METODO, Nr. 37 — Marzo 2021
FILIPPO VERRE
Le grandi infrastrutture di Recep Tayyip Erdoğan
1. Introduzione
Nel 1745 il filosofo Montesquieu identificava il dispotismo
come il sistema di governo vigente in Turchia, Russia e Cina,
oltre che nella Francia del Re Sole. Quasi tre secoli dopo, le
condizioni istituzionali dei primi tre Paesi sono rimaste sostanzialmente identiche, con le dovute differenze politico-evolutive. A parte la Francia, infatti, che è divenuta la culla della
civiltà democratica occidentale a seguito della rivoluzione del
1789, la situazione attuale per ciò che concerne queste sopraccitati Paesi non risulta molto diversa da quanto osservato dal
grande pensatore francese.
La Turchia odierna è solo nominalmente un Paese demoRecep Tayyip Erdoğan
cratico. A tal riguardo, è interessante fare riferimento ad un’im(n. 1954, presidente dal 2014)
portante dichiarazione che Mustafa Kemal Atatürk, il più
grande capo turco del sec. XX, rilasciò nel 1929 qualche anno dopo essere divenuto il capo
indiscusso dello Stato-nazione sorto dalle ceneri dell’Impero ottomano. Egli, profeticamente, disse: «Se riuscirò a vivere altri quindici anni potrò fare della Turchia una democrazia.
Se muoio prima, ci vorranno tre generazioni»1. Come si sa, il padre della patria turca morì
nel 1938 di cirrosi epatica e non fu in grado di traghettare Ankara verso l’adozione di un
pieno sistema democratico. Ad onor del vero, anche se egli fosse vissuto più di quindici
anni la Turchia non sarebbe divenuta una democrazia, né sarebbero bastate tre generazioni
perché i discendenti dell’impero di Osman assorbissero efficacemente le dottrine democratiche occidentali. La Turchia non è mai stata una democrazia e, a meno che non si voglia
ridurre tale concetto alla semplice vittoria delle elezioni, non
lo sarà nemmeno nel futuro prossimo.
Al momento, il leader indiscusso del panorama istituzionale
è Recep Tayyip Erdoğan, capo dello Stato ed ex primo ministro per ben tre mandati consecutivi, dal 2003 al 2014. In passato egli ha ricoperto anche il prestigioso incarico di sindaco
di Istanbul (1994-1998), la più importante città turca nonché
una delle metropoli più iconiche a livello culturale e storico del
contesto globale. Erdoğan è stato più volte tacciato dalla
stampa e dagli analisti geopolitici occidentali di condurre una
politica improntata al neo-ottomanismo (Yeni Osmanlıcılık), soprattutto per quanto riguarda la gestione dei rapporti con i Paesi
limitrofi. In particolar modo, ciò che ha preoccupato le canMustafa Kemal Atatürk
cellerie e le diplomazie europee è stata la politica estera aggres(1881-1923-1938)
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siva del presidente turco, il quale ha adottato una strategia improntata ad un attivismo spregiudicato, spesso a discapito della stabilità geopolitica mediorientale. La crescita dell’influenza politica di Ankara nel Vicino Oriente è stata una delle principali preoccupazioni,
strettamente connessa alla spinosa questione dei rifugiati siriani presenti in Turchia2. Questa
situazione ha contribuito ad aumentare la tensione tra Ankara e l’Unione Europea, dal momento che il leader turco ha più volte sfruttato la questione migratoria per ottenere fondi
economici di supporto alla gestione del capitale umano fuggito in Turchia.
In virtù della storia recente, quando si fa riferimento al capo dello Stato turco spesso si
adotta un atteggiamento improntato all’analisi dei rapporti esteri o, ancor più, viene studiata
la già menzionata strategia neo-ottomana volta al progressivo ritorno dell’influenza turca
sullo scacchiere mediorientale. Poco spazio viene dedicato alla politica interna o all’approfondimento dei motivi per cui Erdoğan riscontri un cospicuo seguito in patria nonostante
il comprensibile ostracismo occidentale. Nell’articolo si desidera di esaminare le principali
cause del gradimento che i Turchi rivolgono verso il loro leader. Come detto, Turchia e democrazia non vanno proprio di pari passo; tuttavia, sarebbe oltremodo fuorviante sostenere
che Erdoğan guidi il Paese con il pugno di ferro o tramite l’utilizzo di una feroce macchina
repressiva. Certamente, la conclamata ostilità verso la stampa e le opinioni giornalistiche
avverse al regime rendono la Turchia un Paese illiberale; ciononostante, i cittadini eredi
della Sublime Porta nutrono grande fiducia nel loro leader, apprezzano chi li guida ancorché
non sia avvezzo allo scambio democratico, alla critica e alla rappresentatività parlamentare.
Contrariamente a quanto si possa pensare, la principale causa del sostegno di cui gode Erdoğan non proviene dalle spregiudicate ed ardimentose azioni di politica estera ma dalle
misure interne, spesso poco studiate dagli analisti occidentali. In concreto, uno degli aspetti
essenziali su cui si basa il mantenimento del consenso soprattutto sul fronte interno è dettato dal poderoso sviluppo delle infrastrutture pubbliche turche. Fin dal suo insediamento,
il leader dell’AKP3 ha profuso molte delle sue energie nel miglioramento e nell’ammodernamento di strade, ferrovie, ponti, viadotti e quant’altro allo scopo di migliorare le condizioni
di vita dei suoi cittadini e di incrementare la crescita economica nazionale. Questa strategia
ha avuto dei riscontri molto positivi, vista soprattutto la cronica mancanza di adeguate infrastrutture che ha caratterizzato sia l’Impero ottomano sia la Turchia del sec. XX.
Nella prima parte dell’articolo si porrà l’accento sulla figura politica di Erdoğan e sul
motivo per cui molti Turchi lo considerino adatto a guidare il Paese. In questa fase, verrà
effettuato uno studio sulle principali politiche di sviluppo infrastrutturale adottate dal capo
dello Stato nel periodo che va dal 2001 al ’13, quando era ancora ‘semplicemente’ primo
ministro. Di poi si analizzerà l’audace strategia di Erdoğan volta a rendere la Turchia uno
Stato dotato di un comparto infrastrutturale moderno e competitivo. Dopo essere diventato
capo dello Stato, a partire dal 2017 il leader dell’AKP ha intrapreso una serie di progetti innovativi che hanno accresciuto in maniera sensibile il suo tasso di gradimento presso il popolo turco. Per citare due casi, si tenga presente il nuovo aeroporto internazionale di
Istanbul ed il secondo canale (artificiale) sul Bosforo (il Kanal İstanbul). Tali ‘grandi opere’
esercitano un grande influsso sull’opinione pubblica turca, probabilmente in misura persino
maggiore di una campagna militare in Siria o di una guerra di comunicazione con l’UE.
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2. Lo sviluppo infrastrutturale come strumento per accrescere il consenso interno
La figura dell’uomo solo al comando è stata ed è tutt’ora l’essenza istituzionale della
Turchia post-ottomana. Lo stesso Atatürk, dopo aver riconquistato l’Anatolia ed Istanbul
dalle mire predatorie europee, armene e greche4, elaborò uno Stato altamente improntato
alla centralizzazione e al controllo dirigistico. Il risultato fu che la nuova Turchia adottò
una struttura il cui perno risiedeva nel potere di Ankara e in misura molto ridotta nelle 81
divisioni territoriali in cui venne suddiviso il nuovo Stato. Questo schema organizzativo
rappresentava l’esatto opposto della filosofia gestionale ottomana, secondo la quale le province dell’impero (i vilayet) oltre a godere di una significativa autonomia, esercitavano funzioni burocratiche e giuridiche con una certa libertà dalla supervisione di Istanbul. Questa
organizzazione amministrativa salvaguardò per secoli le molteplici comunità etniche che
facevano parte dell’Impero ottomano, dal momento che un forte controllo centro-periferie
avrebbe reso di fatto impossibile la convivenza di popoli e culture tra loro molto diversi.
In chiara antitesi col passato, la Turchia disegnata da Atatürk consegnò ai ministeri con
sede ad Ankara il pieno controllo del Paese. Conseguentemente, la Turchia risulta ancora
oggi uno degli Stati più centralizzati del mondo.
