 512 3454 3698 2900 888 27
Fonte: Istat.
73
Anche dal punto di vista della struttura economico-produttiva il comune di
Marcon ha subìto negli ultimi decenni delle grandi trasformazioni: in
cinquant’anni è passato dalla prevalenza dell’agricoltura a quella dell’industria,
e da questa alla crescente presenza del terziario e dell’economia dei servizi.
Nel 1951 il settore primario vedeva occupato il 60% della popolazione; solo
vent’anni più tardi questa percentuale era crollata al 10%, per ridursi
addirittura all’1.6% nel 2001. L’industria ha visto il suo sviluppo negli anni
sessanta e settanta grazie all’insediamento di attività prevalentemente
manifatturiere, che hanno fatto di Marcon un importante caso di sviluppo
industriale strutturato della provincia di Venezia. Lo stesso periodo ha visto
inoltre una buona crescita del settore delle costruzioni, poi in parte
ridimensionatosi. La forte espansione del settore industriale negli anni
successivi si è gradatamente redistribuita a vantaggio del terziario e dei servizi,
oggi prevalenti.
Queste dinamiche sono proseguite negli anni successivi: nel periodo 1981-
1991, ad esempio, la variazione per settore di attività ha visto la contrazione
del settore primario (-9.6%), la crescita relativa del settore industriale
(+15,4%) e l’aumento deciso del terziario (+73,9% nel commercio e +114%
nella p.a. e nei servizi). Nel decennio successivo il terziario ha continuato ad
avere un ruolo da protagonista (con un incremento della rete commerciale
dell’82% e del 112% dei suoi addetti), parallelamente alla costante discesa del
comparto agricolo e ad una certa diminuzione di quello industriale.
Tab. 5 – Occupati per sezione di attività economica: Censimenti 1991 e 2001.
Censimento Agricoltura Industria Commercio P.A. e
Servizi
1991 113 2.037 981 1.627
2001 95 1.895 1.400 2.298*
Fonte: Istat. * = Comprende trasporti e comunicazioni, credito e assicurazioni, servizi alle imprese,
noleggio, altre attività.
Nel complesso Marcon ha continuato a svilupparsi anche nel periodo 1991-
2001, in controtendenza rispetto alla maggior parte dei comuni della provincia.
Grazie alle tabelle 6 e 7 è possibile analizzare nel dettaglio il cambiamento
avvenuto in questi dieci anni. Alla fine del 1991 le imprese presenti nel
territorio comunale erano 724, per un totale di 3.965 addetti; nel decennio
successivo le imprese sono risultate essere 1.039, con 5.716 addetti,
realizzando un incremento del numero di imprese pari al 43,5%, e
74
dell’occupazione pari al 43,9%. Se, come si poteva supporre, il terziario, ed in
particolare il commercio al dettaglio, risulta essere il settore che è cresciuto di
più, la novità assoluta riguarda l’incremento delle attività e degli addetti nei
settori dell’informatica (sviluppo del software in particolare) e del trasporto di
persone e di merci, e ciò per la presenza nel territorio marconese di importanti
aziende operanti nel settore aereo e delle spedizioni.
Si conferma al primo posto per numero di attività, comunque, il settore
metalmeccanico, inserito però in un trend che registra un rallentamento di
quest’attività, così come quella del legno, che indica una certa trasformazione
della vocazione del territorio marconese.
Tab. 6 – Attività economiche e addetti: Censimento 1991.
Attività economica esclusiva o prevalente n. attività n. addetti
Attività metalmeccaniche 67 993
Commercio al dettaglio 113 452
Tessile, abbigliamento, calzature 31 308
Chimica 39 270
Attività del legno (falegnam. e prod. mobili) 17 240
Attività edili e affini 81 220
Attività dell’informatica 12 191
Attività diverse di servizi 27 188
Istruzione (scuole pubbl. e private) 11 138
Trasporti di persone e merci 43 124
Pubblica Amministrazione 3 119
Installazione di impianti 33 117
Attività dell’alimentazione 13 89
Liberi professionisti 39 69
Attività di produzione diverse 16 68
Autoriparazioni 18 68
Agenti e intermediari di commercio 53 49
Arti grafiche, agenzie di stampa e giornalismo 11 43
Attività della ristorazione 16 40
Banche e attività finanziarie 4 34
Commercio all’ingrosso 5 29
Vetro 6 27
Acconciatura ed estetica 14 21
Medici 11 18
Pulisecco e stirerie 5 11
Servizi di pulizia 6 11
Associazioni 19 10
Attività immobiliari 6 9
Agenzie di assicurazione 4 5
Alberghi e motel (senza ristorazione) 1 4
Attività dello spettacolo 0 0
Totali 724 3.965
Fonte: Istat.
75
Le unità operative aziendali registrate nel 2001 sono state 1.039, che
complessivamente danno lavoro a quasi 6.000 persone se si considerano anche
i collaboratori occasionali che giornalmente vengono impegnati nelle attività
lavorative del paese. Da sottolineare che dei 5.716 addetti registrati nel 2001,
1.174 sono titolari o soci, mentre il totale dei dipendenti risulta essere pari a
4.542 unità, di cui 2.172 di sesso femminile, cioè quasi il 48% del totale.
Tab. 7 – Attività economiche e addetti: Censimento 2001.
Attività economica esclusiva o prevalente n. attività n. titolari Dipendenti* Tot. *di cui
e soci addetti femmine
Commercio al dettaglio 54 159 704 863 548
Attività metalmeccaniche 89 101 719 820 131
Trasporti di persone e merci 67 101 503 604 298
Chimica 17 9 348 357 72
Commercio all’ingrosso 49 61 264 325 108
Attività dell’informatica 32 36 286 322 119
Vetro 35 33 214 247 72
Attività diverse di servizi 49 38 176 214 38
Attività del legno (falegn. e prod. mobili) 34 47 163 210 47
Tessile, abbigliamento, calzature 22 25 152 177 125
Istruzione (scuole pubbl. e private) 12 4 171 175 144
Attività della ristorazione 32 50 119 169 81
Attività edili e affini 68 89 77 166 17
Attività dell’alimentazione 15 20 90 110 61
Agenti e intermediari di commercio 77 89 16 105 15
Pubblica Amministrazione 3 15 88 103 47
Liberi professionisti 62 69 28 97 22
Installazione di impianti 34 46 48 94 10
Servizi di pulizia 9 9 67 76 51
Autoriparazioni 21 35 40 75 10
Attività immobiliari 41 46 17 63 12
Banche e attività finanziarie 6 0 60 60 26
Attività di produzione diverse 12 13 44 57 23
Acconciatura ed estetica 23 25 28 53 28
Pulisecco e stirerie 7 8 45 53 35
Arti grafiche, agenzie di stampa e giorn. 16 19 25 44 6
Attività dello spettacolo 1 0 32 32 16
Medici 15 12 10 22 8
Associazioni 31 8 4 12 0
Alberghi e motel (senza ristorazione) 1 4 2 6 1
Agenzie di assicurazione 5 3 2 5 1
Totali 1.039 1.174 4.542 5.716 2.172
Fonte: Istat.
76
Per quanto riguarda la dimensione delle imprese, anche a Marcon, come nel
resto della regione, ci troviamo in presenza di aziende medio-piccole, di
carattere prevalentemente artigianale. Solo 8 aziende superano i cento
dipendenti, occupando 1.330 lavoratori, pari al 29,3%; altre 17 aziende si
attestano fra i trenta e i cento dipendenti, per un totale di 800 lavoratori, pari al
17,6%; il restante 53,1% dei lavoratori è assunto invece presso un’azienda con
meno di trenta addetti.
L’azienda con più occupati (più di 530 dipendenti) opera nel settore del
commercio al minuto. A questa seguono una fra le più importanti compagnie
aeree del paese (più di 220 addetti) e un’azienda internazionale operante nel
settore del trasporto veloce di merci; due aziende operanti nel settore dello
sviluppo di software occupano insieme 175 dipendenti.
Le trasformazioni avvenute nei settori di impiego hanno prodotto dei
cambiamenti anche nelle posizioni professionali. La tabella seguente relativa al
2001 evidenzia una diversificazione delle posizioni, con un peso significativo
della figura del lavoratore in proprio, che rappresenta il 61% delle tipologie di
lavoratore autonomo.
Tab. 8 – Occupati per posizione nella professione: Censimento 2001.
Dipendente Imprenditore Lavoratore Socio Coadiuvante
Altra posiz. Libero in proprio cooperativa familiare
subordin. professionista
4431 331 762 82 82
Fonte: Istat.
Per quanto riguarda i lavoratori subordinati, dati recenti (del febbraio 2007)
forniti dal Centro per l’impiego di Mestre, mostrano la seguente ripartizione:
industria, 1.010 unità; commercio e servizi, 1.164 unità; turismo e settore
alberghiero, 420 unità; edilizia, 105 unità; agricoltura, 33 unità; altro, 804 unità
(totale 3.736).
L’evoluzione della struttura occupazionale ha corrisposto a delle variazioni
nei tassi di attività della popolazione residente che hanno interessato anzitutto
le donne e successivamente le fasce giovani, soprattutto gli studenti. Se il tasso
di attività complessivo nel 1991 era del 46.3%, il 4.7% in più rispetto al
decennio precedente, il tasso di attività femminile corrispondeva al 31.5%, il
7.1% in più rispetto al 1981. Il tasso di attività delle donne coniugate o
conviventi con figli al 1991 risultava essere del 12.8%. Nello stesso periodo la
forza lavoro con quindici anni e più è passata da 4.758 a 5.688 unità, mentre la
non forza lavoro ha subìto una diminuzione da 5.660 a 4.602 unità ed era così
77
ripartita nei rispettivi periodi: studenti 1.886/671; casalinghe-i 2.074/1.903;
ritirati-e dal lavoro da 940/1.692; altra condizione 760/336.
L’incremento della popolazione ed i cambiamenti del territorio hanno
comportato un aumento di unità abitative. Nel periodo 1991-2001, per
esempio, si è passati da 3.315 a 4.310 unità. Sono abitazioni soprattutto di
proprietà, 3.740, pari a circa l’87%, in cui vivono 10.742 persone, mentre solo
920 risiedono in affitto nelle restanti 357 unità.
A Marcon la condizione abitativa è complessivamente buona, sia rispetto ai
servizi essenziali di cui sono fornite le case, sia rispetto allo spazio a
disposizione: 57 persone occupano 37 abitazioni con 1 stanza; 400 persone
abitano 236 unità con 2 stanze; 1.565 persone vivono in 660 abitazioni con 3
stanze; 3.521 persone occupano 1.302 abitazioni con 4 stanze; 3.805 persone
risiedono in 1.223 abitazioni con 5 stanze; 2.834 persone vivono in 852
abitazioni con 6 o più stanze.
Nel 2001, a fronte di 4.310 abitazioni e 12.182 residenti, erano presenti
477.310 mq di superficie (formalmente 39 mq per abitante).
Per quanto riguarda la tipologia insediativa, Marcon segue la tendenza
regionale che nell’ultimo decennio ha prodotto il fenomeno della “città
diffusa”: riduzione delle località classificate come case sparse, o perché la
popolazione si è orientata maggiormente verso i centri oppure perché questi
ultimi si sono ampliati conglobando nuclei abitati e case sparse.
L’evoluzione degli ultimi decenni vede il rapido e drastico passaggio della
popolazione marconese dalle case sparse ai centri abitati, con la concentrazione
maggiore di abitanti rispetto alla media provinciale, seconda solo a Venezia
(rispetto alla media provinciale Marcon dimostra comunque la tenuta maggiore
di abitanti nelle case sparse). Va però osservato che a questo fenomeno si
affianca la riduzione del numero dei centri, che sono passati dai cinque del
1951 ai quattro del 1971, per ridursi oggi a due (Marcon-Gaggio-Colmello e
San Liberale). La restante popolazione è distribuita nei due nuclei (Praello e
Zuccarello), sempre più ridotti, e in 251 edifici in case sparse.
5. La composizione sociale della popolazione anziana
La struttura generazionale della popolazione marconese si può considerare,
rispetto alla media nazionale, relativamente giovane. Al suo interno gli anziani
costituiscono infatti il 15.3% della popolazione (al 1° gennaio 2007), di cui
l’8.5% femmine e il 6.8% maschi.
78
Tab. 9 – Ultrasessantacinquenni divisi per sesso e stato civile all’1.1.2005.
Fascia Celibe Nubile Coniugato-a Divorziato-a Vedovo-a Tot.
d’età M F M F M F M F
65-69 18 11 297 224 4 3 18 74 649
70-74 10 4 164 122 2 1 16 90 409
75-79 4 6 100 70 0 0 15 118 313
80 e oltre 3 11 75 37 1 2 26 254 409
90 e oltre 1 2 6 1 0 0 3 35 48
Totale 36 34 642 454 7 78 571 1.828
Fonte: Istat.
La popolazione anziana è composta prevalentemente da ex-contadini ed ex-
operai, in larga parte persone originarie del posto ma anche da lavoratori giunti
negli anni settanta e invecchiati a Marcon. Si tratta di persone piuttosto
presenti nella comunità, e questo perché solo un numero ristretto di anziani è
portatore di bisogni complessi dal punto di vista socio-sanitario – e comunque
nei casi di anziani ammalati con una ridotta autosufficienza la tendenza è che
sia la famiglia a farsene carico, tenendoli in casa e offrendo le cure necessarie
attraverso l’aiuto di un’assistente famigliare.
La partecipazione degli anziani alle iniziative loro rivolte (feste, gite e
soggiorni climatici, incontri culturali e di natura informativa) risulta essere
significativa. Sono soprattutto i momenti ricreativi e l’impegno all’interno
delle associazioni e del volontariato ad attirare il maggior numero di persone,
anche se si tratta di un atteggiamento recente; le proposte culturali, invece,
vedono una partecipazione più ristretta, probabilmente perché questi momenti
riescono a coinvolgere solo le persone direttamente interessate all’argomento
specifico.
A Marcon il numero delle associazioni è elevato. I gruppi sono circa
sessanta, un terzo svolge attività di carattere sportivo, il resto in quasi ugual
misura attività di carattere culturale o sociale. L’alto numero di associazioni
rispecchia l’impegno della popolazione locale nel terzo settore; ciò vale sia per
le diverse fasce d’età che per i vari gruppi che nel tempo si sono insediati nel
territorio, anche se l’impegno dei marconesi originari o degli immigrati giunti
venti-trent’anni fa risulta maggiore rispetto a quello delle persone residenti da
cinque-dieci anni, probabilmente perché sentono in maniera più forte il legame
con il paese e perché nel tempo hanno avuto la possibilità di sviluppare una
rete amicale che ha funto da stimolo per una più intensa partecipazione alle
iniziative del territorio. Tuttavia talvolta il desiderio di impegnare il proprio
tempo libero in gruppi associativi viene accantonato a causa della necessità di
impegnarsi in un’attività lavorativa remunerata; chi ha maggiori disponibilità
79
economiche riesce ad impegnarsi di più, mentre molti sono costretti a
capitolare, a ridurre l’impegno o ripiegare su attività di volontariato differenti.
La numerosità dei gruppi e la molteplicità di proposte che offre il territorio
di Marcon comporta a volte un numero ridotto di presenze alle singole
iniziative e all’attività ordinaria delle singole associazioni da un lato e una
certa frammentazione dall’altro; iniziative più coordinate e gruppi più
frequentati riuscirebbero ad incidere di più nel territorio. Un altro problema è
la scarsa e difficile comunicazione tra i gruppi, con la conseguenza che risulta
difficile creare delle reti sociali territoriali che coinvolgano ampie fette di
popolazione.
Per quanto concerne gli anziani vi è una partecipazione alle associazioni e
ai gruppi di volontariato abbastanza significativa, anche se inferiore rispetto al
potenziale esistente. Ciò dipende, oltre che da motivi e da scelte personali, dal
fatto che molto spesso gli anziani sono impegnati individualmente in attività di
sostegno e cura rivolte a parenti o a vicini di casa. Le associazioni in cui si
impegnano gli anziani di Marcon sono, nella maggioranza dei casi, quelle
aventi fini sociali, in cui si dona il proprio servizio ed il proprio tempo. Un
certo numero di anziani segue abitualmente le iniziative promosse dalla
parrocchia, che a Marcon è un punto di riferimento ancora importante. In essa
è presente un gruppo di volontari anziani che visitano propri coetanei che per
necessità di salute, o per carattere, trascorrono le giornate in casa.
