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L'autoreferenzialità come cifra del Teeteto platonico.

2021, La Cultura

This paper aims at showing the many ways in which the self-referential dimension is present – by being both dramatically shown and argumentatively thematized – in Plato’s Theaetetus. A general reading of the whole dialogue is provided and argued for, which individuates self-referentiality as its very speculative keystone: the Theaetetus exhibits an attempt to attain knowledge of knowledge where the soul comes to cognize the soul itself (its own cognitive powers), through producing opinions about opinions, appearances about appearances, even dreams about dreams; the characters discuss about discussing, get things wrong about getting things wrong, make digressions about making digressions where the philosopher characterizes the philosopher, they search for a logos of “logos”, and so on. Such a widespread self-referential dimension shows its speculative value as it is combined with a both a progressive and retroactive way of proceeding: each stage of the research – by way of an immanent criticism – brings about the next one and shows its very meaning only retrospectively, from the point of view of the next stage, and each new stage both overcomes but also “preserves” the previous one, so that the aporetic end of the dialogue is only apparent and needs to be taken as an incompleteness rather than as a failure.

Articoli L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone di Diego Zucca 1. Il Teeteto di Platone è un dialogo straordinario ed enigmatico, non solo in quanto contiene una sterminata varietà di intuizioni, temi e argomenti dall’imponderabile storia degli effetti nel pensiero occidentale, ma anche perché costituisce una sfida teorica ed esegetica formidabile per gli interpreti di Platone: l’indagine in cui esso consiste – su cosa sia la conoscenza – ha un esito aporetico (elemento caratterizzante dei dialoghi giovanili o “socratici”), e non vi compaiono le dottrine epistemologiche e metafisiche del Platone maturo, in primis la teoria delle Idee, eppure la sua composizione è senz’altro posteriore ai dialoghi cosiddetti della maturità1. Questa singolarità – su cui si sono basate le prime letture scettiche di Platone in età ellenistica2 – ha ricevuto spiegazioni diverse e spesso antitetiche: il dialogo potrebbe documentare un abbandono della teoria delle Idee3, o al contrario intenderebbe proprio mostrare per via negativa che senza ricorso alle Idee l’indagine sulla conoscenza ha un esito inevitabilmente aporetico4, o sarebbe un dialogo 1 Tale posteriorità è confermata anche dal punto di vista delle indagini stilometriche, su cui si può vedere per esempio G.R. Ledger, Re-counting Plato: A Computer Analysis of Plato’s Style, Clarendon Press, Oxford 1989, pp. 75 ss. e, per un panorama generale, L. Brandwood, Stylometry and Chronology, in R. Kraut (ed.), Cambridge Companion to Plato, Cambridge University Press, Cambridge 2012, pp. 90-120. 2 Su ciò, cfr. J. Opsomer, In Search of the Truth. Academic Tendencies in Middle Platonism, Koninklijke Academie voor Wetenschappen van België, Brussel 1998; una lettura scettica contemporanea di Platone è K. Vogt, Belief and Truth. A Skeptic Reading of Plato, Oxford University Press, Oxford 2021. Che il Teeteto sia un dialogo sui generis, è testimoniato anche dalle controversie interpretative sul suo significato risalenti già al periodo antico, su cui cfr. D. Sedley, Three Platonist Interpretations of the Theaetetus, in Ch. Gill e M.M. McCabe (eds.), Form and Argument in Late Plato, Oxford University Press, Oxford 1996, pp. 79-103. 3 Cfr. R. Robinson, Forms and Error in Plato’s Theaetetus, «Philosophical Review», 59, 1950, pp. 3-30; G. Ryle, Plato’s Progress, Cambridge 1966, trad. it. Per una lettura di Platone, Guerini & Associati, Milano 1991; G.E.L. Owen, The Place of the «Timaeus» in the Platonic Dialogues, «Classical Quarterly», 3, 1953, pp. 79-95; D. Bostock, Plato’s Theaetetus, Clarendon Press, Oxford 1988. 4 F.M. Cornford, Plato’s Theory of Knowledge, Routledge, London 1935; H.F. Cherniss, The Philosophical Economy of the Theory of Ideas, «American Journal of Philology», 57, 1936, pp. 445-456; D. Ross, Platone e la teoria delle idee, Il Mulino, Bologna 1989 (ed. or. 1953). LA CULTURA / a. LIX, n. 1, aprile 2021 7 Diego Zucca “peirastico”, ovverosia una rassegna critico-confutativa di posizioni storiche sulla conoscenza5, oppure un esercizio dialettico aperto6, o sarebbe invece di contenuto platonico, e un Platone né dogmatico né scettico vi si impegnerebbe a mostrare ad un tempo le possibilità e i limiti della conoscenza umana7, o presenterebbe un Socrate “semistorico” proprio per illustrarne il ruolo di “levatrice” del platonismo8: queste, solo le opzioni più rilevanti entro un ventaglio ben più ampio. In quanto segue non intendiamo addentrarci nel merito di questa querelle (se non in modo molto indiretto), ma piuttosto porre l’enfasi su un aspetto importante e peculiare di questo dialogo, che per certi versi rende conto della sua singolarità: esso presenta, o ricapitola, il percorso dell’anima come potere cognitivo che fa esperienza di sé e del rapporto fra sé e le cose – un percorso autoreferenziale – a partire da una intuizione di sé più elementare e rozza, attraverso forme via via più articolate e progressivamente più ricche e anche più corrette; un cammino necessario di progressivo trascendimento dei propri limiti contestuali, sino alle soglie del proprio ritrovarsi, ossia al momento in cui gli elementi per una teoria onto-epistemologica positiva sono virtualmente presenti: un cammino dell’anima verso sé stessa, ove l’esito aporetico è solo un preludio a futuri sviluppi che non sono presenti nel dialogo, perché sono in parte oggetto di allusione, in parte sono presenti altrove9, in parte sono ascritti alla responsabilità critico-epistemica del lettore e, da un punto di vista più generale, sono la missione per un programma futuro ancora da articolare. L’angolo visuale sotto cui ripercorriamo il dialogo si armonizza con una lettura “maieutica”10 ma positiva e platonica dello stesso, per la quale l’esito aporetico 5 Cfr. F. Ferrari, Platone. Teeteto, Rizzoli, Milano 2016, Introduzione, pp. 9-142; U. Zilioli, The Wooden Horse: The Cyrenaics in the «Theaetetus», in G. Boys Stones, C. Gill e D. El Murr (eds.), The Platonic Art of Philosophy, Cambridge University Press, Cambridge 2013, pp. 167-185; Id., Aporia e maieutica nel Teeteto di Platone, in R. Irmgard Männlein, W. Rother, S. Schorn e Ch. Tornau (hrsg.), Philosophus Orator: rhetorische Strategien und Strukturen in Philosophischer Literatur (Michael Erler zum 60. Geburtstag), Schwabe Verlag, Basel 2016, pp. 63-84. 6 M. Burnyeat, The Theaetetus of Plato (Introduction, Translation and Commentary), Hackett, Indianapolis 1990. 7 Cfr. F. Trabattoni, Introduzione, in Id., Platone. Teeteto, Einaudi, Torino 2018, pp. vii-cxviii; Id., Essays on Plato’s Epistemology, Leuven University Press, Leuven 2016; R.M. Polansky, Philosophy and Knowledge. A Commentary of «Theaetetus», Bucknell University Press, Lewisburg-London-Toronto 1992, Introduction; Ch. Rowe, Plato and the Art of Philosophical Writing, Cambridge University Press, Cambridge-New York 2007. 8 D. Sedley, La levatrice del platonismo. Testo e sottotesto nel Teeteto di Platone, Vita & Pensiero, Milano 2004 (ed. or. 2004). 9 Anzitutto, nel Sofista, che è il sequel drammatico del Teeteto. 10 La lettura “maieutica” è già elaborata nel commento del cosiddetto Anonimo (probabilmente del ii sec. d.C.: cfr. G. Bastianini e D. Sedley (eds.), Commentarium in Platonis Theaetetum, in Corpus dei papiri filosofici, Parte iii, Commentari, Olschki, Firenze 1995, pp. 227562), ed è un aspetto ripreso nell’interpretazione di Sedley (La levatrice, cit.). 8 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone rimanda a una programmatica incompletezza piuttosto che a un genuino fallimento11. 2. La struttura narrativa del Teeteto è magistralmente complessa – materiata di anticipazioni e di richiami retrospettivi, nonché di una trama alternata di fili tematici intrecciati che carsicamente si offrono e si sottraggono – e il livello drammatico “mima” quello speculativo, che esibisce una progressione a stadi: ogni stadio illumina retrospettivamente i precedenti, mostrandone la fecondità a posteriori; dato uno stadio attuale dell’indagine, una riflessione retroattiva successiva mostrerà che anche quello stadio attuale conteneva virtualmente il proprio auto-superamento, e il suo senso era custodito dal futuro stadio e, mediatamente, dai futuri stadi del processo medesimo. Si tratta di un “togliere conservando”, attraverso un’esperienza di pensiero – che il lettore è chiamato a ripercorrere – la quale procede per auto-articolazione secondo una logica da “critica immanente”: la progressione degli stadi mostra, pur in maniera lasca e non pedante, rispettive concretizzazioni storiche di certe istanze speculative da parte di questa o quella “scuola” filosofica, ma ciò che conta non è tanto la storicità empirica delle posizioni di volta in volta discusse (non è rilevante chi abbia sostenuto l’una o l’altra), quanto il loro emergere l’una dall’altra entro uno sviluppo razionale e in certo senso inevitabile12. Questo processo è essenzialmente autoreferenziale, nel senso che verte su sé stesso, come una ricerca che si auto-articola con continui effetti retroattivi in cui l’oggetto indagato e l’indagare stesso si intrecciano confondendosi; tutto ciò non significa che la forma dialogica non sia essenziale: pur essendolo, essa nondimeno esprime, perlomeno nel Teeteto, la declinazione “esteriorizzata” e “pluralizzata” di un confronto del pensiero con sé 11 Tuttavia, la lettura qui proposta è tendenzialmente “ecumenica” (salvo l’essere incompatibile con letture scettiche, e con l’ipotesi evolutiva di un abbandono platonico della teoria delle Idee che il dialogo documenterebbe), nel senso che: il dialogo è anche una rassegna critica di posizioni storicamente esistenti (che però sono concepite come una sequenza “razionale”, cioè come un progressivo approssimarsi alla conoscenza della conoscenza); è vero che l’assenza delle Idee come opzione teoretica è responsabile di molte difficoltà e aporie in cui si imbattono le ipotesi considerate (anche se ciò non implica che le ipotesi discusse siano errate simpliciter, piuttosto, come vedremo, sono incomplete, perlomeno la Seconda e la Terza, ma lato sensu persino la Prima); è vero che un Socrate “semistorico” ci viene implicitamente proposto come un “levatore del platonismo” (anche se è altrettanto vero che pure le dottrine epistemologiche presocratiche e di contemporanei di Socrate, che vengono considerate, ci vengono implicitamente proposte a loro volta come “levatrici” dello stesso socratismo). 12 Anche se spesso il procedere di Platone, anche nel Teeteto, non pare lineare e ci sorprende con deviazioni imprevedibili, in realtà, daccapo, alla luce del risultato dell’intero percorso saremo nella posizione di riappropriarci di quelle deviazioni come funzionali al percorso medesimo, dunque come deviazioni solo apparenti. Le connessioni tematiche più profonde sono “sotterranee”, non sono originariamente date e la loro reale valenza è apprezzabile solo retrospettivamente. 9 Diego Zucca medesimo (è la stessa dinamica del pensare ad essere essenzialmente dialogica13). Per essere ancora più espliciti, il Teeteto può essere interpretato come la Fenomenologia dello Spirito di Platone: sempre che si colga la suggestione in modo non pedantemente anacronistico e al netto della cosiddetta incommensurabilità dei contesti, come un’analogia di ruolo e significato sottesa alle pur abissali, ovvie differenze. Ad ogni modo, in ciò che segue si intende mostrare alcuni aspetti specifici che favoriscono la possibilità di una ricostruzione del dialogo nel senso suggerito, come il percorso di progressiva autoconoscenza dell’anima a partire da forme più elementari e immediate – alcunché di analogo alla “certezza sensibile” – verso una sempre superiore complessità e articolatezza dello sguardo autoriflessivo su di sé: un percorso entro cui ogni posizione assunta, proprio in quanto deficitaria, contiene un immanente impulso all’autosuperamento, che è genuino progresso14: l’esito aporetico del Teeteto è solo apparente, o è reale solo nel senso che il dialogo non presenta l’intero processo dispiegato e compiuto, bensì chiama il lettore a proseguire da sé15. Dato che si tratta di un dialogo di vertiginosa complessità e ricchezza, e peraltro di un dialogo fra i più studiati, va da sé che le osservazioni che seguono non pretendono di essere null’altro che una traccia, un sommesso invito a sostanziare una ricostruzione siffatta in maniera più sistematica e meno rapsodica: per questo, i punti nodali del dialogo saranno ripercorsi in maniera estremamente cursoria, e anche i riferimenti espliciti alla letteratura secondaria saranno ridotti al minimo. 3. Il dialogo vero e proprio16 è fra Socrate, l’esperto di geometria Teodoro e il suo giovane e brillante allievo Teeteto: Teodoro ne elogia le capacità intellettuali, mnemoniche e morali, e dice che è simile a Socrate quanto a fattezze fisiche e a bruttezza esteriore17. L’incipit anticipa elementi destinati ad assumere rilievo: il sapere geometrico (di cui Teodoro è portatore), le coppie polari somiglianza/differenza, apparenza/realtà, anima/corpo, gioventù/maturità, insegnamento/apprendimento, l’anima e le sue capacità, la memo- È una tesi-chiave del Teeteto stesso: cfr. infra, p. 15. Nonostante l’esito aporetico (su cui cfr. infra), giunti alla fine del Teeteto non abbiamo certo il tipo di ignoranza che avevamo all’inizio di esso. 15 Questo è un elemento di grande rilievo teoretico, enfatizzato già dall’Anonimo, cit.; cfr. anche Burnyeat, The Theaetetus of Plato, cit. 16 Nel Prologo, Euclide e Terpsione, a Megara, parlano di Teeteto morente, reduce da una battaglia, e ricordano il dialogo avuto da quest’ultimo con Socrate e Teodoro ad Atene molti anni prima, che Euclide aveva trascritto e che ora fa leggere a uno schiavo (142 a-c). 