Per funzionare correttamente, questa struttura imperniata sulle funzioni governative
centrali richiede una figura se non autoritaria quantomeno altamente incline a servirsi di
politiche accentratrici, con pochissimo spazio per deleghe di potere o rappresentanze democratiche. L’avvicendamento incruento dei capi attraverso elezioni sul modello occidentale mal si addice ad un modello così dirigistico, soprattutto se si fa riferimento al carattere
paternalistico con cui i capi turchi spesso si presentano alla cittadinanza. Non è un caso,
infatti, che Mustafa Kemal sia divenuto Atatürk, ovvero ‘padre dei Turchi’ o che lo stesso
Erdoğan sia solito essere apostrofato con l’appellativo Tayyip Baba (padre Tayyip), in un
chiaro tentativo di identificare nella sua dirigenza una guida rassicurante. La società turca
ha sempre storicamente vissuto il rapporto col potere tramite questa visione sostanzialmente paternalistica, dove il capo ed il popolo si trovano legati non tanto da una congiuntura elettorale frutto di un voto democratico ma da un legame di fiducia che si instaura tra
un individuo ritenuto affidabile e la comunità che gli si affida. In questo peculiare sistema,
le elezioni altro non sono se non un timbro di ufficialità, ovvero sanciscono anche a livello
pubblico la direzione di un capo già affermato. In Turchia non si diventa un capo perché
si vincono le elezioni; si vincono le elezioni perché si è (già) un capo5.
Erdoğan rappresenta l’epitome del capo turco. A partire dai primi anni 2000, quando ricoprì per la prima volta l’incarico di primo ministro, è diventato il protagonista principale
del panorama istituzionale di questo Paese a cavallo tra Europa ed Asia. Sulle orme di Atatürk, al quale peraltro lui si ispira, Erdoğan ha ulteriormente proseguito nell’opera di centralizzazione dello Stato. La struttura di governo da lui presieduta assume figurativamente
i caratteri di un monolite, al cui vertice egli stesso risiede coadiuvato da una pletora di funzionari legati sia all’AKP, il suo partito, sia alla sua persona. Come in precedenza accennato,
il suo tasso di gradimento presso il popolo è significativamente ampio, come tutti i grandi
capi turchi del passato. Questa sua considerevole popolarità in patria viene spesso attribuita
al carattere pugnace e rivendicativo che la politica estera turca ha assunto dopo la sua discesa
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in campo. Ed in effetti, stando alle recenti operazioni militari in Siria e all’attivismo geopolitico dimostrato in scenari extra continentali6, la Turchia è tornata protagonista nello scacchiere geopolitico mediorientale e nordafricano. In questa ottica, preme fare riferimento
alle quattro importanti campagne belliche organizzate da Ankara sul suolo siriano, dove a
partire dal 2016 la presenza dei militari turchi è via via andata crescendo7. Questa aggressività sul fronte meridionale ha indubbiamente accresciuto in maniera ulteriore la popolarità
di Erdoğan, il quale è divenuto agli occhi della popolazione il simbolo della rinascita turca
in chiave neo-ottomana. Per comprendere i motivi di cotanto apprezzamento si tenga presente che la Siria ed il Medio Oriente in generale rappresentano per i Turchi il ‘cortile di
casa’, un’area geografica dove fino a poco più di un secolo fa le autorità giudiziarie, burocratiche e civili erano ottomane. Trattandosi di un popolo estremamente nazionalista, nostalgico di un passato non così lontano, risulta evidente quanto il ritorno dell’influenza di
Ankara nella regione sia salutato con favore da parte di molti cittadini.
Tuttavia, il prezzo da pagare in termini di capitale umano risulta spesso elevato. Le operazioni in Siria, infatti, sono delle vere e proprie campagne militari, dove le forze turche si
sono di volta in volta scontrate con l’esercito libero siriano, con i terroristi dell’ISIS8 e con
i Curdi, i quali risiedono nella parte settentrionale della Siria (Rojava). Proprio contro questi
ultimi le truppe di Ankara hanno rivolto le principali attenzioni, temendo che una enclave
curda in Siria potesse fornire appoggio logistico ai confratelli curdi residenti in Turchia. In
passato, infatti, la Siria aveva già fornito un supporto rilevante ai dissidenti del PKK e ad
Öcalan in persona, il fondatore del partito, il quale a partire dal 1979 si rifugiò a Damasco
per circa venti anni, fino al 1998.
Per quanto possa essere efficiente e tecnologicamente avanzato9, l’esercito turco ha subito ingenti perdite negli ultimi anni. A tal riguardo, il 28 febbraio 2020 sono stati uccisi
più di 35 soldati in seguito ad un raid di rappresaglia condotto dall’aviazione di Damasco.
Si è trattato di un bilancio pesantissimo, una vera e propria strage commessa peraltro in un
solo giorno di combattimenti. La costante perdita di vite umane a causa dei conflitti in Siria
rappresenta un problema per Erdoğan e per la sua dirigenza a carattere paternalistico. Da
un lato, infatti, le opposizioni attaccano direttamente il presidente accusandolo di mettere
a repentaglio la vita dei soldati in spregiudicate azioni militari oltreconfine. Il CHP – Partito
Popolare Repubblicano, principale partito di opposizione – ha ripetutamente criticato la
guida del capo dello Stato, ritenuto troppo avventato in politica estera ed incurante della
salute dei militari. Dall’altro, anche il popolo ha, per così dire, accusato il colpo, specialmente
dopo la predetta strage di soldati. La retorica incentrata sul concetto di Tayyip Baba, ovvero
sulla intrinseca fiducia che i Turchi dovrebbero riporre nel loro capo in virtù del suo paternalistico approccio al bene del Paese, si dissolve inesorabilmente quando gli stessi figli
della patria periscono in maniera copiosa.
Per cui, l’aggressività sul fronte geopolitico può rivelarsi un’arma a doppio taglio, specialmente quando i successi tardano ad arrivare o quando le perdite militari si fanno ingenti.
Dall’alto della sua esperienza in seno alle istituzioni, Erdoğan è perfettamente consapevole
di ciò; non si può scommettere sulla politica estera, per di più se la suddetta viene approcciata con l’ars militaris e non con la sottile arma della diplomazia, certamente più salvifica
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in termini di vite umane ancorché meno propagandisticamente spendibile. Per questo, il
capo dello Stato turco ha puntato su altri strumenti per accrescere il suo gradimento sulla
popolazione civile. In particolar modo, fin dai suoi primi anni di governo il capo dell’AKP
ha incentrato gran parte delle politiche di sviluppo sul miglioramento delle infrastrutture
del Paese, vero tallone d’Achille della Turchia pre e post-ottomana.
La mancanza di adeguati servizi di comunicazione era un evidente problema anche per
la Sublime Porta. I primi chilometri di binari e traversine vennero realizzati tra le città di
Smirne (İzmir) e Aydın, con un progetto che si trascinò stancamente dal 1856 al 186710. I
regnanti che iniziarono ad occuparsi dello sviluppo di efficienti strade ferrate furono Abdülaziz I (r. 1861-76), il quale si recò per la prima volta in visita nelle principali capitali europee proprio in treno, e Abdülhamid II (r. 1876-1909). Quest’ultimo aveva molto a cuore
l’estensione capillare delle ferrovie, in particolar modo allo scopo di estendere il proprio
potere sui domini più remoti dell’impero, là dove la sua autorità era più nominale che reale.
Tra il 1882 ed il 1908 l’imperatore fece costruire stazioni ferroviarie e banchine nelle province arabe, per collegare in maniera più efficiente le regioni abitate in massima parte da
individui di fede musulmana. In quel periodo storico si stima che furono realizzati circa
2.350 km di ferrovie in Siria e nell’Hejaz11; al contempo, uno sviluppo simile anche se in
misura minore da un punto di vista quantitativo si verificò in Anatolia, dove durante lo
stesso arco di tempo vennero realizzati circa 1.850 km di strade ferrate. La ridotta costruzione di binari nella penisola anatolica rispetto alle province meridionali fu dovuta, da un
lato, al carattere aspro del territorio, caratterizzato da altissime montagne, gole profonde e
intricate foreste; dall’altro, alla precisa volontà governativa di favorire le province musulmane. Abdülhamid II, infatti, era un fervente religioso, tanto che durante tutto il suo regno
adottò un approccio pan-islamico. Egli scelse questa strategia per unificare a livello ideologico Turchi ed Arabi nella lotta contro le potenze europee, ritenute dal sultano non a
torto responsabili delle numerose decurtazione territoriali di cui era stato vittima l’impero
fin dalla metà del XIX secolo12.
