Denis Sahayaraj KULANDAISAMY, osm
Luca DI GIROLAMO, osm
Maria di Nazaret
tra Bibbia e Teologia
Prefazione di
fr. Giovanni Grosso, O.Carm
Sivakasi
2017
Prima Edizione 2017
Copertina:
The Virgin in Prayer (1640-1650).
Giovanni Battista Salvi [Sassoferrato]
The National Gallery, London.
Copertina disegnata da Daniel Afonso.
© 2017 Tutti i diritti riservati a:
D.S. Kulandaisamy - L. Di Girolamo
Viale Trenta Aprile, 6. 00153 Roma, Italia.
Email: denisosm2009@gmail.com
PREFAZIONE
«De Maria nunquam satis», recita l’adagio attribuito a
san Bernardo e tutti sappiamo quanto sia vero. Non
mancano certamente articoli, libri, meditazioni, omelie,
conferenze che trattino della Madre del Signore. Però fa
piacere avere tra le mani un libro che in maniera
accessibile a tutti presenta la persona di Maria dal punto
di vista biblico e teologico. La competenza degli autori,
ambedue docenti della Pontificia Facoltà Teologica
“Marianum” di Roma, nei due campi dell’esegesi e della
teologia sistematica garantisce senza alcun dubbio la
genuinità dei loro contributi.
Prendendo in mano il libro si ha l’impressione di
entrare in un piacevole giardino pieno di piante diverse.
Alberi d’alto fusto e cespugli rigogliosi crescono accanto
a delicate piante fiorite, si mescolano profumi diversi
sollecitando i sensi e richiamando suggestioni, ricordi,
pensieri, immaginazioni.
Le quindici meditazioni sui testi biblici mariani
proposte dal prof. Denis S. Kulandaisamy ci
accompagnano in un percorso che conduce alla fonte
della Rivelazione, in cui Maria di Nazaret ha un posto
particolare, centrale. Ogni volta che si incontra Gesù è
impossibile non scorgere, magari un po’ discosta o in
controluce ma sempre discretamente presente, la figura
di Maria, sua madre. Nei momenti importanti della
vicenda umana di Gesù Maria c’è ed agisce. Protagonista
degli eventi che riguardano il concepimento, la nascita e
i primi anni di vita del Signore (cf. Lc 1-2 e Mt 1-2), Maria
provoca una delle prime manifestazioni del Messia
(cf. Gv 2,1-12). Prosegue il cammino con Gesù,
contemplandone nel proprio cuore in silenzio meditativo
(cf. Lc 2,19.51) le vicende, i gesti e le parole, talvolta
incomprensibili a prima vista (cf. Mc 3,31-35; 6,3;
Lc 8,19-21; 11,27-28). Il suo pellegrinaggio di fede
prosegue fin sotto la croce di Gesù (cf. Gv 19,25-27) e
oltre, quando raccoglie attorno a sé i discepoli, nella
memoria colma di attesa e di speranza nel dono dello
Spirito (cf. At 1,10). Le già scarne notizie di Maria nel
Nuovo Testamento terminano qui, almeno per quanto
attiene alle notizie riguardo alla vita di Maria. Occorre
però ricordare ancora due altri testi. Il più antico
riferimento alla Madre di Gesù: Gal 4,4, in cui Paolo
accenna a lei senza nominarla. C’è poi la grandiosa
immagine di Ap 12,1-10, in cui la tradizione ecclesiale ha
riconosciuto anche la figura di Maria, allegoricamente
intrecciata con la Chiesa Madre in perenne lotta contro il
serpente antico.
P. Denis ci accompagna sapientemente nella rilettura
di questi e di altri passi biblici di riferimento, tratti anche
dal Primo Testamento, offrendoci così una lettura ricca
di spunti della personalità di Maria e del suo ruolo nella
storia della salvezza. È un po’ come se, entrando nel
giardino ci venissero mostrate le diverse piante e i fiori,
ce ne venisse raccontata la natura e svelati forme, colori,
profumi.
Le riflessioni teologiche di p. Luca M. Di Girolamo,
invece, ci fanno gustare gli aspetti meno immediatamente
percepibili delle stesse piante e degli stessi fiori. Veniamo
accompagnati a riconoscere relazioni, nessi,
interdipendenze, conseguenze di quanto in modo
sintetico viene proposto dal dato biblico. Temi diversi,
frutto del Magistero e della plurisecolare speculazione
6
teologica, diventano occasione per una riflessione che
accompagna il lettore a una migliore comprensione e lo
introduce ad apprezzare il profumo della nostra ricca
tradizione ecclesiale. Un pregio di queste riflessioni sta
anche nell’uso sapiente e accattivante di pagine tratte
dagli scritti di Padri della Chiesa e Santi, la cui teologia
vissuta – fatta «in ginocchio», come direbbe von
Balthasar – dà un aroma particolare alla discussione. Non
si tratta infatti di pura speculazione astratta, di una
vivisezione o, peggio, di un’autopsia del dato teologico,
ma di una proposta vitale, che tocca l’esistenza reale del
lettore e lo provoca a una decisione, a quella risposta di
fede che ci viene sollecitata dall’incontro con il Signore,
sull’esempio di Maria, vera pellegrina della fede
(cf. Lumen gentium, n. 58; Redemptoris Mater, n. 26).
Desidero ringraziare p. Denis e p. Luca per averci
donato queste riflessioni e per averci permesso così di
entrare nel giardino chiuso che è Maria (cf. Ct 4,12).
Chiuso non per isolarsi, o solo per prevenire incursioni
indebite, ma piuttosto per preservarne la bellezza
immacolata. Bellezza divina, di cui Maria è riflesso
brillante, semplice e puro, capace di attrarre persone di
ogni generazione, di ogni tempo e di ogni latitudine.
Buona lettura!
fr. Giovanni Grosso, O.Carm.
Roma, 31 maggio 2017
Festa della Visitazione di Maria
7
Prima Parte
Riflessioni Bibliche
La Bibbia, Parola di Dio, scritta sotto
l’ispirazione dello Spirito Santo, è la fonte più antica e più
affidabile per la ricerca sulla persona di Maria di Nazaret.
La sua figura e il suo ruolo nella Sacra Scrittura è un
gioello da riscoprire e reinterpretare con le sue ricche
sfumature.
Lo scopo della prima parte di questo libro è quello di
contemplare il volto di Maria nella Bibbia nelle sue
tematiche dottrinali e attuali. Le riflessioni della prima
parte non seguono l’ordine dei libri canonici in modo
sistematico, ma si concentrano sul ruolo di Maria nella
storia della salvezza, così come viene presentata, nonché
nella vita dei cristiani.
La particolarità di queste riflessioni bibliche, senza
attardarsi sui diversi metodi esegetici, risiede nel tono
semplice e, allo stesso tempo, sistematico affinchè tutti
possano comprenderle. Queste riflessioni non si limitano
solo alla Bibbia, ma diverse volte si fa ricorso anche ai
testi ufficiali del magistero. Questo arricchisce e favorisce
la trattazione.
Auspico che queste riflessioni siano utili per scoprire
il vero volto di Maria nella Bibbia e la sua grandezza
personale. Sicchè diventi il modello di fede per ogni
credente in Gesù.
9
1
Incontrare Maria nella Bibbia
Come e dove si incontra Maria nella Bibbia? Siamo di
fronte a due domande interessanti, ma non di facile
risposta! Si tratta di un soggetto che interessa tutti i
credenti in Cristo, in quanto Maria è la madre di Cristo e
la nostra madre. Ella ci invita a credere nelle parole del
suo Figlio e metterle in pratica. Nella Sacra Scrittura,
Maria è descritta come la Vergine, donna umile e povera,
discepola attenta, vigile custode di ogni gesto e parola che
riguardano a Gesù. Donna di preghiera nel Cenacolo con
la Chiesa primitiva.
Quando si parla di Maria nella Bibbia, si ha
l'impressione che la Sacra Scrittura non sia generosa di
notizie nei suoi confronti. Secondo A. Valentini, questo
è «un giudizio acritico, anzi un pregiudizio che
misconosce il carattere non quantitativo, ma qualitativo
della parola di Dio e la sua finalità storico-salvifica. La
Scrittura infatti – a differenza della letteratura apocrifa e
devozionale – non si interessa direttamente della
biografia e della vicenda particolare della madre di Gesù,
ma del suo ruolo e significato all’interno del disegno
salvifico… Statisticamente i brani espliciti concernenti la
madre di Gesù non sono numerosi, ma neppure scarsi;
in ogni caso, sono testi strategici e di eccezionale densità.
Strategici, perché collocati alle svolte fondamentali della
storia della salvezza: Incarnazione – Mistero pasquale –
Pentecoste; di straordinaria densità, in quanto vitalmente
11
inseriti in tali misteri, da cui traggono valore e
significato».1
Maria, per la sua intima partecipazione nella storia
della salvezza, deve essere studiata in tutta la Bibbia, non
solo nei brani espliciti, ma anche nei brani dell’Antico
Testamento, dove la madre del Redentore è adombrata.
Si capisce perché l’oggetto della nostra riflessione è
importante per chi vuole vivere la sua vocazione cristiana
sulle orme di Maria, la madre del Signore e nostra madre.
Questa riflessione si articola in quattro parti: La prima
parte introduce il tema dell’importanza della Sacra
Scrittura per conoscere la personalità di Maria. Nella
seconda parte, vedremo come affrontare i problemi
ermeneutici e vari metodi di leggere la Sacra Scrittura. La
terza e quarta parte proporranno una chiave di lettura dei
brani biblici per una maggiore conoscenza del loro
contenuto teologico-mariologico.
Perché cercare il volto di Maria nella Bibbia?
La Costituzione Conciliare Dei Verbum n. 24 dice: «La
sacra teologia si basa, come su un fondamento perenne,
sulla parola di Dio scritta, con la sacra tradizione, e in
quella vigorosamente si consolida e ringiovanisce
sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità
racchiusa nel mistero di Cristo. Le sacre Scritture
contengono la parola di Dio e, perché ispirate, sono
1
A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture. Figlia di Sion e Madre del
Signore, Dehoniane, Bologna 2015, 21.
12
veramente parola di Dio; lo studio della sacra pagine sia
dunque come l’anima della sacra teologia».2
In questo senso, la Sacra Scrittura è anche la fonte
della Mariologia. Se vogliamo conoscere il vero volto di
Maria, il primo passo fondamentale e inevitabile è quello
di approfondire i brani biblici che parlano di Lei. La
Sacra Scrittura è la parola divinamente rivelata e ispirata
sotto la guida dello Spirito Santo. La verità contenuta
nella Bibbia si fonda su questo elemento della rivelazione
divina. Perciò i testi mariani della Bibbia sono i punti di
riferimento affidabili.
Anche i Padri della Chiesa hanno fatto un cammino
di scoperta della verità biblica su Maria e ci hanno
tramandato gli elementi che costituiscono la teologia
mariana nella tradizione della chiesa: quali: l’antitesi EvaMaria, la divina maternità, la perpetua verginità, la santità
eccelsa, l’intercessione potente, la partecipazione nella
regalità di Cristo, etc. La tradizione della Chiesa ha attinto
a fonti bibliche per celebrare nella liturgia gli eventi
centrali della sua vita.
Maria è vista come punto di divisione tra le varie
confessioni cristiane. Maria non divide. Sono i suoi figli
che si dividono a motivo di Lei. Noi ci dividiamo tante
volte nei suoi confronti. Per il dialogo ecumenico tra le
varie chiese su Maria, madre di Gesù, è doveroso
ritornare alla Bibbia. La Bibbia dovrebbe essere il nostro
primo punto di riferimento per una mariologia
2 CONCILIO VATICANO II, Costituzione Dogmatica sulla divina
Rivelazione Dei Verbum, n. 24, in Enchiridion Vaticanum (= EV),
Dehoniane, Bologna 1981, 1/907.
13
ecumenica. La Sacra Scrittura non è certamente la fonte
esclusiva della rivelazione divina, ma è la fonte principe
Come leggere i brani mariani?
Leggere la Sacra Scrittura come si deve non è una cosa
facile. Esistono vari modi di lettura. E questa varietà è
un'autentica ricchezza. L’ermeneutica biblica è diventata
una arte e una scienza molto importante tra i cultori della
Bibbia. Negli ultimi 40 anni, non sono pochi gli esegetici
cattolici che hanno impegnato le loro competenze per
promuovere lo studio e la conoscenza della mariologia
biblica. In proposito meritano considerazione alcune
affermazioni, rilasciate dalla Pontificia Academia
Mariana Internazionale (La madre del Signore, n. 24) per
orientamento meritevole di attenzione:
- «Nei nostri tempi gli esegeti ricorrono a una
pluralità di metodi per l’approccio alla Bibbia;
ovviamente tale varietà è legittima, parchè, evitando ogni
fondamentalismo, da una parte non si trascuri il senso
letterale della Scrittura, alla cui individuazione ha dato e
dà un grande contributo il metodo storico-critico,
dall’altra non si sottovaluti il peculiare carattere della
Bibbia, quale parola di Dio ispirata, trasmessa con
linguaggio umano da molti agiografi lungo molti secoli,
accolta da una comunità di fede, avente una finalità
teologica (l’autorivelazione di Dio) e uno scopo
soteriologico (la salvezza del genere umano!). In questa
varietà di approcci, conserva immutato valore il principio
enunciato dal Vaticano II: la Sacra Scrittura deve “essere
letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito
mediante il quale è stata scritta; per ricavare con esattezza
il senso dei sacri testi si deve badare con non minore
diligenza al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura,
14
tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la
Chiesa e dell’analogo della fede”.
- in mariologia può avere feconde applicazioni il
principio della “unità di tutta la Scrittura”, considerata
quindi come un unico Libro, perché uno ne è, in
definitiva, l’Autore, uno il popolo a cui è rivolto, unico
lo scopo che si prefigge, questo principio consente, ad
esempio, di collegare in modo non arbitrario la Donna di
Genesi 3,15 con la Donna di Apocalisse 12,1; come pure
invita a rilevare la continuità della ‘benedizione’ di cui
sono oggetto le donne che hanno avuto una missione
liberatrice in Israele: Giaele (cf. Gdc 5,24), Giuditta (cf.
Gdt 15, 9.10), Maria di Nazaret (cf. Lc 1,42). Il
riferimento alla “viva tradizione di tutta la Chiesa»”
dovrà convincere tutti noi a non trascurare, nella ricerca
mariologica, l’esegesi patristica: di tale tradizione infatti i
Padri sono i fondatori e sono pure insuperabili maestri di
una lettura teologica ecclesiale, compiuta con autentico
spirito cristiano e di incalcolabile valore;
- sarebbe conveniente non ripetere ad ogni
momento, quasi come un ritornello, che la Sacra Scrittura
parla poco della Madre del Signore; a questo riguardo
Giovanni Paolo II ha già rilevato che “la beata Vergine è
[…] dopo l’Apostolo Pietro e dopo il Precursore
Giovanni, il personaggio più citato nei Vngeli canonici”.3
Nella testimonianza evangelica sulla Vergine Maria è da
considerare, più che la quantità, la qualità delle pericopi;
la narrazione dell’Annunciazione (Lc 1, 26-38), della
Visitazione (Lc 1, 39-56), delle nozze di Cana (Gv 2, 112), dell’affidamento reciproco del Discepolo alla Madre
3
Cf. Acta Apostolicae Sedis 81 (1989), 774.
15
e della Madre al Discepolo (Gv 19, 25-27) sono tra le
pagine più alte e dense dei Vangeli».4
Maria nell’Antico Testamento?
Maria nell’Antico Testamento: è legittima la
domanda? Prima di rispondere a questa domanda, voglia
fare una premessa. Gli evangelisti, quando raccontano
l’identità di Gesù Cristo e la sua missione salvifica, fanno
ricorso anche alle Scritture dell’Antico Testamento.
Anche Gesù Risorto fece così, quando parlava ai due
discepoli di Emmaus: «cominciando da Mosè e da tutti i
profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva
a lui» (Lc 24,27). Gesù lo fa altrettanto apparendo a tutti
i discepoli riuniti a Gerusalemme, diceva: «“Sono queste
le parole che vi dicevo, quando ero ancora con voi:
bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me
nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. Allora aprì
loro la mente all’intelligenza delle Scritture» (Lc 24,44s).
Come l’identità di Gesù fu compresa nella prima
comunità cristiana, partendo dall’Antico Testamento,
così bisogna capire la vera identità di Maria, senza
trascurare l’Antico Testamento.
Quali brani dell’Antico Testamento, dove Maria è
implicitamente preannunciata o adombrata? In che
modo l’Antico testamento ci aiuta a capire l’identità del
madre del Salvatore? Diverse donne, che gli autori
dell’Antico Testamento descrivono, prefigurano Maria.
Per esempio Sara - moglie di Abramo (Gen 16, 1-2; 17, 34
PONTIFICIA ACADEMIA MARIANA INTERNATIONALIS
(= PAMI), La Madre del Signore. Memoria, presenza, speranza. Alcune
questioni attuali sulla figura e la missione della b. Vergine Maria, n. 24, Città
del Vaticano 2000, 28-31.
16
8. 15-19; 18, 10-14; 21, 1-7), Anna – moglie di Elkana,
sono donne sterili che concepiscono per opera di Yahvé.
Nel Magnificat, l’evangelista Luca mette in relazione col
mistero di Maria l’inno di gratitudine pronunciato da
Anna (1 Sam 2, 1-10). In questi e anche in altri casi in cui
Yahvé interviene nella storia della salvezza dell’Israele,
queste donne rispecchiano la vocazione di Maria.
Le donne nominate nella genealogia di Gesù sono
quattro: Tamar, Raab, Rut e Betsabea (Mt 1, 3.5.6). Che
ha da fare la menzione di queste donne nella nascita di
Gesù da Maria? C’è qualche legame profetico-messianico
tra queste quattro donne e Maria? Varie sono le risposte.
Alcuni dicono che Maria, donna umile e santa, è in
contrapposizione a queste quattro donne che sono
entrate da straniere nella conservazione della
discendenza di Gesù, che Matteo presenta all'inizio del
suo Vangelo, come figlio di Davide, figlio di Abramo.
Altri dicono che queste quattro donne fecero dei gesti
grandemente benemeriti per le sorti del popolo
dell’Israele. Però, bisogna notare la peculiarità stilistica di
Mt 1, 16b. In questo versetto, Matteo cambia lo stile di
frase stereotipa e immutata (A generò B, B generò C,
etc). Perché questo cambiamento all’improvviso? Perché
nella nascita di Gesù, c’è un’eccezione tutta singolare e
particolare. Gesù non ha un padre umano. Maria concepì
per l’opera dello Spirito Santo (Mt 1, 18). Ecco questo è
un esempio del vangelo di Matteo che dimostra come il
mistero di Maria deve essere interpretato sullo sfondo
dell’Antico Testamento.
Brani, come Gen 3,15; Is 7,14 e Mic 5,2, sono molto
importanti per capire meglio la vocazione di Maria come
la madre del Redentore. L’evangelista Matteo richiama il
testo Is 7,14 e fa capire ai suoi lettori la verginità di Maria.
17
Inoltre, abbiamo tre libri dell’Antico Testamento (Rut,
Ester e Giuditta), che presentano casi di vocazioni
femminili, che partecipano in maniera diversa al piano
salvifico di Dio nella storia dell’Israele. Queste tre donne
sono mediatrici tra Dio e il popolo d’Israele. Esse sono
figure remote di Maria, che fu chiamata a portare a
termine il disegno di Dio per la salvezza dell’umanità. Nei
momenti di pericolo del popolo, Dio sceglie queste
donne per salvare la vita di queste persone. Queste figure
femminile annunziano e definiscano la missione di
Maria.
Oltre questi brani classici, ci sono numerosi allusioni
e riferimenti ai titoli attributi a Maria: il roveto ardente
(Es 3,2), l’orto chiuso, la fonte sigillata (Cant 4,22), figlia
di Sion, l’arca dell’alleanza, etc. Le prefigurazioni di Maria
si trovano nei seguenti testi: Sarah (Gen 17,16-19; 18,1014), Rebecca (Gen 24,12-16), Miriam (Ex 15,20-21),
Anna (1 Sam 1,2-10). Questi brani dell’Antico
Testamento che abbiamo menzionato sopra, ci spiegano
come il mistero di Cristo è nascosto nell’Antico alleanza,
e spiegano anche come il mistero di Maria, madre del
redentore, deve essere scoperto e interpretato alla luce
dell’Antico Testamento.
Maria nel Nuovo Testamento
Ormai sappiamo quasi tutti a memoria i brani mariani
neo-testamentari, perché li abbiamo letto o ascoltato
diversissime volte. Ora non vogliamo, non neanche
possiamo, approfondire questi brani mariani dal punto di
visto esegetico-teologico. Vogliamo semplicemente
accennare a questi brani e offrire una chiave di lettura e
presentare in breve il loro messaggio spirituale per noi
oggi.
18
Molti contestano l’assenza della figura della madre di
Gesù nel corpo paolino. Nell’antico inno cristologico di
Filippesi (2,7), noi troviamo un accenno indiretto alla
madre di Gesù: il gesto del Figlio di Dio, che assume la
condizione umana, avviene mediante la nascita da una
donna, che si dichiara ‘serva’ del Signore. L’obbedienza
di Gesù al Padre e l’obbedienza di Maria avvengono nello
stesso evento dell’incarnazione. Il testo mariano più
antico del Nuovo Testamento è Gal 4,4: «ma quando
venne la pienezza del tempo Dio mandò il suo Figlio
nato da donna nato sotto la legge». Alla prima vista,
questo versetto sembrerebbe di riferire alla madre di
Gesù in maniera indiretta e superficiale. Però quando si
colloca il testo nel suo contesto e fa una attenta analisi
esegetico-teologico, si capisce che questo testo paolino
contiene “una mariologia in germe”. A. Valentini scrive:
«La donna, di cui non si menziona neppure il nome, è
interamente al servizio dell’evento salvifico che impegna
la stessa Trinità ed è a vantaggio di tutti gli uomini […] Il
tempo della fine è il tempo in cui il “principio” divino
della nostra esistenza, Gesù Cristo, è penetrato in essa.
La comparsa di Gesù Cristo in questo eone si basa
sull’atto dell’invio e consiste nell’Incarnazione. Il Figlio
di Dio così inviato, si inserisce nella natura umana,
determinata dalla donna».5
L’evangelista Marco si riferisce a Maria nei due testi:
3,31-35 e 6,3. Questi due brani parlano della famiglia di
Gesù. L’espressione “fratelli di Gesù” del vangelo di
Marco, suscita diversi problemi. Per esempio, i
protestanti dicono che se Gesù aveva i fratelli, non
possiamo credere che Maria fu rimasta vergine dopo il
5
A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture, 31.
19
parto. La verginità di Maria viene messa in questione. Un
altro problema posto è: se Gesù stesso ha respinto Maria,
dicendo “Chi è mia madre?”, perché dobbiamo noi dare
importanza a Maria? Queste domande sono superficiali.
La parola “adelphoi” usata dall’evangelista non significa
necessariamente i fratelli di sangue di Gesù, ma nel
linguaggio semitico significa i cugini di Gesù. Per quanto
riguarda la domanda di Gesù “chi è mia madre? Chi sono
i miei fratelli?”, Gesù non respinge per niente sua madre,
anzi non vuole limitare la sua relazione con lei a livello
biologico, ma la mette ancora a un livello superiore – cioè
presenta la sua madre come colei che ha ascoltato per
prima la parola di Dio e l’ha messa in pratica nella sua
collaborazione con Dio per la salvezza del mondo.
I primi capitoli di Matteo e i primi due capitoli di Luca
sono molto importanti per capire la vera identità e la
missione di Maria, la madre di Gesù. Solo questi
evangelisti parlano dell’infanzia di Gesù, perciò vengono
chiamati “vangeli dell’infanzia”. Matteo comincia il suo
vangelo con la genealogia. Maria viene messa in relazione
con le quattro donne nell’elenco della genealogia e fa
vedere come Maria ha concepito Gesù per l’opera dello
Spirito Santo. Richiamando Is 7,14, Matteo mette in
rilievo la verginità di Maria. Nel racconto matteano
dell’infanzia di Gesù, Maria è una donna obbediente, tace
ed esegue gli ordini del Padre celeste. La parte narrativa
del secondo capitolo, l’adorazione dei magi, ci danno una
chiara immagine di Maria come la regina. Perché il suo
Figlio Gesù è adorato come il Re, che salverà tutta
l’umanità (Mt 2,1).
Tra i sinottici, Luca è l’evangelista che offre una
visione più storica e dettagliata della vita di Maria in
riferimento all’infanzia di Gesù nei primi due capitoli del
20
suo vangelo: Annunciazione, Visitazione, Magnificat, la
nascita di Gesù, presentazione di Gesù nel tempio,
annunzio profetico dei dolori di Maria, Gesù adolescente
ritrovato nel tempio di Gerusalemme. Luca parla di
Maria anche negli Atti degli Apostolo (1,14). Maria prega
con gli apostoli nel cenacolo. Si potrebbero scrivere
pagine su pagine, sull’immagine di Maria negli scritti
Lucana. Lavori fatti da altri.
Giovanni non scrive mai il nome di Maria nel suo
Vangelo. La chiama sempre con la espressione “madre di
Gesù”. I due brani mariani del quarto vangelo sono: il
primo segno di Gesù alle nozze di Cana (2,1-12) e Maria
i piedi della croce sul calvario (19,25-27). Gesù chiama la
sua madre ‘donna’ in questi brani. Questo fa eco alla
donna del Gen 3,15. Può collegare questa parola ‘donna’
del vangelo alla ‘donna’ dell’Apocalisse 12. La teologia
mariana dell’evangelista Giovanni è molto ricca e densa.
Alcuni esegeti interpretano la ‘donna’ dell’Apocalisse
come la Chiesa perseguitata dell’Asia minore, e altri
esegeti vedono l’immagine di Maria in questa ‘donna’.
Tutte e due interpretazioni (ecclesiologia e mariologica)
non sono esclusivi o incompatibile, ma sono
complementari. Una interpretazione arricchisce l’altra.
Alcuni esegeti dicono che Gv 1,13, letto con il verbo
al singolare (è stato generato –non sono stati generati),
allude alla concezione verginale e parto verginale di
Gesù, in conseguenza alla verginità di Maria. Tutti i
manoscritti antichi leggono questo versetto al plurale,
cioè riferiscono alla nascita battesimale dei credenti. Però
la testimonianza di alcuni padri della Chiesa (latini e
orientali) per la lettura del versetto al singolare sono più
antichi dei manoscritti che abbiamo noi oggi. La
21
questione della critica testuale di questo verbo è ancora
aperta alla discussione.
Concludendo, possiamo dire che la Sacra Scrittura ci
offre la più affidabile testimonianza sulla persona e
missione di Maria, la madre di Gesù. Si dice che
l’ignoranza delle Scritture è l’ignoranza di Cristo. Questo
vuol dire che l’ignoranza di Scrittura è anche l’ignoranza
di Maria. Allora, leggiamo la Bibbia con reverenza e
devozione, ma con metodi appropriati. Così potremmo
conoscere meglio Maria, e seguire le sue orme, nel
compiere la volontà di Dio.
22
2
Il Verbo si incarna in Maria
«Il Verbo (Logos) si fece carne e venne ad abitare in
mezzo a voi» (Gv 1, 14). Con l’incarnazione del Verbo,
l’evento atteso dall’umanità e attestato dal primo
testamento si è manifestato e Dio ha parlato a noi per
mezzo del suo Figlio «una volta per tutte» (Eb 1, 1-2). In
questo evento sublime della storia dell’umanità, Maria ha
giocato un ruolo notevole ed importantissimo. Maria è la
donna per eccellenza: la donna che ha accolto la Parola
nel suo grembo e ha portato alla luce il Figlio di Dio, il
Verbo eterno del Padre. L’eterno progetto di Dio si fa
storia attraverso l’incarnazione del Verbo che diventa
figlio di Maria di Nazaret. La Sacra Scrittura ci offre la
testimonianza di questo fatto stroico-salvifico. In questo
articolo, basandoci su alcuni brani del Nuovo
Testamento, approfondiamo il ruolo di Maria che
accogliendo la Parola diventa madre di Dio.
Nato da Donna (Gal 4,4)
«Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il
suo Figlio, nato da donna sotto la Legge» (Gal 4,4). È un
testo di “rara densità” dal punto di vista cristologico e
mariologico. Commentando questo versetto, A. Serra
scrive: «L’Apostolo [...] accenna alla Donna tramite la
quale il Figlio di Dio venne a far parte del nostro mondo.
La sua è una menzione fugace. Essa, però, quale nucleo
germinale, rimane aperta alle successive acquisizioni del
23
Nuovo Testamento, soprattutto dei Santi Vangeli».6
G. Söll dice che Gal 4,4 è reputato il testo
neotestamentario mariologicamente più significativo, in
quanto con san Paolo «ha inizio l’aggancio della
mariologia con la cristologia, proprio mediante
l’attestazione della divina maternità di Maria e la prima
intuizione di una considerazione storico-salvifica del suo
significato».7
In questo versetto, Paolo sottolinea la dimensione
«kenotica» dell’incarnazione, cioè il suo aspetto di
annientamento, di umiliazione, di abbassamento, di
svuotamento del Figlio di Dio. Quando Paolo usa
l’espressione «nato da donna», emfatizza il fatto che il
Figlio di Dio nasce esattamente come tutti gli esseri
umani. Questa donna da cui nasce il Figlio di Dio è Maria
di Nazaret. Secondo Paolo VI, «il mistero di Cristo è
inserito in un disegno divino di partecipazione umana.
Egli è venuto fra noi seguendo la via della generazione
umana. Ha voluto avere una Madre; ha voluto incarnarsi
mediante il mistero vitale di una Donna, della Donna
benedetta fra tutte. Dice l’Apostolo che ha tracciato la
struttura teologica fondamentale del Cristianesimo:
“Quando arrivò la pienezza del tempo, Dio mandò il
Figlio suo, nato da Donna …” (Gal 4,4). […] Questa
dunque non è una circostanza occasionale, secondaria,
trascurabile; essa è parte essenziale e per noi uomini
importantissima, bellissima, dolcissima del mistero della
6 A. SERRA, Gal 4,4: una mariologia in germe, in Theotokos 1 (1993/2),
7-25.
7 G. SÖLL, Storia di dogmi mariani, LAS, Roma 1982, 31.
24
salvezza: Cristo a noi è venuto da Maria; lo abbiamo
ricevuto da lei».8
Annunciazione (Lc 1,26-38)
L’angelo Gabriele, mandato da Dio, annuncia a Maria
che ella diventerà madre del Messia profetizzato e atteso.
Ascoltando le parole dell’angelo (Lc 1,28ss), Maria
emblematizza “il silenzio tutto inteso ad ascoltare”9 la
Parola di Dio. Nell’annunziazione, Maria non solo
ascolta la Parola e la accoglie, ma anche si dedica alla
Parola (Lc 1,38). La Parola di Dio non è solo da ascoltare
con disponibilità ma deve essere vissuta nel concreto
dell’esistenza umana. M. Masini scrive: «“Avvenga di me
quello hai detto”. Così traduce il greco di Luca (1,38) la
visione italiana, la quale però non rende il tono gioioso,
festoso, entusiastico, carico di oblatività proprio della
locuzione greca. […] Il modo verbale ottativo indica
infatti un desiderio, una gioiosa disponibilità
all’accoglienza. Perciò bisogna evitare che sia la versione
latina sia quella italiana possano essere intese come
significanti un impegno soltanto volontaristico, affidato
alla volontà. A questo fine la valenza del greco viene ben
resa da una traduzione che implichi pensieri come questi:
“Sì, lo desidero”; “Sì, sono contenta di entrare nel
progetto che Dio mi ha proposto”».10
Vorrei riportare qui le parole di San Bernardo di
Chiaravalle: «Maria disse: “Si compia in me la tua Parola”.
8
PAOLO VI, Pellegrino nel Santuario di Bonaria (Cagliari 24 aprile
1970). Cf. Acta Apostolica Sedis 62 (1970), 300.
9 Cf. D. BONHOEFFER, La vita comune (Koinonia, 5), Queriniana,
Brescia 1969, 103.
10 M. MASINI, Maria: icona della lettura e dell’ascolto, in Monte Senario
9/26 (2005), 53.
25
Il Verbo, che era in principio presso Dio, si faccia carne
della mia, secondo la tua Parola. Si faccia in me il Verbo,
non come una parola che appena pronunziata passa, ma
concepita perché rimanga, rivestita di carne, non di aria.
Si faccia in me, questa Parola, non solo udibile alle orecchie,
ma anche visibile agli occhi, palpabile con le mani e che
si possa portare in braccio. Né sia una parola scritta e
muta, ma incarnata e viva… per opera dello Spirito
Santo… Io chiedo che a me la Parola si faccia anche nel mio
grembo. Non mi accontento che sia predicata e declamata,
né che sia espressa in figure o immaginata in sogno; ma
che sia silenziosamente ispirata, personalmente
incarnata, corporalmente inviscerata».11
Maria accoglie nella fede il Verbo di Dio
Maria era una donna dell’ascolto della Parola di Dio
che leggeva nelle Scritture veterotestamentarie, ma anche
delle parole che veniva sentendo da Gesù. Ascoltando la
Parola, ella la custodiva (Lc 2,51) e meditava (Lc 2,19b).
«Maria appare come la donna sapiente che ricorda e
attualizza, interpreta e confronta parole e fatti; […] che
si interroga sul significato di parole oscure, sulle quali si
proietta l’ombra della croce (cf. Lc 2, 34-35. 48-50) e
accoglie i silenzi di Dio con il suo silenzio orante».12
La risposta di Maria all’angelo ci dimostra la
disponibilità con cui ella accoglie la proposta divina di
diventare madre del Figlio di Dio. La Vergine nel
11 BERNARDO DI CHIARAVALLE, Homilia super «Missus est» 4,11,
in M. MAZZEO, Con Maria in ascolto della Parola. La «via» per incontrare
e seguire Gesù, Paoline, Milano 2009, 38.
12 J. LECLERCQ, La contemplazione di Cristo nel Monachesimo
medievale, San Paolo, Milano 1994, cap. III, in M. MASINI, Maria: icona
della lettura e dell’ascolto, 48.
26
momento in cui Dio si fa uomo è interpellata in
rappresentanza e «al posto di tutta la natura umana»,
adempiendo il ruolo dell’uomo che accoglie il piano di
Dio.13 La sua fede si manifesta nelle sue parole rivolte
all’angelo. Per la sua obbedienza e accoglienza, Maria
diventa il Salvatore di tutta l’umanità. Possiamo dire con
certezza che Maria è la donna della «Parola» che si è fatta
Uomo.
Concezione verginale in Gv 1,13?14
Gv 1,13 conosce due lezioni. È molto dibattuto il
problema del testo: «i quali [il quale] non da sangue, né da
volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati
generati [è stato generato]». Letto al plurale, fa riferimento a
coloro che credono nel nome del Verbo, come dicono i
vv. 11-12. Letto al singolare, fa riferimento alla
concezione verginale e alla nascita verginale di Gesù.
Tutti i manoscritti greci attestano la lezione plurale. Però
diversi testimoni più antichi di questi manoscritti greci
attestano la lezione singolare (per esempio, gli scritti di
Clemente Alessandrino, Origine…). Diversi esegeti
moderni, come A. Serra, sono del parere che Gv 1,13
dovrebbe essere letto al singolare: «Qualora si legga
questo versetto al singolare, una delle conseguenze più
ovvie sul piano dottrinale è che il Verbo divenne carne
nel grembo di Maria. […] Nel processo dell’incarnazione
non ebbe gioco alcun desiderio-istinto sessuale. […]
Nell’ordine della carne Cristo ha una madre (cf il v. 14),
13 Cf. S. DE FIORES, Incarnazione, in ID., Maria. Nuovissimo
Dizionario di Mariologia, Dehoniane, Bologna 2006, vol. 1, 950.
14 Cf. D.S. KULANDAISAMY, The birth of Jesus or the birth of
Christians? An Inquiry into the Authenticity of Jn 1:13 (Scripta Pontificiae
Facultatis Theologicae Marianum 65; Nova Series 37), Marianum,
Roma 2015.
27
non un padre terreno. Dio solo è suo Padre».15
E. Hoskyns ha sostenuto che la lezione originale era il
plurale ma ha pensato che la frase fosse stata formulata
in modo da richiamare la nascita verginale di Gesù.16 Le
tre negazioni in Gv 1,13 spiegano come Maria diventa la
Madre di Gesù. Il Verbo eterno del Padre si incarna in
Maria (cf. Gv 1,14).
Conclusione
Maria ci aiuta a riscoprire la Parola nella nostra vita.
Sapendo benissimo come entrare nel mistero della Parola
di Dio, ha creduto in essa, l’ha accolta nel suo cuore e
l’ha meditata. Per questo Gesù stesso diceva riguardo alla
sua presenza che «Mia madre e i miei fratelli sono questi:
coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in
pratica» (Lc 8,21). Il XII Sinodo dei vescovi sulla Parola
di Dio mette in rilievo il ruolo di Maria con queste parole:
«Va considerato il suo modo di ascoltare la parola […]
ascoltava e conosceva le Scritture, le meditava nel cuore
in una sorte di processo interiore di maturazione, dove
l’intelligenza non è separata dal cuore. Maria è nostro
modello […]. Ricevendo la buona notizia, Maria si
mostra tipo ideale dell’obbedienza della fede, nostra
icona vivente della Chiesa al servizio della Parola».17
Come Maria, impariamo ad accogliere la parola nel
nostro cuore.
15 A. SERRA, Vergine, in S. DE FIORES – S. MEO (a cura di), Nuovo
Dizionario di Mariologia, Paoline, Cinisello Balsamo 1986, 1432.
16 R.E. BROWN et ali, Maria nel Nuovo Testamento (titolo originale:
Mary in the New Testament, Fortress, Philadelphia 1978), Cittadella,
Assisi 1985, 203.
17 XII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI
VESCOVI, La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa.
Instrumentum laboris, n. 25, LEV, Città del Vaticano 2008.
28
3
La custodia di S. Giuseppe nei Vangeli
Dal fatto che S. Giuseppe appare nei Vangeli come un
“uomo silenzioso” che non dice mai neanche una
parolina, uno può concludere che S. Giuseppe sia «un
uomo senza messaggio». Questa è una conclusione
frettolosa senza motivazioni serie. È vero che S.
Giuseppe non parla nei Vangeli, ma sono le sue azioni a
parlare e ci lasciano numerosi messaggi sul piano
salvifico di Dio che si è compiuto nella sua vita. I racconti
evangelici dell’Infanzia di Gesù, ci parlano delle sue
qualità eccezionali quali l’umiltà, la giustizia, la semplicità,
la fedeltà etc.
La sua vocazione sorge dal fatto che viene chiamato a
collaborare al piano salvifico di Dio, dando così inizio al
mistero dell’Incarnazione. I Vangeli dell’Infanzia danno
una chiara testimonianza di questi fatti. «Se si vuole
veramente conoscere e convenientemente onorare S.
Giuseppe, occorre studiare “cristologicamente” i
racconti evangelici dell’infanzia di Gesù, scoprire la
missione assegnata da Dio a S. Giuseppe nel piano
salvifico dell’Incarnazione, il suo ruolo di sposo e di
padre, la natura del matrimonio e della paternità nei limiti
precisi della loro realtà, evidentemente superata ma non
annullata a motivo del loro inserimento nell’ordine
29
dell’Unione ipostatica, l’attuale funzione di S. Giuseppe
nella Chiesa».18
Nel vivere la sua vocazione come sposo di Maria e
padre putativo di Gesù, S. Giuseppe ci dà l’impressione
di essere stato un uomo fedele, giusto, discreto e
responsabile. Vogliamo vedere come Giuseppe viene
presentato dagli Evangelisti. Per necessità di brevità,
limiteremo la nostra riflessione solo ai alcuni brani dei
Vangeli dell’Infanzia.
La vocazione di S. Giuseppe (Mt 1,18-25)
Giuseppe teme di prendere con sé Maria; quindi vuole
lasciarla in segreto, perché madre. In seguito al messaggio
dell’angelo, egli cambia l’atteggiamento. Il testo sacro
dice che «fece come gli aveva ordinato l’angelo e preso
con sé la sua sposa» (Mt 1,24).
Prima di prendere questa decisione, Giuseppe ha
dovuto affrontare una grande difficoltà di discernimento.
Scrive T. Stramare che «Giuseppe, pur riconoscendo
l’innocenza di Maria non volle tenersela, meglio non
poté. Egli è giusto sotto ogni rispetto: giusto verso Maria,
che riconosce innocente, ma che gli sembra non
appartenergli più; giusto verso la prole, che ha come
padre Dio e alla quale di conseguenza provvederà Dio
stesso. Da una parte, Giuseppe vuole rimandare Maria;
d’altra parte, Maria ha concepito tale prole mentre era
sua. Perciò il dubbio: Posso rimandare la madre e il figlio,
che è mio, in quanto è stato concepito da mia moglie».19
18
T. STRAMARE, S. Giuseppe nel mistero di Dio, Piemme, Casale
Monferrato 1992, 9.
19 T. STRAMARE, S. Giuseppe nella Sacra Scrittura, nella Teologia e nel
Culto, Piemme, Casale Monferrato 1983, 93.
30
L’angelo fa capire a Giuseppe che anche se lo Spirito è
l’autore del concepimento, egli nondimeno ha un ufficio
da compiere; cioè quello di accettare il disegno di Dio far
da padre del bambino e tenere con sé la madre di Dio.
Ecco, questa è la vocazione che Giuseppe riceve da Dio.
È importante notare nel comportamento di Giuseppe
un atteggiamento di grande umiltà. L’angelo dice a
Giuseppe: «Non aver paura. Infatti quello che è generato
in lei è dallo Spirito Santo» (Mt 1,20). Giuseppe voleva
staccarsi da Maria, non per paura psicologica, ma proprio
per “il continuo timore riverenziale” che aveva nei
confronti della sua sposa già incinta. «Giuseppe,
piuttosto, perché umile, era guidato dal dono dello
Spirito Santo, che è il timore di Dio. Come Giuseppe è
umile nel sentirsi indegno di stare vicino a Colei che era
diventata la tenda del Dio vivente (Gv 1,14: “e il Verbo
si è fatto carne e ha posto la sua tenta fra noi”), così
nell’umiltà, all’ingiunzione dell’angelo, si rimette al suo
posto vocazionale, “prendendo con sé (Maria) la sua
sposa” (Mt 1,24)».20
È davvero grande anche l’obbedienza di Giuseppe alla
chiamata di Dio. La sua decisione di accogliere Maria e
di custodire il Figlio di Dio, come padre e capo della
famiglia è un segno del suo abbondonarsi alla volontà
divina. È anche una splendida donazione di sè stesso a
Dio, dedicando la sua vita alla custodia sia giuridica che
amorevole del bambino e della sua madre.
20http://www.sgius.altervista.org/html/Preghiere/preg35lectio_2gi
orno.htm (16 settembre 2013).
31
La presentazione di Gesù al tempio (Lc 2,22-40)
Maria e Giuseppe presentano Gesù nel tempio di
Gerusalemme per compiere la legge giudaica prescritta
nell’Antico Testamento. L’evangelista Luca scrive: Lo
portarono al tempio (Lc 2,22) per presentarlo (Lc 2,23) e
per offrire un sacrificio (Lc 2,24); Simeone li benedisse
(Lc 2,34). In questa circostanza, l’evangelista Luca per la
prima volta qualifica espressamente Giuseppe «padre» di
Gesù.
Il testo di Luca parla anche del riscatto. Scrive
Giovanni Paolo II: «Il riscatto del primogenito è un altro
dovere del padre, che è adempiuto da Giuseppe. Nel
primogenito era rappresentato il popolo dell’alleanza,
riscattato dalla schiavitù per appartenere a Dio. Anche a
questo riguardo Gesù, che è il vero “prezzo” del riscatto
(cf. 1Cor 6,20; 7,23; 1Pt 1,19), non solo “compie” il rito
dell’Antico Testamento, ma nello stesso lo supera, non
essendo egli un soggetto da riscattare, ma l’autore stesso
del riscatto».21 Giuseppe offrì il bambino nel tempio di
Gerusalemme e così fu «senza essere sacerdote, il primo
uomo che offrì a Dio un’ostia pura, santa, immacolata, il
Verbo incarnato nel seno di Maria sua sposa».22
Anche in questo contesto della presentazione di
Gesù, Giuseppe si comporta come un uomo di grande
umiltà. La sua umiltà consiste nell’essere disposto ad
accettare con gioia quanto il Signore vuole da lui.
«Questo suo atteggiamento che possiamo dire abituale,
di stare in silenzio, contemplando da una penombra
21
GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Redemptoris
Custos (15 agosto 1989), n. 13, in EV 11/2409.
22 F. SUÁREZ, Giuseppe Sposo di Maria, Edizioni Ares, Milano
1982, 98.
32
discreta ciò che concerne il Figlio e la Madre, racchiude
anche per noi una pedagogia proficua se sappiamo
trovarne l’applicazione adeguata alla nostra vita».23
La fuga in Egitto (Mt 2,13-15)
In questo episodio, l’evangelista Matteo presenta il
ruolo di Giuseppe come capo della sacra famiglia. Scrive
T. Stramare: «È a lui che l’Angelo appare; è a lui che sarà
rivelata la data del rimpatrio. S. Giuseppe non è
comunque un porta-ordini a servizio di qualcuno sopra
di lui nella sua casa, della quale invece egli è capo
incontrastato e nella quale tutto gli è soggetto: “Prendi il
bambino e sua madre” (Mt 2,13)».24 S. Giuseppe, in
quanto capo della famiglia, la custodisce con grande
amore e dedizione. S. Giuseppe che fu difensore della
vita del corpo fisico di Gesù protegge e difende da ogni
pericolo e avversità anche la Santa Chiesa che è il corpo
mistico di Gesù. Quindi S. Giuseppe è il protettore di
ciascuno di noi, nel nostro cammino spirituale.
Uomo esemplare per tutti noi
Abbiamo visto in modo veloce e breve, come i vangeli
parlano di S. Giuseppe che ha vissuto con dedizione,
amore e fedeltà la sua vocazione di essere sposo e padre,
ha compiuto la volontà di Dio. Come osserva Giovanni
Paolo II,25 non solo gli evangelisti ma anche i padri della
23
Ibid., 100.
T. STRAMARE, S. Giuseppe nella Sacra Scrittura, nella Teologia e nel
Culto, 116.
25 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Custos, n. 1, in EV
11/2379.
24
33
Chiesa fin dai primi secoli hanno scritto come
S. Giuseppe avesse amorevole cura di Maria e Gesù.26
S. Giuseppe è un grande modello di Santità per tutti
noi. Egli ha vissuto una vita di grande esemplarità. Ha
amato fino in fondo la sua sposa Maria e ha custodito
con amore paterno il bambino Gesù. S. Giuseppe non
parla nei Vangeli, ma le sue azioni concrete di santità
valgono più delle parole.
Vogliamo concludere la nostra riflessione con le
parole del Santo Padre Francesco: «Come esercita
Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà,
nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà
totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio
con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel
Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e
tutto l’amore ogni momento. È accanto a Maria sua
sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel
viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore
trepidanti e gioisce del parto; nel momento drammatico
della fuga in Egitto e nella ricerca del figlio al Tempio; e
poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel
laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù».27
Allora prendiamo S. Giuseppe come modello della
nostra vita, che custodì la Vergine Maria e il bambino
Gesù con amore solerte e discreto, e viviamo giorno per
giorno amandoci e prendendoci cura gli degli altri.
Cf. IRENEO DI LEONE, Adversus Haereses, IV, 23, 1: SCh
100/2, 692-694.
27 FRANCESCO, Custodi dei doni di Dio. Omelia del S.to Padre per la
Solennità di S. Giuseppe (19 marzo 2013), in Insegnamenti di Francesco
1 (2013/1), 20.
26
34
4
Maria, la donna della solitudine feconda
Guardando a Maria, che accoglie la Parola che diventa
carne nella sua storia assumendosi da sola le
responsabilità proposte da Dio e notando il distacco fra
il Figlio e la Madre a Cana (Che ho da fare con te, o donna?
Gv 2,4) e nell’episodio dei “veri parenti” di Gesù (Chi è
mia madre e chi sono i miei fratelli? Mc 3,33), uno può pensare
che Maria sia stata respinta dal suo Figlio e abbia vissuta
una vita solitaria. Invece, il Vangelo ci parla di Maria tutto
al contrario.
In queste pagine, vedremo come la sua solitudine non
è sterile chiusura, ma si apre alle prospettive di una
comunione di intenti e l’apparente distacco fra il Figlio e
la Madre non risulta in una ostilità tra loro, anzi crea una
vera parentela più ampia e estesa a tutte le persone che
ascoltano la sua parola (Chi compie la volontà di Dio, costui è
mio fratello, sorella e madre. Mc 3,35). La sua solitudine
apparentemente sterile diventa feconda e fa nascere il
figlio di Dio. La fecondità di Maria non si esaurisce con
la nascita di Gesù, ma fa nascere ogni cristiano nella
chiesa e lei diventa la «Mater Ecclesiae».
35
L’Annunciazione (Lc 1,26-38)
Maria viene chiamata a essere madre del Figlio di Dio.
L’angelo Gabriele appare alla fanciulla Maria e propone
il piano salvifico di Dio. Quando l’angelo fa questo
annuncio, si trova dinanzi a una situazione in cui deve
prendere una decisione da sola. Nel suo saluto, l’angelo
comunica qual’è il rapporto di Dio con lei: «Gioisci, piena
di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28). A queste parole,
Maria rimane turbata. Però l’angelo le assicura che ella
non rimane sola. Le parole «Il Signore è con te», danno
coraggio a Maria: ella non rimane sola, ma il Signore si fa
presente nella sua vita.
«Nel linguaggio biblico questa espressione ha un
significato preciso. Generalmente viene usata quando
Dio chiama un uomo per un compito particolare al
servizio del suo popolo, e assicura a questo uomo
l’assistenza potente, effettiva ed efficace di Dio. Così,
similmente a quanto avviene a Maria, il messaggero di
Dio rivolge a Gedeone, che deve liberare Israele dai
Madianiti, questo saluto “Il Signore è con te, uomo forte
e valoroso” (Gdc 6,12). Dio non assegna a un uomo un
compito e poi lo abbandona a sé stesso, ma gli sta
accanto con il suo potente aiuto. […] Con questa
espressione si indica già che Maria fa parte dei grandi
chiamati del popolo di Dio e, in quanto tale, dev’essere
posta accanto ad Abramo, a Mosè e a Davide».28 Maria è
colta nel momento della vocazione da sola. Avvertono
l’importanza e la grandezza di questa sua vocazione. In
28 K. STOCK, Maria. La Madre del Signore nel Nuovo Testamento.
Commento a tutti i brani che la riguardano (Bibbia e preghiera, 30),
ADP, Roma 22003, 50-51.
36
questo incontro con l’angelo Gabriele, ella esce da questa
solitudine apparente e concepisce il Figlio di Dio.
La sua apparente solitudine non sarà una sterile
chiusura, ma una solitudine feconda che farà nascere il
Figlio di Dio. Maria ha talmente capito la grandezza di
questa missione salvifica che le dava il coraggio di
scegliere da sola, senza Giuseppe, che era il suo sposo e
che le voleva bene. Ella decide “in solitudine” di diventar
la Madre di Dio. Maria vince la solitudine e ottiene la
grazia di portare il Figlio di Dio nel suo grembo materno.
Maria non è più sola, ma porta con sé il Figlio di Dio.
Solitudine di Maria alle nozze di Cana? (Gv 2,4)
Il dialogo tra Maria e Gesù alle le nozze di Cana è
motivo per gli studiosi a interpretazioni differenti.
Quando Maria si rivolge al suo Figlio dicendo: «Non
hanno più vino», Gesù risponde: «Che ho da fare con te,
o donna? Non è ancora giunta la mia ora». Questa
risposta di Gesù viene molto discussa dagli esegeti. Se
vediamo le varie versioni della Bibbia nelle lingue
moderne, possiamo notare che sono tantissime diversità
della traduzione di questa espressione idiomatica: «Τί
ἐμοὶ καὶ σοί, γύναι». Letteralmente la traduzione sarebbe:
«Che vi è tra me e te, o donna?».29 Leggendo queste
parole di Gesù in modo superficiale, ci darebbe
l’impressione che Gesù rifiuta sua madre e respinge la sua
richiesta.
29 Si veda a questo riguardo, D.S. KULANDAISAMY, The first ‘Sign’
of Jesus at the wedding at Cana. An Exegetical Study on the Function and
Meaning of John 2.1-12, in Marianum 68 (2006), 23, nota 12.
37
La locuzione può essere interpretata in tutti e due
sensi. «Questa frase, conosciuta tanto nella letteratura
greco-romana che in quella semitica, di per sé può
esprimere accordo o disaccordo tra due o più persone: accordo, cioè: “Che vi è fra me e te che non sia comune?”
(consenso pieno); - disaccordo, cioè: “Che vi è di comune
fra me e te?” (negazione rapporto)».30 A. Serra spiega
questo problema facendo riferimento ai testi Giud 11,1213; II Sam 16,10; I Re 17, 17-18.31 I. de la Potterie
commenta che «non vi è alcuna traccia di ostilità in
queste
parole,
nemmeno
alcun
rimprovero,
contrariamente a quanto hanno pensato talvolta i Padri
Greci (Per esempio: Ireneo e Crisostomo). Dicendo a sua
madre “Che c’è tra te e me, Donna?”, Gesù si pone su
un piano diverso da quello di Maria e in un’altra
prospettiva: questa pensa ancora al vino della festa, Gesù
pensa ormai alla sua missione messianica che inizia».32
Leggiamo nel v. 5 che la madre di Gesù disse ai servi,
“Quanto egli vi dirà, fatelo”. «È molto importante
riconoscere il fatto che “non avendo compreso quali
siano esattamente le intenzioni del Figlio, Maria si
rimette totalmente alla volontà di lui, e trasmette ai servi
questa sua fede aperta sull’incognito, prima che
intervenga l’evidenza del segno: “Quanto Egli vi dirà,
fatelo”».33
30 A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce. Saggio di Mariologia
Giovannea (Gv 2, 1-12 e 19, 25-27), Centro di Cultura Mariana
«Madre della Chiesa», Roma 1978, 56.