17 143 e 4-144 b 6. 13 14 10 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone ria, la virtù. Socrate introduce la questione della competenza e della techne (anticipando il tema della “deferenza epistemica” e dell’autorità degli esperti)18: Teodoro non è esperto in somiglianze fisiche, ma è sapiente (in geometria), dunque se loda l’anima di Teeteto per virtù e sapienza, vale la pena che quest’ultimo si mostri e Socrate lo esamini. Vi è un esame condotto intorno a un’anima, che ne valuta la sapienza e la virtù19. Teeteto si mostra umile prendendo l’elogio del maestro come uno scherzo, tuttavia accetta, giacché ne è richiesto, di sottoporsi dall’esame e dunque di esporsi, cominciando così con l’esporre la propria umiltà, correttezza e coraggio. Socrate pensa di testare la sapienza di Teeteto eleggendo proprio la sapienza a tema del discorso, subito equiparata alla episteme20: si tratta di conoscere la conoscenza di Teeteto cercando di conoscere insieme a lui... cosa la conoscenza stessa sia in sé. Socrate desidera con «rozzo» ardore di «dialogare fra amici reciprocamente ben disposti» (146 a 6-8), entro una cooperazione argomentativa non agonistica orientata al vero. Teeteto azzarda la prima risposta: è conoscenza la geometria, lo è la techne del calzolaio, così come le altre tecniche simili21. Come diviene immediatamente evidente, l’errore qui è metodologico: Teeteto non dice cosa sia la conoscenza, piuttosto adduce esempi intuitivi di conoscenza (o ambiti di cui vi è conoscenza), senza palesare cosa sia il quid a essi comune che li rende esempi di conoscenza22. Se fosse una definizione, poi, sarebbe circolare e non informativa: se non so cosa sia “conoscenza”, tanto meno so cosa sia “conoscenza geometrica” (qui vi è un’altra anticipazione rilevante: non conosco una totalità se non ne conosco le parti costitutive23); Socrate si spiega con esempi: se dico che l’argilla è quella dei vasai o quella dei fornaciai, non sto dicendo cosa sia, ma solo chi la usa; cogliere il valore esplicativo dell’esempio significa generalizzare oltre il caso utilizzato trascendendone l’individualità, cioè fare quello che Teeteto non ha fatto eppure sa fare, se è in grado di fare tesoro degli esempi di Socrate: l’uso di esempi volti alla generalizzazione induttiva per potervi cogliere un contenuto generale, è quindi “meta-pedagogico”, in questo caso mostra già ciò che dice. Teeteto 144 d 7-145 a 13. Chi sa, sa anche determinare se altri sanno, o se sono capaci di acquisire un certo sapere. Il sapere (proprio) rende autorevoli sul sapere (anche altrui); come vedremo, l’esame di un’anima sarà in realtà un esame che l’anima compie su sé stessa. 20 145 d 11-e 6. 21 146 c 7-d 3. 22 Si tratta di un errore che Socrate imputa spessissimo ai propri interlocutori, come nel più celebre esempio del Menone in cui Menone è redarguito da Socrate poiché offre uno «sciame di virtù» – la virtù per la donna è X, quella per l’uomo è Y, quella per il ragazzo è Z, etc. – quando richiesto di esprimere cosa sia la virtù come tale, ossia ciò in virtù di cui tutti i comportamenti indicati da Menone sono virtù (Platone, Menone, 71 e 1-72 d 1). 23 Cfr. infra, pp. 32-34. 18 19 11 Diego Zucca recepisce l’istruzione metodologica, e ne adduce un esempio di tipo geometrico-matematico, estremamente complesso e astratto, relativo alle proprietà di numeri prodotti di fattori uguali e disuguali24. Dall’ostensione di esempi singoli si passa, con un salto di livello “discreto” e decisivo, all’universalizzazione geometrico-matematica; Socrate sottolinea che Teodoro non era stato «testimone falso» quando aveva elogiato Teeteto – anticipando così il tema della falsità, che diverrà centrale25 – eppure questi non è ancora in grado di cogliere la definizione (labein logon) di episteme26: l’indagine è volta a cogliere un logos, conoscere cosa sia la conoscenza è coglierne il logos, in un modo universale analogo alle dimostrazioni e definizioni geometriche, trascendendo gli esempi empirici individuali. Infatti, Socrate lo incita a comprendere in un unico logos le molte conoscenze così come ha compreso in un unico eidos le molte potenze numeriche27. Il logos deve dunque catturare un eidos28, e questo è oramai un obbiettivo condiviso da entrambi. 4. Teeteto confessa di non saper né procedere né abbandonare l’impresa: questa impasse, il suo stato di aporia, è legato alle sue doglie, afferma Socrate, giacché è gravido e ha bisogno di una levatrice spirituale che lo sappia far partorire, una techne che Socrate, singolarmente29, si auto-ascrive; si tratta della celebre maieutica socratica30: un’ulteriore dimensione di autoreferenzialità “mostrata”, in cui Socrate fa partorire a Teeteto delle idee illustrandogli cosa sia proprio questo “far partorire”31. Il soggetto del parto è l’anima, non il corpo (si rinforza la polarità anima/corpo già introdotta), l’arte maieutica consente di testare (basanizein) se il suo pensiero (dia147 d 2-148 b 3. Cfr. infra, pp. 25-30. Ma si anticipa anche il tema della testimonianza e dei giudici che valutano i testimoni producendo opinioni vere, che però non sono conoscenza: si tratta dell’obiezione fondamentale alla seconda grande ipotesi di Teeteto, secondo cui la conoscenza sarebbe opinione vera (200 e 4-c 6; cfr. infra, pp. 31-32). 26 148 b 4-d 2. 27 148 d 4-8. 28 Qui il termine «eidos» indica una forma o una specie unitaria, ma ha valenza più metodologica che metafisica: tuttavia, dato il tema epistemologico, ci è difficile non pensare all’Idea platonica come oggetto conoscibile per eccellenza. 29 Sono rarissimi i casi in cui Socrate si autodescrive come depositario di una techne o di un sapere: oltre al caso della maieutica nel Teeteto, nel Gorgia sostiene di essere il solo ateniese a praticare la techne politica (521 c 6-8), nel Simposio dice di aver appreso (quindi di conoscere) le questioni d’amore (ta erotika) dalla sacerdotessa Diotima (Simposio 201 d 1-6); ma in ultima istanza, maieutica, eros e politica, per come sono intesi da Socrate, si intrecciano quasi al punto da identificarsi, sono manifestazioni dell’unica arte praticata da Socrate. Nel Menone – altra eccezione per noi rilevantissima – Socrate afferma che, fra le pochissime cose che sa, vi è il fatto che opinione corretta (orthe doxa) e conoscenza sono cose diverse (98 b 1-5): cfr. infra, pp. 32 ss. 30 148 e 7-151 d 6. 31 I momenti di autoreferenzialità, a mio avviso, sono i momenti-chiave del dialogo, e devono diventare principi-guida nella sua interpretazione globale. 24 25 12 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone noia) produce figli «fertili e veri» oppure «immagini e falsità» (eidola, pseudos)32: un’opposizione, questa, che si rivelerà quantomeno approssimativa, giacché lo sviluppo della discussione mostrerà come ogni “figlio” partorito da Teeteto sia al contempo falso ma fecondo; tuttavia, a ben vedere tutte le tesi da lui partorite recano in sé un nucleo di verità che le rende feconde, che infatti andrà conservato e proprio sulla base del quale esse stesse si mostrano bisognose di superamento in quanto limitate, finite, unilaterali, incomplete, non universali, integrabili. Socrate si dichiara sterile di sapienza ma “estrattore” di sapienza altrui: sono coloro che lo frequentano, che da sé traggono le conoscenze, grazie a Socrate e «al dio»33, così come sono loro che talora peggiorano la loro condizione morale ed epistemica, adirandosi poi ingiustamente con lui come se ne fosse responsabile34. Come è noto, l’esame cui allude Socrate è anzitutto quello confutativo, l’elenchos35: la tesi è esplicitata nelle sue possibili declinazioni, se ne traggono le conseguenze, si controlla con cosa essa sia compatibile e con cosa non lo sia, se esistano fenomeni in grado di falsificarla o controesempi, se essa produca contraddizioni quando considerata insieme ad altre premesse accettate, e così via36. Questo esame muove a partire dalle tesi stesse, vagliandole criticamente, non è orientato a inoculare contenuti positivi e differenti nell’anima che “partorisce”: parlare, affermando e negando, è una pratica innervata di normatività, materiata di impegni, vincoli e licenze, del diritto di esigere ragioni e del dovere di fornirle; questo è ciò che fa e fa fare Socrate, impegnarsi in un dialogare criticoargomentativo a tutto tondo: è questa la sua «malattia», un «terribile amore»37 per l’esercizio discussivo. Ora è chiaro e tematizzato il ruolo di Socrate (“levatore” mediante esame confutativo), così come quello di Teeteto (partoriente, esaminando): ma in realtà lo scenario dialogico per come si dispiega di qui in avanti è un ideale normativo e normante di come si articola il pensiero stesso, giacché l’auto-ripiegamento critico, l’auto-esame rigoroso, il domandare regressivo verso i propri stessi fondamenti, e più in generale la dimensione argomen32 150 c 2-3. 150 d 5; 151 d 5. Qui Platone sta evidentemente “scagionando” la figura storica di Socrate dall’accusa di corruzione dei giovani, la quale, come è noto, è uno dei tre capi d’accusa formali per cui fu processato e condannato a morte. 35 Non si intende sostenere che la maieutica si riduca alla confutazione: certo, però, la confutazione è parte costitutiva dell’arte socratica di far partorire l’anima degli interlocutori: un essenziale “grimaldello” della maieutica. 36 Sulla confutazione socratica, resta un punto di riferimento “sempreverde” l’opera di G. Vlastos; cfr. in particolare L’elenchos socratico: il metodo è tutto, in Id., Studi socratici, Vita & Pensiero, Milano 2003 (ed. or. 1994); cfr. anche Id., Socrate, il filosofo dell’ironia complessa, La Nuova Italia, Scandicci 1998 (ed. or. 1991). 37 169 b 5, 169 c 1. 33 34 13 Diego Zucca tativa fondata sulle buone ragioni (per affermare e per negare) e sulle evidenze disponibili, è lo stesso respiro del pensiero, che infatti sarà caratterizzato, a tempo debito, come un discorso dell’anima con se stessa38. Noi siamo chiamati a esperire in noi l’intreccio sinergico di Socrate e di Teeteto, giacché il parto e la pratica maieutica che lo asseconda e accompagna (magari favorendo l’aborto se necessario, in vista di una nuova nascita)39 sono momenti coessenziali alla dinamica del pensare, che esibisce da ultimo una struttura “discussiva”: un’esperienza che siamo sollecitati a “vivere” in noi, piuttosto che assistervi passivamente. Sono già sul tavolo moltissimi ingredienti, molti aspetti della comunicazione e dell’indagine sono stati messi a tema, eppure l’investigazione sulla conoscenza muove a partire da una ipotesi ben più basilare – la conoscenza come percezione – come per enfatizzare uno spazio da colmare, uno iato fra le consapevolezze presupposte dalla ricerca comune, e la povertà del primo risultato di questa ricerca stessa; ma è una povertà solo apparente, giacché da essa scaturisce tutto il resto, sicché il cominciamento è virtualmente gravido del risultato sebbene ciò diventi visibile solo dal punto di vista di chi abbia conseguito il risultato; l’indagine deve poter essere adeguata a sé stessa, e in effetti questo processo critico è un processo di progressivo auto-adeguamento: nel caso della ricerca di cosa sia la conoscenza, l’anima si deve occupare di sé stessa e della sua stessa natura come potere cognitivo, nonché della natura dei suoi oggetti e del rapporto fra sé e questi oggetti, e questo stesso processo conoscitivo, avendo di mira la conoscenza medesima, è evidentemente rivolto a sé stesso, ovverosia, intrinsecamente autoreferenziale. 5. Prima Ipotesi: dice cautamente Teeteto («per come la cosa appare ora», phainetai) che «la conoscenza non è altro che percezione (aisthesis)», in quanto (gli «sembra» che, dokei) «chi conosce qualcosa percepisce ciò che conosce»40. Aisthesis e il verbo aisthanomai sono termini ambigui, possono denotare la percezione sensibile o un più generale “rendersi conto”, “accorgersi”, “cogliere”, “esser con- 189 e 6-190 a 7. Cfr. infra, p. 26. Ciascuno «onora il proprio germoglio» (Platone, Simposio, 208 b 4-5), biologico o spirituale che sia, ma talvolta occorre essere capaci di abbandonarlo (cfr. Teeteto, 160 e 7-161 a 4). È interessante come il motivo della gravidanza e del parto ritorni sia nella maieutica che nell’amore: eros è essenzialmente desiderio, di «partorire nel bello» (Simposio, 206 e 5), e la celebre scala amoris del Simposio è un percorso di conoscenza – eros è «amante di sophia» (philosophos, 204 b 4-5) – che muove sia dal corpo all’anima, che dal particolare all’universale (Simposio, 210 a 5-e 1), proprio come la “scala epistemica” in cui l’indagine del Teeteto consiste. Sulla gravidanza psichica e le sue analogie/differenze fra Teeteto, Simposio e Menone, cfr. F.C.C. Sheffield, Psychic Pregnancy and Platonic Epistemology, «Oxford Studies in Ancient Philosophy», 20, 2001, pp. 1-33. 40 151 e 1-3. 