La più celebre linea ferroviaria ottomana fu realizzata in stretta collaborazione tra Turchi
e Tedeschi. La famosa Berlino-Bagdad, un audace progetto fortemente voluto dai teutonici
iniziato nel 1904 e terminato otto anni più tardi, nel
1912. In quegli anni, i rapporti tra la Sublime Porta
ed il Reich di Guglielmo II (r. 1888-1918) erano
molto stretti, sia da un punto di vista economico sia
politico-militare. Tali benevole relazioni vennero ulteriormente migliorate a partire dal 1908, in seguito
alla presa del potere da parte dei Giovani Turchi,
una organizzazione nazionalista capitanata dal
triumvirato composto da Enver, Talat e Cemal.
Questi ultimi furono i principali responsabili della
creazione di un vero e proprio asse Berlino-IstanLa Berlino-Istanbul-Baghdad
bul, per il quale l’Impero ottomano si schierò con
(https://www.huffpost.com/entry/this-week-in-world-warle potenze centrali nella I Guerra Mondiale13.
i_b_6871470)
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L’opera di rinnovamento infrastrutturale inaugurata durante il regno hamidiano costituì
il primo significativo intervento posto in essere da un sovrano nell’ottica di sviluppare una
soddisfacente rete di comunicazione pubblica. Per ulteriori misure in tal senso si dovette
attendere la fine della Grande Guerra e la successiva dissoluzione dell’Impero. Nel 1933,
nel decimo anniversario della fondazione della Repubblica di Turchia, i kemalisti cantavano:
«abbiamo intessuto l’intera madrepatria con maglie di ferro»14. Lo sviluppo delle vie di comunicazione ed in particolare delle ferrovie ebbe sempre un posto di primo piano nell’agenda del primo presidente Mustafa Kemal, futuro padre dello Stato turco. Egli,
correttamente, riteneva che la costruzione di efficienti strade ferrate fosse imprescindibile
per lo sviluppo del giovane Stato, soprattutto dell’arretrata ed impervia Anatolia. Nel 1923,
i chilometri complessivi di binari ammontavano a 4.137. Nel 1938, alla morte di Kemal ne
erano stati aggiunti circa 2.012 mentre altri 1.215 vennero completati nel quinquennio successivo15. Alla vigilia della Seconda Guerra mondiale la Turchia poteva così contare su un
totale di 7.364 chilometri di strade ferrate, un dato significativo se raffrontato allo sviluppo
del comparto infrastrutturale mediorientale dell’epoca.
La visione progressista di Atatürk aveva dato l’abbrivio per un cospicuo investimento
pubblico nella realizzazione di ferrovie e stazioni in tutto il Paese. Tuttavia, nei decenni
che seguirono alla sua dipartita, Ankara non proseguì sul sentiero tracciato dal suo defunto
capo; infatti, lo sviluppo ferroviario nazionale subì un progressivo rallentamento che fu
accompagnato, ed in parte cagionato, dal crescente sviluppo della rete stradale e dalla progressiva diffusione dei trasporti su gomma. Per citare un dato emblematico di questa situazione, si tenga presente che nel 2002, ovvero ben 64 anni dopo la morte di Kemal, il
chilometraggio dei binari ammontava a 10.959, ovvero solo il 49% in più rispetto ai risultati
delle politiche di sviluppo adottate prima del secondo conflitto mondiale. Proprio dopo il
2002, cioè da quando il Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) fondato nel 2001 da Erdoğan aveva ottenuto il potere, la costruzione di stazioni e binari riprese con una certa assiduità. Come detto, infatti, Tayyip Baba aveva ed ha tutt’ora molto a cuore lo sviluppo delle
infrastrutture, soprattutto per quanto riguarda il comparto legato alle ferrovie. Questa visione strategica è testimoniata anche dai dati: in circa di dodici anni, ovvero tra il 2003 ed
in 2015 il chilometraggio delle ferrovie convenzionali è cresciuto del 19%16. Svariate nuove
linee convenzionali sono in costruzione in varie parti della Turchia, tra Ankara e Sivas (Sebastia), tra quest’ultima e Erzincan (Arzinga), tra Kars e il confine georgiano e in diverse
regioni del Paese17.
Oltre a ciò, la linea politica dettata da Erdoğan ha avuto come obiettivo quello di potenziare l’alta velocità, poco presente in Turchia prima dell’avvento dell’ex sindaco di Istanbul
al potere. Tra il 2002 ed il 2014 sono stati costruiti 1.213 chilometri di linee ferroviarie veloci. Il target che il governo si è posto per il 2023, che coinciderà con il centenario della
fondazione della Repubblica, sarà di circa 25.000 chilometri complessivi di ferrovie, di cui
ben 12.000 ad alta velocità. Proprio quest’ultima esercita un fascino molto significativo sul
capo dello Stato, dal momento che oltre a velocizzare sensibilmente lo spostamento di persone e merci, rappresenta la cifra dell’effettivo progresso infrastrutturale di un Paese moderno. Per fare un raffronto, in Italia al momento su circa 18.000 chilometri di ferrovie
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totali, poco più di 1.100 sono interamente dedicati all’alta velocità18. In questa ottica, si
tenga presente che la superficie della nostra penisola (301.000 km²) è molto più ridotta rispetto alla Turchia (783.500 km²); tuttavia, questo dato la dice lunga sulle intenzioni turche
di procedere a passo spedito verso una progressiva ‘ferrizzazione’ delle proprie vie di comunicazione.
Lo sviluppo di una moderna rete ferroviaria ha dato il via ad un decennio di grande crescita economica in Turchia. Dopo l’avvento di Erdoğan sulla scena politico-istituzionale si
è avuto un periodo di grande dinamicità, causata in massima misura proprio dalla mobilità
aumentata in seguito ai grossi investimenti fatti a livello infrastrutturale. In poco più di
dieci anni, infatti, il reddito pro capite si è triplicato; inoltre, grazie alla buona gestione del
debito pubblico, il tasso di interesse sullo stesso era crollato dall’85% al 15%, causando
un’impennata del flusso degli investimenti di circa quaranta volte19. La presenza di capitali
nazionali e stranieri ha favorito ingenti progressi anche nel settore di sanità, urbanistica e
industria. Tutto ciò, a seguito anche del miglioramento nella distribuzione del reddito, comportò un notevole esodo dal settore agricolo a quello industriale, con conseguente aumento
occupazionale per quanto riguarda le fasce più giovani della popolazione turca.
La crescita economica registrata in Turchia a partire dal 2002 è stata effettivamente significativa. Secondo i criteri delle Nazioni Unite, la classe media turca in seguito alle politiche adottate dal capo dell’AKP era balzata dal quarantunesimo al ventesimo posto globale20.
In sostanza il disegno politico di puntare sul miglioramento della rete infrastrutturale aveva
dato i suoi frutti. Il bilanciamento tra la politica estera aggressiva sul fronte mediorientale
e lo sviluppo delle infrastrutture sul piano interno aveva garantito ad Erdoğan un altrettanto
rilevante aumento di popolarità in patria. Tuttavia, come spesso analizzato in Occidente,
questo gradimento non era (soltanto) frutto della rinnovata presenza di Ankara nell’ex
Medio Oriente ottomano; al contrario, l’attivismo militare se da un lato nel breve periodo
può essere fautore di un incremento dell’orgoglio nazionale, soprattutto in un popolo nostalgico e fiero come quello turco, dall’altro ha degli effetti collaterali evidenti. La morte
dei soldati, le possibili sconfitte21 e le ingenti risorse economiche necessarie alla prosecuzione di operazioni belliche possono mettere a repentaglio, nel lungo periodo, la reputazione politica di un capo fortemente amato come Erdoğan. D’altro canto, il miglioramento
delle infrastrutture non ha nessun effetto collaterale; al contrario, come si è visto, l’ammodernamento delle vie di comunicazione ferroviaria ha trainato la poderosa crescita economica che ha visto protagonista la Turchia dal 2002 al 2014. Proprio questa crescita è alla
base del grande consenso di cui il leader turco gode presso vari segmenti della società; egli
è stato in grado non solo di accelerare la costruzione di infrastrutture chiave per l’economia
di Ankara, ma ha incrementato in maniera significativa il potere d’acquisto di milioni di
Turchi. Tutto ciò, ancor più dell’accresciuta presenza turca nel ‘cortile di casa’ mediorientale,
ha assicurato all’attuale capo di Stato una massiccia dose di popolarità entro i confini patri.