La percezione che gli anziani attivi hanno di questo tempo dedicato agli
altri è che si tratti di tempo libero, magari un tempo di impegno, ma che non
viene considerato “tempo produttivo”. Questo tipo di valutazione fa
comprendere come per la popolazione anziana il concetto di “tempo
produttivo” venga collegato unicamente ad un’attività produttiva remunerata.
Al contrario, il tempo occupato da passioni verso attività di volontariato è
considerato semplicemente come tempo libero che si è scelto di spendere
secondo le proprie inclinazioni e possibilità, ancorché si tratti di un tempo
socialmente assai “produttivo”.
Quale relazione instaurano gli anziani con il gruppo di cui fanno parte? E’
una relazione biunivoca? Sono considerati per quello che danno o per quello
che sono? Sulla base della nostra indagine si può affermare che le associazioni
conoscono bene i loro membri e la loro vita, probabilmente anche perché non
sono molti: quindi, l’associazione “coincide” con i suoi stessi componenti. Non
risulta esserci attualmente l’esigenza di costituire nuove associazioni per gli
anziani, semmai si avverte il bisogno di nuove attività da proporre nei centri di
aggregazione già presenti sì da attivare gli anziani che li frequentano e
arricchire loro stessi e il territorio, in particolare nel Centro anziani e nella
parrocchia di San Liberale – la frazione più carente in servizi e iniziative.
80
La decisione di impegnare il proprio tempo in gruppi associativi è solo una
delle due possibilità prese in considerazione dagli anziani marconesi. L’altra è
rappresentata dall’impegno nel lavoro produttivo, che occupa il tempo di un
certo numero di persone, anche se tale numero è difficilmente quantificabile –
sia perché si tratta di attività che appartengono all’economia sommersa sia
perché chi le svolge preferisce non rendere nota la propria scelta. Nella
maggior parte dei casi questa scelta si deve al bisogno di integrare una
pensione modesta o addirittura insufficiente per vivere; un altro motivo che
riporta gli anziani sulla strada del lavoro è che ciò dà loro la possibilità di
aiutare i figli e i nipoti finanziariamente o praticamente; vi è anche qualcuno
che continua ad impegnarsi nel lavoro per il mercato poiché, avendo sempre
centrato tutta la propria vita attorno all’attività lavorativa, non riesce a fare
altro.
Il significato che viene ad assumere l’attività svolta cambia a seconda delle
motivazioni e dei bisogni di fondo. Chi continua a lavorare per sopravvivere lo
considera come una necessità, una costrizione; mentre negli altri casi il lavoro
è vissuto prevalentemente come un impegno che un po’ è un riempitivo e un
po’ dà senso alla propria esistenza. L’impegno in qualche attività lavorativa
consente al corpo di rimanere attivo e alla mente di restare vigile; non conta di
quale attività si tratti, hobby e lavori remunerati in un certo senso si
equivalgono, e per questa ragione anche il lavoro nella sua accezione
produttiva risulta uno strumento per la socializzazione dell’anziano. Di norma
gli anziani che continuano a lavorare sono coloro che svolgevano un’attività in
proprio, mentre i lavoratori subordinati proseguono con più difficoltà. Tale
tendenza fa sì che si continuino a svolgere le attività di un tempo, le arti e i
mestieri acquisiti da giovani e svolte fino al pensionamento. Proseguire
l’attività precedente, talvolta trasmessa ai discendenti, facilita la permanenza
nel lavoro, mentre iniziare un nuovo percorso risulta più problematico.
Se dopo il pensionamento una parte consistente di uomini considerano la
possibilità di rimanere ancora impiegati in attività lavorative remunerate
(lavoro per il mercato), per lo più le donne continuano ad essere impegnate, e
spesso più di prima, nel lavoro di cura, domestico e di servizio. In passato le
marconesi anziane avevano svolto mansioni casalinghe e difficilmente avevano
avuto la possibilità di lavorare fuori di casa; oggi sono più impegnate di ieri
perché se è frequente che i loro mariti diano una mano ai figli sul piano
economico, esse si occupano invece della cura dei nipoti, di alcune faccende
domestiche per le figlie o per le nuore, del governo della propria casa, della
alla cura di sé e del marito, a volte della cura dei genitori ultraottantenni, dei
grandi anziani.
81
Il notevole impegno richiesto in famiglia alle donne fa sì che una fetta di
loro non possa dedicarsi ad alcuna attività fuori casa, per una mancanza di
tempo e di energie; pertanto è più facile trovare che nei vari gruppi e
associazioni siano presenti donne i cui figli, nel formare una propria famiglia,
si sono trasferiti in un altro paese.
Tra le attività esistenti una buona parte di donne sceglie quelle della
parrocchia, come ad esempio l’incontro del giovedì pomeriggio finalizzato alla
realizzazione di oggetti da vendere nei mercatini, oppure “Proposta estate”. Un
numero più circoscritto è impegnato, oltre a ciò, anche in altri gruppi. Le donne
che si ritrovano al Centro anziani per giocare a carte sono circa trenta/quaranta;
a differenza di quando si gioca a carte, durante le feste organizzate presso il
Centro anziani uomini e donne stanno insieme. Per le donne che frequentano il
Centro anziani questo rappresenta l’unico svago, perché economicamente poco
dispendioso e vicino a casa. Alcune donne che frequentano il Centro anziani si
dedicano anche ad attività di volontariato, ma difficilmente fanno parte di
associazioni perché ciò richiede più tempo ed un impegno più strutturato, e
questo non sempre è facile da coordinare con altri impegni.
Se le donne anziane tendono ad uscire e a incontrarsi con le proprie ed i
propri coetanei meno di frequente degli uomini, questo non implica affatto che
per loro esistano difficoltà di socializzazione; al contrario, oggi sono più mobili
di un tempo quando vigevano forti divieti e diversi impedimenti ad attività
estranee al binomio casa-chiesa.
Un altro cambiamento importante è quello avvenuto nei ruoli degli uomini
anziani. Anche se la tendenza prevalente, come abbiamo visto, è che gli uomini
si dedichino ad attività produttive, mentre le donne ai lavori di casa e di cura,
l’attività di nonno impegna entrambi in una misura quasi eguale, portando
l’uomo anziano ad avvicinarsi alla vita domestica più di quanto non facesse un
tempo e a dedicarsi ai nipoti in misura maggiore di quanto facesse in passato
con i figli.
Da ultimo riportiamo alcuni dati emersi dalla ricerca che l’Amministrazione
comunale ha commissionato al Coses, di cui si è già parlato nel primo
paragrafo di questo capitolo. Durante l’indagine sono stati intervistati il 14.8%
(8.4% femmine e 6.4% maschi) di tutti gli anziani residenti. Ad essi è stato
chiesto di esprimere la propria opinione rispetto alla percezione del territorio e
alla qualità della vita, alle abitudini d’acquisto e al tempo libero.
In generale la differenza di giudizio tra popolazione femminile e maschile è
risultata molto ridotta. Gli intervistati si dicono sostanzialmente soddisfatti sia
della qualità del paesaggio urbano e del suo arredo, che di quello naturale e del
verde attrezzato. Sono invece molto critici nei confronti del trasporto pubblico,
82
che è al primo posto nell’elenco degli svantaggi indicati dal totale delle
persone contattate. La metà degli anziani dà un giudizio positivo sulla qualità
delle strutture per anziani, poco più di un quarto (28.3%) le giudica
negativamente, quasi un altro quarto non risponde. In riferimento ai quesiti
sulla conoscenza e il giudizio nei confronti dei nuovi progetti urbanistici
(strade, piazze, piste ciclabili e fermata della metropolitana di superficie), gli
anziani risultano informati principalmente sui progetti che interessano Marcon,
poco su quelli delle frazioni; larghissima parte degli anziani conosce il progetto
relativo alla futura fermata della metropolitana di superficie. Rispetto alla
questione delle abitudini d’acquisto, dall’indagine è emerso che circa tre quarti
degli anziani interpellati si reca a fare la spesa, sia quotidiana che settimanale,
mentre la loro percentuale si riduce a poco più della metà quando l’oggetto
della spesa sono gli elettrodomestici e i beni durevoli. Per gli acquisti
quotidiani la tendenza è quella a fare riferimento al negozio tradizionale in
ragione della vicinanza a casa, mentre per le altre due tipologie d’acquisto si
preferisce recarsi al supermercato, soprattutto per i prezzi e la possibilità di
scelta. Per la spesa quotidiana il mercato è menzionato solo dall’1.5% degli
anziani intervistati. Quanto ai capi d’abbigliamento, la maggior parte ha
indicato come luogo d’acquisto il supermercato, seguito dal negozio
tradizionale, mentre circa un quarto ha dichiarato di non avere preferenze.
Qualunque sia l’acquisto da effettuare, Marcon è il luogo principale in cui si
recano gli anziani, per ovvie ragioni di vicinanza e facile accessibilità. Ampio è
risultato il consenso degli anziani alla presenza e all’apertura dei centri
commerciali. In riferimento al tempo libero, ciò che occupa maggiormente gli
anziani è l’andare per negozi (26.1%), lo sport (23.9%), l’impegno civile
(16.3%), il ritrovarsi al bar (18.5%); almeno una volta al mese si reca dal
parrucchiere il 46.7% degli intervistati, va al cinema il 4.3% e a ballare il
3.3%. Come per gli acquisti, queste attività vengono svolte quasi
esclusivamente nel paese.
6. Le politiche sociali
I servizi e le prestazioni socio-assistenziali a disposizione della popolazione
anziana sono i seguenti: l’assistenza economica rivolta ai soggetti in difficoltà,
i contributi regionali a favore delle persone non autosufficienti assistite a
casa64, i contributi regionali per famiglie che assistono in casa persone con
64
La Legge Regionale n. 28 del 1991 prevede l’erogazione di contributi a favore di
persone prive di autonomia psichica o fisica che vivono nel normale domicilio e che
83
demenza o Alzheimer65, i contributi regionali alle famiglie che assistono con
assistenti famigliari66, l’assistenza domiciliare integrata67, i pasti caldi a
domicilio68, l’inserimento in strutture (casa protetta, RSA) o presso il centro
diurno (se gli anziani da inserire sono in particolari situazioni socio-
economiche possono usufruire di un contributo economico per le spese di
ricovero), il telecontrollo-telesoccorso69, i soggiorni estivi per anziani70.
Della spesa sociale complessiva, i finanziamenti erogati per i servizi e le
attività destinate alla terza età sono circa un terzo; i fondi sono aumentati nel
2004, per poi diminuire l’anno seguente. Quanto alla spesa a favore degli
anziani, con riferimento ai fondi totali messi a disposizione del Servizio
Sociale, la percentuale risulta in continua diminuzione; dal 40% del 2003, al
38% del 2003, al 32% del 2005. La voce a cui sono destinati più fondi è quella
relativa all’assistenza domiciliare integrata (91.870 euro nel 2003, 118.000 nel
2004, 115.000 nel 2005), seguita da quella relativa al sostegno delle rette delle
case di riposo (che sono andate diminuendo: 38.020 euro nel 2003, 35.198 nel
2004, 32.000 nel 2005), dal rimborso delle attività svolte dalla Croce Verde
(11.383 euro nel 2003, 11.250 nel 2004, 11.945 nel 2005), dai fondi destinati
all’associazione “TreA” (6.472 euro nel 2003, 8.500 nel 2004, 7.500 nel 2005),
ricevono le prestazioni di cui hanno bisogno da parte di parenti, vicini e servizi
pubblici.
65
L’amministrazione comunale, tramite la Legge Regionale n. 5 del 2001, effettua
l’istruttoria per l’erogazione di contributi per l’assistenza di persone con gravi disturbi
comportamentali affette dal morbo di Alzheimer, o da altri gravi demenze.
66
L’amministrazione comunale provvede ad effettuare l’istruttoria al fine di erogare i
contributi regionali alle famiglie che assistono in casa persone non autosufficienti con
l’ausilio di assistenti familiari.
67
Il servizio assiste anziani con ridotta autonomia, o invalidi, presso il proprio
domicilio con operatrici socio-assistenziali, in alcuni casi in integrazione col servizio
infermieristico. La finalità è di mantenere la persona anziana nel proprio ambito
familiare e sociale e garantirgli al contempo le cure necessarie, offrendo così sostegno
ai familiari. Il servizio prevede una quota di contribuzione da parte delle famiglie,
disciplinata da apposito atto comunale e relativa al tipo di intervento effettuato.
68
Il servizio, gestito dalla ditta Mo.Se., recapita a domicilio di un pasto caldo ed è stato
attivato in fase sperimentale dal gennaio 2005. Il servizio è gratuito, o pagato,
interamente o solo in parte, a seconda del reddito annuo ISEE.
69
L’amministrazione comunale effettua l’istruttoria per accedere al servizio istituito
dalla Regione Veneto, che si configura come una possibilità di risposta urgente a
persone anziane considerate a rischio per le loro particolari condizioni di salute o di
isolamento. Il servizio è gratuito ed è attivo 24 ore su 24.
70
L’Amministrazione comunale organizza nel periodo estivo soggiorni climatici
destinate ad anziani, provvedendo all’erogazione di un contributo per il sostegno del
costo della vacanza destinato agli utenti con ISEE ridotto.
84
ed infine dalla voce di spesa per i soggiorni climatici (4.335 euro nel 2003,
1.693 nel 2004, 3.500 nel 2005).
In conclusione, Marcon segue la direzione presa da gran parte delle
amministrazioni comunali in materia di politiche sociali, sia nella tipologia di
risposte assistenziali (servizi presenti e loro erogazione), sia nella contrazione
delle spese. È probabile che il territorio, grazie alla condizione privilegiata di
cui gode oggi in termini di prese in carico da parte dei Servizi Sociali, di reti di
supporto e di presenza associativa, riesca a controbilanciare i tagli, ma resta un
punto da verificare. Perché questo possa avvenire Marcon dovrà coltivare la
ricchezza del proprio territorio, in modo da imparare ad offrire attraverso
questa, nelle sue varie forme, risposte personalizzate e stimolanti l’attivazione.
Tab. 11 – Consuntivi bilanci settore sociale 2003-2005.
Anno Al 31.12.2003 Al 31.12.2004 Al 31.12.2005
Area disabilità: 73.970 118.280 184.000
Attività natatoria, inserimenti presso
CEOD, rette per inserimento in gruppi
appartamento, trasporti, contributi per
ausili, inserimenti estivi
Sostegno alle rette:
anziani 38.020 35.198 32.000
minori e adulti in difficoltà 28.500 53.000 48.800
Associazioni:
TreA 6.472 8.500 7.500
Croce Verde 11.383 11.250 11.945
Contributi soggiorni climatici 4.335 1.693 3.500
Minimo vitale e contributi straordinari 47.500 67.800 69.000
Assistenza domiciliare 91.870 118.000 115.000
Contributi Azienda Ulss 12 36.150 20.000 20.000
Progetto giovani 12.820 2.000 9.700
Contributi asili nido 10.330 15.000 14.550
Emergenza abitativa e fondo sociale 14.535 7.660 17.070
Ater
Totale 375.885 458.381 530.065
Totale area anziani 152.080 174.641 169.945
40% 38% 32%
Fonte: Ufficio Servizio Sociale-Comune di Marcon. Ns elaborazione.
7. La relazione tra anziani e territorio
Nel primo paragrafo è stato evidenziato come la popolazione abbia vissuto
l’evoluzione del paese e come si sia relazionata con i nuovi arrivati insediatisi
85
nel tempo. Questi risultati esprimono anche quella che è la visione della fascia
degli anziani, dato che i residenti originari che hanno vissuto la trasformazione
del paese sono le persone che oggi fanno parte della terza età. Da qui si è
cercato di entrare più nello specifico, cercando di capire quale rapporto gli
anziani instaurino con il territorio, quali sono le strutture a cui essi si
avvicinano e che tipo di relazione mettono in atto.