31 Per un ulteriore approfondimento, cf. A. SERRA, Maria a Cana
e presso la croce, 54-61.
32 I. DE LA POTTERIE, La Madre di Gesù e il mistero di Cana, in La
Civiltà Cattolica 130 (1979), 431.
33 A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce, 61.
38
I. de la Potterie scrive: «questa risposta di Maria
mostra che Gesù non le ha opposto a un rifiuto. Piena di
confidenza e di speranza, con una disponibilità totale, ella
dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”. Questa formula
viene dall’Antico Testamento, ma la sua risonanza varia
secondo i contesti. La formula nell’Esodo, prima e dopo
l’Alleanza del Sinai dice: “Tutto ciò che Jahvè ha detto,
noi lo faremo” (Es 19,8; 24, 3.7). Le parole di Maria a
Cana sono come la ripresa di questi impegno solenni,
assunti da tutta l’assemblea d’Israele».34 Allora, è ben
chiaro che la risposta di Gesù non è un rifiuto. Maria non
rimane in solitudine, anzi con la sua risposta al Figlio,
diventa una figura collettiva di tutto il popolo di Israele.
«Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?» (Mc 3,33)
Il brano concernente «la madre e i fratelli di Gesù»
viene considerato un «testo antimariano» da diverse
persone. Alcuni vedono nel brano un rifiuto e ostilità da
parte da Gesù verso la sua madre. Alcuni dicono che
Gesù avendo i fratelli, sua madre non rimase vergine.35
34
I. DE LA POTTERIE, La Madre di Gesù e il mistero di Cana, 433.
Gli studiosi cattolici non accettano questi argomenti polemici.
Maria, la madre Santissima non ha mai avuto altri figli tranne Gesù,
il Figlio di Dio. S. Perrella scrive: «Nessuno dei cosiddetti “fratelli”
e “sorelle” di Gesù è detto mai “figlio di Maria”; e d’altra parte la
santa Vergine viene chiamata soltanto “Madre di Gesù”. Da parte di
Maria, quindi, non c’è nessun elemento o accenno qualsiasi che
faccia pensare a un’altra maternità, oltre a quella di Gesù»
(S. PERRELLA, Maria. Vergine e Madre. La verginità feconda di Maria
tra fede, storia e teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, 165).
Si veda a questo riguardo: I. DE LA POTTERIE, «La Mére de Jésus et
la Conception virginale du Fils de Dieu», in Marianum 40 (1978), 46;
N. CAPIZZI, Vergine, in S. DE FIORES – V. F. SCHIEFER S. PERRELLA (a cura di), Mariologia, San Paolo, Cinisello Balsamo
35
39
In questo brano, l’evangelista Marco non intende
presentare l’ostilità tra Gesù e sua madre. Anzi, questo
brano è una testimonianza preziosa dei veri legami che
creano la comunione con Gesù. Scrive A. Serra: «Marco
insegna che perfino Maria, la creatura più stretta a Cristo
dai vincoli del sangue, dovette elevarsi ad un ordine di
valori più alto. Le esigenze della missione del Figlio la
inducevano talvolta a rinunciare alle sue vedute
(umanissime, peraltro!) di madre secondo la carne. Dopo
aver portato Gesù nel grembo, occorreva che lei lo
generasse nel cuore, compiendo la volontà di Dio (cf Mc
3,35): una volontà che si rendeva manifesta in ciò che
diceva e operava Gesù. A questi livelli di profondità la
figura di Maria ‘madre’ si armonizza e si completa in
quella di ‘discepola’».36 Maria non viene espulsa da Gesù
a vivere in solitudine, ma Gesù la colloca nella vera
famiglia più ampia di tutti coloro che ascoltano la parola
del Signore e la mettono in pratica.
Maria ai piedi della croce (Gv 19,25-27)
Giovanni scrive: «Stavano presso la croce di Gesù sua
madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di
Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei
il discepolo che egli amava, disse alla madre, “Donna,
ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua
madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse presso di sé»
(Gv 19, 25-27). Maria vede il suo figlio soffrire sulla
croce. In quel momento, Maria sta ai piedi croce non da
sola, ma in compagnia col discepolo amato e con altre
2009, 1258-1259; K. STOCK, Maria. La Madre del Signore nel Nuovo
Testamento, 33-37.
36 A. SERRA, Bibbia, in S. DE FIORES – S. MEO (a cura di), Nuovo
Dizionario di Mariologia, 237.
40
donne. Anche lì, Maria vince la sua solitudine e crea una
famiglia nuova sul calvario. Chiuso il sepolcro e dispersi
i discepoli, Maria viene ccompagnata dal discepolo amato
nella sua solitudine, mentre gli ebrei celebravano lo
Shabbat. Di quale solitudine stiamo parlando quando ci
riferiamo alla Madre di Gesù? «È la solitudine feconda
della fede, per nulla disperata e profondamente
corredentrice». Questa fecondità di Maria fa nascere la
Chiesa dopo la risurrezione del suo figlio. Atti 1,14 dice
che Maria era presente nel nucleo originario della prima
comunità cristiana, insieme agli apostoli e i primi
testimoni, in preghiera. Scrive A. Valentini: «Ella [Maria]
è presente come la madre di Gesù dovunque ci siano i
discepoli del Signore, in ogni luogo ove donne e uomini
si radunino, animati dallo spirito, per essere testimoni del
Risorto».37 La fecondità di Maria fa nascere una nuova
famiglia dei credenti in Cristo risorto.
Solidarietà con Dio e con l’umanità
La solitudine di Maria non chiude Maria in sé stessa.
Invece apre nuovi orizzonti, dove ella vive la sua
solidarietà con Dio e con tutta l’umanità. Maria diventa
il nostro modello supremo di come vivere i momenti di
solitudine che noi affrontiamo nella nostra vita
quotidiana. «La solitudine può essere l’occasione di vita
interiore che invita a guardarsi dentro, là dove il cristiano
vede e parla con Cristo; occorre vigilare e lottare affinché
la solitudine non ci faccia vedere gli altri come estranei,
ma come fratelli; è fecondo cercare di accogliere le
proprie ed altrui sofferenze non come fatalità senza
37 A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture. Figlia di Sion e Madre del
Signore, Edizione Dehoniana, Bologna 2007, 274.
41
senso, ma come occasioni, seppur dolorose, di
crescita».38 Che Maria, la madre di Gesù, ci ispiri a
trasformare i nostri momenti di solitudine in comunione
di gioia con Dio e con i nostri fratelli e sorelle.
38 GABRIELE, Vincere la solitudine, in
http://www.parrocchiaborno.it/cuntomela.php?p=2010_4&id=7
(consultato il 13 giugno 2017).
42
5
Madre nel dialogo della compassione
A volte crediamo che Maria sia poco evocata nella
Bibbia. Però Maria è presente negli eventi più importanti
della vita di Cristo come donna responsabile e attiva.
Leggendo il Nuovo Testamento, osserviamo che nei
vangeli ci sono ben più numerose pagine mariane di
quanto si creda e, molte volte, piene di senso, in momenti
cruciali della vita di Cristo. Scrive A. Valentini che «la
Scrittura […] non si interessa direttamente della
biografia e della vicenda particolare della madre di Gesù,
ma del suo ruolo e significato all’interno del disegno
salvifico. […] i brani espliciti concernenti la madre di
Gesù non sono numerosi, ma neppure scarsi; in ogni
caso, sono testi strategici e di eccezionale densità.
Strategici, perché collocati alle svolte fondamentali della
storia della salvezza».39 In tutti questi testi fondamentali,
Maria viene descritta come una donna di straordinaria
responsabilità. Maria è una donna che si impegna per
collaborare con Dio nel suo piano salvifico. In questo
articolo, ci soffermiamo su alcuni brani del Nuovo
Testamento e meditiamo su come Maria agisce con
grande impegno e responsabilità, secondo la sua
vocazione di Madre di Gesù, il figlio di Dio.
Dialogo responsabile con Dio (Lc 1, 26-38)
L’Annunciazione è il racconto della vocazione di
Maria. Il messaggio di Dio non si rivolge a questa ragazza
39
A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture, 21.
43
di Nazaret con il suo nome «Maria», ma la chiama «Piena
di grazia». La invita a gioire. Maria rimase turbata (Lc
1,29) a questo messaggio. Il suo turbamento non deriva
dalla non comprensione o da quella paura pusillanime
alla quale si vorrebbe talvolta far risalire. Deriva dalla
commozione prodotta dagli incontri con Dio. Maria
riflette sullo strano saluto dell’angelo: «kâire,
kecharitōménē». La volgata e la vecchia versione siriaca si
erano limitate a tradurre con un semplice saluto: «Ave».
Però dobbiamo ricordarci che la forma imperativa del
verbo non esprime semplicemente un saluto banale, ma
chiede a Maria di rallegrarsi per la buona novella.
L’angelo comunica a Maria qual è il compito a cui è
destinata: «Hai trovato grazia presso Dio. Concepirai e
partorirai un figlio e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e sarà
chiamato Figlio dell’Altissimo» (Lc 1,31). Maria deve
diventare Madre. Ella riceve una grande responsabilità e
le viene richiesto un servizio molteplice.
Maria chiede all’Angelo: «Come è possibile? Non
conosco uomo». Maria fa questa domanda con grande
intelligenza, non perché dubiti della proposta di Dio.
«Con questa domanda, ella si rivela una donna ricca di
personalità e piena di concretezza: interlocutrice di Dio a
nome dell’umanità. Il suo atteggiamento, esemplare sul
piano della fede e della responsabilità, assume particolare
significato, soprattutto in riferimento alla donna
contemporanea».40 Giovanni Crisostomo dice che ella
«non si lasciò trasportare dalla gioia né accettò
immediatamente ciò che le era proposto».41
A conclusione del dialogo con l’angelo, Maria riflette
in silenzio e infine dà, senza titubanze, la sua adesione.
40
41
44
Ibid., 102.
In Mat. Hom IV, 5 (PG 57,45).
Con l’espressione «Ecco la serva del Signore, avvenga di
me ciò che tu hai detto» (Lc 1,38), Maria si riferisce al
compito che Dio le ha assegnato. Queste sue parole
riflettono anche la sua responsabilità assunta con umiltà
e disponibilità. Paolo VI scrive: «desiderosa di
partecipare con potere decisionale alle scelte della
comunità, ella contemplerà con intima gioia Maria che,
assunta al dialogo con Dio, dà il suo consenso attivo e
responsabile non alla soluzione di un problema
contingente, ma a quell’opera dei secoli, come è stata
giustamente chiamata l’incarnazione del Verbo».42
Madre attenta e premurosa (Gv 2, 1-12)
La madre di Gesù partecipava a una festa nuziale a
Cana di Galilea. Durante la festa venne a mancare il vino;
Maria fu la prima persona a notare l’increscioso
inconveniente. Ella si rivolge al Figlio per informarlo:
«Non hanno più vino» (Gv 2,3). Maria si preoccupa degli
sposi e della loro felicità. Scrive O. Battaglia: «La sua
attenzione è rivolta alle persone che stanno per vivere
una situazione incresciosa. E per lei proprio le persone
contano più di ogni altra cosa».43
Il comportamento di Maria in questa circostanza
rivela: 1) la sua attenzione per le persone in necessità; 2)
la sua responsabilità come «madre» di tutti; 3) una fede
profonda nella onnipotenza del suo Figlio.
Nel primo segno operato da Gesù, Maria occupa un
posto di grande rilievo. «Il compito di una madre è quello
di vedere di che cosa hanno bisogno i figli e d’impegnarsi
42
PAOLO VI, Esortazione Apostolica Marialis Cultus (2 febbraio
1974), n. 37, in EV 5/68.
43 O. BATTAGLIA, La madre del mio Signore. Maria nei vangeli di Luca
e di Giovanni, Cittadella, Assisi 1994, 260.
45
con tutte le forze per loro. Alle nozze di Cana Maria si
comporta come una madre attenta e preoccupata».44
Maria viene descritta dall’evangelista Giovanni come una
donna che si comporta in modo responsabile durante la
festa nuziale a Cana.
Presenza di una madre responsabile nel dolore (Gv 19, 25-27)
Come Maria si rende presente nel primo segno di
Gesù, cioè all’inizio della vita pubblica di Gesù, così lo fa
anche nell’ultimo istante della vita terrena di Gesù. Maria
si fa partecipe del dolore del suo figlio nel portare a
compimento il piano salvifico di Dio. Alla luce
dell’evento della croce, si illumina anche il misterioso
«segno» di Cana. Come alle nozze di Cana, Gesù si
rivolge alla sua madre con lo stesso appellativo: «Donna».
Maria collabora col suo figlio con grande amore,
dedizione e responsabilità. Vive con Lui l'unione nella
sofferenza, meglio, l'unione nell'amore, che non è
nient'altro che la perfezione della compassione. Ecco,
questo aspetto deve essere messo in rilievo, quando noi
vogliamo parlare di Maria come una donna responsabile.
Venerare la Madre di Gesù, che ha vissuto la sua
vocazione in modo responsabile e ci ha lasciato un
grande esempio, è un’esigenza della nostra fede cristiana.
Paolo VI scrive: «Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo
essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto
essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Madonna
a Gesù, e che apre a noi la via che a Lui conduce».45
44
K. STOCK, Maria, la Madre del Signore, nel Nuovo Testamento, 97.
Discorso tenuto al Santuario di Nostra Signora di Bonaria
(Cagliari), il 24 aprile 1970. Cf. Acta Apostolica Sedis 62 (1970), 300301.
45
46
6
Madre di Gesù presso la Croce
«Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua
madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo
la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse al madre:
“Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua
madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse presso di sé» (Gv 19,
25-27).
Questo celebre testo giovanneo descrive l’ultima
azione che Gesù compie prima della sua morte sulla
croce. È una scena significativa inserita nel cuore del
mistero pasquale. Gesù lega sua madre al suo discepolo
amato con le sue ultime parole sulla croce. Secondo A.
Valentini, l’importanza di questa pericope «emerge dalla
densità del brano, dal contesto dell’«ora» e dal suo
rapporto con l’episodio di Cana».46 Gv 19,25-27 si trova
al centro degli eventi supremi dell’ora di Cristo, per cui
questo brano non deve essere letto “su un piano
materiale e fenomenologico”, ma deve essere inteso
quale “rivelazione pasquale”.47 Per fare questo,
dobbiamo collocare Gv 19,25-27 nel suo contesto
immediato e remoto e in particolare con la scena parallela
delle nozze di Cana.
46 A. VALENTINI, La madre di Gesù nel mistero dell’«ora» (Editoriale),
in Theotokos 7 (1999/2), 319.
47 Ibid., 320.
47
Correlazione fra il Calvario e Cana
Nel quarto vangelo, esiste un legame forte fra
l’episodio di Cana (Gv 2,1-12) e l’episodio del Calvario
(Gv 19,25-27). Si nota subito che le due scene hanno i
medesimi personaggi: Gesù, rispettivamente all’inizio e
al compimento della sua opera; La madre di Gesù (sua
madre) – la «donna»; I discepoli.48
Ci sono anche altri personaggi in questa scena, però
l’evangelista dà un rilievo particolare solo a tre persone:
Gesù, sua madre, e il discepolo. Gesù è il protagonista.
E poi, la madre a cui viene rivolto l'appellativo “Donna”.
Troviamo lo stesso termine anche in Gv 2,4. Molti esegeti
dicono che Gesù la chiama “donna”, perché lei è la
“nuova Eva”. Si fa un riferimento alla prima “donna”
Eva. La caduta dell’umanità portata da Adamo ed Eva,
viene rettificata da Gesù (il nuovo Adamo) e Maria (la
nuova Eva), proprio sul calvario. E il discepolo,
Giovanni, rappresenta tutti i credenti. Egli diventa il
figlio della madre di Gesù. La maternità di Maria e la
figliolanza del discepolo vengono rivelate e confermate
dalle parole di Gesù.
La correlazione fra Cana e il Calvario è stata l’oggetto
di una lunga ricerca scientifica di A. Serra, esegeta e
mariologo.49 A. Serra scrive che questi due episodi
«mostrano una connessione reciproca, a modo di grande
48
Ibid., 319.
Cf. A. SERRA, Le nozze di Cana (Gv 2,1-12). Incidenze cristologicomariane del primo “segno” di Gesù (= In Domina Nostra. Maria nella
tradizione biblica 3/1), Edizioni Messaggero, Padova, 2009. Anche
cf. D.S. KULANDAISAMY, The first “sign” of Jesus at the wedding at Cana.
An Exegetical Study of the function and meaning of John 2.1-12, in Marianum
68 (2006), 17-116.
49
48
inclusione. Infatti: 1) in entrambi i casi è presente la
Vergine, non col me proprio (“Maria”), bensì coi titoli di
“madre di Gesù (2,1; 19,25) e di “donna” (2,4; 19,26); 2)
l’“ora di Gesù”, non ancora giunta a Cana (2,4), è giunta
sul Calvario (19,27), ove Gesù passa da questo mondo al
Padre (13,1). Infatti l’“ora di Gesù”, secondo Giovanni,
comprende come un tutt’uno passione-morterisurrezione».50 Questi due episodi si richiamano a
vicenda in quanto entrambi riguardano la salvezza
universale. Un brano spiega l’altro.
L’ora di Gesù
Abbiamo visto come Gv 2,1-12 illumina il significato
di Gv 19,25-27. Questi due episodi cruciali del vangelo di
Giovanni formano una sorta di grande inclusione. L’uno
rimanda all’altro.51 Ma questo brano Gv 19,25-27 «rivela
la sua eccezionale densità nel contesto immediato degli «atti»
di Gesù in croce (Gv 19,17-37)».52 Secondo A. Valentini,
questa pericope è al centro degli eventi supremi dell’ora
di Cristo che si possono dividere in cinque scene: «l’iscrizione del titolo sulla croce (vv. 19-22); - la divisione
delle vesti (vv. 23-24); - le parole rivolte alla madre e al
discepolo (vv. 25-27); - il compimento dell’opera affidata
dal padre (vv. 28-30); - la trasmissione del costato
(vv. 31-37)».53
50 A. SERRA, Bibbia, in S. DE FIORES – S. MEO (a cura di), Nuovo
Dizionario di Mariologia, 284.
51 Cf. A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce. Saggio di mariologia
giovannea (Gv 2,1-12 e 19,25-27), Centro di Cultura Mariana «Madre
della Chiesa», Roma 31991, 84-85.
52 A. VALENTINI, La madre di Gesù nel mistero dell’«ora», 320.
53 Ibid., 320.
49
Lo “schema di rivelazione” (vv. 26-27a)
L’elemento più significativo e caratteristico di questo
episodio è rappresentato dalle parole di Cristo morente
alla madre e al discepolo amato. In questi versetti, gli
esegeti vedono «un modello letterario già conosciuto
nella letteratura profetica, che lo usa quando il Signore,
per mezzo dei suoi portavoce, vuole comunicare una
“rivelazione”, ossia un messaggio, una dottrina di grande
importanza. […] Un inviato da Dio (un profeta) ‘vede’
una persona; rivolgendosi a questa persona, pronuncia
una frase che inizia con l’avverbio ‘ecco’, seguito da un
titolo che dichiara la missione della persona vista».54
Anche questa scena segue questo modello della
rivelazione. Gesù, inviato dal Padre (“il profeta del Padre
per eccellenza”), “vede” la madre e il discepolo. Alla
madre «dice: “Donna, ecco il tuo figlio”»; così le rivela che
da quel momento lei è madre di tutti i credenti
rappresentati da Giovanni. Al discepolo «dice: “Ecco la tua
madre”». Con queste parole, gli rivela che da quel
momento egli diventa il suo figlio ed ella la sua madre.55
Se Giovanni adopera uno schema così tipico e solenne in
questi versetti, questo significa che queste parole di Gesù
contengono una rivelazione molto importante, quale la
maternità di Maria.56
A. SERRA, Bibbia, in S. DE FIORES – S. MEO (a cura di), Nuovo
Dizionario di Mariologia, 285.
55 Ibid.
56 Ibid.
54
50
Il senso di «eis tà ìdia» (v. 27b)
L’interpretazione di questa espressione «élaben…
eis tà ìdia» è molto discussa tra gli studiosi. Esistono
numerose traduzioni di questa frase. Alcune traduzioni
per esempio: 1) «l’accolse presso di sé»; 2) «l’accolse nei
propri (beni)», cioè «l’accolse come sua (madre)»; 3) «la
prese nella propria casa»; 4) «l’accolse nella sua intimità».
S.A. Panimolle dice che «il verbo «lambanein» negli
scritti giovannei, quando ha per oggetto una persona,
indica l’accoglienza nella linea della fede, mentre
l’espressione «tà ìdia» significa i propri beni cioè le
persone o le cose che appartengono a qualcuno
(1,11; 10,4; 13,1). La madre di Gesù dal discepolo amato
è accolta nel proprio cuore, cioè come propria madre; per
una persona umana infatti non esiste tesoro più grande e
più prezioso della mamma».57 In questa espressione,
dobbiamo riconoscere l’intensità dell’amore filiale con
cui il discepolo accoglie Maria come la sua madre. Anche
noi dobbiamo accoglierla nel nostro cuore con tale
amore.
Maria, madre universale
Sotto la croce, Maria diventa la madre universale che
raduna tutti i dispersi del popolo di Israele. Gesù mette
in rilievo la personificazione della nuova Gerusalemme-
57
S. A. PANIMOLLE, Maria vergine nel Nuovo Testamento, in Maria di
Nazaret nella Bibbia, (Dizionario di Spiritualità Biblico-Patristica 40),
Borla, Roma 2005, 193. Per ulteriori approfondimenti,
cf. F. NEIRYNACK, «EIS TA IDIA»: Jn 19,27 (et 16,32), in Ephemerides
Theologichae Lovanienses 55 (1979), 357ss.
51
madre, cioè della chiesa.58 «La maternità spirituale di
Maria non è metaforica o soltanto giuridica; non è fisica
o soltanto morale, ma è spirituale. Maria non ci ha
generati nell’ordine fisico, ma nell’ordine della grazia».59
Sul Calvario, nasce la chiesa, di cui la madre è Maria.
Parlando della maternità di Maria, Giovanni Paolo II
scrive: «Gesù mette in rilievo un nuovo legame tra madre
e Figlio, del quale conferma solennemente tutta la verità
e realtà. Si può dire che, se già in precedenza la maternità
di Maria nei riguardi degli uomini era stata delineata, ora
viene chiaramente precisata e stabilita: essa emerge dalla
definitiva maturazione del mistero pasquale del Redentore. La
Madre di Cristo, trovandosi nel raggio diretto di questo
mistero che comprende l’uomo – ciascuno di tutti –
come madre. Quest’uomo ai piedi della Croce è
Giovanni, il discepolo che egli amava. Tuttavia non è lui
solo. Seguendo la tradizione, il Concilio non esita a
chiamare Maria “Madre di Cristo e Madre degli uomini”:
infatti, ella è frutto del ‘nuovo’ amore, che maturerà in lei
definitivamente ai piedi della Croce, mediante la sua
partecipazione all’amore redentivo del Figlio».60 Questo
amore materno di Maria nutre la nostra vita spirituale e
ci guida verso il suo figlio.
58 A. SERRA, Bibbia, in S. DE FIORES – S. MEO (a cura di), Nuovo
Dizionario di Mariologia, 288.
59 S. M. MANELLI, Mariologia biblica, Casa Mariana Editrice,
Frigento 1989, 370.
60 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Redemptoris Mater
(25 marzo 1987), n. 23, in EV 10/1336.
52
7
Maria, la donna del tempo
La riflessione sul tempo non è facile. Le parole di
Sant’Agostino esprimono la vera difficoltà di spiegare il
mistero del tempo: «Cos’è il tempo? Chi saprebbe
spiegarlo in forma piana e breve? Chi saprebbe
formarsene anche solo il concetto nella mente, per poi
esprimerlo a parole? Eppure, quale parola più familiare e
nota del tempo ritorna nelle nostre conversazioni?
Quando siamo noi a parlarne, certo intendiamo, e
intendiamo anche quando ne udiamo altri parlare. Cos’è
dunque il tempo? Se nessuno m’interroga, lo so; se
volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so».61 Malgrado
questa difficoltà di comunicare il significato del tempo,
sappiamo bene che il tempo salvifico per noi credenti, è
un dono offertoci da Dio. Maria è strettamente legata col
«tempo salvifico» nella storia dell’umanità.
La Bibbia mette in chiara luce che: Maria fu progettata
da Dio fin dall’eternità; la stessa donna fu profetizzata da
Dio fin dall’eternità; la stessa donna fu profetizzata in Is
7,14, partorì il figlio di Dio quando venne la pienezza del
tempo (Gal 4,4); Maria dimostra una chiara volontà di
valorizzazione del tempo (Lc 1,39); si fa presente quando
Gesù parla della sua «ora» (Gv 2,4) e partecipa nell’«ora»
della sua passione e morte (Gv 19,25-27). In seguito
61 S. AGOSTINO, Le Confessioni, XI,14,17, in ID., Opera omnia, Città
Nuova, Roma 41982, vol. I, 381.
53
vedremo come la Bibbia presenta la Vergine come una
componente del «tempo salvifico» e anche come Maria
gestisce il tempo con responsabilità e lo vive in piena
concordia con la volontà di Dio.
La donna progettata nell’eternità di Dio
Maria è misteriosamente «presente» nella fase antico
testamentaria della salvezza, è parte integrante del
misterioso disegno di Dio. Il discorso teologico di Gen
3,15 mette in rilievo il ruolo di Maria, la nuova Eva. Così
anche la profezia di Is 7,14 «La Vergine concepirà e
partorirà un figlio» non si esaurisce nell’evento
rappresentato dalla nascità di Ezechia; fa riferimento
anche alla nascita di Cristo. Interpretando Is 7,14 nel
senso mariologico, la Vergine si riferisce alla Madre di
Gesù. Scrive il noto esegeta A. Serra: «Come la nascita di
Ezechia ebbe carattere di prodigio, in quanto fu
preannunciata dal profeta quale “segno”, così la nascita
di Cristo fu sommamente prodigiosa, in quanto fu
concepito da una vergine, per sola virtù dello Spirito. La
madre dell’Emmanuele escatologico».62 Tra questa
profezia Isaiana e la nascita del Messia, intercorrono otto
secoli. Quindi, è evidente che Maria, la Madre del Messia,
fu parte integrante del disegno di Dio dall’eternità. Anche
gli altri testi biblici come Rm 8,29-30 e Ef 1,3-14 vengono
interpretati da vari esegeti per affermare il ruolo che
Maria gioca nel progetto eterno di Dio Padre.63
62
A. SERRA, La Vergine, madre del Salvatore, in M. MASINI (a cura
di), Il lezionario mariano, Commento esegetico e pastorale al lezionario
liturgico, Queriniana, Brescia 1975, 241.
63 Cf. A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture, Dehonaine,
Bologna 2007, 359-378.
54
La donna della «Pienezza del Tempo»
Il brano paolino (Gal 4,4-5) è senza dubbio il testo più
importante in ordine al tema di questo articolo: «quando
venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio,
nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che
erano sotto la legge, perchè ricevissimo l’adozione a
figli». L’espressione «pienezza del tempo» indica che «il
periodo segnato dalla promessa fatta ad Abramo, nonchè
dalla legge mediata da Mosè, ha ormai raggiunto il suo
culmine, nel senso che Cristo adempie la promessa e
supera l’antica legge».64 Il Concilio Vaticano II insegna
che in Maria, si compiono i tempi e si instaura la nuova
economia: «Cum Ipsa [Maria] tandem praecelsa Filia
Sion, post diuturnam exspectationem promissionis,
complentur tempora et nova instauratur Oeconomia,
quando Filius Dei humanam naturam ex ea assumpsit, ut
mysteriis carnis suae hominem a peccato liberaret».65
Commentando Gal 4,4, Ignacio Calabuig scrive: «Il
tempo si è riempito di Cristo, perchè il Verbo ha riempito
il grembo della Vergine. In altri termini: con la sua
pienezza qualitativa o misterica. A ragione, quindi, la
Vergine nazaratena può essere definita come la “Donna
della pienezza del tempo”».66
64 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater 1, nota 2, in EV
10/1273.
65 CONCILIO VATICANO II, Lumen Gentium, n. 55, in EV 1/429.
66 I.M. CALABUIG, Il tempo salvifico e la Vergine alla luce della liturgia,
in E. PERETTO (a cura di), Maria nel mistero di Cristo pienezza del tempo
e compimento del regno, Atti dell’XI Simposio Internazionale
Mariologico, Marianum, Roma 1999, 302-303.
55
La visitazione (Lc 1,39-45)
All’inizio del racconto della visitazione, Luca scrive:
«Maria si alzò e si affrettò verso la regione montuosa, in
una città di Giuda» (Lc 1,39). L’espressione «meta spoudés»
(in fretta) la troviamo solo qui in tutto il vangelo di Luca.
Indica il desiderio di Maria di arrivare con sollecitudine.
«Anche se non parte immediatamente (il viaggio
richiedeva preparativi e una scorta), Maria non perde
tempo. Da Nazaret si arrivava a Betlemme
comodamente in 4 giorni».67 Ortensio da Spinetoli scrive:
«Il viaggio di Maria risponde allle indicazioni angeliche
(v. 36), ma anche alle proprie esigenze. Il parto di
Elisabetta è il “segno” che deve dar credito alla sua
esperienza. La “fretta” [...] sottolinea lo stato d’animo,
l’ansia di chi ha avuto un particolare incontro con Dio e
attende di verificarne la prova».68
In questo racconto, l’evangelista ci rende
partecipi dell’entusiasmo, la volontà, il desiderio e lo zelo
con cui Maria si mette in viaggio per aiutare la sua cugina
Elisabetta. Maria non vuol sprecare il tempo, per questo
va in fretta. Il suo andare in fretta sui monti di Ain Karim
dimostra una chiara volontà di valorizzazione del tempo
e l’urgenza di leggerlo nell’ottica dell’ottivismo
caritatevole.
La Vergine dell’«Ora» (Gv 2,4; 19,25-27)
Nel Vangelo di Giovanni, Maria è presente all’inizio
(Gv 2,1-12) e alla fine (Gv 19,25-27) dell’attività pubblica
67 G. NOLLI, Evangelo secondo Luca, Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano 1983, 40.
68 O. DA SPINETOLI, Luca, Cittadella, Assisi 1982, 80-81.
56
di Gesù. Secondo vari esegeti, questi due brani fanno una
inclusione e parallelismo nella struttura del quarto
vangelo. É da notare che in questi due brani, l’evangelista
non sa il nome proprio di Maria, ma la chiama “madre di
Gesù” (cf. Gv 2,1. 3. 5. 12; 19,25-26) per mettere in
rilievo il suo ruolo. Gesù la chiama “donna” in questi due
brani (cf. Gv 2,4; 19,26). Scrive I. Calabuig: «La morte di
Gesù appartiene al tempo e alla storia, anzi il culmine del
‘tempo salvifico’, il compimento dell’«Ora» (Gv 13,1). In
quel momento decisivo della storia della salvezza, la
Madre di Gesù è presso la croce del Figlio, insieme con
altre donne e con il Discepolato amato».69 Con Maria
presso la Croce si compie la figura della vergine Eva in
modo antitetico.
Così Maria segna ogni tempo e inoltre lo illumina
con la sua partecipazione attiva nei momenti cruciali della
storia salvifica dell’umanità. La Vergine Maria, presente
nel progetto salvifico di Dio sin dall’eternità, si fa
presente anche nella nostra vita oggi. Quindi Maria, la
Madre di Gesù e la nostra Madre, è «la donna del tempo»
par excellence.
69
I.M. CALABUIG, Il tempo salvifico e la Vergine alla luce della liturgia,
311.
57
8
Maria, Porta fidei:
Ragione e cuore nell’atto della fede
Maria è la donna che Dio ha scelto per cooperare al
Suo piano salvifico di inviare il Suo Figlio Gesù. Maria
dedicò tutta la sua vita, fedele alla sua vocazione di
‘Madre del Figlio di Dio’. La virtù della fede gioca un
ruolo vitale nel suo cammino di vita. Maria accoglie il
«Verbo» nel suo grembo come un atto di fede con
l’intelligenza e piena consapevolezza della sua scelta.
Maria è la donna della fede per eccellenza. È per questo
che «l'unione ipostatica del Figlio di Dio con la natura
umana, si realizza e compie proprio in lei».70 In seguito
approfondiremo come Maria ha vissuto le principali
tappe del suo cammino di fede. Fermeremo la nostra
attenzione sul racconto dell’Annunciazione (Lc 1,26-38)
e vedremo come la fede vissuta da Maria al momento
della sua scelta vocazionale, può aiutarci a vivere la nostra
vocazione come discepoli di Cristo.
L’Annunciazione
Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nella sua Lettera
Apostolica in forma di “Motu proprio” Porta fidei, con la
quale indice l’anno della fede, scrive: «Per fede Maria
accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio che
sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della sua
70
GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, n. 9, in EV 10/1296.
59
dedizione (cf. Lc 1,38)».71 Il racconto dell’Annunciazione
sintetizza il movimento di Dio verso l’umanità e il
modello della risposta umana che Maria ci offre. In
questo racconto ogni parola è carica di significato
profondo di una teologia della vocazione e della storia
salvifica dell’umanità. Leggendo questo racconto, uno
può affrontare diverse difficoltà nel capire il brano. Una
delle difficoltà poste dai fedeli è quella di capire la
domanda che Maria pone all’angelo (Lc 1,34).
L’evangelista Luca scrive che Maria rimase ‘turbata’ al
saluto dell’angelo e «si domandava» che senso avesse mai
quella parola (Lc 1,29). Maria posta di fronte a un
messaggio sconvolgente e inatteso, dice all’angelo:
«Come avverrà questo, dato che io non conosco uomo?»
(Lc 1,34). Perché Maria fa questa domanda? Come
interpretare questa obiezione di Maria?
Fatica del cuore, mancanza di fede?
La domanda che Maria pone all’angelo potrebbe darci
l’impressione che le mancasse la fede. È possibile che
uno si scandalizzi di questa ‘obiezione’ di Maria, perché
«in molti fedeli persiste ancora l’opinione (se pur vaga)
che la Madonna fosse onnisciente. Ella conosceva tutto
fin dal seno materno; godeva della scienza infusa […] A
conforto di questa persuasione, da alcuni si invoca un
sillogismo così articolato; l’ignoranza è frutto del peccato
originale; perciò ella fu esente da ogni tipo di oscurità
conoscitiva o nescienza. Fidandoci di tali presupposti,
elaborati da un certo tipo di teologia post-tridentina, è
71 BENEDETTO XVI, Lettera in forma di Motu proprio, Porta fidei
(11 ottobre 2011), n. 13, in EV 27/772.
60
chiaro che […] mettiamo il carro davanti ai buoi. Non è
questa l’immagine che i Vangeli ci offrono di Maria».72
Nonostante il concepimento immacolato, Maria fu
una donna che aveva bisogno di chiarezza nel capire i
disegni di Dio. «Il concepimento immacolato non esime
la Vergine, pur piena di grazia (cf. Lc 1,28), dalla sua
condizione terrena con tutto ciò che essa comporta di
sofferenza e di opacità, di lotta interiore e di
partecipazione alle passioni dell’esistenza».73 Allora, la
domanda che fa Maria non è un segno di mancanza della
fede, anzi lei vuole capire meglio con la sua intelligenza il
progetto divino per poter collaborare con Dio al suo
piano salvifico. Infatti, «ella implora luce sul “come”
potrà collaborare a ciò che Dio le sta chiedendo».74
A. Serra interpreta le parole di Maria come una
apertura verso il suo creatore: «Maria, come ‘figlia di
Sion’, mostra di aver assimilato lo stile di fede che era
proprio del suo popolo. Dio aveva educato Israele non
al mutismo, bensì al dialogo illuminato e confidente,
come farebbe un figlio con suo padre. Anche Maria,
assunta al dialogo con Dio in un momento così nodale
della storia salvifica, impiega le risorse della mente e del
cuore, per offrire un assenso cosciente e responsabile al
Signore che chiama».75
La fede di Maria svolge un ruolo decisivo in quel
momento importante della sua vita. Sant’Agostino
72 A. SERRA, Testimonianze Evangeliche sulla fede di Maria, in
E. TONIOLO (a cura di), Come vivere il cammino di fede con Maria (Fine
d’anno con Maria, 8), Centro di cultura Mariana «Madre della
Chiesa», Roma 1990, 51.
73 PAMI, La Madre del Signore, n. 48.
74 A. SERRA, Testimonianze Evangeliche sulla fede di Maria, 57.
75 Ibid., 57.
61
afferma: «Il Cristo è creduto ed è concepito mediante la
fede. Prima si attua la venuta della fede nel cuore della
Vergine, e in seguito viene la fecondità nel seno della
madre».76 Benché Maria sia turbata al saluto dell’angelo,
ella non risponde con il dubbio, ma si apre al dialogo con
Dio, tramite l’angelo, e cerca di capir bene il progetto
divino a lei proposto. Alla risposta dell’angelo, Maria dà
il suo consenso umile e generoso, dicendo “Eccomi,
sono la serva del Signore. Avvenga di me quello che hai
detto” (Lc 1,38).
Ragione e Cuore nell’atto di Fede
Maria ha dato il suo consenso col suo intelletto e la
sua volontà. Esiste un legame stretto tra la fede e la
ragione nella vita di Maria, soprattutto molto ben
articolata nel racconto dell’Annunciazione. «Maria riceve
nello stupore l’annunzio divino. Ed è fede! Maria ricorda
e connette annunzio divino e avvenimenti
(cf. Lc 2,19.51): ed è ragione»77. È stupenda questa
armonia perfetta che esiste tra ragione e cuore nell’atto
di fede.
La fede non fa mai a meno della nostra intelligenza;
anzi la arricchisce. Come scrive A. Serra, «La fede non
appiattisce i doni di natura e di grazia che il Signore ha
profuso in noi. Anzi! Essa mobilita e nobilita mente,
cuore, affettività, discernimento […] È un ossequio non
razionale (d’accordo!), ma ragionevole. Bando, dunque,
76
S. AGOSTINO, Sermo 193 (PL 38, 1327).
G. FORLAI, Spiritualità di Maria e spiritualità Mariana in Giovanni
Paolo II, in E. TONIOLO (a cura di), Il Magistero Mariano di Giovanni
Paolo II. Percorsi e punti salienti (Fine d’anno con Maria, 26), Centro di
Cultura Mariana «Madre della Chiesa», Roma 2006, 139.
77
62
alla cosiddetta “fede del carbonaio”!».78 Queste parole di
A. Serra ci dimostrano la finezza intellettuale della fede
di Maria. I vangeli mettono in rilievo come questi due
aspetti (fede e ragione) si intrecciano in modo radicale
nella vita di Maria. Così afferma Giovanni Paolo II:
«Nell'annunciazione, infatti, Maria si è abbandonata a
Dio completamente, manifestando “l'obbedienza della
fede” a colui che le parlava mediante il suo messaggero e
prestando “il pieno ossequio dell'intelletto e della
volontà”. Ha risposto, dunque, con tutto il suo “io”
umano, femminile, ed in tale risposta di fede erano
contenute una perfetta cooperazione con “la grazia di
Dio che previene e soccorre” ed una perfetta
disponibilità all'azione dello Spirito Santo, il quale
“perfeziona continuamente la fede mediante i suoi
doni”».79
Vivere il cammino di fede con Maria
Abbiamo visto in modo breve e veloce, come Maria
risponde alla rivelazione di Dio nel momento
dell’annunciazione. Questa sua obbedienza ci ispira a
dare ascolto a Dio che si rivela nella nostra vita
quotidiana in diversi modi. Come insegna il Concilio
Vaticano II: «A Dio che rivela è dovuta l’obbedienza
della fede».80
La vita di Maria insegna che tutta la vita cristiana è un
itinerario di fede con gioie e sofferenze. Neppure Maria
viene esentata dal percorrere una via di fede. «Maria
dovette crescere nella fede, progredire nella speranza a
78
A. SERRA, Testimonianze Evangeliche sulla fede di Maria, 57.
n. 13, in EV 10/1303.
80 CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, n. 5, in EV 1/877.
79 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater,
63
dura prova, orientare il suo amore verginale verso Dio e
verso Giuseppe di Nazaret, verso il Figlio Gesù e la
comunità ecclesiale, verso gli uomini e le donne, suoi
fratelli e sorelle».81 Maria crede alla Parola del Signore e
le obbedisce con tutto il cuore e con tutta la sua volontà.
Maria è la prima credente e la prima che accoglie il
“Verbo” eterno del Padre. «La fede di Maria, sulla base
della testimonianza apostolica della chiesa, diventa
incessantemente la fede del popolo di Dio in cammino:
delle persone e delle comunità, degli ambienti e delle
assemblee, e infine dei vari gruppi esistenti nella chiesa.
È una fede che si trasmette ad un tempo mediante la
conoscenza e il cuore».82
Maria, la Madre di Gesù, è la nostra Madre. Ella non
ci lascia orfani, ma ci accompagna nel nostro cammino
di fede. Come nostro modello eccellente per seguire
Cristo, si fa vicina alla Chiesa e all’umanità. Partecipa alle
nostre vicende, è presente nella nostra tensione verso
Dio nei momenti tristi e gioiosi. Impariamo da Lei come
obbedire a Dio con tutto il cuore e con tutta la mente.
81
PAMI, La Madre del Signore, n. 48.
82 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater,
.
64
n. 27, in EV 10/1351.
9
La Madre del Signore e l’Eucaristia
L’Eucaristia è il nucleo del mistero della Chiesa. In essa,
mistero della fede e sorgente della nuova
evangelizzazione, la fede della Chiesa viene proclamata,
celebrata e fortificata. Come proclama il Concilio
Ecumenico Vaticano II: «Partecipando al sacrificio
eucaristico, fonte e apice di tutta la vita cristiana, [i fedeli]
offrono a Dio la vittima divina e se stessi con essa». 83 Il
presente articolo pone la domanda se esista un rapporto
tra l’Eucaristia e Maria. A prima vista sembrerebbe che i
dati biblici del Nuovo Testamento non dicano niente a
questo riguardo. Però, leggendo alcuni brani
neotestamentari con attenzione, possiamo capire che
Maria è «la donna dell’Eucaristia».84 Vogliamo, quindi,
approfondire alcuni brani che possono illuminarci sul
rapporto che esiste tra l’Eucaristia e Maria.
Maria nella comunità che celebra l’Eucaristia
«Erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con
alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i
fratelli di Gesù» (At 1,14). Questo testo lucano è il punto
di partenza della nostra riflessione. È l’unico testo del
Nuovo Testamento che parla della presenza di Maria
nella prima comunità cristiana orante.
83
CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 11, in EV 1/313.
Cf. A. AMATO, Eucaristia, in S. DE FIORES – S. MEO (a cura
di), Nuovo Dizionario di Mariologia, 530-531.
84
65
A. Valentini scrive che «per comprendere la portata di
At 1,14 [...], si deve procedere per gradi: è necesario
ambientare il testo nel suo contesto letterario e teologico,
confrontando anzituto con gli altri sommari dei primi
capitoli degli Atti; [...] eaminare infine la dimensione
“eucaristia” della preghiera di Maria quale emerge dal
canto del Magnificat».85
Prima di tutto, dobbiamo fare il confronto con i
sommari At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16. Questi sommari
offrono un’immagine generale dei tratti o atteggiamenti
della prima comunità cristiana. La parentela che esiste tra
questi brani la possiamo verificare in espressioni simili e
complementari. Fa notare il ruolo vitale che giocava la
preghiera nella vita delle prime comunità cristiane.
At 2,42-46 mette in rilievo l’importanza che aveva la
frazione del pane nella vita comunitaria.
L’Eucaristia è al cuore della vita orante della comunità
cristiana. Questo è affermato con chiarezza dal testo
paolino seguente: «[...] il pane che noi spezziamo, non è
forse comunione con il corpo di Cristo? Poichè c’è un
solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo:
tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1 Cor 10,17).
In At 1,14 Luca mette in luce la personalità di Maria, che
non è solo individuale, ma anche «corporativo».86
85 A. VALENTINI, Maria nella comunità delle origini che celebra
Eucaristia, in E. TONIOLO (a cura di), Maria e l’Eucaristia, Centro di
Cultura Mariana «Madre della Chiesa» (Fine d’anno con Maria, 20),
Roma 2000, 12.
86
Cf. R. KUGELMAN, The Hebrew Concept of Corporate Personality
and Mary, the type of the Church, in PONTIFICIA ACADEMIA MARIANA
INTERNATIONALIS, Maria in Sacra Scriptura, vol. VI, Romae 1967,
179-184.
66
Il Magnificat e la Spiritualità di Maria
Non solo in At 1,14, ma anche in Lc 1,46-55, Luca
presenta Maria come una donna orante. Il Magnificat
(Lc 1,46-55) cantato dalla Vergine, in quanto “la sintesi”
della storia mirabile del popolo di Israele, anticipa il tema
orante della comunità post-pasquale. L’Eucaristia è lode
di ringraziamento, come lo è il mirabile cantico di Maria.
Giovanni Paolo II scrive: «Maria fa memoria delle
meraviglie operate da Dio nella storia della salvezza,
secondo la promessa fatta ai padri (cf. Lc 1,55),
annunciando la meraviglia che tutte le supera,
l’Incarnazione» redentrice. Nel Magnificat è infine
presente la tensione escatologica dell’Eucaristia. [...]
Maria canta quei “cieli nuovi” e quella “terra nuova” che
nell’Eucaristia trovano la loro anticipazione e in certo
senso il loro “disegno” programmatico. Se il Magnificat
esprime la spiritualità ci aiuta a vivere il Mistero
eucaristico. L’Eucaristia ci è data perchè la nostra vita,
come quella di Maria, sia tutta un Magnificat».87 Così
rileggendo il Magnificat in prospettiva eucaristica, «la
Chiesa si unisce pienamente a Cristo e al suo sacrificio,
facendo suo lo spirito di Maria».88
Il legame tra Maria e l’Eucaristia
È innegabile il forte legame che esiste tra l’Eucaristia
e la madre di Gesù. Stiamo parlando di «un rapporto
reale, oggettivo, personale; di conseguenza è un legame
forte e indistruttibile, Maria, perciò ha rapporti materni
87 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Ecclesia de Eucaristia
(17 aprile 2003), n. 58, in EV 22/315.
88 Ibidem, n. 58, in EV 22/314.
67
definitivi con il Cristo».89 Possiamo capire questo stretto
legame dal fatto che «nel suo corpo nasce il “corpo di
Cristo”».90 A. Amato descrive questo rapporto con le
seguenti parole: «Dio ha dato alla vergine Maria un posto
unico ed esemplare in questo mistero d’incarnazione
salvifica, associandola nella fede e nell’amore al
compimento delle redenzione: all’incarnazione vera e
propria, al mistero pasquale e all’unità e alla vivificazione
del corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Di
conseguenza la Chiesa, che celebra nell’Eucaristia il
mistero dell’incarnazione redentrice, non può non
sottolineare il ruolo che Maria ha avuto e ha con la sua
maternità spirituale. Maria, legata indissolubilmente alla
persona del Verbo incarnato con la sua maternità divina,
non può essere separata dal Cristo eucaristico, così come
non è separata dal corpo mistico di Cristo che è la
Chiesa».91
La presenza di Maria in ogni domenica della Chiesa
Maria è intimamente associata alla Chiesa come al
corpo mistico di Cristo. Ella è «riconosciuta quale
sovreminente e del tutto singolare membro della chiesa e
sua immagine ed eccellentissimo modello nella fede e
nella carità».92 In quanto Maria è la madre di Cristo e
membro eminente della Chiesa, si fa presente in ogni
domenica della Chiesa che celebra il mistero pasquale di
Cristo.
M.G. MASCIARELLI, Maria e l’Eucaristia dinanzi alle carenze
umane, in E. TONIOLO (a cura di), Maria e l’Eucaristia, 67.
90 Ibid., 63.
91 A. AMATO, Eucaristia, 534.
92 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 53, in EV 1/427.
89
68
Giovanni Paolo II giustifica e spiega questa presenza
di Maria in ogni domenica, nella sua lettera apostolica
Dies Domini sulla “santificazione della domenica”. Nel n.
86 scrive: «Ella [Maria], senza nulla detrarre alla centralità
di Cristo che lo esige: come potrebbe infatti, lei che è la
Mater Ecclesiae, non essere presente a titolo speciale, nel
giorno che è insieme dies Domini e dies Ecclesiae? Alla
Vergine Maria guardano i fedeli che ascoltano la Parola
proclamata nell’assemblea domenicale, imparando da lei
a custodirla e meditarla nel proprio cuore (cf. Lc 2,19).
Con maria essi imparano a stare ai piedi della croce, per
offrire al Padre il sacrificio di Cristo ed unire ad esso
l’offerta della propria vita. Con Maria viviamo la gioia
della risurrezione, facendo proprie le parole del
Magnificat che cantano l’inesauribile dono della divina
misericordia nell’inesorabile fluire del tempo. Di
domenica in domenica, il popolo pellegrinante si pone
sulle orme di Maria, e la sua intercessione materna rende
particolarmente intensa ed efficace la preghiera che la
Chiesa eleva alla Santissima Trinità».93
Maria è il modello sublime per noi che vogliamo fare
un cammino di fede sostenuti dalla celebrazione
Eucaristica. Lei è “la donna della preghiera” per
eccellenza e ci invita a rendere perenne lode a Dio.
«Maria precede tutti noi “sula via verso la santità” che è
il mistero della Chiesa come “la Sposa senza macchia nè
ruga” (Ef 5,27)».94 Impariamo da lei ad adorare Cristo,
che incontriamo ogni volta che celebriamo l’Eucaristia.
93 GIOVANNI PAOLO II, Lettera
Enciclica Dies Domini (31 maggio
1998), n. 86, in EV 17/1010.
94 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 773, LEV, Città del Vaticano
2012, 232.
69
10
Maria icona biblica della carità
«Dio è amore» (1 Gv 4,16). Questo amore infinito di
Dio si manifesta nella storia umana nell’evento supremo
dell’incarnazione del Suo figlio. In questo evento
sublime, Dio si fa carne nel grembo di una donna di
nome «Maria», colei che occupa un posto centrale della
storia dell’umanità. Maria lo merita perchè ha creduto
nell’amore di Dio e si è fidata della promessa. In questo
evento centrale della storia dellla salvezza, l’Agape si
incarna in Maria (Mt 1,18-25; Lc 2, 1-7; Gv 1,14). Maria
diventa la Madre di Dio che è amore. Maria maifesta il
suo amore, non solo al mistero dell’incarnazione, ma
anche nella vita pubblica di Gesù, sino alla fine della vita
del suo filgio, stando ai piedi della Croce (Gv 19, 25-27).
Lo stesso amore ci viene trasmesso anche oggi per la sua
intercessione presso il suo figlio. Maria è la donna che sa
amare e sa trasmettere l’amore eccelso del suo figlio a
tutta l’umanità.
Maria, donna che ama
Nell’Enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI,
dedicata espressamente alla carità, Maria viene presentata
come «una donna che ama».95 Il Pontefice, nella sua
enciclica, ci fa un forte richiamo alla virtù della carità. Ci
fa capire come Maria non può essere che una donna che
95 BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est
(25 dicembre 2005), n. 41, in EV 23/1604.
71
ama e ci riporta all’amore trinitario come fonte e a quello
di Cristo come dono e servizio. «Essendo intimamente
penetrata dalla Parola di Dio, ella può diventare madre
della Parola incarnata. Infine Maria è una donna che ama.
Come potrebbe essere diversamente? In quanto credente
che nella fede pensa con i pensieri di Dio e vuole con la
volonta di Dio, ella non può essere che una donna che
ama».96 Secondo il Pontefice, l’amore di Maria è dunque
il pensare e il volere secondo Dio. Gli autori del Nuovo
Testamento ci presentano Maria, madre di Dio, come
colei che ama Dio e l’umanità. Maria è per eccellenza la
donna della virtù della carità.
L’amore di Maria testimoniato dai Vangeli
La carità che Maria pratica nella sua vita si basa sulla
fiducia nella Parola di Dio. Si nota che il Papa nello
descrivere la virtù della carità nella vita di Vergine Maria,
ripercorre i noti testi della Sacra Scrittura. Maria porta nel
suo grembo «la Parola» che è Gesù Cristo. Il sommo
Pontefice, scrive nella sua enciclica che «lei [Maria] nella
Parola di Dio è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra
con naturalezza. Ella parla e pensa con la Parola di Dio;
la Parola di Dio diventa parola sua, e la sua parola nacse
dalla Parola di Dio».97 Infatti, c’è un legame sterttissimo
e inseparabile fra Maria e la Parola di Dio. Gli evangelisti
la descrivono come una donna che ama Dio e una donna
di Servizio. In questo articolo, vogliamo approfondire il
tema della carità nella vita di Vergine Maria in alcuni passi
noti del Nuovo Testamento.
96
97
72
Ibid.
Ibid.
Maria si fida dell’amore donato (Lc 1,26-38)
Nell’annunciazione,
Maria
viene
chiamato
kecharitôménê (piena di charis, di grazia). Questo saluto
dell’angelo Gabriele fa evidente che è l’amore di Dio che
l’ha fatta ricolma di grazia. È un amore gratuitamente
donato a Maria. O. da Spinetoli scrive che « l’espressione
«il Signore è con te» [...] indica la protezione, l’assistenza
che Dio accorda ai suoi inviati e ora a Maria, in vista dei
futuri compiti che sono destinati ad assolvere».98 Il
evangelista Luca mette in risalto i «privilegi» di Maria,
sopratutto l’amore di Dio verso Maria che è chiamata a
collaborare nel piano di salvezza.