38 39 14 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone sci di”: siffatta ambiguità è necessaria a questo punto, poiché ancora non si è distinta in alcun modo una modalità cognitiva sensibile da una non sensibile, né si è accennato al soggetto di tale conoscenza. Ma già nell’avanzare l’ipotesi stessa, Teeteto utilizza un lessico cognitivo che “esonda” rispetto al dominio della sensibilità stricto sensu: le cose gli «appaiono» così ora, gli «sembra» che P (phainetai, dokei). Tuttavia, Socrate ora suggerisce che l’ipotesi sensistica di Teeteto sia nella sostanza identica alla tesi protagorea dell’homo-mensura («l’uomo è misura di tutte le cose»)41 interpretata anch’essa in modo sensistico, come l’esempio con cui è spiegata ben illustra: lo stesso soffio di vento, uno lo percepisce freddo e l’altro no, sicché, secondo Protagora, esso è freddo per chi lo sente tale, e non lo è per chi non lo sente tale42. Se la conoscenza è percezione, allora ogni percezione è conoscenza43, dunque è vera (si anticipa il nesso costitutivo fra conoscenza e verità): perché sia vera, deve cogliere un ente (o una proprietà reale), così la mia coglie il vento freddo e la tua il vento non freddo44, dunque ognuno è misura di tutte le cose nel senso che come ciascuno percepisce le cose, così le cose sono (per lui/lei45). La percezione è diretto e infallibile coglimento delle entità e proprietà in cui il percipiente si imbatte, e come tale è, ex hypothesi, conoscenza. La tesi comporta l’attribuzione alla conoscenza di cinque aspetti: la verità, l’immediatezza, la sensorialità, la passività, l’avere un oggetto (semplice). 80 b 1 dk; Platone, Teeteto, 152 a 1-3. Può colpire il fatto che l’esempio con cui Socrate introduce la dottrina di Protagora concerne ciò che noi chiameremmo una “qualità secondaria” ([freddo]; ma poi anche [bianco]: 153 d 8-154 a 5; [dolce]/[amaro]: 159 c 11-e 5) – secondo una distinzione moderna, ma che è comunque ricavabile già da Democrito (cfr. Sesto Empirico, Contro i matematici, viii 184, Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, ix 72) – ma dal punto di vista di questa radicale dottrina epistemologica una distinzione fra qualità primarie e secondarie non ha alcun senso (sono tutte “secondarie”), quindi sarebbe una petitio principii replicare che ciò che vale per gli esempi addotti non varrebbe, invece, per le proprietà primarie. 43 Il recettivo Teeteto è stato previamente istruito da Socrate sull’universalità del definiens, e sulla sua coestensività col definiendum: se X è Y, e lo «è» di definizione, allora ogni X è (un) Y e ogni Y è (un) X. 44 152 b 1-c 3. 45 Tralasciamo il controverso senso di questo «per» (che traduce il dativo greco), che secondo la più parte degli interpreti (il “classico” è M. Burnyeat, Protagoras and Self-Refutation in Plato’s «Theaetetus», «Philosophical Review», 86, 1976, pp. 172-195; Id., The Theaetetus of Plato, cit.) implicherebbe che Platone intende la dottrina protagorea come una forma di relativismo, per cui ciò che è vero è sempre vero-per-S, mentre per altri interpreti (sulla scorta di G. Fine, Conflicting Appearances: «Theaetetus» 153d-154b, in C. Gill e M.M. McCabe (eds.), Form and Argument in Late Plato, Clarendon Press, Oxford 1996, pp. 105-133; Id., Plato’s Refutation of Protagoras in the «Theaetetus», «Apeiron», 31, 1998, pp. 201-234) Platone la intenderebbe come una forma di infallibilismo, per cui ogni apparenza è vera simpliciter. Senza poter argomentare qui e dovendo sorvolare sul vasto dibattito sulla questione, riteniamo che in questa prima parte del Teeteto siamo a uno stato di articolatezza teorica che è al di qua della distinzione stessa, e che solo esplicitando la dottrina nelle sue implicazioni e assunzioni implicite, Platone farà emergere che l’oscillazione fra istanza relativistica e istanza infallibilistica è un problema che grava inevitabilmente sulla dottrina stessa, facendola implodere su sé stessa. 41 42 15 Diego Zucca Ora, l’identificazione socratica fra la tesi di Teeteto per cui «conoscenza è percezione» e la lettura sensistica dell’homo-mensura di Protagora per cui «ogni cosa è per S come appare a S» (ove “qualcosa appare a S” = “S percepisce qualcosa”)46 potrebbe sembrare una forzatura, posto che va ben oltre la lettera della tesi di Teeteto, eppure a ben vedere l’una contiene l’altra: se la conoscenza è percezione simpliciter, e aver contatto percettivo con un oggetto è tutto ciò cui si riduce il conoscerlo, allora io conosco il mio vento freddo come tu conosci il tuo vento non freddo, nella misura in cui, rispettivamente, li percepiamo47. La percezione sensibile, poi, è un fenomeno fisiologico consistente nell’impatto dell’ambiente circostante sugli organi di senso, dunque è una faccenda essenzialmente corporea48. Se conoscere non è che percepire, l’ambito dello scibile coincide con l’ambito del sensibile: e questa tesi epistemologica secondo Socrate si sposa virtualmente con una certa ontologia, secondo cui: nulla è qualcosa in se stesso, nulla ha una determinata qualità in sé, bensì tutto diviene, in relazione a tutto il resto49. Questa “ontologia del Flusso”, secondo Socrate, sarebbe una dottrina segretamente sostenuta da Protagora e i suoi discepoli50; ciò che egli intende dire è che al di là delle sue intenzioni la tesi epistemologica di Protagora – implicata da quella di Teeteto – implica (ed è implicata da) un’ontologia siffatta51, come è chiarito poi mediante esempi: quando una pietra incontra un percipiente S, essa “diventa” bianca per S, ma i relati (percezione del bianco, bianco della pietra) non esistono in sé, al di fuori della relazione: e ogni relazione è un evento, tutti i sensibili (percipienti e percepiti) mutano di continuo e si co-determinano senza preesistere a questa trama “evenemenziale” di continue relazioni ove nulla resta stabile. Un mondo in cui la tesi di Teeteto (= T) e quella di Protagora (= P) sono vere, è un mondo in 152 b 12. Non è affatto confermato dalle fonti che il significato dell’originaria dottrina protagorea dovesse essere sensistico. Tuttavia non è importante, per la nostra lettura, valutare l’attendibilità di Platone come fonte relativa al Protagora storico: sono le tesi che contano, non già i loro presunti o ipotetici portatori contingenti. Sul Teeteto come fonte per il Protagora storico, cfr. A. Macé, Privatising Perception. Plato on Protagoras: Theaetetus 154B-157C, in J.M. van Ophuijsen, M. van Raalte e P. Stork (eds.), Protagoras of Abdera: The Man, His Measure, Brill, Leiden 2013, pp. 195-216. 48 Cfr. 184 e 4-6. Daccapo, in questa sede non è così rilevante discutere l’eventuale identità storica dei fautori della Dottrina Segreta (per alcuni si tratta di Aristippo e dei primi Cirenaici, es. U. Zilioli, The Wooden Horse, cit.; per altri degli atomisti, es. F. Ademollo, The Cratylus of Plato. A Commentary, Cambridge University Press, Cambridge 2011, pp. 225-227). 49 152 d 1-7. Cfr. 156 a 1-157 c 3, ove si spiega nel dettaglio il rapporto di congruenza fra l’epistemologia di Protagora (P) e l’ontologia del Flusso (F), dato il sensismo ipotizzato da Teeteto (T). 50 152 c 8-11. 51 T, P e F sono dette «coincidere» a 160 d 6; a 168 b 5-7 l’implicazione sembra essere: F → P → T, ma altri passi invertono la direzione di implicazione, quindi è meglio intendere le tre tesi come aspetti di una generale “visione delle cose”: TPF. 46 47 16 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone perpetuo Flusso senza individui determinati in sé né proprietà stabili (= F): tutto cambia così come cambiano le percezioni, se tutte le percezioni di tutti (anche quelle apparentemente confliggenti) sono vere, così ogni relazione percettiva è un evento veridico seppur evanescente e istantaneo. Il palesarsi di T, P e F come un trittico solidale, contiene già un meta-messaggio: ogni ipotesi su cosa sia conoscenza si porta dietro un’ipotesi su come/cosa sia lo scibile, cioè il mondo conosciuto (ogni epistemologia si porta dietro una metafisica). Il trittico TPF esplicita e articola T, ed è il “figlio” da esaminare52. Ma si profila già un mancato adeguamento fra la “povertà” del contenuto della teoria e la ricchezza della metateoria, ossia delle risorse necessarie per rappresentare la teoria stessa: T si articola in TPF, ossia in una raffinata ontologia relazionista ed “evenemenziale”53, insieme all’idea di un contatto diretto e verace fra due relati codeterminantisi; eppure, se la conoscenza è percezione, proprio secondo TPF ogni episodio di conoscenza è un’istantanea atomistica, isolata, immediata, irrelata ad altri episodi precedenti e successivi di conoscenza-percezione; e dunque, se TPF fosse vera, se fosse la corretta definizione di cosa è la conoscenza, paradossalmente la posizione di TPF stessa non sarebbe conoscenza (anche perché T non coglie un esempio individuale – Teeteto è stato istruito da Socrate e ora il suo logos si candida a catturare un eidos comune a tutti i casi di conoscenza – esprime un universale): questo è il motore segreto che spinge all’autosuperamento di T, e con l’“espandere” T in TPF T si è virtualmente già oltrepassata, anche se tale oltrepassamento si fa esplicito solo mediante i molteplici movimenti confutativi che seguono. Prima che si inauguri la pars destruens, Socrate si sofferma sull’aporia delle proprietà relazionali, come “maggiore di”, che possono mutare senza che abbia mutamenti intrinseci l’individuo di cui queste sono/diventano proprietà, sicché gli individui possono “cambiare senza cambiare”: questa paradossale dipendenza fra dipendenze (dei 160 e 4. Ai più rozzi, che credono che esista solo ciò che si può toccare, Socrate contrappone i più raffinati (kompsoteroi, 156 a 3 ss.) sostenitori della Dottrina Segreta, che considerano come reali azioni, generazioni, relazioni e altre entità “invisibili” analoghe. Essi bandiscono parole implicanti stabilità, come «essere», «questo», «quello», «di questa proprietà» etc. (157 b 3-c 1). Come già osservato, l’identificazione storica in questa sede è cosa che possiamo trascurare: non è detto che la teoria sia attribuibile a una scuola storicamente determinata, potrebbe anche contenere elementi di più teorie e prospettive filosofiche. Cfr. C. Buckels, The Ontology of the Secret Doctrine in Plato’s Theaetetus, «Phronesis», 61, 2016, pp. 243-259; M.K. Lee, The Secret Doctrine: Plato’s Defense of Protagoras in the «Theaetetus», «Oxford Studies of Ancient Philosophy», 19, 2000, pp. 47-86; V. Cobb-Stevens, Perception, Appearance and Kinesis: The Secret Doctrine in Plato’s Theaetetus, in J.P. Anton (ed.), Essays in Ancient Greek Philosophy, State University Press of Notre Dame, Notre Dame 1989, pp. 247-265. 52 53 17 Diego Zucca relati dalla loro relazione, della relazione dai loro relati)54 risulta così aporetica e sfuggente, che Teeteto è colto da «vertigini» e «meraviglia» (thauma), condizione, questa, che Socrate identifica con l’origine del filosofare stesso55: è lo stesso stupore destabilizzante proprio delle anime gravide di cui Socrate è maieuta. Ed è proprio la maieutica che sarebbe vana e impossibile, se la conoscenza fosse percezione (T) e tutte le percezioni fossero vere (P)56; ma Protagora non sarebbe più sapiente degli altri (e perché dovremmo pagarlo?), giacché tutti sarebbero già nel vero ex hypothesi, e dubitare, discutere, confutare, dare e chiedere ragioni sarebbero cose insensate57: anche questo movimento è di una autoreferenzialità paradossalmente retroattiva, giacché Socrate e Teeteto concludono, discutendone, che se TPF è vera, allora la discussione argomentativa come tale, compresa la discussione su TPF, non ha senso! La discussione è attività di mediazione processuale, ma se la conoscenza è passiva immediatezza istantanea, nessuna discussione produrrebbe conoscenza, neppure quella che affermasse TPF: tematizzare TPF come possibilità teorica è essersene già virtualmente emancipati. Socrate muove altre obiezioni a T mostrando altri modi in cui la conoscenza si “sporge” rispetto all’immediatezza sensibile: comprendere contenuti semantici è cosa irriducibile al vedere o udire le lettere che li veicolano fisicamente58, e ricordare qualcosa è un modo di conoscerla che trascende la sua presenza sensibile59; si anticipano così il tema dei contenuti non sensibili che l’anima afferra quando conosce60, e il tema della “distrazione temporale” dell’anima, che ritiene contenuti in sé e ne dispone in absentia, oltre l’immediatezza puntuale del presente, ma anche oltre l’individualità dei particolari sensibili. Ora Socrate, però, immagina un Protagora redivivus che controreplica alle obiezioni61, e anche questa è una movenza autoreferenziale dal punto di vista narrativo, un’istruzione pregnante: il dialogo 54 155 b 7-c 1. Anche questo anticipa la relazione parti/tutto che sarà tematizzata entro la discussione critica della Terza Ipotesi (cfr. infra, pp. 32 ss.). 55 155 c 8-10. 56 161 e 4-162 a 3. Su questo aspetto, cfr. A. Long, Refutation and Relativism in «Theaetetus», 161-171, «Phronesis», 49, 2004, pp. 24-40. 57 161 e 4-162 a 3. 58 163 b 1-c 4: è un’obiezione che, ponendo lo scarto fra il contenuto semantico/mentale e il suo veicolo esteriore, anticipa la caratterizzazione del pensiero come discorso (anche silente) dell’anima con sé stessa (189 e 6-190 a 7), e l’esclusione dell’accezione di “logos” come «discorso pronunciato» nella Terza Ipotesi che pone la conoscenza come «opinione vera con logos» (206 d-e): cfr. infra, pp. 32 ss. 59 163 d 1-5: il tema del ricordare è un altro leitmotiv tematico del Teeteto. Socrate seguita poi (165 b 1-e 6) a mostrare altri casi e contesti d’uso in cui «conosce» non è intersostituibile con «vede», mentre lo dovrebbe essere, se conoscere non fosse che percepire (cioè: vedere, o udire, o gustare etc.). 60 Cfr. infra, pp. 23-24. 61 166 a 2-168 c 2. 