È emerso che le principali organizzazioni con cui si confrontano
maggiormente gli anziani sono l’amministrazione comunale, la parrocchia, la
scuola, il sindacato pensionati ed il Centro culturale. Rispetto al primo gli
anziani hanno una certa familiarità con le strutture del Comune che non
sentono come una realtà distante. La parrocchia è un centro di aggregazione
fondamentale, attraverso i momenti liturgici, ludici, e gli incontri e le attività
che vi sono organizzate. La scuola organizza delle lezioni sulla storia del paese
che vedono anche la partecipazione degli anziani. A Marcon sono proprio la
scuola e la parrocchia i principali luoghi in cui avviene l’incontro tra i vecchi e
i nuovi residenti. Il sindacato pensionati svolge un lavoro considerevole, specie
attraverso l’organizzazione di eventi a carattere informativo e l’offerta di
servizi destinati agli anziani. Il Centro culturale è la sede dove si svolgono la
gran parte degli eventi a carattere culturale, informativo-formativo, ed è anche
un soggetto che promuove o collabora a molte iniziative. Si tratta di uno spazio
alternativo di svago rispetto al Centro anziani ed è un’ulteriore possibilità tra
quelle presenti nel territorio. Il Centro anziani è una realtà aggregativa
destinata in modo specifico alla socializzazione degli anziani. Nel quotidiano
viene gestito dagli anziani stessi attraverso turnazioni, e offre varie possibilità,
dal gioco delle carte al gioco delle bocce, dalla lettura del giornale al servizio
bar; inoltre svolge un’importante funzione di punto di ritrovo per gli anziani
che si dedicano anche ad altre attività.
7.1 L’auto-attivazione degli anziani
Il territorio di Marcon si presenta molto ricco di espressioni associative; ma
bisogna evitare generalizzazioni semplicistiche, nel senso che se le proposte
sono calate dall’alto, e non trovano tra la popolazione un certo grado di
compartecipazione, non possiamo ritenere il territorio “attivo” in senso stretto,
semmai “partecipante”.
La nostra indagine mette in luce che a Marcon le attività destinate agli
anziani sorgono sulla spinta di organizzazioni interessate al tema dell’anzianità
– in particolare dall’associazione “TreA” – e per volontà dell’Amministrazione
comunale che demanda ai gruppi la progettazione che in seguito finanzia. Sono
86
sorti in questo modo vari corsi di formazione, tra cui quello di inglese, di
informatica e di ginnastica dolce. L’associazione “TreA”, cui si accennava, è
un’organizzazione nata di recente dall’unione delle associazioni del posto
impegnate nell’ambito della terza età. Ciò che la distingue rispetto alle altre
associazioni del territorio, è che indirizza le proprie attività esclusivamente alla
popolazione anziana mentre le altre si rivolgono all’intera comunità. Tale
unione è stata suggerita e sostenuta dall’Amministrazione comunale per avere
un unico referente nelle politiche rivolte agli anziani, per evitare la dispersione
dei finanziamenti, per favorire la realizzazione di progetti condivisi e sostenuti
da un consenso ampio. Questa associazione gestisce – su finanziamento
dell’Amministrazione comunale – il Centro anziani (sorto sulla spinta dei
sindacati del posto e della gente), organizza la Festa dell’anziano e una serie di
gite socio-culturali.
Per quanto concerne le esigenze e le proposte che potrebbero trasformarsi in
impegni da assumere in futuro per favorire l’auto-attivazione degli anziani,
complessivamente emerge una generale soddisfazione per quanto è presente
nel territorio; gli anziani dispongono di possibilità e di mezzi per potersi
impegnare, mentre alcuni ostacoli consistono nelle resistenze personali a voler
creare una rete di relazioni. In questo senso appare opportuno coinvolgere
maggiormente le fasce dei giovani e degli adulti per sviluppare relazioni
intergenerazionali e per avvalersi anche materialmente di chi ha più energie;
unire vecchi e nuovi residenti per creare un senso di appartenenza, un’identità
collettiva come base di partenza dell’attivazione; impegnarsi per re-includere
gli anziani autoctoni o da lungo residenti nel comune nella nuova Marcon,
nella Marcon di oggi, poiché possono essere tentati ad isolarsi a causa di un
sentimento di estraneità rispetto alla nuova dimensione assunta dal paese.
87
Appendice al capitolo 4 – “Marcon”
Tab. I – Popolazione residente all’1.1 divisa per sesso.
Anno F M Totale
1982 3.992 4.101 8.093
1983 4.113 4.192 8.305
1984 4.211 4.264 8.475
1985 4.339 4.366 8.705
1986 4.520 4.502 9.022
1987 4.678 4.662 9.340
1988 4.840 4.796 9.636
1989 5.011 4.915 9.926
1990 5.129 5.039 10.168
1991 5.254 5.143 10.397
1992 5.373 5.241 10.614
1993 5.470 5.370 10.840
1994 5.530 5.447 10.977
1995 5.607 5.530 11.137
1996 5.661 5.587 11.248
1997 5.748 5.664 11.412
1998 5.839 5.781 11.620
1999 5.900 5.841 11.741
2000 5.988 5.949 11.937
2001 6.051 6.018 12.069
2002 6.112 6.080 12.192
2003 6.194 6..152 12.346
2004 6.311 6.241 12.552
2005 6.483 6.421 12.904
2006 6.782 6.705 13.487
2007 / / 13.752
Fonte: Istat.
88
89
5. Gli anziani a Quarto d’Altino
1. Caratteri, tendenze e fattori del cambiamento di Quarto d’Altino
Anche Quarto d’Altino è stata ed è interessata da una serie di processi che
fanno parte di più ampie tendenze di carattere regionale, nazionale, se non
globale. Negli ultimi vent’anni è cresciuta nelle dimensioni (popolazione, area
edificata); è cambiata nella struttura economico-produttiva con il passaggio
repentino dal settore agricolo al terziario e l’aumento dell’occupazione
femminile; è mutata nella struttura famigliare con il ridimensionamento
dell’estensione dei nuclei famigliari, la pluralizzazione delle forme famigliari e
l’invecchiamento della popolazione; è cambiata nella struttura urbanistica con
il decremento dei nuclei abitativi e delle case sparse a favore dei centri abitati;
è interessata dall’arrivo di popolazione di origine straniera.
All’interno di questo quadro comune sono presenti alcuni elementi che
definiscono la specificità del contesto locale: un’immigrazione interna
consistente, proveniente dalle aree urbane di Venezia, Mestre, Treviso; una
posizione strategica, essendo il paese situato su importanti assi di
comunicazione71; un forte sviluppo del settore delle costruzioni e dell’attività
edilizia; un rapporto con le attività economico-sociali del territorio provinciale
che le ha assegnato il doppio ruolo di paese dormitorio e di paese di transito.
La situazione di Quarto d’Altino è per certi versi tipica di quelle realtà
venete urbano-rurali, per l’esattezza semi-urbane e semi-rurali, che hanno
vissuto dei rapidi processi di cambiamento socio-economico dall’impatto e
dalle implicazioni ambivalenti. Da una parte il cambiamento è avvenuto in
maniera poco brusca, la transizione è stata relativamente soft; sì che non ha
fatto saltare per aria la società locale e non ha frantumato completamente il
legame sociale di tipo tradizionale. Dall’altra parte il salto nella modernità è
stato fatto con la testa girata all’indietro, dal momento che il mutamento
culturale ha fatto fatica a seguire i cambiamenti socio-economici.
71
Per certi versi questo rappresenta e può offrire delle grandi possibilità e delle buone
prospettive, ma allo steso tempo può comportare qualche difficoltà tra cui quella dello
schiacciamento da parte dei grandi centri.
90
Il paese, chiuso il periodo della caratterizzazione agricola e “stretto” tra i
poli di Venezia, Mestre e Treviso, è in cerca di una nuova identità e di una sua
nuova “integrazione” rispetto ad alcuni cambiamenti importanti avvenuti negli
ultimi decenni.
Negli ultimi decenni Quarto d’Altino è stata interessata da un’importante
immigrazione interna, proveniente soprattutto da Venezia, Mestre, Marghera,
Favaro Veneto. Lo sviluppo urbanistico, i prezzi degli alloggi più bassi rispetto
alle grandi aree urbane, la posizione strategica, sono elementi che hanno
favorito l’arrivo di popolazione dai centri limitrofi, facendo passare il numero
dei residenti da 4.120 unità nel 1951 a 7.654 unità nel 2006.
Si tratta di lavoratori e lavoratrici, famiglie, giovani coppie, che hanno
spostato la loro dimora a Quarto d’Altino ma che in buona parte hanno
mantenuto l’attività lavorativa, gli interessi e le principali relazioni sociali nelle
città e nei paesi di provenienza; oppure si tratta di lavoratori che una volta
andati in pensione, si sono trasferiti a Quarto d’Altino perché vi hanno trovato
un costo della vita (in primis la casa) un po’ più basso, una maggiore vivibilità,
una buona qualità della vita legata all’ambiente, o che si sono ricongiunti ai
propri figli arrivati in precedenza.
Per molte persone giunte anche vent’anni fa in questo territorio, Quarto
d’Altino ha svolto una funzione di “paese dormitorio”; durante il giorno il
paese si svuota di una parte della popolazione impegnata al lavoro altrove o
che mantiene le relazioni più significative al di fuori del paese72. Quarto
d’Altino è così diventata una sorta di periferia dei grandi centri limitrofi e ciò
ha comportato un ricambio della popolazione – anche in termini generazionali
– che ha fatto diventare minoritaria la popolazione del posto.
L’immigrazione interna rappresenta una cartina di tornasole della situazione
del paese e ci mostra un paese “diviso”. Oggi il paese risulta composto
principalmente da tre componenti sociali: gli autoctoni, gli immigrati giunti 20-
25 anni fa e insediatisi stabilmente nel paese, i cittadini in transito ad alto turn-
over73. Le ultime due componenti hanno investito in maniera diversa nel paese,
l’utilizzo dei servizi è differenziato, ma per entrambi la partecipazione alla vita
sociale del paese è limitata. I legami tra gli “autoctoni” e queste due
componenti risultano deboli; il paese “vecchio” si è aperto con difficoltà ai
nuovi arrivati; la presenza di una struttura sociale consolidata in gruppi intorno
ad un’idea, ad un’appartenenza politica, ad un gruppo famigliare, a volte ha
reso difficile l’integrazione dei nuclei giunti da fuori, che hanno mantenuto o
72
Ma anche degli studenti iscritti alle scuole superiori. A Quarto d’Altino, infatti, sono
presenti soltanto scuole elementari e medie.
73
Tra questi sono inclusi gli immigrati di origine straniera.
91
hanno trovato altrove forme di inclusione sociale in una sorta di “integrazione
dislocata”. Allo stesso tempo i nuovi elementi hanno progressivamente ridotto
la presenza pubblica del vecchio paese, che ha perso di energia sì che per
effetto di questo duplice fenomeno si è messo in moto un processo – ancora in
atto – di rinnovamento.
La questione dell’immigrazione interna ci presenta, inoltre, due problemi
collegati tra loro. Il primo riguarda l’“integrazione” di Quarto d’Altino, ovvero
di un paese che ha difficoltà a “fare paese”. L’integrazione della società locale
– non possiamo parlare di comunità locale data la differenziazione interna e lo
scollamento tra “vecchi” e “nuovi” – è un processo in corso, in atto da tempo,
laborioso, caratterizzato da spinte e controspinte, che ha visto impegnati in
un’azione positiva e propositiva diversi soggetti (la scuola, la parrocchia, le
associazioni). Le coppie giovani o comunque i nuovi residenti in un certo qual
modo non “vivono” il paese. Oltre a non viverlo, dopo alcuni anni in molti si
trasferiscono nei comuni limitrofi. E ciò rende difficile l’instaurarsi di relazioni
sociali significative.
Il secondo problema riguarda gli anziani, o meglio come questa situazione
di scollamento si riflette sulla condizione degli anziani. Se ci chiediamo se a
Quarto d’Altino c’è un “problema anziani” possiamo rispondere che in parte
esso esiste, ma che è collegato al logoramento del legame sociale tradizionale;
ovvero i problemi del paese sono tra le cause principali (non le uniche
ovviamente) alla base delle situazioni di solitudine e isolamento, di scarsa
socializzazione e chiusura nel privato presenti tra gli anziani.
Gli anziani, come si sa, non sono una componente a sé rispetto al sistema
sociale. Sulle loro condizioni possono influire sicuramente elementi peculiari
della terza e della quarta età, e tuttavia le condizioni generali del contesto
locale e globale in cui si trovano a vivere hanno un peso importante, se non
determinante.
2. Le trasformazioni sociali: demografia, economia, famiglia.
Il comune di Quarto d’Altino ha un’estensione di 28 kmq ed è costituito dal
capoluogo, dalla frazione di Portegrandi e dalle località di Altino, Crete,
Grezze, Trepalade e San Michele Vecchio. Fino al 1946 il paese era chiamato
San Michele del Quarto, anno in cui assunse la denominazione attuale di
Quarto d’Altino. Quarto d’Altino è attraversata dalla linea ferroviaria Venezia-
Trieste, sulla quale ha una propria stazione, mentre nella costruenda
metropolitana di superficie Quarto d’Altino avrà funzione di terminal. E’
attraversata dall’autostrada Venezia-Trieste, con una propria uscita; è collegata
92
con Treviso e Venezia dalle strade provinciali 40 e 41, e con San Donà di
Piave dalla strada triestina. E’ raggiungibile via acqua da Jesolo attraverso il
fiume Sile e dalla laguna di Venezia attraverso la conca di Portegrandi. Sono
presenti alcuni siti vincolati e salvaguardati nella loro integrità naturale e
paesaggistica: la zona archeologica di Altino, il Parco del Sile, l’Oasi
naturalistica di Trepalade, la laguna veneta. Nel capoluogo è ubicata la zona
industriale-artigianale, sita in un’area distanziata dal centro e strutturata in
grandi magazzini, piccole imprese artigiane e insediamenti commerciali
all’ingrosso. La frazione di Portegrandi, di origine antica e antecedente anche a
San Michele, è popolosa; tuttavia i collegamenti con il capoluogo sono
difficili, i servizi a disposizione dei cittadini sono scarsi e si trova in una
condizione di parziale isolamento. Prossima al fiume Sile, Portegrandi è vicina
alle strade di collegamento per Mestre, Jesolo, San Donà di Piave ed è sede di
connessione con la laguna di Venezia. Nella località di Trepalade si trova
l’Oasi naturale74. La località di Altino è sede museale nazionale e si trova in
una situazione di parziale abbandono. Nella località di Crete recentemente ha
trovato sede la sezione mestrina dell’Anffas, ove è stato creato un centro
d’alloggio e di attività per persone disabili; è in fase di apertura un asilo nido.
Per quanto riguarda l’aspetto economico, alla fine della seconda guerra
mondiale Quarto d’Altino aveva un carattere prevalentemente agricolo, tant’è
che il censimento del 1951 rilevava che il 71.4% della popolazione attiva era
addetta al settore agricolo. Questa centralità del settore agricolo era associata
ad una specifica struttura sociale: il paese era dominato da una dozzina di
grandi proprietari intestatari di gran parte della terra, mentre la massa dei
contadini era costituita da mezzadri75. Negli anni sessanta è avvenuto il primo
grande cambiamento, quando si è allargato l’impiego degli altinati nelle
industrie di Mestre, Marghera, Treviso e perciò i contadini si sono trasformati
in operai, e quando con la realizzazione dell’autostrada e l’apertura del casello
autostradale si sono installate in loco diverse attività produttive.
Anche sotto l’aspetto demografico nel corso degli ultimi decenni si sono
avuti dei cambiamenti di una certa portata: l’aumento della popolazione, una
popolazione di provenienza eterogenea, l’invecchiamento.
74
Gestita dall’associazione ornitologica “Basso Piave”, che cura anche il centro di
educazione ambientale “Airone” nella frazione di Portegrandi.
75
Da non dimenticare che negli cinquanta e sessanta un numero consistente di
lavoratori e lavoratrici di questo territorio sono emigrati verso la Lombardia e il
Piemonte per essere impiegati nei lavori agricoli, nel servizio domestico e nelle
fabbriche.
93
Al 31.12.2006 il numero dei residenti ammontava a 7.654 unità (3.891
donne, 3.763 uomini), di cui 457 di origine straniera. Il 58% della popolazione
risulta compreso nella fascia d’età 26-64 anni; un terzo della popolazione è
concentrata nella fascia d’età 26-44 anni (2.387 unità); il peso degli
ultrasessantacinquenni è significativo e raggiunge il 18% dell’intera
popolazione (1.386 unità).
Tab. 1. – Residenti al 31.12.2006 divisi per sesso e macro-fasce d’età.
Fascia d’età F M Totale e v.%
0-25 anni 917 917 1.834 (24%)
26-64 anni 2.169 2.265 4.434 (58%)
65 anni e oltre 805 581 1.386 (18%)
Tot. 7.654
Fonte: Ufficio Anagrafe – Comune Quarto d’Altino.
L’andamento demografico degli ultimi tre decenni mette in luce un
moderato ma costante aumento della popolazione, che si è messo in moto alla
fine degli anni settanta e che è legato ad alcuni fattori in parte già citati.