Davanti alle parole dell’angelo, Maria rimane turbata
(v. 29), ma non ha alcun dubbio della provvidenza di Dio
e del Suo amore. «Maria crede alla possibilità
dell’impossibile. La sua passione per l’esistente si
completa con la passione per il possibile. [...] la fede di
Maria si esprime come un esplorare le frontiere del
possibile, seguendo i passi di un amore onnipotente».99
Maria crede ad un amore che fa vivere, «che scaccia il
timore» (1Gv 4,18). [...] Si fida dell’amore gratuito di Dio
sino a credere all’impossibile. Per cui, ella ha potuto
rispondere: «Ecco la serva del signore, avvenga di me
secondo la tua parola» (v. 38). Questa fede di Maria in un
Dio che è amore, le concede il privilegio di concepire il
98 O. DA SPINETOLI, Luca, Collana Commenti e Studi Biblici,
Assisi 1982, 70-71.
99 E. RONCHI, La Vergine di Nazaret: Colei che ha creduto all’amore,
in E. TONIOLO (a cura di), Maria testimone e Serva di Dio-Amore (Fine
d’anno con Maria 27), Centro di Cultura Mariana «Madre della
Chiesa», Roma 2007, 68-69.
73
figlio di Dio nel suo grembo. Così ella diventa la madre
del Messia e la donna prediletta di Dio. Questo atto di
fidarsi di Maria nell’amore gratuito di Dio che si è
espresso dall’angelo Gabriele, apre la strada verso un
futuro che porterà il Messia in mezzo a noi, la piena
espressione dell’amore di Dio Padre. «Ella [Maria] è così,
per noi, la Madre di ogni umano consenso. Il suo ruolo nella
storia della salvezza è unico e indispensabile ».100
«Maria testimonia l’amore di Dio perché tipico di chi
ama è fare spazio alla persona amata, favorirla, porla in
evidenza, assicurarle il primo posto».101 Così Maria offre
se stessa a Dio come una espressione migliore del suo
amore, per portare avanti il piano di salvezza. Il suo
amore verso Dio e l’umanità è il fondamento della sua
risposta positiva nel momento dell’annunciazione.
Visitazione (Lc 1,39-45)
È un gioiello questo piccolo racconto dell’incontro
delle due madri. L’evangelista Luca dice che Maria si mise
in viaggio in fretta (v. 39). Alcuni biblisti lo traducono:
«si mise in cammino con sollecitudine». Fare una visita
è un atto di carità. Perchè Maria si affretta verso il paese
di Elisabetta? Il motivo più alto dell’afrettarsi di Maria è
il motivo della carità sopranaturale. Lo zelo per servire la
sua cugina, la spinge ad andar in fretta. Il cuore di Maria
è sempre orientato a servire gli altri che sono in bisogno.
100
Lettera pastorale di Vescovi della Svizzera su «La beata Vergine
Maria nella storia della salvezza» (cf. Marianum 36 [1974], 367).
101 M.G. MASCIARELLI, La vergine Maria nell’enciclica «Deus caritas
est» e nel contesto del magistero di Benedetto XVI, in E. TONIOLO (a cura
di), Maria testimone e Serva di Dio-Amore, 27.
74
In questo incontro di due madri, si manifesta qualcosa di
estraordinario che ci lascia trasportare dalla fantasia. È
un incontro d’amore. Da parte di Maria, è un incontro in
cui ella compie un servizio di carità che culmina con il
canto del Magnificat.
Benedetto XVI parla di Maria in riferimento al suo
servizio di carita: «Nel Vangelo di Luca – egli scrive - la
troviamo impegnata in un servizio di carità alla cugina
Elisabetta, presso la quale resta “circa tre mesi” (1,56) per
asisterla nella fase terminale della gravidanza».102
M.G. Masciarelli commenta queste parole del Pontefice
e mette in rilievo il servizio caritevole di Maria: «È
un’icona quella che il Papa pone dinanzi agli occhi
credenti, prima di ogni altra considerazione che sviluppa
in seguito. I tratti dell’icona sono: itineranza, presenza,
lentezza, cura della vita nascente. Maria anzitutto ha
lasciato la sua casa per rendere un «uservizio di carità»
dove c’è bisogno. È un tratto distintivo dell’amore:
l’intraprendenza, il lasciare e l’andare: questo perché
l’amore è estroverso, è espansivo, mentre chiama al
decentramento da sé stessi. Maria, dimenticando le sue
cose, esce dalla sua casa e va alla casa di Elisabetta per
soccorrerla. La visita a lei non consuma il suo senso
nell’ambito di un gesto particolare di carità, ma assurge a
valore simbolico. Quella visita è solo un’occasione in cui
si manifesta e si esplicita lo stile caritativo della Vergine
che si pone come tipo nell’esercizio della virtù, il punto
prospettico della sua esistenza».103
102
BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 41, in EV 23/1604.
M.G. MASCIARELLI, La vergine Maria nell’enciclica «Deus caritas
est» e nel contesto del magistero di Benedetto XVI, 27.
103
75
Il Magnificat (Lc 1,46-56)
Cantando il Magnificat, Maria riconsoce il suo amore
per lei e rende lode a Dio. «Il punto di partenza è la gioia
messianica che ha invaso l’animo di Maria e di quanti con
lei attendono la salvezza (vv. 46-48 cf. 1,28), ma il fatto
più importante è che è communicata agli ultimi della
scala sociale».104 L’anima di Maria esalta Dio per le cose
meravigliose che il Signore ha fato in lei e nella casa di
Israele. Questa lode incessante di Maria è più che un
ringraziamento che viene dal suo cuore, riconoscendo
pienamente l’amore eterno di Dio. È una preghiera di
Maria che esprime il suo amore per Dio-Salvatore. Come
osserva A. Valentini, il Magnificat «non si tratta di
semplice sguardo o di pura benevolenza, ma di
coinvolgimento diretto e attivo; [...] tale interventodi Dio
scatturisce dalla sua misericordia nei confronti della
«doúlê», ma ancor più dalla sua santità».105
Nel cantico di Magnificat, Maria dischiude la bontà
infinita di Dio e il suo amore per i poveri ed umili. Maria
che rappresenta la comunità cristiana, si identifica con i
poveri. Giovanni Paolo II mette in rilievo questo aspetto
del Magnificat: «Il suo amore di preferenza per i poveri è iscritto
mirabilmente nel Magnificat di Maria. Il Dio dell’Alleanza,
cantato [...] dalla Vergine di Nazaret, è insieme colui che
“rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili, [...]
ricolma di beni gli affamati e rimanda i richi a mani vuote,
[...] disperde i superbi [...] e conserva la sua misericordia
per coloro che lo temono”. Maria è profondamente
permeata dello spirio dei “poveri del Signore”.
104
O. DA SPINETOLI, Luca, 86.
A. VALENTINI, Il Magnificat (Lc 1,46b-55), in Maria di Nazaret
nella Bibbia (Dizionario di Spiritualità Biblico-Patristica 40), 222.
105
76
Attingendo dal cuore di Maria, dalla profondità della sua
fede, espressa nelle parole del Magnificat, la Chiesa
rinnova sempre meglio in sé la consapevolezza che non
si può separare la verità su Dio che salva [...] dalla manifestazione
del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili, il quale,
cantato nel Magnificat, si trova poi espresso nelle parole e
nelle opere di Gesù».106
Maria, si identifica con i poveri. Questa sua
identificazione è un indizio (segno) della sua umiltà.
Questa virtù dell’umiltà è la forma con cui Maria «accetta
di essere trascurata nel periodo della vita pubblica di
Gesù, sapendo che il Figlio deve fondare una nuova
famiglia e che l’ora della Madre arriverà soltanto nel
momento della croce, che sarà la vera ora di Gesù
(cf
Gv 2,4; 13,1».107 Spiegando questo aspetto,
M.G. Masciarelli dice, «Maria ha fatto coincidere le due
virtù: l’amore l’ha portataad essere umile; l’umiltà l’ha
portata ad amare».108
L’amore di Maria nell’Ora di Cana (Gv 2,1-12)
L’unico evangelista che narra questo evento delle
nozze di Cana è Giovanni. Il vocabolario del quarto
vangelo è noto per il suo significato duplice e a volte
anche molteplice. Il vangelo di Giovanni è rico e denso
di significati teologici. Questo brano Gv 2,1-12 ha un
ruolo importantissimo nella struttura del quarto evangelo
106
GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, n. 37, in EV
10/1373.
107 BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 41, in EV 23/1604.
108 M.G. MASCIARELLI, La vergine Maria nell’enciclica «Deus caritas
est» e nel contesto del magistero di Benedetto XVI, 34.
77
e anche offre una chiave di lettura per capire il piano
narrativo dell’evangelista.
La prima ad essere menzionata è la madre di Gesù.
Nel v. 4 Gesù la chiama ‘donna’. “Lo stesso fenomeno si
ripete in Gv 19,25.26, cioè nella scena del Calvario.
Questa funge da grande inclusione con quella di Cana”.109
Si nota che Giovanni non menziona mai il nome di Maria
nel suo vangelo. Queste due episodi sono tra loro
strettamente legati e si illuminano l’un l’altro. Maria viene
presentata sempre con questa espressione “madre di
Gesù”. A. Serra commenta che “evidentemente, più che
al nome proprio della Vergine («Maria»), l’evangelista è
interessato al ruolo che le compete, significato dai titoli:
«madre di Gesù» e «Donna»”.110
Quando viene a mancare il vino, Maria si preoccupa e
richiama l’attenzione del suo figlio sulla situazione di
disagio. Maria interviene con delicata premura e con
ammirevole discrezione. In questo racconto delle nozze
di Cana, vogliamo puntare nostro sguardo su un aspetto
molto importante, quale «l’attenzione di Maria nell’Ora
di Cana».111 L’attenzione di Maria alle nozze di Cana
dimostra il suo amore verso gli sposi. Commentando su
questo brano (Gv 2,1-12), E. Ronchi dice: «[Maria] crede
nell’amore umano come benedizione divina [...], crede a
un amore che si prende cura [...], crede nella polifonia
109
A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce, 55.
Ibid.
111 Cf. M.G. MASCIARELLI, La vergine Maria nell’enciclica «Deus
caritas est» e nel contesto del magistero di Benedetto XVI, 32-33.
110
78
dell’amore [...], crede all’amore come primo luogo di
evangelizzazione».112
Il ruolo che Maria gioca nelle nozze di Cana, non solo
come una madre che prende cura dei suoi figli, ma anche
come una donna attenta ai bisogni degli altri e come una
donna attenta nelle difficoltà e disagi dele persone.
Questo racconto delle nozze di Cana, Maria dà un
esempio eccellente d’attenzione, di sensibilità e d’amore
verso l’altro.
La più grande prova d’amore (Gv 19, 25-27)
L’evangelista Giovanni diferisce dai sinottici nel
ricordare la madre di Gesù ai piedi della croce. Questo
brano ha un legame stretto con Gv 2,1-12. Questi due
racconti (Gv 2,1-12 e Gv 19,25-27) fungono da
inclusione. In tutti e due, madre di Gesù appare. In questi
due racconti, la madre di Gesù, viene chiamata «Donna»
(cf. Gv 2,4; Gv 19,26). L’ora a cui Gesù si riferisce nelle
nozze di Cana (Gv 2,4) si compie in Gv 19,25-27. È da
notare che la Madre di Gesù, è presente all’inizio e anche
alla fine della vita pubblica di Gesù. In tutte e due
occasioni, Madre di Gesù, viene presentata come una
donna attenta e partecipe del disagio e soffernza degli
altri, in altre parole come una donna che ama.
Vicino alla croce, Maria viene donata come Madre dei
discepoli. Maria che partecipa al dolore del suo figlio,
partecipa anche ai nostri dolori. Chi non ama non può
soffrire per gli altri. La sofferenza che Maria attraversava
nell’offrire il suo unico figlio sulla croce è statà il culmine
112
E. RONCHI, La Vergine di Nazareth: Ceolei che ha creduto all’amore,
72-75.
79
dei suoi dolori. «Maria, da oggetto di dolore, colei che
subisce la tragedia, è chiamata a diventare soggetto di
dolore, a passare da un dolore soltanto subìto a una
sofferenza vissuta attivamente, a prendere posizione, a
riprendere in mano la vita. «Donna, ecco tuo figlio», un figlio
muore ma un figlio ti è dato. La tua vocazione è, da
sempre, una sola: esere madre. La tua vocazione deve
prevalere sul tuo dolore. I tuoi amori valgono più della
tua vita. Ecco qui un figlio, ritorna a essere madre:
«l’amore conta più del dolore». Dolore di agonia e dolore
di parto intrecciati insieme. Gli unici dolori che hanno
senso sono quelli del parto. Invitata a credere nell’amore,
amore di madre, Maria vive la sua vera pasqua: maternità
ferita e risorgente. Amore ferito e moltiplicato».113
Conclusione
C’è sempre nella nostra vita cristiana bisogno di una
maggior coscienza della virtù della carità. L’apostolo
Paolo dice: «Queste dunque le tre cose che rimangono:
la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la
carità» (1 Cor 13,13). Maria ha vissuto questa virtù della
carità fino in fondo, diventa una donna esempare per
eccellecnza per ogni persona cristiana. Maria prende
l’attegiamento essenziale del servizio in ogni momento
della sua vita ed è diventata il nostro modello sublime di
carità. Per cui, siamo invitati a fissare l’attenzione su
Maria, la Vergine-Madre. T.F. Osanna scrive: «Maria è
vangelo vivo, modello concreto delle virtù predicate dagli
Apostoli, in cui ogni uomo e ogni donna può vedere che
113
80
Ibid., 77.
cosa significhi essere cristiano».114 Lo stesso autore fa
accenno a tre atteggiamenti che i Vangeli dedicano a
Maria: «la incrollabile fede; la disponibilità costante e
totale a fare ciò che Dio vuole da lei; il dono del cuore e
la risposta d’amore».
In Maria, quindi, «l’amore diviene maternità senza
nulla togliere alla sua realtà di figlia e di sposa sia di fronte
a Dio che agli uomini; i tre volti dell’amore - madre,
sposa e figlia – restano emblematici in chi cammina sulle
orme di Cristo guardando Maria».115 Fissiamo il nostro
guardo su Maria, donna biblica della carità, ed impariamo
ad amare Dio e i nostri fratelli e sorelle. Concludiamo
questa nostra riflessione e approfondimento con la
preghiera del Papa Benedetto XVI: «Santa Maria, Madre
di Dio, tu hai donato al mondo la vera luce, Gesù, tuo
Figlio – Figlio di Dio. Ti sei consegnata completamente
alla chiamata di Dio e sei così diventata sorgente della
bontà che sgorga da Lui. Mostraci Gesù. Guidaci a Lui.
Insegnaci a conoscerlo e ad amarlo, perché possiamo
anche noi diventare capaci di vero amore ed essere
sorgenti di acqua viva in mezzo a un mondo assetato».116
T.F. OSANNA, Modello evengelico, in S. DE FIORES – S. MEO
(a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, 958.
115 Ibid., 959.
116 BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 42, in EV 23/1605.
114
81
11
La crescita umana favorita da Maria
La nostra vita cristiana è un cammino. In questo
cammino ci sono gioie e sofferenze. Maria ci aiuta in ogni
momento del nostro cammino spirituale come madre.
Sotto questo titolo si cerca di mettere in rilievo ruolo di
Maria come educatrice e maestra del popolo cristiano.
Prima, vedremo come Maria “educava” Gesù per la
crescita umana. Nel fare questo primo passo,
approfondiremo alcuni brani del Nuovo Testamento.
E poi, nella seconda sezione, vedremo come Maria gioca
un ruolo importante nell’educare il popolo cristiano e ci
aiuta a crescere nella nostra vita spirituale.
Maria e la crescita umana di Gesù
Nella vita di Maria, noi possiamo vedere due
aspetti fondamentali nei confronti di Gesù. Maria, in
quanto ha “educato” suo figlio nella sua crescita umana
e quindi è stata non solo madre, ma anche “maestra” ed
“educatrice”. Il secondo aspetto è ugualmente
importante; cioè Maria è stata la prima discepola di Gesù.
Quando parliamo di Maria come “educatrice” di Gesù,
sorge la domanda: Come può Maria educare Gesù
Maestro che era onnisciente?
Alcuni teologi, pensando solo alla scienza infusa
da lui goduta e dimenticando il realismo della sua
incarnazione, sottovalutano la sua conoscenza
sperimentale. Per esempio, De la Broise dice che «in
verità egli [Gesù] non conosceva nulla di nuovo. Per
questo motivo, e anche in ragione della sua dignità di
83
primo Maestro (STh III, q. 12, a. 3), egli non poteva
imparare nulla da Maria né da Giuseppe».117 C’è un altro
gruppo di teologi che pensano che Maria, pur
riconoscendo la figliolanza divina di Gesù, sentiva dentro
di sé il suo dovere di esercitare i compiti di ogni mamma.
Per esempio, F.M. William scrive: «Gesù è stato invece
veramente bambino e non ha fatto solo le veste di
esserlo; sua madre, anzi proprio l’aspetto di sua madre,
fu il primo specchio da cui imparò a vedere il mondo.
[…] la divinità [di Gesù] si occultava nella sua umanità
per compiere tutte le esperienze della vita umana che si
venivano presentando via via che cresceva. E Maria era
la madre infinitamente più disposta di quantunque altra
a guidare la sua creatura di Dio».118 Il rapporto di Maria
con Gesù era un rapporto tra madre e figlio. Però Maria
si distingueva dalle altre madri per il fatto che lei era
consapevole della figliolanza divina di Gesù.
Parlando della vita quotidiana di Maria come
madre di Gesù, G.M. Roschini scrive che «la Vergine
santissima seguiva con occhi d’amore questo continuo
sviluppo del suo divin Bambino per il quale –
letteralmente – viveva. Egli era il centro di tutte le sue
occupazioni e preoccupazioni, in una dedizione
sconfinata d’amore».119 Abbiamo delle indicazioni
bibliche per dimostrare che Maria si dedicò alla “crescita”
umana di Gesù. A. Serra fonda i suoi argomenti su alcuni
117 DE LA BROISE, La sainte Vierge, Paris 1922 (ed. orig. Francese
Vie de la sainte Vierge, 1904; trad. it. Vita di Maria, Catania 41964),
129-130, citato in S. DE FIORES, Educatrice, in ID., Nuovissimo
Dizionario di Mariologia, Dehoniane, Bologna 2006, vol. 1, 638.
118 F.M. WILLIAM, Vita di Maria la madre di Gesù, Morcelliana,
Brescia 1944 (edizione originale tedesca 1936), 133-134.
119 G.M. ROSCHINI, La vita di Maria, Belardetti, Roma 1947,
211-212, in S. DE FIORES, Educatrice, 639.
84
testi biblici, quando dice che «Gesù fu “discepolo” di
Giuseppe suo padre, dal quale imparò l’arte del
falegname (Marco 3,13-17; cf. Marco 1,9-11; Luca 3,21-22);
di Mosè, in quanto osservava la Torah donata per mezzo
di lui (Matteo 5,17; Giovanni 1,17). E fu “discepolo” di
Maria, sua madre, poiché da lei fu “educato” sotto vari
aspetti».120 Ora vogliamo vedere alcuni brani biblici che
ci offrono degli indizi delle cure materne che Maria
prestò a Gesù.
Le cure materne prestate da Maria a Gesù
Nei brani biblici seguenti, A. Serra121 vede Maria come
colei che ha “educato” Gesù da ogni punto di vista: “lo
avvolse in fasce” (Luca 2,7); “il bambino cresceva […] era
loro sottomesso” (Luca 2, 40.51), “stavano presso la
croce di Gesù sua madre” (Gv 19,25). Lc 2,12 dice che i
pastori vedranno un bambino, avvolte in fasce, che giace
nella mangiatoia”. A. Serra profila «una ragionevole
ipotesi sul motivo per cui Luca in luogo delle “fasce”,
nominate al v.12, sosstituisca poi i nomi di “Maria e
Giuseppe” al v. 16. Quelle “fasce”, nel linguaggio
simbolico dell’evangelista, sono il segno tangibile di tutte
le cure che Maria offrì a Gesù, insieme a Giuseppe suo
sposo e padre legale del bambino (Lc 1,27; 2,4; 3,23;
4,22). […] il ministero di Maria e Giuseppe, per così dire,
“avvolgeva” Gesù, lo “circondava” di assistenza
premurosa, di modo che egli “cresceva in sapienza, età e
grazia, davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52)».122
A. SERRA, Gesù “impara” da Maria sua madre, in Servitium 202/3
(2012), 35.
121 Ibid., 36-47.
122 A. SERRA, Gesù “impara” da Maria sua madre, 37.
120
85
Leggiamo nel Nuovo Testamento che Giuseppe e
Maria erano “timorati di Dio” (cf. Lc 1,50) e facevano
pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme ogni anno (cf.
Lc 2,42). Maria e Giuseppe aiutavano Gesù a crescere
nella loro fede. S. Saldarini dice: «Maria è stata anche
educatrice: ha insegnato a Gesù la fede biblica e lo ha
accompagnato nella sua esperienza di fede. […] La
memoria di Maria non è estranea alla crescita. In questa
luce è legittimo pensare che da Maria, la madre, che
ricorda e medita, Gesù abbia imparato il comandamento
della fede ebraica, lo Schema Israel […], che sarà la
preghiera del mattino e della sera per ogni ebreo
credente. […] Maria ha cresciuto Gesù nella fede del suo
popolo e insieme a Giuseppe gli ha insegnato a pregare,
con la memoria, l’esempio e la parola. […] Maria vive con
Gesù il suo esodo, il suo deserto, la sua entrata nella
Terra promessa. Lei stessa “custodisce tutte queste cose”
nella sua memoria di fede del suo cuore».123
In Gv 19,25-27, leggiamo che Maria insieme alle
altre donne, stava presso la croce. Anche nel momento
della passione del suo figlio, Maria lo accompagna e si fa
presente sul calvario e offre suo figlio come sacrificio per
la redenzione dell’umanità. L’umanità di Gesù, che
attraversava grande patimento e agonia sulla croce, avrà
ricevuto conforto e coraggio dalla presenza della sua
madre che gli stava accanto. «Ora non v’è dubbio che
Maria abbia aiutato Gesù ad accettare e a vivere la sua
morte in armonia con la volontà del Padre. Pertanto, nel
colmo dell’angoscia trasfigurata dalla fede, ella
123 G. SALDARINI, Maria di Nazaret, Àncora, Milano 1998,
86.88-90, in A. SERRA, Gesù “impara” da Maria sua madre, 39.
86
contribuisce a generare il Figlio alla vita della gloria, della
risurrezione immortale».124
Maria, educatrice della Chiesa
Abbiamo visto come Maria è stata una mamma che
prestava cure materne al Figlio di Dio a “crescere” nella
sua umanità. La stessa Maria che si prendeva cura del
Figlio di Dio, colei che accompagnava Gesù sino alla sua
morte sul Calvario, accompagna tutti noi nel nostro
cammino spirituale. Il capitolo VIII della costituzione
dogmatica Lumen gentium dice che Maria è intimamente
legata con il mistero della Chiesa: «La beata Vergine, per
il dono e l’ufficio della divina maternità che la unisce col
Figlio redentore e per le sue singolari grazie e funzioni, è
pure intimamente congiunta con la Chiesa: la madre di
Dio è figura della Chiesa, come già insegnava
sant’Ambrogio, nell’ordine cioè della fede, della carità e
della Chiesa, la quale pure giustamente chiamata madre e
vergine, la beata vergine Maria occupa il primo posto,
presentandosi in modo eminente e singolare quale
vergine e quale madre».125
Maria non è solo la madre di Gesù, ma anche la
madre della Chiesa, madre di ciascuno di noi. Nel
vangelo di Giovanni, Maria intercede presso Gesù
perché faccia un miracolo, per rimediare la mancanza di
vino. Così Maria intercede per tutti noi al suo Figlio.
Gesù affida Maria al discepolo amato e dice: “Ecco, la
tua Madre”. Così Maria diventa madre di tutti i credenti.
124
125
A. SERRA, Gesù “impara” da Maria sua madre, 46.
CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 63, in EV 1/439.
87
Conclusione
Certamente, il nostro unico mediatore è Gesù Cristo
(cf. Mt 23,8). Però, Gesù voleva anche la sua madre
partecipasse nell’opera di salvezza. Maria continua la sua
missione di essere la nostra madre e ci guida alla
Gerusalemme celeste. Ci istruisce, ci educa, ci incoraggia,
ci guida benigna al suo Figlio. Questo suo ruolo di essere
la nostra “educatrice” e “madre” è unico. Dobbiamo
ringraziarla per il suo amore verso i suoi figli.
Concludiamo con le parole di É. Neubert: «Maria è
dunque la prima educatrice. L’educatrice di Gesù, Dio
incarnato, e di Gesù in noi. L’educatrice suprema, poiché
la sua attività è in rapporto alla vita divina, fine della vita
naturale. Ella è la ragione d’essere degli altri educatori
[…]. È infine la Maestra di tutti gli altri, poiché tutti
devono orientare la loro attività in vista della sua».126 La
sua materna bontà ci protegge da ogni pericolo e
rivolgiamo a Lei questa preghiera: «Figlia di Sion, sposa
dell’altissimo, sorella nostra, madre del mio Dio, io
guarda a te, discepolo fedele, umile ancella, voce che
proclami la nuova età di pace e giustizia. […] Amorosa
soccorrici, soccorrici benigna. Tu che con noi dividi e la
carne e il sangue, la fatica e il sudore, il buio della fede e
il silenzio di Dio. Tu partecipi d’ogni nostro dolore, Tu
fonte nostra d’allegrezza, misericorde, intercede per
noi».127
É. NEUBERT, Maria e l’educatore cristiano, Àncora, Milano 1961,
22, in A. SERRA, Gesù “impara” da Maria sua madre, 46.
127 C. MILITELLO, Nostra donna coronata di dodici stelle, Monfortane,
Roma 1999, 140-141.
126
88
12
Maria accoglie e vive
la ricchezza della povertà
L’espressione «la ricchezza della povertà», che
sembra un ‘ossimoro’, potrebbe suscitare diverse
domande in noi: la povertà è una ricchezza? In che
senso? Come Maria che era povera potrebbe essere
considerata come una donna ricca? In questo articolo,
vogliamo rispondere a queste domande, in base alle Sacre
Scritture. Cercheremo di guardare a Maria come colei che
ha abbracciato la povertà per aderire alla volontà di Dio
e per partecipare in modo pieno alla povertà del figlio
Gesù.
Maria nella spiritualità dei «poveri di YHWH»
Per capire la spiritualità di Maria, dobbiamo
ricordare un aspetto molto importante della storia del
popolo di Israele, alla cui tradizione Maria apparteneva
ed era stata fedele. In Maria, possiamo riconoscere la
spiritualità dei poveri di YHWH. Chi sono costoro? «Sono
la parte mistica del popolo d’Israele, frutto della paziente
pedagogia di Dio lungo tutta la storia della salvezza
nell’AT. La loro caratteristica principale, la povertà, è
intesa come completa disponibilità al piano divino, che
supera la possibilità e le attese umane. Profondamente
religiosi, i poveri di YHWH sono i clienti di Dio, che
attendono tutto dal Signore, si affidano a lui con
abbandono confidente e gioioso. Atteggiamenti loro
familiari sono il silenzio religioso, il timore di Dio,
89
l’obbedienza alla sua parola, la mitezza e la comprensione
fraterna»128
Sullo sfondo della pietà ebraica tradizionale,
Maria appare come era una donna mite e umile di cuore
come Gesù (cf. Lc 2,19; Mt 11,29). Come Gesù, ella
manifesta una grande fedeltà alla legge di Mosè; ne
compie le prescrizioni circa la circoncisione del
primogenito, la propria purificazione, i pellegrinaggi al
tempio di Gerusalemme. Con la prima comunità cristiana
di Gerusalemme Maria continua ad essere fedele alle
prescrizioni mosaiche e a frequentare il tempio.
All’interno di questi riti, come all’interno della
condizione di povertà economica e di oscurità, la madre
di Gesù appare allineata con i poveri di YHWH in un
atteggiamento spirituale e d’apertura e fiducia in Dio (cf.
Sof 2,3; Sal 34,5-11; Pr 15,33). Anzi primeggia – come
afferma il concilio Vaticano II – nella schiera dei pii
israeliti che attendono il Signore e quale “eccelsa figlia di
Sion”129 ne è la personificazione. In opposizione alle tre
«sufficienze» in conflitto con Dio: orgoglio (Lc 1,50-51),
potenza (Lc 1,52), ricchezza (Lc 1,53), la povertà di Maria
è totale affidamento all’onnipotenza divina (Lc 1,49) e
piena disponibilità alla sua volontà (Lc 1,38).130
Povertà come un atteggiamento morale di disponibilità
In Sof 3,12-13 leggiamo: «Farò restare in mezzo a te
un popolo umile e povero; confiderà nel nome del
Signore il resto d’Israele». L’elezione del popolo di Dio
128
S. DE FIORES, Volto, in Maria. Nuovissima Dizionario, vol. 2,
1857.
129
130
90
CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 55, in EV 1/429.
Ibid.
coinvolge una qualità importante quale l’umiltà e la
povertà. Possiamo notare questa qualità nei “salmi dei
poveri”, dove i poveri sono gli oppressi, gli affamati, i
deboli, gli ammalati, i perseguitati (cf. Sal 38,16); 40,2.18).
Questi poveri si rifugiano nel santuario (cf. Sal 5,8; 7,12;
31,2; 71; 86; 109,31). Con piena disponibilità al piano
salvifico di Dio, essi aspettano la venuta del Messia in
silenzio. Alle soglie del NT, questa spiritualità si
manifesta nella Vergine di Nazaret. La madre di Gesù è
la personificazione di questo Israele. Infatti il Concilio
Vaticano II presenta Maria come «eccelsa Figlia di Sion»
che «primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali
con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza».131 In
quanto è donna povera e umile, Maria si fa disponibile al
piano salvifico di Dio. Riconosciamo in questa sua
umiltà, un atteggiamento morale di disponibilità e
obbedienza alla volontà di Dio (cf. Lc 1,38; 1,48).
Annunciazione
Nell’annuncio dell’angelo Gabriele, Maria viene
chiamata da Dio per collaborare con Dio Padre, cioè a
diventare la madre di Gesù, il Figlio di Dio. In questo
momento dell’annuncio, Maria è stupita dalla proposta di
Dio. Tuttavia dispone alla volonta divina e dice: «Ecco,
la serva del Signore. Si faccia di me come hai detto tu»
(Lc 1,38). Il totale abbandono di sé a Dio è una
espressione della sua obbedienza a Dio e rispecchia il suo
cuore umile e povero. Il saluto dell’angelo a Maria con la
parola «Kecharitōménê» ci dimostra che Maria, donna
povera, viene pienamente arricchita dalla grazia di Dio.
Ecco la grandezza di Maria! Scrive R. Laurentin: «La
131
Ibid.
91
fisionomia spirituale di Maria si riassume nel contrasto
della sua umile situazione umana con la sua grandezza
secondo la grazia; essa è la donna povera resa ricca da
Dio (Lc 1,28): un contrasto che è in realtà un’armonia,
già manifestata in contrasto con la saggezza umana dalla
Rivelazione dell’Antico Testamento».132 Lo afferma
anche S. De Fiores quando scrive: «Di fronte a Dio, la
Vergine di Nazaret si pone nell’atteggiamento di povera
che tutto attende da lui e lo lascia fare, cioè realizzare il
suo piano di salvezza, senza interferire, a meno di essere
da lui chiamata a collaborare. Marià è tutta disponibilità,
mitezza, speranza preghiera».133
Magnificat
Il Magnificat è il cantico di lode dell’umile ancella
del Signore. È un inno che riassume tutta la storia del
popolo dell’Israele e le grandi cose che Dio ha fatto in
Maria. Maria canta le sue lodi, in quanto rappresenta
tutto il popolo di Israele. Mostra «di appartenere a
determinate cerchie del popolo ebraico, che vivevano
poveramente e piamente in fervente attesa messianica, in
totale confidenza in Dio e nella sua misericordia.
Potremmo dire, in una parola, che essa era nel numero
di coloro che coltivavano una interiore “pietà da poveri”.
[…]. È evidente che anche Maria faceva parte di coloro
che aspettavano la salvezza messianica, e il Magnificat è
una espressione della pietà prosperante in quella
132
R. LAURENTIN, La vergine Maria, Paoline, Torino 61984, 29.
S. DE FIORES, Santa Maria, in ID., Maria. Nuovissimo Dizionario
di Mariologia, vol. 2, 1465.
133
92
cerchia».134 In Magnificat, Maria accoglie a assomma le
aspirazioni dei poveri.
Il valore spirituale della povertà
Cristo si è identificato con i poveri, incarnandosi
e prendendo su di sé la condizione umana tranne nel
peccato. Questa sua kenosi «non è l’esaltazione del
pauperismo e della miseria, ma il riconoscimento del
valore spirituale del non-avere, del non-potere e del nonsapere nel quadro di una religiosità illuminata da Dio.
[…] È la povertà-disponibilità ad accogliere la
progressiva manifestazione di Dio».135 Maria partecipa in
questo atto di obbedienza alla volontà di Dio, con umiltà
e semplicità. Il valore spirituale di abbracciare la povertà
sta nell’atteggiamento di abbondonarsi tutto a Dio. Per
questo Gesù dice: «Beati i poveri in spirito» (Mt 5,3).
Maria è beata, perché ha un cuore da povero.
Opzione dei poveri
Giovanni Paolo II, nella sua lettera enciclica
Redemptoris Mater parla dell’opzione dei poveri:
«Attingendo dal cuore di Maria, dalla profondità della sua
fede, espresse nelle parole del Magnificat, la Chiesa
rinnova sempre meglio in sé la consapevolezza che non
si può separare la verità su Dio che salva, su Dio che è
fonte do ogni elargizione, dalla manifestazione del suo
134
R. SCHNACKENBURG, Il Magnificat, la sua spiritualità e la sua
teologia, in La vita cristiana. Esegesi in progresso e in mutamento, Milano
1977, 220,222.
135 E. PERETTO, Povera, in S. DE FIORES – S. MEO (a cura di),
Nuovo Dizionario di Mariologia, 1136.
93
amore di preferenza per i poveri e gli umili».136 Infatti,
quando noi seguiamo la vita di Maria, la donna povera,
noi accogliamo Cristo nei poveri. Ecco, le stesse Parole
di Gesù in riferimento all’opzione dei poveri: «In verità
io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi
miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
Dobbiamo vivere la povertà come «libertà per seguire
Cristo», come «libertà per la fraternità» come «libertà per
la solidarietà».137 Auspichiamo che Maria sia il nostro
modello di vita cristiana per abbracciare la povertà come
un valore spirituale per lasciarci guidare da Dio secondo
la Sua volontà e a dedicarci al servizio dei poveri.
136
GIOVANNI POALO II, Redemptoros mater, n. 37, in EV 10/1373
Cf. 213° CAPITOLO GENERALE DELL’ORDINE DEI FRATI
SERVI DI S. MARIA, «Avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38),
Edizioni Marianum, Roma 2014, n. 36, pp. 48-49.
137
94
13
Maria, la Madre della gioia
La gioia è una delle caratteristiche del cristianesimo.
La saggezza popolare dice che «un santo triste è un triste
santo». La santità della vita cristiana consiste
nell’accogliere il dono della gioia dello Spirito e
trasmetterlo agli altri. La gioia che viene dal Signore ci
rende «beati» anche nelle difficoltà, nelle afflizioni e nel
dolore. Anche se Maria ha sofferto nell’adempimento
della volontà di Dio, la sua vita era un perenne cantico di
gioia. Ella è anche la causa della nostra gioia. In queste
pagine, vogliamo vedere come la Sacra Scrittura presenta
Maria, come la Madre della gioia, in modo particolare nei
racconti lucani.
Gioisci, esulta di gioia (Lc 1,28)
L’evento
dell’annunciazione
raccontato
dall’evangelista Luca (2,26-38) è «una sintesi cristologica
e mariologica, un panegirico di Gesù e della madre intesa
dalla chiesa delle origini».138 Luca dice che l’angelo
Gabriele fu mandato da Dio per annunciare una buona
notizia a Maria (cf. Lc 1,26), come nell’Antico
Testamento fu inviato per comunicare i disegni divini e
lieti annunci in rapporto al compimento delle promesse
messianiche (cf. Dn 9,21-27). È interessante notare che il
dialogo tra Maria e l’angelo Gabriele si svolge in tre
riprese. O. da Spinetoli dice che questo dialogo
138
O. DA SPINETOLI, Luca, Cittadella, Assisi 1982, 67.
95
«progredisce come per “circoli concentrici”. Ogni
successivo intervento (vv. 31-33; 35-37) non fa che
riprendere, ampliare, esplicitare il tema iniziale (v. 28). Le
prime parole dell’angelo appaiono un comune saluto, un
invito ad accogliere con gioia la comunicazione che sta
per farle, ma potrebbe avere una portata più profonda.
Le due espressioni “esulta” (chaire) e “il Signore è con te”
richiamano un particolare contesto biblico di cui
vediamo qui i riflessi. “Esulta” (chaire) è l’invito rivolto
dai profeti post-esilici alla comunità ideale degli ultimi
tempi (la “figlia di Sion”) a tenersi pronta per accogliere
il re e il salvatore (messianico)».139 Le prime parole
dell’angelo Gabriele non è solo un saluto qualsiasi, ma un
invito per esultare e rallegrarsi, come il popolo di Israele
fu invitato a gioire dell’annuncio del profeta Sofonia.
Sofonia 3,14-17: «Gioisci (chaire) figlia di Sion, /
esulta, Israele, / e rallegrati con tutto il cuore,
figlia di Gerusalemme […] Il Signore tuo Dio in
mezzo a te / è un salvatore potente».
Luca 1, 28-32: «Rallegrati, piena di grazia / il
Signore è con te / […] Non temere, Maria, Ecco,
concepirai nelle tue viscere e darai alla luce un
Figlio e lo chiamerai Gesù. / Egli sarà grande e
sarà chiamato figlio dell’Altissimo...».
Possiamo notare in questi due testi paralleli che il
motivo della gioia è la presenza di Dio (cf. anche Zc 9,9;
Gl 2,21). A. Valentini scrive: «I contatti sono notevoli: si
ha l’impressione di una rilettura intenzionale dei testi
profetici,
ovviamente
con
attualizzazioni
139
96
Ibid., 69-70.
neotestamentarie (cf. Lc 1,32.35). La figlia di Sion non è
più un simbolo o una personificazione di un popolo, ma
assume il volto concreto della Vergine di Nazaret». 140
Maria diventa la realizzazione concreta della gioiosa
promessa al popolo di Israele. Maria è invitata a
rallegrarsi per la realizzazione immediata della promessa
di Dio. Nel piano salvifico di Dio, Maria diventa la donna
della gioia, già dal momento dell’annunciazione.
Kecharitōménê è il primo nome con il quale
Gabriele la saluta. Questo vocabolo (participio perfetto
passivo del verbo charitoō: amare, favorire) significa oggetto
per eccellenza di tutto l’amore di Dio, del suo gentile favore,
della sua predilezione.141 É molto difficile da tradurre,
però, si può dire “Piena di grazia”. A. Valentini dice: «Il
titolo dev’essere inteso in particolare all’interno del
saluto di Gabriele, che si compone di tre parti: Gioisci
(chaire) / kecharitōménē / il Signore è con te, di cui costituisce
l’elemento centrale e decisivo. È evidente infatti che il
chaire iniziale tende verso kecharitōménē, cui fa riferimento
anche per una forma di allitterazione. Il terzo elemento,
“il Signore è con te”, ricorre anche un senso particolare,
sempre in rapporto alla vocazione e missione della
Vergine».142 Dall’annuncio «Il Signore è con te!», Maria si
lascia totalmente abitare da Dio. La gioia viene dalla
presenza stessa del Signore. Allora, possiamo affermare
che il Signore è gioia! Maria ci invita a riconoscere la
presenza del Signore nella nostra vita quotidiana e gioire.
140
A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture, 93.
R. LAURENTIN, Un anno di grazia con Maria. La sua storia, il
dogma, la sua presenza, Queriniana, Brescia 19872, 37.
142 A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture, 100.
141
97
Magnificat: Cantico di gioia (Lc 1,46b-55)
Dopo l’Annunciazione, Maria si reca in fretta per
far visita a sua cugina Elisabetta. Ci va in fretta, perché la
grazia dello Spirito non conosce ritardi. Appena
Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, esultò il bambino
nel seno di lei (cf. Lc 1,41). Con grande gioia, Elisabetta
dice: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo ventre e
come accade a me questo che la madre del mio signore è venuta da
me? Ecco, infatti, appena il suono del tuo saluto è giunto alle mie
orecchie, esultò di gioia il bambino nel mio ventre (Lc 1,42-44).
Con la venuta di Maria, la casa di Zaccaria si riempie di
gioia. L’elogio di Elisabetta apre il cantico di Maria.
Il Magnificat è un cantico che sfiora molteplici
temi. Uno dei temi fondamentali è la gioia. Il Magnificat
è un cantico di esultanza per eccellenza. Maria inizia il
suo cantico con queste parole: «L’anima mia magnifica il
Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore». «Il
punto di partenza è la gioia messianica che ha invaso
l’animo di Maria e di quanti con lei attendono la salvezza
(vv. 46-48 cf. 1,28)».143 Maria è la prima a partecipare a
questa nuova rivelazione di Dio e in essa a questa nuova
“autodonazione” di Dio.144 Perciò la sua anima magnifica
il Signore. Maria canta con gioia le “grandi cose” che
l’Onnipotente ha compiuto in lei. Il cantico della vergine,
ci invita a cantare con Maria la bontà del Signore.
143
O. DA SPINETOLI, Luca, 86.
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, n. 36, in EV
10/1370.
144
98
Gioia nel dolore
Maria, nella sua vita, ha affrontato numerosi
dolori e sofferenze nel compiere la volontà di Dio.
«Gioia e dolore sembrano escludersi a vicenda. Ma non
è così nel cuore di una madre. E non lo è soprattutto nel
cuore di Maria che ha posto la sua gioia nella volontà di
Dio Padre su di lei come sul suo Gesù e sui figli che Gesù
le ha affidato dall’alto della croce. A riguardo è
interessante notare che la devozione del popolo cristiano
ai “sette dolori di Maria” fa corrispondere le “sette gioie
di Maria”, dal momento dell’Annunciazione fino alla sua
gloriosa assunzione in cielo».145
Maria ha affrontato le sofferenze con speranza.
Sapeva bene che il suo Figlio, dopo la passione e morte,
sarebbe risuscitato. Questa speranza nel suo Figlio, le ha
dato coraggio per accettare le sofferenze nella sua vita.
La gioia è il frutto della speranza cristiana. Se ci
chiediamo; “Ma è possibile la gioia nel dolore?”, la nostra
risposta dovrebbe essere: “umanamente no,
cristianamente sì”. Dobbiamo imparare con Maria a non
disperare nei momenti delle difficoltà, ma affrontare le
prove della vita con coraggio e speranza nel Signore. La
speranza in Signore Gesù ci porterà alla vera gioia. Papa
Francesco ci ricorda che: «non c’è santità nella
tristezza».146
L’Araldo. Sacerdoti del S. Cuore Dehoniani 4 (2011), 5.
FRANCESCO, Incontro con i Seminaristi, Novizi e Novizie (6 luglio
2013), in Insegnamenti di Francesco, LEV, Città del Vaticano 2015, vol.
I/2, 8.
145
146
99
Portatori di gioia
La Risurrezione di Gesù è stata un’esplosione di
gioia per tutti coloro che credevano in lui. Maria
partecipa della gioia della risurrezione e fa partecipare ad
essa. Lei diventa la portatrice di gioia nella prima
comunità cristiana e prega con gli apostoli (Atti 1,14).
Anche noi siamo chiamati a vivere con gioia la nostra
vocazione cristiana. Con Maria, si impara ad essere felici.
Maria, sorgente della gioia, è il nostro modello. Lei è la
causa della nostra gioia, perché lei ci ha dato il Figlio di
Dio, “venuto per darci la gioia e darcela in abbondanza”
(cf. Gv 15,11).
Concludiamo le nostre riflessioni, con una preghiera:
«O Maria, Madre della gioia, donna del sorriso e
dell’intima gioia, tu hai lasciato la casa di Nazaret,
portando nel cuore il cantico del Magnificat. Donaci lo
sguardo limpido per vedere i segni del sorriso di Dio
nell’alba e nel tramonto, nei fiori e nelle stelle, nella vita
del bambino e dell’anziano, per cantare come te la gioia
che Dio effonde su tutto e su tutti. Tieni accesa nel
nostro cuore una fiammella di contentezza, per benedire
il Signore e ringraziarlo per le sue opere di bontà e
misericordia nella nostra vita. Fa’, o Madre, che fin da
quaggiù la gioia del cielo di cui tu sei Regina, prenda la
nostra vita, per portarla a tutti coloro che incontriamo.
Liberaci dalla tristezza, per cantare ogni giorno con te:
“L’anima mia esulta, perché Dio è gioia, è pace, è festa
d’infinito amore”. Amen».147
147
100
L’Araldo. Sacerdoti del S. Cuore Dehoniani 4 (2011), 14.
14
La Madre di Misericordia
Nella Sacra Scrittura, la ‘Misericordia’ è un tema
molto importante, in quanto essa è la qualifica del nome
stesso di Dio (cf. Es 34,6). Perciò noi, che siamo stati
creati nell’immagine di Dio, siamo chiamati ad essere
misericordiosi sull’invito di Gesù (cf. Lc 6,36). Maria è la
donna che ha sperimentato per eccellenza la misericordia di
Dio, come viene descritta nei vangeli. Perciò i fedeli
invocano Maria come madre o regina della misericordia
nella preghiera Salve Regina. Giovanni Paolo II afferma
che «Maria è anche colei che, in modo particolare ed
eccezionale – come nessun altro -, ha sperimentato la
misericordia».148 Vogliamo qui presentare alla luce della
Sacra Scrittura, il volto misericordioso di Maria e come
Lei diventa nostra maestra in questo compito di carità
cristiana.
Maria: Personificazione della misericordia d’Israele
Diversi
termini
articolano
nell’Antico
Testamento il concetto di misericordia: hesed (grazia,
benevolenza, amore fedele), ’emet (solidità e sicurezza),
hanan (magnanimità, benevolenza), hamal (perdonare,
manifestare misericordia), hus (misericordia e
commiserazione). La nota 52 relativa al n. 4 della III
parte del documento Dives in misericordia offre una
bellissima sintesi dei termini dell’Antico Testamento che
148 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Dives in misericordia (30
novembre 1980), n. 9, in EV 7/912.
101
descrivono il concetto della misericordia di Dio.149 Il Dio
dell’Antico Testamento si è rivelato a Mosè e al Suo
popolo come un Dio misericordioso. La speranza e la
gioia del popolo di Israele si fondava sulla divina
misericordia. Vogliamo citare alcuni brani dell’Antico
Testamento che parlano della misericordia di Dio:150
«Buono e giusto è il Signore, il nostro Dio è
misericordioso» (Sal 115,5); «Paziente e misericordioso è
il Signore, lento all’ira e ricco di grazia» (Sal 144,8); «Il
Signore è clemente e misericordioso, rimette i peccati e
salva al momento della tribolazione» (Sir 2,11); «Signore,
so che tu sei un Dio misericordioso e clemente,
longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire
riguardo al male minacciato» (Gn 4,2); «Pietà di me, O
Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà
cancella il mio peccato» (Sal 50,3); «Come il cielo è alto
sulla terra, così è grande la sua misericordia su quanti lo
temono» (Sal 102,119); «Alleluia. Celebrate il Signore,
perché è buono, perché eterna è la sua misericordia» (Sal
105,1); «Quanto è grande la misericordia del Signore, il
suo perdono per quanti si convertono a lui» (Sir 17,24);
«Il Signore è paziente con gli uomini e riversa su di essi
la sua misericordia» (Sir 18,10).
Israele è la testimonianza originaria della
misericordia divina. Israele non è solo oggetto della
misericordia di Dio, ma è anche chiamato a farsi soggetto
di misericordia. È chiamato ad aver misericordia verso
gli altri. Maria di Nazaret è personificazione di Israele.
149
Cf. III, 4 in EV 7/882.
Questi brani dell’Antico Testamento sulla divina misericordia
sono stati riprodotti qui da: A. AMATO, ‘Beati i misericordiosi, perché
troveranno misericordia’ (Mt 5,7), in Santa Maria “Regina Martyrum” 5
(2002/3), 5.
150
102
Come Israele fu previlegiato di godere la misericordia di
Dio, così anche Maria è “piena di grazia” (Lc 1,28).
«Figlia d’Israele e madre del Messia, Maria di Nazaret è
la donna esemplare in cui giunge a compimento la
misericordia d’Israele, riflesso della misericordia divina.
[…] Posta al centro tra la prima e la seconda alleanza,
Maria di Nazaret riassume e traduce nella sua storia
personale e singolare la misericordia di Dio, nella sua
duplice dimensione ricettiva e attiva, in quanto
contemporaneamente ne è destinataria e soggetto come
Israele».151 Maria rispecchia il popolo di Israele. Perciò
Maria esalta Dio misericordioso per il suo intervento
nella sua vita personale e anche nella storia di Israele.
Il Magnificat (Lc 1,46-55)
Maria canta la misericordia di Dio nel suo canto
di lode. «Nel Magnificat, la Vergine effonde il suo animo
in esultanza perché Dio, suo salvatore, ha posato lo
sguardo sulla povertà della sua serva e ha operato in lei
grandi cose (Lc 1,46-49). In tal modo Maria, insieme a
tutto Israele, si sente toccata dalla misericordia soccorritrice del
Signore, la quale si estende di generazione in generazione
(Lc 1,50.54), come aveva promesso ad Abramo e alla sua
discendenza (Lc 1,55)».152
Il canto della Vergine inizia con le parole:
«L’anima mia magnifica il Signore». Il canto suppone
un’esperienza personale: ebbene Maria esalta, proclama
151 C. DE SANTE, La donna e la misericordia d’Israele. Un riferimento a
Maria di Nazaret, in P. DI DOMENICO – E. PERETTO (a cura di),
Maria Madre di Misericordia, Monstra te esse matrem, Messaggero,
Padova 2003, 155.
152 A. SERRA, Maria, icona della misericordia di Dio, in La Madonna
47 (1999/1), 38.
103
grande il Signore, perché ha fatto grandi cose. Maria «ha
sperimentato la misericordia di Dio quando si è sentita
guardata con amore e amata da lui (Lc 1,48) e ha sentito
il bisogno di esplodere nel canto proclamando che la sua
misericordia si “estende di generazione in generazione”
(Lc 1,50)».153 La prima parte del Magnificat (vv. 46b-50)
descrive la grandezza di Dio che opera grandiose gesta di
liberazione, a motivo della sua santità e della sua
misericordia verso tutti coloro che lo temono.154 Nella
seconda parte (vv. 51-55), Dio agisce con grande potenza
per liberare i poveri dagli oppressori. Gli ultimi due
versetti della seconda parte (vv. 54-55) tratta di Israele
soccorso dal Signore per la sua misericordia, secondo la
promessa fatta ai padri.155
A. Valentini scrive che «la prima parte del
Magnificat presenta la vicenda di Maria, serva del Signore,
sullo sfondo della storia del suo popolo, mentre la
seconda compendia la storia d’Israele, servo di Dio, alla
luce dell’esperienza di Maria di Nazaret, serva del
Signore. Il canto della Vergine è un inno alla misericordia
dei Dio salvatore verso Abramo e la sua discendenza.
Sullo sfondo di tale éleos senza fine si staglia il volto di
amore e di fedeltà del Dio d’Israele, del Dio e padre del
signore nostro Gesù Cristo».156 Nel canto del Magnificat,
Maria offre una grande testimonianza della misericordia
di Dio, rivolto verso Abramo e la sua discendenza per
153 S. DE FIORES, Misericordia, in ID., Maria. Nuovissimo Dizionario,
vol. 2, 1177.
154 A. VALENTINI, Maria canta la misericordia di Dio, in
P. DI DOMENICO – E. PERETTO (a cura di), Maria Madre di
Misericordia, 142.
155 Ibid., 143-144.
156 Ibid., 144-145.
104
sempre. Anche noi siamo chiamati cantare la lode a Dio,
ricordando tutte le grandi opere di misericordia che Dio
ha fatto in ciascuno di noi.
Maria «mossa da misericordia a Cana» (Gv 2,1-12)
«Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli
disse: “Non hanno vino”. E Gesù le rispose: “Donna,
che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Sua
madre disse ai servitori: Qualsiasi cosa vi dica, fatela”»
(Gv 2,3-5). È un dialogo che induce gli studiosi a
interpretazioni differenti. Però una cosa è certa: il cuore
di Maria è mosso dalla misericordia di fronte a una
situazione di disagio. L’intervento di Maria è un segno
chiarissimo che Lei è una donna sensibile e il suo cuore
è piena di compassione e amore verso le persone in
necessità. Il concilio Vaticano II interpreta che allora
Maria fu «mossa da misericordia».157 Perciò la Chiesa
guarda Maria come colei che funge da mediatrice tra
Cristo e la Chiesa. Maria è colei che intercede per i
bisognosi, con un cuore pieno di compassione e amore
materno. Il suo amore per i suoi figli non cessa mai, anzi
diventa più intenso quando siamo bisognosi della
misericordia di Dio.
Maria «presso la croce» (Gv 19,25)
Maria riconosce le gesta del Dio misericordioso
ai piedi della croce. «Si tratta qui dell’esperienza più forte
che abbia avuto Maria della misericordia di Dio, intesa
biblicamente non soltanto come compassione e
clemenza, bensì come fedeltà assoluta di Dio alle
157
CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium 58, in EV 1/432.