18 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone con Protagora è un parto dell’anima di Socrate62, che pure evoca uno scenario dialogico, così come il dialogo di Socrate con Teeteto (e Teodoro) è una polifonia che deve risuonare nella nostra anima, i cui personaggi sono prosopopee di momenti strutturali del processo cogitativo, il quale è per sua essenza un dialogo in foro interno. Con questo escamotage, Socrate sollecita Teeteto a riflettere criticamente su possibili contro-obiezioni, usando il personaggio di Protagora, esattamente come Platone fa con noi usando i personaggi di Socrate, Teeteto e Teodoro. Protagora – che difende TPF, non solo P – rifiuta l’obiezione della memoria: tutto muta così radicalmente (F) che ogni relazione percipiente-percepito costituisce un’istantanea a sé, quei relati non esistono al di fuori di quella relazione (e viceversa), cosicché non vi è alcuna persistenza diacronica di soggetti che possano sporgersi oltre il loro assoluto presente e dunque ricordare alcunché; vi sono anzi infiniti soggetti63. Questa radicalizzazione – osserviamo noi – anticipa già un problema che verrà presto alla luce: la tesi discioglie l’identità personale nonché quella degli oggetti mondani, così da rendere completamente erronea la nostra spontanea fenomenologia dell’esperienza: eppure, data P noi non possiamo errare! Protagora, inoltre, rivendica di auto-ascriversi la sapienza a buon diritto, non già perché avrebbe apparenze più vere degli altri – ché sono tutte vere, se «nessuno opina (doxazei) cose false»64 – ma perché sarebbe in grado, attraverso la parola, di mutare le apparenze altrui ingenerandone di utili e vantaggiose, in individui e città, come un medico che cura pazienti malati65, per esempio facendo apparire giuste a una città quelle cose che siano a essa utili, anziché quelle dannose66. Questa apologia, proprio nel replicare alle obiezioni, risulta fatale per la tesi originaria TPF. Anzitutto, il contenuto delle apparenze si è ispessito sino a poter vertere su proprietà morali, come [giusto], che non paiono visibili come [bianco] o gustabili come [dolce]; si è anche espansa la natura di questo apparire (ora è un doxazein) perdendo l’originaria connotazione sensistica67, tanto 62 Socrate si autodescrive come sterile, ma in realtà tale non è: anche se muove a partire dalle ipotesi di Teeteto, il modo in cui aiuta quest’ultimo a partorire è evidentemente “creativo”, non si limita a confutare e testare ma introduce nuovi contenuti positivi (poi a loro volta testati, smentiti e superati). Questo effetto di stridore fra ciò che Socrate fa e ciò che dice di fare, è deliberatamente convogliato da Platone nel lettore, ed è analogo a ciò che accade nel Menone, ove Socrate dice di limitarsi a tirar fuori dallo schiavo delle conoscenze geometriche, ma in effetti lo guida “creativamente”. 63 166 b 6-c 1. 64 167 a 6; infatti, nessuno opina «cose che non sono» (a 7): si anticipa qui l’ipotesi, dopo discussa e confutata, che opinare il falso equivalga a opinare ciò che non è (cfr. infra, p. 26). 65 166 e 2-167 c 7. 66 167 c 1-7. 67 È un’anticipazione del passaggio dalla percezione all’opinione, introdotta dapprima come qualcosa che “scappa” al personaggio Protagora, quasi en passant, ma queste variazioni 19 Diego Zucca che l’apparire diventa attribuibile persino a un soggetto collettivo come un’intera città68; e si introduce l’idea di utilità oggettiva come qualcosa di evidentemente non indicizzato al soggetto (individuale o collettivo), dato che le apparenze “davvero” dannose vanno mutate in apparenze “davvero” utili. La difesa apre una dimensione politica del discorso, che chiama in causa il rapporto con altri nella comunità; il sofista-retore condiziona le apparenze altrui mediante logoi “terapeutici”: il logos comune, paradossalmente, sarebbe in grado di decidere i contenuti delle apparenze private, ma questo riferimento alla persuasione discorsiva è in evidente tensione con l’idea che ognuno abita un mondo privato, effimero, intrascendibile anche se a priori vero, di percezioni sensibili; e l’idea che il sapiente Protagora possa prevedere come muteranno le apparenze altrui, decidendone i contenuti nel senso dell’utile oggettivo, presuppone un duplice rapporto col futuro, dunque con l’esposizione all’errore e al falso: le sue previsioni su cosa apparirà sono più autorevoli di quelle altrui, così come l’utilità di una certa credenza (o azione conseguente) può essere confermata o smentita dai futuri eventi69: eventi che evidentemente coinvolgono gli stessi soggetti che credevano giuste o utili certe cose, e che dunque persistono oltre il mutamento, così come deve persistere chi fa previsioni su cosa apparirà. Protagora argomenta a difesa della sua tesi, adducendo ragioni, eppure stando proprio alla sua tesi le buone ragioni non servono a nulla, anzi la sola cosa che egli può star facendo è mutare in modo meramente performativo le nostre apparenze: mutare, si badi, la nostra apparenza vera per cui ci sono apparenze false, nell’apparenza altrettanto vera per cui le apparenze sono tutte vere... persino quelle contrarie alle sue! Infatti, mostrata l’inevitabilità della possibilità di falsità cui il giudizio si espone vertendo sull’utile futuro, e ribadita così la necessaria “distrazione temporale” dell’anima (persistente) fra passato, presente e futuro, Socrate esibisce il celebre “argomento per auto-confutazione”70, momento particolarmente candido di quella autoreferenzialità che a nostro avviso è la cifra più profonda del Teeteto, sia in senso teoretico che in senso narrativo. La deferenza epistemica nei confronti degli esperti, cui ci si affida per quell’utile futuro testé evocato proprio dal Protagora redivivus, mostra che pressoché tutti credono che ci siano opinioni vere e opidi lessico, apparentemente innocue, sono ben controllate da Platone; tuttavia, l’opinione si presenta ma dentro un approccio percettivo, è ancora concepita sulla falsariga della percezione, come una puntuale recezione “subìta”, immediata e passiva. 68 Su questo aspetto, cfr. E. Keeling, Truth for a Person and Truth for a Polis: A Note on 171a1-6, «Ancient Philosophy», 35, 2015, pp. 63-73. 69 172 a 5-b 2. 70 170 a-171 d. 20 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone nioni false, quindi che P (= tutte le apparenze sono vere) sia falsa; eppure, essi non hanno torto, giacché P è vera (tutte le apparenze sono vere), quindi P è falsa se qualcuno la ritiene tale!71 L’anima si autorappresenta anzitutto come percezione immediata dei propri oggetti, poi eleva tale autorappresentazione a teoria, mancando, per così dire, la propria natura; nell’atto stesso in cui l’idea della percezione come infallibile viene esportata alle apparenze in generale, incluse quelle doxastiche, allora si modella il giudizio sulla falsa riga della percezione (mancandone, daccapo, la natura)72, finendo per rendere impossibile lo stesso concetto di esposizione all’errore: eppure questa stessa idea, se auto-applicata, produce il proprio auto-superamento. Anche in questo caso, l’auto-confutazione è la controparte dialogica di un processo “fenomenologico” che l’anima deve esperire, per riconoscersi oltre le proprie autorappresentazioni erronee, anzi proprio grazie a esse: dobbiamo provare a porre la verità di ogni apparenza, nostra e altrui, e vedere dove ciò ci conduce. Anche la (auto)confutazione di Protagora toglie ma insieme conserva ciò che supera: ciò che è “vero per noi” è ciò che, a un dato momento, crediamo e ci appare tale, sulla base delle evidenze disponibili; ma l’adeguamento fra ciò che ci appare vero e ciò che lo è, è una missione, non già alcunché di originariamente dato73. Ma il lascito più significativo di questo superamento, è che la necessità di fare spazio al falso costringe il pensiero a riflettere sulle condizioni di possibilità di un suo eventuale rapporto coi propri oggetti che sia caratterizzabile come falso: perché le apparenze e le opinioni hanno sempre un oggetto, e occorre comprendere che oggetto possano mai avere quelle false74. Ma per ora il tema viene differito75, e trova invece spazio la cosiddetta “Digressione”76 – nella parte centrale del dialogo77 (ne è 71 La sintesi dell’auto-confutazione che proponiamo è sommaria al punto da apparire banalizzante, ma in questa sede ci interessa enfatizzare un aspetto, quello dell’autoreferenzialità, più che entrare nei dettagli dell’argomentazione. 72 Questo è imputato, da Platone e poi da Aristotele, pressoché a tutti i filosofi presocratici. Cfr. Aristotele, De Anima iii 3, 427 a 26-30. 73 Si comprende ora che l’umiltà dapprima ascritta a Teeteto in sede di introduzione dei personaggi – che ora fa da pendant contrastivo all’arroganza un poco autocelebrativa di Protagora – non aveva un significato moralistico, ma anticipava la contrapposizione fra un habitus intellettuale fecondo, e uno sterile. 74 Cfr. infra, pp. 26 ss. 75 Il “differire” certi temi e la relativa suspense procurata nel lettore, si inscrivono in una tecnica narrativo-drammatica atta a enfatizzare la rilevanza di certe cose proprio attraverso la loro assenza, il loro restare presenti nella forma dell’attesa o della ricerca, creando un effetto di tensione che informa di sé anche i temi trattati nel frattempo. 76 Socrate chiama le cose dette nella “Digressione”: parerga (177 b 8); questioni collaterali, appunto. 77 171 c 1-177 c 5. Il Teeteto comincia a 142 e termina a 210: circa 30 pagine Stephanus precedono la Digressione, e poco più di 30 pagine la seguono. Una recente e lucida analisi 21 Diego Zucca l’autentico cuore) – una digressione solo apparente; Socrate allude a un «discorso più grande», Teodoro afferma che la schole, il tempo libero non manca. Lo straordinario discorso di Socrate, di cui è impossibile offrire una sintesi sommaria, è imperniato su una serie di opposizioni, non giustapposte bensì coimplicantisi: la libertà del filosofo e del filosofare, che ha cura della verità e guarda lontano, di contro alla schiavitù dei retori, che non vedono oltre il loro naso, e dei discorsi in tribunale, schiavi della clessidra e intrisi di menzogna; il volgersi all’universale e al “cielo” da parte dell’uomo libero, di contro all’indugiare nell’individuale e nell’empirico da parte delle anime misere, prese dalle prassi “troppo umane” dei loro interessi particolari: il celebre aneddoto di Talete che, mirando al cielo cade in un pozzo suscitando le risate di una serva, illustra la goffaggine mondana di chi si cura di cose di maggior valore, ma ben più ridicola è la speculare goffaggine di chi, portato nella dimensione “uranica” della libera ricerca del vero e richiesto di “dare e chiedere ragioni”, si trova spaesato e senza strumenti78. L’opposizione fra i due tipi umani è etica ed esistenziale: l’uno coltiva sapienza, virtù e giustizia e così si “assimila a dio”, l’altro – furbesco, pusillanime e servile – è ancorato alla terra su cui grava e ha così la mediocre vita che conduce quale meritato castigo79. A noi interessa mettere in luce la dimensione autoreferenziale di questa apparente sospensione della ricerca sulla conoscenza: una digressione che parla della digressione – ovverosia del tempo e della libertà (non solo materiale ma “spirituale”) di dedicarsi all’universale e al vero in modo da trascendere la propria individualità, i propri interessi, elevandosi a uno sguardo che abbracci la totalità e il reale al di là delle contingenti urgenze pratico-empiriche – e così “mostra ciò che dice”, anzitutto mostrando il filosofo che parla del filosofo80. La mediazione confutativa del relativismo sensistico aveva evocato la dimensione politica dell’utile pubblico e della comunità, ora la Digressione invita a trascendere quel mondo privato, abitato dagli effimeri percipienti protagorei, in un senso molto più radicale e non più meramente epistemologico. Riprese le fila della confutazione, Socrate torna al tema dell’utile e del futuro come implicanti il falso81, per poi rivolgersi di nuovo della Digressione è T. Bénatouïl, La science des hommes libres. La digression du Théétète, Vrin, Paris 2020; cfr. anche Z. Giannopolou, The Digression in Plato’s Theaetetus: Observations on Its Thematic Structure and Philosophical Significance, «Elenchos», 23, 2002, pp. 75-88; E. Spinelli, Socratismo, platonismo e arte della vita. Ancora sulla digressione del ‘Teeteto’ (172c-177c), in G. Casertano (a cura di), Il Teeteto di Platone. Struttura e problematiche, Loffredo, Napoli 2002, pp. 201-215. 78 Cfr. H. Blumenberg, Il riso della donna di Tracia, Il Mulino, Bologna 1988. 79 176 e 3-177 a 8. 80 Socrate, è il filosofo par excellence. 81 177 b 6-179 d 1. 22 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone a F, l’ontologia del Flusso come parte di TPF, e anche qui si evidenzia, fra altre cose, l’esito paradossale della auto-applicazione di siffatta teoria: se tutto è in movimento e nulla ha neppure una relativa stabilità e determinatezza, e allora il vedere sarà anche un nonvedere, e la conoscenza non sarà più percezione di quanto non sia non-percezione; una teoria per cui tutto è instabile, non può pretendere per sé alcuna stabilità, e così si “auto-fagocita”82. Teeteto chiede a Socrate di discutere anche l’ontologia eleatica, secondo cui, al contrario di F, il tutto è immobile e indiveniente, ma Socrate glissa, in ragione dell’enorme complessità dell’argomento e del timore che quest’ultimo adombri la questione della conoscenza: è proprio il modo in cui vien fatta allusivamente tralucere, da Platone, l’importanza dell’essere indiveniente per la conoscenza83. Dopo questa sortita intorno alla natura del reale, l’anima torna a occuparsi di sé: Socrate argomenta che non percepiamo con gli organi sensoriali, bensì attraverso di essi84, e le percezioni «convergono verso un’unica forma» che possiamo chiamare anima: è con essa, in realtà, che percepiamo85. E mentre le proprietà sensibili (cromatiche, acustiche, olfattive, etc.) sono percepite grazie al loro impatto corporeo coi rispettivi organi di senso, noi possiamo pensare 86 anche alla differenza fra due proprietà percepite (es. bianco ≠ dolce), al fatto che entrambe sono, e sono identiche a sé e diverse dall’altra, simili/dissimili, ma anche una/molte, e pure belle/ brutte, buone/cattive, etc. Le proprietà comuni (koina) a più tipi di sensibile, o ad alcune o a tutte le cose87, sono colte «dall’anima stessa mediante se stessa»88. Dal molteplice sensibile, e dalla fenomenologia del suo 182 d-e; è un argomento presente anche nel Cratilo (Platone, Cratilo 440 a 9-b 4). 