3. I grandi progetti infrastrutturali di Erdoğan: alla ricerca dell’immortalità
Il 2017 è stato un anno fondamentale per la storia recente della Turchia e per il suo controverso leader. Il 16 aprile di quell’anno, infatti, si è tenuto un importante referendum co[13]
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stituzionale che, a seguito di una stringata vittoria (51,41-48,59%) ha conferito carattere
presidenziale allo Stato. Le principali ragioni per i sostenitori della riforma riguardavano la
stabilità istituzionale che sarebbe derivata in seguito all’adozione di una forma di Stato di
tipo presidenziale, visto che dagli anni Sessanta fino al secondo decennio degli anni Duemila
vari governi di coalizione si erano alternati in maniera disordinata alla guida del Paese22. Di
contro, gli oppositori annunciavano che un tale significativo cambio istituzionale avrebbe
conferito un eccessivo potere nelle mani di un unico individuo, garantendo un’autorità
quasi assoluta al Presidente dello Stato.
La vittoria ottenuta in quello storico 16 aprile ha di fatto sancito la definitiva consacrazione di Erdoğan come leader turco di questa fase storica. Secondo vari accademici ed analisti, la scena istituzionale turca a seguito del referendum costituzionale avrebbe preso una
decisiva deriva di tipo ‘putiniano’. La nuova Turchia presidenziale ha molte più caratteristiche affini alla Russia guidata dall’ex membro dei servizi segreti sovietici che ad una moderno Stato democratico, al cui interno vigono principi riconducibili all’alternanza ciclica
e al principio di rappresentanza elettorale. Proprio Vladimir Putin, infatti, è diventato il
modello politico di riferimento nella fase post-referendaria; ciò è testimoniato dal progressivo avvicinamento tra Ankara e Mosca verificatosi negli ultimi anni, nonostante alcuni episodi di notevole tensione23. A riprova della inesorabile putinizzazione di Erdoğan, ancora
prima del referendum nel maggio 2015 l’ex primo ministro turco dichiarò: «Non fatemi
fare come Putin, che ha minacciato di confiscare gli asset agli imprenditori che non volevano investire nell’economia russa»24.
Inevitabilmente, il presidenzialismo erdoganiano post-referendum ha incrementato il
carattere autoritario delle istituzioni turche. Dopo il fallito colpo di Stato del luglio 2016,
tra l’altro, il leader dell’AKP ha provveduto a sbarazzarsi di diverse centinaia di oppositori
politici, giudici e giornalisti che avrebbero potuto costituire una minaccia al suo governo.
Per cui, il combinato disposto delle misure adottate in seguito al fallito golpe e la vittoria
del referendum costituzionale hanno di fatto reso la Turchia una democrazia fortemente
illiberale, al cui interno lo spazio per il dissenso è sempre più scarso e flebile. Il popolo
turco, seppur abituato al dirigismo spesso autoritario da parte dei propri capi, ha assistito
a questa ennesima svolta con malcelata preoccupazione. Un conto, infatti, è la presenza di
governanti eccentrici e di partiti poco inclini a condividere le decisioni con altre forze politiche; un altro è la modifica della Costituzione in senso decisamente più accentratore, le
forti agitazioni interne (tentativi di colpi di mano) e lo Stato di polizia venutosi di fatto a
costituire dopo le disposizioni di sicurezza adottate da Erdoğan per far fronte ai dissidenti.
In risposta al clima di inquietudine che si è diffuso in Turchia, Tayyip Baba ha ancora una
volta deciso di puntare sulla realizzazione di moderne infrastrutture. Tuttavia, in questo
caso non si è limitato a finanziare la costruzione di ferrovie, banchine e stazioni, ancorché
indispensabili per la dinamicità economica di un Paese moderno. Il capo dello Stato ha optato per qualcosa di decisamente più appariscente. Prima di procedere all’analisi dei progetti
infrastrutturali proposti dal capo dell’AKP in questa seconda fase della sua vita politica si
tenga presente che Erdoğan, come tutti i capi semi-assoluti, ha un ego smisurato, un’altissima concezione di sé stesso e una tendenza innata a personalizzare le relazioni geopolitiche.
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Egli si considera l’Atatürk del Ventunesimo Secolo, colui il quale traghetterà la Stato turco
da un sereno anonimato ad una nuova era di splendore in Medio Oriente e progresso in
patria. Per far ciò, il potenziamento della rete ferroviaria non è sufficiente; può senza dubbio
essere l’inizio di un percorso che deve però inevitabilmente condurre alla realizzazione di
infrastrutture ben più maestose, atte a consacrare agli occhi della Turchia e del mondo la
sua grandezza visionaria.
Per prima cosa, oltre alla costruzione di moderne ferrovie, il nuovo capo dello Stato ha
provveduto ad incrementare in maniera significativa anche la rete autostradale del Paese.
Nel giro di pochi anni i progressi fatti in tal senso sono stati a dir poco sbalorditivi. I chilometri di strade a percorrenza veloce ereditati dalle prime esperienze di governo a guida
AKP (2002-2010) ammontavano a circa 6.100. Questo dato, già nel 2017 risultava quasi quadruplicato, essendosene aggiunti ben 17.615, portando il totale a 23.71525. In conseguenza
di ciò, la viabilità e la comunicazione inter-cittadina è fortemente aumentata; se nei primi
anni Duemila i grandi agglomerati urbani toccati dalla rete autostradale erano appena sei,
in seguito alla costruzione dei progetti realizzati dai gabinetti presieduti da Erdoğan le città
che hanno beneficiato di questi sviluppi sono state ben 69, portando le città turche collegate
ad una efficiente e moderna autostrada a 75. Questa svolta progressista si è verificata soprattutto sul versante anatolico, storicamente molto meno sviluppato sotto tutti i parametri,
da quello economico a quello infrastrutturale appunto26. Ciò ha significato un grande sviluppo dell’ingegneria civile, dal momento che sono stati realizzati decine di ponti, viadotti
e gallerie allo scopo di mettere in comunicazione città separate tra loro da ingenti ostacoli
naturali. L’Anatolia, come si sa, è un territorio selvaggio ed in larga parte montuoso, decisamente ostico se si ha in mente di costruire autostrade o ferrovie. Nonostante tale situazione, i miglioramenti annunciati dalla dirigenza al potere non si sono fatti attendere. Se
nel 2005 i chilometri di tunnel erano a malapena una cinquantina, al momento il dato risulta
essere più che quintuplicato, dovendosi infatti aggiungere circa 210 chilometri di gallerie al
precedente elenco, con altri ancora in costruzione.
Il dinamismo dell’ingegneria civile turca di questi ultimi anni ha avuto un importante
seguito anche nella progettazione delle cosiddette ‘grandi infrastrutture’. Proprio in questo
campo, infatti, Erdoğan ha in mente di realizzare una serie numerosa di opere dal forte impatto visivo, allo scopo di stimolare nel popolo turco il mai sopito orgoglio nazionale. Il
capo dello Stato, sul solco tracciato dalla costruzione di ferrovie efficienti e dall’ammodernamento della rete autostradale, si è posto come obiettivo quello di rendere la Turchia un
Paese all’avanguardia dal punto di vista delle grandi opere. In tale ottica, proprio all’AKP va
il merito di aver portato a termine il terzo ponte sul Bosforo, a Istanbul, dopo decenni di
stancanti lavori. Il primo ponte venne realizzato nel 1973, sotto il governo dell’amm. Fahri
Sabit Korutürk (pres. 1973-1980), mentre il secondo fu ultimato nel 1989, quando lo storico
leader di origine curda Halil Turgut Özal (pres. 1989-1993) era al potere. Tuttavia, nonostante
la presenza di ben due ponti, per tutti gli anni Novanta il traffico ha rappresentato un evidente problema per la metropoli turca, trattandosi di un agglomerato urbano molto esteso
con circa 20 milioni di cittadini spalmati sulle sponde europee ed asiatiche. Secondo alcuni
esperti, proprio a causa del persistente traffico cittadino, i Giochi Olimpici del 2020 sareb[15]
METODO, Nr. 37 — Marzo 2021
bero stati assegnati a Tokio e non ad Istanbul, causando un enorme danno di immagine
non solo all’ex capitale ottomana ma anche ai sogni di gloria di Tayyip Baba27.