105
promesse insite nell’alleanza».158 L’enciclica Dives in
misericordia descrive questa testimonianza di Maria nelle
parole seguenti: «Nessuno ha sperimentato, al pari della
Madre del Crocifisso, il mistero della croce, lo
sconvolgente incontro della trascendente giustizia divina
con l’amore: quel “bacio” dato dalla misericordia alla
giustizia. Nessuno al pari di lei, Maria, ha accolto col
cuore quel mistero».159 Maria partecipa nel dolore del suo
figlio.
Conclusione
Abbiamo visto come Maria è l’icona della
misericordia secondo la Sacra Scrittura. La sua
misericordia è una spinta esemplare per il nostro
cammino cristiano. Vogliamo citare le parole di Giovanni
Paolo II, che ci esorta ad essere misericordiosi: «Bisogna
far suonare il messaggio dell’Amore Misericordioso con
nuovo vigore. Il mondo ha bisogno di questo amore. È
giunta l’ora in cui il messaggio della Divina Misericordia
riversi nei cuori la speranza, e questa diventi scintilla di
una civiltà: della civiltà dell’amore […]. Siate testimoni
della misericordia».160 Impariamo da Maria come vivere
la nostra vocazione cristiana con lo stesso spirito di
Maria, icona della misericordia. Vogliamo concludere
con le parole del Cardinale Angelo Amato: «Come
[Maria] ha aiutato Gesù a crescere in età e grazia davanti
a Dio e agli uomini, aiuterà tutti i suoi fedeli a crescere in
carità e misericordia davanti a Dio e davanti al prossimo.
158
S. DE FIORES, Misericordia, in ID., Maria. Nuovissimo Dizionario,
vol. 2, 1178.
159 GIOVANNI PAOLO II, Dives in misericordia, n. 9, in EV 7/912.
160 L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, n. 189, 17-18 agosto
2002, p. 7.
106
Alla spietatezza dei nostri tempi il Signore oppone la
beatitudine della misericordia come unica e adeguata
risposta del fedele cristiano. Alla malvagità della nostra
epoca Maria ci insegna a contrapporre l’arma veramente
letale dell’amore misericordioso, che disintegra con la
potenza della sua carità i malvagi propositi dell’empio.
Oggi più che mai ogni fedele battezzato deve farsi figlio
o ancella dell’Amore misericordioso. La misericordia è
l’antidoto da iniettare nella nostra civiltà, per bloccarne il
cinismo e la ferocia».161
161 A. AMATO, Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia (Mt
5,7), in Santa Maria “Regina Martyrum” 5 (2002/3), 11.
107
15
Maria, modello della fede
nella Nuova Alleanza
La Bibbia, in quanto storia di salvezza dell’umanità,
rivelazione del mistero di Cristo, presenta il tema
dell’Alleanza come un concetto fondamentale nel
rapporto tra Dio e uomo. L’alleanza è una situazione di
comunione con Dio, che stabilisce un patto di amore,
che culmina nell’incarnazione di Gesù Cristo. In questo
compimento della Nuova Alleanza in Gesù Cristo, Maria
occupa un posto di primo piano. È ovvio che la fede di
Maria sta al cuore nella sua partecipazione e
collaborazione nel compimento dell’alleanza di Dio. La
Sacra Scrittura ne offre diverse testimonianze. Per cui
dobbiamo ricorrere alla Parola di Dio, se vogliamo
conoscere meglio Maria, la quale – a partire dal momento
dell’Annunciazione, fino alla sua partecipazione alla
passione di Cristo – è rimasta fedele alla volontà di Dio.
In questa analisi, ci soffermeremo su alcuni brani della
Sacra Scrittura, che possono aiutarci a comprendere
questo elemento caratteristico importante della persona
di Maria. Sulla base della Sacra Scrittura, cercheremo di
evidenziare come Maria, donna della Nuova Alleanza, ha
vissuto la sua fede per creare un nuovo umanesimo in
Gesù Cristo.
109
Concetto biblico dell’Alleanza
La Bibbia offre numerose testimonianze del patto
dell’amore tra Dio e uomo, già a parire dal racconto della
creazione (Gen 1). Il termine berît in ebraico, assume
connotazioni varie e differenti (giuramento, promessa,
impegno). Alcuni riferiemnti più imprtanti del concetto
dell’alleanza nel libro di Genesi si trovano in 9,8-17 e
15,18. Il termine berît in Gen 9,8-17, riferisce all’alleana di
Dio con Noè. L’alleanza che Dio fece con Abramo è
documentato in Gen 15,18. Si tratta di una promessa fatta
con giuramento. «Dio crea per fare alleanza, cioè crea allo
scopo di far entrare gli uomini in comunione con lui
come suo fine e non è soltanto una modificazione
accidentale che ‘si aggiunge’ a una creazione in sé
consistente e dotata di senso. […] Il possesso della terra
è anche la realizzzazione della promessa (berît) ad
Abramo. La creazione, dunque trova compimento con
l’attuazione della alleanza-promessa. Non c’è quindi
creazione che non tenda e non sia finalizzata all’alleanza,
né c’è alleanza (o salvezza) al di fuori e senza rapporto
con la creazione».162
In riferiemnto al concetto dell’alleanza, si possono
anche considerare i seguenti brani dell’Antico
Testamento per un’approfondimento ulteriore: Alleanza
Sinaitica (Es 19-24), la liturgia dell’alleanza (Gs 24),
l’alleanza regale con Davide (2 Sam 7,11), l’alleanza
d’amore nei profeti (Os 2,20; 6,7; 8,1; 10,4; 12,2;
Ger 31,31-34).
162 A. BONORA, Alleanza, in P. ROSSANO - G. RAVASI –
A. GIRLANDA (a cura di), Nuovo Dizionario di Teologia biblica, Paoline,
Cinisello Balsamo 1988, 34.
110
Nel Nuovo Testamento, la parola alleanza (diathēkē)
non è molto frequente. Si parla dell’alleanza nel contesto
dell’eucaristia (Mt 26,28; Mc 14,24; Lc 22, 20; 1Cor 11,25).
Secondo il Nuovo Testamento, l’eucaristia è l’alleanza
nuova in quanto è la dedizione definitiva di Dio in Gesù
Cristo per noi. Tutti i riferimenti veterotestemantri
all’alleanza di Dio con il popolo di Israele si chiarificano
nel contesto della Nuova Alleanza in Gesù Cristo.
Dall’inno di Ef 1,4-6, possiamo capire che «l’alleanza in
Cristo e per mezzo di Cristo è la ‘ragione’ e il fine per cui
Dio ci ha creati».163
L’Incarnazione: il compimento dell’alleanza
Con l’incarnazione del Verbo, l’evento atteso
dall’umanità e attestato dal primo testamento si è
manifestato e Dio ha parlato a noi per mezzo del suo
Figlio «una volta per tutte» (Eb 1,1-2). In questo evento
sublime della storia dell’umanità, Maria ha giocato un
ruolo notevole e importante. G. Lorizio descrive questo
evento storico-salvifico in queste parole: «Nella persona
del Verbo incarnato si realizza l’alleanza ultima e
definitiva fra Dio e l’uomo, l’Eterno e il tempo, l’Infinito
e il finito. E questa unione (ipostatica) colta nella fede
genera un umanesimo, che un famosoteologo del
Novecento, Karl Rahner, non ha esitato a definire
“concreto” e tanto nuovo da potersi dire “non umano”,
non nel senso di anti-umano, bensì di oltre-umano, ossia
“sopranaturale”».164
163
Ibid.
G. LORIZIO, La fede in Gesù Cristo genera un nuovo umanesimo, 5°
Convegno Ecclesiale Nazionale (Firenze, 9-13 novembre 2015), in
164
111
L’eterno progetto di Dio si fa storia attraverso
l’incarnazione del Verbo che diventa figlio di Maria di
Nazaret. «Quando venne la pienezza del tempo, Dio
mandò il suo Figlio, nato da donna sotto la Legge» (Gal
4,4). È un testo di «rara densità» dal punto di vista
cristologico e mariologico. Commentando questo
versetto, A. Serra scrive: «L’Apostolo […] accenna alla
Donna tramite la quale il Figlio di Dio venne a far parte
del nostro mondo. La sua è una menzione fugace. Essa,
però, quale nucleo germinale, rimane aperta alle
successive acquisizini del Nuovo Testamento,
soprattutto dei Santi Vangeli».165 L’alleanza che Dio ha
stretto con il popolo di Israele, si realizza ora nella
persona di Gesù Cristo, nella pienezza del tempo.
L’obbedienza nella fede di Cristo (Fil 2,5-11)
e di Maria (Lc 2,34-35)
«Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò
un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò
se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo
simile agli uomini. Apparso in forma umana, umiliò se
stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte
di croce» (Fil 2,6-7). Leggendo questo brano alla luce di
Lc 2,34-35, possiamo notare un nesso strettissimo tra
l’obbedienza di Cristo e quella di Maria. Come Maria si
costituisce e si definisce serva del Signore nel momento
dell’Annunciazione (Lc 2,34-35), così anche Cristo Gesù,
dallo splendore della divinità che gli appartiene per
natura sceglie di scendere fino all’umiliazione della
https://www.chiesacattolica.it/cci_new_v3/allegati/75505/Relazi
one-Giuseppe-Lorizio.pdf (consultato il 26 feb 2016), pp. 1-2.
165 A. SERRA, Gal 4,4: una mariologia in germe, 7-25.
112
«morte di croce». Egli si mostra così veramente uomo e
nostro redentore, con un’autentica e piena
partecipazione alla nostra realtà di dolore e di morte. Con
questo evento Egli realizza veramente i cieli nuovi e la
terra nuova (cf. Is 65,17-18; 2 Pt 3,13; Ap 2,17) e invita
tutti i suoi discepoli che solo prendendo la propria Croce
ogni giorno (cf. Lc 9,23) possono realizzare qualcosa di
nuovo che va oltre i messaggi pseudo-salvifici
provenienti dal mondo.
F. Manzi scrive «(la) conformità della dimensione
obbedienziale del “servizio” di Maria rispetto a quella di
Gesù Cristo si dà quattro livelli: la decisione di fare la
volontà divina; l’eccedente esaudimento divino delle
attese del servo; l’itinerario di apprendimento della virtù
della obbedienza; e, infine, l’esito glorioso a cui conduce
l’obbedienza di Dio».166
Questo spogliarsi di Gesù Cristo è l’espressione della
sua obbedienza al Dio Padre. R. Penna scrive, «Il verbo
greco che sta all’origine della traduzione «spogliò»,
ekénosen, dovrebbe essere tradotto letteralmente «svuotò»
se stesso, a indicare almeno apparentemente una rinuncia
di ciò che era prima, tanto che alcune versioni
esagerando lo rendono addirittura con «annientò».167
Lo stesso avviene anche nella vita di Maria nel
momento dell’Annunciazione. Con l’espressione «Ecco
la serva del Signore, avvenga di me ciò che tu hai detto»
166 F. MANZI, La “Forma” obbedienziale del servizio di Gesù Cristo e di
Maria. Confronto esegetico-Teologico di Fil 2,7 con Lc 1,48, Estratto della
Tesi di Laurea in Sacra Teologia con specializzazione in Mariologia,
Marianum, Roma 1999, 92.
167 R. PENNA, Lettera ai Filippesi. Lettera a Filemone, Città Nuova,
Roma 2002, 49.
113
(Lc 1,38), Maria si riferisce al compito che Dio le ha
assegnato. La Sacra Scrittura definisce «servo del
Signore» un uomo al quale il Signore ha rivolto una
chiamata particolare e a cui ha affidato un servizio
decisivo per il suo popolo. Solo Maria si proclama «la
serva del Signore». Maria è chiamata a un servizio del
tutto singolare: quello di essere la madre di Colui che è il
Figlio di Dio. Maria si rende serva del Signore,
obbedendo alla sua volontà. Maria diventa una donna di
grande esemplarità per sottomettersi a Dio e per
cooperare al suo piano di salvezza. La partecipazione di
Maria nel progetto della nuova alleanza in Gesù Cristo, è
in vista di nuova umanesimo.
Maria, al servizio dell’alleanza in Gesù Cristo
Nell’Annuncizione, Maria ha dato il suo consenso per
collaborare nel piano salvifco di Dio. Così ella fa parte
nell’atto di compiere la nuova alleanza in Gesù Cristo.
Afferma Giovanni Paolo II: «Nell’annunciazione, infatti,
Maria si è abbandonata a Dio completamente,
manifestando “l’obbedienza della fede” a colui che le
parlava mediante il suo messaggero e prestando “il pieno
ossequio dell’intelletto della volontà”. Ha risposto,
dunque con il suo “io” umano, femminile, ed in tale
risposta di fede erano contenute una perfetta
cooperazione con “la grazia di Dio che previene e
soccorre” ed una perfetta disponibilità all’azione dello
Spirito Santo, il quale “perfeziona continuamente la fede
mediante i suoi doni”».168
168 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, n. 27, in EV
10/1351.
114
La sua disponibilità e prontezza a collaborare per il
piano salvifico di Dio è in funzione del compimento della
Nuova Alleanza in Gesù Cristo. «All’esempio di una vita
trasformata in culto spirituale, Maria aggiunge la sua
opera di servizio a favore dell’alleanza. Già
nell’incarnazione Maria contribuisce alla salvezza del
popolo non solo dando la vita umana al Figlio di Dio, ma
iniziando con il suo consenso di fede la comunità della
nuova alleanza».169
L’intervento di Maria al suo Figlio nelle nozze di
Cana, Il racconto giovanneo (2,1-12) ha uno stretto
legame con l’evento di Sinai (Es 19,3-8). A. Serra sostiene
che Sinai e Cana hanno in comue il tema dell’alleanza.170
Le parole della madre di Gesù ai servi: «Quanto Egli vi
dirà, fatelo» (Gv 2,5), riecheggia le parole dell’assemblea
d’Israele al Sinai: «Quanto Yahwéh ha detto, lo faremo»
(Es 19,8; 24,3.7).171 I. de la Potterie scrive: «questa
risposta di Maria mostra che Gesù non le ha opposte un
rifiuto. Piena di confidenza e di speranza, con una
disponibilità totale, ella dice ai servi: “Fate tutto quello
che egli vi dirà”. Questa formula viene dall’Antico
Testamento, ma la sua risonanza varia secondo i contesti
[…]. Ecco la formula che si trova nell’Esodo, prima e
dopo l’Alleanza del Sinai. Le parole di Maria a Cana sono
come la ripresa di questi impegni solenni, assunti da tutta
l’assemblea d’Israle».172 Come Mose è stato mediatore
169 S. DE FIORES, Consacrazione, in S. DE FIORES -S. M. MEO
(a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, 397.
170 Cf. A. SERRA, Maria a Cana e presso la croce, Centro di Cultura
Mariana «Mater Ecclesiae», Roma 19913, 36-39.
171 Ibid.
172 I. DE LA POTTERIE, La Madre di Gesù e il mistero di Cana, in
La Civiltà Cattolica 130/4 (1979), 433.
115
nell’alleanza tra Yahwéh e il popolo d’Israele, Maria ha
svolto un’analoga funzione tra Gesù e i suoi discepoli.
Vivere il cammino della fede con Maria
Abbiamo visto in modo breve e veloce, come Maria
risponde alla rivelazione di Dio e partecipa nella Nuova
Alleanza in Gesù Cristo. La fede di Maria diventa un
elemento esemplare per il nostro cammino cristiano.
Maria crede alla Parola del Signore e le obbedisce con
tutto il cuore e con tutta la sua volontà. La vita di Maria
ci insegna che tutta la vita cristiana è un itinerario di fede
con gioie e sofferenze. Neppure Maria viene esentata dal
percorrere una via di fede. «Maria – fa notare un noto
documento ecclesiale – dovette crescere nella fede,
progredire nella speranza a dura prova, orientare il suo
amore verginale verso Dio e verso Giuseppe di Nazaret,
verso il Figlio Gesù e la comunità ecclesiale, verso gli
uomini e le donne, suoi fratelli e sorelle».173 Ne deriva che
«la fede in Cristo Gesù non si limita a cogliere,
contemplare, magari imitare, l’umano, per il quale
sarebbe sufficiente la conoscenza storica, ma intravede e
professa l’umano e il divino in una profonda unità
personale, che interpella e coinvolge oltre a storia, ma
non fuori di essa».174
Conclusione
Se vogliamo lavorare per creare un nuovo
umanesimo, dobbiamo guardare Maria come nostro
esempio. Il suo cammino di fede l’ha resa partecipe in
modo unico al compimento dell’alleanza di Dio. La fede
173
174
116
PAMI, La Madre del Signore, n. 48.
G. LORIZIO, La fede in Gesù Cristo genera un nuovo umanesimo, 1.
di Maria ci ispira a credere in Gesù e ci sostiene nel
nostro cammino di fede in Gesù Cristo. Come scrive G.
Lorizio, «la fede in Cristo Gesù non si limita a cogliere,
contemplare, magari imitare, l’umano, per il quale
sarebbe sufficiente la conoscenza storica, ma intravede e
professa l’umano e il divino in una profonda unità
personale, che interpella e coinvolge oltre a storia, ma
non fuori di essa».175
«L’attualizzazione di questa nuova alleanza pone
l’agire ecclesiale delle nostre comunità in uno stato di
conversione, aiuta a rifuggire la tentazione del “si è fatto
sempre così”, spinge a superare una pastorale fondata
sulle strutture e facile preda di un “dispersivo
faccendismo pastorale” muovendo verso l’attenzione alle
persone dove “uscire, abitare, annunciare, educare,
trasfigurare” non siano solo degli slogan o delle formule,
bensì costituiscono le motivazioni stesse del nostro
personale impegno quotidano».176 In questo impegno
personale e comunitaria, Maria è il modello per
eccellenza, per crescere nella fede in Gesù Cristo da poter
lavorare per una società fondata su un nuovo
umanesimo.
175
176
Ibid., 1.
Ibid., 12.
117
Seconda Parte
Riflessioni Teologiche
Dopo la sezione biblica che ha dato voce alla Parola
di Dio così come essa emerge dai testi scritturistici,
vogliamo ora sottolineare alcuni elementi del mistero di
Maria come sono stati elaborati dalla Tradizione, dal
Magistero e dalla teologia. In particolare, vogliamo
presentare quei temi che costituiscono non soltanto nodi
di discussione teologica, utili per l’approfondimento
dottrinale, ma anche alcune istanze che provengono dal
vissuto dell’uomo e dalle esperienze che egli incontra e
compie nei giorni che il Signore gli pone davanti.
Sappiamo come il compito del credente è
rappresentato essenzialmente dalla testimonianza,
necessaria affinché l’identità di Dio possa essere
conosciuta e, con essa, il rapporto che l’uomo deve
mantenere con Dio per poter serenamente sperare nella
salvezza. Tutto ciò che Dio rappresenta in fatto di bene,
di vita e di grazia è una realtà sempre aperta e posta
innanzi all’uomo perché se ne possa giovare e trarne i
frutti. In tal senso il mistero di Dio è un mistero aperto,
atto cioè ad accogliere tutti coloro che in Lui confidano.
La risposta di fede non è una semplice replica
dell’uomo alla proposta rivoltagli da Dio, ma un prendere
consapevolezza di un impegno da portare avanti
nell’azione e nella contemplazione, nel servizio come
anche nella vigilanza. Molti quadri evangelici insistono su
questo duplice impegno che – al pari dell’amore a Dio e
al prossimo, modellato sulla persona di Gesù –
rappresenta le due facce di un’unica medaglia. Potremmo
119
pensare alle due figure di Marta e Maria – le sorelle di
Lazzaro – che, in modo diverso, si confrontano con
Gesù (cf. Lc 10,38-42), ma forse l’episodio delle vergini
in attesa dello sposo (cf. Mt 25,1-13) è quello che
riassume tutta l’esistenza dell’uomo saggio, vigilante e
cosciente della propria vocazione e di quello superficiale
che vive nella dimenticanza dell’essenziale e immerso
nella propria pochezza di cui, a volte, si fa scudo
elevandola ad idolo per non impegnarsi e non prendere
posizione dinanzi alle sfide della vita.
È questo il male oscuro della nostra epoca dove il
disordine rende difficile la quotidianità già gravata, in
molti ambiti da scelte politiche scellerate che non
favoriscono pacifici rapporti all’interno di uno stato, tese
invece ad interessi di parte.
Le pagine che seguono vogliono presentare a diversi
livelli il ritratto di una persona – quale è Maria –
senz’altro singolare nel costruire la sua casa sulla roccia
della parola (cf. Mt 7,24-27), ma mai distaccata dalla
nostra umanità alla quale appartiene e che, lungo i secoli
continua ad amarla, a venerarla e a farne oggetto di
devozione.
Anche Maria pur in un contesto diverso dal nostro ed
in un’epoca lontana, potremmo dire, ha tastato il polso
della nostra pochezza per manifestare, nella sua esistenza
di assidua collaborazione con Dio, la sua misericordia
estesa su tutte le generazioni.
120
16
Maria, Madre del Signore:
Una luminosa esistenza teologica
Questo nostro contributo vuole essere come una
sorta di pronao all’edificio teologico che la fede della
Chiesa ha costruito nel tempo attorno alla figura della
Vergine Maria. Resta sempre viva l’immagine giovannea
del discepolo amato che si vede consegnare la Madre dal
Figlio Crocifisso (cf. Gv 19,25-27) con l’impegno di
custodirla presso di sé e fra le sue cose più care. La Chiesa
appunto fra i doni elargiti dal suo Fondatore possiede
anche questo che è singolare nella sua umanità.
In ogni luogo e in ogni tempo, il popolo di Dio ha
elevato lodi a Maria – con preghiere, testi teologici e
letterari, predicazioni, ecc. – ma questo ha implicato e
tuttora implica una conoscenza, per quanto consente la
nostra capacità umana, di questa creatura.
Le pagine che seguono tentano di offrire una
motivazione a questo fervore di fede, preghiera e studio
che ci facilitano la comprensione di Colei che viene
incontro alle difficoltà dell’uomo.
Maria: modello di esistenza umana
In tutta la sua esistenza, la Madre del Signore presenta
un particolare rapporto con l’Assoluto che la rende
121
creatura a beneficiare in modo singolare del suo favore.
Proprio in questo rapporto unico, Maria può essere
considerata ‘modello dell’uomo e, in particolare, del
cristiano’. Ora proprio questa categoria di modello è stata
ed è tuttora oggetto di molte discussioni e critiche atte a
denunciare il connotato di passività che, applicato a
Maria, vi si può insinuare. A ciò si aggiunge che tale
categoria è immersa nel flusso del tempo che passa e dei
cambiamenti culturali. Tuttavia proprio in relazione a
queste due entità – tempo e cultura – in continuo
movimento e costante trasformazione restano quale
punto fermo le parole di Gesù: «Il cielo e la terra
passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mt
24,35).
Quindi quella mobilità propria del tempo e della storia
si confrontano con quel telos rappresentato dalla persona
di Gesù che è venuto non per la condanna ma per la
salvezza (cf. Gv 12,47) e che, per questo, riconcilia cielo
e terra (cf. Col 1,20). Questa riconciliazione attuata da
Gesù indica non solo novità di vita, derivante dalla sua
resurrezione, ma anche novità di rapporto con Dio e con
gli altri.
In questo consiste tutto il piano di Dio che, con parole
ed opere si manifesta per coinvolgere l’uomo in una
vicenda di fedeltà. Solo a partire da tale fedeltà è possibile
allora parlare di modello, non moralisticamente inteso
come creatura che, più di ogni altra, ha avuto la migliore
condotta o perché ha rappresentato la tipologia
femminile passiva che quell’antica epoca comportava per
la donna.
Se possiamo fregiare la Madre di Dio con questo
titolo, ciò deriva dalla solida fedeltà e fermezza di Dio
122
nella quale Ella è inserita e per gli orizzonti che Ella
rappresenta.
Fermezza e fedeltà attive che rendono Maria partecipe
di un legame trasformante nella sua vita terrena
(esenzione dal peccato) e glorificazione anticipata. Per
questo motivo Maria si presenta a noi quale modello
proprio perché rinvia all’Origine e mostra, nella sua
persona, come questa Origine illumina le vicende umane:
quindi modello di attività e non certo di passività.
Possiamo pensare, in merito all’episodio di Cana di
Galilea (cf. Gv 2,1-11), ma questa gioiosa circostanza è
solo un elemento che costituisce la storia del favore che
Dio ha verso l’uomo e che nella Madre trova – sul piano
creaturale – il culmine. Se con l’Incarnazione del Figlio
di Dio abbiamo l’adempimento delle antiche promesse e
delle parole degli antichi (cf. Eb 1,1ss), l’affacciarsi di
Maria sulla scena della storia è il compendio di quello che
S. Giovanni Paolo II – nella sua Lettera alle Donne del 1995
– chiamava il «genio femminile».
Ma tale genialità, che è propria del piano creativo
(cf. Gen 2,18.22-23), si inserisce in un quadro
antropologico molto più vasto che, presentatoci dalla
Scrittura, ci viene ancor più illustrato dal Magistero
stesso della Chiesa per bocca di Giovanni Paolo II:
«Nell’«unità dei due» l’uomo e la donna sono chiamati sin
dall’inizio non solo ad esistere «uno accanto all’altra»
oppure «insieme», ma sono anche chiamati ad esistere
reciprocamente «l’uno per l’altro». Viene così spiegato
anche il significato di quell'«aiuto», di cui si parla in Genesi
2, 18-25: «Gli darò un aiuto simile a lui». Il contesto
biblico permette di intenderlo anche nel senso che la
donna deve «aiutare» l’uomo - e a sua volta questi deve
aiutare lei - prima di tutto a causa del loro stesso «essere
123
persona umana»: il che, in un certo senso, permette
all’uno e all'altra di scoprire sempre di nuovo e
confermare il senso integrale della propria umanità. È
facile comprendere che – su questo piano fondamentale
– si tratta di un «aiuto» da ambedue le parti e di un «aiuto»
reciproco. Umanità significa chiamata alla comunione
interpersonale. Il testo di Genesi 2, 18-25 indica che il
matrimonio è la prima e, in un certo senso, la
fondamentale dimensione di questa chiamata. Però non
è l’unica. Tutta la storia dell’uomo sulla terra si realizza
nell’ambito di questa chiamata. In base al principio del
reciproco essere «per» l’altro, nella «comunione»
interpersonale, si sviluppa in questa storia l’integrazione
nell’umanità stessa, voluta da Dio, di ciò che è «maschile»
e di ciò che è «femminile». I testi biblici, a cominciare
dalla Genesi, ci permettono costantemente di ritrovare il
terreno in cui si radica la verità sull’uomo, il terreno
solido ed inviolabile in mezzo ai tanti mutamenti
dell'esistenza umana».177
Maria non è un modello, quindi, perché è
contrassegnato dalla remissività, oppure dal contesto in
cui è vissuta, ma modello a partire dal Magnificat nel quale
Ella celebra le grandi cose che Dio – guardando la sua
serva – ha compiuto (cf. Lc 1,48-49). E di quale serva –
potremmo chiederci – si parla se non dell’umanità che lo
stesso Dio-Servo ha sposato affidandole un compito ed
uno stile di vita (cf. Gv 13,4-15)? È il Dio Assoluto con il
volto umano, che si dona alla nostra umanità la stessa che
177 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Mulieris Dignitatem,
n. 7, in Enchiridion Vaticanum (= EV), Dehoniane, Bologna 1991,
11/1231-1232.
124
in Maria vede il segno della speranza e della
consolazione.
Luogo di convergenza teologica
La Teologia è, nel suo primitivo e più immediato
significato, un discorso su Dio che, successivamente, si
amplia e si configura come studio di Dio e delle realtà
sacre. Ciò però può portare, talvolta, a dimenticare che la
prima forma di sacralità è propria dell’uomo. Sin
dall’antichità il popolo cristiano ha questa coscienza è
Ireneo († 202) non esita ad affermare che la gloria di Dio
è l’uomo vivente.178 Tale fattore non può e non deve
essere offuscato: passare per la via umana parlando della
Rivelazione di Dio è obbligatorio in quanto rende
ragione dell’Incarnazione che è parte integrante del piano
di Dio ed evento attraverso il quale Egli si rende presente
in ogni momento, riaffermando la sua solidità e fedeltà
che attraversa tutte le epoche. In tal senso ragionava
Ireneo, giustamente considerato il padre della teologia
occidentale, che collocava appunto il Verbo al centro
della sua riflessione.179
178
Il testo del grande vescovo è il seguente: «Infatti la gloria di
Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo consiste nella visione di
Dio: se già la rivelazione di Dio attraverso la creazione dà la vita a
tutti gli esseri che vivono sulla terra, quanto più la manifestazione
del Padre attraverso il Verbo è causa di vita per coloro che vedono
Dio!», IRENEO DI LIONE, Adversus hæreses l. IV, 20,7, in Sources
Chrétiennes (= SCh) 100**, 649.
179 Ricordiamo che il vescovo Ireneo (130-202) è legato a
Giovanni evangelista attraverso l’unico intermediario che è
Policarpo di Smirne (69 ca-155), suo maestro. La vicinanza
cronologica con le origini del cristianesimo è perciò evidente.
125
Da ciò appare che, in un discorso ed in uno studio che
pongono attenzione al Mistero di Dio, trovano spazio
anche le diverse esigenze e culture che l’uomo ha
sperimentato e continua a sperimentare lungo il tempo.
Possiamo perciò parlare di teologia e teologie rendendoci
conto di come il Mistero, per essere conosciuto, deve
essere contemplato alla luce di quei testi che ne parlano,
prima fra tutte la S. Scrittura che è, essa stessa, già
teologia in atto che riceve, a differenza della successiva
riflessione, un carattere veritativo grazie all’ispirazione.
Ogni tempo ha una sua percezione del mistero e se
oggi, noi del secolo XXI, parliamo di Dio con un
linguaggio differente dal passato, ciò è prodotto di una
seria attenzione per l’umanità (uomo/donna) che si è
imposta soprattutto dopo il Vaticano II, evento che si
colloca dopo due guerre apportatrici di stragi dovute a
regimi totalitari che hanno calpestato i diritti umani.
Anche il mistero di Maria, la sua grandezza creaturale
non sfuggono a questa dinamica di comprensione.
Nel documento della Pontificia Accademia Mariana
Internazionale (PAMI) risalente al 2000 e dal titolo La
Madre del Signore. Memoria, presenza, speranza180 vengono
indicate piste di riflessione che sono altrettante esigenze
specifiche della cultura contemporanea. Prima di
indicarne alcune (e trarre da esse altrettante conseguenze)
possiamo spendere qualche parola di commento sul
titolo dai forti tratti antropologici: memoria, presenza e
speranza ci indicano infatti tre dimensioni temporali che
conosciamo – passato, presente e futuro – e che
convergono nella persona di Maria, partecipe di quella
180 PAMI, La Madre del Signore. Memoria, presenza, speranza, Città
del Vaticano 2000.
126
umanità nella quale Agostino († 430) vedeva la
condensazione del tempo da lui considerato come
distensione dell’anima (distensio animi). Quasi al termine
della sua opera più famosa, Le Confessioni, leggiamo
quanto segue: «Ma come diminuirebbe e si
consumerebbe il futuro, che ancora non è, e come
crescerebbe il passato, che non è più, se non per
l’esistenza nello spirito, autore di questa operazione, dei
tre momenti dell’attesa, dell’attenzione e della memoria?
Così l’oggetto dell’attesa fatto oggetto dell’attenzione
passa nella memoria. Chi nega che il futuro non esiste
ancora? Tuttavia esiste già nello spirito l’attesa del futuro.
E chi nega che il passato non esiste più? Tuttavia esiste
ancora nello spirito la memoria del passato. E chi nega
che il tempo presente manca di estensione, essendo un
punto che passa? Tuttavia perdura l’attenzione, davanti
alla quale corre verso la sua scomparsa ciò che vi appare.
Dunque il futuro, inesistente, non è lungo, ma un lungo
futuro è l’attesa lunga di un futuro; così non è lungo il
passato, inesistente, ma un lungo passato è la memoria
lunga di un passato».181
L’uomo è perciò figlio di un passato di cui fa
memoria, vive il presente, essendo proteso però al
futuro. Questo lo rende pienamente protagonista non
soltanto dei fatti storici, ma anche del loro significato e
della loro interpretazione. Ciò vale in modo speciale
anche per Maria che conserva le res divinæ (cf. Lc
2,19.51b) e proclama un futuro di glorificazione e di
misericordia nel suo Magnificat (cf. Lc 1,48b.50.54-55).
181 AGOSTINO, Confessioni, l. XI,28,37, in ID., Opera omnia, Città
Nuova, Roma 1965, vol. I, 399-401.
127
Una storia che, incidendo nel sociale, ci presenta varie
modulazioni e vari campi di indagine. Sono proprio
questi ultimi a dare ragione della fecondità della presenza
di Maria nella storia e nella vicenda umana nella sua
globalità composta di diverse aree di riflessione quali la
spiritualità, l’etica, la vita sociale e politica, il dialogo fra i
cristiani di diverse confessioni, la tematica femminile.
Esse usufruiscono – potremmo dire – del ‘modello
Maria’ e ne traggono indubbio giovamento. Ad ogni
settore il documento offre adeguato spazio.
Nell’economia di questo nostro testo introduttorio,
possiamo solo fare qualche cenno, e molti aspetti
saranno presenti successivamente.
Sul piano della spiritualità essa prende una tonalità
mariana che trova le sue radici nella vita nello spirito (cf.
Gal 5,18)182 e, di conseguenza, profondamente ancorata
al dato biblico e cristologico183 ma sempre a beneficio ed
utilità della Chiesa.184
Nel campo dell’etica, pur avendo assistito alla
pressoché totale assenza di Maria nei manuali di morale,
il documento non nasconde la fecondità della Madre del
Signore nella trattazione di temi comportamentali. Anzi!
Proprio il valore esemplare di Maria conferisce forza al
discorso morale che vuole porre in guardia dal peccato e,
al contempo, riaffermare il dato fondamentale della
vita.185 La presenza di Maria e la sua partecipazione al
mysterium salutis sostengono quel titolo di modello non
182
Cf. PAMI, La Madre del Signore, n. 53.
Cf. Ibidem, n. 54.
184 Cf. Ibidem, n. 58.
185 Cf. Ibidem, n. 60.
183
128
ristretto alla pura azione di ‘buona condotta’, ma alla
ferma ri-proposizione del dono della vita.
Anche la vita sociale e politica, sebbene abbiano una
riflessione abbastanza recente, trovano in Maria qualche
elemento di originalità soprattutto nell’osservare e
riflettere come Ella, pur beneficata da Dio e vivendo la
storia in una dimensione di futuro realizzato,186 è capace
di personali iniziative. Proprio l’evento dell’Assunzione
permette un sano discernimento di ciò che in terra
occorre allo sviluppo del Regno di Dio: in una parola,
costruire il mondo e incrementarne i valori non in
prospettiva terrestre (o peggio materialistica che conduce
all’egoismo), ma in un’ottica escatologica, tenendo conto
del fattore della povertà presente nel mondo e che chiede
risposte.187
Il dialogo ecumenico implica indubbiamente un
confronto culturale e il documento ci ricorda che
l’impegno che ne deriva «non svende né altera il depositum
fidei sulla santa Vergine, ma si propone, attraverso la
ricerca comune e il dialogo sincero, di aiutare i fratelli e
le sorelle delle altre confessioni cristiane a conoscere
l’integra rivelazione su Maria di Nazaret e di riflettere
sulle loro perplessità circa la nostra presentazione storica
e culturale dell’immagine della beata Vergine»188
Ne deriva che il dialogo deve affondare le radici nella
Scrittura ed essere, al contempo critico, evitando – ci
ricorda ancora il documento – l’irenismo definito falso189
186
Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla
Chiesa Lumen gentium, nn. 59 e 68, in EV 1/433.444.
187 Cf. PAMI, La Madre del Signore, n. 62.
188 Ibidem, n. 68.
189 Cf. Ibidem, n. 69.
129
e, aggiungiamo noi, superficiale, perché non rende
ragione dell’intero dato di fede.
Non meno importante è poi l’attualità della questione
femminile che, per secoli, è stato terreno di
discriminazioni più o meno violente. È difficile, per
alcuni strati culturali, accogliere la proposta che proviene
dalla vicenda e dello stato così singolare e speciale di
Maria (basterebbe solo pensare l’antinomia verginitàmaternità che, sul piano naturalistico-scientifico, non
può reggersi), ma qui vi rientra quella categoria di
modello che abbiamo precedentemente illustrato e che
non va a toccare il rivestimento socio-culturale della
Madre di Dio, quanto piuttosto il suo inserimento nel
disegno della salvezza favorendo la comunione
dell’uomo con la propria Origine.
Emerge allora l’importanza e l’urgenza di riproporre
la figura di Maria sciolta da interpretazioni scritturistiche
e teologiche soggette al pensiero (talvolta misogino) di
determinati periodi storici. In questo modo, nota il
documento, abbandonare «ogni colpevole immobilismo
che verrebbe a costituire una sorta di connivenza con
l’ingiustizia».190
Abbiamo perciò un mosaico di situazioni, di discipline
e di campi d’indagine molto concreti e vitali che si
giovano della presenza di Maria che si configura luce
proveniente da quel Dio che al termine della Creazione
se ne compiace.
190
130
Ibidem, n. 71.
Perché la mariologia?
Dopo la riflessione che abbiamo tracciato si impone
questo interrogativo: perché la Mariologia? La risposta
non può essere banale e per questo necessita ancora di
ulteriori solidi fondamenti che le provengono da
altrettante considerazioni emerse durante il Concilio e
che hanno dato i frutti sperati.
Alla base troviamo l’assetto stesso della Rivelazione
costituito da Scrittura, Tradizione e Magistero e la
funzione vitale che essa possiede nei confronti della
Chiesa attraverso tre canali: contemplazione-studio,
intelligenza proveniente dall’esperienza delle cose
spirituali e, da ultimo, la predicazione dei vescovi,
successori degli apostoli vissuti con Cristo.191 Tre aspetti
chiaramente collegati tra loro ma che mantengono una
propria autonomia. Per rispondere al nostro quesito ci
interessano la contemplazione e lo studio dei credenti
che formano l’intera Chiesa che in Maria trova la sua
immagine.192
Proprio il testo di Lc 2,19.51b viene a sorreggere tutto
il discorso conciliare che troviamo nella Dei Verbum al n.
8. La Chiesa quindi ad immagine di Maria è chiamata ad
approfondire e contemplare i contenuti della Rivelazione
e questa è per lei ragione di vita. Difatti poco prima, nel
medesimo n. 8 si legge: «la Chiesa nella sua dottrina, nella
sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le
generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa
191
Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione Dogmatica sulla
divina Rivelazione Dei Verbum, n. 8, in EV 1/883.
192 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 53, in EV
1/427.
131
crede».193 La Rivelazione deve restare oggetto della
teologia in tutte le sue articolazioni e contenuti fra i quali
Maria occupa un posto notevole e singolare.
Ma questo motivo culturale e vitale si salda anche con
un elemento da non sottovalutare e che troviamo al n. 65
della Lumen gentium in cui è affermato che «Maria […] che
è entrata più intimamente nella storia della salvezza,
riunisce in sé e in qualche modo e riverbera i massimi dati
della fede».194
Si tratta di un’accentuazione esistenziale che il
Concilio offre di Maria che, se da un lato approfondisce,
dall’altro fa unità come si comprende dal citato testo
lucano (2,19.51b): dinanzi al mistero, Maria pone tutte le
sue ‘energie’ di credente e di persona singolarmente
inserita in tal evento salvifico che, per esser tale, parte dai
primordi dell’uomo: Parola che si fa bambino, giovane,
adulto.
A confortare questa dinamica vitale un terzo testo
che va alle radici della volontà di Dio: al n 22 della
costituzione pastorale Gaudium et spes, il Concilio fa
un’altra menzione molto importante e a carattere
universalistico nell’affermare che «con l’incarnazione il
Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo». 195
L’elemento culturale-vitale e quello esistenziale si
congiungono e si trovano completati nell’intero disegno
di Dio: tutto ciò che è stato detto nel tempo su Dio e di
Dio trova in Cristo la sua origine ed il suo compimento
193
CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, n. 8, in EV 1/882a.
CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 65, in EV 1/441.
195 CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa
nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes (8 dicembre 1965), n. 22,
in EV 1/1386.
194
132
(Alfa e Omega: Ap 1,8; 21,6; 22,13) e all’interno di tale
dialettica Maria è parte viva e, al contempo,
concretizzazione degli effetti di questa Rivelazione
sull’uomo. Una concretizzazione che l’arte nelle sue
diverse forme ci ha abituato a familiarizzare.
Questo rende ragione della riflessione e dello studio
del suo mistero da parte dei credenti non solo perché la
Madre ci avvicina al Figlio (l’antico, ma sempre valido, ad
Jesum per Mariam), ma perché di questo Signore ne
vediamo l’opera perfetta: la bellezza di Dio si rifrange
nella persona di Maria non come una figura astratta ed
incomunicabile, ma come realtà viva che presenta
costantemente la vitalità del Vangelo.
Lo studio della Teologia nel suo pluralismo espressivo
che, tuttavia, mantiene il suo referente ultimo nella
Rivelazione non può fare a meno o svalutare l’incidenza
e la fecondità del discorso mariologico.
Nel 1988 la Congregazione per l’Educazione
Cattolica, nel pubblicare il documento sul ruolo di Maria
nella formazione intellettuale e spirituale dal titolo La
seconda assemblea,196 sottolineava il contributo che la
mariologia offre alla ricerca teologica ponendo proprio al
centro giustamente il Cristo tanto come Rivelazione di
Dio quanto come rivelazione dell’uomo a sé stesso e, a
partire da qui, della Chiesa a sé stessa.197
196 CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA (= CEC), La
seconda assemblea, in EV 11/ 283-324.
197 Cf. Ibidem, nn. 19-20, in EV 11/304-305.
133
Se Maria è tutta relativa a Cristo in quanto madresocia198 e, al contempo, all’uomo,199 ciò significa che la
discrezione con la quale Maria appare nella storia (a
partire dal colloquio, misto a riflessione attenta che si
svolge nell’Incarnazione fino ad arrivare alla presenza
presso la Croce) si traduce in una trasversalità propria
della Madre di Dio200 estesa a tutte le esperienze
dell’uomo che si riassumono nell’unico Cristo, centro
che – a sua volta - «non può essere disgiunto dal ruolo
svolto dalla sua santissima Madre».201
È chiaro allora che la risposta alla domanda iniziale
appare ora più semplice, ma concretamente molto
impegnativa verso uno studio serio che non dev’essere
solo ‘libresco’ o intellettualistico. Trattandosi di una
disciplina di convergenze e relazioni è chiaro che la
Mariologia raccoglie in sé le varie istanze che le
provengono dall’esterno per conferire ad esse una luce
nuova e suggerire strade nuove per l’auspicabile
soluzione di vecchi problemi. Del resto, Maria non è una
figura isolata in una terra felice e per questo lo studio
198
Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 61, in EV
1/435.
199
Tale vicinanza è condensata nel titolo sorella che ha una lunga
storia teologica e che compare proprio con questo significato ripreso
da Paolo VI (Marialis cultus n. 56) al n 21 del citato documento della
CEC nei seguenti termini: «In Maria tutto è riferibile all’uomo, di
tutti i luoghi e di tutti i tempi. Essa ha un valore universale e
permanente», CEC, La seconda assemblea, n. 21, in EV 11/306.
200 L’espressione ‘trasversalità’ è mutuata da GIOVANNI PAOLO
II, Tertio millennio adveniente, n. 43, in EV 14/1794.
201 GIOVANNI PAOLO II, Tertio millennio adveniente, n. 43, in EV
14/1794.
134
della sua persona e del suo ruolo non può essere
distaccato da tutto il contesto in cui si cala e ciò vale ieri
come oggi. Di ciò occorre tener conto per evitare
pericolosi fraintendimenti.
Inoltre, se si parla di un Dio che si impegna con
l’uomo e a suo vantaggio, la riflessione e lo studio di un
Dio che ha coinvolto sua Madre nell’opera di salvezza
dovrà tradursi in gesti di testimonianza dettata dall’amore
che rappresenta il linguaggio stesso della teologia e la
ragione ultima per la quale Dio stesso si mostra all’uomo,
attirandolo a sé (cf. Gv 12,32) in piena libertà, in
cammino verso la santità, ossia verso quella realizzazione
che è diversa da quella proposta dal mondo.
Conclusione
Volendo concludere queste pagine ritorniamo ai testi
conciliari di Lumen gentium n. 65 e Gaudium et spes n. 22.
Comune ad entrambi troviamo un’espressione: ‘in certo
modo’ (quodammodo). Essa collega la realtà divina con
quella umana nel modo che Dio solo conosce. In certo
modo Dio conosce il cuore dell’uomo da Lui plasmato a
sua immagine (cf. Gen 1,27) e questo, lungi dal generare
ambiguità e tristezza, deve aprire alla speranza di un Dio
che è partecipe della vita umana e che, come tale, irrompe
nella storia universale e personale di ognuno.
Così è accaduto per Maria, così può accadere per ogni
uomo che si dispone a scrutare quei segni particolari che
Dio colloca sul sentiero del tempo. Sta all’impegno
dell’uomo vigilare per ottenere le grandi cose promesse
da Dio a chi lo cerca con cuore sincero: lo studio, la
135
riflessione e la preghiera a questo servono e Maria ci
ricorda questi mezzi che permettono di scrutare, per
quanto è concesso alla nostra capacità creaturale, il
mistero di Dio.
136
17
Maria: fra umanità e Chiesa
La nostra umanità scopre nel suo itinerario terreno
numerose difficoltà dovute spesso alla colpevole
lontananza da Dio. Nonostante ciò, Egli offre in Maria
sua Madre quel segno di speranza dei tempi nuovi segnati
dall’Incarnazione redentrice come evento attraverso il
quale l’Assoluto entra nel nostro relativo e partecipa
direttamente delle nostre gioie e dei nostri dolori.
Unita alla stirpe di Adamo
A partire dall’atto creativo voluto per amore di Dio,
Adamo ha bisogno del perdono, di una luce e di un dono
che lo faccia uscire dalla parte peggiore di sé stesso che
lo ha condotto a disobbedire e a farsi idolo di sé stesso.
Nonostante la gravità del peccato e del rifiuto, Dio
mediante la sua Parola creatrice è fedele al suo compito
ed accoglierla – dopo aver riconosciuto l’incidenza del
peccato e l’impossibilità di tornare indietro e di
eliminarlo da sé stessi – significa per l’uomo accogliere
quel quid che trasforma l’esistenza personale e
comunitaria: in una parola possedere la fede.202
Questo è l’Adamo, il che equivale a dire: questa è
l’umanità, contraddistinta – qualora si perde il contatto
«La fede nasce dall’incontro con il Dio vivente, che ci chiama
e ci svela il suo amore. […] Trasformati da questo amore riceviamo
occhi nuovi, sperimentiamo che in esso c’è una grande promessa di
pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro», FRANCESCO, Lettera
enciclica Lumen fidei (29 giugno 2013), n. 4, in EV 29/963.
202
137
con l’Origine – da una fondamentale debolezza che
spesso diviene vera e propria miseria.203 La S. Scrittura ce
lo ricorda in molte pagine e basterebbe rileggere la
genealogia di Gesù nelle due versioni. In quella di Matteo
(cf. Mt 1,1-17) ci si rende conto di tale situazione di
ambiguità nella quale si colloca Gesù: accanto a
personaggi di indubbia levatura umana e spirituale
nonché di fede se ne accostano altri dalla condotta non
certo edificante (lo stesso re Davide appare un eroe
molto discutibile). Nella seconda, più universalistica, di
Luca (cf. Lc 3,23-38), Gesù è ancorato allo stesso Adamo
(e come lui non ha padre terreno). Entrambi i testi ci
mostrano che questa è la nostra umanità, il suolo dove
Dio pone la sua tenda (cf. Gv 1,14).
Ma Adamo non è soltanto questo: proprio perché
luogo di ambiguità che genera insoddisfazione, egli si
rende conto di essere spazio che va colmato, essere che
vuole una risposta esauriente a tale situazione. Il peccato
senz’altro lo ha corrotto, ma l’amore di Dio non viene
meno e può operare meraviglie, prima fra tutte
presentarsi come l’Artefice della Misericordia: quel Gesù
di Nazaret che passa beneficando tutti204 a partire dalla
carne di peccato che Egli assume (cf. Rom 8,3) donandole
nuovo ed alto significato.
Il passaggio dalla morte alla vita proprio della Pasqua
non resta confinato alla promessa della vita eterna, ma
tocca tutti gli ambiti dell’esistenza umana di ogni tempo:
«Con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo
modo a ogni uomo».205 In Lui compendiata e resa
203
Cf. PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue
Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, nn. 27-30, in EV 20/842-862. Si
tratta di paragrafi sotto il titolo La persona umana: grandezza e miseria.
204 Cf. Messale Romano, Prefazio comune VIII.
205 CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 22, in EV 1/1386.
138
completa, la Rivelazione è la vera stella di orientamento
per l’uomo storico che, nella sua vicenda temporale,
trova elementi e meccanismi perversi che ne soffocano
la dignità e la realizzazione.206 Ma ancor più, la
Rivelazione agisce sul contesto umano producendo
precisi segni della sua presenza attiva e rinnovante. Ecco,
allora che tornando a quella pagina del primo Vangelo
che appare ricca di nomi e di vicende storiche, si fa largo
Maria «dalla quale è nato Gesù chiamato il Cristo»
(Mt 1,16).
Se Adamo è capostipite dell’umanità con tutto il suo
carico di pesantezze, Cristo è l’uomo nuovo che toglie la
condanna e vivifica. A dirlo è proprio S. Paolo, reso
creatura nuova: tale è l’esperienza di Paolo dapprima
persecutore quindi discepolo (cf. At 22,3-16, Gal 1,1324) e capace di codificare la novità evidenziata dal
confronto tra i due Adami appartenenti ad un’unica
umanità (cf. Rom 5,12-21).
Il Cristo è perciò Agnello e Pastore che recupera il
gregge (cf. Gv 10) e che opera la riconciliazione.207 Ma di
tale recupero di rapporti, alla luce della misericordia, noi
abbiamo garanzia in sua Madre che ci è sorella nella
condivisione con la nostra umanità.
Singolare membro della Chiesa
È possibile comprendere il significato che riveste per
Maria l’essere membro della Chiesa riprendendo la sua
condizione di sorella che non diminuisce la sua
singolarità di Madre del Redentore, semmai la conferma.
206
GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica sui rapporti tra fede e
ragione, Fides et ratio, n. 15, in EV 17/1206.
207 Cf. CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 22, in EV
1/1387.
139
La connotazione di sorella – peraltro molto cara ad alcune
famiglie religiose (pensiamo ai Carmelitani) – colloca
Maria quale fattore che unisce, da un lato, la nostra
umanità e, dall’altro, il nostro essere Chiesa; infatti in un
ordine naturale Maria ci è prossima come creatura umana
con tutto il complesso di caratteri che la
contraddistinguono e con tali caratteri Ella fa il suo
ingresso e diviene parte dell’intera Chiesa.
Qui troviamo un livello più alto che non distrugge, ma
viene a perfezionare il precedente, ma tale
perfezionamento va ascritto alla potenza di Dio: potenza
di un singolare ed anticipato perdono che vediamo
compiuto nell’immacolato concepimento della Madre di
Dio208 e di una trasfigurazione redentiva nella sua
gloriosa assunzione. Al centro, quale principio dinamico
e trasformante abbiamo l’evento pasquale che è culmine
dell’economia salvifica.
La creaturalità e la sororità di Maria correlate alla
nostra umanità appaiono perciò prerogative
indispensabili affinché Ella possa costituirsi singolare
membro della Chiesa: all’umanità creata ad immaginesomiglianza di Dio (cf. Gen 1,26-27) corrisponde il suo
essere capax Dei, capacità di accogliere il mistero e di
venirne trasformati: passare dalla condizione indefinita
Osserva in merito S. M. Perrella: «Maria Immacolata […] ci
impegna a leggere la redenzione della predestinata Madre del
redentore più che in termini di riscatto, in quelli di un dono gratuito
divino e di sovrabbondante effusione della sola Gratia»,
S. M. PERRELLA, Immacolata e Assunta. Un’esistenza fra due grazie,
Ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo 2011, 130. Dello stesso autore si
veda anche l’esteso contributo La verità dell’Immacolata e il «depositum
fidei», in F. LEPORE (a cura di), Signum magnum apparuit in cælo.
L’Immacolata, segno della bellezza e dell’amore di Dio, PAMI, Città del
Vaticano 2005, 107-239 (spec. pp. 169ss.).
208
140
(e, in certo senso, peccaminosa) ad un’entità ben definita
che ha la missione di testimoniare e far conoscere il vero
Dio (cf. Os 1,6-9; 2,25 e I Pt 2,10). È chiaro che per Maria
la trasformazione, la diversità sono molto a monte grazie
al favore di Dio.
Le grandi opere compiute da Dio trovano in Maria la
creatura che le ha sperimentate e che può proclamarle nel
suo Magnificat (cf. Lc 1,46-55), ma tali opere iniziano
laddove l’uomo viene formato ed orientato ad un destino
che lo oltrepassa e lo nobilita.
Maria è perciò singolare membro dell’umanità che, sin
dai primordi, viene destinata al popolo santo di Dio:
sorella nella fede ecclesiale e, prima ancora, sorella nella
nostra condizione iniziale di creatura capax Dei, di
apertura che facilita il rinnovamento voluto da Dio.
Giustamente il Concilio – osservando che Maria
«riunisce in sé in qualche modo e riverbera i massimi dati
della fede»209 – non fa altro che avvicinare la Madre del
Signore, pur nella sua singolarità, a nostro vivere proprio
attraverso quella dimensione di incontro tra il divino e
l’umano che è la fede, elemento di coesione dell’intera
compagine ecclesiale.
In Maria avviene questo incontro e viene
incrementato nonostante i momenti di oscurità, di fatica
e di mancata comprensione, tipici dell’esistenza umana
che si confronta con il Divino e che ne è discepola. Come
a Dio «nulla è impossibile» (Lc 1,37), così a Maria nulla è
risparmiato della condizione dell’umanità che percorre
un itinerario di fede.210 Tale itinerario deve essere
compito del cristiano.