180 d 7-181 b 7; 183 c 8-184 b 2. Cfr. infra, pp. 39-40. 84 La differenza è quella fra la preposizione ‘dia’ + genitivo (del termine denotante l’organo), e il semplice dativo strumentale: 184 d 7-186 d 5. 85 Su questo passaggio, cfr. M. Dixsaut, Natura e ruolo dell’anima nella sensazione (Teeteto, 184b-186a), in G. Casertano (a cura di), Il Teeteto di Platone, cit., pp. 39-62; A. Brancacci, On the Relationship between Psuchê and the Senses in the Theaetetus, in D. Zucca e R. Medda (eds.), The Soul/Body Problem in Plato and Aristotle, Academia Verlag, Baden-Baden 2018, pp. 55-74. 86 A 185 a 4 e a 9 si usa dianoein (pensare) per il coglimento di vista e udito insieme e dell’essere delle proprietà viste o udite: il passaggio a oggetti non sensibili e quello a un tipo di apprensione non sensibile, si danno insieme. 87 Alcuni dei koina del Teeteto (essere, identico, diverso) coincidono con alcuni dei “generi sommi” del Sofista, ma altri, come bello, buono, brutto, cattivo, sono proprietà non appartenenti a tutti gli enti, bensì solo ad alcuni: ciò che conta, più che una loro assoluta onnipresenza in tutte le cose, è la loro inattingibilità tramite gli organi di senso, legata al loro esser proprietà comuni a più sensibili, dunque predicabili a qualcosa solo da parte dell’anima, non già dei sensi stessi. Su percezione, anima e koina, cfr. F. Aronadio, L’aisthesis e le strategie argomentative di Platone nel Teeteto, Bibliopolis, Napoli 2016, cap. v; A. Silverman, Plato on Perception and ‘Commons’, «Classical Quarterly», 40, 1990, pp. 148-175. 88 185 e 1-2. «Sei bello, non brutto» (e 3), dice Socrate a Teeteto che, seguendolo, completa questa idea: Teodoro disse che era brutto (come Socrate) nell’incipit della discussione (143 e 7-9), ma è bello perché ne è bella l’anima (come quella di Socrate), e il passaggio dal 82 83 23 Diego Zucca coglimento, si risale all’anima come luogo unitario della sintesi del materiale empirico fornito tramite gli organi di senso, dunque come soggetto autentico della cognizione89: si noti, poi, che il soggetto dell’indagine vertente sulla sintesi del molteplice sensibile da parte dell’anima, è l’anima stessa, quindi l’anima scopre sé stessa in quanto potere unitario cognitivo sintetico, entro un’indagine essenzialmente auto-riferita; inoltre, dalla natura degli oggetti della sua cognizione (“intermodale”, e non sensibile) si risale a un tipo di cognizione (il pensiero in quanto opinare, doxazein)90 distinto dalla percezione. Così il sensismo protagoreo è superato anche dal punto di vista della psicologia cognitiva: eppure è proprio dall’attenta riflessione sulle operazioni che comporta il percepire, che questo superamento è reso possibile; si tratta di un auto-superamento, o auto-trascendimento; l’anima comprende meglio ciò che fa, riflettendo su di sé, e facendolo scopre anzitutto il proprio potere... di riflettere su di sé e sui propri oggetti: di certi oggetti, l’anima cerca l’essere (ousia)91, e indaga i loro rapporti reciproci92, comparando le percezioni e istituendo connessioni93, ed è in queste operazioni, che deve consistere la conoscenza, piuttosto che nelle singole percezioni: solo così si possono «toccare» la verità e l’essere, cioè conoscere94. Dei tratti che caratterizzavano la conoscenza secondo prima ipotesi T – la verità, l’immediatezza, la sensorialità, la passività, l’avere un oggetto (semplice) – ci siamo lasciati alle spalle la sensorialità, la passività (in favore dell’attività sintetica dell’anima), l’immediatezza; la verità è risultata invece non appartenere alla percezione sensoriale in quanto tale, mentre l’avere un oggetto resta fondamentale, resta un tratto essenziale comune a conoscenza e percezione. Gli corpo all’anima, che lì era anticipato o prefigurato, qui è compiuto dal punto di vista epistemologico. Il tema della somiglianza e della polarità anima/corpo sono due “fili rossi” del dialogo in senso drammatico e speculativo ad un tempo (due dimensioni indissociabili nella scrittura platonica). 89 Come enfatizzato da Burnyeat (The Theaetetus, cit., pp. 52-61) questi passi costituirebbero la prima posizione dell’unità della coscienza nel pensiero filosofico occidentale. Cfr. anche P. Natorp, Dottrina platonica delle Idee. Un’introduzione all’idealismo, Vita & Pensiero, Milano 1999 (ed. or. 1903), pp. 144-146. 90 187 a 3-8. 91 Termine decisivo, che anticipa il riferimento alla “ousia” nella seconda lettura della Terza Ipotesi (cfr. infra, pp. 33-34). Sul termine ousia in questi decisivi passi, cfr. Ch. Kahn, Some Philosophical Use of ‘to be’ in Plato, «Phronesis», 26, 1981, pp. 105-134: pp. 122-124. 92 186 a 10-12. 93 L’attività di istituire connessioni è «sylloghismos» (186 d 3), il ragionamento o comunque, anzitutto, una connessione concettuale, unificante, fra le percezioni sensibili, che non può essere un frutto cognitivo della sola sensibilità. 94 È interessante che il lessico tattile richiami quell’immediatezza del contatto che proprio ora si dovrebbe star superando col superamento della Prima Ipotesi (conoscenza = percezione): è in effetti un elemento che si conserva col togliere la Prima Ipotesi ma che – come tutto ciò che si conserva – dovrà subire una trasfigurazione, non potendo più essere un contatto passivo, e venendo concepito come l’esito di un processo discorsivo-mediazionale (cfr. infra, pp. 40-42). 24 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone ingredienti della Seconda Ipotesi di Teeteto sono stati oramai resi disponibili. 6. Seconda Ipotesi. La conoscenza, allora, sarà opinione vera, giacché l’opinione può anche essere falsa ed è escluso che le opinioni false possano costituire conoscenza95. Ritorna il tema del falso, che era stato evocato, ancorché poi temporaneamente “rimosso”, proprio dal superamento confutativo di TPF. L’avere un oggetto è tratto comune a tutte le opinioni: ma che oggetto hanno le opinioni false? Chi opina, opina su qualcosa (X) e opina che sia qualcosa (Y): anzitutto, il doxaxein si mostra avere un contenuto complesso, duplice96, anche se è concepito come posizione di un’identità (X = Y)97; e l’opinare falso sarà identificazione di diversi. Eppure se conosco X e Y, non li confonderò opinandone falsamente l’identità (saprò che sono diversi), se non li conosco non potrò avere opinioni su di essi, se conosco uno di essi non lo confonderò con altro che non conosco. L’aporia tradisce un’oscillante e malsicura comprensione della complessità del contenuto doxastico, da una parte, e della peculiarità dell’atto doxastico, dall’altra: si riconosce la duplicità dell’oggetto e l’idea di una connessione (qui identità) fra due entità, ma si continua a concepire il conoscere sul modello percettivo già superato, come contatto immediato con un particolare. Così come o percepisco un F o non lo percepisco, conosco (e opino) un F oppure no: se vi è contatto cognitivo, conosco (e opino il vero), altrimenti non vi è contatto, nemmeno “falso”. L’idea è che solo se sono in contatto cognitivo con un oggetto – e quindi lo conosco, secondo questa nozione quasi-percettiva di conoscenza che è uno “strascico” della Prima Ipotesi pur già superata – posso opinare su di esso, ma a quel punto, questo opinare non può essere falso: non posso opinare il falso su ciò che conosco, né su ciò che ignoro98. 95 La conoscenza è fattiva: se so che P, P è il caso; se P è falso, semplicemente non posso sapere che P. 96 Su ciò, cfr. M. Heidegger, L’essenza della verità (1988), Adelphi, Milano 1997, per le profonde intuizioni teoretiche pur al netto di molte traduzioni irricevibili e di varie forzature interpretative. 97 Concezione semplicistica e insoddisfacente: ma il primo emergere della duplicità di contenuto dell’opinione, deve essere rozzo e incompleto; la differenza fra identità e predicazione è un’articolazione successiva di questa “intuizione”. 98 È opportuno ricordare che sia il verbo doxazein («opinare»), sia il verbo epistasthai («sapere», «conoscere») possono reggere proposizioni oggettive e riferirsi sia a fatti che a oggetti, e questa circostanza linguistica tende ad adombrare la differenza fra contenuti proposizionali e contenuti oggettuali: epistasthai può essere tradotto con «sapere» (e in italiano dico: «so che P», non «so un oggetto»; così come «opino che P», non «opino un oggetto») e con «conoscere» («conosco un oggetto», non «conosco che P»). Su questo aspetto e le sue conseguenze epistemologiche, cfr. W.G. Runciman, Plato’s Later Epistemology, Cambridge University Press, Cambridge 1962. 25 Diego Zucca Il trattamento del falso è poi rideclinato in termini ontologici: si ipotizza che opinare il falso sia opinare ciò che non è; eppure, se opinare è sempre opinare una certa cosa, avrà sempre un oggetto, quindi non sarà un opinare “ciò che non è” (che equivarrebbe a non opinare alcunché): nemmeno sotto questa seconda ipotesi l’opinione falsa pare possibile. Socrate avanza un’ipotesi ulteriore: la falsa opinione potrebbe essere allodoxia, “opinione su qualcos’altro”, un opinare “altrimenti”99, piuttosto che il non-essere: uno scambio nel pensiero (dianoia) per cui qualcosa che è, è identificata con qualcos’altro, che pure è. Si noti che ogni ipotesi ulteriore aggiunge nuovi elementi: la duplicità viene ora concepita come scambio fra cose che sono, quindi come relazione fra “entità”, e il “luogo” in cui avviene lo scambio è la dianoia; ci si emancipa gradualmente dal modello percettivo. Ma questo “scambio” ci costringe a chiederci cosa sia il pensiero, e che rapporto abbia con i propri oggetti, se questo sia o meno un rapporto tale per cui uno scambio siffatto è concepibile. Così si definisce il pensiero, come «discorso che l’anima conduce con se stessa intorno a ciò che indaga» (189 e 6-7): l’anima afferma e nega, interroga e risponde, poi definisce qualcosa e questa è la sua opinione (doxa)100; in fondo, ciò che fa l’anima in sé, quando pensa e forma un’opinione intorno a qualcosa dopo un “dibattito intrapsichico”, è ciò che Socrate e Teeteto stanno facendo, e ora, in particolare, lo stanno facendo proprio intorno a cosa il pensiero sia: in modo pluralizzato o “inter-psichico”, per così dire, il pensiero coglie sé stesso come un discorso, produce un discorso che verte su di sé, sul suo stesso esibire una struttura discorsiva: un movimento autoreferenziale, di coglimento di sé, o di auto-accesso. Il pensiero è dunque attività discorsiva, anche quando è silente, attività il cui compimento ideale è l’accordo verace del pensiero con sé stesso. Molti sono, del resto, i luoghi in cui Socrate e Teeteto discutono sul discutere, tematizzando i modi in cui la discussione va affrontata, e dialogando sul dialogare – posto che il pensare non è che un dialogare con sé – enucleano le stesse strutture normative del pensiero argomentativo riproducendone, anche a un livello narrativo, la dimensione autoreferenziale: dialogando, si tematizza il dialogare, così come pensando, il pensiero si rivolge a sé e alle proprie strutture (e qui, in particolare, produce un’opinione sull’opinare stesso). Ora, replica Socrate a sé stesso, nessuno dice a sé stesso (= pensa) che X è Y, per esempio, che l’uno è due, il bue è cavallo, 189 b 12-c 4. Cfr. Platone, Sofista 263 e 3-264 a 2. Sulla natura dialogica del pensiero, cfr. M. Dixsaut, What Is It Plato Calls ‘Thinking’, in J. Cleary e G. Gurtler (eds.), Proceedings of the Boston Area Colloquium in Ancient Philosophy, vol. xiii, Brill, Leiden-Boston 1997, pp. 1-27. 99 100 26 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone o il bello è brutto101: daccapo, se si è in contatto cognitivo con X e Y ed essi sono diversi, non li si identifica, quindi l’allodoxia non ci affranca dall’aporia originaria. Eppure, gli esempi addotti ora coinvolgono anche predicati che denotano proprietà, quindi si arricchisce l’idea del contenuto doxastico finora limitata all’identità fra particolari (non solo X = Y, ma X è F, F = G, F è G102). Un aspetto che, a nostro sapere, non viene debitamente messo in luce dagli interpreti, è proprio l’autoreferenzialità implicata dalla ricerca di cosa sia il falso: Socrate e Teeteto propongono opinioni false su cosa sia un’opinione falsa, poiché ciascuna ipotesi sul falso si rivela essere falsa essa stessa: l’opinione per cui opinare il falso è porre X, che conosco, come identico a Y, che conosco, è falsa, dunque non potrei essere in contatto cognitivo con l’opinione falsa e credere che sia quest’altra cosa, con cui sono pure in contatto cognitivo (e così via per le altre possibilità combinatorie della prima ipotesi sul falso); l’opinione per cui l’opinione falsa è opinare il non essere, è falsa, dunque lo stesso contenuto: [opinare il falso è opinare ciò che non è] non è semplicemente “qualcosa che non è” (seconda ipotesi sul falso); e l’opinione per cui l’opinione falsa è una allodoxia o “opinare altrimenti”, è falsa, per cui, che l’opinione falsa sia allodoxia, non è (semplicemente) allodoxia (terza ipotesi sul falso). Eppure, via via che “sbagliamo sullo sbagliare”, ci rendiamo conto sempre meglio, retrospettivamente, di cosa sia stato, questo sbagliare (a partire da cosa non è stato); questo processo illustra, o meglio “mostra”, quello che forse è il meta-messaggio cardinale del Teeteto: in filosofia, i fallimenti sono istruttivi, e farne esperienza è un esser già passati oltre. Proprio il coglimento di questo progresso immanente nell’errare – nel caso presente: nell’errare su cosa sia l’errare – è un imparare, ed è proprio l’imparare, come intermedio fra conoscere e ignorare103, che viene ora tematizzato nelle sue condizioni di possibilità, in vista di una nuova caratterizzazione del falso (quarta ipotesi sul falso): Socrate illustra la celebre immagine dell’anima come un blocco di cera plasmabile, su cui si imprimono tracce mnestiche di percezioni e pensieri, che poi possiamo ricordare o richiamare104. Il tema della ritenzione e della memoria, già anticipato nella confutazione di T e di P (cfr. supra), torna con una inedita centralità. Il contatto cognitivo può essere un contatto non presente 190 c-d. Su questo avanzamento, cfr. E. Maffi, Lo spazio della filosofia: una lettura del Teeteto di Platone, Loffredo, Napoli 2014, pp. 182 ss. 103 191 c 3-4. 