In seguito alla mancata assegnazione delle Olimpiadi, i lavori per l’edificazione del terzo
ponte sul Bosforo ripresero a passo spedito. Quest’opera, situata in una posizione più defilata rispetto agli altri due, è stata progettata all’imboccatura settentrionale del Bosforo,
nelle vicinanze del Mar Nero. Questa inusuale decisione venne dettata da diversi fattori,
uno su tutti dalla necessità di inglobare il ponte stesso in una nuova autostrada lunga circa
190 chilometri, la North Marmara Highway. Così facendo, si cercava di porre rimedio all’annosa questione relativa al traffico dei mezzi pesanti,
che in precedenza erano costretti ad attraversare
Istanbul per portare a termine il loro percorso. Con
un’unica grande opera Erdoğan aggiunse altri 200
chilometri al crescente elenco delle autostrade nazionali e risolse in larga parte la congestione cittadina dovuta alla circolazione in città di grandi
autoarticolati. Un discreto ritorno d’immagine per
(www.cctinvestments.com/wp-content/uploads/
2015/01/Northern-Marmara-Motorway.jpg)
il presidente, il quale fu in grado di tramutare una
sconfitta, la mancata assegnazione dei Giochi Olimpici del 2020, in una vittoria morale del
popolo turco, segnatamente dei cittadini istanbulioti.
Il terzo ponte costruito nell’ex capitale della Sublime Porta venne ribattezzato Yavuz Sultan Selim, in onore del sovrano ottomano a cui si deve la vittoria sui Mamelucchi nel 1517,
viatico verso l’occupazione dei luoghi santi dell’islam e del titolo califfale spettante di diritto
ai loro custodi28. La scelta del nome non è stata fatta a caso. Erdoğan è molto attento al
(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/8/86/Yavuz_Sultan_Selim_Bridge_(30881432865).jpg/1200pxYavuz_Sultan_Selim_Bridge_(30881432865).jpg)
[16]
METODO, Nr. 37 — Marzo 2021
simbolismo e al fascino che gli imperatori discendenti dalla casata di Osman ancora oggi
esercitano sui Turchi, soprattutto i primi regnanti artefici dell’espansione ottomana in Europa, in Medio Oriente ed in Africa. Costata tre miliardi di dollari ed inaugurata il 26 agosto
2016, quest’opera rappresenta un vero e proprio capolavoro ingegneristico-architettonico.
Si tratta infatti dell’unico ponte al mondo del tipo sospeso-strallato a ospitare sul proprio
impalcato un’autostrada a otto corsie (quattro per ciascun lato) separato da due linee ferroviarie. Inoltre, forte dei suoi 59 metri, è il più lungo ponte sospeso al mondo ed è quello
con le torri a forma di «A» più alte29. Questo grande ponte, peraltro, è stato realizzato anche
grazie al contributo del Gruppo Ansaldi di Roma, uno dei general contractor assegnatari del
progetto30. Il terzo ponte sul Bosforo rappresenta una delle molte imprese messe in cantiere
dalla dirigenza turca.
Altre grandi strutture di questo tipo sono state realizzate in questi anni e non solo ad
Istanbul. Il primo luglio 2016 è entrato in funzione ufficialmente il ponte Osman Gazi, bat-
(www.nurolinsaat.com.tr/wp-content/uploads/2017/07/osmangazi-koprusu-projesi.jpg)
tezzato in onore del fondatore della dinastia ottomana vissuto a cavallo dei secoli XIII e
XIV. Costata 1,3 miliardi di dollari e portata a termine dalla compagnia giapponese IHI Corporation, questa grande opera ha una campata di 1.550 metri e permette di ‘tagliare’ il Golfo
di İzmit nel punto più stretto, evitando in tal modo la città tristemente nota per il violento
terremoto del 199931. Ancora, nell’estate 2015 venne inaugurato un altro grande ponte sospeso sullo Stretto dei Dardanelli, non molto distante dal Mar Egeo, tra la città europea di
Gelibolu (Gallipoli) e quella asiatica di Lapseki. In questo caso, la struttura non fu intitolata
ad un sultano, bensì all’ultimo successo militare della storia ottomana: la campagna dei Dardanelli del 1915 che ebbe come protagonista Mustafa Kemal contro le truppe dell’Intesa.
Esattamente a cento anni da quella vittoria, a riprova del grande simbolismo retorico adottato da Erdoğan, i Turchi hanno visto entrare in funzione una grande struttura di collega-
[17]
METODO, Nr. 37 — Marzo 2021
mento lunga 3.700 metri chiamata Çanakkale 1915, dal nome della città situata sulla parte
asiatica, teatro di intensi scontri che culminarono nel trionfo turco contro australiani, britannici, francesi, indiani, neozelandesi e terronoviani (17 febbraio 1915-9 gennaio 1916).
(https://www.emlakdanismanlari.com/wp-content/uploads/2018/03/1915-canakkale-koprusu.jpg)
La costruzione di grandi opere non si limita solo alle regioni occidentali o alla realizzazione di imponenti e vistosi viadotti. La direzione di Erdoğan ha come obiettivo anche il
completamento di una ambiziosa struttura proprio in Anatolia, la parte meno industrializzata ed economicamente sviluppata del Paese. Il capo dell’AKP ha infatti in mente la finalizzazione dello storico progetto denominato Güneydoğu Anadolu Projesi-GAP, o Progetto
dell’Anatolia Sud-Orientale. Si tratta di un complesso di 22 dighe sui fiumi Tigri ed Eufrate,
in territorio turco, per alimentare 19 centrali idroelettriche. Questi grandi corsi d’acqua, la
cui importanza per la storia dell’antica Mesopotamia è stata a dir poco centrale, nascono
entrambi dai monti anatolici situati nella Turchia sud-orientale. Già a partire dagli anni
Trenta lo stesso Atatürk era interessato allo sfruttamento energetico delle ingenti risorse
idriche di quell’area, soprattutto per garantire elettricità ed acqua corrente a milioni di Turchi
residenti nell’Anatolia sud-orientale. Il progetto attuale del GAP venne tuttavia elaborato
solo negli anni Settanta durante il governo di Fahri Korutürk, quando tecniche di costruzione più all’avanguardia consentirono l’effettiva fattibilità di un tale ambizioso progetto.
In ogni caso, i lavori si sono trascinati stancamente per decenni, senza apportare visibili
miglioramenti non solo alle condizioni di vita delle popolazioni ivi residenti ma nemmeno
da un punto di vista economico, vista la scarsità di centrali idroelettriche entrate in funzione
dopo trentacinque anni. Con l’avvento dell’AKP la situazione è decisamente cambiata. Dal
2002, ovvero da quando Erdoğan è diventato per la prima volta primo ministro, ben sette
centrali sono state portate a pieno regime, garantendo un’evidente accelerata nei lavori che
duravano da molto tempo32.
[18]
METODO, Nr. 37 — Marzo 2021
Nel corso degli ultimi anni considerevoli investimenti pubblici sono stati realizzati anche
per quanto riguarda il comparto energetico-nucleare. Tra i lavori proposti dai capi dell’AKP
figurano infatti tre centrali nucleari di ultima generazione che, una volta completate, saranno
in grado di soddisfare 15% del fabbisogno energetico del Paese. La prima di queste verrà
portata a termine nel 2023 e sarà situata ad Akkuyu, sulla costa del Mar Mediterraneo ad
ovest della città portuale di Mersin (Mersina). Con un costo complessivo di circa 22 miliardi
di dollari, sarà costruita con l’ausilio del colosso statale russo Rosatom, a testimonianza dei
buoni rapporti tra Ankara e Mosca anche sul fronte energetico33. La seconda centrale, che
avrà una tecnologia nippo-francese (nello specifico, grazie al partenariato di Mitsubishi e
GDF Suez), sorgerà sulla costa anatolica del Mar Nero, a Sinope. Tale progetto, anch’esso
previsto per il 2023, avrà un costo di circa 15,8 miliardi di dollari e sarà finanziato per oltre
il 70% in debito. Infine, per ciò che concerne il terzo ed ultimo impianto, si tratta di un
progetto ancora in fase di studio che molto probabilmente sorgerà nella parte europea non
lontano da Istanbul. Il sito prescelto dovrebbe essere il villaggio di İğneada (poco più di
2.000 abitanti al censimento del 2017) nei pressi del confine bulgaro; in questo caso, la tecnologia utilizzata dal Ministero dell’energia e delle risorse naturali turco nella realizzazione
della centrale sarà americana, con l’ausilio della Westinghouse Electric Company.