L’aumento della popolazione si deve solo in parte all’incremento della natalità;
un altro fattore importante è il fatto che Quarto d’Altino è diventata meta di
lavoratori (e rispettive famiglie) che si sono trasferiti da Venezia, da Mestre e
dalle isole, in ragione di un minor costo della vita (specie nel settore degli
alloggi) o di lavoratori andati in pensione che si sono trasferiti dalle città in un
contesto considerato meno caotico, più vivibile e meno costoso. Da
aggiungere, come fattore di attrazione, lo sviluppo di una zona industriale al di
là dell’autostrada.
Rispetto ad altre realtà provinciali che hanno perso popolazione (Venezia
città, le isole dell’estuario), Quarto d’Altino ha vissuto una tendenza di segno
opposto, sebbene non così marcata come nel caso di Marcon. Collegato
all’aumento della popolazione è stato, come causa e come effetto, il boom delle
costruzioni e l’aumento del numero delle imprese edili.
Tab. 2 - Popolazione residente nel periodo 1971-2001.
Anno censimento Popolazione residente
1971 4.344
1981 5.474
1991 6.234
2001 7.225
Fonte: Censimenti Istat; elaborazione servizi demografici del comune di Quarto d’Altino.
94
L’incremento della popolazione è proseguito, seppur lentamente, anche
negli anni novanta; negli ultimi anni c’è stato invece un rallentamento se non
addirittura uno stop. Ciò nonostante lo sviluppo edilizio è proseguito e ha
“superato” quello demografico.
Nel corso degli anni la struttura della popolazione si è modificata. Il fatto
più significativo è l’invecchiamento della popolazione; nel periodo 1981-1991
l’indice di invecchiamento è aumentato in maniera significativa (35 punti in
più), mentre la media del tasso di natalità degli ultimi cinque anni si è assestata
intorno all’1.1. Se si confronta la situazione del 1991 e del 2001 (tab. 3) con
quella del 2006 (tab. 1), emerge lo spostamento della popolazione verso le
fasce d’età più elevate. In riferimento agli ultimi quindici anni si può notare
l’aumento della popolazione in età adulta e anziana e la riduzione della
popolazione più giovane76.
Si tratta, come messo in luce nei capitoli precedenti, di dinamiche che
interessano anche il resto della provincia veneziana, così come il contesto
regionale e gran parte del territorio nazionale, e non di un problema specifico
di Quarto d’Altino. Tuttavia questo fenomeno rappresenta una sfida per la
società locale in generale e per gli amministratori locali in particolare.
La compresenza di questi due fenomeni, aumento e invecchiamento della
popolazione, si spiega in buona parte con l’immigrazione interna e con
l’immigrazione di origine straniera77. Nei prossimi anni sarà però da verificare
se questi elementi riusciranno a sostenere ancora la demografia locale, poiché,
per diversi ragioni – diminuzione delle opportunità lavorative, aumento dei
prezzi delle case, congestione del traffico e prolungamento dei tempi di
trasporto – sia gli immigrati interni sia gli immigrati di origine straniera
potrebbero preferire altre località, facendo diventare Quarto d’Altino, da paese
dormitorio, un “paese di transito”. Quelli che erano dei vantaggi per certi versi
si sono trasformati in vincoli (la tangenziale intasata, i treni scarsi) e inducono
più di qualcuno a spostarsi verso piccoli paesi limitrofi (ad esempio Musestre)
o addirittura a ritornare a Mestre. L’acquisto della casa a Quarto d’Altino è
stato motivato dai prezzi migliori, ma quando ci si accorge che nel paese vi è
un trasporto pubblico locale lacunoso, pochi negozi, carenza di servizi e una
viabilità difficile, molti prendono in considerazione lo spostamento in comuni
limitrofi come Casale o Roncade. Quando la “convenienza” di abitare a Quarto
d’Altino viene meno, dopo un po’ il trasferimento diventa inevitabile.
76
Un altro indicatore di questa situazione è il rapporto nati/morti, a favore dei secondi.
77
Ad esempio nel 2005 sono stati registrati 64 nati, 79 deceduti, 352 emigrati, 374
immigrati.
95
Tab. 3 – Censimento 1991 e 2001: popolazione residente divisa per classi d’età.
Fascia d’età 1991 2001 2006
0-29 anni 2.495 (40%) 2.182 (30.1%) -
30-64 anni 3.027 (48.6%) 3.917 (54.1%) -
65 anni e oltre 712 (11.4%) 1.129 (15.8%) 1.386 (18%)
Fonte: Istat.
Per quanto riguarda il lavoro, la popolazione impiegata in attività agricole è
ormai scarsa. Quarto d’Altino, nonostante una produzione agricola locale
ancora presente e per certi versi significativa, è una realtà in cui il peso
dell’agricoltura è ormai fortemente minoritario. E’ finita un’epoca. La gran
parte della popolazione è ormai impiegata nell’industria (sia locale che
dell’area di Mestre, Marghera, Treviso, Roncade) e nel terziario (commercio,
servizi, trasporti, pubblica amministrazione).
Se, per esempio, si prende in considerazione il periodo 1981-1991, la
variazione per settore di attività rivela una forte diminuzione del settore
primario (-49%), un aumento relativo del settore secondario (+17%), una
impennata del terziario (commercio +40%, servizi e p.a. + 63%). Nel periodo
1991-2001 queste tendenze sono continuate, se non rafforzate, in particolare
quella relativa all’espansione del terziario dei servizi alle imprese (sia verso
Mestre, Venezia, Treviso, che verso la riviera balneare in collegamento al
comparto turistico). Dati recenti, relativi ai soli lavoratori con rapporto di
lavoro subordinato, evidenziano la seguente situazione: industria, 572 unità;
commercio/servizi, 1.049 unità; turismo/alberghi, 443 unità; agricoltura, 141
unità; edilizia, 179 unità; altro, 526 unità (totale 2.910)78.
A queste trasformazioni verificatesi nei diversi settori di impiego, hanno
corrisposto dei cambiamenti tra gli occupati nella posizione professionale. Nel
2001, ad esempio, la situazione dei residenti occupati presenta una
diversificazione delle posizioni e in particolare un peso significativo della
figura del lavoratore in proprio (tab. 5). Come si può osservare, a Quarto
d’Altino piccoli imprenditori, rappresentanti e agenti di commercio, liberi
professionisti e lavoratori (formalmente) in proprio sono numerosi.
78
Fonte: Centro per l’impiego di Mestre (dati rilevati il 5 febbraio 2007).
96
Tab. 4 – Occupati per settore di attività economica.
Anno Agricoltura Industria Commercio P.A. e
Servizi
1991 88 1.405 507 831
2001 62 1.344 721 1.164*
Fonte: Istat. *= Comprende trasporti e comunicazioni, credito e assicurazioni, servizi alle
imprese, noleggio, altre attività.
Tab. 5 – Occupati per posizione nella professione (2001).
Dipendente Imprenditore Lavoratore Socio Coad.
Altra posizione Libero in proprio coop. familiare
subordinata professionista
2.595 184 417 53 42
Fonte: Istat.
Contestualmente a questi fenomeni sono avvenute delle variazioni nei tassi
di attività lavorativa della popolazione residente, che hanno interessato in
particolar modo le donne (prima) e i giovani (dopo) – specie gli studenti. Come
altrove, negli anni ottanta e novanta le donne di Quarto d’Altino sono entrate in
maniera massiccia nel mercato del lavoro e ciò ha rappresentato una svolta
importante per la vita delle famiglie e della società locale, specie in termini di
doppia presenza, rapporti famigliari e tra i generi, cura dei bambini e degli
anziani. Nel 1991, per esempio, risultava un tasso di attività generale del
46.7%, il 3.6% in più rispetto a quello del 1981; nello stesso anno il tasso di
attività femminile era del 32.9%, con un incremento del 6.2% rispetto a quello
del 198179.
L’incremento della mobilitazione della forza-lavoro locale, che si è
intrecciato con l’arrivo di forza-lavoro dalle aree limitrofe, ha coinvolto anche i
giovani, tanto che gli occupati con 15 anni e più sono passati nel periodo 1991-
2001 da 2.831 a 3.291 unità.
Questo fenomeno si intravede nella stessa ricomposizione della non-forza di
lavoro avvenuta nel periodo 1991-2001, passata da 3.318 a 2.839 unità e così
composta nei due periodi: studenti (913/332); casalinghe-i (1.260/1.185);
ritirati-e dal lavoro (697/1092); altra condizione (448/230).
79
Il tasso di attività delle donne coniugate o conviventi con figli conviventi al 1991
risultava essere del 12.4%.
97
Altre due importanti trasformazioni che hanno interessato Quarto d’Altino
sono quelle che hanno coinvolto la famiglia e l’educazione scolastica. Negli
anni novanta sono aumentati i nuclei famigliari (da 1.986 a 2.664 unità), e ciò è
dovuto sia all’immigrazione che alla frammentazione dei nuclei famigliari. Su
questo secondo aspetto è necessario segnalare gli importanti cambiamenti
avvenuti nell’ambito della struttura famigliare, ossia la diminuzione del
numero delle famiglie numerose, l’aumento di famiglie con pochi componenti
e la presenza di famiglie non “tradizionali”.
Relativamente al numero dei componenti, nel periodo 1991-2001 le
famiglie con 1-2 componenti sono passate da 677 a 1.418 unità, le famiglie con
3-4 componenti da 1.069 a 1.277 unità; le famiglie con 5 componenti e più
sono diminuite da 240 a 149 unità. In riferimento ai tipi di nucleo famigliare,
nel 2001 il censimento fotografava una realtà multiforme: coppie senza figli,
642 nuclei; coppie con figli, 1.301 nuclei; madre con figli, 172 nuclei; padre
con figli, 32 nuclei. Anche per Quarto d’Altino si può quindi parlare di
“famiglie” al plurale, essendo presenti nuclei monogenitoriali, coppie senza
figli, single, famiglie ricomposte.
Per quanto riguarda l’istruzione, mediamente c’è stato un incremento
generale, dovuto sia all’accesso da parte dei giovani alla formazione superiore
e universitaria che all’arrivo di persone con titoli di studio medio-alti80.
Quanto alle condizioni abitative, la popolazione vive una condizione
mediamente confortevole. La maggior parte delle abitazioni è di proprietà
(2.083 unità, in cui vivono 5.770 persone), il resto in affitto (409 unità, per
1.002 persone). Complessivamente nel 2001 a fronte di 2.630 abitazioni e
7.107 residenti erano presenti 259.418 metri quadrati di superficie, ovvero
teoricamente 36m2 pro capite. La grandissima parte delle abitazioni è dotata
dei servizi essenziali e lo spazio a disposizione dei nuclei famigliari è
soddisfacente: 59 abitazioni con una stanza, abitate da 83 persone; 222
abitazioni con due stanze, abitate da 363 persone; 435 abitazioni con tre stanze
(per 1.067 persone); 866 abitazioni con quattro stanze (per 2.351 occupanti);
687 abitazioni con cinque stanze, (per 2.053 occupanti); 361 abitazioni con sei
o più stanze (per 1.189 persone).
Nel periodo 1991-2001 le abitazioni occupate sono passate da 1.967 a 2.630
unità. La distribuzione delle abitazioni risulta piuttosto disomogenea,
80
Tab. 6 – Livelli di istruzione (1991 e 2001).
Anno Laurea Diploma Media Elementare Alfabeta senza titolo Analfabeta
1991 51 806 2.163 2.000 775 99
2001 253 1.763 2.250 1.816 619 65
Fonte: Istat.
98
coesistendo contesti caratterizzati da centri abitati, nuclei abitati e case sparse,
anche se questa situazione sta cambiando come si osserva dal censimento 2001
che definisce Quarto d’Altino un comune in crescita demografica con un
decremento delle case sparse e un aumento nei centri e nei nuclei81 e allo stesso
tempo un comune in forte espansione abitativa nei centri e nei nuclei: «Quarto
d’Altino e Scorzè, ancora classificati come comuni agricoli (data la consistente
incidenza dei terreni agricoli sul totale della superficie comunale), hanno
vissuto un decennio di forte effervescenza demografica ed edilizia,
ridisegnando la geografia delle località abitate a tutto vantaggio dei centri.
Quarto d’Altino ha quasi raddoppiato il proprio patrimonio abitativo (il
maggiore aumento percentuale del veneziano), evidentemente puntando ad un
progressivo allargamento della propria taglia demografica anche nel futuro
(l’11% delle abitazioni risulta infatti non occupato)»82.
La condizione abitativa degli anziani rispecchia quella generale. Uno studio
recente ha messo in luce che il 71.3% del campione degli anziani intervistati
vive in una casa di proprietà (solo il 14.3% abita in affitto) e che la gran parte
degli anziani intervistati sono soddisfatti dell’abitazione in cui vivono83.
I cambiamenti che hanno interessato i piani economico-produttivo,
demografico, urbanistico, hanno generato tra la popolazione nuovi bisogni,
nuove esigenze84. I problemi degli abitanti si sono modificati, per certi versi
sono aumentati, ma non sempre hanno trovato un’adeguata risposta nel sistema
dei servizi che non ha avuto un adeguato sviluppo. Tra la stessa popolazione
anziana è presente un certo malcontento prodotto dalla percezione di una
scarsità dei servizi (specie a Portegrandi) e di una certa disattenzione da parte
degli amministratori verso l’ambiente e il territorio85. Lo sviluppo urbanistico,
che ha fatto da elemento di attrazione di popolazione esterna, si è infatti
trasformato in una cementificazione “a senso unico” prevalentemente basata
81
Classificazione tipo F: declino delle abitazioni diradate e di frangia (case sparse).
82
Istat, Fondaco Censimenti e Anagrafi, 2001.
83
Pavan G. – Nava L.A. – Marigo C., Progetto conoscere gli anziani, Comune di
Quarto d’Altino – Ass. Ca’ dei Fiori, 2007, pp. 8-9, p. 39.
84
Il servizio sociale si è trovato ad affrontare e a dare risposta a nuove richieste, a
nuove problematiche, riguardanti minori a rischio, famiglie multiproblematiche,
conflittualità di coppia, difficoltà nello svolgimento delle funzioni genitoriali, maggiori
richieste di assistenza da parte degli anziani legate all’incremento del numero degli
appartenenti alla terza e alla quarta età, una presenza di immigrati di origine straniera
poco ben accetta.
85
Ivi, p. 41, p. 43.
99
sulla realizzazione di appartamenti medio-piccoli86. Una eccessiva mano libera
data ai costruttori e ai vari soggetti operanti nel settore dell’edilizia privata
(immobiliari, procacciatori d’affari, detentori di capitali da investire) ha
prodotto delle storture nelle tipologie degli edifici costruiti.
3. Presenza degli anziani, politiche sociali
Quarto d’Altino vede una presenza significativa di anziani (1.386 unità),
circa un quinto della popolazione totale87, con una forte prevalenza della
componente femminile (805 donne rispetto a 581 uomini)88.
Si tratta di gruppo sociale differenziato per coorti di età (anziani giovani,
ultrasettantacinquenni, grandi anziani over80), stato civile, impegno in attività
lavorative, livello di autonomia, grado di partecipazione alla vita della società
locale, estensione e intensità delle relazioni sociali. Come sempre e come
ovunque parlare di “anziano” al singolare come componente uniforme non ha
molto senso. E’ più corretto invece parlare degli anziani al plurale tenendo
conto che esistono situazioni differenti, determinate dalla classe sociale, dal
genere, dalla fascia di età di appartenenza.
Sul piano della struttura famigliare non si sa esattamente se i celibi/nubili o
i vedovi/e vivano da soli o in famiglia, si sa però, sulla base dei dati
disponibili, che 259 anziani (64 maschi, 195 femmine) vivono da soli, mentre
1.125 vivono in famiglia (320 maschi, 805 femmine). Una ricerca recente di
carattere quantitativo ha messo in evidenza che il 14.2% del campione degli
anziani intervistati vive solo, mentre il resto vive con il coniuge (53.6%), con
il/i figlio/i (36.2%), con i parenti (4.3%), con l’assistente famigliare (3.9%)89.
86
Tra la cittadinanza è presente un certo malcontento nei confronti di una attività
edilizia fin troppo vivace e piuttosto disordinata. La questione del Piruea conferma
l’attenzione verso il problema della cementificazione. E’ previsto che il programma di
integrazione e riqualificazione di edilizia ambientale venga applicato nell’area
occupata dalle ex-aziende agricole riunite, poste all’uscita della tangenziale, e si attui
la riconversione di un’area agro-industriale in area residenziale-commerciale. In
particolare vengono destinati 79.800 m3 per il settore residenziale, 38.000 m3 per il
direzionale e 31.000 m3 per quello commerciale.