104 191 b 1 ss. Un’analisi puntuale e profonda dell’immagine del blocco di cera, è: P. Crivelli, Plato’s Waxen Block, in W. Detel, A. Becker e P. Scholz (eds.), Ideal and Culture of Knowledge in Plato, Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2003, pp. 175-200. Cfr. anche F. Aronadio, L’aisthesis e il modello del blocco di cera, in Id., L’aisthesis, cit., pp. 207-226. 101 102 27 Diego Zucca (bensì passato e ritenuto), e la percezione di qualcosa può essere cognitivamente “arricchita” da informazioni di cui dispongo, acquisite e ritenute precedentemente. Conoscere e percepire vengono distinti (T era già stata superata), si mette a frutto il superamento dell’idea di conoscenza come contatto istantaneo, introducendo l’idea del riconoscimento105, o del vedere-come, ulteriore al vedere “oggettuale”, e della conoscenza come capacità disposizionale, reiterabile in diverse occasioni d’esercizio, alcune delle quali possono essere infelici106: sorvolando sulla combinatoria complessa di casi che Socrate discute107, esempi di opinione falsa possono essere quei fallimenti riconoscitivi fondati sulla mancata corrispondenza fra qualcosa di attualmente percepito e qualcosa di “ritenuto” nell’anima a partire da un’acquisizione pregressa: conosco Socrate, vedo Teeteto da lontano (sappiamo che hanno alcune fattezze fisiche in comune) e lo scambio per Socrate (sia che io conosca Teeteto da prima, sia che non l’abbia mai incontrato prima)108. A proposito del “togliere conservando” per auto-critica immanente, si noti come questa ipotesi contenga elementi salvabili delle tre ipotesi sul falso già superate: identifico cose diverse di cui pure ho cognizione (1) anche se in sensi diversi; opino qualcosa che non è (2) pur in senso qualificato (Socrate non è Teeteto); opino altrimenti, nel senso che scambio due entità con cui sono in contatto cognitivo (3), seppure non le scambi “nel pensiero” bensì nel rapporto fra pensiero e percezione. Resta fermo il fatto che per riferirmi a un oggetto (opinandone questo o quello) devo avere con esso un contatto cognitivo, ma si apre uno spazio logico per l’opinione falsa in quanto discrasia fra due tipi di contatto cognitivo (percezione, pensiero). Il termine è anagnorisis, 193 c 5. Il “vedere ricognitivo” si comporta come un predicato a tre posti: (un soggetto) S vede X come (un) Y, diversamente dal “vedere” oggettuale, che è un predicato a due posti: S vede O. Il comportamento logico di quest’ultimo è “trasparente”, ossia: se S vede X, e X = Y, allora S vede Y (e: se S vede X e X è F, allora S vede un F) per cui o S vede X oppure no, senza spazio logico per un errore che non sia il semplice non vedere X. Invece vedere X come (un) Y implica il vedere “oggettuale” (il vedere X), ma perché S veda X come (un) Y, X non deve essere un Y. Per poter vedere X come Y (o come un F) devo aver acquisito una disposizione ricognitiva nei confronti di esempi o presentazioni di Y (o di F), e inoltre devo vedere X, quindi vi è spazio logico per un riconoscimento fallito, per una associazione inaccurata. Su questa differenza, da un punto di vista analitico e non storico, mi permetto di rimandare a D. Zucca, Defending the Content View of Perceptual Experience, Cambridge Scholars Publishing, NewCastle 2015, cap. i, parti ii-iii-iv. L’enucleazione del vedere-come nei termini di un peculiare intreccio cognitivo fra percezione e pensiero, è un enorme guadagno teoretico di Platone, che avrà una rilevantissima storia degli effetti nella psicologia cognitiva e nell’epistemologia della percezione. 107 Su ciò, cfr. P. Crivelli, The Argument from Knowing and Not Knowing in Plato’s «Theaetetus», «Proceedings of the Aristotelian Society», 98, 1996, pp. 177-196. 108 192 c-d. 105 106 28 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone L’ipotesi illustrata mediante l’immagine del blocco di cera è un genuino guadagno, che però risulta insufficiente: essa testimonia un modo concepibile in cui può darsi l’opinione falsa, ma non è esplicativa rispetto a quei casi in cui abbiamo opinioni false intorno a contenuti non percettivi, bensì “puramente” concettuali, come quando erriamo nel calcolare numeri astratti (5 + 7 = 11)109; sono esempi, aggiungiamo noi, di cui abbiamo un’esperienza freschissima: quando abbiamo stabilito che era falsa la nostra opinione secondo cui l’opinione falsa è allodoxia, avevamo fra le mani un’opinione falsa, ma non in virtù di una fallita corrispondenza fra una cognizione concettuale e una percezione. La altrettanto celebre immagine dell’anima come un’uccelliera integra e supera, come quinta ipotesi, quella del blocco di cera: è come se nell’anima vi fosse un’uccelliera dentro cui volano uccelli di diverso tipo – le nostre conoscenze – e noi possiamo afferrare uno di essi quando vogliamo; l’idea della conoscenza come uno stato disposizionale, già implicita nell’idea di vedere-come ricognitivo, è rivisitata e radicalizzata fino a dar luogo a due significati di “conoscere” entrambi concettuali: come capacità (possedere certi uccelli nella propria “gabbia psichica”), e come esercizio occorrente (afferrarli), ove l’esercizio è volontario e dunque attivo – a differenza del vedere-come che pareva venire attivato, quasi meccanicamente, dall’esposizione allo stimolo percettivo esterno. La falsa opinione meramente dianoetica si produce quando afferro dalla mia gabbia il volatile sbagliato (es. l’11 in luogo del 12), un volatile in luogo di un altro. Ritorna l’idea dello «scambio nella dianoia» già evocato entro l’ipotesi della allodoxia110, ma l’essere in contatto cognitivo con X e Y non pare implicare più ipso facto l’impossibilità dello scambio in quanto ciò che, per così dire, va storto, non è la stessa conoscenza (disposizionale) di X e Y presupposta allo scambio medesimo, bensì la “messa in esercizio” di essa, il suo uso contingente. L’acquisizione del sapere porta al suo possesso, ed è una prima “caccia”, il suo esercizio occasionale è una seconda “caccia” (dentro il repertorio acquisito, dentro la gabbia): la prima caccia va a buon fine o no (o conosco, o non conosco), la seconda presuppone sì la prima (conosco) eppure può, occasionalmente, non andare a buon fine111. 195 c 6-196 c 8. 199 c 10: metallaghe epistemon. 111 Sul rapporto fra l’immagine del blocco di cera e l’immagine dell’uccelliera – in connessione con la maieutica e con particolare attenzione alla circolarità implicata dalla ricerca della conoscenza da parte dell’anima – è utile F.J. Gonzalez, Wax Tablets, Aviaries, or Imaginary Pregnancies: On the Powers in Theaetetus’ Soul, «Études Platoniciennes», 4, 2007, pp. 273293. 109 110 29 Diego Zucca Tuttavia, anche questa quinta ipotesi, che pure ha arrecato degli avanzamenti teoretici decisivi112, ricade da ultimo nell’aporia in cui eravamo originariamente avviluppati: una conoscenza disposizionale, se è tale, comporta esercizi felici, non fallaci, altrimenti si ripropone dentro l’anima il problema di come possiamo conoscere le nostre stesse conoscenze e, ciononostante, scambiarle con altre113. Aggiungiamo noi che nemmeno la nostra precedente opinione falsa sul falso come mancata corrispondenza fra pensiero e percezione sarebbe soddisfatta da questa ulteriore ipotesi, visto che non si tratta di un caso in cui scambiamo una nostra conoscenza (l’opinione falsa) per un’altra nostra conoscenza (lo scambio fra nostre conoscenze disposizionali) nell’ambito di un loro esercizio114. Socrate attribuisce quest’ulteriore fallimento al fatto che forse non si può venire a capo dell’opinione falsa prima di esser venuti a capo della conoscenza: del resto l’aporia del falso dipende dal fatto che chi opina il falso sbagli su qualcosa che conosce, dunque conosca e non conosca la stessa cosa, ma fintanto che non conosciamo il conoscere, formuliamo la stessa aporia, per così dire, “al buio”, ignorando gli stessi termini che la costituiscono; e si badi che non conoscere cosa sia conoscere significa anche ignorare cosa sia ignorare: ma anche un’osservazione come quest’ultima – come in una sorta di vertiginoso regressus – mostra ciò che dice, è affetta dallo stesso male che denuncia115. Si sospende dunque la questione del falso per tornare alla Seconda Ipotesi, alla conoscenza come opinione vera, e Socrate si lascia alle spalle in modo pragmatico, con una pregnante battuta, il problema della circolarità dell’indagine sulla conoscenza: «dice, colui 112 In questi passaggi, Platone sta in effetti anticipando la fondamentale distinzione aristotelica fra “atto primo” e “atto secondo” (cfr. Aristotele, De Anima ii 5, 415 a 21-418 a 6): una distinzione psicologica, etica ed epistemologica davvero impossibile da sottovalutare. 113 200 b 1-c 2. Se conosco X, conosco anche la conoscenza di X: sia X2; se conosco X2, allora non lo scambierò con Y2, cioè con la conoscenza di Y, che pure conosco. Qui Platone sta denunciando la cosiddetta fallacia dell’omuncolo, che si compie quando si spiega il rapporto fra il soggetto e la realtà postulando «l’esistenza di una situazione interna che ricapitola le caratteristiche essenziali della situazione originale che andava spiegata [...] introducendo una relazione fra il soggetto e degli oggetti interni che è essenzialmente dello stesso tipo della relazione fra il soggetto e gli oggetti esterni» (G. Evans, Molyneux’s Question, in Id., Collected Papers, Oxford University Press, Oxford 1985, p. 397, traduzione mia). Tale fallacia comporta un regressus – a proposito di autoreferenzialità – in quanto il modello esplicativo dovrebbe essere indefinitamente auto-applicato: il problematico rapporto fra il soggetto e questi oggetti interni (gli “uccelli” nel nostro caso, le conoscenze) si spiega invocando altri oggetti interni (le conoscenze delle conoscenze), et sic in indefinitum. 114 È vero che Platone non accenna esplicitamente a queste applicazioni retroattive di ciascuna ipotesi alla precedente, presa come esempio di opinione falsa appena esperita; ma Platone ci invita continuamente, nel Teeteto, alla “auto-applicazione” (questa, la tesi di fondo che suggeriamo in questo articolo), e nel procedere con queste auto-applicazioni ci pare di star seguendo legittimamente un’istruzione di Platone, il quale gioca con questo scambio e ascesa di ordini, fra livello e meta-livello, per tutto il dialogo. 115 Socrate lo afferma esplicitamente, a 196 e 5-7. 30 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone che prova a guadare il fiume, che “la cosa stessa lo mostrerà”»116, nel senso che provare a guadarlo è la sola maniera di scoprire se è guadabile. Il problema della ricerca di cosa sia la conoscenza implica che ci riferiamo a essa, opiniamo su di essa, prima di conoscere cosa sia (altrimenti non cercheremmo)117. Ci siamo volti di nuovo al conoscere congelando l’aporia del falso, ma ci troviamo davanti a qualcosa di strutturalmente analogo riguardo al conoscere: cosa garantisce che è proprio sul conoscere, che indaghiamo? Ad ogni modo, la battuta di Socrate sul fiume ricorda quella di Hegel quando, nell’Introduzione alla Fenomenologia, afferma che l’idea kantiana di una «introduzione alla filosofia» – ma in realtà l’obbiettivo polemico è il “metodismo” della gnoseologia moderna tout-court – equivale alla pretesa di quel tale che voleva imparare a nuotare senza buttarsi in acqua118; a nostro avviso non si tratta di una generica assonanza, anzi le due immagini, mutatis mutandis, hanno lo stesso significato speculativo: stiamo già nuotando, stiamo già guadando il fiume, e lo stesso paradosso autoriflessivo dell’impossibilità di cominciare segna un aver già cominciato, è sintomo inaugurale delle doglie del parto, il cominciamento è possibile solo poiché è già gravido del risultato. La Seconda Ipotesi è confutata in modo rapido e candido: ci sono controesempi, di opinioni vere che non sono conoscenza, come quei pareri corretti dei giudici su fatti criminosi, che pure sono stati basati sull’ascolto di testimoni e sui discorsi persuasivi di retori e avvocati, piuttosto che sulla visione diretta dei fatti119; in casi siffatti, la verità dell’opinione si dà, ma il processo di formazione dell’opinione stessa non coinvolge un genuino contatto cognitivo con i fatti, bensì una inferenza mediata da terzi soggetti, che potrebbero non dire il vero (i testimoni diretti) o potrebbero persuaderli anche di cose false (i retori-avvocati, interessati all’accusa o difesa dei loro clienti)120. Naturalmente, l’esempio dei tribunali – evidente richiamo alla Digressione (cfr. supra)121 – verte su un fatto empirico, che può 200 e 7-201 a 1. Una situazione aporetica che ricorda il cosiddetto “Paradosso del Menone” (cfr. Menone 80 d 5-e 5): cercare ciò che non si conosce è 1) impossibile, poiché anche imbattendocisi non lo si riconoscerebbe; 2) inutile, se lo si conosce già. Come è noto, il Menone oltrepassa il paradosso postulando un contatto pregresso dell’anima con ciò che cerca, e concependo la ricerca come un processo di “recupero” di ciò che pure è oggetto attuale di una conoscenza “sopita” entro il soggetto, da risvegliare (teoria della reminiscenza). 