209
CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 65, in EV 1/441.
Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 58, in EV
1/432.
210
141
Il dovere del cristiano
Il dovere o i doveri? Molto ci sarebbe da dire, ma
molto è stato detto! Nella parte finale della sua enciclica
Lumen fidei, papa Francesco – secondo una consolidata
prassi dei documenti ecclesiali – traccia il ritratto di Maria
icona perfetta della fede. Il papa utilizza qui una frase
molto densa ed impegnativa per l’intera Chiesa: «Nella
Madre di Gesù […] la fede si è mostrata piena di frutto,
e quando la nostra vita spirituale dà frutto, ci riempiamo
di gioia, che è il segno più chiaro della grandezza della
fede».211
Ma cosa è questo frutto se non il connubio tra fede e
carità alimentate dalla speranza? Siamo risospinti alla
circolarità delle tre virtù, doni offerti da Dio per la
santificazione personale e comunitaria. Una circolarità
che deve farsi visibile, anzi azione profetica.
Essere Chiesa “umana” (o “delle periferie” secondo
un’espressione ricorrente) implica proprio questo
decentramento salutare verso l’altro modellato su Colui
che si è offerto per l’universale salvezza. Qui abbiamo
l’unità di fede e carità che papa Francesco definisce come
unione di amore e verità tra loro inseparabili: «Chi ama
capisce che l’amore è esperienza di verità, che esso stesso
apre i nostri occhi per vedere la realtà in modo nuovo, in
unione con la persona amata».212
Tale è stato il tratto costante in Maria che da un lato
è legata al Figlio. Un Figlio che non si sottrae ai limiti
della condizione umana nel suo essere avvolto in fasce
(cf. Lc 2,7) e contemplato nella morte (cf. Gv 19,25-27) e
nei teli della sepoltura (cf. Gv 19,40). Ma, per altro verso,
211
212
142
FRANCESCO, Lumen fidei, n. 58, in EV 29/1039.
Ibidem, n. 27, in EV 29/990.
Maria è protesa verso l’umanità bisognosa e povera alla
quale appartiene e qui il noto episodio di Cana (cf. Gv
2,1-11) ha molto da insegnarci: rinviare al Figlio-Verità
(cf. Gv 2,5) significa per Maria interessarsi dell’uomo nei
momenti di difficoltà.
Le applicazioni sono molte perché la vita degli uomini
presenta una gamma notevolissima di situazioni in cui è
necessario dar prova di questo amore.
Conclusione
All’Adamo di ogni tempo Dio ripropone sempre nella
persona di Maria sua Madre, l’attuazione dell’unica Legge
veramente valida: quella dell’amore di Dio e del prossimo
(cf. Lc 10,25-37).
Il fatto che Maria di Nazaret appartenga alla nostra
umanità non fa altro che nobilitarla e risponde a quella
domanda che troviamo nel Sal 8: «Signore, che cos’è
l’uomo perché te ne ricordi?».
In Maria e nel favore che Dio le ha riservato troviamo
l’esatta misura della benevolenza che Egli mantiene verso
di noi nelle sue diverse forme: misericordia e perdono,
cura e maternità, protezione ed intercessione. Avendo
disposizione tale ricchezza non resta che operare!
143
18
L’esperienza mariana di Dio
all’interno della sua Parola di Salvezza
In molti modi ed in diverse epoche, lungo la storia e
la tradizione della Chiesa, è stato affrontato ed illustrato
il rapporto tra la Parola di Dio e la Vergine Maria.
Potremmo dire che gran parte della produzione teologica
ha giustamente guardato a questo tema muovendo
dall’evento dell’Incarnazione.
Tuttavia non è il solo punto di vista anche se appare
il più immediato e, in certo senso, alla base di successivi
sviluppi in ordine al fatto che Maria mantiene una
condotta esemplare.
Nelle pagine che seguono cercheremo di vedere la
Parola del Signore come luogo, ambito entro il quale si
viene a situare l’esistenza della Vergine Santa.
Distingueremo tra Parola e Scrittura, quindi
considereremo la Parola come luogo per poi descrivere
l’esperienza mariana di Dio all’interno di questa Parola.
Parola di Dio e S. Scrittura
Uno degli strumenti più utilizzati in filosofia come in
teologia è quello dell’analogia, ossia la congiunzione tra
due concetti o campi del sapere molto diversi tra loro,
volendo con ciò sottolineare la differenza e la
somiglianza che intercorre tra i due elementi. Strumento
privilegiato, di cui noi ci serviamo senza quasi più
accorgercene, è quello di Parola. Questo termine, proprio
145
perché lega due entità diverse, viene detto analogico, cioè
che possiede in sé una vicinanza ed una differenza con
ciò che si vuol esprimere, sulla cosa da dire: la parola è
quella che si scambiano gli uomini (la forma di
comunicazione più nota ed immediata) e la Parola è
quella che Dio rivolge all’uomo, concretizzata in Gesù,
Verbo/Parola attraverso la quale Dio ha detto e fatto
tutto ciò che doveva dire e fare nei confronti del mondo
e dell’uomo.
Parola di Dio quindi detta e Parola di Dio fatta
persona. Tutto questo non è un’invenzione: la lettera agli
Ebrei proprio all’inizio ci parla di un’attività di Dio che
ha parlato nei tempi antichi per mezzo dei profeti ed ora
parla attraverso Cristo (cf. Eb 1,1-3). All’interno di questa
attività, ecco che il termine “Parola” tiene uniti il
progetto di Dio (la Rivelazione) e la sua fissazione su
carta, quella che è la Scrittura. Ma la differenza resta: la
Scrittura è Parola di Dio, ma questa Parola di Dio non si
esaurisce nella Scrittura: la Parola di Dio eccede, supera
il libro e raggiunge l’uomo per strade a lui ignote ma
conosciute da Dio e, per questo, il suo disegno si mostra
davvero infinito e non restringibili entro confini
razionali.
Con questo disegno, che è vera e propria Rivelazione,
ci viene illustrata la distanza tra il Mistero di Dio ed il
mistero dell’uomo che possiede un linguaggio limitato
nel voler fare un discorso su di Lui. Soltanto se Dio gli si
rivela, l’uomo può dire qualcosa su di Lui. Parola quindi
onnipotente (cf. Gv 1,3), efficace (cf. Eb 4,12-13), eterna
(cf. Is 4,8), creatrice (cf. Gen 1,3ss), Parola Assoluta che
si fa discorso umano in Cristo che, a sua volta, illumina
l’uomo e gli fa conoscere qualcosa del Padre (cf. Gv 1,18)
nei termini dell’amore e del dono.
146
Ma Cristo, Parola massima di Rivelazione e di
Redenzione comprensibile perché umana, non è il solo
ad operare: Egli è sempre colmo di quello Spirito del
Padre che può, a sua volta, donare. È significativo, in
merito, il quadro descritto in Lc 4,16ss dove il Figlio di
Dio, guidato dallo Spirito e dopo la permanenza nel
deserto, si pone quale commentatore autorevole di Is 61
nella sinagoga di Nazaret: la presenza dello Spirito sul
Servo capace di ricomposizione si compie nello stesso
Gesù. In Lui, come nello scritto dell’antico profeta, lo
Spirito agisce, ossia l’amore di Dio che sempre feconda,
realizza ed accresce l’opera dell’uomo dispiegandosi
nell’universo: è lo Spirito di Dio che aleggia all’inizio dei
tempi sul mondo, come ricorda Gen 1,2.
Abbiamo perciò una Rivelazione, una Parola che in
tanti modi si dispiega e che si rivolge, come progetto
globale e salvifico, a quell’uomo che – come recita il Sal
8 – Dio ha collocato al vertice della creazione, a sua
immagine/somiglianza e capace di accostarsi al mistero
che lo ha formato.
Entrano qui in gioco due elementi: la presenza di Dio
nell’uomo e, in forza di essa, la capacità che l’uomo
possiede nel rispondere e nel legarsi ancor più a Dio. Sta
all’uomo progredire in questo sentiero: può conservare –
in tutta libertà – o offuscare questo legame. In ogni caso,
la responsabilità resta la sua (sia in positivo, sia in
negativo), ma tutto l’insieme dei comportamenti non
sfugge al benefico dominio di Dio. Dominio da non
confondere con oppressione e condanna: Dio offre
all’uomo un tempo per riflettere e cambiare strada,
oppure per perfezionarsi sempre più; in sostanza: per
diffondere in parole ed opere quanto ha ricevuto.
147
Il tempo quindi diviene luogo entro il quale Dio si
manifesta: viviamo il tempo di Cristo, momento
favorevole della nostra salvezza e, in questo tempo,
vediamo il formarsi degli scritti del NT dove, in molti
modi, passando e beneficando, Gesù sottolinea la
vicinanza di Dio all’uomo. Attraverso le sue parabole –
in particolare quelle dette ‘della misericordia’ di Lc 15 –
l’amore di Dio colma la distanza fra Creatore e creatura,
soprattutto in quei momenti in cui la fragilità, l’errore ed
il peccato tendono a prevalere. Si tratta essenzialmente di
un evento dove parola ed azione sono congiunti e
manifestano la bontà di Dio.
La Parola di Dio nella sua più vasta accezione di
Rivelazione, tale da superare la Parola scritta, si viene a
costituire come luogo nel quale l’uomo ed il mondo sono
inseriti e trovano la loro ragion d’essere e il loro
significato ultimo. Scrive S. Agostino († 430) nella sua
opera La Città di Dio alludendo a Cristo: «Dio non cerca
per sé un uomo come se non sappia dove si trova, ma
parla da uomo mediante un uomo perché ci cerca così
parlando».213
Già S. Paolo, tuttavia, in alcune sue lettere ci aiuta a
comprendere meglio questo collegamento. In esse egli
usa spesso due espressioni: noi in Cristo (cf. II Cor 5,17) e
Cristo in noi (cf. Col 1,27). Nel loro insieme tali espressioni
ci indicano un’appartenenza dell’uomo a Cristo e la sua
collocazione in uno spazio specifico costituito dalla realtà
misteriosa del piano di Dio. Ma la Parola possiede una
duplice finalità: quella diretta costituita dalla salvezza e
quella indiretta che è il graduale perfezionamento
213 AGOSTINO, La Città di Dio, l. XVII,6,2, in ID., Opera omnia,
vol. V/2, 592.
148
dell’uomo. Al termine del n. 11, la costituzione conciliare
sulla Rivelazione Dei Verbum ci aiuta a vedere la
differenza e la vicinanza che sostanziano il rapporto tra
Parola di Dio e Scrittura: «i libri della Scrittura insegnano
con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio,
per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre
Scritture. Pertanto “ogni Scrittura divinamente ispirata è
anche utile per insegnare, per convincere, per correggere,
per educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia
perfetto, addestrato ad ogni opera buona” (2 Tim 3,1617)».214
Nel loro insieme, salvezza e perfezionamento
rappresentano la realizzazione dell’uomo, realizzazione
vera che trae la sua ragion d’essere da quella Verità che è
propria di Dio e che Egli pone a disposizione dell’uomo
non solo come un concetto, o un comando, o, ancora,
una norma particolare, ma come luogo dove si possono
trovare risposte significative per la vita.
La Parola di Dio come luogo
La Parola di Dio considerata nella sua totalità
evidenzia un doppio aspetto: il primo è di natura
comunicativa, ossia è una parola che dice; il secondo è di
natura attiva, indice di una parola che opera e crea. Una
Parola, insomma che nel momento in cui è presente si
crea uno spazio ed un tempo per potersi affermare tanto
come donatrice di senso quanto come apportatrice di un
mutamento. Ciò lo vediamo in particolare nella
Creazione di Gen 1-2 e nell’Incarnazione di Lc 1,26-38:
agli inizi abbiamo un Dio Creatore di un cosmo e di un
uomo che vuole portare alla piena comunione con Lui,
214
CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, n. 11, in EV 1/890.
149
successivamente troviamo l’ingresso di Colui che è
compimento di quest’opera: Gesù nella sua divinoumanità.
Abbiamo perciò una forte corrispondenza tra
Creazione ed Incarnazione e Cristo ne rappresenta il
luogo di raccordo tanto come Nuovo Adamo (cf. Rom 5)
quanto come Alfa e Omega della Creazione (cf. Ap
1,8.17-18). Il discorso tuttavia si precisa ancor più
riprendendo in considerazione quella pienezza dei tempi di
cui ci parla S. Paolo (cf. Gal 4,4); un’espressione –
pienezza – che ritroviamo anche in Giovanni (Gv 1,16:
«Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su
grazia») e che supera, nel suo significato, una dimensione
solo cronologica (nel rispetto dei tempi Dio manda il
Figlio liberatore dalla Legge: cf. Gal 4,4). Pienezza è in
ordine ad una salvezza che da sempre Dio vuole per
l’uomo e che è stata prefigurata ed anticipata in
eventi/persone nell’AT.
Parola piena di Rivelazione è quella che Cristo
rappresenta attraverso tre coordinate:
a) Un evento salvifico che muta l’umanità ed il
cosmo;
b) Un messaggio di amore che provoca l’umanità ed
il cosmo;
c) Uno spazio vitale che include l’umanità ed il
cosmo.
È interessante in proposito rileggere quanto scrive
H. U. von Balthasar († 1988) secondo il quale «la
rivelazione di Cristo doveva però, al di là di ogni attesa e
speranza delle creature, ricapitolare tutto il cielo e la terra
in un capo divino-umano e dare quindi loro un
coronamento di grazia il cui splendore di gloria,
150
appartenente al Signore del mondo doveva irraggiare su
tutta la creazione. Così la stessa forma del mondo, che
era già in quanto tale rivelazione della doxa divina, diventa
in Cristo e nello Spirito Santo effuso da lui, un tempio
che in sé e al di sopra di sé contiene il kabôd di Dio, come
il tabernacolo e l’edificio di Salomone».215
Tempio di Dio quindi appare il mondo e l’uomo
stesso, che ne rappresenta la sintesi, è anch’egli tempio
animato dallo Spirito (cf. I Cor 3,16; 16,17; II Cor 6,16;
Ef 2,21). In tale contesto si colloca la Madre del Signore,
nella sua presenza iniziale e nel suo essere inserita nel
tempo a confronto con gli accadimenti relativi alla vita
del Figlio.
Esperienza mariana di Dio
Parafrasando il grande filosofo M. Heiddeger
(† 1976), Maria si trova ad essere ‘gettata’, inserita in
modo decisivo in uno spazio e in un tempo definiti dalla
presenza del Figlio e vive un cammino di continua
conquista di autenticità. In altre parole: vive la sua
identità, costruendola sull’ascolto e sulla sequela di Gesù
e la realizza in forza di un’azione trinitaria: decisione
eterna del Padre di dare a Cristo una Madre – e il Concilio
ci parla di Maria come compagna generosa216 – nonché
creatura plasmata e resa Tempio di Dio dallo Spirito
Santo.
Maria, in sostanza, vive alla confluenza delle due
coordinate antropologiche descritte da S. Paolo: rivestita
215
H. U. VON BALTHASAR, Gloria, Jaca Book, Milano 1975, vol.
I, 399-400.
216 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 61, in EV
1/435.
151
del Cristo (cf. Rom 13,14; Gal 3,27) e, perciò, creatura nuova
(cf. Ef 2,24) e, al contempo, tempio di Dio (cf. I Cor 3,16;
16,17). Per questo motivo Lei è, in modo speciale, in
Cristo e, a sua volta Cristo è in Lei per cui l’ascolto si fa
celebrazione concreta nel Magnificat.
Il «Beata colei che ha creduto», espressione
dell’anziana parente Elisabetta (Lc 1,45) e così ripetuta da
Giovanni Paolo II († 2005) nella sua enciclica Redemptoris
Mater (1987), oltre a sottolineare la dimensione
obbedienziale propria dell’atto di fede (fiducia data a
Dio), mostra un trovarsi inserita in uno spazio dominato
e forgiato dal mistero del Dio Creatore e Redentore.
Leggiamo in merito la conclusione del n. 14 dell’enciclica:
«Maria, che per l’eterna volontà dell'Altissimo si è
trovata, si può dire, al centro stesso di quelle
«inaccessibili vie» e di quegli «imperscrutabili giudizi» di
Dio, vi si conforma nella penombra della fede,
accettando pienamente e con cuore aperto tutto ciò che
è disposto nel disegno divino»217.
Questo si snoda attraverso i tre grandi eventi
caratteristici e fondativi della nostra fede: l’Incarnazione,
l’espropriazione della Croce, la Glorificazione. Nel
primo evento Maria dopo l’annunzio inizia ad avvertire
la presenza, inizia l’itinerario, l’esperienza. Anche per Lei,
come per ogni essere umano, si tratta di un’esperienza
‘seconda’, successiva ad un evento di fondo: Maria viene
avvertita dal Bambino, è già parte integrante di tutto un
disegno di libertà divina che si colloca a fondamento di
quella umana: Dio non costringe, anzi si espone al rifiuto
dell’uomo nel momento in cui si dona. In sostanza, Dio
217 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, n. 14, in EV
10/1308.
152
si dona ponendo nell’uomo questa medesima capacità di
offrirsi. È qui condensata la legge fondamentale
dell’antropologia cristiana: l’essere umano, la persona si
realizza veramente uscendo da sé, in una logica di dono.
In tal senso si può facilmente comprendere quanto la
Congregazione per l’Educazione Cattolica afferma nel
suo citato documento a carattere mariano: «per i
discepoli del Signore la Vergine è il grande simbolo
dell'uomo che raggiunge le più intime aspirazioni della
sua intelligenza, della sua volontà e del suo cuore,
aprendosi per Cristo e nello Spirito alla trascendenza di
Dio in filiale dedizione di amore e radicandosi nella storia
in operoso servizio ai fratelli».218
Presso la Croce, Maria vive nella sofferenza
l’espropriazione del Figlio all’insegna di un’estrema
generosità che non conosce alcun spirito di rivalsa o
gelosia. Basterebbe rileggersi l’inizio di uno degli Inni della
Natività di S. Efrem Siro († 373) che ci mostra, in forma
poetica, tutta una serie di riflessioni che la Vergine fa al
momento dell’Incarnazione che mostrano tutta la carica
di offerta: «Non voglio tormentarmi o Figlio, se sarai con
me o con gli altri. Sii il Dio di colui che ti riconosce; sii il
Signore di colui che ti serve; sii fratello di chi ti ama,
affinché possa salvare tutti».219
Infine la Glorificazione intesa come partecipazione
completa alla resurrezione di Cristo e condizione
anticipata del credente alla comunione trasfigurante con
Dio. Riprendendo la dimensione protologica ed
unendola a quella escatologica, la Professione di fede di
Paolo VI (datata 30 giugno 1968) interpreta l’evento
218
219
CEC, La seconda assemblea, n. 21, in EV 11/306.
EFREM SIRO, Inni sulla Natività XVI, in CSCO 186, 83.
153
dell’Assunzione di Maria (luogo/evento massimo di
glorificazione) nei seguenti termini: «Associata ai Misteri
della Incarnazione e della Redenzione con un vincolo
stretto e indissolubile, la Vergine Santissima,
Immacolata, al termine della sua vita terrena è stata
elevata in corpo e anima alla gloria celeste e configurata
a suo Figlio risorto, anticipando la sorte futura di tutti i
giusti».220
Sono le cifre che Gesù, attraverso sua Madre,
ripresenta al credente in ordine alla sua realizzazione.
Conclusione
Un buon esegeta dei nostri giorni commentando il
testo di Col 3,16-17 considera come Paolo vede nella
Parola di Cristo «non tanto delle esigenze alle quali
occorre sottomettersi, o un messaggio da capire e da
studiare, ma il luogo dell’incontro tra Cristo stesso e il
credente».221
Parlando di luogo è chiara l’importanza
dell’inabitazione, cioè dell’occupare uno spazio costituito
dal dono che Dio fa di sé stesso. Questa Parola è pertanto
luogo ed è interessante in merito andarsi a rileggere la
profondità e l’attualità sono presenti in un breve brano
di S. Maria Maddalena de’ Pazzi († 1607); la grande santa
fiorentina, cosciente ed attenta alla differenza esistente
tra Parola (Rivelazione), parole (i detti) provenienti dal
Verbo e S. Scrittura (libro), ci offre un orizzonte
220
PAOLO VI, Sollemnis Professio fidei, n. 15, in Insegnamenti, LEV,
Città del Vaticano 1969, vol. VI, 304-305.
221 G. ROSSÉ, Lettera ai Colossesi. Lettera agli Efesini, Ed. Città
Nuova, Roma 2001, 56.
154
ecclesiologico e sacramentale non privo di risvolti
mariani facilmente individuabili.
Difatti nella costruzione dell’edificio spirituale
(fabbrica), cioè nella costruzione della personale santità
deve trovarsi una stanza nuziale costituita dalla Scrittura,
dove l’anima-sposa e il Cristo-Sposo trovano riposo e si
intrattengono in colloquio: «Perché l’edificio spirituale
sia perfetto è necessario trovarvi una stanza segreta dove
ci sia un letto per il riposo della sposa con lo Sposo e
questa stanza sarà la Scrittura nella quale la sposa si riposa
e dialoga dolcemente con lo Sposo, mantenendo un
sonno di somma vigilanza e gustando l’abbraccio dello
Sposo».222
Il testo della santa carmelitana, riecheggiando motivi
presenti nel Cantico dei Cantici, pone a confronto Cristo e
la Chiesa, ma tutto questo può essere visto anche
attraverso una dimensione mariana, pensiamo agli eventi
dell’infanzia di Cristo nei quali – anche fisicamente –
Madre e Figlio sono congiunti.
Davvero in Maria – che conserva e medita le cose
relative al Figlio nel suo cuore (cf. Lc 2,19.51b) – si
realizza quella somma vigilanza che S. Maria Maddalena
menziona in merito alla Chiesa-Sposa e, in altri luoghi
della sua opera, riprendendo motivi risalenti ad Origene
(† 253), all’anima-sposa. Una vigilanza che non è ozio,
ma attività portata avanti nell’ottica e all’interno del ‘non
ancora’ ossia del futuro che affonda le sue radici in un
‘già’ salvifico ormai acquisito grazie a Cristo.
S. MARIA MADDALENA DE’ PAZZI, I Colloqui 2, in ID., Le
Opere, Firenze 1963, vol. III, 46. La traduzione in lingua corrente è
nostra.
222
155
Riconsiderando attentamente il legame e la
comunione esistenti tra Maria e Dio, che nel loro insieme
appaiono come parte integrante dell’evento rivelativo, è
possibile percorrere un itinerario di ascolto/attuazione
della Parola all’interno di una Chiesa che da essa si
origina ed è costantemente modellata dallo Spirito. Nello
Spirito e nella Parola ci viene offerta la possibilità di
accogliere l’intero mistero della vita che si attualizza in
ogni singola esistenza, scandita da eventi ora gioiosi, ora
tristi.
Croce e Resurrezione, Morte e Vita restano le costanti
dell’umanità, talvolta ribelle ai comandi del Signore, ma
pur sempre oggetto della sua predilezione e destinata a
quella gloria che non marcisce né si corrompe (cf. I Pt
1,4).
Di tale gloria Maria è già partecipe avendo accolto
quella Parola-Spada che provoca e divide l’uomo per una
superiore e duratura unità.
156
19
Con Maria accanto alla Croce del Figlio
Parlare della presenza di Maria presso la Croce
nell’ambito della spiritualità dell’Ordine dei Servi di
Maria significa riconsiderare attentamente una sorta di
“cifra di famiglia”. Le nostre Costituzioni all’Epilogo ci
dicono che il dovere dei Servi è appunto di sostare presso
le infinite croci dove il Figlio è ancora ucciso. Un tema
che non è sfuggito neppure al Magistero ufficiale della
Chiesa.223 Tuttavia la ricchezza del tema e delle riflessioni
su di esso può generare quel disagio che si accompagna
al rischio di ripetere luoghi teologico-spirituali già noti.
Per meglio illustrare il tema è possibile ordinare il
discorso su tre punti: la priorità della Parola, una
considerazione sul dolore di Dio e dell’uomo ed infine
l’insegnamento di Maria nutrito dalla speranza.
Priorità della Parola
Apriamo la Scrittura: «Stavano presso la croce di Gesù
sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e
Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì
accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre:
“Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco
la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese
nella sua casa».
223 Giovanni Paolo II a conclusione dell’Esortazione apostolica
sul significato della sofferenza Salvifici doloris riprende quasi alla
lettera l’asserto costituzionale dei Servi.
157
Questo testo evangelico così noto e così variamente
commentato,224 va visto nei suoi legami con tutta la
Scrittura che, in quanto testimonianza privilegiata del
disegno di Dio, mostra anche la vicenda dell’umanità nel
suo confronto (in positivo e in negativo) con tale
disegno. Una umanità che si condensa nella Madre e che
è segnata da un costante contatto con il Figlio. Dinanzi a
Lui vediamo come anche Maria opera un’azione di
svelamento della reazione dell’uomo dinanzi all’agire
inatteso e, talvolta, incomprensibile di Dio. Possiamo
pensare alla gioia della Natività del Signore solcata dalla
profezia di Simeone (cf. Lc 2,33-35).
Attingere alla Scrittura e affermarne la priorità su
qualsiasi discorso che possiamo fare su Dio significa
lasciarsi condurre dalla particolare pedagogia di Dio che
è un unicum con la logica stessa della Rivelazione, laddove
Dio si svela, ma si ri-vela: alterna momenti di
comprensibilità per l’uomo ad altri in cui si nasconde e
sembra assentarsi. È il grande scoglio sul quale si
infrangono tutte le pretese umane di farsi un Dio
potremmo dire ‘tascabile’: il nostro Dio è sempre un
‘oltre’. I discepoli stessi sono provati da questo stile con
il quale Gesù si pone nei loro confronti e Maria, che di
224
La letteratura esegetica su Giovanni è vastissima. Rinviamo
però qui ai numerosi studi compiuti, specificatamente su questo
testo, da A. M. Serra soprattutto nel suo volume ormai classico Maria
a Cana e presso la croce, Roma 1985. Più volte ripreso ed approfondito
dallo stesso autore, il testo giovanneo è stato oggetto di altri
contributi raccolti nei seguenti volumi: Maria secondo il Vangelo,
Ed. Queriniana, Brescia 1987, spec. 160-172; E c’era la madre di Gesù
(Gv 2,1). Saggi di esegesi biblico-mariana (1978-88), Ed. CensMarianum, Milano-Roma 1989 spec. 370-422; Nato da donna
(Gal 4,4). Ricerche bibliche sulla Madre di Gesù, Ed. CensMarianum, Milano-Roma 1992, spec. 141-188.
158
questo discepolato è massima espressione, non viene
sottratta da questo particolare itinerario.
A partire dalla sua Incarnazione in Gesù, il Dio
Altissimo quindi coinvolge l’uomo e lo stesso Gesù, nella
sua vita terrena, costantemente ribadisce il proposito che
Dio ha di realizzare l’uomo inserendolo in quel cielo dal
quale Egli è provenuto (cf. Gv 3,13-14) e che prepara ai
suoi (cf. Gv 14,2-3). Si tratta di un progetto di esaltazione
umana e cosmica che tuttavia – ed è qui lo scandalo –
passa attraverso quell’«ecco» ripetuto due volte (alla
madre e al discepolo amato presenti al Calvario) nel quale
troviamo affermata ancora una volta la rivelazione
creatrice di Cristo, autore delle cose nuove (cf. II Cor 5,17).
Novità delle cose che è essenzialmente il passaggio
per l’uomo (ed evidentemente per il cosmo) da una
situazione deficitaria ad una di santità. Passaggio la cui
causa ultima resta il Signore. Di ciò fanno fede gli altri
due testi relativi all’Agnello di Dio proclamato dal
Battista (cf. Gv 1,29.36). È Lui che toglie il peccato del
mondo ed è interessante che tale espressione venga
ripetuta nel contesto di una numerazione temporale,
scandita dalla ricorrente espressione “il giorno dopo”,
fino ad arrivare al segno di Cana rinviante al racconto
dell’antica creazione che, in Cristo,225 vede e realizza il
suo rinnovamento.
225 Cf. A. SERRA, Settimana cosmica di Genesi 1,1-2,2 e le sue incidenze
sulle formule emerologiche dell’escatologia biblico-giudaica, in E. PERETTO
(a cura di), Maria nel mistero di Cristo, pienezza del tempo e compimento del
Regno. Atti del XI SIM (Roma 7-10 ottobre 1997), Ed. Marianum,
Roma 1999, 7-58. Qui Serra, oltre ad avvicinare i due testi
scritturistici di Gen 1 e Gv 1-2, pone in evidenza la possibilità di
vedere nel racconto di Cana (e in ciò che lo precede) la sintesi delle
età del mondo così come erano intese dai maestri e dai rabbini
159
Si comprende allora come anche il tempo – quale
creatura voluta da Dio – partecipa di questo
rinnovamento. Lo abbiamo visto precedentemente nel
testo di Gal 4,4, in cui “pienezza del tempo” ha uno
spessore qualitativo scaturito dall’Incarnazione salvifica
che ricapitola cielo e terra (cf. Ef 1,10).
Dolore dell’uomo e dolore di Dio
La riaffermazione della sua potenza benefica ed il
risanamento dell’antica ferita del peccato di idolatria
sono alla base dell’azione di Dio testimoniataci dalla
Scrittura. Da una armonia iniziale si passa alla divisione e
a partire da Gen 3 abbiamo l’inizio della drammatica
sequenza in cui l’universo viene deformato a causa del
peccato commesso dai progenitori: peccato che è
essenzialmente la sostituzione del Dio Assoluto ed
Infinito con l’io relativo e finito. Un peccato che si allarga
a macchia d’olio nel tempo e nello spazio, tanto che Dio
si pente di aver creato. Gen 6,5-6 ben evidenzia questa
situazione: «Il Signore vide che la malvagità degli uomini
era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal
loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di
aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor
suo».
Per la prima volta nella Scrittura appare questo
concetto del dolore applicato a Dio e che ha avuto una
forte ripresa nella teologia del XX secolo soprattutto in
relazione ai due conflitti che in modo determinante
hanno sconvolto il mondo in termini di lutto e
persecuzione. Ancor prima dell’istituzione del
giudaici. Età che giungono al loro perfezionamento con l’avvento di
Cristo.
160
tristemente famoso campo di Auschwitz il teologo
D. Bonhoeffer († 1941) si concentrava sul “Dio debole”.
Scrive Bonhoeffer: «La Bibbia indirizza gli uomini
all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio che
soffre può venire in aiuto».226
Dopo la bufera bellica, il tema ha subito un
ampliamento attraverso l’inquietante domanda: “Dio
dov’era? E come parlare di Dio dopo Auschwitz?” Domanda
fatta dal pensatore ebreo H. Jonas († 1933)227 ma che ben
si collega con un interrogativo molto più profondo che
si può esprimere come segue: “Dio soffre?”, o meglio “Si
può parlare di sofferenza e dolore a proposito di Dio ?”
Davanti a queste domande, sono possibili due modi
di rispondere: con il rifiuto di Dio,228 oppure con la sua
integrazione all’interno di un universo di sofferenza.229
Sta di fatto che, nell’uno o nell’altro caso, si è indotti a
riflettere e a superare certa insistenza sulla trascendenza
e assolutezza di Dio che, a volte, lo ha un po’ allontanato
dalla scena di questo mondo che, senz’altro come dice S.
Paolo, passa (cf. I Cor 7,31), ma nella quale siamo inseriti
226
D. BONHOEFFER, Lettere a un amico, Milano 1969, 133.
Melangolo,
Genova 1991.
228 Nel suo volume intitolato Se questo è un uomo, P. Levi giunge
ad una conclusione molto drammatica: «Oggi io penso che, se non
altro per il fatto che Auschwitz è esistito, nessuno dovrebbe ai giorni
nostri parlare di Provvidenza», P. LEVI, Se questo è un uomo,
Ed. Einaudi, Torino 1990, 30.
229 Su questo aspetto rinviamo al nostro contributo dal titolo
Maria presso la Croce: luogo di dolore e di speranza viva per l’uomo, in
G. A. FACCIOLI (a cura di), L’Addolorata da memoria di dolore a profezia
di speranza, Ed. Messaggero, Padova 2006, 55-74.
227 Cf. H. JONAS, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Ed. Il
161
e della quale facciamo esperienza anche nei suoi lati
peggiori.
Nel riprendere Gen 6,5-6 non si fa fatica a rendersi
conto di come l’autore sacro faccia uso di un linguaggio
antropomorfico che non vuole portare verso un’identità
tra l’uomo e Dio quanto piuttosto ci suggerisce relazione,
sollecitudine in cui tutta la realtà divina è coinvolta
(cf. l’immagine del cuore). Una sollecitudine, tuttavia, che
vive in simbiosi con la misericordia che Dio mostra per
l’uomo e in nome della quale Egli non si sottrae agli
assalti del male e ciò è un tema molto antico che viene
successivamente ri-espresso in modo vario lungo il
tempo e nelle pagine dell’AT; basterebbe pensare
all’accoglienza amorosa dell’Israele peccatore in Ger 31,3.
Nel NT il dialogo tra l’uomo e Dio resta ed è anche
qui contrassegnato dalla sofferenza: lo vediamo dal
comportamento di Gesù i cui segni, prodigi e parole si
affermano contro tutto l’universo di male che Egli
incontra lungo la sua esistenza terrena fino a prenderlo
su di sé.
Gesù è perciò partecipe di questo dolore dell’uomo,
almeno a tre livelli tra loro chiaramente collegati: nel suo
insegnamento (pensiamo alla vicenda del padre e dei due
figli in Lc 15,11-32), nel suo apostolato (ci viene in mente
il rammarico di Gesù su Gerusalemme incapace di
ascoltarlo e accoglierlo: Mt 23,37 e Lc 13,34), quindi nel
suo sacrificio preparato da un progressivo rifiuto da parte
delle strutture sociali e religiose del suo tempo
(cf. i quattro racconti della Passione). La partecipazione
di Gesù è perciò completa ed è superfluo ogni
commento a quel tipo di sofferenza che Egli subisce e
con la quale conclude la sua vita terrena. È davvero il
162
“Dio debole” che prende la nostra precarietà su di sé. Si
tratta di un’assunzione dettata da obbedienza del Figlio
al Padre sulla quale deve modellarsi la risposta
dell’umanità che crede e spera.
In Maria ciò si esplicita visibilmente: la sua risposta
consenziente, il suo sì accompagna tutta la sua esistenza
sin dall’Incarnazione, evento che responsabilizza la
Chiesa nell’accogliere la Parola nel contesto attuale dove
non sono pochi i pericoli e i rifiuti. Nella sua piccola, ma
densa opera Il Rosario, H. U. von Balthasar individua
questo carattere ecclesiale dell’Incarnazione, evento nel
quale «viene alla luce l’inesplicabile paradosso della vita
cristiana, per cui il cristiano deve addossarsi ogni giorno
la propria croce per risorgere ogni giorno con il Signore,
morto sulla croce».230
Si attua perciò una circolarità di fondo secondo la
quale il sì di Maria è un dono di grazia che discende dalla
Croce (e qui si riecheggia il dogma dell’Immacolata
Concezione: i meriti del Cristo morto e risorto) e, per
altro verso, la Croce deve rendersi debitrice del sì di
Maria. In altre parole, chiarificando ulteriormente,
possiamo prendere il concetto di assunzione che, prima di
essere l’evento finale della vita di Maria, rappresenta
l’evento iniziale della vita del Figlio, evento nel quale Egli
è una carne con la Madre come carne dell’intera umanità.
230 H. U. VON BALTHASAR, Il Rosario, Ed. Jaca Book, Milano
1984, 81. Ci permettiamo qui di rinviare ad un nostro contributo dal
titolo Il sì di Maria nella prospettiva di H. Urs von Balthasar, in Miles
Immaculatæ 37 (2001), 435-473. In esso abbiamo illustrato questo
carattere dell’obbedienza proprio della Vergine Maria in stretta
connessione con la cristologia di fondo propria del pensiero del
teologo svizzero.
163
Insegnamento e speranza
L’immagine di Maria presso la Croce diviene
occasione di riflessione che l’uomo può fare dinanzi alla
sofferenza. Vissuta e sperimentata da Maria, questa
situazione – così profondamente umana – permette
all’uomo di considerare come anche la rappresentante
dell’umanità più vicina ed immersa totalmente nelle cose
di Dio non è stata sottratta alla prova. Il credente, quindi,
ripartendo da questa scena di condivisione che
l’evangelista Giovanni ci presenta e sostenuto dalla fede,
può sfuggire ai tarli insidiosi della disperazione e del
pessimismo.
Resta tuttavia il popolo di coloro che non credono, e
che rappresenta un fattore di provocazione che obbliga i
cristiani a motivare la loro fede in un Dio rivelatosi come
buono in un mondo dove il male sembra avere la meglio:
Dio o il male? Questo resta un motivo di disputa. Il
problema, a nostro avviso, sta nel mantenere una
maturità di fondo capace di non gravare ulteriormente su
situazioni, a volte, al limite del vivibile, come – ad
esempio – insistere sull’identificazione del male
(provocato da sciagura o da malattia) con un castigo dal
peccato commesso. Si tratta di una semplificazione
superficiale e molto pericolosa.
Una di tali situazioni è appunto quella in cui si trova
Maria presente alla morte del Figlio situazione di estrema
sofferenza che incide con forza nella sua persona. Tutta
la consistenza della parola venuta ad essere segno di
contraddizione, rovina e resurrezione (cf. Lc 2,32) è lì
concentrata; tuttavia, dalla Croce scaturiscono vita e
salvezza, in modo che solo Dio conosce. La Croce si
configura perciò evento di compartecipazione estrema
164
da parte di Dio alla sofferenza dell’uomo: estrema tanto
nello spessore e nella gravità, quanto nel suo esito ultimo
di liberazione. Croce salvifica quindi che denota anche il
peso e il carico ‘leggeri’, di cui parla Gesù riferendosi alle
nostre croci quotidiane (cf. Mt 11,30 e 16,24). È
impossibile fare a meno della Croce salvifica, in quanto
si finisce per deprezzare l’intera esistenza umana.
Se la Croce, pur restando dolorosa e contraddittoria,
è apportatrice di vita ciò significa che essa scuote e mette
ordine al nostro disordine ricordandoci la nostra
vocazione di discepoli: uomini e donne che devono
riconoscersi e comportarsi come figli della luce
(cf. Gv 12,36 e I Ts 5,5) soprattutto in contesti di tenebra
dove tutto sembra perduto. Luce che è speranza tale da
legittimare e favorire la nostra apertura verso un futuro
di realizzazione e liberazione che trova in Cristo il
compimento ultimo.
In tutto questo dinamismo, Maria è davvero la Donna
della Speranza, non solo come Madre di Colui che è
l’Uomo perfetto, ma come via di chiarificazione in
contesti che tentano di affermare la morte sulla vita: è Lei
la madre di un giovane innocente condannato
ingiustamente e la sua presenza fa sì che questo Figlio
non muoia totalmente solo. Una presenza, dunque, che
ogni persona – credente o lontana – può esercitare
accanto ad un letto di ospedale oppure vicino ad un
fratello/sorella lacerato/a interiormente. In tal senso si
comprende il potere di mediazione partecipato da Cristo
all’umanità:231 mediazione che si traduce in vera e propria
benedizione di cui Maria stessa è segno. Attraverso di lei
231
Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 62, in EV
1/437.
165
è possibile vedere come «Dio bene-dice che tu ci sia; egli
vuole che la tua vita riesca; egli è con te lungo tutte le
strade della tua vita tanto nei momenti belli quanto in
quelli difficili».232
Essere assidui, ‘aver cura di…’ fa intuire una
religiosità che potremmo definire ‘pre-confessionale’
(cioè che precede ogni appartenenza cultuale-ecclesiale
specifica: cattolica, protestante, ecc.) in cui il legame è
inteso come sollecitudine/servizio dell’uomo verso
l’umanità e qui l’esempio di Maria di Nazaret. In merito,
appare significativo il fatto che una delle due Collette
proposte nel formulario della S. Messa a Maria, Madre
della santa speranza233 ponga Maria quale aiuto non
soltanto ai disperati, ma anche a coloro che sono
oppressi dal tedio della vita (talvolta causato dal troppo
e colpevole benessere che rende sordi e ciechi verso le
necessità altrui). Non di rado quest’ultimo può generare
atteggiamenti di peccato, oppure ispirati dal pessimismo
che distrugge (di qui le domande: “che viviamo a fare”,
oppure “che vale essere buoni”, ecc.).
«Ecco la tua madre!»: consegnandoci Maria quale
madre, Cristo – perfetto conoscitore dell’uomo
attraverso la sua Incarnazione e la sua Passione e
compagno di strada delle nostre esistenze spesso
tortuose (come accade nell’episodio di Emmaus in Lc
24,13ss) – ci affida questo ulteriore impegno: accanto al
portare la Croce ci addita lo stile con il quale compiere
tale atto. Stile che è la condivisione: essa rende meno
232
M. KEHL, «E Dio vide che era cosa buona». Una teologia della
creazione, Queriniana, Brescia 2009, (or. ted. 2006), 94.
233 Cf. CEI, Raccolta delle SS. Messe della Beata Vergine Maria,
formulario 37, LEV, Città del Vaticano 1987, 121.
166
traumatico il dolore e, non poche volte, il passaggio da
questa all’altra vita.
Conclusione
Maria, che assolve pienamente la missione di
discepola, ci pone dinanzi la nostra vocazione iniziale:
manifestare la grandezza di Dio per tutti. In questo sta la
nostra collaborazione al piano della salvezza che guarda
a Maria, Madre del nostro Redentore. Collaborazione
che, prima di essere un vero e proprio comportamento
di natura morale, discende dal nostro essere stati creati
ad immagine e somiglianza di un Dio che nel tempo si è
servito della nostra fragilità per elevarla alle sue altezze.
In questo, la Vergine presso la Croce ha molto da
insegnarci: l’accoglierla, come ha fatto il discepolo amato,
fra le sue cose più preziose (cf. Gv 19,27) è per tutti un
ripercorrere costantemente il sentiero di vita che il
Signore rappresenta contro ogni sorta di male che
possiamo toccare con mano o vedere nel volto di chi ci
sta accanto.
167
20
Maria: Distacco o Unità?
La grandezza e l’importanza della Vergine Maria, viste
nella loro globalità, non possono prescindere da un
costante radicamento nel mistero del Dio Uno e Trino.
Ciò permette di rendere ragione di quelle situazioni di
forte difficoltà che si inscrivono nell’esistenza umana di
questa donna condotta nel quotidiano contatto con il
dono che il Padre, per opera dello Spirito Santo, le ha
elargito: quello del suo unico Figlio.
Un preludio paolino
Fra i tanti testi prodotti da S. Paolo o legati alla
tradizione che porta il suo nome, finalizzati a tratteggiare
la figura del Cristo (del quale l’apostolo ha avuto il
singolare incontro sulla strada di Damasco), un ruolo
particolare riveste l’inno di Fil 2,6-11. Molto è stato
scritto in ambito esegetico,234 ma tratto comune delle
varie voci e posizioni resta il fatto che, in poco più di 5
versetti, ci viene presentato tutto l’itinerario esistenziale
e terreno del Signore. Si tratta di un itinerario nel quale,
234 La vastissima letteratura esegetica obbliga a operare scelte. Per
questo nostro contributo ci siamo valsi di tre autori: R. PENNA
(Lettera ai Filippesi Lettera a Filemone, Città Nuova, Roma 2002, spec.
pp. 43-57), G. FRIEDERICH (AA.VV., Le lettere minori di S. Paolo,
Paideia, Brescia 1980 (or. ted. 1962), spec. pp. 207-213) e J. GNILKA
(La Lettera ai Filippesi. Testo greco e traduzione. Commento di
J. Gnilka, Paideia, Brescia 1972 (or. ted. 1968), spec. pp. 201-219).
Citeremo l’autore e la pagina nelle note.
169
tuttavia, è coinvolta direttamente l’umanità, tanto
dall’Incarnazione quanto dall’inserimento battesimale in
Cristo. Il testo è di fondamentale importanza per
comprendere il profondo e dinamico legame che
l’umanità mantiene con il suo Signore e Salvatore. Di
esso segnaleremo alcuni elementi utili al nostro discorso.
Il «canto celebrativo in onore di Cristo»235 è diviso
sostanzialmente in tre parti: l’identità divina (v. 6) – il
progressivo abbassamento fino alla Croce (vv. 7-8) –
l’esaltazione gloriosa (vv. 9-11), ma esso prende le mosse
dal v. 5 in cui un indebito inserimento di un verbo non
rende ragione del messaggio teologico sottostante.
Difatti la traduzione più nota è «Abbiate in voi stessi gli
stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù», ma in realtà
i sentimenti da manifestare sono quelli di coloro che
vivono in Cristo, degli uomini rinnovati a causa di una
condizione nuova, quella battesimale.236 Il messaggio è
perciò di natura piuttosto ontologica che
comportamentale: con Cristo c’è un nuovo modo di
essere e pensare e, in tal modo, cristologia e parenesi
sono per l’apostolo collegate.237 Per rendere il significato
il testo suonerebbe così: «Abbiate tra voi i sentimenti che
pure convengono a chi vive in Cristo».238
Riportiamo qui l’espressione utilizzata da R. Penna che, in
questo testo, non vede una conformità alle regole retoriche classiche.
R. PENNA, Lettera ai Filippesi Lettera a Filemone, 45.
236 Cf. R. PENNA, Ibidem. Friedrich considera probabile che l’inno
venisse cantato durante celebrazioni battesimali a ricordare la nuova
esistenza in Cristo. Cf. G. FRIEDERICH, Le lettere minori di S. Paolo,
209.
237 Cf. G. FRIEDERICH, Le lettere minori di S. Paolo, 209.
238 R. PENNA, Lettera ai Filippesi Lettera a Filemone, 43.
235
170
Gesù quindi è protagonista attivo in tutta la parte
iniziale del testo (almeno fino al v. 8): è Lui a non volersi
ripiegare in quello status che gli è proprio da sempre. La
condizione divina determina la singolarità dell’azione
compiuta da Gesù di non aggrapparsi egoisticamente al
suo essere divino ed è questa la base dell’unicità e
drammaticità del suo gesto descritto nei vv. 7-8 e che,
consistendo in una progressiva discesa, è compiuto sulla
base dell’umiltà che conduce il Cristo a svuotarsi
(ekénōsen) ma chiaramente non da abbandonare il suo
modo d’essere divino.
Il novum del cristianesimo ed il suo carattere di
scandalo sono proprio qui: un disegno divino di
riunificazione del distacco tra l’uomo e Dio attuato con
un abbandono da parte di Dio che, nella persona di
Cristo, non si autocompiace di quanto possiede.239
L’ingresso nell’umanità già inaugurato con l’Incarnazione
conosce ora un’ulteriore specificazione: facendosi
piccolo, umiliandosi in spirito di obbedienza fino a
discendere al rango degli schiavi destinati ad un supplizio
infame come la Croce, Gesù tocca direttamente ed in
prima persona l’abisso di derelizione. Ma proprio allo
schiavo, al tempo in cui scrive Paolo viveva un’esistenza
marginale, erano affidate talvolta missioni di assoluta
fiducia240 ed ecco allora a partire dal v. 9 un
rovesciamento di posizioni: il Gesù attivo che si svuota
riceve ed è fatto oggetto di ogni onore ogni viene ora
239 Cf. J. GNILKA, La Lettera ai Filippesi, 211. Più avanti (p. 219)
lo stesso autore nota che la kenosis non è proposta all’imitazione, ma
è il nucleo stesso dello svelarsi dell’essere divino.
240 Cf. R. PENNA, Lettera ai Filippesi Lettera a Filemone, 50.
L’esegeta italiano fa qui riferimento a testi come Gen 24, Is 42,17;49,1-6, 50,4-10 e 52,13-53,12.
171
sovra esaltato ricevendo da parte di Dio il nome e tutto un
corale atteggiamento di sottomissione cosmica.
Anzitutto il nome che riveste nell’ambito della
teologia veterotestamentaria un’importanza capitale, tale
da esprimere l’essenza e la dignità di chi lo porta. A colui
che si è svuotato è donato un nome che è quello di Kyrios
(= Signore). «La consegna del nome – osserva Friedrich
– rende nota al mondo la sua intronizzazione e così il
mondo conosce ciò che è accaduto. Trapela a questo
punto il significato salvifico dell’evento Cristo»,241
sebbene non ci sia un accenno diretto alla resurrezione.
Ciò che interessa maggiormente è l’evento di
trasformazione che Cristo ha portato ponendosi dalla
parte dell’uomo distaccato, separato da Dio e iniziando
la sua opera di ricostruzione percorrendo fino in fondo
la strada della separazione sposando quel segno negativo
che è proprio del peccato che allontana l’uomo da Dio.
In tal modo, si è reso ultimo con gli ultimi non
estinguendo il tempo dell’umiliazione, ma facendo di
quest’ultima la strada più certa dell’esaltazione e per
l’intero cosmo, ha donato tutta la ricchezza della
redenzione.
Dal Cristo alla Madre
L’ingresso di Cristo nel mondo condiziona e
determina in modo incisivo la vita di coloro che gli sono
accanto. La Sacra Famiglia si trova, cioè, a fare i conti
con una grande responsabilità: accogliere il bambino
(cf. Mt 1,18-25) e proteggerlo dal male incombente e
minaccioso (cf. Mt 2,13-23).
241
172
G. FRIEDERICH, Le lettere minori di S. Paolo, 212.
Dio quindi chiede una risposta provocata e dettata
dalla sua presenza. Risposta che lascia libero l’uomo di
ripiegarsi colpevolmente sui propri limiti, oppure di far
proprie le esigenze che Egli, con la sua Parola, mette in
campo. Presenza quindi determinante che si viene a
concretizzare nell’immagine della spada242 che trafigge
l’anima di Maria (cf. Lc 2,35b) e, in extenso, quella del
credente dotato di una fede matura e responsabile.
La spada, entrando in profondità nel contesto umano
(cf. Eb 4,12), conseguentemente all’Incarnazione,
obbliga l’uomo ad un ripensamento di sé, ma proprio
attuando tale processo di riflessione e conversione gli è
possibile conseguire quella superiorità che proviene dalla
redenzione. Come abbiamo visto in Fil 2,6-11, il Cristo,
«autore e perfezionatore della fede» (Eb 12,2), vive in
prima persona e con la sua kenosi, la dialettica di
separazione-unificazione e chiama in causa direttamente
la Madre, proclamata ‘beata’ in forza della fede
(cf. Lc 1,45). Fede paradigmatica che si costruisce e si
alimenta di tutti quei caratteri più controversi per l’uomo
che la Parola porta con sé.
In Maria, fede ed obbedienza esemplari si incontrano
e costituiscono la familiarità con la Parola descrittaci da
Benedetto XVI nell’esortazione apostolica Verbum
Domini nei seguenti termini: «(Maria) parla e pensa con la
Parola di Dio; la Parola di Dio diventa parola sua, e la sua
parola nasce dalla Parola di Dio. Così si rivela inoltre che
i suoi pensieri sono in sintonia con i pensieri di Dio, che
242
Rinviamo qui per un approfondimento al profondo ed ampio
studio di A. M. SERRA, «Una spada trafiggerà la tua vita». Quale spada?
Bibbia e tradizione giudaico-cristiana a confronto, Servitium-Marianum,
Palazzago-Roma 2003.
173
il suo volere è un volere insieme con Dio»243. Appare
chiaro che all’interno dei pensieri e del volere di Dio è
inclusa tutta una pedagogia di cui Egli si serve per la
maturazione dell’uomo, non escludendo momenti forti e
prove.
Tenendo ben presenti gli atteggiamenti di Maria nei
confronti della Parola è possibile accostare alla spada che
penetra in Lei, nel credente e nella Chiesa almeno altre
due figurazioni molto significative che provengono dal
testo sacro: la porta stretta e la via angusta (cf. Mt 7,13ss
e Lc 13,24ss). Entrambe trovano il loro compimento
nella persona di Cristo (porta delle pecore: Gv 10,7 e via
al Padre: Gv 14,6): è Lui, con la sua esistenza, a chiedere
lealtà e responsabilità di scelta coerente che sappia
collegare fede e testimonianza attiva e concreta. A nulla
serve ritenersi discepoli o amici (cf. Lc 13,26-27) se poi
non si è in grado di far proprio quell’insegnamento che
Egli ci ha lasciato nei termini di sofferenza non fine a sé
stessa, ma attuata per quell’amore che rinnova
radicalmente l’uomo (cf. I Pt 2,21-25).
L’abbassamento voluto e scelto da Cristo diviene
eredità lasciata ai discepoli prima fra tutti la Madre che si
trova a vivere il distacco con il Figlio, distacco
caratterizzato dai momenti che conosciamo dalla
Scrittura e dalla tradizione orante della Chiesa.244 La
kenosi diviene perciò, in ultima analisi, indice di
conformazione del credente a tutto un cammino
compiuto da Cristo per una piena e duratura
243 BENEDETTO XVI, Esortazione Apostolica Postsinodale sulla
Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa Verbum Domini
(30 settembre 2010), n. 28, in EV 26/2269.
244 I ‘misteri dolorosi’ del S. Rosario possono esser considerati
altrettanti momenti di distacco di Maria da Cristo imposti dal piano
di Dio che supera i bisogni e gli affetti dell’uomo (cf. Mt 8,18-21).
174
realizzazione dell’uomo: divisione, separazione,
allontanamento che non hanno la pretesa di essere eterni,
ma sono mezzi attraverso i quali si consegue l’ingresso
nel Regno apertoci dal mistero pasquale e caratterizzato
da gioiosa comunione.
Conformazione e adesione al mistero sono la sostanza
della fede: impegno faticoso non solo perché il mistero
di Dio eccede le capacità dell’uomo, ma perché provoca,
mette in discussione, obbliga talvolta anche ad
abbandonare anche le sicurezze più legittime dell’uomo
in vista di un quid di incomparabile importanza e
beneficio. Questo rende santi e beati in forza di un
consapevole e costante impegno che vediamo esplicitato
in Cristo e in sua Madre.