87
A livello regionale nel 2003 gli anziani costituivano il 18.5% dell’intera
popolazione; gli ultrasettantacinquenni, invece, l’8.6%. Cfr. Regione Veneto, La
popolazione anziana nella regione Veneto e sue previsioni al 2020. Dati e grafici, p. 4,
www.venetosociale.it (20.2.2007).
88
Disequilibrio presente anche a livello regionale: il 15.3% gli over65 maschi e il
21.8% le over65 sull’intera popolazione veneta per ciascun sesso; cfr. ivi.
89
Pavan G. – Nava L.A. – Marigo C., op. cit., p. 8.
100
Quanto alla condizione economica, non risultano situazioni di estrema
povertà, si registrano tuttavia diverse situazioni di disagio economico e di
relativo impoverimento causate sostanzialmente dal caro-vita, dalla perdita di
potere d’acquisto delle pensioni, dalla vedovanza. Le richieste avanzate dagli
anziani al servizio sociale riguardano soprattutto situazioni di disagio
economico (bollette, affitti). La maggior parte degli anziani percepisce, in
quanto ex-operai o ex contadini, delle pensioni modeste e vive, o sopravvive,
con dignità90, riducendo i consumi, limitando le attività, rimanendo in casa; a
Quarto d’Altino il costo degli affitti delle case è ormai piuttosto elevato (un
miniappartamento arriva a costare 500 euro al mese), ma la gran parte degli
anziani si salva perché è proprietaria della casa in cui vivono.
Tab. 7 – Ultrasessantacinquenni divisi per sesso e stato civile.
Fascia Celibe-Nubile Coniugato-a Divorziato-a Vedovo-a Tot.
d’età M F M F M F M F
65-69 17 9 172 151 6 2 10 55 422
70-74 13 4 144 93 2 2 7 80 345
75-79 9 7 80 55 0 1 15 86 253
80-90 5 11 59 32 1 0 28 156 292
oltre 90 1 7 6 4 0 0 6 48 72
Totale 45 38 461 335 9 5 66 425 1384
Fonte: Ufficio Anagrafe – Comune Quarto d’Altino. Ns elaborazione.
Sul piano delle politiche sociali, negli anni novanta anziani è stata seguita
una politica per gli anziani basata sulla riaffermazione dei soggiorni climatici,
l’istituzione del Centro anziani e del servizio di assistenza domiciliare con il
coinvolgimento del volontariato e delle cooperative (Pro Loco, Comitato
Cittadino, Pro Altinum); sono state potenziate le iniziative con l’ampliamento
del Centro anziani di Portegrandi e il sostegno dell’associazionismo91.
Negli ultimi anni l’amministrazione comunale ha puntato sul
coinvolgimento degli anziani nel volontariato, nei progetti e nelle iniziative di
carattere socio-culturale, cercando di far interagire gli anziani e le associazioni
degli anziani con le altre associazioni e con le scuole92; inoltre ha incentivato
90
Ne è un esempio un dato emerso dalla ricerca sopraccitata, da cui risulta che il 65%
valuta come buona la propria situazione economica, il 21% insufficiente, il 13%
ottima.
91
Negli anni novanta sono state potenziate le scuole, aperte nel 1963.
92
Una prima, importante sperimentazione, è quella realizzata negli anni Novanta
nell’ambito del “Progetto Arcobaleno”. Si veda A.a.V.v., Progetto Arcobaleno.
Artescuola 1995, Quarto d’Altino, 1995.
101
gli anziani a creare nuove associazioni. Nell’ambito di questa finalità,
l’amministrazione comunale si è posta l’obiettivo di creare delle reti di
collaborazione che inseriscano gli anziani in diversi contesti sociali ove
possano dare il proprio contributo. A questo proposito nel 2005 sono stati
approvati alcuni progetti rivolti alla popolazione anziana, che vedono il
coinvolgimento delle case di riposo, della scuola, della parrocchia, delle
associazioni93. Nel 2005 è stato avviato il progetto “Anziani in centro”, che
vede la partecipazione dei comuni di Quarto d’Altino, Casale sul Sile,
l’Associazione Ca’ dei Fiori, l’Associazione Girasole, l’Auser di Casale sul
Sile. Coordinato dall’Associazione Ca’ dei Fiori, il progetto è finanziato
dall’assessorato regionale alle Politiche sociali nell’ambito della DRG
30.12.2003 “Interventi di promozione della qualità della vita delle persone
anziane”. Il progetto mira a far scoprire e valorizzare tra gli anziani le proprie
capacità operative ed i propri interessi in luoghi che consentano la
progettazione e la realizzazione di un’idea; a valorizzare gli usi e i costumi di
un tempo presenti sul territorio come spazi in cui far emergere nei giovani la
voglia di azioni attive. Il progetto intende inoltre coinvolgere gli anziani
all’interno di uno spirito di animazione in una serie di eventi: conferenze sui
lavori del passato, sull’alimentazione; rappresentazioni teatrali; concerti di
musica classica; festa dell’anziano. Un altro progetto realizzato di recente è
“Conoscere gli anziani”, condotto dall’Associazione Ca’ dei Fiori con il
sostegno dell’Amministrazione comunale e la collaborazione della Pro Loco, i
circoli anziani di Quarto d’Altino e di Portegrandi, i sindacati dei pensionati,
gli scout, la Caritas parrocchiale, l’Auser. Si tratta di una indagine che ha
coinvolto 239 anziani ai quali è stato sottoposto un questionario volto ad
analizzare la percezione degli intervistati in rapporto ad alcune aree specifiche:
benessere psicologico, salute, relazioni sociali, abitazione e territorio.
Attualmente i servizi erogati dall’amministrazione comunale a favore degli
anziani sono i seguenti: assistenza domiciliare, integrata, in alcuni casi, con
l’assistenza infermieristica e sanitaria fornita dall’Ulss; servizio di telesoccorso
e telecontrollo domiciliare; agevolazioni tributarie; assegni di cura; concorso
nelle rette di ricovero; misure di sostegno economico finanziate dalla Regione
ed erogate dal Comune in fase istruttoria (ad esempio il contributo per le
assistenti famigliari); contributi per l’alzheimer; soggiorni climatici (per i quali
ora è richiesto un contribuito agli anziani stessi); attività ricreative: festa
dell’anziano e gite sociali.
93
Tra cui il Progetto “Conoscere gli anziani”.
102
Nel 2007 l’Amministrazione comunale ha aumentato il numero delle
assistenti domiciliari (da 2 del 1985 a 5 di adesso); ha organizzato corsi di
attività motoria per la terza età (con il contributo economico degli anziani
stessi), soggiorni climatici per gli anziani (con il contributo economico degli
anziani) e gite sociali.
In applicazione delle leggi nazionali e regionali vigenti, l’Amministrazione
comunale eroga il cosiddetto “contributo badanti”, che può essere integrato con
l’assistenza domiciliare integrata, ossia il supporto di un’altra persona che ha il
compito di occuparsi dell’igiene della persona e dell’ambiente, ora confluito
nell’assegno di cura. Come strumento di prevenzione, cura e socializzazione,
organizza soggiorni climatici rivolti a over60 in condizioni di autonomia psico-
fisica o accompagnati da parenti che ne assicurano l’assistenza.
Nel 2005, con delibera n. 56 del 13/12/2005 “Tariffa di igiene.
Determinazioni delle agevolazioni a favore di soggetti che versano in
condizioni di grave disagio economico e sociale”, l’Amministrazione
comunale ha previsto una riduzione della tariffa sui rifiuti a favore dei soggetti
di età superiore ai 70 anni che vivono da soli. Infine, da alcuni anni sostiene un
gruppo di anziani volontari che si sono organizzati per offrire un servizio di
trasporto ad anziani e disabili in difficoltà per accompagnarli presso centri
ospedalieri.
Prendendo in considerazione il bilancio del settore sociale,
complessivamente esso rappresenta una voce un po’ sacrificata rispetto al
bilancio generale. Nel corso degli ultimi anni gli importi assoluti di questa
voce sono aumentati e ciò a causa di alcuni fattori di carattere generale
(l’impoverimento e il caro-vita, le nuove emergenze, il taglio dello stato
sociale) che hanno costretto il comune ad intervenire. Percentualmente il peso
del settore sociale nel bilancio comunale è progressivamente aumentato,
tuttavia ciò si deve anche alla riduzione dello stesso bilancio generale.
Analizzando nel dettaglio il bilancio del settore sociale, si rileva che una
fetta considerevole è destinata all’area anziani, di cui la gran parte è assegnata
alle spese per “rette ricovero” (da 121.588 € nel 2001 a 255.086 € nel 2005,
vale a dire un terzo del bilancio del settore sociale)94, alle spese per i servizi di
94
Sono due le case di riposo. Una è “Ca’ dei Fiori”, con 37 posti per autosufficienti e
20 per non autosufficienti, sorta negli anni Sessanta per iniziativa dell’industriale
Alberto Cosulich. I posti destinati agli ospiti convenzionati sono 40, mentre una
ventina di anziani usufruisce dei servizi del centro diurno. E’ gestita da una
associazione privata che ha per scopo l’assistenza di anziani non abbienti. L’altra è
“Anni Azzurri” del Gruppo Residenze Anni Azzurri spa, catena di case di riposo
103
assistenza a domicilio (passate da 1.549 e nel 2001 a 26.000 € nel 2005 – il 3%
del bilancio di settore), alle spese per i soggiorni climatici (drasticamente
diminuite da 10.150 € nel 2001 a 1.865 nel 2005), mentre una parte residua è
destinata alle attività per la terza età (1.549 € nel 2001, 2500 € nel 2005 – lo
0.03% del bilancio di settore). Complessivamente in assoluto il comune non
spende moltissimo per gli anziani, non perché nelle voci di bilancio di questo
settore l’area anziani sia penalizzata quanto per l’esiguità della cifra
complessiva destinata al bilancio del settore sociale. La quota di bilancio del
settore sociale destinata agli anziani è in progressivo aumento, parallelamente
all’incremento della popolazione anziana (della terza e della quarta età).
Il problema è che a Quarto d’Altino, dove aumenta la popolazione anziana e
la spesa per la popolazione anziana, diminuisce il bilancio generale
dell’Amministrazione. Si tratta ovviamente di una situazione e di una sfida che
non tocca soltanto questo paese, ma che, come si sa, interessa tutta l’Italia e
che costituisce da alcuni anni uno dei primissimi argomenti di un dibattito
nazionale (ed internazionale) molto acceso.
4. Gli anziani nella società locale: lavoro, socialità, associazionismo.
Gli anziani di Quarto d’Altino per dir così autoctoni vivono in maniera
piuttosto negativa l’aumento del traffico e la cementificazione del paese.
Considerano questi elementi come fattori di abbassamento della qualità della
vita, loro e del resto della popolazione. Sottolineano la mancanza di aree verdi,
di spazi e luoghi di socializzazione che non siano il bar o il centro anziani,
osservano l’assenza di una vera piazza del paese che faccia da “centro” di
convergenza delle relazioni sociali. Più in generale si percepisce una sorta di
assenza di spazio sociale degli anziani (non solo di spazio fisico “per” gli
anziani) nella società locale.
Tra gli anziani è diffuso un sentimento di diffidenza, se non di ostilità,
verso gli immigrati stranieri. E’ il risultato, questo, di un clima sociale
generale, a scala nazionale e continentale, caratterizzato dalla stigmatizzazione
dell’immigrazione, penetrato anche nelle diverse componenti popolari di
piccoli paesi come Quarto d’Altino, rese insicure dai piani di amputazione
dello stato sociale, dal peggioramento delle condizioni generali di vita e dal
martellamento dei mass-media.
Questi due punti, da un lato l’assenza di uno spazio fisico e sociale
soddisfacente, dall’altro l’orientamento negativo verso gli immigrati da parte
facente capo ad un azionariato internazionale, con 120 posti per soli non
autosufficienti, di cui una parte coperta da contributo regionale.
104
della popolazione locale specie quella anziana, sono temi che i decisori
pubblici, le associazioni e i patronati, le parrocchie, dovrebbero prendere in
considerazione e affrontare con decisione.
Gli anziani di Quarto d’Altino costituiscono una componente socialmente
variegata perché esistono tra di loro diverse modalità di vivere la condizione
anziana. Con tutti i limiti delle tipizzazioni, nel contesto locale si possono
osservare alcune figure principali: i pensionati impegnati quasi tutto il giorno
in attività lavorative e che frequentano poco i circoli e le associazioni; gli
anziani attivi impegnati nelle associazioni e nei servizi alla comunità; i
pensionati che frequentano i circoli anziani e che mantengono relazioni con il
vicinato e il quartiere; gli anziani che vivono una condizione caratterizzata da
solitudine e isolamento. Osserviamo ora più da vicino queste diverse figure.
Tra gli anziani di Quarto d’Altino la dimensione del lavoro è piuttosto
rilevante. Mentre per gli uomini si tratta quasi esclusivamente di lavoro fuori
casa, per le donne ha a che fare sia col lavoro domestico (pulizia della casa,
spesa) e con il lavoro di cura (in famiglia, dei genitori molto anziani, dei
nipoti) sia a volte col lavoro fuori casa. A parte la cura del giardino di casa e la
coltivazione dell’orto, gli uomini sono impegnati prevalentemente in lavori di
manutenzione (riparazione di biciclette, piccole riparazioni degli impianti
elettrici o idraulici di abitazioni private), in attività edili (dipintura, muratura),
in lavori di manovalanza, in attività agricole (raccolta di prodotti ortofrutticoli,
vendemmia) o di giardinaggio (sfalcio dell’erba, manutenzione dei giardini).
Gli anziani di Portegrandi arrotondano la pensione con l’attività di pesca; il
pescato (pesce e cozze), infatti, molte spesso viene venduto ai ristoranti del
posto.
La gran parte delle donne non ha mai smesso di lavorare; anzi per un certo
numero di esse il pensionamento ha coinciso in un certo qual modo con un
aumento del lavoro: da una parte il seguire la propria casa, sostenere i genitori
molto anziani e accudire i nipoti; dall’altra parte l’impiego nei laboratori
tessili, nelle attività commerciali dei figli, nei settori delle pulizie e del servizio
domestico. Per chi è rimasta vedova o è separata, e non ha la casa di proprietà,
il lavoro extradomestico è una necessità forte.
La diffusione di attività lavorative remunerate dopo il pensionamento è
dettata da esigenze materiali presenti nella propria famiglia (il caro-vita e
l’aumento delle spese specie quelle sanitarie, la diminuzione del valore reale
delle pensioni, figli che ancora non sono usciti di casa) o nella famiglia dei
figli (il sostegno nel pagamento del mutuo, l’aiuto nell’acquisto della casa o
nell’apertura di attività economiche), ma anche dall’esigenza di sentirsi attivi.
A fianco di chi lavora per arrotondare o mantenere un livello di vita dignitoso,
105
c’è chi lavora per sopravvivere e questo riguarda specialmente coloro che
hanno lavorato in nero per molti anni – in particolare nel settore agricolo – e
sono andati in pensione con pochi contributi e una pensione molto bassa.
Secondo la legge si tratta di lavori “irregolari” che nel 2007 sono stati
oggetto di intensi controlli da parte dell’ispettorato del lavoro; per tale ragione
sempre più persone sono restie a intraprendere attività lavorative in nero una
volta in pensione, ma anche a darne notizia. Dalle informazioni che siamo
riusciti a raccogliere risulta che un numero non piccolo di anziani è impegnato
in attività lavorative e che nel proseguimento di queste il possesso di un
mestiere (ad esempio il muratore) o di alcune abilità nel senso di saper fare ha
un suo peso.
Un gruppo di anziani, minoritario, è molto impegnato nel lavoro sociale
attivo svolto all’interno delle associazioni, nei circoli anziani, nelle attività a
favore degli altri e della comunità. Il lavoro di gestione quotidiana di
associazioni, patronati, sedi sindacali, è un compito impegnativo e continuo,
che occupa tempo ed energie. Questa componente è costituita da persone
prevalentemente autoctone, impegnate in attività sociali di sostegno e di
solidarietà a favore degli altri, in attività ricreative e culturali; partecipano alla
vita del paese e hanno numerose relazioni con le istituzioni, le associazioni e i
singoli. Si tratta di una componente che è stata capace di farsi sentire, a volte
anche con delle rivendicazioni, e che si è organizzata intorno alle associazioni,
ai patronati e ai circoli degli anziani.