Come testimoniato da questi ultimi casi, la grande attenzione posta dal presidente turco
alle grandi opere ha carattere nazionale. Sia l’edificazione di strade, ferrovie ed impianti ad
energia atomica sia la progettazione di imponenti infrastrutture si è verificata su tutto il
territorio della Repubblica turca, allo scopo di consentire un adeguato progresso in termini
socio-economici foriero di prezioso consenso interno. Tuttavia, la destinazione prediletta
dalla nomenclatura dell’AKP per ciò che concerne la costruzione di progetti avveniristici è
senza dubbio Istanbul. Oltre ad essere la casa di 15,5 milioni di Turchi, ovvero circa un
quinto dell’intera popolazione del Paese, l’ex capitale romana, bizantina e ottomana è la
vetrina della Turchia, il luogo dove milioni di turisti occidentali si recano annualmente in
visita, la perla pregiata della gloriosa eredità imperiale. Realizzare maestose infrastrutture
ad Istanbul garantisce una visibilità significativa anche sul fronte globale, dal momento che
la sovraesposizione della città per i motivi anzidetti rappresenta un vero e proprio volano
in termini di pubblicità rivolta verso l’esterno. Così facendo, si consegue un duplice obiettivo: da un lato si ottiene un buon sostegno da parte di molti elettori34 e dall’altro si mostra
al mondo intero il progresso portato aventi dall’AKP, puntellando in maniera sottile il mai
sopito orgoglio nazionale proprio di ogni Turco.
Cum res ita sint, da qualche anno a questa parte la metropoli sul Bosforo è diventata la
destinazione principale degli ingenti investimenti pubblici volti a realizzare le grandi opere.
Il più faraonico dei progetti in tal senso è senza dubbio il Kanal İstanbul, un grande canale
navigabile parallelo al Bosforo verso il quale saranno dirottate le navi commerciali, soprattutto quelle che trasportano merci pericolose. Largo 150 metri e lungo circa 47 chilometri,
questa avveniristica infrastruttura sorgerà alla periferia occidentale della città e, tagliando
la parte più orientale della Tracia, permetterà il transito quotidiano di ben 160 navi dal Mar
Nero al Mar di Marmara e viceversa. La costruzione del canale permetterà di alleggerire il
traffico marittimo che attanaglia il Bosforo, visto che circa 150 navi giornalmente passano
[19]
METODO, Nr. 37 — Marzo 2021
dallo Stretto, ingolfando spesso il normale passaggio di mezzi anfibi. Ciò si verifica in particolare durante i mesi estivi, quando il canale attuale viene usato sovente anche da navi turistiche. Il costo totale del canale artificiale è altrettanto imponente: si parla di più di 15
miliardi di dollari. Tuttavia, secondo il progetto edilizio questa nuova appendice marina garantirà non solo il significativo alleggerimento del traffico nello Stretto, ma anche un evidente sviluppo socio-economico nell’area interessata. Lungo il canale, infatti, sorgeranno
strade, centri urbani e ben sei porti, incentivando sensibilmente l’apparato occupazionale
per decine di migliaia di cittadini istanbulioti35.
Questa grande infrastruttura darà certamente un forte abbrivio alla crescita economica
della città, senza considerare l’incremento di navi mercantili che potranno attraversare gli
Stretti evitando di attendere interminabili ore prima di transitare attraverso un trafficatissimo Bosforo. Tuttavia, molti interrogativi restano sugli effetti che il Kanal İstanbul potrà
avere sulla scena geopolitica regionale e giuridica internazionale. Innanzitutto, con il raddoppio del canale la Turchia si inserisce nel solco tracciato dall’Egitto, dove il 6 agosto
2015 la dirigenza nazionalista guidata da Al-Sisi ha provveduto ad edificare un altro canale
parallelo a quello di Suez inaugurato il 17 novembre 1869. Secondo alcuni esperti, l’opera
proposta da Erdoğan sarebbe un chiaro riferimento a quanto realizzato dal Cairo, un vero
e proprio atto di sfida non solo rivolto all’Egitto ma a tutti i Paesi che si affacciano sul Mar
Rosso. Inoltre, i traffici che inevitabilmente aumenteranno sul versante di Istanbul potrebbero far diminuire l’afflusso di navi mercantili diretti verso Suez, scatenando in tal modo
inevitabili tensioni tra Turchia ed Egitto, due monoliti mediorientali sia da un punto di vista
demografico sia militare36.
Pure sul fronte dello jus gentium le critiche non sono mancate. Una in particolare ha
un’eco insistente su vari fronti: i vigenti trattati internazionali regolanti il passaggio delle
navi attraverso gli stretti turchi, siano esse commerciali, turistiche o militari, varranno anche
per le navi in transito dal Kanal İstanbul? L’interrogativo non è certo da poco, dal momento
che per secoli varie potenze hanno cercato di ottenere il libero passaggio attraverso il Bosforo dando vita a sanguinose guerre contro l’Impero ottomano, detentore per molto
tempo del dominio assoluto sul controllo degli stretti. In quest’ottica, la Russia ha sempre
cercato di ottenere il possesso di Istanbul, sia per ragioni di prestigio, sia per il fondamentale
valore geopolitico rappresentato dalla sua posizione geografica. La chiusura del Bosforo
da parte della Sublime Porta ha costantemente vanificato le aspirazioni zariste di rendere
il Mediterraneo orientale un lago russo. Nonostante gli interrogativi di diritto internazionale
posti da molteplici parti, Erdoğan non si è mostrato eccessivamente preoccupato dagli attacchi mediatici e giuridici, visto che l’11 aprile 2016 in un comizio annunciò: «Il Kanal
İstanbul si farà. Indipendentemente da ciò che ognuno può dire, noi lo costruiremo»37.
L’altra grande opera in via di completamento a Istanbul è il nuovo aeroporto internazionale, che andrà a sostituire il precedente Atatürk Airport situato a Yeşilköy, nel distretto
di Bakırköy nella parte europea. A causa della poderosa crescita verificatasi tra il 2003 ed il
2015 dalla compagnia di bandiera Turkish Airlines38, dalle altre compagnie aree private e dai
trasporti aerei in genere, la Turchia è diventata una destinazione internazionale di primissimo piano nel campo dell’aviazione civile. Per avere un’idea precisa sul significativo incre[20]
METODO, Nr. 37 — Marzo 2021
mento del settore si tenga presente che i 26 scali passeggeri presenti sul territorio nazionale
nel 2002 erano più che raddoppiati nel 2014, con ben 53 aeroporti civili attivi. Simultaneamente, anche il numero dei passeggeri disposti ad usufruire di un volo civile aveva subìto
un pari allargamento, arrivando a toccare punte del 400% di viaggiatori in più nello stesso
arco di tempo oggetto di analisi39.
Questa crescita senza precedenti ha progressivamente portato negli ultimi anni alla congestione del vecchio aeroporto intitolato ad Atatürk, che era stato progettato nel 1924 per
gestire una mole di voli molto più ridotta40. All’incremento del settore aereo civile va aggiunta l’esplosione economica verificatasi in Turchia durante la prima decade degli anni
Duemila. Il combinato disposto di tali eventi ha fatto sì che questo Paese a cavallo tra
Oriente ed Occidente diventasse una delle principali destinazioni aeree a livello globale.
Da qui la necessità di dar luce ad una nuova struttura aeroportuale in grado di soddisfare
le necessità di una Turchia sempre più destinata a diventare il principale hub nel contesto
internazionale. Il nuovo aeroporto è il terzo della metropoli, visto che il secondo - Sabiha
Gökçen International Airport – è entrato in funzione l’8 gennaio 2001. Si tratta di una grande
struttura situata nella parte asiatica a circa trenta chilometri dal centro della città, che venne
intitolata a Sabiha Gökçen (1913-2001), prima pilota femminile da combattimento nel
mondo e prima aviatrice turca. La costruzione del terzo aeroporto, affidata ad un consorzio di cinque aziende turche, iniziò
nel maggio 2013 per un costo complessivo di ben 32 miliardi
di euro. Già inaugurato il 28 ottobre 2018 per i voli nazionali,
è collegato alla già menzionata North Marmara Highway ed entrerà a pieno regime solo nei prossimi anni, quando i lavori per
il suo completamento verranno portati a termine. Una volta
ultimato, infatti, l’aeroporto disporrà di ben sei piste capaci di
assicurare 2.000 decolli e atterraggi giornalieri. Si stima che i
passeggeri che transiteranno annualmente da questo scalo sa(https://1.bp.blogspot.com/)
ranno circa 150 milioni, cifra spaventosa soprattutto se paragonata agli ‘appena’ 62 milioni di viaggiatori passati dal vecchio aeroporto nel 2015.