Maria per noi oggi
All’abbassamento del Figlio, così efficacemente e
sinteticamente descritto da S. Paolo e che poi vediamo
nel dettaglio nei Vangeli, corrisponde e su di esso si
modella l’itinerario di Maria contraddistinto dal duplice
legame: affettivo e discepolare. Itinerario che viene
scandito da momenti di gioia e di smarrimento, laddove
l’incomprensione genera la lontananza. Basterebbe
pensare al ritrovamento nel Tempio quando ad una
domanda sofferta Maria (e Giuseppe) ricevono una
risposta spiazzante. L’evangelista Luca annota: «Ma essi
non compresero ciò che aveva detto loro» (Lc 2,50).
Se Gesù entrando nel mondo provoca discussione,
sconcerto perché mette a nudo l’uomo (tale è in fondo la
sostanza della profezia di Simeone) e se il credere in Lui
non è un impegno semplice evocando, a volte, un
procedere contro corrente o addirittura un andare
‘contro l’uomo’, tutto questo aumenta di spessore e di
175
significato quando si contempla l’esistenza della Vergine
Madre. Si è dinanzi ad una vera e propria esistenza
teologica, capace cioè di poter fare un discorso su Dio in
quanto Egli l’ha scelta e costituita per tracciarvi un’orma
indelebile. Se Maria può parlare la Parola di Dio, ciò è
possibile in forza di un’azione divina che copre tutti i
tempi dell’uomo, la stessa azione che all’inizio dei tempi
forma l’uomo in perfetta comunione con Lui.
Quest’ultima, sappiamo, si indebolisce gravemente in
Adamo, ma si mantiene inalterata nella Vergine:
all’idolatria
si
contrappongono
efficacemente
l’obbedienza e l’accoglienza del mistero.
Da sempre la coscienza credente vede ed onora Maria
quale creatura immacolata ed assunta e giustamente
colloca la ragione ultima di tali eventi di singolarità
nell’unica fonte di grazia e gloria che è il Dio Padre, Figlio
e Spirito. Su questa base ecco che, sin dai Padri antichi,
Maria viene contrapposta ad Eva a motivo della sua
conformità al disegno di Dio che le concede di essere
Madre del suo Unigenito. Questo disegno, ci ricorda la
bolla Ineffabilis Deus (1854), determina il suo statuto di
purezza ed esenzione dal peccato dei progenitori.245
Ma tutta la vicenda esistenziale di Maria rende ragione
dell’elemento di ‘distacco’ collocato all’interno del
245
«Dio, fin da principio e prima dei secoli, scelse e preordinò al
suo Figlio una madre, nella quale si sarebbe incarnato e dalla quali
poi, nella felice pienezza dei tempi, sarebbe nato; e, a preferenza di
ogni altra creatura la fece segno a tanto amore da compiacersi in lei
sola con una singolarissima benevolenza […] Così ella, sempre
assolutamente libera da ogni macchia di peccato, tutta bella e
perfetta, possiede una tale pienezza di innocenza e santità, di cui,
dopo Dio, non se ne può concepire una maggiore…», PIO IX,
Ineffabilis Deus, in Enchiridion delle Encicliche (= EE), Dehoniane,
Bologna 1996, 2/739.
176
mistero di Dio e questo va a toccare un atteggiamento
tipicamente umano. Il peccato iniziale descritto in Gen 3
è la disobbedienza (mossa da idolatria) ad un divieto di
Dio di avvicinarsi a qualcosa di attraente e risolutivo, ma
tale divieto è parte integrante di un dono cosmico e vitale
offerto da Dio all’uomo tale da determinarne l’armonica
comunione con Lui. Fare a meno di questo salutare
distacco, scegliere sostanzialmente una via breve provoca
la perdita irreparabile. Torna allora l’immagine della
porta ampia e spaziosa che, non richiedendo sacrificio, a
nulla serve se non a provocare un fallimento.
In Maria, modellata sull’esistenza del Figlio avviene
tutto il contrario: i momenti di smarrimento, di
lontananza che si assommano e che aumentano nella loro
densità non vengono rifiutati o stoltamente aggirati, ma
accolti. Giovanni Paolo II nella sua enciclica Redemptoris
Mater sottolinea, in linea con il Vaticano II, questo
itinerario della fede in cui, ad un certo punto, compare
l’elemento del distacco: esso, come costitutivo del
disegno di Dio tutto racchiuso nel Figlio, aumenta
gradualmente fino alla Croce, luogo in cui splende la
fede-speranza di Maria che si trasforma in realtà gioiosa
con la resurrezione.246
Il distacco, la kenosi, la separazione da una condizione
solo gloriosa sono i tratti tipici del nostro Dio che, per
essere tale, non può non raccogliere i nostri fallimenti e
non può eliminare dalla nostra esistenza una Via Crucis
fatta di situazioni che noi non vorremmo: dapprima la
passione-morte più volte annunciata, quindi il calice del
Getsemani sono realtà che non possono essere
246 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, n. 26, in EV
10/1348.
177
esorcizzate quando si presentano nella nostra esistenza,
altrimenti si cade in un’illusoria e peccaminosa
onnipotenza e, come Pietro, si pensa «non come Dio ma
secondo gli uomini» (Mt 16,23). Allargare gli orizzonti
dell’uomo attraverso la considerazione attenta del
distacco e della sofferenza è un altro dei compiti attuati
del Signore: non soltanto la salvezza, ma il passaggio da
una sfiducia tutta naturale e legata ai fatti ad una fede
gioiosa che deriva dal significato più profondo di quei
fatti (cf. Lc 24,13ss).
Nella sua esistenza, Maria ci mostra come il credente
deve considerare attentamente il ‘caso serio’ della propria
fede e da esso far discendere le scelte ed i comportamenti
della propria esistenza, ispirandosi a Colei che affronta
sotto la Croce la tragedia che si sta compiendo e che si
compie negli ultimi dell’umanità.247 Qui si colloca
l’insegnamento più fecondo della Sedes Sapientiæ, di Maria
che porta in sé e ci addita una sapienza che oltrepassa i
confini e i parametri di questo mondo spesso dettati dal
disimpegno alimentato dall’idolatria e dall’egoismo.
Conclusione
La singolarità del cristianesimo risiede nel carattere
paradossale dell’evento rivelativo248 per il quale Dio si
serve di molteplici mediazioni, non di rado lontane da
quanto l’uomo si attende nei termini positivi di gioia e
gratificazione immediate. Il realismo, lontano da
247
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Salvifici doloris, n. 31, in EV 9/685.
248 Sul tema si veda R. LATOURELLE, Teologia della Rivelazione,
Cittadella, Assisi 1986, 508-511.
178
qualunque forma di facile ottimismo, proprio
nostra fede è il fatto che noi crediamo in un
crocifisso’,249 capace di conciliare i diversi aspetti
vita umana, tra i quali la sofferenza/distacco
comunione gioiosa.
della
‘Dio
della
e la
Scrive efficacemente J. Moltmann: «la religione della
croce è in sé stessa contraddittoria, perché qui il Dio
crocifisso è contraddizione. Accettarla significa […]
acquisire l’identità con Cristo nella fede, rendersi
anonimi nel proprio ambiente e ottenere un diritto di
cittadinanza nella nuova creazione di Dio».250
Ritornando con la memoria al testo di Eb 7,26 («Tale
era infatti il sommo sacerdote che ci occorreva: santo,
innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed
elevato sopra i cieli…») ci si rende conto che la kenosi, la
separazione ed il distacco vissuti soprattutto in contesti
di sofferenza non vengono ignorati dal nostro Dio che,
proprio per questo motivo, è necessario per noi
(«ci occorreva» secondo il dettato biblico): è il Dio
Onnipotente e, al contempo, Servo che ricostruisce le
antiche rovine (cf. Is 61,4) rendendo il suo stato simile ad
esse. Un recupero di redenzione dell’uomo ad intra e
sposando la sua drammatica situazione e che, fedele alla
logica rivelativa, appare coinvolgente nei confronti
dell’uomo.
Un coinvolgimento graduale che trova nella presenza
di Maria presso la Croce il suo vertice espressivo ed
249
L’espressione è quella di un famoso saggio di J. Moltmann.
250 J. MOLTMANN, Il Dio crocifisso, Queriniana, Brescia 1973
(or. ted. 1972), 55.
179
esemplare. Davvero la Madre del Signore, come ci
ricorda il Concilio, «entrata intimamente nella storia della
salvezza, riunisce in sé in qualche modo i massimi dati
della fede».251 Una fede il cui contenuto è insieme gioioso
ed impegnativo.
251
180
CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 65, in EV 1/441.
21
La Vergine Maria:
Creatura Responsabile
dinanzi a Dio e agli uomini
La responsabilità con la quale l’uomo riveste e compie
le proprie azioni non è sempre indice di saggezza o
oculatezza di giudizio. Nelle gravi difficoltà nelle quali il
mondo oggi si trova ad essere sconvolto e che l’uomo
pone irragionevolmente in atto, questo concetto di
responsabilità copre anche atteggiamenti di doppiezza, o
peggio di menzogna che gli garantiscono solo una
passeggera e fragile realizzazione.
L’esempio e la testimonianza di Maria dinanzi al suo
Signore e ai suoi fratelli/sorelle può essere ancor oggi un
modello valido.
La responsabilità: cifra dell’uomo maturo
Il concetto di responsabilità non è un’etichetta posta
sull’uomo da agenti o fattori esterni alla sua vita, oppure
un prodotto del contesto in cui egli vive; al contrario essa
è una cifra con la quale l’uomo viene creato, cifra che
abilita a rispondere all’appello di Dio. Sfogliando le
pagine della Scrittura, nelle quali vediamo la proposta di
Dio e l’accettazione (o il rifiuto) dell’uomo, ci rendiamo
conto della particolare presenza di questa condizione di
essere responsabile. Tale connotato appare già nei due
racconti di creazione che, sebbene diversi per stile ed
epoca
di
composizione,
manifestano
quella
181
complementarietà utile per comprendere lo statuto
dell’uomo e la sua identità.
Tutta l’umanità ormai formata ad immagine e
somiglianza di Dio nei suoi due generi (uomo/donna)
non si muove nell’anonimato, ma è inserita in una
situazione e in un ambiente (cf. Gen 1,29 e 2,15).
Situazione di scelta e ambiente del quale prendersi cura.
A ciò si aggiunge – ed è questo il dato più importante –
che in opposizione a tale anonimato emerge il concetto
di persona esplicitato nella reciprocità di relazione:
senz’altro fra i due sessi, ma anche verso Dio e il cosmo.
In ogni caso tale relazionalità implica responsabilità,
ossia atteggiamento di risposta matura e tale da produrre
frutti di unità e comunione.
La cifra della responsabilità va vista perciò in un’ottica
di unità con… e unità per… ed è chiaro allora il legame
esistente (anche sul piano lessicale) tra responsabilità e
risposta di cui quest’ultima ne rappresenta la
fondamentale positività. Ciò lo si nota, per contrasto, se
si esamina da vicino il peccato dei progenitori che
manifesta un carattere di irresponsabilità intesa come
gesto di ‘non risposta’, poiché compromette il rapporto
unitario tra l’uomo e Dio. Nella vicenda di Gen 3
abbiamo senz’altro l’inganno del serpente (vv. 1 e 4), ma
l’azione e la scelta dell’uomo sono libere e coscienti e
conducono al guasto che ben conosciamo: dicendo NO
al divieto (cf. Gen 2,16-17), l’umanità rifiuta la totalità del
dono e della vita. Infatti, il divieto del Signore non limita
la libertà, ma la garantisce unitamente ad un pieno ed
armonico rapporto dell’uomo con Dio e con il cosmo. Il
«non mangiare» (v. 17) è il SÌ alla vita: rifiutandolo e
capovolgendo l’ordine delle cose, ecco la disfatta.
L’irresponsabilità è qui: con il comportamento dell’uomo
182
viene offuscata la sua capacità di uno sguardo limpido
sulle cose e sul Creatore che derivava dall’armonia degli
inizi. Da qui è possibile comprendere come il peccato –
pur commesso con decisione e scelta – si colloca
nell’ambito della negazione di una risposta che
salvaguarda una fruttuosa comunione tra l’uomo e Dio,
tra l’uomo e i suoi simili ed il cosmo intero.
Un effetto della distorsione operata dal peccato si ha
nell’affermazione del pensiero mondano che fa a meno
di Dio (quello che si chiama comunemente secolarismo)
che conduce all’affermazione della logica del momento
assai poco rispettosa dei bisogni umani e produttrice, al
contrario, di quell’egoismo che sfrutta senza freno le
ricchezze della terra. Abbagliato da una falsa e fragile
realizzazione, l’uomo dimentica che, con tale condotta, è
lui stesso ad essere offeso. L’essere «come Dio» (Gen 3,5)
resta sempre la chimera dell’uomo, ossia un mostro che
è privo di consistenza in quanto impossibile a realizzarsi
e perciò informe progetto.
Con un’altra immagine mitologica possiamo allora
dire che l’irresponsabilità e la sconsideratezza, con cui
l’uomo risponde a volte agli appelli di Dio e della natura
che lo circonda, possono essere paragonati a Scilla e
Cariddi che distruggevano i naviganti. Quanti genitori
oggi si lamentano di figli irresponsabili e sconsiderati che
non rispondono a richiami e segnali che suggeriscono vie
sicure e non considerano i pericoli ai quali strade malsane
conducono e tutto per una pretesa di emancipazione e
libertà le stesse che si ritrovano nei progenitori in Gen 3!
Proprio nel mare della sua esistenza, l’uomo deve tenersi
lontano da questi pericoli ed agire preservando la
comunione con Dio e con i suoi simili offrendo risposte
che portino vita.
183
La risposta consapevole di Maria a Dio
La responsabilità che Maria mostra lungo tutta la sua
esistenza terrena, così come ce la presentano i Vangeli,
ruota attorno al concetto di fede. Si tratta di un
atteggiamento di profonda maturità che, pur essendo
rivolto essenzialmente verso Dio, non manca di produrre
i suoi frutti anche verso l’umanità. Nella tradizione
teologica della Chiesa di tal binomio inscindibile si erano
accorti, ad esempio, tanto Ambrogio Autperto († 781)
quanto S. Bernardo († 1153) che, nel commentare la
pagina dell’Annunciazione, avevano sottolineato l’attesa
e la tensione fortissima manifestate dall’umanità in attesa
della sua salvezza.252
Dal testo lucano in questione (cf. Lc 1,26-38) si nota
la profonda serietà con la quale Maria pronuncia la sua
risposta positiva, tale da cambiare le sorti dell’umanità. In
tal senso la responsabilità e la consapevolezza di Maria
sono significative di un rapporto con Dio che lei vive in
duplice direzione: come essere singolare (Maria, vissuta a
Nazaret in un luogo e in un tempo precisi) e come
rappresentante di una umanità che, cosciente della
grandezza di Dio, gli risponde in modo consono. Questo
secondo livello ne fa un modello di risposta creaturale,
ma ancor più, ci dice il Vangelo nel successivo episodio
della Visitazione, la rende beata e benedetta in base
all’apertura della mente e del cuore «all’adempimento
delle parole del Signore» (Lc 1,45).
Di queste parole e della loro densità Maria è
completamente penetrata e alla gioia con la quale
252 Cf. AMBROGIO AUTPERTO, In Annuntiatione dominica II,3, in
PL 39,2105-2106; S. BERNARDO, In Laudibus Virginis Matris. Homilia
IV, 8, in ID., Opera omnia, Ed. Cistercensi, Roma 1966, vol. IV, 54.
184
risponde alla proposta di maternità corrisponde la serietà
con la quale Ella sostiene l’impegno. Quelle parole e
quegli eventi relativi al Figlio saranno per Lei oggetto di
riflessione profonda e continua (cf. Lc 2,19.51b) per
assaporare tutta la potenza del mistero di Colui che ha
dato la risposta ultima all’umanità.
Anche la singolarità e la storicità della Madre del
Signore ci dicono qualcosa in ordine alla responsabilità
che sigla la sua esistenza protesa verso Dio. Solo a Lei,
sappiamo, è accaduto di divenire Madre del Signore, ma
tale singolarità non l’ha tolta dalle coordinate storiche
che lungo il tempo, presentano all’uomo problematiche
e difficoltà simili e ricorrenti. La sintesi offerta dal
documento della PAMI è indicativa in merito
nell’affermare che «in Maria donna storica dal cuore
indiviso e ignaro della discordia, si è resa viva e concreta
la speranza dell’umanità che cerca un futuro di pace e di
giustizia, di armonia e di fraternità».253
Abbiamo qui una raffigurazione di carattere
comunitario nella quale coesistono due elementi: da un
lato la Madre del Signore nella sua singolarità e dall’altro
l’umanità itinerante ed in ricerca. Con un’immagine
poetico-letteraria – quella della stella – non priva di una
sua profondità teologica, S. Bernardo aveva avuto già
questa percezione della storicità di Maria e del suo
ravvivare la speranza dell’uomo. Pur condizionato dal
pensiero e dalle categorie del suo tempo, l’autore
cistercense scriveva quanto segue, in una pagina rimasta
celebre e della quale riportiamo solo qualche passaggio:
«O tu che nelle vicissitudini della vita più che camminare
per terra hai l’impressione di essere sballottato tra
tempeste e uragani, se non vuoi finire travolto
253
PAMI, La Madre del Signore, n. 48, 66.
185
dall’infuriare dei flutti, non distogliere lo sguardo dal
chiarore di questa stella. Se insorgono i venti delle
tentazioni, se ti imbatti negli scogli delle tribolazioni,
guarda la stella, invoca Maria […] Se ella ti sostiene non
cadrai, se ella ti protegge non avrai nulla da temere, se
ella ti guida non ti affaticherai, se ti sarà favorevole
giungerai alla meta e così potrai sperimentare tu stesso
quanto giustamente è stato detto: «e il nome della vergine
era Maria».254
Maria è davvero la stella che è cosciente di brillare
grazie all’onnipotenza del Signore che ha fatto in Lei
grandi cose (cf. Lc 1,49) ma, come il Figlio, decide di
essere responsabile serva, consapevole che la grazia di cui
è stata ricolmata rende realizza pienamente la nostra
libertà.255 La sua azione quindi non resta confinata in un
rapporto privatistico con il Figlio, ma conosce
quell’estensione tipica del progetto che Gesù, in
obbedienza al Padre, vuole attuare per il mondo e
l’uomo. Progetto chiaramente universalistico.
La sollecitudine verso gli uomini
In almeno due numeri della Lumen gentium – il 61 ed il
68 – il Concilio fa cenno al potere di intercessione che
Maria continua ad esercitare anche nella gloria a
beneficio del popolo di Dio. Una funzione che la Madre
del Signore ha esercitato anche nella sua esistenza terrena
e che non va ristretta soltanto ad una generica protezione
o ad una richiesta di qualche particolare favore al Figlio.
254
S. BERNARDO, In Laudibus Virginis Matris. Homilia II,17, in
ID., Opera omnia, vol. IV, 34-35.
255 Cf. 210° CAPITOLO GENERALE DEI SERVI DI MARIA, Servi del
Magnificat, n. 97, Curia Generalizia OSM-Servitium. Roma-Sotto il
Monte 1995, 169.
186
Anche nell’episodio di Cana (cf. Gv 2,1-11) abbiamo
un’osservazione («Non hanno più vino», v. 3) ed un
invito («Quanto vi dirà fatelo», v. 5), non una richiesta.
Osservazione pratica di una persona che vive all’insegna
della concretezza ed un invito che conduce a rinsaldare
la fede nell’Onnipotente.
Ad una prima e superficiale lettura del testo
giovanneo Maria sembra essere posta tra Gesù ed in
servitori quasi a mediare i due poli. In realtà il suo è un
atteggiamento di profonda conformazione ad una
dinamica di servizio il cui centro è tutto condensato in
Cristo ed è a Lui che Ella rinvia tutti coloro che, nel
tempo, ricercano risposte.
Un discorso analogo può essere fatto per un altro
significativo episodio, quello della Visitazione: ricevuta la
Parola e plasmata dallo Spirito, Maria se ne fa portatrice,
ma anche strumento. Di lei infatti questa Parola si serve
per farsi conoscere come causa di gioia anche per coloro
che ancora non sono nati (cf. Lc 1,41). Tutto questo sotto
il segno della profonda consapevolezza e responsabilità
ed in merito così si esprimeva S. Giovanni Paolo II nel
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1995:
«(Maria) visse con profondo senso di responsabilità il
progetto che Dio intendeva realizzare in lei per la
salvezza dell’intera umanità. Consapevole del prodigio
che Dio aveva operato in lei, rendendola Madre del suo
Figlio fatto uomo, come primo pensiero ebbe quello di
andare a visitare l’anziana cugina Elisabetta per prestarle
i suoi servizi. L’incontro le offrì l’occasione di esprimere,
col mirabile canto del Magnificat (Lc 1,46-55) la sua
187
gratitudine a Dio che con lei e attraverso di lei aveva dato
avvio ad una nuova creazione, ad una storia nuova.256
Al centro di entrambi gli episodi, quello di Cana e
quello della Visitazione, perciò ritroviamo l’Artefice
dell’unità cosmica ed umana, come anche l’Uomo
perfetto che chiede ai suoi fratelli/sorelle di mantenere e
salvaguardare questa comunione. Compito di grande
responsabilità, quindi, che viene suggerito da Maria
felicemente chiamata da Paolo VI ‘vertice della
creazione’.257
L’assenza di qualsiasi bruttura o deformazione della
sua persona è frutto della continua azione di grazia che il
Signore effonde sull’umanità per invitarla a non stancarsi
mai nella sua ricerca. In Maria questa grazia è del tutto
particolare, ma nonostante ciò, la giovane nazaretana
resta sempre appartenente alla nostra umanità come
proposta di conformazione al progetto di rinnovamento
voluto dal Figlio. Rifiutare questa proposta conduce
inevitabilmente alla solitudine con il proprio limite.
Conclusione
Il nostro compito è essenzialmente il passaggio
dall’accoglienza della Parola al trarne tutta la ricchezza
come tesoro prezioso sepolto nel campo del mondo
256 GIOVANNI PAOLO II, La donna educatrice di pace. Messaggio per
la XXVIII Giornata mondiale della Pace (1 gennaio 1995), in
Insegnamenti, LEV, Città del Vaticano 1996, vol XVII/2, 1015. Il
discorso è stato redatto in data 8/XII/1994.
257 Si tratta di un’espressione oltre che di epoca anche di sapore
conciliare essendo stata usata da Paolo VI durante un’Udienza generale
datata 24 marzo 1965. Essa figura nel III volume degli Insegnamenti a
p. 889.
188
dove senz’altro è presente il male, ma dove esso non
prevale sul frutto di questo buon seme. La nostra
responsabilità è scegliere la parte migliore che resta,
come per la sorella di Lazzaro e per la Madre del
Signore,258 quel quid che non sarà tolto o consumato. Il
vero tesoro incorruttibile è quello ed è di esso che si è
vestita la donna di Ap 12, figura che unifica la comunità
ecclesiale con la Figlia di Sion chiamata a gioire per la
vittoria di Dio contro le potenze avverse che
scandiscono a volte il nostro quotidiano.
Facciamo notare che l’antica liturgia della S. Messa
dell’Assunta aveva il testo di Lc 10,38-42 quale Vangelo del giorno.
Molti scrittori ecclesiastici hanno intravisto, ora in Marta ora in
Maria, una figurazione della Madre del Signore.
258
189
22
Maria collocata nell’eternità di Dio
La solennità dell’Assunzione di Maria resta sempre un
ulteriore motivo di gioia pasquale per il popolo cristiano
soggetto alle avversità e alle difficoltà del suo cammino
di vita. Pur rinviando ad un destino glorioso resta un
evento che non elimina i legami con la vita terrena e con
l’impegno del credente: in questo evento, Maria si
conferma per la Chiesa modello concreto e virtuoso di
vita cristiana, senza possibilità di fughe verso il
disimpegno e la superficialità.
Dalla mistica alla liturgia
Nei suoi racconti di visioni, S. Maria Maddalena de
Pazzi († 1607) si sofferma a meditare il testo di Lc 10,3842 nel quale compaiono le due figure di Marta e Maria di
Betania, un evidente riferimento al testo che, un
tempo,259 veniva proclamato nella Solennità
dell’Assunzione, evento al quale il monastero fiorentino
di S. Frediano era dedicato (S. Maria degli Angeli).
Riportiamo alcune righe di questa visione nella quale
notiamo l’accostamento della Madre del Signore a Maria
sorella di Marta e di Lazzaro: «Non tanto bene stavon
Marta e Maria insieme ministrando al’Verbo humanato,
Sull’uso liturgico di Lc 10,38-42 nella solennità si veda
E. CAMPANA, Maria nel culto cattolico, Ed. Marietti, Torino-Roma
1933, vol. I, 380-381. Tale assetto è stato mutato con la riforma
liturgica successiva al Vaticano II. Cf. W. BEINERT (a cura di), Il culto
di Maria oggi, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1984, 187ss.
259
191
quanto Maria in cielo fa l’uffitio di Maria Maddalena e di
Marta: di Maria Maddalena godendo Dio e di Marta
intercedendo per noi […] O Maddalena o Marta che
sarebbe Maddalena senza Marta chiamata con vocabolo
di otiosità e Marta senza Maddalena sarebbe una
confusione […] O Maria, o Maria, o amorosa Maria. Sei
assunta in cielo perché seguiamo le vestigia tua in terra.
Quanto sei o Maria, gloriosa o gloriosa Maria! Maria è
quella fonte segnata con quel sigillo immaculato del
Verbo eterno, dove si dichiara vergine e madre, madre e
vergine! Compiacimento della SS. Trinità. Va irrigando
questo fonte tutto il’cielo, fruttificando nella terra
letificando gli Angeli e refrigerando le anime
del’purgatorio».260
Pur nell’arcaico italiano del XVI secolo
comprendiamo alcune importanti tematiche sottostanti
collegate dalla Madre del Signore: anzitutto la necessità
di tenere collegati i due generi di vita tradizionali del
cristianesimo, la vita attiva e quella contemplativa e ciò
rinvia all’unità della persona impegnata su questa terra.
In secondo luogo, la mistica fiorentina ribadisce la
260 S. MARIA MADDALENA DE’ PAZZI, Probatione (parte seconda),
in ID., Opera omnia, a cura di G. AGRESTI, Firenze 1965 vol. VI,
p. 201. Una considerazione importante sui fenomeni estatici di
questa santa va fatta in quanto essi sono solitamente legati a
celebrazioni liturgiche o a intense meditazioni della Scrittura,
obbedienti al dettato della Regola di S. Alberto di Gerusalemme
(† 1214) che prescrive di meditare giorno e notte la legge del Signore
Al n. 10 della Regola si legge infatti quanto segue: «Maneant singuli
in cellulis suis, vel iuxta eas, die ac nocte in lege Domini meditantes»,
Regula Ordinis Fratrum Beatissimæ Virginis Mariæ de Monte Carmelo, in
AA.VV., The Carmelite Rule 1207-2007. Proceedings of the Lisieux
Conference 4 – 7 July 2005, Ed. Carmelitane, Roma 2008, 626.
192
predilezione di Maria da parte della stessa SS. Trinità che
continua ad effondere benefici sulla terra.
I due temi sono unificati non tanto da un artifizio
umano frutto di speculazione e di ragionamento, quanto
piuttosto dalla potenza della Parola di Dio che, secondo
il testo di Lc 11,27-28, va ascoltata e attuata per poter
conseguire la vera beatitudine. Questa Parola detta,
ascoltata e attuata in quanto resa concreta da una
persona, ha il potere di far nuove tutte le cose
(cf. Ap 21,5).
Proprio di novità si deve allora parlare quando
abbiamo a che fare con la Vergine Santa che, giustamente
la tradizione più antica della Chiesa ha considerato come
la Donna nuova,261 resa tale da una volontà benefica
assolutamente trascendente che, tuttavia, si fa uno di noi
nel rispetto e nell’amore profondi verso la nostra fragile
umanità. Segno e testimone viva di tale rispetto si colloca
la Madre del Signore: la «beata perché ha creduto
all’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45) e, per
questo motivo, glorificata.
Ma se la Parola promessa si è adempiuta nella
persona di Cristo, Egli continua i suoi effetti nel tempo:
la sua Parola ci interpella e provoca costantemente
scuotendoci dalla pigrizia e dal disimpegno. Di
conseguenza è possibile vedere in Maria il modello di
servizio fattivo e gratuito così come ci viene presentato
261 Possiamo pensare, ad esempio, ad Anastasio I Antiocheno
(† 599) che nella sua Omelia I sull’Annunciazione (PG 89, 1377-1385)
sviluppa questo tema partendo dall’antinomia Eva-Maria presente
già in Ireneo e mostrando come, grazie alla presenza di Maria, «tutte
le cose sono state restaurate secondo il proprio ordine». Il tema poi
verrà ripreso lungo la Costituzione apostolica Munificentissimus Deus
di Pio XII con la quale è stato proclamato il dogma nel 1950.
193
dall’episodio evangelico della Visitazione (cf. Lc 1,39-56)
proclamato nel giorno della solennità dell’Assunzione.
Prestando attenzione al testo evangelico, non si fa fatica
a comprendere come i beni eterni ai quali si deve essere
costantemente rivolti per condividere la gloria – così
come ci ricorda la Colletta del 15 agosto – altro non sono
se non la capacità di servizio modellata su quella del
Servo del Signore del quale Maria è discepola perfetta.262
Immersi nella gioia e nel riposo estivo nei quali si
inserisce la celebrazione di questa vitale verità di fede che
ci apre ad un futuro carico di speranza, non deve mai
porre in ombra l’impegno di una carità fattiva. Ciò nasce
proprio dal confronto, costantemente ricorrente, tra
l’uomo e la Parola.
Parola impegnativa ed esaltante
Mossi proprio da questo confronto, torniamo a
considerare la Costituzione apostolica Munificentissimus
Deus con la quale Pio XII proclamava il dogma
dell’Assunzione dove troviamo almeno tre punti che ci
devono far riflettere e che collegano il dettato della
Rivelazione con la situazione del mondo. Anzitutto,
soffermandosi sull’insegnamento dei Padri relativo alla
verità dell’Assunzione, il documento di Pio XII fa cenno
alla profezia della spada vaticinata da Simeone
(cf. Lc 2,35) che si concretizza nell’evento della Croce.263
262 Il carattere del discepolato di Maria emerge variamente
espresso nella Costituzione dogmatica conciliare sulla Chiesa. Cf., ad
esempio, CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, nn. 56.58, in EV
1/430.432.
263 Cf. PIO XII, Munificentissimus Deus, in EE 6/1951. La
costituzione si rifà qui alla II omelia dell’Encomio per la Dormizione di
Maria scritta da Giovanni Damasceno († 749).
194
In secondo luogo, il documento giustifica che tale
proclamazione si colloca in un contesto di estrema
difficoltà dominato dal materialismo e dall’immoralità.264
Proprio questo ambiente così malsano spinge al ricorso
a Maria; affermare perciò la sua Assunzione è salutare
non soltanto per la gioia scaturita da tale verità di fede,
ma ancor più per il fatto che la Parola, con la quale
l’uomo deve confrontarsi, è parola che si è rivestita della
nostra carne (carne di Maria) e l’ha fatta passare dalla
morte alla vita. Si tratta sostanzialmente della dottrina
dell’homo assumptus et redemptus: con l’incarnazione l’uomo
che è stato accolto (assunto) da Dio è stato redento.265
Riprendendo poi un testo del grande S. Antonio di
Padova († 1231), la Munificentissimus Deus specifica ancor
più questo aspetto esprimendosi in categorie bibliche e
proiettando tutto su Maria: «Come Gesù Cristo, dice il
santo, risorse dalla sconfitta della morte e salì alla destra
del Padre suo, così «risorse anche dall’Arca della sua
santificazione, poiché in questo giorno la Vergine Madre
fu assunta al trono della gloria»266
Da qui ricaviamo il terzo elemento: l’universo del
male, della sofferenza e della morte e, in ultima analisi,
dell’oscurità che attanagliano l’uomo sono state debellate
264
Cf. Ibidem, in EE 6/1972. Da ricordare che tale
proclamazione si inserisce nel contesto di un Anno Santo.
265 Tutto il n. 22 della Costituzione pastorale conciliare Gaudium
et Spes non fa altro che esplicitare questo rapporto fondamentale con
l’uomo istituito da Dio attraverso Cristo. Troviamo questo tema, di
origine patristica, ad esempio, nell’Omelia sulla Natività del Signore di
S. Giovanni Crisostomo († 407). Il testo è in PG 56,385-394.
266 PIO XII, Munificentissimus Deus, in EE 6/1959. Il testo di
S. Antonio è la sua Omelia sull’Assunzione di Maria, 3. Per il testo
completo segnaliamo il volume dei sermoni del santo portoghese
curata da G. Tollardo, Ed. Messaggero, Padova 2005.
195
dal Cristo Parola di vita sulle nostre esistenze. È
senz’altro vero che viviamo come pellegrini, come ci
ricorda la Lumen gentium,267 ma coscienti di una vittoria –
quella di Cristo – che è dono trasformante a patto,
tuttavia, di volerla e saperla accogliere.
In questa dinamica esistenziale è possibile
comprendere il significato più profondo della
glorificazione di Maria, ossia di una creatura che fa della
propria esistenza una condivisione totale con la vita del
nostro Dio che non esita a discendere negli abissi della
miseria umana.
Superamento della contingenza
La Madre del Signore così glorificata, ci ricorda
ancora il Concilio, è segno di sicura speranza e
consolazione per il popolo di Dio in marcia fino al giorno
del Signore.268 Ma questo tempo favorevole, noi lo
sappiamo, è già iniziato e, con esso, la possibilità per
l’uomo di non sentirsi mai abbandonato dinanzi alle
avversità che scandiscono, a volte, la nostra vita. Ancora
una volta è possibile rileggere nella solennità dell’Assunta
la profondità della nostra vocazione battesimale ben
espressa ad esempio nella Super oblata della Messa
vigiliare. Si tratta di una preghiera breve ma densissima
che ci mette dinanzi la nostra carta d’identità cristiana: «Il
sacrificio di riconciliazione e di lode, che ti offriamo, o
Padre, nell’Assunzione della beata Vergine Maria, Madre
di Dio, ci ottenga il perdono dei peccati e trasformi la
267
Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, nn. 62.68, in EV
1/436.444.
268 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 68, in EV
1/444.
196
nostra vita in perenne rendimento di grazie. Per Cristo
nostro Signore».269
Perdono dei peccati e trasformazione sono indici di
una novità che supera le strettoie della creaturalità e del
limite propri del nostro vivere: il cristiano deve muoversi
entro queste coordinate. Novità che non viene data una
volta per tutte ma sempre accompagna l’uomo a partire
dalla sua creazione già prima della caduta iniziale dove
l’armonia tra Dio e l’uomo è sovrana (cf. Gen 1-2). Maria
è garante di questa armonia perché in lei essa è stata
sperimentata a fondo e a lei tutta la Chiesa guarda non
solo con la millenaria venerazione che conosciamo, ma
con la certezza di un futuro di redenzione che,
scaturendo da Cristo, si riversa sulla nostra umanità.
Il trionfo della Madre del Signore non fa altro che
conferire maggior splendore alla nostra veste battesimale
e, per questo motivo, esige quell’impegno che Maria
stessa in diversi eventi della sua esistenza ha mostrato nei
confronti di Dio e delle persone a lei vicine.
Possiamo allora tornare a quanto inizialmente ci
diceva S. Maria Maddalena de’ Pazzi: la vita del cristiano
non può soffrire sdoppiamenti e squilibri, ma deve
svilupparsi in unitarietà e coerenza. Marta e Maria che
godono della presenza del Cristo, loro ospite,
rappresentano l’unità del credente, il corpo e l’anima,
l’azione e la preghiera e sono proprio questi ad essere
stati accolti in cielo, nella persona di Maria, da Colui che
ha operato la riconciliazione.270
269
Messale Romano, LEV, Città del Vaticano 1983, 561.
Su questo aspetto la Munificentissimus Deus afferma: «Sembra
quasi impossibile figurarsi che, dopo questa vita, possa essere
separata da Cristo – non diciamo con l’anima, ma neppure col corpo
270
197
Maria è garante di questo miracolo che nasce dalla
Pasqua e sta a noi, nonostante le nostre debolezze,
ispirarci a quanto la Madre del Signore rappresenta per
l’umanità nella quale l’intera Chiesa è collocata come
seme di vita.
Conclusione
Il culto e la venerazione a S. Maria non possono
ridursi a sterili sequenze di parole o pratiche disincarnate,
ma devono essere nutrite e sorrette dal binomio che
l’apostolo Giacomo colloca al capitolo II della sua lettera.
Esso è costituito dalla fede e dalle opere (cf. Gc 2,14-26).
Su questa base ecco che l’apostolo pone a confronto
due personaggi Abramo e Raab: il primo sostanzialmente
buono e la seconda peccatrice, ma per entrambi appare
una trasformazione in atto che prende il nome di
giustificazione, ossia un processo che ci pone in stretta
comunione con Dio, con la sua gloria.
Questo fa riflettere attentamente sui nostri
atteggiamenti guardando alla Madre del Signore che è
stata glorificata per la convergenza di questi due
elementi. Ella può cantare le meraviglie del Signore che
l’ha guardata nella sua umiltà (cf. Lc 1,48), ma costante è
stato il suo impegno nel mantenere aperta la sua persona
all’onnipotenza di Dio. Questa è la richiesta che deve
accompagnarsi al nostro ricordo gioioso di Colei che ci
ha preceduto presso il Figlio.
– colei che lo concepì, lo diede alla luce, lo nutrì col suo latte, lo
portò fra le braccia e lo strinse al petto», PIO XII, MD, in EE
6/1968.
198
23
Cooperazione e Servizio
al disegno di Dio
La Vergine Maria si affaccia nella storia sotto il segno
del servizio attivo alla causa del Vangelo: la sua maternità,
tanto fisica verso Cristo quanto spirituale a favore dei
cristiani, è segno del più perfetto inserimento della nostra
umanità nel disegno di Dio. Egli non agisce, per così dire,
in proprio, ma si rivela e coinvolge l’interlocutore ed è
questa la caratteristica con la quale è possibile vedere
tutta l’esistenza del discepolo in un’ottica mariana.
La missione di Maria nel mistero di Cristo
La vicinanza dell’uomo a Dio rinvia al suo essere
stato creato a sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1,27)
e colloca la nostra umanità e le nostre migliori
potenzialità e capacità all’interno di un progetto ed in
un’ottica di collaborazione (cf. Gen 1,28-31). Da qui
scaturisce tutta una teologia del lavoro che la Chiesa non
soltanto fa propria nella sua dottrina sociale, ma che
diviene preghiera.271 Appare chiaro che, scorrendo le
varie pagine della Scrittura (e le diverse epoche che esse
comprendono), tale situazione favorevole per l’uomo
271
Il Prefazio comune IX riporta queste parole: «soprattutto
nell’uomo creato a tua immagine, hai impresso il segno della tua
gloria. Tu lo chiami a cooperare con il lavoro quotidiano al progetto
della creazione….», Messale Romano, LEV, Città del Vaticano 1983,
376.
199
non sempre è accolta e resa concreta con un’adeguata
condotta. Ciò accade perché la collaborazione con Dio è
esigente, ma ciò che l’uomo non riesce a comprendere è
il valore trasformante che tale collaborazione può
produrre. Tuttavia se viene ben incanalato e sorretto
dalla grazia, l’uomo può godere pienamente dei benefici
del Signore a prezzo tuttavia di un impegno. Il comando
e l’esortazione a portare il carico che Gesù, come ‘suo’,
definisce leggero (cf. Mt 11,30) si collocano sempre
all’orizzonte della vita dell’uomo.
Ciò appare indubbiamente un paradosso e la Pasqua
di Morte e Resurrezione attuata dal Figlio di Dio lo
evidenzia in toni molto precisi: la salvezza cristiana si
attua con il passaggio per la porta stretta, perché quella
larga e comoda non serve a nulla, se non a perdersi (cf.
Mt 7,13 e Lc 13,24). Rivestirsi del Crocifisso-Risorto
come ci invita a fare S. Paolo (cf. Rom 13,14) significa
senz’altro preoccuparsi delle cose di lassù (cf. Col 3,1) ma,
al contempo, farsi carico non soltanto della propria ma
anche della salvezza degli altri fratelli e sorelle e, in tal
modo, estendere la buona notizia che è propria della fede
cristiana con tutto ciò che di ‘impopolare’ essa comporta.
Tutto questo ci conduce a una funzione di
mediazione propria di quel dialogo concreto che il nostro
Dio vuole portare avanti e nel quale Egli si colloca al
centro, quale centro e sorgente, nella persona di Gesù di
Nazaret. A partire da Lui si rende possibile ogni
progresso nella fede/testimonianza del singolo cristiano
e della Chiesa comunità.
Il Concilio Vaticano II, a più riprese, ha sottolineato
questa attività dell’uomo all’interno del disegno di Dio
200
nella costruzione, ad esempio, della civile convivenza272
Tuttavia resta come denominatore la presenza amorosa
di Dio sull’uomo che deve rendersi uditore della Parola e
testimone autentico della ricchezza che da essa proviene.
Tale presenza di Dio arricchisce quindi l’uomo e lo
rende veicolo di salvezza ed il coinvolgimento è globale:
Dio entra nella storia attraverso un canale umano, si
serve di un aiuto che trasforma il limite creaturale. È il
caso della Vergine Maria di cui la Lumen gentium è
documento che getta singolare luce sul suo ruolo. Al
termine della nuova visione della Chiesa, apportata dal
Concilio, come mistero di comunione Maria appare
quale donna di comunione che, con la sua presenza,
favorisce la collaborazione dell’uomo al progetto
salvifico. Per due volte ci viene presentato il significato
stesso di questo arduo e discusso concetto di
mediazione273 fissandone quei confini che non sempre
sono stati rispettati nel corso della storia della mariologia
e della devozione mariana. La sostanza è questa: al
centro si deve necessariamente collocare il Cristo che
favorisce e suscita una varia collaborazione dei credenti
al suo progetto salvifico. È chiaro allora che la Madre
occupa qui un posto particolare, ma sempre derivato «dal
beneplacito di Dio e sgorga dalla sovrabbondanza dei
meriti di lui».274 Più avanti si dirà che oltre il Cristo non
272
Basterebbe rileggere attentamente la Costituzione pastorale
Gaudium et spes nella quale temi antropologici e sociali vengono ad
incontrarsi armonicamente.
273 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, nn. 60.62, in EV
1/434.437.
274 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 60, in EV 1/434.
A commento di questo n. 60, G. Philips osserva: «Per una
disposizione puramente gratuita di Dio buono e potente, il Salvatore
comunica la sua influenza salutare ai suoi membri e in particolare a
201
si può andare, ma neppure detrarre e svilire la sua
funzione.275
La centralità e la missione salvifica di Cristo sono
perciò alla base della grandezza della Vergine Madre e
ciò, come sappiamo, appare quale punto fermo dei
dogmi mariani dell’Immacolata e dell’Assunta che ci
mostrano una condizione di conformazione della
Vergine Santa al Figlio. Ad illuminare in modo breve, ma
esaustivo, questa catena di rapporti che legano la nostra
umanità a Dio, in un’ottica di mediazione, è Giovanni
Paolo II nella sua Redemptoris mater nella quale si legge: «Il
primo momento della sottomissione all’unica
mediazione «fra Dio e gli uomini» – quella di Gesù Cristo
– è l’accettazione della maternità da parte della Vergine
di Nazaret».276
Si tratta perciò di un binomio di concetti
(mediazione-servizio) che Cristo stesso dona a coloro
che lo vogliono seguire a partire dal Battesimo, momento
in cui avviene l’iniziale conformazione della creatura
umana a Lui.
Nel caso di Maria abbiamo la piena valorizzazione
non soltanto di questa vocazione a seguire il Cristo
facendo la Sua volontà (come Egli si pone in obbedienza
al Padre) ma anche il traguardo al quale ci spinge questo
essere discepoli del Cristo: un destino di beatitudine che
è proprio degli inizi della creazione e lo sarà alla fine dei
sua Madre, associata con la sua persona e la sua opera fin dall’inizio»,
G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero. Storia testo e commento della Lumen
gentium, Jaca Book, Milano 1986, 556.
275 Cf. Ibidem, n. 62, in EV 1/436.
276 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, n. 39 in EV
10/1377.
202
tempi. Davvero l’Immacolata Madre, contemplata nella
sua Assunzione, è segno di sicura speranza e
consolazione per noi che camminiamo su questa terra,277
senza che ciò ci sottragga dal praticare la volontà di Dio.
Il comportamento dell’uomo e la risposta di Dio
Trasportato ed attratto da mille richiami e da mille
voci che non sono la vera e riconoscibile voce del Cristopastore (cf. Gv 10,4), ecco che l’uomo con il peccato si
allontana da ciò che può dare risposta al suo essere
enigma a sé stesso.278 È, anche, in ultima analisi
l’atteggiamento dei discepoli di Cristo che, pur vivendo
con Lui, non esitano ad abbandonarlo nel momento più
difficile della Passione. Proprio questo enigma, questo
interrogativo al quale con le sue sole forze l’uomo non
può risolvere, si viene a porre quando egli è dinanzi ad
eventi che lo sopravanzano come, ad esempio, la
sofferenza, la morte, ma anche il fallimento prodotto dal
peccato. Su questa situazione di ‘piccolezza e povertà’
dell’uomo (tale da gettarlo nella solitudine), molto è stato
scritto. Ma Dio, che è oltre l’uomo, trova nella Croce
l’elemento più significativo in ordine ad una sapienza
vivificante e singolare (cf. I Cor 1,26-30) e, come tale, ci
dona l’icona della Madre Addolorata come emblema
della collaborazione all’edificazione del Regno: in Maria
rifulge l’attuazione del compito che si richiede al
credente.
277
Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 68, in EV
1/444.
278 L’espressione è desunta dal n. 18 della Costituzione pastorale
Gaudium et spes.
203
Senz’altro la Vergine è presente presso la Croce del
Figlio ad indicarci un comportamento di partecipazione
alle sofferenze, ma il fatto che Dio soffre indica un
coinvolgimento più profondo nella condizione umana e,
per questo motivo, il valore della vita dell’uomo può
raggiungere il suo culmine nel Crocifisso-Risorto.
È la risposta di un Dio che non lascia soli e che dona
– come garanzia del suo essere viator con l’uomo – la
Madre da prendere fra le nostre cose più care
(cf. Gv 19,27). Consegna grande ed impegnativa in
quanto Maria ci colloca nel cuore della testimonianza che
Cristo ha reso al Padre a beneficio dell’umanità,
mostrandoci nella sua personale esistenza il ‘come’
relazionarci al Figlio al fine di ottenere il premio
destinato ai servi fedeli (cf. Mt 25,21.23). Nella sua
singolarità, Maria riassume tutta una comunità orante e
fedele al Dio Altissimo che si fa Servo: comunità che
nasce in modo paradossale da una situazione di
solitudine ed abbandono quale è la Croce e, prima
ancora, il presepe di Betlem: in entrambi i luoghi non
abbiamo né sfarzo, né folla, ma tutta la densità del
messaggio salvifico.
Riprendendo il titolo di un famoso libro di
H. U. von Balthasar279 è possibile dire che Maria è il sì di
Dio all’uomo, non soltanto per la singolarità di una
creatura così coinvolta nella Rivelazione, ma anche
perché questo suo sì risplende laddove l’oscurità e la
solitudine vengono ad addensarsi e ad opprimere. Nella
logica di Dio, non può essere diversamente se si tiene
279 Cf. J. RATZINGER - H. U. VON BALTHASAR, Maria il sì di Dio
all’uomo. Introduzione e commento all’enciclica Redemptoris Mater,
Queriniana, Brescia 42005.
204
conto che le tenebre non sono riuscite ad annientare la
luce che è Cristo, Parola di Dio così come ci ricorda
l’evangelista Giovanni (cf. Gv 1,5) e come Maria si è
costantemente conformata a questa luce.
La preghiera: garante del rapporto tra Dio e l’uomo
Il nostro Dio quindi mai ci abbandona ed è Lui
stesso ricordarci che, quando la sua vicenda terrena sarà
conclusa, manderà il suo Consolatore, Spirito di
Sapienza, capace di condurre alla pienezza della Verità in
quanto attinge dalla profondità di Dio (cf. Gv 16,13-14).
Ciò colloca la Chiesa di ogni tempo in un atteggiamento
di attesa orante, atteggiamento al quale Maria non è
estranea (cf. At 1,14). C’è da riflettere allora sull’elemento
della preghiera in rapporto a Maria che la tradizione della
Chiesa vede come modello di creatura orante280 a partire
da alcuni episodi della sua esistenza (ad esempio, il
Magnificat, oppure le nozze di Cana), ma anche creatura
pregata e venerata per la sua grandezza e per la
protezione esercitata sul popolo di Dio.
Considerando la dimensione orante di Maria siamo
nuovamente sospinti a considerare la sua fede intesa
come conformità al piano di Dio; si tratta di un carattere
favorito dalla sua obbedienza, e che il popolo cristiano
ha costantemente recepito ed espresso con varie
manifestazioni e titoli devozionali invocandone la
presenza e l’assistenza soprattutto nei momenti di
difficoltà. Particolare importanza assume qui la
testimonianza di un autore come Bernardo di Chiaravalle
280
Cf. PAOLO VI, Marialis cultus, n. 18, in EV 5/43.
205
(† 1153) con la sua immagine della stella,281 ma anche con
il suo commento all’Annunciazione in cui compare la
richiesta corale della Chiesa affinché la Vergine offra il
consenso per l’universale salvezza.282
Molto più antica poi l’immagine iconografica della
Mater misericordiæ (che mantiene il suo corrispettivo
letterario in alcuni racconti agiografici e di devozione).283
In entrambi i casi si parla di una salvezza che, per l’uomo,
significa il passaggio dall’oscurità alla luce, tale da fargli
gustare la comunione completa con Dio nella quale
Maria è già immersa: la verità di fede dell’Assunzione e la
solennità che noi celebriamo nel pieno dell’estate
attestano il nostro destino e mostrano come ogni
uomo/donna sono preziosi agli occhi del Signore. Di ciò
è prova il fatto che Maria continua nella gloria ad
esercitare la sua materna protezione.284
Il grande insegnamento di Maria che a Cana si
rivolge in modo concreto alla potenza di Dio
apparendone quasi inascoltata (cf. Gv 2,3) non fa altro
che collocarci di nuovo dinanzi alle nostre responsabilità
di cristiani che credono, sperano ed amano. Attraverso
queste tre virtù delle quali Maria è modello285 – virtù
intese come doni che il Signore elargisce e che sta a noi
far fruttificare – si può percorrere con serenità la strada
281
Cf. BERNARDO DI CHIARAVALLE, Sermone III «Super missus
est», 17, in ID., Opera, Ed. Cistercenses, Roma 1966, vol. IV, 35.
282 Cf. BERNARDO DI CHIARAVALLE, Sermone IV «Super missus
est», 8, in ID., Opera, cit., 53-54.
283 Su questo tema si veda il volume monografico di
P. DI DOMENICO - E. M. PERETTO (a cura di), Maria Madre di
misericordia. Monstra te esse matrem, Ed. Messaggero, Padova 2003.
284 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 62, in EV
1/436.
285 Cf. Ibidem, n. 65, in EV 1/441.
206
della nostra vocazione, consapevoli che la nostra umanità
è gradita al Signore. Egli infatti, con la sua Incarnazione,
ne ha sposato tutti i caratteri.
Conclusione
Ogni cristiano inserito sacramentalmente in Cristo
con il Battesimo può condurre altri uomini e donne alla
conoscenza del messaggio evangelico, una conoscenza
che è comunione profonda con il mistero della salvezza.
In tal modo il cristiano esercita una funzione mediatrice,
collaborando al piano della salvezza e dell’unità. Ciò non
è senza sacrificio e lotte con il peccato e con il mondo
spesso ostile. L’immagine di Maria – nella quale si
riflettono e si riverberano i massimi dati della fede286 –
deve essere per il discepolo il segno di un favore che Dio
costantemente ripropone all’umanità desiderosa di
risposte.
286
Cf. Ibidem.
207
24
Lo Spirito di Dio che guida
alla Verità tutta intera
L’esperienza di fede proprio in quanto risposta ed
assenso ad una proposta iniziale di Dio è indice di un
itinerario: più si risponde positivamente, tanto più si
accoglie e si entra gradualmente nella realtà trascendente
verso la quale ci si orienta e ciò senza dimenticare che
tale realtà ha un volto ed un nome: Gesù Cristo che non
esita ad attirarci a sé (cf. Gv 12,32) per farci partecipi
pienamente della gloria entro la quale ha già inserito
Maria, sua Madre.
Densità e difficoltà di un itinerario
Appare significativo come il contenuto del Motu
proprio287 di indizione dell’Anno della Fede dal titolo Porta
fidei promulgato da Benedetto XVI lo scorso 11 ottobre
inizi con tutta una serie di verbi che esprimono un
dinamismo, un movimento. Riportiamo tale incipit: La
«PORTA DELLA FEDE» (cf. At 14,27) che introduce alla
vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua
Chiesa è sempre aperta per noi. È possibile oltrepassare
quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e
il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma.
287 Con l’espressione Motu proprio si designa un documento
rivolto alla Chiesa col quale si stabilisce una legge o una disposizione
particolare che entra subito in vigore.
209
Attraversare quella porta comporta immettersi in un
cammino che dura tutta la vita.288
In queste poche righe si possono notare due elementi:
anzitutto il fatto che tale dinamismo del tutto umano
(almeno in queste prime righe) si evidenzia ancor più
dalla contrapposizione con la porta, elemento di stabilità
e, a suo modo, punto fermo. L’immagine della porta
infatti evoca una costruzione in muratura, indice appunto
di forza e di solidità. Sono queste ultime che, ad esempio,
emergono quando Gesù invita i suoi uditori a passare per
la porta stretta (cf. Mt 7,13; Lc 13,24). In secondo luogo,
viene indicata una continuità esercitata da Dio (la porta
della fede sempre aperta) e dall’uomo (un cammino che
dura per tutta la vita). Ne deriva evidentemente che il
dono di fede e l’impegno che ne consegue non possono
sottostare né alla superficialità, né ad una visione
dominata dall’azione e dal fare, quanto piuttosto
determinano l’essere dell’individuo e della comunità.