Nel territorio di Quarto d’Altino le associazioni sono numerose. Per prime
sono sorte le associazioni sportive, negli anni ottanta è sorta la sezione locale
dell’Acr e alla fine degli anni novanta sono sorte associazioni a carattere
sociale e culturale tra cui l’associazione musicale “Diapason&Naima”,
l’associazione “Anfora”, l’Avis e l’Aido, l’Agesci, l’associazione per i
migranti “Oltre i confini”, l’associazione Ornitologica.
La situazione delle associazioni degli anziani appare composita. Nel 2006 è
stata costituita la sezione locale dell’Auser, che risulta già molto attiva e
impegnata, ed organizza diverse attività rivolte agli iscritti, tra cui corsi di
inglese e di informatica (che si svolge, il secondo, nella scuola media).
Associazione che si occupa di socializzazione e volontariato, essa si rivolge ai
soci e non soci, così come a tutte le fasce d’età adulta, e mira all’arricchimento
degli individui attraverso attività ricreative, di istruzione e di impegno civile.
Vede la partecipazione di circa cinquanta persone, impegnate
nell’organizzazione di gite, uscite in bicicletta, pranzi, pulizia di strade di
interesse e piste ciclabili, nella realizzazione di progetti come “nonni in
106
centro”. Ubicata come sede nel centro servizi, la presenza femminile è forte,
sia nel direttivo (il presidente è una donna) sia tra i soci.
La Federazione anziani pensionati della Cisl assiste gli anziani sul piano
fiscale e li tutela nei diritti, specie quello alla pensione; la sede di Quarto
d’Altino è gestita prevalentemente da uomini e anche la partecipazione vede la
componente maschile prevalere su quella femminile.
Gli anziani coinvolti nella vita della parrocchia sono circa un centinaio.
Nella parrocchia, che distribuisce l’eucarestia a domicilio ad anziani e
ammalati, è stato avviato un piccolo progetto di volontariato d’intesa con il
Comune volto a soddisfare necessità quotidiane di persone ammalate o molto
anziane impossibilitate nei movimenti e sole. Il gruppo parrocchiale della
Caritas è impegnato in maniera continuativa in visite agli anziani, durante le
quali porta un po’ di compagnia. La parrocchia è impegnata nel sensibilizzare
la popolazione verso le situazioni di solitudine e difficoltà presenti tra gli
anziani, e allo stesso tempo guarda con favore all’attivazione degli anziani e
per far ciò propone delle iniziative.
L’associazione “Ca’ dei Fiori” si occupa prevalentemente della gestione
della casa di riposo, ma non si ferma a questo e guarda anche al di fuori di essa
promuovendo progetti e iniziative rivolte agli anziani del paese.
Se un certo numero di residenti arrivati da fuori negli anni settanta e ottanta
si sono inseriti nel paese una volta terminata l’attività lavorativa che
svolgevano altrove attraverso le associazioni presenti, allo stesso tempo è da
sottolineare che i rapporti tra le associazioni sono abbastanza sfilacciati e
prevale un rapporto di diffidenza, concorrenza e autoreferenzialià. Le
associazioni interagiscono tra loro per necessità quando serve una certa
collaborazione durante la realizzazione di qualche progetto, altrimenti gli
scambi non nascono “spontaneamente”. Si tratta di un terreno, quello della
creazione di reti e di coordinamenti, da coltivare e su cui porre attenzione.
Una parte consistente di anziani, in prevalenza uomini, trascorre una fetta
importante del proprio tempo nelle attività di casa e nei circoli anziani. I circoli
anziani, come detto in precedenza, sono stati aperti nei primi anni novanta; uno
nel capoluogo e uno a Portegrandi (dove la componente femminile è numerosa
e molto presente). Complessivamente gli iscritti sono circa 42595, una cifra
rilevante se si considera il numero della popolazione anziana residente e un
segno di realtà strutturate; è bene tener conto, però, che iscrizione e
partecipazione possono essere due cose diverse. Nati su richiesta degli anziani
uomini per la scarsa accoglienza nei bar e delle anziane per disporre di un
posto dove stare insieme, i due circoli assolvono in prevalenza la funzione di
95
Di cui 135 a Portegrandi.
107
luogo di incontro e di ritrovo; i frequentatori vi giocano a carte, consumano
qualcosa grazie al bar annesso, si incontrano per parlare, leggono il giornale, si
scambiano notizie, organizzano attività ricreative (gite, feste, etc.). All’interno
vi sono cerchie e gruppi strutturati, che a volte seguono la morfologia sociale
strutturatasi con i movimenti migratori, per cui la comunicazione può risultare
segmentata. Da un po’ di tempo i circoli, specie quello del capoluogo, si sono
organizzati anche verso la comunità, mettendo a disposizione un servizio di
trasporto per gli anziani con problemi di mobilità grazie alla disponibilità di
un’automobile donata dall’Amministrazione comunale; a questo proposito è
stata creata un’associazione autogestita dagli anziani.
Dopo l’apertura dei circoli e la loro istituzionalizzazione in circoli
tradizionali per anziani, oggi forse il terreno è pronto per una maggiore
attivazione dei soci, per il loro investimento sul piano sociale, per un
incremento della loro partecipazione alla vita della società locale96, per una
nuova configurazione dei circoli. Le potenzialità ci sono; è vero che a volte
risulta faticoso coinvolgere gli anziani in alcune iniziative, ma l’energia e la
motivazione non sembrano mancare nonostante le difficoltà oggettive e
soggettive. I circoli sono in un certo qual modo connotati, nel senso che si
caratterizzano per attività ricreative legate soprattutto al gioco delle carte, e per
questa ragione un numero significativo di anziani non li frequenta; emerge
invece il bisogno di un centro polivalente animato da attività e soggettività
diverse.
Tra i giovani e gli anziani le relazioni sono scarne. Esiste una frattura
intergenerazionale che è un segno dei tempi e non è certo esclusiva di Quarto
d’Altino. Fanno eccezione le iniziative e le esperienze intraprese dai gruppi
giovanili parrocchiali che incontrano gli anziani, e dalla scuola che ha
organizzato un progetto che prevede degli incontri tra alunni e anziani durante i
quali i secondi vestono i panni dei narratori storici e ricostruttori di memoria.
Un’altra componente sociale numerosa, in prevalenza donne, trascorre
buona parte del proprio tempo in casa e nelle attività per la casa e la famiglia
(propria e dei figli). Forse per un carico famigliare maggiore, forse per un
retaggio della mentalità contadina, le donne “autoctone” sono quelle che
stanno più in casa, mentre le donne non originarie del posto si muovono di più.
Per le donne il tempo e le energie che restano da dedicare ad altre cose sono
poche, tuttavia proprio questa situazione favorisce una viva socialità con la
parentela, il vicinato e il quartiere, una presenza – seppur caratterizzata – nello
spazio pubblico locale; molti uomini, invece, una volta usciti dal mondo del
lavoro hanno incontrato più difficoltà a trovare un posto specie se il lavoro per
96
Una certa esigenza di occuparsi di più, di fare qualcosa, emerge anche dalla ricerca
Progetto conoscere gli anziani, op. cit.
108
loro era tutto e lavoravano altrove, eccetto quelli che si sono inseriti tramite le
associazioni.
Vi è poi una realtà, che resta da approfondire in maniera più specifica,
caratterizzata da situazioni di solitudine e isolamento – accentuate da trasporti
e mezzi pubblici locali insufficienti. Il problema ovviamente non è solo
l’anziano in quanto anziano poiché anche persone molto più giovani possono
trovarsi e si trovano in situazioni di solitudine e isolamento, dal momento che
nella cosiddetta “società della comunicazione” quello della solitudine è un
problema sociale, quello dell’isolamento è un problema dei nostri tempi che
riguarda molti “individui”; nel caso di Quarto d’Altino le situazioni di
solitudine e isolamento riguardano di più le persone giunte da fuori, poco
inserite nel territorio, rimaste estranee alla esperienza delle associazioni.
Se una minoranza è impegnata nel lavoro sociale attivo, la maggioranza
deve fare i conti con problematiche e dinamiche sociali che ne fiaccano la
partecipazione; molti “non se la sentono”, non si sentono in grado di
impegnarsi, di partecipare, o di “fare qualcosa” nelle associazioni. Ciò appare
spesso come il risultato dell’interiorizzazione di una divisione sociale del
lavoro che prevede per l’anziano l’assunzione di un atteggiamento di rinuncia e
rassegnazione, di dismissione e disinteresse; e che lo rappresenta e lo fa sentire
come un individuo inadeguato. Se si può condividere l’osservazione secondo
cui in molti anziani esiste una mancanza di interessi (cosa che si dice anche in
riferimento ai giovani e alla condizione giovanile), è altrettanto corretto
interrogarsi su quali spunti provengono dalla società.
Per concludere, a Quarto d’Altino quella degli anziani non è una realtà
invisibile, ma allo stesso tempo è una componente sociale in parte emarginata.
E’ una realtà multiforme, con luci (assenza di situazioni di povertà grave,
presenza di associazioni che conoscono la vita e la condizione dei propri
associati) ed ombre (la sconnessione tra gli autoctoni e gli immigrati, situazioni
di isolamento e solitudine, scarsa comunicazione tra le associazioni, ritiro nel
privato e in ruoli passivi), che sta vivendo delle trasformazioni in rapporto ai
cambiamenti che ha sperimentato e sta sperimentando il paese; le situazioni e
le dinamiche che attraversano il paese si riflettono cioè sulla vita degli anziani,
rappresentandone il primo fattore di condizionamento.
109
Appendice al capitolo 5 – “Quarto d’Altino”
Tab. I – Popolazione residente all’1.1
Anno N.
1982 5.404
1983 5.492
1984 5.582
1985 5.678
1986 5.723
1987 5.778
1988 5.844
1989 5.908
1990 5.986
1991 6.106
1992 6.247
1993 6.495
1994 6.653
1995 6.737
1996 6.750
1997 6.844
1998 6.983
1999 7.039
2000 7.184
2001 7.210
2002 7.255
2003 7.405
2004 7.553
2005 7.606
110
Tab. II - Popolazione residente per classe d’età al 2001.
Classi d’età n.
Meni di 5 387
Da 5 a 9 299
Da 10 a 14 276
Da 15 a 19 298
Da 20 a 24 394
Da 25 a 29 528
Da 30 a 34 723
Da 35 a 39 718
Da 40 a 44 610
Da 45 a 49 501
Da 50 a 54 526
Da 55 a 59 399
Da 60 a 64 440
Da 65 a 69 356
Da 70 a 74 281
Da 75 a 79 222
Da 80 a 84 111
Più di 84 159
Totale 7228
Fonte: Istat. Peso % della fascia over 65= 15.6.
Tab. III - Quarto d’Altino: tasso medio di natalità e di mortalità annui.
TASSO DI NATALITÀ MEDIO ANNUO TASSO DI MORTALITÀ MEDIO ANNUO
1996-1998 1999-2001 2002-2004 1996-1998 1999-2001 2002-2004
10.4 12.8 12.0 8.6 10.0 8.6
Fonte: aggiornamento del Piano di Zona dei servizi socio-sanitari 2005/2007.
Tab. IV - Quarto d’Altino: indici di vecchiaia, di sostituzione e di dipendenza ai
censimenti 1991 e 2001.
INDICE DI VECCHIAIA INDICE DI SOSTITUZIONE INDICE DI DIPENDENZA
1991 2001 1991 2001 1991 2001
82.1 117.4 71.2 147.7 33.9 40.7
Fonte: Istat.
111
Tab. V – Bilanci comunali 1999-2003.
Anno 1999 2000 2001 2002 2003
Amministrazione,
gestione, 1.023.802,98 1.022.823,44 1.176.954,82 1.036.951,03 1.150.866,89
controllo
Polizia locale 202.609,66 207.684,36 212.177,24 265.705,38 245.763,37
Istruzione pubblica 663.034,60 499.356,30 629.255,04 568.005,70 529.365,58
Cultura e beni culturali 67.109,44 76.306,75 78.801,80 117.647,55 121.706,60
Sport e ricreazione 45.889,26 48.670,38 50.248,41 48.728,01 50.994,00
Turismo 2.065,83 5.681,03 2.582,28 2.582,00 2.580,00
Viabilità e trasporti 231.613,36 267.639,14 262.776,89 251.028,91 298.708,81
Territorio ed ambiente 692.063,61 591.060,31 674.289,29 655.193,86 239.394,39
404.167,29 447.473,75 593.864,57 611.564,02 655.539,36
Settore sociale
(12%) (14%) (16%) (17%) (20%)
Sviluppo economico 516,46 7.746,85 774,69 2.582,28 800,00
3.332.873 3.174.442,26 3.682.725,05 3.559.988,74 3.295.719,00
Tab. VI – Consuntivi bilanci del settore sociale 2001-2005.
Anno 2001 2002 2003 2004 2005
Nuoto minori 2.096,00 2.458,00 2.580,00 2.394,00 3.784,00
Attività motoria minori
4.121,00 5.263,00 3.356,00 3.461,00 3.741,40
disabili
Trasferimenti Ulss 0,00 20.658,00 30.000,00 20.000,00 15.000,00
Contributi per iniziative
1.549,00 1.807,00 2.650,00 2.500,00 2.500,00
terza età
Minori a rischio 0,00 5.329,00 10.000,00 11.199,48 14.000,00
Spese trasporto alunni
6.187,00 10.983,00 43.000,00 4.200,00 4.205,00
disabili
Spese per servizio
64.557,00 54.541,00 50.000,00 60.437,50 66.000,00
assistenza minori disabili
Spese centri estivi minori 16.010,00 13.779,00 13.776,00 14.626,70 22.497,00
121.588,00 166.640,00 201.223,00 214.402,91 255.086,64
Spese per rette ricovero (30%) (37%) (33%) (35%) (38%)
Spese soggiorni climatici
10.150,00 8.748,00 1.716,00 1.716,46 1.865,00
anziani
Contributi per interventi
23.031,00 26.932,00 51.783,00 53.967,94 44.939,00
sociali
Spese potenziamento Serv.
1.549,00 1.549,00 13.150,00 26.999,11 26.000,00
Ass. domicilio
113
Tabella VII – Cavallino-Treporti, Marcon e Quarto d’Altino: popolazione censita 1991 e al 2001.
Popolazione residente Variazioni popolazione
tra il 1991 e il 2001
Comune Densità per Kmq
Ottobre Ottobre Valori %
2001 1991 assoluti
Cavallino-Trep. 11.824 10.890 934 8.6 263,5
Marcon 12.199 10.551 1.648 15.6 476,9
Quarto d’Alt. 7.228 6.234 994 15.9 256,7
Fonte: Istat.
Tab. VIII – Cavallino-Treporti, Marcon e Quarto d’Altino: famiglie per numero, componenti,
numero medio di componenti e componenti permanenti delle convivenze per comune.
Famiglie
Comune n. % Componenti % n. medio compon. % Comp. permanenti
per famiglia convivenze
Cavallino-Treporti 4.657 1,5 11.775 1,5 2,53 0,8 51
Marcon 4.314 1,4 12.165 1,5 2,82 0,1 5
Quarto d’Altino 2.641 0,9 7.118 0,9 2,70 1,7 107
Fonte: Istat, Censimento 2001.
Tab. IX – Cavallino-Treporti, Marcon e Quarto d’Altino: indice di possesso del diploma di scuola media
superiore (19-34 anni).
Comune Indice %
Cavallino-Treporti 40,2
Marcon 58,9
Quarto d’Altino 49,1
Totale provincia di Venezia 53,5
Fonte: Istat, Censimento 2001.
Tab. X – Cavallino-Treporti, Marcon e Quarto d’Altino: tasso di attività diviso per sesso.
TASSO DI ATTIVITÀ
Comune
Maschi Femmine Generale
Cavallino-Treporti 64,9 36,5 50,4
Marcon 67,8 44,7 56,1
Quarto d’Altino 67,2 42,7 54,6
Totale provincia di Venezia 62,7 37,8 49,7
Fonte: Istat, Censimento 2001.
Tab. XI – Cavallino-Treporti, Marcon e Quarto d’Altino: tasso di disoccupazione diviso per sesso.
TASSO DI DISOCCUPAZIONE
Comune
Maschi Femmine Generale
Cavallino-Treporti 5,04 10,92 7,20
Marcon 2,58 4,95 3,53
Quarto d’Altino 2,48 6,19 3,97
Totale provincia di Venezia 3,87 7,31 5,23
Fonte: Istat, Censimento 2001.