118 G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito (1807), Rusconi, Milano 1995, p. 75. 119 201 a 4-c 6. L’intuitività di questi controesempi e la validità della confutazione presuppongono ciò che non dovrebbe darsi: che noi sappiamo che qualcosa non è conoscenza, anche se non sappiamo cosa la conoscenza sia (infatti, è ciò che cerchiamo). 120 Sul significato di questa obiezione, cfr. F. Trabattoni, Essays in Plato’s Epistemology, Leuven University Press, Leuven 2016, pp. 31-46. 121 Che i discorsi dei tribunali possano persuadere ma non siano “conoscitivi” in quanto sono schiavi della clessidra, oltre che nella Digressione è argomentato da Socrate anche nel Gorgia (Platone, Gorgia, 454 e 6-455 a 6). 116 117 31 Diego Zucca essere visto oppure solo creduto a partire da chi dice di averlo visto e da altre prove congetturali (plausibilità, moventi, etc.); ma la conoscenza (come oramai sappiamo bene) non riguarda necessariamente fatti empirici, dunque l’esempio è insieme icastico e potenzialmente fuorviante: tuttavia permane, o ritorna, l’idea di un contatto, di un rapporto diretto con l’oggetto conosciuto. Non può però trattarsi, oramai, di contatto percettivo. 7. La Terza Ipotesi è un’integrazione della Seconda, giacché vi aggiunge un ingrediente costitutivo122 e pone la conoscenza «come opinione vera con logos»: si individua nel logos ciò che mancherebbe all’opinione vera per costituire conoscenza123; Teeteto riporta di aver udito tale tesi da altri, e Socrate lo aiuta a ricordarne il senso, offrendo un’interpretazione di «logos» molto peculiare – la cosiddetta “teoria del sogno”124: ciò che ha logos ha elementi costituenti, e il suo logos è l’insieme di tali elementi, mentre gli elementi primitivi non hanno logos, dunque non sono conoscibili ma solo nominabili e percepibili125. L’idea di «logos» come spiegazione, o definizione, rimane sullo sfondo o, meglio, è dapprima trattata in termini riduttivi (e “materialistici”) come “insieme di elementi”: conosco qualcosa cogliendone i componenti, conosco una sillaba cogliendone – ma, si badi, non: conoscendone – le lettere costituenti. Socrate pone il problema dell’inconoscibilità degli elementi stessi, e della conoscibilità come paradossalmente dipendente dal coglimento di ingredienti inconoscibili, e mostra che sulla tesi grava 122 La continuità fra Seconda e Terza Ipotesi è ben superiore a quella fra Prima e Seconda Ipotesi. La confutazione della Prima Ipotesi ha mostrato anche che la percezione non è conoscenza, mentre la confutazione della Seconda Ipotesi ha mostrato solo che non ogni opinione vera è conoscenza, ma si tiene fermo che ogni conoscenza è opinione vera (più qualcos’altro). Un’altra cosa che colpisce è l’enorme sproporzione quantitativa fra il trattamento della Prima Ipotesi (decine di pagine Stephanus) e quello della Seconda Ipotesi (poche battute). 123 L’idea che chi conosce qualcosa è in grado di fornirne un logos, è spesso ribadita nei dialoghi (cfr. per esempio Platone, Fedone, 76 b 56; Platone, Simposio, 202 a 5-9). 124 Teeteto afferma di aver sentito questa teoria da altri, e Socrate, aiutandolo a ricordare il senso di questa tesi, gli chiede di «ascoltare un sogno in cambio di un altro sogno» (201 d 6-7) – di qui, l’uso di denominarla “teoria del sogno”, su cui cfr. G. Mazzara e V. Napoli (a cura di), Platone. La teoria del sogno nel ‘Teeteto’, Academia Verlag, Sankt Augustin 2010. Quanto agli eventuali sostenitori storicamente determinati della teoria del sogno, tralasciamo il relativo dibattito come abbiamo fatto con la Dottrina Segreta di Protagora; ottimi argomenti in favore dell’identificazione con Antistene si trovano in A. Brancacci, Antisthène, la troisième définition de la science et le songe du Théétète, in G. Rhomeyer-Dherbey (sous la direction de), Socrate et les Socratiques, Vrin, Paris 2001, pp. 351-380; Sedley invece ritiene che possa trattarsi di teorie fisiche presocratiche, come quelle di Anassagora ed Empedocle, che riducono la realtà fisica a componenti materiali elementari (come i quattro elementi o le omeomerie) secondo una strategia esplicativa bottom-up (D. Sedley, La levatrice, cit., p. 189): ma a nostro avviso, qualunque referente storico sia sotteso alla discussione, se ne fa un uso disinvolto e “astratto”, giacché la discussione è in realtà autoreferenziale, cioè tacitamente orientata a un ordine superiore a quello della realtà fisica, in quanto verte sulla conoscenza della conoscenza stessa (e dei suoi elementi costitutivi). 125 202 b. 32 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone un’aporia, concernente il rapporto fra le parti e il tutto: se il tutto non è che la somma delle parti, allora conoscere il tutto implica conoscere le parti, ma se le parti non hanno logos, è impossibile conoscerle, sicché sarà impossibile conoscere anche il tutto; se il tutto è invece una «forma unica»126 o «idea indivisibile»127 irriducibile alle parti, allora esso sarà un’unità inconoscibile, giacché come tale non ha parti, quindi non ha logos! Socrate rileva che invece gli elementi sono tipicamente più conoscibili dei rispettivi composti, cosicché la “teoria del sogno” è un modo di intendere la Terza Ipotesi che va superato. Ora, il discorso verte sul conoscere qualcosa, ma a noi oramai non sfugge che ciò che anzitutto si sta cercando di conoscere, sia la conoscenza stessa: si indaga su cosa sia la conoscenza e si testa l’ipotesi che essa sia: ([opinione] + [verità] + [logos]), ove i tre costituenti della definizione sono esattamente quelle parti del tutto (la definizione) cogliendo le quali si disporrebbe del logos del tutto; anche qui, in modo autoreferenziale, si parla di un tutto (la conoscenza) una delle cui parti è l’insieme delle parti di quello stesso tutto! Cercando la definizione di conoscenza, con una movenza circolare si mettono a tema gli ingredienti di questa stessa definizione e il modo in cui si conosce ciò di cui essi sono ingredienti (la conoscenza). Socrate procede a esplorare altre declinazioni del logos di logos128: altri significati di «logos» come ingrediente della Terza Ipotesi, diversi dall’accezione della “teoria del sogno” (logos come insieme dei costituenti elementari). Viene escluso il logos come «discorso pronunciato»129, giacché sarebbe banale che un’opinione vera diventasse conoscenza se e solo se manifestata nel linguaggio, inoltre abbiamo già acquisito che il pensiero è un «discorso dell’anima con sé stessa» che può ben essere silente. Nella “tappa” immediatamente successiva, il lettore è dapprima inclinato a pensare che Socrate, stranamente, riproponga, pur avendola appena confutata, l’idea di logos come insieme degli elementi, ma in realtà questa nuova idea è inclusiva di un avanzamento decisivo: conosco cosa sia un carro se ne espongo l’essenza (ousia) attraverso tutti gli elementi130, mentre ne ho opinione vera se colgo qualcuno di essi, come ruote, asse, giogo, timone131; qui gli elementi, 203 e 4. 205 c 2. 128 Sulla distinzione fra le accezioni di logos, cfr. Ch. Shields, The Logos of Logos. Theaetetus 206c-210b, «Apeiron», 32, 1999, pp. 107-124. 129 206 d. 130 La ousia era stata anticipata in sede di definizione del pensiero come discorso dell’anima con sé stessa: l’anima indaga la ousia degli enti indagandone i rapporti reciproci, etc. (186 a 10-12); cfr. supra, p. 24. 131 207 a 1-7. 126 127 33 Diego Zucca oltre a dover essere colti tutti – quelli essenziali alla ousia – devono essere colti nel loro ruolo funzionale, come contributo alla struttura in cui il carro consiste: la relazione parti/tutto non è più concepita in maniera giustappositiva e atomistica, poiché le parti del tutto sono ciò che sono in quanto costituenti di quel tutto, dunque la relazione fra le parti e il “loro” tutto è, per così dire, biunivoca, non più unidirezionale (elementi → tutto). Rimane ancora da chiarire come colgo le parti se non conosco il tutto, e se parti e tutto siano simmetrici o asimmetrici in termini di conoscibilità e “reciproca illuminazione”. Ma è importante ribadire come questa ipotesi sulla conoscenza possa essere retroattivamente “auto-riferita”: se la conoscenza è opinione vera con logos (Terza Ipotesi), e cogliere solo alcuni elementi del carro è averne una opinione vera che però non è conoscenza (manca il logos), allora la Seconda Ipotesi, per cui la conoscenza è opinione vera, è essa stessa una opinione vera sulla conoscenza (coglie alcuni elementi della sua ousia) che però non ne è conoscenza, mancando del logos (insieme di tutti i costituenti della ousia della cosa): l’aggiunta del logos è proprio ciò che mancava alla Seconda Ipotesi per essere conoscenza, per esibire... il logos della cosa: il logos come ingrediente del logos. Ma anche questa seconda lettura132 della Terza Ipotesi si imbatte in un’obiezione basata su un controesempio: se ho un’opinione vera della prima sillaba del nome “Theaiteton” (Teeteto), ritenendo (correttamente) che sia The, e dispongo del suo logos, cogliendola (correttamente) come composta da theta + epsilon nel giusto ordine, ne ho opinione vera con logos; ma se non riconoscessi correttamente questa stessa sillaba in altre sue occorrenze combinatorie, e per esempio ritenessi (erroneamente) che la prima sillaba di “Theodoron” (Teodoro) fosse tau + epsilon (Te-), non avrei conoscenza della sillaba The pur avendone, nel primo caso, opinione vera con logos133. L’obiezione coglie un punto importante (anticipato già dalla “uccelliera”): la conoscenza è disposizionale, ricorsiva e “olistica”134, conoscere qualcosa significa riconoscerla in tutte le sue possibili apparizioni combinatorie, come relato di diverse relazioni, come parte 132 La prima era la teoria del sogno: conosco X se ne ho un’opinione vera con capacità di elencare i costituenti; la seconda è analoga, ma l’elenco dei costituenti è inteso in senso non giustappositivo, come contributi o ruoli funzionali entro una struttura o ousia. 133 208 b 8-9. 134 Vi è una evidente progressione speculativa nell’esplorazione della disposizionalità della cognizione: entro il paradigma del “blocco di cera”, conoscere è disposizione meccanica, passiva, attivata da uno stimolo percettivo esterno; entro il paradigma della “uccelliera”, è una disposizione attiva e volontaria, attivabile dal soggetto e concettuale; entro il paradigma sotteso a questa obiezione, è anche una disposizione olistica e (implicitamente) “dialettica”, per cui le conoscenze entro un certo ambito sono profondamente connesse: si sostanzia, così, l’idea della conoscenza emersa insieme alla posizione dell’anima come genuino soggetto cognitivo al di là dei sensi: la conoscenza risiede più nelle connessioni fra gli oggetti colti, che negli oggetti stessi (cfr. infra, p. 24). 34 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone di diverse totalità; conoscere una sillaba implica essere in grado di riconoscerla in ogni sua occorrenza, ma soprattutto implica conoscere le regole combinatorie delle sillabe in generale, dunque conoscere anche le altre sillabe, come un sistema. Vi è dunque opinione vera con logos che non è conoscenza: «eravamo ricchi soltanto in sogno»135, dice Socrate, che già aveva introdotto come «un sogno in cambio di un altro sogno»136 la Terza Ipotesi: un sogno è un parto evanescente dell’anima, un’apparenza il cui contenuto non è reale, proprio come il falso, ma la sua natura onirica si può valutare solo a partire dallo stato di veglia, non già, per così dire, “dall’interno”: anche liberandoci di un’ipotesi falsa cogliendola come un “sogno”, può ben darsi il caso che stiamo ancora sognando (non disponiamo dell’ipotesi vera), sicché l’ipotesi rimossa era sì un sogno, ma dentro un sogno: anche questa circostanza autoreferenziale del sognare di sognare è anticipata in sede di discussione della Prima Ipotesi – il tema del sogno è un altro “filo rosso carsico” del Teeteto – quando si obietta a Protagora che se ogni apparenza è vera allora dovremmo ritenere veri anche i sogni137; ma in effetti, rilancia Socrate, che prova esterna (tekmerion) potremmo addurre del fatto che proprio ora, che ci pare di star dialogando, non stiamo dormendo, e non stiamo sognando tutto ciò che pensiamo?138 Teeteto acconsente e replica che, in effetti, potremmo star sognando, infatti «quando in sogno ci sembra di raccontare sogni, è sorprendente la somiglianza di queste cose a quelle»139: la situazione attuale potrebbe essere quella di sognare la (presunta) differenza fra il sogno e la “realtà” e, in questo gioco autoreferenziale di livelli e di “salti d’ordine”, “sogno” e “realtà”, in quanto sognati, sarebbero entrambi sogni: eppure, sarebbero sogni sì, ma rispetto a cosa? Entro questa sorta di vertigine retroattiva, siamo chiamati a considerare come l’intero Teeteto metta in scena la storia di un progressivo “ri- 208 b 11-12. 201 d 8. In realtà, è la lettura della Terza Ipotesi che, appunto, abbiamo chiamato “teoria del sogno”, il “sogno” che Socrate offre a Teeteto, per interpretare il “sogno” di quest’ultimo (cioè la Terza Ipotesi, di cui ha sentito parlare). 137 157 e 1-158 a 2. 138 159 b 5-c 2. 139 158 c 3-8: quanto alla «somiglianza di queste cose a quelle» (homoiotes touton ekeinois, c 8), «queste» e «quelle» sono le due rispettive coppie di esperienze: A = [(a1) il nostro raccontare i sogni + (a2) i sogni che stiamo raccontando] ha una somiglianza «incredibile» (atopos) con B = [(b1) il nostro sognare di raccontare i sogni + (b2) i sogni che stiamo sognando di raccontare]: l’indiscriminabilità soggettiva fra le due coppie A e B invalida il nostro affidarci alla discriminabilità soggettiva fra (a1) e (a2) per distinguerne la natura, giacché la stessa (apparente) discriminabilità sussiste anche fra (b1) e (b2), benché sia una discriminabilità a sua volta “sognata”. Teeteto allude a una indiscriminabilità fra due discriminabilità – un rapporto fra rapporti – producendo così una versione raffinata e specialmente autoreferenziale dell’argomento del sogno ricordato da Socrate. 