Quest’ultimo aspetto ci viene insegnato efficacemente
dal Vaticano II, nel sottolineare l’importanza della
Rivelazione mediata attraverso Scrittura e Tradizione
(alle quali si aggiunge poi il Magistero ecclesiale), quando
afferma: Ciò che fu trasmesso dagli apostoli, poi,
comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa
e all’incremento della fede del popolo di Dio. Così la
Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto,
288
BENEDETTO XVI, Lettera apostolica in forma di Motu
proprio Porta fidei (11 ottobre 2011), n. 1, in EV 27/750. Il
maiuscoletto è nel testo. Segnaliamo, in merito alla fede la piccola
antologia di testi di Benedetto XVI La gioia della fede pubblicato nel
2012 dalla S. Paolo e curato da G. VIGINI.
210
perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che
essa è, tutto ciò che essa crede.289
Si tratta quindi di un impegno qualitativamente e
quantitativamente esteso nel tempo: Dio ha cura del
singolo e della comunità e tale cura, ci viene detto nella
Porta fidei, avviene mediante la Parola veicolo della grazia
trasformante. Tale trasformazione appare chiaramente
necessaria in quanto la debolezza ed il peccato sono
sempre presenti e frenano la sincera risposta a Dio che
costituisce il nucleo ultimo e determinante della fede. Sin
dall’AT apprendiamo come quest’ultima si estende lungo
tutto l’arco della vita del pio israelita e gli stessi testi che
precedono la venuta del Cristo ci presentano un buon
numero di personaggi nei quali vediamo altrettanti
modelli di adesione e di fiducia (Abramo, Giobbe, ecc.).
Ma anche Gesù non esita, nel suo apparire, a presentarsi
come modello definitivo (questa volta senza oscillazioni
di sorta) di fede. Ancora due notazioni di von Balthasar
ci aprono ulteriori piste di riflessione. In Cristo, osserva
il nostro autore: «Vi ritroviamo tutto: la fedeltà totale del
Figlio dell’uomo al Padre, data una volta per sempre e
tuttavia sempre di nuovo attuata ad ogni istante, nel
tempo. La preferenza assoluta dalla al Padre, alla sua
persona, al suo amore, alla sua volontà, al suo comando,
di contro ai desideri e alle inclinazioni proprie» e più
avanti aggiunge: «Egli è però Colui che possiede questo
atteggiamento nella sua pienezza ed ha il potere di
infonderlo in quelli che gli si affidano».290
289
CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, n. 8, in EV 1/883.
H. U. VON BALTHASAR, Fides Christi, in ID., Sponsa Verbi,
Morcelliana, Brescia 1985, 49-50.
290
211
Sulla base di tali elementi vediamo descritta l’esistenza
di fede dell’uomo. Un’esistenza difficile della quale il
documento di Benedetto XVI non nasconde i contorni,
soprattutto quando fa riferimento all’odierna
frammentazione culturale che ha prodotto una profonda
crisi di fede.291 Elemento sotto gli occhi di tutti e,
purtroppo, diffuso fra le giovani generazioni.
«Etsi Deus non daretur»
Con questa frase latina si è soliti racchiudere quella
crisi di fede di cui faceva cenno il papa e si designa anche
uno stile di vita che si svolge all’insegna di una voluta
assenza di Dio: un vivere come se Dio non ci fosse. Tale
impostazione di vita non lede soltanto i rapporti tra
l’uomo e Dio, ma va a toccare le radici dell’uomo al quale,
desideroso come è di un approdo alla verità che soddisfi
la sua universale domanda di senso,292 non resta che
ripiegare sul suo limite: è il deserto, l’aridità di cui parla
ancora il testo di Benedetto XVI.293 L’esito estremo di
tale stile di vita che vorrebbe far a meno di Dio è la
disperata solitudine nella quale l’uomo si va ad inserire,
ma ciò che forse è più colpevole e che rende difficile un
291
BENEDETTO XVI, Porta fidei, n. 2, in EV 27/751.
A tale tematica è noto l’interesse rivolto dal beato Giovanni
Paolo II († 2005) nella sua lettera enciclica Fides et ratio sui rapporti
tra fede e ragione pubblicata nel 1998. Si vedano in particolare i nn.
1, 29, 33. Per un commento dell’enciclica segnaliamo il volume
curato da R. FISICHELLA pubblicato dalla S. Paolo nel 1999 dove
compaiono, fra l’altro, i contributi di J. Ratzinger, allora Prefetto
della Congregazione per la Dottrina della fede.
293 «La Chiesa nel suo insieme ed i pastori in essa come Cristo
devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal
deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Cristo…»,
BENEDETTO XVI, Porta fidei, n. 2, in EV 27/751.
292
212
discorso di fede è l’atmosfera di indifferenza che si è
venuta a produrre e che, logicamente, richiede un grande
sforzo di ri-evangelizzazione.
Se ad una prima lettura, l’etsi Deus non daretur
rappresenta un dato negativo, esso rivela ben presto un
carattere di sfida soprattutto collegata al pluralismo
culturale. La Chiesa che porta il messaggio evangelico,
antico e, al contempo, sempre attuale e che possiede una
sua propria forza dovuta allo Spirito Santo, può spingere
coloro che sono ancora lontani ad attraversare la porta
della fede e ad impegnarsi in una testimonianza forte. Il
proposito è senz’altro lodevole perché ha la sua finalità
di ricondurre coloro che sono lontani (per tanti motivi)
alla comunione con l’unico Signore, ma per conseguire
questo scopo occorre tener conto di due elementi che
possono aiutare: il carattere trasversale ad ogni cultura
dell’anelito alla verità294 e, in secondo luogo, la presenza
di elementi utili ad una ricostruzione dell’homo religiosus
cristiano anche all’interno di quei sistemi di pensiero che
si dichiarano atei o indifferenti perché dominati da altri
parametri di visuale.295
Gli elementi ci giungono insperati e possono superare
il relativismo in quanto al di sopra di esso si colloca
l’umanità nella sua complessità e nelle sue urgenze. Si
tratterà di far compiere a quest’uomo lontano il cammino
del figlio minore verso il padre di misericordia descritto
294 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Fides et ratio, nn. 1.3, in EV
17/1177.1180. Tale tema ricompare anche in Porta fidei al n. 10: «Non
possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante
persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono
comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità
definitiva sulla loro esistenza e sul mondo».
295 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Fides et ratio, n. 48, in EV 17/1274.
213
nella nota parabola (cf. Lc 15,11-32). Si tratta di un
cammino per tutti di purificazione296 sollecitata proprio
da un clima talvolta ostile, ma che obbliga a riaffermare
l’unico messaggio salvifico. In tal senso è possibile
ripetere con Agostino che i credenti si fortificano
credendo.297
Proprio per questo motivo la Chiesa guarda a Maria,
la prima a vivere una singolare Pentecoste (cf. Lc 1,2638), a portare la parola di salvezza alle genti così come
appare nell’episodio della Visitazione (cf. Lc 1,39-56) e,
ancora, a guidare verso la fruizione dei beni celesti coloro
che sono presenti a Cana (cf. Gv 2,1-11).
Maria: «porta fidei» o «ianua cœli»?
Il Motu proprio che stiamo esaminando dedica solo
poche righe alla Madre del Signore inserendola in una
galleria di personaggi accomunati da una fattiva
professione di fede.298 Tuttavia restando fedeli
all’immagine della porta, possiamo riprendere alcuni
elementi della tradizione orante e cultuale della Chiesa.299
Ci riferiamo ai densi contenuti presenti nell’ultimo
formulario (n. 46) della Raccolta delle SS. Messe della
Madonna pubblicato dalla CEI nel 1987, dal titolo
S. Maria porta del cielo che possiede una forte
296
Ciò dipende anche dalla dimensione personale e comunitaria
della professione di fede illustrata in Porta fidei al n. 10.
297 Cf. BENEDETTO XVI, Porta fidei, n. 7, in EV 27/757.
Il riferimento è al De utilitate credendi.
298 Cf. Ibidem, n. 13, EV 27/772-776.
299 L’immagine è antica e costruita sul testo di Ez 44,1-3. Essa
viene menzionata da molti autori fra i quali si segnalano: Ambrogio
(† 397), Esichio di Gerusalemme († 451), Severo di Antiochia
(† 538), Romano il Melode († 560 ca.).
214
connotazione escatologica300 e nel quale l’immagine della
porta è caratterizzante. Possiamo allora soffermarci
brevemente sulla Colletta, sul Prefazio e sulla Orazione
conclusiva (Post-communio) di questo formulario.
Nella Colletta dopo aver menzionato Cristo quale
porta della salvezza, il popolo si affida all’intercessione di
Maria per arrivare alle soglie della patria celeste. Tuttavia
tale intercessione non può, né deve eliminare l’impegno
del singolo e della comunità contrassegnato dalla
perseveranza.301
Nel Prefazio la parte centrale richiama da vicino
alcuni contenuti dell’esortazione apostolica Marialis cultus
(1974) di Paolo VI302 e riprende per due volte la
figurazione della porta nonché l’elemento – vitale per il
popolo cristiano – della riconciliazione.303 Quest’ultima è
realmente un approdo e ciò lo notiamo anche nella stessa
Porta fidei quando Benedetto XVI osserva che «la fede è
decidere di stare con il Signore per vivere con Lui.
E questo «stare con Lui» introduce alla comprensione
delle ragioni per cui si crede».304 Atteggiamento che va
300 CEI, Collectio missarum de Beata Maria Virgine (= CMBVM),
Ed. typica, LEV, Città del Vaticano 1987, 2 voll. (trad. it. 1987). Per
questo contributo citeremo la traduzione italiana alle pp. 148-150.
301 «O Dio, che nel tuo unico Figlio, / hai stabilito la porta della
vita e della salvezza, / per la materna intercessione di Maria, / donaci
di perseverare nel tuo amore, / finché raggiungiamo la soglia della
patria celeste», CEI, CMBVM, 148.
302 Cf. PAOLO VI, Esortazione apostolica Marialis cultus, in EV
5/13-97.
303 «È la Vergine orante, / che intercede per noi peccatori /
perché ritorniamo al suo Figlio, / fonte perenne di grazia, / e
definitivo approdo della nostra riconciliazione», CEI, CMBVM,
p. 149.
304 BENEDETTO XVI, Porta fidei, n. 10, in EV 27/762.
215
oltre una situazione di peccato e raggiunge la globalità
dell’esistenza: si tratta, in sostanza, della peregrinatio fidei
propria della Madre di Dio.305
Infine
nell’Orazione
conclusiva
si
torna
all’intercessione di Maria alla quale è aggiunta la nota
escatologica contrassegnata dalla richiesta che «scenda
sul tuo popolo una pioggia di grazie e si apra a tutti la
porta del cielo».306
In sostanza, è possibile notare come il passaggio
attraverso questa «Porta del cielo» aperta per tutti e tale
da permettere l’ingresso nel Regno è senz’altro facilitato
dall’intercessione di Maria, maestra e modello di una
singolare fede e, tuttavia, resta condizionato dal grado di
apertura della nostra porta fidei in quanto è proprio essa a
metterci a contatto diretto con le realtà ed i contenuti ai
quali doniamo la nostra fiducia.307 All’apertura da parte
di Dio deve corrispondere se non una uguale ma,
almeno, un’analoga apertura da parte nostra.
Conclusione
A conclusione di questo contributo è possibile
prendere coscienza di come la fede rappresenti il
cammino verso una meta che è anche contenuto del
nostro credere. Essa è rappresentata dalla Rivelazione
che sarà piena con il ritorno ultimo del Signore quando
lo contempleremo così come Egli è (cf. I Gv 3,2).
305
Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione Dogmatica sulla
Chiesa, Lumen gentium, n. 58, in EV 1/432.
306 CEI, CMBVM, 150.
307 Cf. BENEDETTO XVI, Porta fidei, n. 10 in EV 27/763.
216
Proprio in questo nostro peregrinare Maria resta con
noi: ce lo ricorda una preghiera che ritroviamo in un altro
formulario delle Messe della Madonna che così recita:
Signore Dio nostro, che ci
illumini / con la radiosa luce
della tua verità, / accogli le
nostre offerte e preghiere; / e
con l’aiuto di Maria, Madre del
Redentore, / fa che
esprimiamo nella carità / la
forza della fede.308
L’unità della fede e della carità forma la nostra
testimonianza viva e se sapremo mantenere tale unità,
pur non essendo giunti alla meta, avremo tuttavia
percorso un grande e fecondo tratto del nostro
cammino.
308 CEI, CMBVM, 114. Si tratta della Preghiera sulle offerte del
formulario n. 35 dal titolo Maria Vergine, sostegno e difesa della nostra
fede.
217
25
Il Pellegrinaggio della fede
verso la pienezza del mistero
Accanto al motu proprio di Benedetto XVI dal titolo
Porta fidei del quale ci siamo già occupati
precedentemente, è comparsa a distanza di pochi mesi
(6 gennaio 2012) la Nota con indicazioni pastorali per l’anno
della fede emanata dalla Congregazione per la Dottrina
della fede.309 Dopo una lunga introduzione, il contenuto
è articolato in quattro aree: Chiesa universale,
Conferenze Episcopali, Diocesi e, infine, Parrocchie. Ad
ognuna di esse sono dedicati dieci paragrafi e il
documento termina con una breve conclusione. Il testo
presenta quindi un equilibrio interno.
Trattando di questioni di fede (come del resto
analogamente fa il citato motu proprio), il presente
documento menziona la Vergine Maria ai nn. 2-3
nell’ambito delle iniziative della Chiesa universale.
Presenza discreta, non fuori luogo ma motivata e sorretta
da elementi che sono i costitutivi del credente di ogni
epoca.
Il motivo
In un documento contenente norme pastorali e perciò
destinato a regolare una prassi, le tematiche teologiche
sono ordinate all’attuazione pratica dell’azione pastorale.
309 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota con
indicazioni pastorali per l’anno della fede, LEV, Città del Vaticano 2012.
219
In queste Norme la presenza della Vergine Maria è
inquadrata all’interno di una particolare esperienza e
manifestazione tipica della fede dei credenti, quella dei
pellegrinaggi. Difatti al n. 2 troviamo una sottolineatura
circa l’opportunità di favorire questi fenomeni di massa,
oltre che alla sede di Pietro, anche in Terra Santa, «luogo
che per primo ha visto la presenza di Gesù, il Salvatore,
e di Maria sua Madre».310 Del resto, nel Direttorio su pietà
popolare e liturgia, il pellegrinaggio, oltre ad essere definito
esperienza religiosa universale (di una universalità,
aggiungiamo, che è tipica dell’articolata domanda sul
senso dell’esistenza umana), è espressione tipica della
pietà popolare strettamente connessa con il santuario,
per cui – nota il documento – «il pellegrino ha bisogno
del santuario e il santuario del pellegrino».311
Tra le tante manifestazioni della fede troviamo quella
del cammino orientato verso una meta: itinerario verso
un luogo sacro e capace di evocare una risposta valida
per la vita dell’uomo, nonché allegoria della medesima.
Scorrendo la Scrittura troviamo il dirigersi verso la Terra
promessa quale esperienza propria dell’antico popolo.
Tale luogo diviene successivamente, per i cristiani, la
Terra Santa quale punto di approdo legittimato dalla
presenza dei massimi protagonisti della Rivelazione, di
coloro che hanno avuto un ruolo decisivo nel piano di
310
Cf. Ibidem, n. 2, 13.
CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA
DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e
orientamenti, n. 279, LEV, Città del Vaticano 2002, 235-236. C’è da
osservare che, nel successivo n. 286, il Direttorio individua sei
dimensioni del pellegrinaggio (escatologica, penitenziale, festiva,
cultuale, apostolica e comunionale) ponendo nella prima tutto il
complesso di urgenze ed interrogativi dell’esistenza, in cui l’uomo è
homo viator.
311
220
Dio e che si pongono come parametri e modelli di
adesione per l’uomo: Gesù e Maria sua Madre. Il tutto
come figura della Gerusalemme del cielo: meta finale,
trasfigurante e riassuntiva di tutto il cammino umano.
Nella sua sostanza il pellegrinaggio rinvia ad un
discorso di fede vera e propria se si tiene conto delle
relazioni che, nell’atto del credere, il soggetto umano
instaura con l’oggetto unico del suo credere che è il
Mistero. Ne è prova la nota tripartizione fatta da
S. Agostino dove il credere in Deum (che si aggiunge al
credere Deum e al credere Deo) indica un cammino verso la
salvezza.312
È chiaro che il fenomeno dei pellegrinaggi ad loca
sancta va a toccare tutta una serie di problemi sociali e
sociologici (ai quali fa cenno la Nota), ma va sottolineato
che a tale fenomeno tipicamente umano non si sottrae la
Vergine Maria che, per seguire il Figlio, ha avanzato nel
cammino della fede.313 In Maria allora è possibile
ritrovare quella peregrinatio fidei che allontana il credente
da ogni cedimento alla superbia e lo guida ad una
continua verifica del suo rapporto con Dio. Ciò indica
chiaramente una continua conquista della Verità capace
di rinnovare la vita dell’uomo che può riscoprirsi
all’interno del Mistero di salvezza e destinatario del dono
312 Cf. AGOSTINO, De Trinitate, I, 8, 17, in ID., Opera omnia,
vol. IV, 34. Per una panoramica sul concetto di fede nel vescovo di
Ippona rinviamo alla voce Fede a firma di E. TESELLE, in L. ALICIA. PIERETTI (a cura di), Agostino – Dizionario Enciclopedico, Città
Nuova, Roma 2007, (or. ingl. 1999), 713-718 (con abbondante
bibliografia).
313 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 58, in EV 1/432.
221
che il Signore fa di sé stesso in molteplici modi. Con e
come Maria è possibile compiere l’itinerarium fidei.
Il ruolo di Maria
In Maria dunque vediamo il dinamismo della fede,
ossia quel movimento che introduce l’uomo alla verità
tutta intera (cf. Gv 16,13): Ella è parte integrante della
Rivelazione e, al contempo, rispecchia tutta la gamma di
reazioni dell’uomo dinanzi alla Verità che da Lei prende
carne divenendo segno di contraddizione, rovina e
resurrezione affinché le profondità dell’uomo (anche
quelle più inique da dissipare) possano emergere
(cf. Lc 2,34-35). Maria davvero appare come bene
prezioso proprio della nostra umanità in quanto,
attraverso di Lei, possiamo notare come la Rivelazione
salvifica include la nostra vita, senza dubbio attraverso
l’Incarnazione di Cristo (cf. Lc 1,26-38), ma anche nel
confronto tra la piccolezza-debolezza dell’uomo e la
grandezza di Dio, capace di generare in lui stupore e
meraviglia (cf. Lc 1,29.34) in quanto opera grandi cose
(cf. Lc 1,49), ma soprattutto ciò che gli è impossibile
(cf. Mt 19,26, Mc 10,27 e Lc 18,27): segni, miracoli, eventi
e quant’altro. Molto opportunamente il n. 3 della Nota
riprende la nota citazione conciliare secondo la quale
Maria, figura della Chiesa, «in sé compendia e irraggia le
principali verità di fede».314 Frase densa di implicazioni in
quanto va a toccare le radici più profonde dell’uomo
chiamato ad ispirarsi a questo grande modello creaturale
di fede e di testimonianza per poter crescere fino alla
pienezza in Cristo (cf. Ef 4,13).
314
222
Ibidem, n. 65, in EV 1/441.
Compendiare ed irraggiare sono perciò due verbi che
corrispondono alla dialettica propria della fede. Non
soltanto Maria vive una comunione particolare con il
Figlio conservando e facendo sintesi di tutte le cose
(cf. Lc 2,19.51), ma Ella accoglie ed esplicita anche il
variegato rapporto che lega l’uomo al Mistero divino. Per
questo motivo, sulla linea di Abramo – padre della fede
(cf. Rom 4) – la Chiesa ed ogni credente possono ritenerla
modello (in dimensione personale e comunitaria) di tale
virtù315 attraverso le varie situazioni di vicinanza con il
Figlio che i Vangeli ci illustrano e che ben conosciamo.
A partire di qui, l’irraggiamento è sinonimo di una
funzione educativa che Maria svolge nei confronti del
cristiano e della Chiesa. Non è soltanto il presentarsi
luminoso proprio della sua gloriosa Assunzione,316 ma la
luce pasquale che circonda Maria diviene guida,
insegnamento che si armonizzano con il mistero salvifico
ed in questo ambito l’arte figurativa svolge un ruolo
rilevante.
Inserita nel disegno salvifico di Dio, la grandezza di
Maria si manifesta nell’insegnarci il modo con il quale
offrire una risposta di fede: in lei l’ascolto del messaggio
(auditus fidei) e la conseguente riflessione (intellectus fidei)
vengono a collegarsi e a rappresentare la costante di tutta
la sua esistenza, in ordine ad una testimonianza viva e
concreta. Ben venga allora il titolo Sedes sapientiæ
applicato alla Madre del Signore (che l’arte ha raffigurato
in molti esempi), laddove si tratta di una Sapienza che
chiama l’uomo e lo coinvolge nella sua azione (cf., ad es.,
315
Cf. Ibidem.
Pensiamo all’interpretazione mariana che la tradizione
ecclesiale ha offerto della Donna di Ap 12, testo che si proclama
nella Solennità dell’Assunzione.
316
223
Pr 8,1-36, Sap 6,16, Gv 15,16) fino ad incarnarsi in certo
modo in ogni uomo di ogni tempo.317
Su questa base è possibile comprendere il triplice
impegno che attende il credente, descritto nella parte
finale del testo che stiamo esaminando.
Un culto reso con la vita
Riconoscere il ruolo particolare di Maria nel mistero
della salvezza, amarla filialmente e seguirne fede e virtù
(imitatio Mariæ) sono le tre componenti di un sano
rapporto del credente e dell’intera Chiesa con la Vergine
Santa,318 fermo restando che «lo scopo ultimo del culto
alla beata Vergine è di glorificare Dio e di impegnare i
cristiani ad una vita del tutto conforme alla sua
volontà».319 Circa il primo punto abbiamo già detto
qualcosa precedentemente senza tuttavia passare in
rassegna i vari momenti nei quali troviamo la Madre del
Signore partecipe direttamente degli eventi della vita del
Figlio. Molto è stato scritto in merito e non ci sembra
sensato indulgervi e correre il rischio di cadere in
ripetizioni di immagini e concetti. È possibile, tuttavia,
segnalare quello che, a nostro avviso, appare come il
carattere comune di questi episodi evangelici: in essi non
317
Cf. CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 22, in EV
1/1386.
318 Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota
con indicazioni pastorali per l’anno della fede, n. 3, cit., 13.
319
PAOLO VI, Esortazione apostolica Marialis cultus
(2 febbraio1974), n. 39, in EV 5/70. Già il Concilio aveva precisato
che «mentre è onorata la madre, il Figlio […] sia debitamente
conosciuto, amato, glorificato, e siano osservati i suoi
comandamenti», CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 66, in
EV 1/442.
224
abbiamo soltanto la manifestazione di un discepolato e
di una cooperazione alla salvezza da parte di Maria, ma
anche della particolare funzione che la Madre ha di
evidenziare la singolare ed unica missione del Figlio:
Maria, anche semplicemente con la sua presenza, fa
risaltare la grandezza di Gesù ed esorta, più o meno
esplicitamente, a far riferimento a Lui e a mantenerlo
come orizzonte ultimo di significato per la vita.320
Sarà allora necessario, in ordine a quell’amore filiale di
cui parla il nostro documento, ripartire da Cristo e
dall’amore-cura che Egli mostra per tutte le creature. In
tale azione di Grazia, propria di Cristo, ritroviamo l’esatta
misura dell’amore che deve legare ogni credente e l’intera
Chiesa alla Madre di Dio, condizione irrinunciabile per
mantenere la propria identità. A titolo di esempio
possiamo prendere l’episodio del grido della donna
anonima narrato in Lc 11,27-28; pochi versetti che, ad
una prima e superficiale lettura, potrebbero sviarci e
condurci ad una svalutazione di Maria mentre, al
contrario, l’ascolto della Parola di Dio ed il conformarsi
ad essa (v. 28) rappresentano un pressante invito che
permette di conseguire la beatitudine, già vissuta da Colei
che tutti chiameranno beata (cf. Lc 1,48) perché ha
creduto all’adempimento di ciò che il Signore le ha detto
(cf. Lc 1,45).
Il Dio di Maria, il nostro Dio resta sempre quello della
misericordia (cf. Sap 9,1 e Lc 1,50.54) per cui amare
filialmente Maria ci deve condurre ad uno stile di vita in
cui l’amore di Dio e l’amore del prossimo permangano
come i due volti di un’unica medaglia (cf. Mt 22,34-40,
320 L’esempio più evidente è il comando ai servi di Gv 2,5 nel
contesto delle nozze di Cana.
225
Mc 12,28-31 e Lc 10,25-28). Amare come figli la Vergine
Madre significa anzitutto renderle omaggio con le nostre
azioni guardando al suo essere, al contempo, discepola e
maestra di vita.321 In un’esistenza così costituita, l’imitatio
Mariæ diviene diretta conseguenza: fede, speranza, carità
ma anche le altre virtù cardinali e, in generale, quanto di
più positivo c’è nella nostra natura umana322 rifulgono in
Lei e la fanno primeggiare in seno all’umanità.323
Comprendiamo allora tutta la densità di un altro
titolo, quello di “stella del mare” che guida verso il porto
sicuro: è il pellegrinaggio-tensione dell’umanità verso
Dio guidato da questa sua singolare Madre, ma Stella è
anche, in concreto, il titolo mariano proprio di molti
santuari e verso i quali è conveniente e salutare orientare
i credenti, con opportuni momenti celebrativi e
culturali.324
Si, anche la cultura – lo ribadiamo con forza,
specialmente oggi in cui il livello culturale è assai basso
oppure che va a cercare in altri culti l’agognata
321
Osserva in merito S. M. Perrella: «Maria, la madre-educatrice
divenuta progressivamente la madre-discepola, è stata
costantemente alla scuola del figlio-Maestro, attenta ad accogliere
ogni parola, ogni gesto, ogni sguardo, ogni “alto silenzio”, ogni
evento e frammento della sua vita e del suo magistero perché nulla
andasse perduto», S. M. PERRELLA, Maria, prima educatrice, in Madre
di Dio, n. 6 (giugno 2012), 6.
322 I caratteri della grandezza umana (uniti a quelli della sua
miseria) sono descritti in sintesi nel documento della PONTIFICIA
COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella
Bibbia cristiana, LEV, Città del Vaticano 2001, ai nn. 27-30.
323 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 55, in EV
1/429.
324 Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota
con indicazioni pastorali per l’anno della fede, n. 3, p. 13.
226
realizzazione – è importante per la maturazione
dell’uomo e persino del credente, a volte, digiuno delle
più elementari nozioni di fede.
Conclusione
«Che cosa è l’uomo perché di lui ti ricordi?». La
domanda del Sal 8,5 spinge a considerare un’identità di
fondo: il ricordo dell’uomo da parte del Dio Creatore
coincide con il Suo amore che ne rappresenta l’identità
più profonda. A tale amore paterno-materno deve
corrispondere l’amore filiale del credente. Un amore che
include ed investe tutti, quindi anche la Madre di Dio che,
pur restando creatura, rende ancor più evidente il
sentimento materno di Dio, elemento presente e
ricorrente in tutta la Scrittura (cf. Dt 32,10, Is 1,2, Bar 4,8,
Mt 23,37 e Lc 13,34).
Se il Concilio Vaticano II ha indicato in Maria il
modello dell’amore materno325 verso il quale il credente
deve affidarsi con atteggiamenti da figlio, si deve tener
presente che entrambi questi tipi di amore sono
subordinati all’unica volontà del Dio Padre e Madre e
sono da essa suscitati. Anche Maria non si è sottratta a
questa salutare dialettica e ciò è indice della sua concreta
umanità nonché, logicamente, della sua profonda
vicinanza a noi.
Tutto va ricondotto a Cristo (cf. Ef 1,10) e all’interno
di questa reductio – che non vuole essere una limitazione,
325
Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 65, in EV
1/441.
227
quanto indice di potenziamento – Maria si conferma
quale realtà personale del tutto realizzata: luogo, tempio
e santuario, ossia spazi nei quali risplendono la luminosa
benevolenza del Padre, l’obbedienza assoluta del Figlio,
la forza trasformatrice dello Spirito Santo.
228
26
La Salute:
Un bene prezioso da custodire guidati da Maria
Nelle sue Satire, il poeta latino Giovenale († 127 ca.) ci
ha lasciato un verso che è entrato nel parlare comune
sebbene travisato e monco: «Mens sana in corpore sano».
In realtà non si è guardato all’interezza di questo verso
che suona così «Orandum est ut sit mens sana in corpore
sano».326 Appare una dimensione religiosa che con l’uso
si è perduta e che, lungi dal deprezzare l’uomo, ne
rafforza la complessità fisico-spirituale.
Questo ci introduce al contributo che intendiamo
proporre nelle righe che seguono.
Sofferenza e salute
In ogni tempo l’uomo ha dovuto fare (e continua a
fare) i conti con la malattia e quest’ultima ricompare
come spettro che limita (se non addirittura paralizza) le
sue migliori aspirazioni ed aspettative. Parlare di malattia
e, chiaramente, del suo opposto rappresentato dalla
salute significa considerare l’unità di tutto l’essere umano
che non può essere sottoposto a visioni parziali,
osservandolo da un’unica dimensione.
Corpo, spirito ed anima sono realtà profondamente
connesse che costituiscono la persona per cui la
326 «Bisogna pregare affinché ci sia una mente sana in un corpo
sano», GIOVENALE, Satire X, 356.
229
sofferenza che intacca una di esse si ripercuote sulle altre
due: una sofferenza fisica costituita da una malattia
diagnosticata come grave o gravissima, senza dubbio può
condizionare negativamente tutta una progettualità
intellettuale come anche – a livello spirituale – il rapporto
con Dio. Possiamo qui pensare ad una malattia incurabile
e come essa, portando gradualmente il corpo al suo
disfacimento, investe le ragioni più profonde del vivere e
pone allo scoperto in tutta la sua crudezza la disillusione
e la disperazione. Ma anche situazioni di sofferenza
psicologica e interiore, stati di paura manifestano non
pochi risvolti anche sull’assetto fisico della persona. Il
grande scienziato e teologo francese Pierre Teilhard de
Chardin († 1955) nella sua opera Le milieu divin (L’ambiente
divino) presenta dettagliatamente un ventaglio di
situazioni di precarietà che contraddistinguono la vita
umana e la necessità etica, quando è possibile, di arrestare
il male, anche quello fisico.327
È chiaro che il rapporto con la malattia è diversificato
caso per caso: c’è chi lotta fino alla fine e chi –
psicologicamente più debole – si rassegna e finisce per
soccombere anzitempo. A nulla valgono, in quest’ultimo
caso, i consigli e le esortazioni a reagire; ognuno di noi è
irripetibile e singolare nel proprio vivere l’esistenza con
tutto il carico di difficoltà che essa comporta; per questo
motivo anche le migliori intenzioni che manifestiamo
verso l’altro, in questi casi di malattia, arrivano ad effetto
solo parzialmente.
Notevole in merito, nella tradizione storico-spirituale
dell’Ordine dei Servi di Maria la risposta dell’ammalato
327 Cf. P. TEILHARD DE CHARDIN, L’ambiente divino, Il
Saggiatore, Milano 1968, 78-84.
230
visitato dal beato Gioacchino da Siena († 1305) che lo
esortava alla pazienza: «O buon frate è facile predicare
dell’infermità, ma un altro conto è sopportarla».328 Parole
ricorrenti ed attualissime che mostrano la limitatezza
dell’uomo nonostante la sua sollecitudine.
A ciò si aggiunge un altro aspetto non meno deleterio
che ci proviene dal mondo dei mass-media: se da un lato
apprezziamo e godiamo nell’apprendere i progressi della
scienza e della medicina finalizzate a debellare alcune
gravi malattie, per altro verso le vicende tragiche di
persone affette da patologie mortali non solo non ci
lasciano indifferenti, ma possono procurare in alcuni una
vera e propria paura di star male. Anche questo dimostra
la debolezza dell’uomo che può portarlo a situazioni
psicologiche davvero critiche. Essendo ‘bombardati’ da
notizie negative finiamo per entrare, a volte, in spirali
non molto lontane da malattie vere e proprie. In tal senso
il mondo della sofferenza mostra il suo lato più oscuro
ed enigmatico, nonché, per alcuni versi, devastante anche
in situazioni oggettivamente non gravi. Siamo umani e
dobbiamo fare i conti con la nostra umanità che è debole
non solo perché affetta dal peccato, ma in forza della sua
creaturalità limitata che porta a non potersi procurare
quell’invincibilità ed eternità che si vorrebbe possedere.
La presa di coscienza di questa nostra finitezza deve
sensibilizzare e orientare le nostre migliori energie ad una
“battaglia pacifica” che consiste nel far tesoro della
nostra salute attraverso due strade: la prevenzione che
appartiene all’ambito clinico, unita tuttavia ad una vita
dominata da un sano equilibrio che investa ogni
328
Cf. Legenda del beato Gioacchino da Siena, 6, in Monumenta OSM
5, 8.
231
dimensione dell’uomo. Sorge qui un interrogativo: questa
valorizzazione della salute è soltanto opera umana
assimilabile ad uno stoico sforzo di volontà? Per la nostra
visione cristiana, la risposta è negativa: la cura per la
propria salute integrale e che coinvolge tutto l’uomo
deriva da quel germe di vita pasquale che – sin dal
Battesimo – il Signore ha posto in noi e che va coltivato.
Ha ragione allora S. Paolo che, in appena due versetti,
compendia tutta la nostra esistenza dominata dalla
relazione: «Nessuno di noi vive per sé stesso e nessuno
muore per sé stesso, perché se viviamo, viviamo per il
Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che
viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore»
(Rom 14,7-8).
Se la malattia, che genera sofferenza, ci colloca in
comunione stretta con Gesù Incarnato-Crocifisso,329 la
salute ci addita la luce della Resurrezione e della vita che
risplende sul volto del Redentore. In entrambi i casi, nei
quali è racchiusa tutta la complessità della nostra vita, il
Signore ci viene a visitare e si rende presente con tutta la
sua Bontà anche se, a volte, ci riesce difficile
comprenderlo.330
Questo ci induce a scrutare con occhio critico la
Scrittura: libro ed evento in cui l’azione di Dio e quella
dell’uomo si svolgono in sinergia.
329 Tutta la lettera apostolica del beato Giovanni Paolo II
(† 2005) sul significato della sofferenza Salvifici doloris (1984) mostra
questo tema come centrale.
330 Il Concilio Vaticano I (Dei Filius c. II) e il Concilio Vaticano
II (Dei Verbum n. 6) sono concordi nell’affermare che i beni divini
trascendono assolutamente la comprensione della mente umana.
232
Salute e salvezza
La salute fisica e quella interiore sono illustrate in
modo frequente nell’AT con una profonda stima
dell’arte medica: il medico – ci dice un testo della
tradizione sapienziale – è da onorare per il suo servizio e
perché egli è creato da Dio e, accanto a ciò, dev’esserci
nell’uomo equilibrio tra preghiera a Dio ed accoglienza
delle necessarie cure (cf. Sir 38,1-15). Si nota tuttavia
nell’AT una sorta di separazione tra la cura dei corpi
(iaris) e la salvezza (soteria). Nel NT Cristo, in forza
dell’Incarnazione, unifica le due dimensioni umane
giungendo talvolta ad invertirne l’ordine come avviene in
Mc 2,5-11, testo in cui liberazione della malattia e
remissione dei peccati formano un unicum. Ciò si
comprende anche dal comando di Gesù che coincide con
la proclamazione della propria signoria: «Ora perché
sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare
i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: alzati,
prendi la tua barella e va a casa tua» (Mc 2,10-11).
I segni della guarigione rinviano alla salvezza e,
parallelamente, la salvezza – per rendersi comprensibile
– passa per il linguaggio della fisicità realizzando, anche
sul piano visivo, il passaggio da uno stato di malattia
(sofferenza e morte) a quello di salute (salute-salvezza e
vita) rinviando efficacemente alla kenosis redentrice del
Signore Incarnato. Questo ci permette di osservare che
nella malattia l’uomo, pur associandosi alla sofferenza di
Cristo sulla Croce, ne riceve, al contempo la visita con la
quale Egli si associa all’infermo. «Colui che è stato
orrendamente inchiodato sulla croce – osserva H. U. von
Balthasar – non è malato nel senso della medicina, nella
massima salute dello spirito Egli compie la sua missione
233
fino in fondo e così, per tutti quelli che altrimenti
sarebbero perduti senza speranza, diventa il medico,
colui che guarisce ovvero salva».331
In questo ambito la vicenda del Samaritano
(cf. Lc 10,29ss.) è fin troppo chiara ed è inutile entrare in
dettagli; è interessante, invece, il motivo per il quale
l’uomo viene sanato. Un episodio che ci aiuta in tal senso
è la guarigione della suocera di Pietro: la donna, affetta
da febbre – ci ricorda Mc 1,29-31 – viene sanata e,
alzatasi, serve. L’uomo beneficato e sanato si pone, con
rinnovata energia, a servizio della vita e di tutto ciò che
contribuisce alla sua promozione. Se S. Paolo ci ricorda
che non viviamo solo per noi stessi, questo implica
responsabilità nell’essere e nell’azione. Nell’essere perché
col Battesimo è avvenuto l’inserimento in Cristo e
nell’azione perché colui (o colei) che viene beneficato è
chiamato a farsi portatore di quanto ha ricevuto da Cristo
(e, aggiungiamo, dalla Chiesa e dalla medicina ognuna
con caratteristiche e funzioni proprie). Tanto nell’essere
quanto nell’agire, il punto di forza resta Cristo il quale se
guarisce ed invita ad allontanarsi dal male indica all’uomo
un sentiero di ricostruzione per sé e per gli altri e, al
contempo, non fa che collocarsi al livello dell’uomo, Lui
che è Dio e che – come sottolinea S. Paolo – si è
collocato ad un livello di servo (cf. Fil 2,7).
Solo percorrendo la strada della prossimità e della
vicinanza l’uomo – creato ad immagine e somiglianza
331 H. U. VON BALTHASAR, La salute tra scienza e saggezza, in ID.,
Homo creatus est, Morcelliana, Brescia 1991 (or. ted. 1979), 99. Dello
stesso autore si veda anche Frammenti a proposito della malattia e della
salute, in Communio n. 33 (mag./giug. 1977), 74-86 dove, in margine
al tema, troviamo interessanti legami con il mondo della medicina e
della filosofia.
234
divine – può riscoprire la salute nel suo valore armonioso
e bello, tipico di quel creato del quale egli è sintesi e
vertice (cf. Sal 8) e può testimoniare la grandezza di Dio.
Maria, salute degli infermi
Non sappiamo, né possiamo sapere se Maria ha
attraversato nella sua esistenza momenti di cattiva salute:
i Vangeli – che tanto poco riservano alla sua persona –
nulla ci dicono in merito. Ciò che tuttavia sappiamo con
certezza è che la Madre di Dio è stata, pur nella sua
singolarità dovuta ai doni divini che ha ricevuto, una
creatura soggetta alle sensazioni che normalmente
contraddistinguono l’essere umano. Non meno
importante appare il legame che Lei mantiene con il
Figlio nelle diverse situazioni di vita.
A partire da queste notazioni possiamo ipotizzare gli
effetti che i diversi eventi della vita comune col Figlio
abbiano prodotto sulla sua fisicità: presso la Croce
(cf. Gv 19,25-27) Maria sperimenta l’afflizione, dinanzi
alla perdita-ritrovamento di Gesù (cf. Lc 2,41-50)
conosce il disorientamento, all’annuncio dell’angelo
(cf. Lc 1,26-38) è attraversata dal turbamento.
Per meglio illustrare il tema che ci riguarda e che è
compendiato sotto il titolo Salus infirmorum (= salute degli
infermi), c’è da osservare anzitutto che si tratta di una
salute che, oltrepassando il dato fisico, Maria vive grazie
al suo immacolato concepimento: un dono di
misericordia a carattere eminentemente pasquale così
come lascia intendere la stessa definizione dogmatica.332
332 Riportiamo il testo centrale della definizione: «La dottrina che
sostiene che la beatissima vergine Maria nel primo istante della sua
concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in
235
Tale dono determina una convergenza di atteggiamenti
di Dio e di sua Madre che si nota soprattutto in due testi
che esplicitamente rivelano la gioia pasquale motivata
dall’azione risanatrice di Dio: il Magnificat (cf. Lc 1,46-55)
e le nozze di Cana (cf. Gv 2,1-11).
Nel primo testo Maria ‘canta’ le meraviglie del Signore
tese a prediligere chi si trova in ogni genere di difficoltà
e perciò a colmare le lacune e le storture della storia,
rappresentate sostanzialmente dal peccato che produce
atteggiamenti generatori di sofferenza, in forza della
medesima compassione che vediamo attuata dal
samaritano del racconto lucano.
Gesù Cristo, nota acutamente von Balthasar, «ha
fondato una «religione» che di certo non mira in modo
alcuno ad aggirare il dolore […], ma una religione che
guarda in faccia agli orrori del mondo, in un
atteggiamento che ne rovescia il valore e più a fondo li
trasforma in quanto capovolgimenti potenti in vista della
cancellazione più profonda».333
Quanto all’episodio di Cana, la difficoltà del
momento viene superata grazie alla potenza del Cristo
apportatore del cambiamento proprio della nuova Legge,
condensata dall’immagine del vino che si sostituisce
all’acqua. Maria, dapprima – nella discrezione che le è
propria – evidenzia la situazione puntuale (cf. Gv 2,3),
quindi rinvia i servitori al Figlio (cf. Gv 2,5). Anche qui –
vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, è stata
preservata immune da ogni macchia di peccato originale, è stata
rivelata da Dio e perciò si deve credere fermamente e
inviolabilmente da tutti i fedeli», PIO IX, Bolla Ineffabilis Deus
(8 dicembre 1854), in EE 2/761.
333 H. U. VON BALTHASAR, Frammenti a proposito della malattia e
della salute, 83.
236
come nel Magnificat – abbiamo l’affermazione della
potenza di Dio contro tutto ciò che minaccia l’uomo o
lo spinge sui sentieri del disagio e della sofferenza anche
interiore. In sostanza, se all’Annunciazione il «nulla è
impossibile a Dio» (Lc 1,37) è proclamato dall’angelo, la
sostanza di tale ‘impossibilità’ sembra implicitamente
passare nel comando di Maria ai servi.
Maria ci mostra e ci indirizza verso la potenza di Colui
che è medico delle anime e dei corpi, quale prima
destinataria dell’effettiva guarigione (Lei stessa è
beneficata oltre misura anche se deve ‘passare’ per la via
Crucis). Per questo il titolo mariano Salus infirmorum si può
associare a quello di Causa nostræ lætitiæ (= causa della
nostra gioia). Con la salute si recupera la gioia che deriva
essenzialmente dalla Pasqua di Gesù che – come ci
ricorda il Prefazio della Messa che porta questo titolo
mariano riecheggiando Is 53,4 – «…dolores nostros
portavit»334.
Maria quindi vive pienamente il paradosso del Figlio
pur non identificandosi con Lui, ma soltanto in una
dinamica di partecipazione che implica un itinerario di
fede e di familiarità profonde, proprio di ogni credente.
Conclusione
Terminiamo con una domanda: perché Maria è Salus
infirmorum? La risposta va ricercata in un denso concetto
ricorrente, ma forse poco analizzato: disponibilità. Noi
sappiamo che, sul piano deontologico, il medico è
tenuto, nella sua missione, ad offrire la sua
334 CONGREGATIO PRO CULTO DIVINO, CMBVM, n. 44: Beata
Maria Virgo, Salus Infirmorum, 169.
237
professionalità senza barriere ideologiche, razziali e
simili. Siamo ad un passo dall’universalismo proprio della
Croce redentrice presso la quale la presenza di Maria è
efficace nella sofferenza che la accomuna al Figlio.
Proprio tale disponibilità (che implica una presenza),
come manifestazione di un reale coinvolgimento, è
medicina che, sebbene non guarisca totalmente
(pensiamo a quanti malati terminali godono delle cure
palliative), lenisce la sofferenza.
La Salus Infirmorum è la Mater Dolorosa che sappiamo si
apre alla luce pasquale del trionfo della vita. Questo dato
ci porta alla vera medicina: «Cristo mia speranza è
risorto» (Sequenza pasquale). Con Maria ci apriamo ad un
futuro reale e non utopico.
238
27
Le nostre povertà
si confrontano con Maria
La povertà è senz’altro uno dei peggiori mali che
affliggono la società di ogni tempo. «I poveri – dice Gesù
– li avete sempre con voi» (Mt 26,11): parole che
rappresentano una sfida alla quale far fronte per sanare
le ferite che essa provoca. Ma di quale povertà si tratta?
Ed inoltre: da quale forza si deve essere animati per
portare un reale beneficio?
Tentiamo ora di rispondere a questi due interrogativi
ed illustrare il ritratto di Maria, Madre e discepola povera
del Signore. Metteremo in evidenza il significato di
povertà nel suo rapporto con la Benedetta dell’Altissimo.
La Porta Bella
«Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho
te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, álzati e
cammina» (At 3,6). Le parole dell’apostolo Pietro al
povero infermo della Porta Bella, oltre ad essere dotate
di quel carattere performativo tipico della Parola di Dio
– carattere che unisce l’oralità (esser detta) e la sua
efficacia (produrre qualcosa) – pongono in rilievo tutta
la carica di paradosso propria del Cristianesimo. Uno dei
tratti più caratteristici di Gesù di Nazaret – perché è a Lui
che Pietro allude – è senz’altro la povertà, oltre che
raccomandata, abbracciata volontariamente ci dice
Paolo, ma che si coniuga con un tipo di essenzialità che
239
potremmo definire esistenziale ed antropologica. Non
sono tanto le ricchezze materiali a rendere l’uomo
grande, quanto piuttosto la sua consistenza creaturale. In
tal senso il «Beati i poveri» (Lc 6,20) mantiene tutta la sua
pregnanza.
In una parola, l’essere prevale sull’avere (di qualsiasi
tipo esso sia) e, su questo punto, Rivelazione, filosofia e
teologia trovano il loro punto di incrocio: l’essere creato
ad immagine di Dio, l’appartenenza al mondo dell’essere
e della vita ed il poter parlare di Dio che si è
espresso/manifestato come Parola umana/divina, tutto
questo non fa altro che mettere in luce l’uomo e
riaffermare la sua povertà che va colmata di ricchezza
vera.
«Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi
diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9):
questa povertà è la cifra del nome di Dio pronunciato da
Pietro nell’episodio inizialmente evocato.
Dio quindi nella sua Incarnazione sposa questa
povertà e i due luoghi del Presepe e della Croce ne
mostrano visivamente tutto lo spessore. Del resto, questa
è la strada che appare più scandalosa per i pagani di ieri
e di oggi ammalati di idolatria (persino del proprio
pensiero, anche se esso si qualifica debole), strada che,
tuttavia, ci conduce ad una logica concreta che affonda
le radici nel nostro vissuto quando, nei casi più dolorosi
di povertà e malattia, siamo pronti a ripetere l’accorata
espressione «Mio Dio, mio Dio perché mi hai
abbandonato» (Sal 22,1). Anche di questa espressione il
Gesù povero si fa carico (cf. Mt 27,46 e Mc 15,34).
Ma quasi rispondendo a questa espressione
ricorrente, la Lettera agli Ebrei ci rassicura: «Non
240
abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere
parte alle nostre debolezze» (Eb 4,15) e, più avanti, lo
stesso testo afferma con convinzione: «Questo era il
sommo sacerdote che ci occorreva» (ivi 7,26): la povertà
è quindi la sigla con la quale Dio si presenta al mondo e
che, per questo, merita rispetto in quanto luogo in cui
può collocarsi la sua benefica ricchezza destinata
soprattutto a coloro che sono poveri di quello spirito
umano (cf. Mt 5,3) che tende all’accaparramento e
all’arroganza. Il nostro Dio è Colui che abbassandosi si
dona, si rende povero per arricchire: è da qui che occorre
partire per una seria riflessione sul nostro agire a favore
della povertà.335 I mezzi materiali, le ricchezze, le energie,
tutto ciò che si ha va subordinato al valore dell’essere
umano che riscopre la propria singolarità nel suo
collaborare con Colui che lo ha creato insieme ed in
armonia con il cosmo del quale si è, talvolta, servito,
come di un linguaggio per esprimersi. Ne facciamo
esperienza diretta, ad esempio, nella celebrazione della
Veglia pasquale così carica di elementi naturalistici.
Priorità dell’essere
Quale povertà siamo dunque chiamati a colmare? È
chiaro che la risposta è inquadrabile nell’integralità della
persona per cui, più che insistere sull’avere, è necessario
e doveroso partire dall’essere che è all’origine dell’agire a
beneficio (si spera!) dell’umanità.
335
La dialettica abbassamento-esaltazione propria della kenosi di
Cristo (cf. Fil 2,5-11) è la trama sottile di molte sue parabole (buon
samaritano, padre misericordioso e i due figli, ecc.) nelle quali Egli
esorta ad aver cura delle situazioni di indigenza dell’altro.
241
È noto come tutta una corrente di pensiero di matrice
razionalista e scientista ha condotto alla cosificazione
dell’uomo, rendendolo – nella peggiore delle ipotesi –
merce di scambio. A ciò poi si aggiunge la forte miopia
di questo pensiero che ha riversato sul Cristianesimo le
sue accuse di sfruttamento e violenza contro il cosmo.
Da qui è sorto un nuovo paganesimo336 che non rende
ragione della singolarità che l’uomo rappresenta posto al
vertice del cosmo e creatore di una cultura nelle sue
diverse manifestazioni. In merito, molto è stato scritto ed
è superfluo ripetere cose già note.337
Sta di fatto che, tanto sul piano filosofico quanto
ancor più su quello teologico, una strada possibile di
ricomposizione e riconciliazione è rappresentata
dall’offerta che ogni persona è capace di proporre
all’altro che, pur sempre, scopre in sé un fondo di
indigenza e di povertà.
È chiaro che questo è un discorso che supera un
livello materiale (denaro, genere primari di
sostentamento, risorse tecniche, ecc.) ma non lo esclude.
Mettere in comune, donare, offrire: ma come? Questa è
336 L’odierno paganesimo possiede molti volti. Nel vasto
panorama di Internet non pochi sono i siti e personaggi che
inneggiano al ritorno di una religiosità classica pre-cristiana
ripetendo in modo assai caricaturale elementi che troviamo in
filosofi come Nietzsche e Sartre. Ciò senza contare coloro che si
presentano e si proclamano apertamente satanisti. Ciò obbliga ad
un’assidua vigilanza da parte di genitori ed educatori sulle giovani
generazioni.
337 Basterebbe rileggere alcune pagine del grande filosofo
G Marcel (1889-1973), nonché la densa panoramica offerta da
S. Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica Redemptor hominis
(1979) che riprende, pur senza nominarlo, alcuni aspetti di questo
pensatore.
242
la domanda centrale: tutto quanto può fare l’uomo lo
compie, ma da cosa è mosso? Laicamente, la risposta può
essere espressa come segue: da una profonda fede nel
prezioso carattere universale della vita umana e nelle sue
potenzialità, oppure da un limitante e, talvolta,
pericoloso do ut des che provoca il naufragio nelle derive
della menzogna, dell’egoismo e del funzionalismo fini a
sé stessi che rendono l’uomo un mezzo e non un
destinatario beneficato dall’azione che si compie.338
Anche l’operare il bene per mettersi a posto la coscienza
rientra in questo circolo vizioso. Due soluzioni delle
quali solo la prima manifesta un certo grado di positività
e di accettabilità, sebbene agli occhi di un credente
rimane incompleta in quanto non implica il semper novum
della Creazione e, ancor più, dell’Incarnazione redentrice
che assume, realizza e completa il nostro essere creati a
immagine somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26), indice ed
appartenenza ad un progetto che oltrepassa e sana le
nostre povertà.
Nessuna macchina, o prodotto del pensiero umano, o
essere mitologico si sono mai incarnati, né hanno mai
salvato totalmente l’uomo attraverso un cammino in cui
la povertà, lungi dall’esser disprezzata, è valorizzata come
condizione ottimale per accogliere una ricchezza che non
è di questo mondo e perciò non destinata a corrompersi
(cf. Mt 6,20).339 Da qui comprendiamo come la povertà
338 È la morale espressa da I. Kant († 1804) nei suoi scritti (specie
nella Fondazione della metafisica dei costumi) in cui il filosofo tedesco
osserva che la positività dell’azione umana è legittimata dal fatto che
essa: a) deve esser compiuta in modo da erigersi a norma di
legislazione universale e b) deve tener conto che l’uomo è sempre
un fine e mai un mezzo.
339 Ricordiamo che, storicamente, è stato questo capovolgimento
di valori, affermato dal Cristianesimo, uno dei fattori che ha minato
243
che va colmata mostra diversi volti e non resta legata ad
un discorso di danaro o beni materiali.
Di tutto questo denso piano di realizzazione per
l’uomo troviamo il compendio nell’Eucaristia dove la
Parola infinita e il Pane inesauribile vengono dati senza
misura quali realtà concrete di una Presenza che la Chiesa
deve accogliere ispirandosi, a quanto Maria – che è
Madre di questa Parola e di questo Pane – ha proclamato
e compiuto.
I due comandi: «Fate questo in memoria di me»
(cf. Lc 22,19 e 1 Cor 11,25) e il «Quanto vi dirà fatelo»
(Gv 2,5) relativi alla persona di Gesù sono congiunti nel
rinviare all’unico suo mistero nel quale è inserita la
Vergine santa, emblema singolare di una testimonianza
attiva di povertà che è ricolmata dal dono di grazia.