115
6. Per un invecchiamento pienamente attivo
Proviamo ora a tirare le fila di questa indagine.
La condizione anziana, è noto, può essere esaminata da una molteplicità di
punti di osservazione e con l’apporto di una molteplicità di conoscenze
scientifiche demografiche, economiche, biologiche, psicologiche, psichiatriche
e così via. Lo sguardo con cui ce ne siamo occupati qui è uno sguardo
sociologico, volto da un lato all’identificazione dei bisogni materiali, spirituali,
relazionali che tale condizione sociale, e non semplicemente individuale,
esprime in contesti ben definiti e determinati, in modo implicito o esplicito;
dall’altro alle differenze e alle disuguaglianze sociali che coinvolgono e
attraversano anche gli anziani come “gruppo sociale”. Il processo di
invecchiamento, infatti, non è uguale per tutti. La divisione sociale e sessuale
del lavoro non scompare certo d’incanto all’ingresso nella terza età; al
contrario, il realistico motto secondo cui si invecchia così come si è vissuti
prima della vecchiaia contiene un granello di verità non proprio minuscolo
(purché, si capisce, non si faccia del banale meccanicismo, sempre improprio
nelle complicate vicende dei rapporti sociali e della loro continua
trasformazione). Per questa ragione abbiamo prestato una attenzione
particolare alle classi sociali e al genere di appartenenza degli anziani.
Poiché l’obiettivo specifico della nostra ricerca era la messa a fuoco dei
processi di attivazione e di auto-attivazione degli anziani, è stato giocoforza
concentrarsi sugli anziani-giovani ed auto-sufficienti, lasciando ai margini di
essa l’area della disabilità, la quarta età e, tanto più, quella che si inizia a
chiamare la quinta età. Abbiamo in tal modo preso sul serio, voluto prendere
sul serio, ossia messo alla prova su di un ambito territoriale che sappiamo
essere particolare e assai delimitato, le indicazioni dell’Organizzazione
mondiale della Sanità e di altri organismi internazionali sulla
possibilità/necessità, sociale ed individuale, di un invecchiamento attivo.
116
Accanto alla delimitazione della fascia di età ed a quella territoriale, vanno
riconosciuti senza giri di parole i limiti di tempo e di mezzi a nostra
disposizione, sicché la ricostruzione della condizione anziana “di massa” nei
paesi di Cavallino-Treporti, Marcon e Quarto d’Altino che qui presentiamo è
solo di tipo panoramico e in certa misura indiretta, benché non sia mancata,
tutt’altro, l’indagine dal vivo sul campo. Ai limiti di tempo e di mezzi si sono
venuti a sommare anche altri elementi di difficoltà: la relativa povertà di
informazioni già disponibili da rielaborare e verificare, un atteggiamento non
sempre del tutto collaborativo da parte degli stessi uffici istituzionali coinvolti
ed infine una qualche reticenza degli stessi anziani direttamente raggiunti a
parlare di sé e delle proprie attività, un qualche stupore per “doverlo” fare, a
causa della disabitudine ad essere considerati dei soggetti socialmente degni di
attenzione. Riteniamo, nondimeno, supportate da sufficienti elementi di fatto le
considerazioni conclusive che stiamo per svolgere.
Per solide cause di ordine strutturale e simbolico al medesimo tempo, la
condizione anziana è nella nostra società oggetto di stigmatizzazione e
svalorizzazione, tanto nel mercato del lavoro (la cosa, ormai, coinvolge perfino
i quadri dirigenti delle aziende e dello stato) quanto nella vita sociale. Di
norma l’anziano è visto, e indotto a vedersi, come un essere improduttivo o
scarsamente produttivo, passivo, malato, o comunque per una ragione od
un’altra inadeguato a contribuire allo sviluppo sia materiale che culturale della
società, costituendo quindi un mero costo per essa. Questo processo non è
nuovo. Anzi come ha spiegato da tempo, tra gli altri, Oliverio97, risale alla
nascita della società moderna, quando la rivoluzione industriale avviò il
processo di assorbimento nelle macchine di ogni forma di sapere accumulato e
il passaggio all’urbanizzazione portò al tramonto della famiglia allargata. Le
generazioni anziane, oltre i maschi anche le femmine, vennero da quel
momento a perdere prestigio e considerazione. L’effetto inevitabile di un
simile cambiamento epocale nella vita produttiva ed in quella riproduttiva,
sulla scena pubblica e nell’ambito privato-familiare, è stata la tendenza a
spingere gli anziani, specie quelli appartenenti alle classi sociali subordinate,
verso i margini della vita sociale, esponendoli al terribile rischio
dell’isolamento, dell’auto-svalorizzazione e finanche della vera e propria
esclusione sociale. Ebbene, la nostra ipotesi di partenza è stata la seguente: pur
in presenza di una continuità, e perfino di un rafforzamento talora parossistico
di questa tendenza storica (ci sono ormai professioni in cui si diventa vecchi e
jetable anche prima dei trent’anni), vi è nel corpo sociale stesso della
popolazione anziana, e non solo, un insieme di resistenze ad essa che la scienza
97
Oliverio A., Maturità e vecchiaia, Feltrinelli, Milano, 1977; Id., Saper invecchiare,
Editori Riuniti, Roma, 1982.
117
sociale, il lavoro sociale, le politiche sociali dovrebbero saper identificare ed
esaltare nel senso della promozione di un invecchiamento pienamente attivo, e
perfino – se ci è consentita la “provocazione” – emancipatorio, capace cioè di
liberare, in parte almeno, gli “anziani-massa” dalle limitazioni imposte dalla
propria precedente esperienza di lavoro e di vita, avviandoli per davvero a
nuove esperienze.
Ci sembra di poter affermare che la nostra ipotesi di partenza esce
sostanzialmente confermata, ma dobbiamo subito aggiungere che queste
resistenze non sono in grado, da sole, di opporsi con efficacia alle determinanti
di fondo (spesso di carattere globale) e alle rappresentazioni dominanti in
materia di età anziana. Poiché vi sono dei fattori di spessore, non contingenti,
che si frappongono ad un’autentica auto-attivazione di molti anziani.
Prima di procedere, due precisazioni. Primo, per “anziani-massa”
intendiamo gli anziani per dir così “comuni”, che hanno trascorso decenni della
propria vita a lavorare a salario con funzioni esecutive (in fabbrica, nelle
famiglie, nelle aziende dei più disparati rami di attività), o a lavorare in proprio
(o in affitto) nei campi, nelle botteghe artigiane, nei piccoli esercizi
commerciali, nella pesca. E’ essenzialmente questa la tipologia di anziani in
cui ci siamo imbattuti nella nostra indagine. Ex-contadini e artigiani a
Cavallino, ex-contadini, ex-operai ed ex-collaboratrici domestiche a Marcon,
ex-contadini ed ex-operai a Quarto d’Altino. Sappiamo bene che queste figure
sociali non esauriscono l’universo degli anziani; che ci sono anziani
professionisti, docenti, manager, proprietari terrieri, azionisti di spa, e così via.
Ma questa minoranza di anziani è piuttosto difficile incrociarla nei circoli
anziani, nei centri anziani, nel sindacato anziani, nelle associazioni parrocchiali
di volontariato composte di anziani o per gli anziani, e per questo è rimasta
“naturalmente” al di fuori della ricerca. E’ tanto più difficile incrociarla nei
piccoli centri abitati, essendo nota la preferenza degli strati sociali superiori per
la residenza nelle città, quand’anche si tratti dei sobborghi (come negli Stati
Uniti) delle città.
Secondo, per determinanti generali, se non globali, della condizione
anziana comune intendiamo, invece, quei fattori di ordine internazionale, le
politiche neo-liberiste in primis, che hanno portato negli ultimi due, tre decenni
a contenere e poi a ridurre il potere d’acquisto delle pensioni, ad allargare
l’area delle prestazioni sanitarie a pagamento, a destrutturare gradualmente il
welfare state, a ridurre o limare, anche negli enti locali, un po’ tutti i capitoli
della spesa sociale, con ricadute pesanti se non immobilizzanti sulla vita di
gran parte degli anziani.
118
Intendiamoci: nel territorio da noi studiato non si nota la presenza di
condizioni di povertà estrema. Nell’ultimo cinquantennio esso è stato parte
della trasformazione dell’Italia da paese agricolo-industriale a paese industriale
e poi, in una certa misura, “post-industriale”, e, all’interno di questa
trasformazione, ha beneficiato della particolare intensità dello sviluppo del
Nord-Est, per cui si è verificato un miglioramento delle condizioni materiali di
esistenza considerevole e pressoché generalizzato, che ha coinvolto anche la
massa degli anziani. Questa dinamica di crescita del reddito medio della
popolazione è particolarmente evidente a Cavallino, per via della fiorente
industria turistica, e a Marcon, per effetto dei numerosi insediamenti industriali
e terziari.
La maggioranza degli anziani dei tre comuni vive nella casa di proprietà, un
buon numero di essi dispone di un orto e di propri mezzi di locomozione, il che
significa che, pur in presenza di pensioni modeste o, talora, modestissime (è
spesso il caso degli ex-artigiani e degli ex-contadini), il livello medio di vita è,
per quello che concerne i bisogni primari, senz’altro dignitoso.
Ma da questo a dire che vi sono in questo territorio tutte le precondizioni
materiali per cui si possa effettivamente realizzare su larga scala un
“invecchiamento attivo” con un deciso miglioramento della qualità della vita
degli anziani legato alla valorizzazione delle loro opportunità di salute, della
loro partecipazione alla vita civile e della loro autonomia e sicurezza
(riprendiamo qui le formule dell’Organizzazione mondiale della Sanità), ce ne
corre. E non poco. I documenti internazionali ma anche le ricerche italiane che
sostengono questa prospettiva, inclusa quella del Censis da noi citata in
precedenza, la fanno troppo facile seguendo un approccio eccessivamente
disinvolto e “ingenuo” alle contraddizioni e alle disuguaglianze sociali.
La cosa gli riesce possibile per una serie di omissioni.
Perché sorvolano con disinvoltura sulla necessità di molti anziani di
continuare a lavorare, in condizioni di particolare debolezza nei confronti dei
propri assuntori, per esigenze di bilancio personale o familiare: ove la
famiglia, specie in una realtà come quella veneta nella quale i vecchi legami
propri delle famiglie allargate hanno tuttora un certo grado di resistenza, può
essere quella nucleare propria dell’anziano, quella dei figli (impegnati
nell’acquisto della casa oppure alle prese con la moltiplicazione delle spese
prodotta dai sempre più frequenti divorzi e separazioni) o perfino quella dei
genitori, o di uno di essi, entrati nella quarta o quinta età e da assistere
direttamente, o a mezzo di assistenti familiari professionali.
Perché dimenticano troppo alla leggera quale carico di lavoro aggiuntivo la
destrutturazione del welfare state accolli alle donne, ed in specie alle donne
anziane, che non di rado, da pensionate, si ritrovano addosso un quantum e un
119
quale di lavoro di cura superiore a quello prestato in precedenza (accudire dei
vecchi non autosufficienti non è la stessa cosa che accompagnare la crescita dei
bambini, specie in un’età in cui le energie fisiche non sono più quelle della
giovane età), per tacere poi del lavoro domestico “tradizionale”, sempre
sproporzionalmente loro “spettante”.
Perché non tengono conto del fatto che un certo numero di anziani, ci
riferiamo soprattutto agli artigiani e ai lavoratori autonomi in generale, dopo
aver passato tutta la propria vita solo e soltanto al lavoro, per sentirsi vivi non
hanno altra chance che continuare a lavorare, benché non ne siano astretti da
ragioni economiche.
Ed infine perché non considerano quale arduo ostacolo psicologico (psico-
sociale) costituisca, per l’attivazione a tutto tondo degli anziani, la gelida
corrente contraria di una società ossessionata dalla produttività, dal
giovanilismo, dalla misurazione delle prestazioni fisiche e sessuali che ogni
giorno, a seconda dei casi, delle condizioni fisiche o psichiche o relazionali, li
sfiora, li sferza, li investe in pieno, li umilia nelle loro pressoché inevitabili
“deficienze” su tali terreni. Non a caso gli studiosi più seri della condizione
anziana considerano la diffusione degli stereotipi negativi sulla vecchiaia una
delle forze più gravemente invalidanti delle capacità e delle energie degli
anziani, a misura che è molto difficile per essi, specie se isolati, evitare di
introiettarli98.
Alla base di questa ricerca c’è un approccio meno spensierato e calligrafico
alla vita degli anziani, molto probabilmente perché si hanno in mente classi e
strati sociali differenti, e forse anche perché intendiamo diversamente il
compito della scienza sociale e dei ricercatori sociali. Come che sia, abbiamo
la ferma convinzione che l’invecchiamento può svolgersi come una nuova fase
di crescita delle persone sebbene ci si incammini verso la fine della propria
vita, solo e soltanto in un contesto di relazioni sociali, e non semplicemente
familiari, ricco di stimoli in quanto multidimensionale.
Chiamata in causa, è evidente, è la stessa nozione-chiave di
“invecchiamento attivo”, tutt’altro che auto-evidente. Cosa si deve intendere
con questa espressione? Se teniamo per buona la definizione dell’OMS sopra
richiamata, che non è certo “povera di determinazioni”, e cioè di riferimenti a
più e differenti tipi di attività, una prima questione la incontriamo quando
constatiamo che una quota davvero rilevante di anziani lavora, o a salario, o in
proprio, o come coadiuvante nelle attività dei propri figli; e non si tratta di un
98
Laicardi C. – Pezzuti L., Psicologia dell’invecchiamento e della longevità, Il
Mulino, Bologna, 2000; Fernandez Ballestreros R. et al., Qué es la psicologia de la
vejez, Biblioteca Nueva, Madrid, 1999.
120
lavoricchiare, è proprio lavoro, impegno assorbente. Ciò vale soprattutto – ma
non solo – per gli anziani di sesso maschile, e ha essenzialmente le due forme e
cause già dette. Ci è risultato impossibile, però, quantificare anche soltanto in
modo approssimativo, sotto forma di stima, la percentuale degli anziani
ultrasessantacinquenni di Cavallino, Marcon e Quarto d’Altino coinvolti nel
lavoro produttivo di beni o di servizi, sia per il limitato numero di anziani
direttamente contattati, sia per la loro circospezione a dichiararsi a riguardo, in
quanto si tratta nella maggior parte dei casi di lavoro nero (e quasi sempre
sottopagato). Gli stessi testimoni privilegiati, pur confermando in pieno la
nostra rilevazione, non sono stati in grado di fornirci delle stime.
Il carico di lavoro complessivo risulta essere maggiore per le donne anziane
che per gli uomini della terza età. Qui la variabile decisiva è quella del carico
di lavoro domestico e di cura, a cui va a sommarsi, in un numero relativamente
limitato di casi, il lavoro salariato quasi sempre svolto come collaboratrice
familiare o, talvolta, come lavoro produttivo a domicilio.
Se sfrondata dalla spessa patina ideologica in cui è avvolta, una recente
ricerca di Veneto Lavoro sui lavoratori anziani della regione99 fornisce alcuni
elementi a sostegno delle nostre constatazioni. Essa ci dice anzitutto che in un
mercato del lavoro regionale che pure resta molto mobile e con un tasso di
disoccupazione permanente decisamente al di sotto della media nazionale, gli
anziani si vengono a trovare in una condizione di particolare debolezza quando
sono in cerca di lavoro. Molto difficile è il loro reinserimento al lavoro dopo i
50 anni (p. 15), difficilissimo dopo i 60 (p. 20); esso comunque avviene,
quando avviene in modo regolare, nel 42% dei casi come personale non
qualificato, e spesso con contratti di lavoro di breve, se non di brevissima
durata (p. 27). E’ vero, in regione “solo” (solo?) 20 lavoratori o lavoratrici su
100 sono stati costretti a cambiare lavoro dopo i 50 anni – la cosa ha riguardato
soprattutto gli occupati nei settori tradizionali e le donne (pp. 34, 37) – contro
il 50% dei giovani e il 25% degli adulti; ma è altrettanto vero che, al di là delle
difficoltà di reinserimento, vi è un bel 30% di questi anziani che scompare
dagli archivi istituzionali della forza-lavoro per entrare, evidentemente, in
quelli “segreti” della produzione o della erogazione di servizi sommerse.