Al momento non è dato conoscere il nome che verrà assegnato a questa imponente infrastruttura, visto che non è stata ancora ultimata del tutto.È opinione diffusa che il terzo
aeroporto dell’ex capitale ottomana verrà intitolata proprio ad Erdoğan; l’ipotesi risulta
senz’altro plausibile, considerando il protagonismo del leader turco e il mai sopito desiderio
di rubare la scena al padre della patria Atatürk. Nei documenti ufficiali, questa grande opera
figura semplicemente come Nuovo Aeroporto di Istanbul (in turco İstanbul Havalimanı). Se fosse
consacrata in onore del capo dello Stato sarebbe una significativa tappa di avvicinamento
verso l’obiettivo finale di Erdoğan: la conquista dell’immortalità nella storia turca. Tutto
ciò proprio grazie alla creazione di grandi infrastrutture.
4. Conclusioni
La ricerca dell’immortalità. Questo sembra essere il fine ultimo della carriera politica di
Erdoğan. Egli è ben consapevole che i suoi giorni alla guida della Turchia stanno inesora-
[21]
METODO, Nr. 37 — Marzo 2021
bilmente giungendo al termine. La fine del suo governo, infatti, è solo questione di tempo;
nessun leader nella storia repubblicana del Paese situato a cavallo tra Oriente ed Occidente
è rimasto in carica così a lungo. Tra premierato e presidenza dello Stato Erdoğan è protagonista da quasi venti anni, cinque in più di quanto restò al potere lo stesso Atatürk (g.
1923-1938), il padre della patria ed il politico turco più amato del sec. XX. Che il suo tempo
stia svanendo risulta evidente sotto vari aspetti, in particolar modo dopo il fallito golpe
messo in atto nel luglio 2016. Da quel momento, la conduzione politica di Tayyip Baba si è
fatta pericolosamente sempre più terrena. Da qui il desiderio di consegnare ai posteri delle
prove tangibili del presunto buon governo esercitato dal capo dell’AKP nell’ultimo ventennio. Sempre che di buon governo si possa parlare, visto che la Turchia odierna non si discosta troppo da una satrapia orientale al cui interno libertà di stampa, rappresentanza
democratica ed opinioni contrarie al governo sono oltremodo rare, per non dire inesistenti.
Certamente, le politiche inaugurate in questi vent’anni sono state positivamente significative. Sarebbe disonesto intellettualmente non riconoscere all’attuale capo di Stato una
lungimiranza strategica, soprattutto durante il primo decennio di governo quando lo sviluppo della rete infrastrutturale su strada e su rotaia ha trainato una poderosa crescita economica e finanziaria su tutto il territorio nazionale. Le grandi opere progettate nella seconda
parte del suo periodo al potere si inseriscono nel solco tracciato dalla costruzione di strade
e ferrovie. Per essere immortalato per sempre, Erdoğan ha bisogno di realizzare opere scintillanti, in grado di avere anche a livello visivo-quantitativo un forte impatto sia sulla popolazione turca sia sugli osservatori internazionali. Da ciò deriva l’assiduità quasi smaniosa di
portare a termine progetti faraonici che non possono in alcun modo essere considerati
come delle cattedrali nel deserto, dal momento che il Kanal İstanbul e il nuovo aeroporto,
per citare i due più vistosi casi, apporteranno degli effettivi ritorni economici alla collettività.
Tuttavia, lo sfarzo e l’opulenza con cui sono stati annunciati questi progetti lasciano pensare
che il presidente turco abbia molto a cuore queste opere non tanto per il bene comune,
quanto per l’oggettiva visibilità che la sua direzione otterrà.
In questo contributo si è cercato di porre sotto analisi la gestione del consenso interno
da parte di Erdoğan. Il ‘nuovo sultano’, espressione molto usata in Occidente per descrivere
il capo di Stato turco, ha posto al centro della sua agenda di governo il massiccio sviluppo
delle infrastrutture del Paese. Come abbiamo visto, questa strategia è risultata essere vincente vista la conclamata ed annosa debolezza infrastrutturale propria sia dell’Impero ottomano sia della Turchia repubblicana. Proprio questa attenzione spasmodica al
miglioramento delle comunicazioni nazionali, all’ammodernamento di strade e ferrovie e
alla costruzione di grandi e vistosi progetti come quelli messi in cantiere ad Istanbul hanno
costituito il viatico principale per il grande consenso di cui Erdoğan ha goduto in passato
ed in larga parte continua ancora oggi a godere. La politica interna incentrata sullo sviluppo
infrastrutturale, spesso sottovalutata e messa in un angolo da analisi geopolitiche certamente
veritiere ancorché troppo spesso stereotipate, è il segreto del successo erdoganiano in questi
ultimi venti anni. Più del militarismo in Medio Oriente, della politica estera finalizzata alla
tensione costante con la Siria di al-Asad o della guerra di comunicazione con l’Unione Europea. Il capo dell’AKP, da profondo conoscitore del suo popolo, ha posto l’accento sulla
[22]
METODO, Nr. 37 — Marzo 2021
tutela dell’orgoglio nazionale proprio di ogni turco non solo sul fronte esterno, dove comunque l’attivismo militare di Ankara ha trovato numerosi consensi, ma a livello interno,
dando il via ad un’epoca di intenso sviluppo economico cagionato in massima parte proprio
dalla costruzione di moderne infrastrutture. La ricerca dell’immortalità da parte di Erdoğan,
non passa dalle sabbie siriane o dai carri armati turchi ma dall’asfalto, dai binari e dal progresso industriale seguito alla modernizzazione da lui inaugurata.
Note
Cfr. Daniele Santoro, Recep Tayyip Erdoğan: il capo che vorrebbe farsi Califfo, in «Limes», Vol. 10, 2016, p. 31.
Il numero dei rifugiati siriani presenti in Turchia non è certo. Si stima che la loro presenza si attesti
tra i 3,2 e i 3,5 milioni di individui.
3
Adalet ve Kalkınma Partisi-AKP, Partito della Giustizia e dello Sviluppo, l’organizzazione politica guidata
da Erdoğan. Fondato nel 2001, è da circa vent’anni il principale partito turco.
4
Per ulteriori dettagli sulla vicenda si consiglia Filippo Verre, Il genocidio dei Greci del Ponto. La tragica fine
dell’irredentismo ellenico e della Megali Idea. 1914-1922, in «Rivista di Studi Politici Internazionali», dicembre
2019, Vol. 86 N. 3, pp. 551-588.
5
Santoro, cit., p. 33.
6
Su questo tema, basti fare riferimento al ritorno di milizie turche in nord Africa, segnatamente in
Libia dove, a partire dal dicembre 2019, mercenari al soldo di Ankara sono intervenuti per supportare il
governo di Al Serraj nella lotta contro le forze del generale Haftar. La presenza turca sul territorio libico
non si vedeva dal 1911 quando, in seguito alla guerra italo-turca, gli Ottomani furono costretti a lasciare
un importante presidio della Sublime Porta a vantaggio delle regie truppe di Roma. Per ulteriori dettagli
si rimanda a Nicola Labanca, La guerra italiana per la Libia 1911-1931, Il Mulino, Bologna, 2011.
7
Concretamente, l’Operazione Shah Eufrate (2015), l’Operazione Scudo dell’Eufrate (2016-17), le
Operazioni nel Governatorato di Idlib (2017-2018) e l’Operazione Ramoscello d’Ulivo (gennaio-marzo
2018). Per ulteriori dettagli si riamnda a Rashida Foulani, Turkey’s military operation in Syria: All the latest
updates, in «Al-Jazeera English», ottobre 2019.
8
Lo scontro con i miliziani neri dello Stato Islamico è avvenuto soprattutto durante le prime campagne,
quando il nord est della Siria ed in nord ovest dell’Iraq pullulavano di tagliagole, criminali e fanatici religiosi.