Il Cantico di Maria
Indubbiamente il grande cantico intonato dalla
Vergine nell’episodio della Visitazione (cf. Lc 1,46-55)
resta un punto fermo per il credente che vuole
comprendere la povertà evangelica,340 ma anche per il
‘lontano’ che può rendersi facilmente conto di come la
trama della storia è vissuta dagli indigenti. In questo
le basi del mondo greco-romano in cui soprattutto la potenza fisica
e la forza del pensiero erano al vertice. Soltanto pochi pensatori
(specialmente di corrente stoica come Seneca) hanno considerato la
comune condizione degli esseri umani.
340 Per l’esame esegetico dettagliato di questo testo rinviamo
all’ormai classico volume di A. VALENTINI, Il Magnificat. Genere
letterario. Struttura. Esegesi, Dehoniane Bologna 1987. L’esegeta
italiano è poi tornato sul tema nel suo successivo ed ampio volume
dal titolo Maria secondo le Scritture, Dehoniane, Bologna 2007
dedicando al Magnificat due capitoli (pp. 133-164).
244
testo, Maria – la donna povera341 ormai arricchita in
modo incomparabile dalla presenza del Figlio – proclama
il rovesciamento, la novità che il Dio di Israele ha offerto
al suo popolo e, in extenso, a tutte le genti. Si tratta di un
rovesciamento di tutti coloro che – per un verso o per
l’altro – restando attaccati al potere e alla ricchezza
mondani si rendono refrattari all’azione liberante di Dio.
Il povero (nelle varie specificazioni), in questo testo, è
benedetto ed elevato perché è colui che con maggiore
facilità accoglie questa azione divina; tuttavia a tale
povertà è collegata l’umiltà della quale Maria, sin
dall’Annunciazione, si è resa modello ed immagine.
Partendo proprio dalla riconsiderazione rispettosa del
povero, il Magnificat diviene «contestazione radicale al
regno del peccato sconfitto dall’opera del Salvatore e
ormai senza futuro».342 Un regno espresso con le
immagini della ricchezza e del potere.
Tutte realtà ed elementi che già conosciamo, ma che
ci spingono nuovamente a riflettere sul significato del
nostro agire nei confronti della povertà senza quei conti
che siamo soliti fare quando, invece, ci relazioniamo con
persone che possono darci il contraccambio.
Nella persona di Maria vediamo perciò il duplice
rapporto con la povertà: da un lato, l’umile ancella di
Nazaret che si pone dinanzi a Dio nella sua semplicità
offrendo/sacrificando quel poco che ha: un normale
progetto di vita e, dall’altro, il Dio ricco ed onnipotente
che si dona a questa donna insegnandoci con questo atto
Povertà che si desume anche dalla piccolezza dell’offerta
rituale nell’episodio della Presentazione di Gesù al tempio
(cf. Lc 2,22-40).
342 A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture, 164.
341
245
– ancor prima che con le parabole – la gratuità dell’amore
e dell’offerta disinteressati.
Ecco allora che da questa creatura così importante per
la nostra fede e così discreta comprendiamo la pregnanza
dell’offerta della donna povera che, nel tesoro del
tempio, getta quanto ha per vivere (cf. Mc 12,41-44 e
Lc 21,1-4) e, per altro verso, la necessaria attuazione del
comando dato da Gesù di invitare alle nostre feste coloro
che sono più indigenti (cf. Lc 14,12-14), invito che apre
le porte del cielo.
Che cosa può dare l’uomo al Dio ricco che lo
benefica? Nulla, ma l’uomo benestante che soccorre
l’indigente ispirandosi al comportamento di Dio può
partecipare della vita senza fine e tutto ciò sfuggendo ad
ogni logica di calcolo e, se vogliamo, di mercato.
Possiamo allora dire che la persona di Maria ci aiuta a
considerare il concetto e le situazioni di povertà con una
maggiore completezza: senz’altro abbiamo la povertà
materiale e spirituale da combattere sanando laddove ci
sono fasce di degrado socio-economico attraverso un
adeguato ed equilibrato uso dei beni della terra e
diffondendo una vera e rispettosa cultura dell’uomo.
Riprendendo il testo evangelico che la Chiesa
quotidianamente recita (o canta) a Vespro possiamo
condividere quanto afferma ancora A. Valentini: «è
compito dei cristiani illuminare con questo canto la verità
su Dio e sui suoi disegni, smascherare e rendere vane le
trame di potenti, ricchi ed oppressori».343 Siamo molto
vicini, nella sostanza di queste parole, ai continui appelli
343
246
Ibidem.
alla Chiesa di papa Francesco alla sobrietà e al rispettosoccorso verso i meno abbienti.
Non distaccata dalla precedente denuncia evangelica
del lato negativo insito nella povertà, abbiamo il volto
della medesima quale condizione ottimale per seguire ed
essere discepoli di Gesù, senza che nulla appesantisca il
cuore e la mente e conduca l’uomo ad un pericoloso e
peccaminoso attaccamento a ciò che passa.
Conclusione
La povertà vissuta e rappresentata da Maria, oltre a
caratterizzarsi per l’assenza di qualsiasi concessione
all’idolatria e all’avidità, si contraddistingue per il servizio
disponibile a Dio e, nella persona del Figlio, rivolto anche
ai suoi fratelli e sorelle.344 Assenza di ricchezza non
significa disimpegno, ma collocarsi dalla parte di coloro
che, non ponendo ostacoli, sono più facilitati a scoprire
le benefiche orme di Dio nella storia.
344 Questo elemento di disponibilità è un altro elemento che tiene
uniti i due momenti della presenza di Maria a Cana (cf. Gv 2,1-11) e
presso la Croce (cf. Gv 19,25-27). Nel primo, Maria intercede ed è
via ed occasione per la realizzazione del segno, nel dolore della
Croce, la Madre del Signore diviene (è disposta) per suo volere Mater
universalis.
247
28
Difficoltà e attualità di un titolo mariano:
«CAUSA NOSTRÆ LÆTITIÆ»
Siamo immersi in un mondo in cui gran parte del
nostro parlare e pensare ha perduto l’efficacia di quanto
vuole esprimere. Anche il concetto e la realtà della gioia
sembrano essere smarriti e Maria si colloca come guida
in un possibile recupero. Ci soffermiamo perciò su un
tema – quello della gioia, appunto – che troppo spesso
viene associato ad euforia e rumore derivante.
La gioia: difficoltà di un discorso
Dinanzi alla Vergine Maria, il discorso sulla gioia è
estremamente complesso e la difficoltà nasce da almeno
tre ordini di fattori che, tuttavia, devono convivere e non
possono essere distaccati se non si vuole togliere
credibilità al Cristianesimo. Di essi i primi due sono
eminentemente teologici e rispondono ad altrettante
domande: cosa dice la Scrittura? Cosa ha detto
successivamente la Chiesa nella sua Tradizione e nel
Magistero riguardo al rapporto fra Maria e la gioia? Il
terzo fattore è, invece, di ordine sociale ed umano: cosa
può essere detto ‘gioia’?
Sulla base della Scrittura (che è già teologia in atto,
resa prioritaria in forza dell’ispirazione345) conosciamo
345 Questo elemento appare insinuato nella Costituzione
Dogmatica sulla Rivelazione Dei Verbum al n. 11 quando il Concilio
sottolinea che gli agiografi sono uomini di cui Dio «si servì nel
249
momenti specifici nei quali Maria vive la gioia, oppure si
colloca in un’atmosfera gioiosa. Basterebbe citare qui i
due eventi inseparabili dell’Incarnazione e della
Visitazione narrati dall’evangelista Luca nei quali la grazia
e lo Spirito Santo agiscono sulla giovane donna non solo
attuando il concepimento di Colui che è gioia, ma perché
Maria risponde affermativamente con gioia e desiderio di
vedere attuato l’annuncio (cf. Lc 1,38) e,
successivamente, riconosce – nel Magnificat – il Dio che
segna il trionfo del bene sul male e che, nella sua persona,
ha compiuto grandi cose (cf. Lc 1,46-55). Si tratta di una
redenzione in atto che realizza la pienezza dei tempi,
pienezza non quantitativa ma qualitativa segnata dal
riscatto di coloro che erano sotto la Legge (cf. Gal 4,4-5).
Restando aderenti alla S. Scrittura possiamo
configurare Maria quale ‘causa della nostra gioia’ tanto in
una dimensione personale che la riguarda direttamente
(è lei, l’unica ad essere Madre del Redentore), quanto con
un significato che investe la comunità dell’AT (Maria
appartiene all’Israele dei patriarchi) e quella dei nuovi
tempi segnata dall’universalità della redenzione attuata
dal Figlio.
Essere ‘causa della nostra gioia’ per Maria non è un
arrogarsi una prerogativa che non le spetta,346 ma lasciare
al Figlio il mostrarsi e l’agire salvifico: è il compito che
possesso delle loro facoltà e capacità». Da considerare inoltre che
l’Ispirazione, al pari di altre verità centrali della nostra fede
(es.: Peccato originale, Immacolata, Infallibilità, Assunzione), è un
dogma sancito dal Concilio Vaticano I nella Costituzione Dogmatica
Dei Filius (24/4/1870).
346 Qui il discorso si potrebbe specificare ed ampliare nell’ambito
della regalità esercitata nel servizio al piano salvifico dalla Madre di
Dio pienamente conformata al Figlio, Re e Servo dell’Universo.
250
Maria ha attuato lungo la sua vicenda terrena così come
ce la presenta il NT, compito che la rende grande e
singolare in quanto modello di umiltà.
Accanto agli eventi che precedono i racconti
dell’infanzia di Gesù, un altro episodio significativo per
il nostro tema della gioia è rappresentato dalla vicenda di
Cana: il comando ad ascoltare/attuare la volontà di Gesù
(cf. Gv 2,5) basta a sancire il ritorno della gioia propria
del terzo giorno in cui si rivela la sua gloria.347 Autore di
questa gioia è Gesù che opera segni specifici, mentre la
Madre è soltanto discretamente presente, ma proprio in
questa discrezione (che non vuole lo sguardo su di sé, ma
indica nel Figlio il vero cardine della vicenda) vediamo la
singolarità di un’azione che orienta alla gioia vera.
Partendo dalla Scrittura, la Tradizione della Chiesa ha
creduto opportuno elaborare teologicamente e a livello
cultuale questo concetto di ‘causa della nostra gioia’.
Viene qui in mente, ad esempio, la pia pratica delle
Allegrezze: momenti di preghiera e di riflessione su questi
momenti di gioia vissuti da Maria, come anche trattatelli
devoti o, a volte, teologicamente più elaborati, spesso
compilati piegando il testo sacro al metodo esegetico
allegorico e simbolico e sovente con finalità edificante.348
Il Magistero, a sua volta, ha sistematizzato
organicamente e dottrinalmente tali verità nei quattro
347 Cf. A. SERRA, E c’era la Madre di Gesù... (Gv 2,1). Saggi di
esegesi biblico-mariana, Cens-Marianum, Cernusco sul Naviglio
1989, 367 dove l’autore pone a confronto Gv 2,1.11 e Gv 19,1920.20.21
348 Per una ricognizione storica e liturgico cultuale sul titolo
Causa nostræ lætitiæ rinviamo alle pagine iniziali di un nostro
contributo: Maria “causa nostræ lætitiæ” in alcuni testi di Paolo VI, in
Marianum 70 (2008), 315-354.
251
dogmi che sanciscono un completo e, al contempo,
sobrio profilo della Madre di Dio. Tutte queste quattro
solenni definizioni chiaramente inseriscono, in vario
modo, la Madre di Dio nel contesto della Redenzione,
evento in cui la gioia riservata all’uomo giunge al culmine.
Fra essi si evidenziano per la densità e la pregnanza di
significato anche per l’oggi l’Immacolata Concezione
(1854) e l’Assunzione gloriosa (1950) in quanto toccano
sul vivo i luoghi più delicati dell’esistenza dell’uomo e
dove la gioia viene messa in questione, se non,
addirittura, in serio pericolo: la vulnerabilità e il destino
ultimo.
I due dogmi e la gioia
«Dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio
la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria
fu preservata nel primo istante della sua concezione, per
singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in
previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere
umano, immune da ogni macchia di peccato originale, è
stata rivelata da Dio e perciò si deve credere fermamente
e inviolabilmente da tutti i fedeli».349
Le parole sopra riportate rappresentano il cuore del
testo definitorio dell’Immacolata Concezione così come
si legge nella Ineffabilis Deus di Pio IX. La verità di fede
che sostiene l’esenzione dal peccato originale della Madre
di Dio è segno eloquente di una promessa: dono della
redenzione e frutto della misericordia di Dio, tali da far
passare l’uomo da uno stato di prigionia ad uno di
liberazione e trasformazione. Esso si è attuato
349
252
PIO IX, Bolla Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854), in EE 2/761.
previamente nella Madre di Colui al quale spetta il merito
di aver rinnovato l’umanità.
La prima a godere di questa restaurazione è Maria il
cui statuto così singolare permette l’Incarnazione. Maria
è perciò terra incontaminata350 dove nasce il nuovo
fiore.351 Il suo statuto ontologico la inserisce in un
contesto di gioia, dove l’ascolto e la presenza del Figlio
la sostengono in un cammino umano dove non mancano
le difficoltà, ma al cui orizzonte si colloca la Pasqua della
quale Maria gode degli effetti.
La vita di Maria non la conosciamo se non per quei
pochissimi accenni offertici dalla Scrittura, tuttavia
nessuno ci impedisce di considerarla partecipe di
quell’armonia e bellezza assolute di relazioni che
contraddistinguono la creazione in Gen 1 e 2.
Una natura singolarmente inserita nella sua Origine
divina, il Dio che supera le strettoie del peccato
assicurando alla fragilità dell’uomo mortale e, con esso,
la redenzione. Tutto questo è gioia per la riuscita
realizzazione del progetto di Dio sull’uomo e del quale
quest’ultimo può esserne partecipe a patto di impegnarsi
in vario modo.
Nello stile del documento definitorio sopra citato, la
gioia (termine e concetto sottostante) appare sette volte
e tutte sono all’insegna di un cammino fatto e giunto ad
un punto fermo: l’Ineffabilis Deus appare perciò prodotto
di un confronto con la Tradizione avvenuto per sancire
L’immagine della terra vergine applicata a Maria possiede una
lunga storia teologica che trova in Ireneo di Lione († 200 ca.) una
delle prime voci (Dimostrazione della Predicazione apostolica, 32).
351 L’espressione è utilizzata da Dante ALIGHIERI nella Commedia
(Par. XXXIII, v. 9).
350
253
il dogma nella gioia procurata dal parlare di Maria. Vi
troviamo la riconferma dei passi fatti dal Magistero
precedente, che hanno condotto a compimento la
definizione, nonché la presa di coscienza del favore di
tutta la Chiesa e, da ultimo la riaffermazione di Maria
quale «gioia e corona di tutti i santi».352
Un testo ed un lavoro sotteso che pone fine in modo
felice a secoli di squilibri ed inimicizie per cui è possibile
affermare che la gioia è presente qui nella forma e nei
contenuti del documento che non fa che ribadire con
forza l’efficacia del piano redentivo.
Se il dogma dell’Immacolata Concezione getta una
luce gioiosa di perdono sul peccato e sulla debolezza
dell’uomo indicando la redenzione già avvenuta in Maria,
la sua Assunzione gloriosa addita all’uomo l’effettivo
orientamento del suo destino non all’anonimato, ma alla
patria celeste.
Questa verità di fede, dogmatizzata nel 1950 da Pio
XII con la Munificentissimus Deus, si colloca in continuità
con il dogma di Pio IX offrendoci così il quadro
completo dell’esistenza nel tempo e nell’eternità di Maria.
Qui accanto alla gioia (che appare tuttavia nominata solo
una volta in questo documento353) si colloca il dono della
speranza, ossia una apertura al futuro proposta all’uomo
e realizzata nell’icona dell’Assunta.
Nel corso della storia, tale verità ha trovato forse
meno problemi rispetto all’esenzione di Maria dal
352
PIO IX, Ineffabilis Deus, in EE 2/761.
Nel testo della Costituzione apostolica la gioia è posta in
parallelismo alla gloria. Essa, propria di Maria, è apportatrice di gioia
ed esultanza per l’intera chiesa. Cf. PIO XII, Costituzione apostolica
Munificentissimus Deus, in EE 6/1974.
353
254
peccato di Gen 3, ma ciò non toglie che l’Occidente ha
dogmatizzato un articolo di fede che l’Oriente cristiano
(in particolare l’area bizantina) ha considerato pacifica
verità acquisita ed espressa in tutta la ricchezza
innografica, omiletica ed iconografica che sappiamo.
Aspetto invece non affrontato dalla definizione è stata
la morte di Maria, ma spetta a S. Giovanni Paolo II aver
riproposto all’interesse della Chiesa questo elemento che
appartiene ad ogni esistenza umana compresa quella di
Cristo.354
Lungi dall’impoverire la gioia portata dalla redenzione
ed espressa nel trionfo dell’Assunzione della Madre
redenta, l’elemento della morte (che ogni persona è
chiamata a vivere in modo proprio) – in forza di questa
solidarietà attuata da Maria verso Cristo e verso l’umanità
– lo conferma: perché ci mostra come il suo essere madre
oltre ad essere indice di generazione spirituale è anche
condivisione, modellata sul Figlio.
Questo rende ulteriore ragione di quanto il Concilio
aveva espresso nei numeri 59 e 68 della Lumen gentium
ribadendo la verità dell’Assunzione apportatrice di
speranza riconducibile al concetto di conformazione
completa che, se per la Madre di Dio è stata facilitata da
una particolare grazia, resta un impegno per i cristiani
esposti ai pericoli e alle tentazioni di questo mondo.
354
Il tema è stato riproposto dal Giovanni Paolo II in una
catechesi pubblica pronunziata il 25 giugno 1997. Il testo è in
Insegnamenti, vol. XX/1, 1608-1610. Per tutta la problematica si veda
S. M. PERRELLA, Maria nella coscienza ecclesiale contemporanea, PAMI,
Città del Vaticano 2005, 376-382.
255
Ricercare la gioia
Per rispondere alla terza e più impegnativa domanda
lasciata in sospeso ci viene in aiuto un testo dell’AT tolto
dal Siracide: «La sapienza esalta i suoi figli / e si prende
cura di quanti la cercano / Chi ama la sapienza ama la
vita / chi la cerca di buon mattino sarà ricolmo di gioia»
(Sir 4,11-12).
Colei che noi veneriamo quale Sede della Sapienza ci
invita e ci insegna ad andare all’essenziale (cf. Gv 2,5), a
quel Dio persona che è partecipe delle nostre vicende
anto da prendere costantemente volto e corpo
dell’uomo.355
Un Dio che mostrandosi nei volti e nelle persone
svela la sua Sapienza più grande delle mezze verità e degli
idoli dell’uomo (successo, lifting, notorietà, danaro,
potere…) che non danno gioia, ma soddisfazioni di
breve durata e talvolta raggiunte con certa dose di
immoralità.
Dove è possibile allora cercare questa sapienza
apportatrice di gioia? Ma soprattutto come realizzare tale
ricerca? Nel suo pontificato, papa Francesco invita ad
andare incontro all’uomo (lo vediamo nel suo
parlare/agire soprattutto verso le frange più disagiate,
frutto anche della sua particolare cultura ecclesiale di
provenienza), ma non è un invito immotivato o privo di
finalità. Esso si condensa nel potenziamento delle
migliori energie e qualità dell’uomo, delle opere
Significativo l’asserto contenuto nella Costituzione pastorale
conciliare Gaudium et spes n. 22 per il quale «con l’Incarnazione Cristo
si è unito in certo modo a ogni uomo», CONCILIO VATICANO II,
Gaudium et spes, n. 22, in EV 1/1386.
355
256
belle/buone che sa compiere (pensiamo ai continui
riferimenti e apprezzamenti positivi verso la famiglia,
oggetto di recenti catechesi pubbliche). Abbiamo quindi
una coincidenza evidente: gioia nella passione per
l’uomo. Passione: concetto e termine che unisce Dio e
l’uomo, il mistero pasquale con la cura amicale della
persona e della vita e, per questo motivo, sottolinea
spesso papa Bergoglio tesoro che non ci si può «far
rubare».
Allora il discorso dell’antico testo biblico resta attuale
in tutta la sua densità, venendo poi incarnato da Cristo, il
quale cerca prima di noi e per noi l’uomo
trasformandone i limiti, le sue condizioni sociali e il
peccato con la forza della sua misericordia redentrice. La
vera gioia è proprio qui ed è concretizzata a partire da
Cristo in alcune persone che gli appartengono e che noi
chiamiamo santi: Maria la creatura unica e singolare,
Pietro l’apostolo debole e irrobustito, Paolo colui che si
scontra in modo drammaticamente benefico col
Redentore e Servo perennemente perseguitato e l’elenco
potrebbe continuare: ognuno di loro ha trovato la gioia,
ma soprattutto queste esistenze ci indicano Colui che è
portatore della gioia e che ci chiede di donarla. È la
difficoltà del credere, dell’amare e dell’aprirsi al futuro
cercando di costruire qualcosa di nuovo: portare il cielo
sulla terra, così come ci suggerisce la preghiera del Padre
nostro nell’invocare la realizzazione della volontà di Dio
tanto nelle altezze quanto tra gli uomini e nel mondo
(cf. Mt 6,10). Tutto questo si attua con gesti che vanno
anche controcorrente ma, chiediamoci, Gesù non è stato
annunciato forse come rovina e resurrezione
(cf. Lc 2,34)?
257
In questo vivere, Maria la donna redenta che lascia
campo al Redentore, in modo umile e discreto, ci precede
e ci accompagna ed è necessario per noi scrutarne gli
atteggiamenti per testimoniare, in modo concreto, la vera
gioia che discende dal Cristo.
Conclusione
Parlare di gioia cristiana significa rimettere al centro il
complesso di caratteri che sono propri della Rivelazione
completa in Cristo. In Lui il Dio forte, il Dio della vita
attraversa il lato oscuro della persecuzione della violenza
e della morte.
Maria è coinvolta in questa vicenda, al contempo
esistenziale-umana e soprannaturale-divina ed invita
colui che vuole essere discepolo – con tutto ciò che
comporta – ad assumere per la propria esistenza una
visione diversa da quella che il mondo propone.
In una parola: l’Alleluia pasquale non può essere
distaccato da quella sofferenza presente nel mondo e
nell’uomo e che Cristo compendia. Anche in queste
circostanze si rinnova il miracolo dell’Incarnazione: non
solo noi ci conformiamo a Cristo, ma anzitutto Egli
prende come buon samaritano le nostre sofferenze per
mutarle in abito di vera gioia [cf. Sal 130(129),12-13].
258
29
Il bisogno umano di misericordia e Maria
Riprendiamo in attenta considerazione tema della
misericordia in quanto, oltre ad essere un motivo
ricorrente nel pontificato di papa Francesco ed ispiratore
del Giubileo straordinario celebrato nel 2016, esso
rappresenta un’esigenza stringente nell’attuale contesto
sociale e religioso, colma peraltro di pressanti
interrogativi. Da esso ci muoviamo per affrontare questa
singolare manifestazione del Dio Amore che coinvolge
Maria, sua e nostra Madre.
Necessità e bisogno di misericordia
Non passa giorno che i più sofisticati mass-media ci
informano – anche con dettagli di dubbio gusto – di casi
in cui vengono impunemente calpestati i diritti umani
(per non parlare di quelli religiosi). Si tratta di fatti a
carattere violento, dove l’egoismo e la sopraffazione
raggiungono livelli considerevoli che mettono in risalto
quella situazione di “mondo in frantumi” che G. Marcel
dipingeva già alla metà del secolo XX. La frantumazione
di questo mondo non dipende solo dai processi tecnicoproduttivi che dominano l’odierna società (fra l’altro
sempre più in crisi finanziario-economica ed ecologica),
ma dal modo con cui le leggi, che dominano tali processi,
si sono infiltrate nelle relazioni umane rendendole liquide
ed indifferenti.
Da qui si originano le derive umane e culturali che
abbiamo imparato a conoscere grazie anche alle
teorizzazioni di maestri che, oltre ad essere ‘del sospetto’,
259
potremmo definire ‘dell’anti-umanità’, guasti che S.
Noceti sintetizza efficacemente come segue: «solipsismo,
narcisismo, indifferenza, dichiarato rifiuto dell’altro da
noi» e che «contraddistinguono la temperie culturale
occidentale».356
È chiaro che, considerati i costitutivi decritti dalla
teologa italiana, si fa largo la competitività che
rappresenta la negazione del ‘fare posto all’altro’, del
sostenerlo nelle difficoltà di varia origine ed entità.
Questo ha delle ricadute e delle rispondenze anche
all’interno del popolo di Dio dove, ad esempio, un
consistente numero di fedeli non si accosta più al
sacramento della Riconciliazione: neo-pelagianesimo?
Ribellione? Molte possono essere, in merito, le
spiegazioni. Se già papa Pio XII nel 1946 affermava che
il peccato più grande è la perdita del senso del peccato,357
c’è da aggiungere che oggi la perdita della misericordia è
gravissima offesa all’uomo che, per sua natura, è stato
creato con una ‘cifra sociale’. Offesa che si traduce nel
meccanismo
del
‘muro
contro
muro’,
dell’incomunicabilità e nel far pesare le colpe senza
offrire all’altro la possibilità non solo di ricominciare, ma
di esercitare la parte migliore di sé stesso.
Tuttavia a sentir parlare di misericordia emerge un
altro dato inquietante che consiste nello spettro del
cosiddetto ‘buonismo’, figlio di una distorta idea di
tolleranza: lo vediamo, ad esempio, nella scriteriata
356 S. NOCETI, Verso una Chiesa di misericordia, in Credere oggi 202
(lu-ag. 2014), 67.
357 L’espressione figura in un Radiomessaggio ai Catechisti
statunitensi (PIO XII, Discorsi Radio Messaggi, Città del Vaticano 1947,
vol. VIII, 288) e sarà ripresa da S. Giovanni Paolo II nella Reconciliatio
et pænitentia n. 18.
260
gestione della questione degli immigrati da parte degli
organismi civili e internazionali senza varare misure
adatte e consone. Ci si potrebbe chiedere: calcare la
mano sul perdono senza una reale volontà di
cambiamento quale risposta dell’altro non conduce
fatalmente verso una superficiale ed acritica assoluzione?
In secondo luogo: a motivo di quest’ultima, dobbiamo
sostenere (anche economicamente!) persone che si sono
macchiate di reati gravissimi (omicidi, furti, violenze,
ecc.) con l’impiego di energie (materiali e spirituali)
destinabili a coloro che invece ne hanno reale bisogno.
Il problema non è di semplice soluzione anche
perché, come cristiani, siamo sempre interpellati dal
detto di Gesù secondo il quale Dio «fa sorgere il suo sole
sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti
e sopra gli ingiusti» (Mt 5,45) unito al perdono senza
misura (cf. Mt 18,22).
Questo aspetto rassicurante, tuttavia, non deve
esimerci da un atteggiamento di rigore e severità: il
nostro Dio è senz’altro il Giusto e Misericordioso, ma è
anche Colui che, con la sua Parola c ci esorta ad essere
«santi perché io, il vostro Dio sono santo» (Lv 19,2 e Mt
5,48). Rigore e severità che non devono significare
condanna dura e sbrigativa fatta passare per giustizia, ma
rappresentano due atteggiamenti da mettere in pratica
anzitutto su sé stessi. Torna allora molto attuale il
raffronto, fatto da Gesù, tra la pagliuzza e la trave (cf. Lc
6,42): è un paragone che ci tocca sul vivo. Cerchiamo e
desideriamo la misericordia, ma in qual modo ci
relazioniamo con il Dio della misericordia vivendo
un’esistenza retta che ci impedisca di guardare ad una
facile condanna considerata come risolutiva senza invece
vederne uno strumento di correzione e l’inizio di una
261
nuova pagina di storia personale? In ogni caso sono da
evitare gli estremi (il buonismo e il rigore sommario). Il
nostro peccato qualunque esso sia – del quale chiediamo
perdono (quando con umiltà lo chiediamo!) – è anche
quello di far mancare quella misericordia mediante la
quale tanti squilibri potrebbero essere sanati, a partire
dalle relazioni interpersonali che sono alla base della
convivenza internazionale con tutti i suoi interessi.
In sostanza, ci allineiamo più spesso al fratello più
grande (e non meno peccatore, almeno in superbia) della
nota vicenda del padre di misericordia (cf. Lc 15,11-32)
perché forse risulta più comodo dimenticando che, come
Chiesa, siamo depositari e portatori della misericordia358
che è centro della Rivelazione,359 disegno attraverso il
quale Dio opera meraviglie. È Maria a ricordarcelo nel
Magnificat.
Maria: Immacolata e «Mater misericordiæ»
Se papa Francesco ha voluto far coincidere l’apertura
del Giubileo della Misericordia con una solennità
mariana quale è appunto l’Immacolata Concezione, ciò
non deve stupirci: anzitutto perché Maria è frutto di tale
misericordia e realizzazione dei suoi effetti. In secondo
luogo, perché già S. Giovanni Paolo II, nella sua
esortazione apostolica Dives in misericordia del 1980 aveva
riecheggiato le parole che, nel Magnificat, esprimono il
fatto che la misericordia divina si estende di generazione
in generazione per poi concludere – avendo sempre
come orizzonte il testo lucano – affermando che: «La
Chiesa che, sul modello di Maria, cerca di essere anche
358
Cf. CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, n. 8, in EV 1/882a.
FRANCESCO, Misericordiæ vultus, n. 25, LEV - S. Paolo, Città
del Vaticano-Milano 2015, 63.
359
262
madre degli uomini in Dio, esprima in questa preghiera
la sua materna sollecitudine ed insieme il fiducioso
amore, da cui appunto nasce la più ardente necessità della
preghiera».360
Si tratta di due elementi connessi e molto importanti
che sorreggono il “quotidiano” della Chiesa.
Riprendiamo perciò dal primo punto: Maria è frutto ed
emblema di misericordia e quest’ultima, a sua volta, fa
parte delle meraviglie poste in atto da Dio. Nella Bolla di
indizione del Giubileo, Misericordiæ vultus, papa Francesco
motiva la scelta di questa data ritornando all’Origine, al
Dio della creazione: «Questa festa liturgica indica il modo
dell’agire di Dio fin dai primordi della nostra storia.
Dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio non ha voluto
lasciare l’umanità sola e in balia del male. Per questo ha
pensato e voluto Maria santa e immacolata nell’amore
(cf. Ef 1,4), perché diventasse la Madre del Redentore
dell’uomo. Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde
con la pienezza del perdono».361
Vengono qui in mente (e il testo della Bolla le
suggerisce) le parole della IV Prece Eucaristica (basata,
per quanto concerne l’uomo, sull’anafora di S. Basilio (†
379) che così recita:
«E quando, per la sua disobbedienza,
l’uomo perse la tua amicizia,
tu non l’hai abbandonato in potere della morte,
ma nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro,
perché coloro che ti cercano ti possano trovare». 362
360
GIOVANNI PAOLO II, Dives in misericordia, n. 15, in EV 7/952.
FRANCESCO, Misericordiæ vultus, n. 3, p. 19.
362 Messale Romano, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del
Vaticano 1983, 412.
361
263
Ritraducendo armonicamente l’ultima frase del testo
eucologico citato possiamo senz’altro affermare che
l’uomo in ricerca della misericordia di Dio può trovarla
negli effetti che questa produce nella Madre di Dio
contemplata e professata, come dogma di fede, nella sua
esenzione da ogni peccato e, per questo motivo, bella al
pari della Donna di Ap 12, testo utilizzato da tutta una
tradizione iconografica che ben esprime il mistero di
questo immacolato concepimento.363
In questa bellezza così singolare (che supera i
connotati puramente estetici, anche se non li annulla),
Maria permette all’uomo di trovare, nella testimonianza
scritta ed ispirata,364 il Dio che opera grandi cose e che
rendono Maria la beata da parte di tutte le generazioni
(cf. Lc 1,48b).365
Il Magnificat – e passiamo ormai al secondo aspetto –
ci fa comprendere che siamo in un ambito
eminentemente pasquale (anche come rilettura degli
eventi che riguardano Maria) che illumina il motivo per
cui Dio Padre, in vista dei meriti di Cristo, ha scelto e
conformato una Madre per il Figlio, l’ha adornata di ogni
virtù senza che conoscesse peccato. In sostanza, ha
offerto all’umanità un segno della sua benevolenza e della
363
Su questo aspetto si veda G. MORELLO-V. FRANCIA-R.
FUSCO (a cura di), Una Donna vestita di sole: l’Immacolata Concezione nelle
opere dei grandi maestri, F. Motta ed., Milano 2005. Si tratta del catalogo
di una mostra realizzata al Braccio di Carlo Magno in Vaticano tra il
febbraio e il maggio 2005.
364 Cf. CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, n. 11, in EV 1/889890.
365 Al n. 24 della citata Bolla, papa Francesco fa notare che anche
noi siamo parte di quelle generazioni che si susseguono nel tempo.
264
sua carità più forti del male commesso da Adamo:366 è il
messaggio paolino di Rom 5,20.
Da qui ecco sorgere e motivarsi – tanto nella
preghiera, quanto nell’arte visiva367 – la frequenza della
Mater misericordiæ che, talvolta, con tratti maestosi e regali
(motivati da una Grazia del tutto particolare che affonda
le sue radici nel seno della SS. Trinità e, per questo,
associata al tema della luce), protegge il popolo che a lei
si rivolge.
Come Maria riceve misericordia da Dio così la
manifesta nel suo potere di intercessione ed è questo il
suo più alto esempio ed insegnamento.
Da Maria al mondo
L’esemplarità nella fede e nel discepolato fa sì che
Maria, primeggiando fra i poveri e gli umili,368 appaia
destinataria di un favore particolare da parte di Dio che
in Lei si incarna e ne perfeziona, sin dagli inizi, la
condizione. Si tratta di un incommensurabile atto di
amore che ha permesso alla Chiesa – sin dalle più antiche
testimonianze della Tradizione – di considerare Maria
quale realizzazione perfetta del genere umano.369
366
Ciò appare sin dalle prime righe della bolla Ineffabilis Deus di
PIO IX del 1854, in EE 2/739 (intero documento 2/739-65).
367 Ci possiamo riferire qui all’antichissima preghiera del Sub
tuum præsidium (III sec.) e al motivo iconografico della Madonna del
Manto (XIII sec.).
368 Cf. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 55, in EV
1/429.
369 Cf. IRENEO DI LIONE, Adversus hæreses, III,19,3, in SCh 211,
380-381.
265
Tale realizzazione che, successivamente, si completa
in una glorificazione del genere umano nel Regno non
può prescindere da un elemento ineliminabile costituito
dall’impegno nel riscoprire la propria autenticità. Essa
risiede nel carattere iconico dell’uomo (immaginesomiglianza: cf. Gen 1,26-27) che tocca, al contempo, il
suo essere e il suo agire ritagliati nel mistero di Dio.
L’autenticità è, perciò, rendersi strumento della Parola
annunciata e trasmessa: Parola di misericordia.370
Sappiamo come nel Magnificat e nell’icona del padre dei
due figli (cf. Lc 15,20), Dio apre le braccia della sua
misericordia: tale atto non può, né deve restare confinato
in un libro o fissato in un’opera d’arte, ma tradotto e
concretizzato in gesti di grande responsabilità, ossia
ricostruzione di una identità umana che, in alcuni, è
offesa dal peccato.
Per ogni uomo, collocarsi sulla linea e sulle orme di
Dio non è semplice: molteplici sono le passioni, i pesi e
le barriere che gravano sul suo cuore impedendo gesti di
riconciliazione soprattutto in casi gravi, dove
umanamente si invoca l’evangelica macina da mulino al
collo (cf. Mc 9,42) quale soluzione estrema.
L’unica via di fuga (se così possiamo definirla) da
questa sommaria soluzione è ritornare al mistero del Dio
che, all’inizio e ancor prima della sua comparsa storica
nel tempo (cf. Gal 4,4), ha rivolto uno sguardo di
misericordia a Maria e, alla fine, sulla Croce ha invocato
il perdono sui suoi uccisori (cf. Lc 23,34). Maria è
presente in entrambi i momenti a testimoniare quanto la
misericordia produce.
370
266
Cf. FRANCESCO, Misericordiæ vultus, n. 25, 63.
Nel Mistero Pasquale, Gesù mostra quella forza di
attrazione (cf. Gv 12,32) che è sostanzialmente atto di
misericordia e coloro che si collocano fuori ed agiscono
con parametri che non sono quelli di Dio si perdono
nella solitudine che isola con i propri limiti elevati ad idoli
mostruosi e generatori di violenza.
La Croce e la Mater misericordiæ anche visivamente
appaiono come icone ‘aperte’ e tornare ad esse non è
segno di debolezza, ma di forza e maturità per l’uomo di
ogni tempo.
Conclusione
Nella sua lettera alla comunità di Efeso, S. Paolo pone
in guardia dal considerare opera dell’uomo la grazia che
proviene dal Signore (cf. Ef 2,9). Questo deve ricordarci
che la stessa misericordia, che noi riceviamo e che siamo
chiamati a far circolare (cf. Mt 5,7), conduce ad una
comunione che sta a noi costruire e rafforzare
costantemente, riscoprendoci così collaboratori di Dio.
Tale è stata Maria: ‘vincente’ per umiltà, discrezione,
silenzio e resta esempio di offerta e dono per l’intero
popolo di Dio. A noi tutti si rivolge ripetendo l’invito ai
servi: «Quanto vi dirà, fatelo» (Gv 2,5) riportandoci così
al Figlio, centro e cuore della divina carità. Per questo
Ella è Mater misericordiæ, ma anche di coloro che di questa
misericordia sono vivi e veri diffusori.
267
30
Una vitale complicità
per una nuova creazione
Il titolo di questo nostro breve contributo può
suonare un po’ provocatorio nell’uso del
sostantivo/aggettivo complicità/complice spesso associato
al mondo della malavita. Tuttavia esso, sciolto da ogni
connotazione del genere, indica impegno in un’azione
particolare. Viviamo in un mondo di provocazioni dalle
quali neppure Dio e l’uomo sembrano sottrarsi a tale
complicità. Ma se essa mantiene connotati positivi
produce frutti benefici per la dignità dell’uomo.
Da Dio all’uomo
Aprendo la Bibbia ci troviamo immediatamente a
confronto con i due grandi affreschi della Creazione che
occupano i primi due capitoli della Genesi che gli studiosi
ci ricordano essere stati redatti in momenti assai diversi
fra loro.371 Se il più antico testo (Gen 2,4b-3,24) pone in
evidenza la relazione uomo-cosmo-Dio, la narrazione di
Gen 1,1-2,4a sottolinea la concezione di un cosmo che
viene dotato da Dio di proprie leggi stabili (ciò è
sottolineato ad esempio da frasi ripetute come «e fu sera
e fu mattina») contrassegnate dalla Provvidenza.
In ogni caso, dall’insieme di queste pagine bibliche,
fra Dio, il mondo e l’uomo sussiste una fondamentale
371 Gen 1,1-2,4a risalirebbe alla fine del VI sec. a. C., mentre
Gen 2,4b-3,24 sarebbe più arcaico, cioè dei secoli IX-VIII.
269
autonomia che non significa conflitto o opposizione, ma
lo svolgersi di ruoli ben distinti e che non possono
privarsi di una loro relazione. A Dio spetta l’azione
creatrice, all’uomo quella dell’accoglienza e custodia di
quanto in termini di creazione gli è stato offerto e che,
per questo, è contraddistinto da globale bontà
(cf. Gen 1,28-31). È importante e salutare tener conto di
questa autonomia e lo stesso Concilio Vaticano II – nella
costituzione pastorale Gaudium et spes al n. 36 – mette in
guardia dai pericoli che possono derivare dal rifiuto di
riconoscere tale legittima autonomia, primo fra tutti
l’ingiustificata opposizione tra scienza e fede.
Anche il triste evento della caduta (cf. Gen 3) non
ostacola questa dialettica, anzi esso – pur provenendo da
un uomo già avvertito in precedenza degli effetti deleteri
di una cattiva scelta e nella sua gravità idolatrica – appare
sempre inferiore alla potenza creatrice di Dio, il quale
nella pienezza dei tempi (cf. Gal 4,4) provvederà a
redimere cosmo e uomo. In merito, Benedetto XVI
ricorda che «la Parola di Dio rivela anche la possibilità
drammatica da parte dell’uomo di sottrarsi a questo
dialogo di alleanza con Dio. La divina Parola, infatti,
svela anche il peccato che alberga nel cuore
dell’uomo».372
Nel Giubileo particolare che si è svolto nel 2016 è
stato sottolineato in discorsi e scritti di varia provenienza
ed autorità come quella circostanza è stata
essenzialmente un’azione di Dio, un grande atto di
perdono non solo perché è il Dio buono, ma anche in
forza di quanto Giovanni ci ricorda che «La luce è venuta
372 BENEDETTO XVI, Esortazione Post-sinodale Verbum Domini
(30 ottobre 2010), n. 26, in EV 26/2266.
270
nel mondo, ma le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5).
Questo costituisce grande motivo di speranza, non solo
perché ci viene prefigurato e annunciato il passaggio
finale dal male al bene, ma perché questo futuro glorioso
accompagna la coscienza dei cristiani come chiave
interpretativa di un presente dai tratti che sembrano
fermi al Venerdì santo più che muoversi verso la
domenica di Resurrezione. In una parola siamo spettatori
di un mondo fermo al compiacimento del male e
incapace di muoversi verso la volontà di bene.
Speranza è appunto questo: far credito al futuro, ma
al contempo agire nel presente che avrà un compimento
di trasformazione e trasfigurazione. La partita,
potremmo dire in gergo calcistico, è aperta ed in campo
scende l’impegno dell’uomo che, fatto ad immagine e
somiglianza di Dio, deve svolgere ciò che queste due
componenti vogliono significare. L’uomo è nel mondo
per fare le veci di un Dio attento, vigile ed operoso.
Emergono allora sostanzialmente due impegni: non
guastare e operare quanto serve a nobilitare questa
creazione della quale l’uomo è parte.
Il ‘non guastare’ nasce dal benefico rifiuto
dell’idolatria e dell’uso sconsiderato delle macchine che,
senz’altro, aiutano, ma che generano una mentalità
materialista ed efficientista denominata tecnocrazia.
Abbiamo detto che ciò è stato seriamente considerato da
certo pensiero del secolo XX373 e che poi è stato ribadito
da S. Giovanni Paolo II (1920-2005) ai nn. 15-16 della
Pensiamo, ad esempio, ai testi di G. MARCEL, L’uomo
problematico, Borla, Roma 1992 (or. fr. 1955), oppure ad Homo viator
di 11 anni prima, in cui l’autore già alla metà del secolo XX
denunciava gli inquietanti squilibri prodotti da un funzionalismo e
meccanicismo già allora evidenti.
373
271
sua Redemptor hominis e, successivamente da papa
Francesco, nel capitolo III della sua enciclica Laudato sì
(2015) alla quale si rifà anche l’istruzione della
Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e le
Società di Vita apostolica dal titolo Contemplate dello
stesso anno.374
Ma dall’efficientismo e dalla tecnocrazia allo spettro
dello sfruttamento generalizzato (non solo ecologico, ma
anche umano) il passo è breve, per cui si impone la
riscoperta del lavoro come strumento di bene e come
mezzo con il quale l’uomo conferma la propria dignità.375
In tutta la sua azione, l’uomo deve svelare la più
profonda essenza di realtà nata dalla creazione e, in
ultima analisi, dalla Rivelazione nella quale Dio si
manifesta in parole ed opere fra loro connesse.376 Ancora
una volta, l’uomo viene risospinto in un ambito di
feconda dipendenza dal Dio che si rivela, che crea e che,
successivamente, nel Figlio, salva prendendo quanto di
più proprio è dell’uomo: un volto, la carne, i sentimenti.
In tutto il suo arco di svolgimento storico, la
Rivelazione ci svela il suo coefficiente di umanesimo
integrale e, per questo, carico di responsabilità.
374
Cf. CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA
CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, Contemplate. Ai
consacrati e alle consacrate sulle tracce della Bellezza (15 ottobre
2015), n. 60, LEV, Città del Vaticano 2015.
375 Tutta l’enciclica Laborem exercens di S. Giovanni Paolo II,
pubblicata nel 1981, ribadisce questo importante aspetto, sul quale,
successivamente, è tornato papa Francesco nel discorso al mondo
del lavoro a Torino il 21 giugno 2015 in occasione della visita alla
città e alla S. Sindone.
376 Cf. CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, n. 2, in EV 1/873.
272
Maria: emblema di una creazione nuova
Gli ammonimenti di Gesù a non poter servire Dio e
il danaro (cf. Mt 6,24) e all’impossibilità per il vero
discepolo di volgersi indietro (cf. Lc 9,62) appaiono
senz’altro severi, ma vanno ricondotti nel più ampio
quadro del Vangelo dove Gesù promette e realizza la vita
per l’uomo debole. La severità, tuttavia, permane perché
il Dio geloso dell’AT è lo stesso del NT che esige totalità
di scelta; solo attraverso questa strada è possibile il
rinnovamento e, con esso, l’ingresso nel Regno, quali
indici di un’eternità beata.
Tutto questo ripropone la collaborazione che l’uomo
può e deve offrire a Dio non per arricchire la divinità, ma
per un santo beneficio. Gesù stesso – nel NT – si serve
di collaboratori al cui vertice in modo più che discreto,
umile e di poche parole si colloca Maria.
Senz’altro la Madre del Signore è una creatura a parte:
tanto nel suo statuto ontologico (Immacolata) quanto nel
suo singolare passaggio all’eternità (Assunta), ma resta
pur sempre opera di Dio appartenente ad un cosmo e ad
un’umanità che sono prodotti dell’amore di Dio.
In un discorso mariano inserito in un contesto
cosmico-naturalistico appaiono più che mai centrate
alcune espressioni del grande teologo e scienziato
P. Teilhard De Chardin (1881-1955). In poche righe de
La Vita cosmica appare una sintesi della visione mariana
di Teilhard nella prospettiva dell’evoluzione e questo
senza dimenticare il dato tradizionale biblico così come
segue: «Le Energie e le Sostanze del Mondo
concentrandosi e purificandosi nell’Albero di Jesse […]
componevano con i loro tesori distillati e accumulati, la
gemma scintillante della Materia, la Perla del Cosmo e
suo punto di attacco con l’Assoluto personale incarnato,
273
la Beata Vergine Maria, Regina e Madre di tutte le
cose».377
Anche nella parte finale della citata enciclica Laudato
sì di papa Francesco, in un’ottica di sano umanesimo ci
viene riproposta una regalità mariana modellata
chiaramente su Gesù378 e con una dimensione
nettamente sapienziale desunta dall’atteggiamento
riflessivo di Lc 2,19.51b.
Sapienza che si unisce armonicamente con la bellezza
di cui l’arte figurativa e statuaria è voce, arte che va letta
teologicamente in quanto ci ri-propone il motivo più
profondo dell’essere di Maria. In Lei, Creazione e
Redenzione – eventi dove il buono e il bello si
congiungono – vengono ad incontrarsi e, per questo
motivo, la Madre di Dio ci conferma l’Alfa e l’Omega del
nostro destino inaugurato dal Figlio, Verbo della vita.
Umanesimo quindi responsabilizzante in quanto
aperto al futuro e, tuttavia, già contenente i suoi germi.
L’impegno dell’uomo
Parallelamente al Giubileo della Misericordia, nel
2016 si è celebrato il 450° anniversario della nascita di
S. Maria Maddalena de’ Pazzi (1566-1607), mistica e
monaca carmelitana che, sebbene non molto conosciuta,
possiede alcuni scritti di notevole e robusta teologia.379 Il
suo nome da religiosa è Maria Maddalena del Verbo
Incarnato e nelle sue estasi, raccolte dalle consorelle, un
377 P. TEILHARD DE CHARDIN, La Vita cosmica. Scritti del tempo di
guerra (1916-1919), Il Saggiatore, Milano 1971 (or. fr. 1916), 87.
378 Cf. FRANCESCO, Laudato sì, n. 241, Ed. Áncora, Milano 2015.
379 Si tratta di testi che, redatti dalle consorelle, raccolgono le
figurazioni e i racconti delle sue estasi. Sono stati raccolti in 7 volumi
editi a Firenze nel sessennio 1960-66.
274
grande spazio è dato proprio all’Incarnazione,380 quale
evento di rinnovamento dell’intera Chiesa: istanza
particolarmente urgente tra XV e XVI secolo, epoca
dominata dalla Riforma e dalla risposta data ad essa dal
Concilio di Trento (1545-1563), ma che aveva avuto nel
corso dei decenni precedenti un anticipatore in
G. Savonarola (1452-1498) le cui idee penetrano
fortemente la stessa Chiesa generando una vera e propria
corrente di pensiero non estranea agli ambienti in cui la
santa crebbe.
Un testo di S. Maria Maddalena ci sembra attuale nel
mostrarci come questa Incarnazione del Signore avviene
in un spazio e in un tempo precisi. Scrive la santa: «E fu
detta pace che Maria rese al’Verbo di respirare, la qual
pace fu resa e data nel’suo sacratissimo ventre onde in
essa e per essa Maria, furono concluse tutte queste pace
et fatto fu di tutte una col pace».381 Lo spazio è Maria che
dà la vita al Verbo ed il tempo è riempito dalla pienezza
qualitativa di senso e di significato che è Cristo: Colui che
salva e riconcilia incontrando i suoi discepoli con il saluto
pasquale «Pace a voi».
In tal senso si comprende come l’espressione «Ecco
l’uomo» (Gv 19,5), pronunciata in un contesto di
persecuzione, acquista tutta la propria forza proprio nella
persona del Gesù, Agnello immolato e sempre vivente
(cf. Ap 5,6ss). Ancora la santa mistica fiorentina
partecipando in estasi alla Passione di Cristo dice: «Ecco
l’huomo Dio. Disse Pilato mostrandolo a Giudei: Ecco
In un’estasi del 1584 S. Agostino le scriverà a caratteri d’oro
e di sangue la frase «Verbum caro factum est».
381 S. MARIA MADDALENA DE PAZZI, Revelatione et intelligentie in
EAD., Opere, Centro Internazionale del Libro, Firenze 1964, vol. IV,
88.
380
275
l’huomo et esso con’tanto Amore dice al Padre
mostrandogli la creatura: Ecco l’huomo peccatore. Ecco
l’huomo salvato. Ecco l’huomo redento. O’Amore fa che
questa tua creatura redenta con’tanto gran’prezzo da sé
non si perda».382
C’è tutto l’impegno dell’uomo inserito nel tempo
nuovo che si inaugura con l’Incarnazione: tempo utile
per l’uomo per tornare a fidarsi di un Dio non violento,
tempo capax Dei in cui si collocano alcuni segni preziosi
da Lui offerti, tempo che ci permette di vedere – sebbene
“in nuce” ed “imperfettamente” – l’eternità
(cf. I Cor 13,12) della quale già ora Maria è anticipazione.
Conclusione
Chiamiamo Maria «Porta del cielo» non solo perché è
nella gloria, ma perché rinvia l’uomo ad un orizzonte di
eternità che ha precisi legami con il quotidiano nel quale
è possibile essere ‘complici’ di Dio nell’attuare paroleopere che evidenziano questa bontà di Dio. Guardando
a Lei e a Lei ispirandoci è possibile parlare ed agire bene
e, in una parola, mantenere viva la presenza di Dio nel
mondo. In tal senso avremo quell’umanesimo che
responsabilizza, che è aperto al futuro e che,
concludendo, è luogo di testimonianza arricchita e
sostenuta dai beni celesti.
382 S. MARIA MADDALENA DE PAZZI, I Quaranta giorni, in EAD.,
Opere, cit., vol. I, 171.
276
INDICE
Prefazione
5
di Giovanni Grosso
PRIMA PARTE
Riflessioni Bibliche
1. Incontrare Maria nella Bibbia
11
2. Il Verbo si incarna in Maria
23
3. La custodia di S. Giuseppe nei Vangeli
29
4. Maria, la donna della solitudine feconda
35
5. Maria nel dialogo della compassione
43
6. Madre di Gesù presso la croce
47
7. Maria, la donna del tempo
53
8. Porta fidei: Ragione e cuore nell’atto della fede
59
9. La Madre del Signore e l’Eucaristia
65
10. Maria, icona biblica della carità
71
11. La crescita umana favorita da Maria
83
12. Maria e l’accoglienza della povertà
89
13. Maria, la madre della gioia
95
14. La Madre di misericordia
101
15. Modello della fede nella nuova alleanza
109
277
SECONDA PARTE
Riflessioni Teologiche
16. Maria, madre del Signore:
Una luminosa esistenza teologica
121
17. Maria fra umanità e chiesa
137
18. L’esperienza mariana di Dio
all’interno sulla Parola di Salvezza
145
19. Con Maria accanto alla Croce del Figlio
157
20. Maria: Distacco o Unità?
169
21. La Vergine Maria: Creatura Responibile
dinanzi a Dio e agli uomini
22. Maria collocata nell’eternità di Dio
181
191
23. Cooperazione e Servizio al disegno di Dio
199
24. Lo Spirito che guida alla Verità tutta intera
209
25. Il Pellegrinaggio della fede
verso la pienezza del mistero
26. La Salute: Un bene prezioso
da custodire guidati da Maria
219
229
27. Le nostre povertà si confrontano con Maria
239
28. Difficoltà e attualità di un titolo mariano:
«Causa Nostræ Lætitiæ»
249
29. Il bisogno umano di misericordia e Maria
259
30. Una vitale complicità per una nuova creazione 269
Indice
278
277
Finito di stampare il 15 settembre 2017,
Solennità della Beata Maria Vergine Addolorata, con i tipi
dell’Istituto della ‘New Shenbagam Offset Press’.
Sivakasi, India.