Questa stessa ricerca registra come, specie per i lavoratori salariati, «gli anni
precedenti l’uscita definitiva dal lavoro dipendente sono spesso caratterizzati
99
De Angelici A., I lavoratori anziani nel mercato del lavoro regionale:
condizionamenti del passato e nuovi comportamenti, Veneto Lavoro, Venezia-Mestre,
2005. Si deve tener conto, però, e non è cosa da poco, che il termine anziano è usato in
questa ricerca per indicare i lavoratori e le lavoratrici dipendenti e indipendenti con età
superiore ai 50 anni (a proposito…). Soltanto in pochi passaggi vengono fornite
indicazioni per i lavoratori e le lavoratrici con più di 65 anni.
121
da percorsi accidentati, con condizioni di lavoro precarie» (p. 42). E una tale
sempre più diffusa precarizzazione del lavoro salariato “anziano” accresce le
difficoltà materiali ed esistenziali soprattutto di quanti hanno livelli di
istruzione e di qualifica bassi, le accresce prima e dopo i 65 anni, riducendo il
livello del reddito ed esercitando perciò una pressione compulsiva verso la
prosecuzione del lavoro alla dipendenze dopo la soglia simbolica della terza
età.
Ora: un invecchiamento imperniato sulla prosecuzione necessitata del
lavoro salariato esecutivo, o del lavoro domestico e di cura (gratuito o
salariato), o, per “scelta” più o meno libera, del lavoro autonomo, può
considerarsi un invecchiamento attivo? In senso parziale e unilaterale sì, in
senso pieno e onnilaterale no.
Una simile risposta non deve nulla alle ubbìe da “rifiuto del lavoro”, così
largamente diffuse negli strati intellettuali e studenteschi negli anni del ’68.
Essa deriva, tutto al contrario, da una considerazione del lavoro a tal punto
elevata da non accettarlo come semplice mezzo (coatto) di vita, quale esso è per
i salariati; solo in un certo tipo di lavori autonomi, infatti, la prosecuzione del
lavoro dopo i 65 è sentita davvero come un bisogno di vita, ma così è quasi
sempre perché in precedenza si è identificata la propria vita con il proprio
lavoro, e “non si sa fare altro”.
Questa risposta deriva da una concezione della crescita, della educazione,
della formazione degli individui che, nel solco del pensiero critico più avanzato
degli ultimi secoli (quello attuale incluso), è protesa alla formazione di donne e
uomini sviluppati in più direzioni, capaci ed abili sia in campo fisico e manuale
che intellettuale, non limitati e idiotizzati dalla ossessiva ripetizione di
mansioni povere di contenuto (come sapeva già A. Smith). Da questo angolo
visuale non si può considerare una piena attivizzazione degli anziani quella che
si concentra integralmente o quasi sul lavoro, o che si concentra sul binomio
lavoro-lavoro domestico, ché anzi, come anche la nostra indagine prova, una
simile condizione costituisce per molte donne un vero e proprio impedimento
strutturale a prendere parte alle attività di volontariato e alla vita associativa in
genere100. Essa non impedisce, è chiaro, una “viva socialità”, ma restringe
questa socialità al luogo di lavoro (che non di rado è una casa privata), alla
parentela, al vicinato o, al più, al quartiere. Di sicuro, se si vuole, è un ambito
100
E’ noto, del resto che sono proprio le donne oltre i cinquanta e i sessanta anni che
lavorano anche fuori di casa “le più colpite in termini di fatica di orari di lavoro
familiari e professionali, le più colpite anche nella salute” (Chiaretti G., Interni
familiari, Franco Angeli, Milano, 2002, p. 152). Va precisato, tuttavia, che una simile
figura di donna dalla “doppia presenza”, dal “doppio lavoro”, non è la figura di donna
anziana più diffusa nel territorio preso in esame.
122
di socializzazione più ampio di quello tipico delle casalinghe “pure” di un non
troppo lontano passato, ma appare insufficiente a configurare un processo di
invecchiamento attivo inteso in senso forte, e non meramente economicistico-
strumentale (come una utile “risorsa” sostitutiva della spesa sociale in
contrazione).
Non vogliamo dire, con ciò, che l’attività degli anziani di Cavallino,
Marcon e Quarto d’Altino si esaurisca nel lavoro o nell’accoppiata lavoro
domestico-lavoro extradomestico. Il quadro che viene fuori dall’indagine,
certamente più articolato, è, grosso modo, il seguente. Per gli anziani di sesso
maschile le forme di attività più praticate, poste in ordine di importanza
decrescente sono: 1) il lavoro extra-domestico; 2) il circolo anziani, il centro
anziani, o il bar; 3) la partecipazione alla vita domestica (che talvolta,
paradossalmente, cresce con gli anni: ci sono anziani che si occupano dei loro
nipoti più di quanto si siano occupati in passato dei propri figli); 4)
l’associazionismo. Per le donne anziane la graduatoria delle forme di “attività”
risulta differente: 1) il lavoro domestico e di cura; 2) il lavoro extra-domestico;
3) momenti e luoghi di svago; 4) l’associazionismo. La ricerca Coses relativa a
Marcon, di cui si è riferito in precedenza, ci presenta un aspetto su cui non
abbiamo avuto modo, però, di svolgere verifiche: l’andare per negozi, che
occuperebbe addirittura il 26% del tempo libero degli anziani.
Nella logica che sottende questa ricerca è indubbio che una variabile
fondamentale da considerare è quella dell’associazionismo. La presenza di
associazioni è rimarchevole in tutti e tre i comuni: sono 70 a Cavallino-
Treporti, 60 a Marcon, alcune decine a Quarto. Bisogna subito precisare, però,
che è un associazionismo poco partecipato. Molto spesso ogni singola
associazione risulta un circuito chiuso. Quasi sempre le associazioni sono
fortemente autoreferenziali o, addirittura, in concorrenza tra loro. Poche, tra
esse, possono essere considerate associazioni di autentico impegno civile101: si
tratta, nella maggioranza dei casi, di associazioni interne alle parrocchie che si
dedicano all’aiuto o all’assistenza di anziani in particolari difficoltà
economiche, fisiche o relazionali. I circoli anziani, ad esempio, ma anche i
centri anziani, tendono ad esaurire la propria attività nella mera dimensione
ricreativa, con il rischio tutt’altro che remoto di trasformarsi da luoghi di
socialità (quali in certa misura in ogni caso rimangono) in luoghi di
ghettizzazione collettiva, di isolamento sociale degli anziani “attivi”, di quegli
anziani che passano comunque una parte della propria vita quotidiana al di
fuori delle pareti domestiche, con una standardizzazione al ribasso degli
101
Risulta perciò assai poco convincente il dato del 16% di anziani di Marcon
impegnati in iniziative di “impegno civile” di cui parla l’indagine Coses su questo
comune.
123
stimoli alla loro attività, alla conservazione e alla rigenerazione delle loro
capacità, attitudini, potenzialità, curiosità, interessi. Significativo, anche, il
fatto che nella maggior parte dei casi i luoghi delle donne e quelli degli uomini
rimangano distinti e separati: solo nelle feste questa separatezza fisica cade.
Solo una minoranza piuttosto ristretta di anziani prende parte attiva
all’associazionismo. Anche in questo territorio abbiamo potuto verificare come
operante la tendenza nazionale ed internazionale che collega il grado di
impegno nell’associazionismo, specie quello con più elevate valenze civili, a
una condizione di tranquillità materiale102, oltre che ad un buon stato di
salute103. Ancor più ristretta è la quota (sul totale) degli anziani che partecipano
attivamente ad iniziative culturali: del resto solo nel comune di Marcon è in
atto un’offerta strutturata e significativa in tal senso. E’ molto probabile che in
questi tre comuni abbiano una funzione di impedimento allo sviluppo di forme
più ricche di socialità e di associazionismo anche due circostanze specifiche ad
essi proprie: l’essere dei comuni piuttosto policentrici e l’essere (soprattutto
Marcon e Quarto) dei comuni con una popolazione, per dir così, stratificata tra
autoctoni, immigrati di lungo periodo ed immigrati da poco tempo con una
solo relativa permeabilità dei tre differenti strati. Rimane comunque che il
fenomeno da noi rilevato è tutto fuorché locale.
Possiamo affermare, perciò, che se nei tre comuni è presente, e perfino
piuttosto diffusa, una pratica di invecchiamento non passivo, si deve registrare,
nel contempo, una relativa povertà, se non una completa assenza, di stimoli, e
tanto più di stimoli consolidati, a forme di attività e di attivizzazione delle
persone anziane nel loro tempo libero dal lavoro o dal lavoro domestico che
vadano al di là della mera dimensione dello svago e della ricreazione. La stessa
esperienza dello svago e della ricreazione è vissuta quasi sempre in una
posizione “passiva”, da seduti e in luoghi chiusi, dal momento che solo in rari
casi la ricreazione comporta un muoversi insieme all’aperto: nonostante la
ottima abitudine che parecchi anziani hanno, in questi paesi come nel Veneto
in generale, di usare quotidianamente la bicicletta, ci sembra però confermato
che è ridottissimo il numero degli ultra-sessantacinquenni che praticano attività
motoria e/o sportiva in modo continuativo (in una indagine del 2002 l’Istat lo
102
Fondazione italiana per il volontariato, Le dimensioni della solidarietà – 2°
rapporto FIVOL (www.fivol.it); Id., Terza rilevazione FIVOL 2001 sulle
organizzazioni di volontariato, Roma, 2001.
103
E’ in atto un dibattito internazionale intorno alla questione: un buono stato di salute
è condizione fondamentale per l’impegno nel volontariato oppure è l’impegno nel
volontariato a favorire il mantenimento di un buono stato di salute? Sfugge,
francamente, il perché debba esserci un’opposizione tra questi due termini, che una
elementarissima dialettica non fa fatica a vedere interdipendenti.
124
stima pari al 4,7% dei maschi e al 2,6% delle femmine). Per parte nostra,
invece, concordiamo in pieno con quanti sottolineano l’importanza dell’attività
motoria regolare degli anziani, e non ci appare stravagante neppure la
connessione che alcuni autori fanno tra questa attività e le attività di
volontariato, considerandole entrambe di grande importanza per il benessere
degli anziani104. La pratica dell’attività motoria quotidiana, o per lo meno
frequente, ha molto a che vedere, infatti, con una buona “gestione di sé stessi”,
con una attenta “cura della propria salute”, con una fondamentale attenzione
alla prevenzione, produce benessere non solo fisico ma anche psichico e, se
svolta in comune, contribuisce molto alla istituzione di relazioni di gruppo,
agendo da antidoto efficace all’isolamento. Decadimento fisico e decadimento
psichico sono processi non identici, ma profondamente correlati tra loro, e vale
anche l’inverso: la conservazione e la rigenerazione delle proprie energie
fisiche e psichiche sono strettamente interconnesse. E tuttavia è difficile,
usiamo un eufemismo, imbattersi in progetti e in pratiche organizzate che di
tali interconnessioni sappiano tener conto.
Cosa possono fare le comunità locali, gli enti locali per promuovere un
invecchiamento pienamente attivo?
Alcune importanti determinazioni materiali e simboliche di fondo della
condizione anziana, come si è detto, non dipendono da processi locali, bensì si
impongono ad essi con la forza soverchiante delle dinamiche storiche
universali o delle leggi del mercato globalizzato. Pur entro tali ristretti margini
di movimento, le regioni, le province, i comuni potrebbero comunque mettere
in cantiere politiche culturali di lungo periodo volte al riconoscimento ed alla
valorizzazione del contributo dato dalle generazioni oggi anziane allo sviluppo
produttivo e civile della società: a cominciare dal contributo di lavoro e di
lavoro domestico, dal momento che la grandissima parte degli “anziani massa”
è composta da individui occupati per la quasi totalità della propria esistenza in
questo genere di attività. Se, come si è visto, l’immagine, la rappresentazione
dominante dell’età anziana come una età di sole ed esclusive mancanze incide
molto, in negativo, sulla auto-percezione delle persone anziane, appare
indispensabile impiegare risorse, strutturare iniziative per socializzare una
diversa immagine alternativa della terza età, per socializzarla soprattutto alle
104
Lucidi L. – Grano C., Verso un invecchiamento attivo: attività motoria e attività di
volontariato, in Di Prospero B. (a cura di), Il futuro prolungato. Introduzione alla
psicologia della terza età, Carocci, Roma, 2004, pp. 122-3. Ciò che ci distingue da loro
è il non condividere l’accettazione alquanto acritica del concetto di “produttività
economica e sociale” così come formulato dall’economia politica contemporanea, al
momento incontrastata regina delle scienze sociali.
125
nuove generazioni. Ad onta di qualche superficiale ricerca di segno contrario,
sappiamo esserci una scarsa, scarsissima interazione tra le generazioni, ciò che
non giova agli anziani né ai più giovani; politiche intelligenti dovrebbero
favorire la non ghettizzazione degli anziani, anche a costo di forzarne le
tendenze “spontanee” ad auto-emarginarsi. Emblematica, sotto questo profilo,
la tensione creatasi a Cavallino tra il gruppo anziani ed il comune in ordine alla
trasformazione del previsto centro anziani in un centro sociale polivalente. Non
è nostro compito entrare nel merito di questa vicenda, ma è di solare evidenza
che, in linea di principio, la ragione è dalla parte della istituzione di strutture
sociali polivalenti entro cui possono, e debbono, esserci spazi fruibili in prima
istanza dagli anziani, mentre sono da contrastare le spinte e le decisioni che si
muovono nella direzione contraria. Questo vale sia per i casi in cui già esistono
degli spazi ambientali per gli anziani, sia là dove (come a Quarto) si registra
una carenza di essi. Non ci riferiamo soltanto alle strutture comunali.
L’implicazione in questo impegno sia della scuola che delle strutture sindacali,
non solo del sindacato pensionati, andrebbe molto potenziata. La scuola,
perché è il luogo proprio in cui dovrebbe avere corso tanto la trasmissione dei
saperi tecnici (pensiamo in primo luogo agli artigiani, ai contadini ed alle tante
abilità e competenze richieste nel lavoro domestico), quanto la trasmissione
delle esperienze del lavoro socializzato (pensiamo in questo caso agli operai di
fabbrica). Il sindacato, perché costituisce, con tutti i suoi limiti, uno strumento
essenziale di autodifesa e di organizzazione dei lavoratori, e perché è oggi uno
dei luoghi di maggiore attività civile degli anziani e di maggiore promozione
dei loro diritti – non per caso, del resto, sia a Marcon che a Quarto, che pure
sono dei piccoli o medio-piccoli centri, ci si è imbattuti nella presenza del
sindacato pensionati.
Lo stesso criterio di fondo vale, a nostro avviso, per l’associazionismo.
Andrebbe fatto il possibile per aiutare l’associazionismo a superare la linea del
“minimo sforzo”, il che significa nella maggior parte dei casi della mera
ricreazione e della gelosa separatezza ed auto-referenzialità. Non sarà cosa
facile far fare all’associazionismo degli anziani un salto di qualità, ma si può
immaginare che questa insistenza sui temi dell’invecchiamento attivo possa
aiutare, se non declinata in modo strumentale (nei rappresentanti
dell’associazionismo intervistati a Marcon abbiamo colto un sospetto di questo
tipo nei confronti dell’ente locale: interessiamo «loro» solo come «motore di
socialità conveniente per la nostra economicità»…). Per i diversi attori delle
politiche sociali si tratta di prendere sul serio questa sfida, come una sfida
positiva.
Le comunità locali sono poi interpellate direttamente anche sotto un altro
profilo poco considerato, ma decisivo: i trasporti pubblici, all’oggi del tutto
126
insufficienti. La segnalazione di questo problema è stata ricorrente. La sua
soluzione, specie per chi abita nelle aree più periferiche dei tre comuni, è di
importanza fondamentale per la mobilità e la socialità di persone che, come gli
anziani, sia in ragione di risorse limitate che di comprensibili difficoltà psico-
fisiche, non possono servirsi di mezzi privati di locomozione, o si sentono più
sicuri nel non servirsene. Si potrebbero anche immaginare soluzioni
innovative, multimodali; in qualche caso ci si è già pensato, mettendo un’auto
a disposizione degli anziani, ma si potrebbe fare di più e di meglio.
Con quali risorse? E’ evidente: anche queste modestissime proposte di
innovazione comportano una qualche modifica di priorità nelle politiche locali
e, più in generale, presuppongono il blocco e la inversione della tendenza
globale alla riduzione della spesa sociale, e dunque il conflitto. Ma quale
progresso può aversi senza conflitto?
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