9
L’esercito turco (Türk Ordusu), oltre ad essere numeroso (è il secondo dopo quello statunitense all’interno della NATO), ha un livello tecnologico e un’efficacia di addestramento molto significativa, soprattutto
se paragonato al livello medio delle forze terrestri mediorientali.
10
Cfr. Bruno Cianci, Sultani e infrastrutture, in «Limes», Vol. 10, 2016, p. 90-93.
11
Questi dati numerici sono reperibili nell’opera di Sena Bayraktaroğlu, Development of Railways in the
Ottoman Empire and Turkey, Università del Bosforo, Istanbul, 1995.
12
Abdülhamid II riteneva che le potenze europee, in particolare Francia e Regno Unito stessero tramando alle sue spalle per accaparrarsi le province ottomane una volta crollato definitivamente l’Impero.
Il sultano, ancorché passato alla storia per essere stato un regnante paranoico, aveva ben chiaro cosa stava
accadendo nella politica europea. A conferma di ciò, l’accordo Sykes-Picot del maggio 1915 sancì di fatto
le mire espansionistiche di Londra e Parigi proprio sulle province arabe della morente Sublime Porta.
13
Cfr. Jean Paul Roux, Storia dei Turchi. Duemila anni dal Pacifico al Mediterraneo, Argo Editore, Lecce,
2010, 403-405.
14
Cianci, cit., p. 89.
15
Bayraktaroğlu, cit., 1995.
16
Cianci, cit., p. 91.
17
Questi dati riferiti al periodo 2002-2015 sono tratti da un rapporto dell’AKP datato 2015, intitolato
Istikralı ve gülcü ekonomi, “Un’economia stabile e robusta”, pp. 47-57.
1
2
[23]
METODO, Nr. 37 — Marzo 2021
Ulteriori informazioni in merito alla situazione italiana sono reperibili nell’articolo di Renzo Rosso,
Alta velocità, perché la rete italiana è così striminzita, ne «Il Fatto Quotidiano», 12 giugno 2008.
19
Cfr. Etyen Mahçupyan, Gulen, Erdoğan e i militari: la battaglia per lo Stato turco, in «Limes», N. 10, 2016, pp. 70-71.
20
Per ulteriori dettagli sulla crescita economica turca in seguito ai progressi infrastrutturali si rimanda
al sito dell’ONU, www.salute.gov.it/portale/rapportiInternazionali/menuContenutoRapportiInternazionali.jsp?area=rapporti&menu=unite
21
Sconfitte che possono verificarsi in qualsiasi momento, soprattutto se la Turchia agisce nel territorio
siriano, dove spesso truppe russe sono presenti a difesa del regime di al-Asad. Quest’ultimo è un alleato
strategico di Mosca nella regione.
22
Paolo Gallori, Turchia, la commissione elettorale conferma: referendum costituzionale il 16 aprile,
ne «la Repubblica», 11 febbraio 2017.
23
Su tutti, si ricordi l’uccisione dell’ambasciatore russo ad Ankara nel dicembre 2016 da parte di un
giovane poliziotto e l’abbattimento del Sukoi Su-24 da parte degli F16 turchi il 24 novembre 2015. Questi
episodi gravi non hanno influito negativamente sulle buone relazioni instaurate tra Mosca ed Ankara dopo
la vittoria del referendum presidenziale del 16 aprile 2017.
24
Cfr. Daniele Santoro, Recep Tayyip Erdoğan: il capo che vorrebbe farsi Califfo, in «Limes», Rivista Italiana
di Geopolitica», 2016, p. 43.
25
Cianci, cit., pp. 91-92.
26
Come accennato in precedenza, tale situazione era riscontrabile anche ai tempi dell’Impero ottomano,
le cui ‘perle pregiate’ per ciò che concerne il versante turco erano rappresentate dalle città sulla costa,
Istanbul, Smirne e Trebisonda su tutte. L’Anatolia, invece, pur essendo un luogo mistico e denso di richiami
figurativi, ha rappresentato per gli Ottomani un luogo aspro e difficilmente controllabile anche da un
punto di vista militare. A tal riguardo, proprio nell’Anatolia orientale si sono verificate le prime ribellioni
curde che hanno messo a dura prova la sovranità di Istanbul su quelle terre. Cfr. Robert Mantran, Storia
dell’Impero Ottomano, Argo Editore, Lecce, 1999, pp. 690-692.
27
La campagna per la candidatura alle Olimpiadi 2020 è stata condotta da un carismatico giocatore di
basket, Hasan Arat, che ha più volte sottolineato davanti al Comitato olimpico lo status di Istanbul come
città unente le sponde dell’Oriente e dell’Occidente, un ponte tra culture diverse. Tuttavia, le problematiche
organizzative in massima parte legate al traffico congestionato della città hanno fatto propendere per
Tokio. Cfr. Vincenzo Iozzino, Giochi olimpici 2020, il CIO sceglie Tokyo, in «Urban Post», 8 settembre 2013.
28
Cfr. Mantran, cit., 356-367.
29
Nello specifico, alte 332 metri, otto in più della Torre Eiffel. Inoltre, la campata di 1.400 metri lo
colloca al nono posto a livello mondiale. Si tratta, in sostanza, di un’opera decisamente all’avanguardia.
Per consultare queste cifre si rimanda al contributo di Cianci, cit., p. 92.
30
Il Gruppo Ansaldi vanta una lunga collaborazione con le autorità turche, dal momento che è stato
assegnatario anche di altri progetti edilizi quali, ad esempio, la costruzione di alcune stazioni della metropolitana istanbuliota, l’edificazione di un ponte sul Corno d’Oro, l’aeroporto di Bodrum-Milas e vari lotti
di autostrade. Firat Kozok, Riad Hamade e Benjamin Harvey, Turkey Will Keep Pumping Money into Infrastructure, Premier Says, in «Bloomberg», 25 aprile 2017.
31
Il terremotosi verificò il 17 agosto 1999 alle tre del mattino ore locali. Fu una scossa molto potente
(magnitudo 7,6) e relativamente lunga (circa 37 secondi). Le vittime furono molteplici: più di 17mila morti
e circa 250mila sfollati. Molti danni si verificarono anche ad Istanbul, in particolar modo nel distretto di
Avcılar a ovest della città. Per ulteriori dettagli sulla vicenda si rimanda a Vasile L. Marza, On the Death Toll
of the 1999 Izmit Major Marthquake, in «Seismological Observatory», 2004, pp. 3-4.
32
Dagli anni Settanta al 2002 erano state inaugurate solo sette delle diciannove centrali previste dal
GAP Project. In pochi anni l’intera struttura è entrata quasi a pieno regime, visto che altre 7 ne sono state
inaugurate dal 2002 al 2019.
33
Per ulteriori dettagli su questa vicenda si rimanda a www.world-nuclear.org/information-library/count
ry-profiles/countries-t-z/turkey.aspx
18
[24]
METODO, Nr. 37 — Marzo 2021
Vista la popolazione totale turca di 83,6 milioni, Istanbul (15,5 milioni) rappresenta un piccolo Stato
in sé, un bacino di voti molto ghiotto per Erdoğan, il quale ha già perduto molti degli onori di cui era
solito godere in passato. Nell’estate 2019, infatti, è stato eletto come sindaco della città Ekrem İmamoğlu,
esponente progressista sostenuto da una coalizione di cui faceva parte anche il CHP, uno dei principali
partiti ostili alla direzione erdoganiana. Per ulteriori dettagli cfr. Laura Melissari, Elezioni a Istanbul, il candidato dell’opposizione in testa. Pesante sconfitta per Erdoğan, in «The Post Internazionale», 10 settembre 2019.
35
Joseph Hincks, The Multibillion Dollar Canal Carving a Rift through Erdoğan’s Turkey, in «Time», 14 febbraio 2020.
36
Helene Franchineau, How Istanbul’s man-made canal project could trigger an arms race in the Black Sea – and
why China is watching closely, in «South China Morning Post», 3 giugno 2018.
37
Cianci, cit., p. 95.
38
Lo Stato turco possiede il 49,12% delle azioni della Turkish Airlines.
39
Alexandra Ma, Turkey’s national carrier moved all its flights from Istanbul’s old airport to its shiny replacement in
a single, stressful, 41-hour ‘big bang’, in «Business Insider», 9 aprile 2019.
40
L’aeroporto intitolato ad Atatürk venne dismesso all’indomani del fallito colpo di Stato verificatosi
nel luglio 2016.
34
[25]