135 136 35 Diego Zucca sveglio”, in cui ogni stadio si riscopre a propria volta il contenuto di un “sogno” entro lo stadio successivo140. Tornando all’obiezione relativa alla lettera e alla sillaba, essa contiene un altro avanzamento teorico decisivo, che viene incorporato nella terza lettura della Terza Ipotesi – la quale in realtà ne integra e conserva, più che togliere e negare, la seconda lettura – per cui il logos include (l’essere in grado di esprimere) una differenza individuante, che appartenga solo all’oggetto: se ho del Sole l’opinione vera che è un astro di quelli che girano intorno alla Terra, e indico che è il più luminoso, quest’ultimo tratto distintivo renderà il logos atto a fare, della mia opinione vera sul Sole, una genuina conoscenza dello stesso. Cogliere la differenza individuante di un oggetto garantisce che non lo si confonda con altri – che pure hanno altre proprietà in comune con esso141 – in nessuna occasione: se colgo un tratto distintivo peculiare a Teeteto, non potrò confonderlo con nessun altro (nemmeno con Socrate, che pure gli somiglia). Gli esempi di oggetti addotti da Socrate sono dei particolari empirici individuali – il Sole, Teeteto; prima: il carro – ma è evidente che Platone ci chiede di superare questa prospettiva limitante ed erronea; se applichiamo la terza lettura al nostro oggetto (non empirico), la conoscenza, ne viene che conoscere cosa sia la conoscenza è averne opinione vera e disporre di un suo logos che ne contenga il tratto distintivo, la fattezza individuante, ciò in virtù di cui essa si distingue da altri stati mentali, anzitutto da altre opinioni vere con logos (nel senso precedente, come insieme incompleto di elementi, non includente il tratto distintivo). Le obiezioni alla Terza Ipotesi in questa terza lettura non si fanno attendere142. Si ripropone anzitutto il problema, già emerso nell’ambito della trattazione del falso, di cosa assicuri il riferimento di un’opinione a un certo oggetto piuttosto che a un altro: se penso a X attribuendogli certe proprietà comuni anche ad altri oggetti Y, Z, allora non sto pensando a X né opinando su X più di quanto non stia pensando a, e opinando su, Y e Z143. Se invece ho una opinione vera proprio su X (e non su Y e Z), allora il contenuto del 140 Allo stesso modo – se consideriamo l’allegoria della Caverna di Repubblica vii – solo a chi si sia già volto verso le statuine poste fra i prigionieri e il fuoco, le ombre di queste proiettate sulla parete mostrano la loro natura “onirica” di ombre, così come solo allorché l’individuo, affrancatosi dalle catene, sarà uscito dalla Caverna, potrà cogliere anche le statuine stesse per ciò che esse sono, copie non veraci di entità veraci: i risvegli parziali sono sogni di ordine superiore. 141 208 d 7-9. 142 Sulle obiezioni alla Terza Ipotesi, cfr. F. Trabattoni, Essays in Plato’s Epistemology, cit., pp. 13-30 e 47-64. 143 L’argomento presuppone un’idea internalista del contenuto semantico dei pensieri: ciò a cui i miei pensieri si riferiscono deve essere interamente determinato da fattori cognitivi interni a me. 36 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone mio pensiero-opinione include già la differenza individuante, quindi l’aggiunta del logos come ingrediente ulteriore nella definizione di conoscenza è pleonastica, sicché ogni opinione vera sarebbe eo ipso conoscenza. Allora, a ben vedere – procedendo con quella “auto-applicazione retroattiva” cui la nostra lettura del Teeteto ci ha oramai abituato – la Seconda Ipotesi, secondo cui la conoscenza è opinione vera, non solo non era conoscenza della conoscenza (questo è già emerso), ma non era neppure una opinione vera sulla conoscenza, visto che il suo referente era piuttosto una vaga entità eterogenea composta da [opinione vera + conoscenza]. Per superare l’impasse e poter porre lo iato desiderato fra opinione vera e conoscenza, si può differenziare il modo in cui il tratto distintivo è noto al soggetto (ponendo una differenza nella differenza, un logos nel logos): esso sarà oggetto di conoscenza nel caso della conoscenza di X, e mero oggetto di opinione vera nel caso dell’opinione vera su X. Come è evidente, questa ipotetica soluzione per cui la conoscenza di X è: [(l’opinione vera su X) + (la conoscenza del logos – differenza di X)] è circolare, non meno dell’originaria risposta di Teeteto, fornita pressoché nell’incipit della conversazione con Socrate, per cui la conoscenza è... la conoscenza dei geometri, dei tecnici etc. (cfr. supra): in ambo i casi, il definiens contiene il definiendum. La circolarità, oltre a rendere la definizione non informativa, prospetta poi un pernicioso regressus: cosa differenzia la conoscenza della differenza dall’opinione vera sulla differenza? Forse una conoscenza della differenza della conoscenza della differenza? Et sic in indefinitum. Il risultato finale del dialogo appare amaramente equipollente al suo cominciamento: eppure, quanta strada hanno percorso Socrate e Teeteto, e la nostra anima con loro (ma anzitutto con sé stessa)! Resta da caratterizzare altrimenti un logos che possa unirsi all’opinione vera in un modo, anch’esso ancora da caratterizzare, che possa fare sì che l’opinione vera con logos costituisca conoscenza. Per conoscere la conoscenza occorre forse un nuovo logos di logos, e bisogna porre nella maniera corretta il rapporto fra le parti e il tutto: siamo perlomeno consapevoli che gli ingredienti della conoscenza non vanno concepiti come una somma giustappositiva di elementi (teoria del sogno autoapplicata), né come costituenti strutturali (teoria della ousia autoapplicata), né come semplicemente includenti una differenza individuante (teoria del logos-differenza autoapplicata). 8. Il logos dell’ente il cui possesso lo renda un ente conosciuto a chi di quell’ente possieda anche un’opinione vera, non può dunque essere l’insieme dei suoi elementi materiali e percepibili (teoria del sogno), né solo l’insieme strutturato dei costituenti della sua ousia, nemmeno se fra questi fosse inclusa la differenza individuante che 37 Diego Zucca garantisse la capacità di enucleare l’ente rispetto agli altri enti (logosdifferenza). Eppure, anche questa sequela di tentativi pur fallimentari custodisce dei guadagni speculativi genuini e progressivi: è vero che conoscere qualcosa include, in qualche senso, il coglimento degli elementi che la compongono, è vero che conoscere qualcosa implica il coglimento dei costituenti della sua “struttura d’essere” o ousia, come è vero che chi conosce X è in grado di distinguerlo da qualunque altra entità Y, Z, etc., dunque è in grado di esibire anche quel costituente – o quei costituenti – della sua ousia che ne rappresenta la “differenza specifica”. Due domande sorgono nel lettore, che a ben vedere sono due modi di porre un’unica domanda: cosa manca ancora? Da cosa dipende il fallimento della Terza Ipotesi (opinione vera con logos)? Potrebbe stupirci, sulle prime, l’assenza dell’idea di logos come definizione, originaria accezione di logos al principio della ricerca, quando Socrate chiede a Teeteto di esibire un logos/eidos che catturi in maniera unitaria la molteplicità delle conoscenze, sulla falsariga dell’esempio geometrico delle potenze144; tuttavia, tale accezione non è assente, bensì è implicita nell’idea dei costituenti della ousia (che può essere intesa come una definizione di “definizione”). Ma vi è anche l’idea di logos come ragione, giustificazione e fondamento, che nel dialogo è più volte emersa nei termini di un «rendere ragione» (logon didonai)145 – in particolare, la Digressione ci ha insegnato che è ciò che anzitutto sa fare il filosofo146. Anche avendo un’opinione vera su X ed essendo in grado di indicarne costituenti e differenze di sorta, non conosceremo X finché non saremo in grado di rendere ragione del fatto che quella opinione, quella definizione, quella differenza, catturano l’essere della cosa: dunque, il processo argomentativo e “razionale” di formazione della nostra opinione su cosa sia X, determina se si tratti di un “mero opinare” o di un conoscere. Certo, questo processo consistente nell’abilità di giustificare adducendo ragioni non è indicato apertis verbis nel Teeteto fra le opzioni dei significati di logos entro l’esplorazione della Terza Ipotesi, tuttavia 1) esso è mostrato, performativamente, in tutto il dialogo: Socrate e Teeteto non fanno altro che dare e chiedere ragioni, ar- 144 148 d 1-7. Cfr. 167 a 7, 177 b 2, 183 d 5, 202 e 2-3. Questa idea per cui il conoscere, a differenza del semplice opinare, implichi il saper «rendere ragione» (Platone, Fedone, 76 b 56; Platone, Simposio, 202 a 5-9), coincide con quella espressa nel Menone, per cui l’opinione corretta diventa conoscenza grazie al «legame» che la rende stabile (98 a 6-7): si tratta, in effetti, del legame giustificativo. Anche nel Gorgia Socrate argomenta che la retorica non è una techne (né una episteme) bensì una «pratica empirica» proprio poiché non possiede il logos di ciò su cui dispensa consigli (Platone, Gorgia, 462 c 2-465 a 7). 146 175 d 1. 145 38 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone gomentando e confutando ipotesi, formulandone altre che siano immuni alle precedenti confutazioni, e così via, progredendo così verso la “cosa stessa”, seppure siano ancora ben lungi dall’attingerla compiutamente: eppure, paradossalmente, ciò che manca è forse custodito proprio in... ciò che hanno fatto sinora! 2) dalla confutazione della seconda lettura della Terza Ipotesi, per cui il logos aggiunto all’opinione vera sarebbe l’insieme dei costituenti della ousia, mediante l’esempio della sillaba “azzeccata” solo una volta (cfr. supra) si evince il fatto che conoscere una sillaba implica la capacità (ricorsiva, reiterabile, “olistica”) di cogliere la rete di relazioni combinatorie dell’intero sistema di lettere e sillabe, essendo in grado di “transitare” da un “nodo” di questa rete all’altro, dalla regola all’esempio e dall’esempio alla regola, dai relati alle relazioni e viceversa, dalla parte al tutto e dal tutto alla parte147: tale “competenza” somiglia molto alla dialettica come attività filosofico-cognitiva par excellence, a quella visione sinottica del sistema delle Idee di cui solo il filosofo è capace148, e che Platone caratterizza altrove. Ciò che manca è, naturalmente, anche il côté metafisico di questo olismo epistemologico, il “grande assente” del Teeteto: il conoscibile in senso pieno, non sono i particolari empirici su cui prevalentemente si sofferma il nostro dialogo, bensì quella dimensione ontologica indiveniente e stabile, massimamente essente, che è oggetto di una pregnante allusione quando Teeteto chiede a Socrate di discutere, oltre all’ontologia del Flusso, anche l’Essere immobile eleatico, ma Socrate preferisce passare oltre adducendo come ragione l’eccessiva complessità del tema149; Socrate confuta solo l’ontologia del Flusso, confutando così anche il sensismo di Teeteto e il relativismo 147 Secondo G. Fine Platone proporrebbe implicitamente un «modello inter-relazionale della conoscenza» (G. Fine, Knowledge and the Logos in the Theaetetus, «The Philosophical Review», 88, 1979, pp. 366-397), secondo il quale la Terza Ipotesi si costruisce incorporando in sé le sue diverse letture più quell’abilità di cogliere i nessi fra l’oggetto e i vari “sistemi” di cui può essere parte (l’aggiunta dell’abilità oltrepasserebbe l’obiezione legata al riconoscere la sillaba ma non in tutte le sue occorrenze): «Knowledge of x is true belief about x with the ability, when asked, to explain how x differs from other things by explaining its place in the systems of which it is a part» (ivi, p. 395). La proposta di Fine si confà alla ricostruzione “progressivo-accumulativa” degli stadi del Teeteto che abbiamo suggerito; tuttavia, restiamo neutri rispetto alla tesi per cui Platone proporrebbe qui una «teoria coerentista della giustificazione» (ibidem): se Platone resta silente su questa versione positiva della Terza Ipotesi, a fortiori egli resta silente sul fatto che questa abilità giustificativa ed esplicativa nel dar conto del ruolo della cosa entro i sistemi di cui fa parte, riposi o meno, da ultimo, in un “contatto” del soggetto conoscente con la cosa stessa o coi suoi principi (in modo più simile a un modello “fondazionalista”). Per analisi critiche della proposta di Fine, cfr. D. Bostock, Plato’s Theaetetus, cit., pp. 243-250; R. Barney, Names and Natures in the Cratylus, Routledge and Kegan Paul, New York 2001, pp. 172-174; A. Nehamas, Episteme and Logos in Plato’s Later Thought, «Archiv für Geschichte der Philosophie», 66, 1984, pp. 105-117; S. Broadie, The Knowledge Unacknowledged in the Theaetetus, «Oxford Studies in Ancient Philosophy», 51, 2016, pp. 87-117. 148 Cfr. Platone, Repubblica, vii, 537 c 6-7. 149 180 d 7-181 b 7. 39 Diego Zucca di Protagora (TPF); ma ciò “mostra” che il superamento del sensismo implica anche il guadagno di una diversa ontologia150, i cui tratti però sono deliberatamente taciuti nel Teeteto: tuttavia, l’epilogo del Teeteto ci lascia contingentemente frustati ma anche gravidi, forti di tutti gli strumenti – “partoriti” una volta per tutte – per orientarci nella costruzione di una onto-epistemologia positiva151, quindi virtualmente rivolti verso la luce che ci trarrà fuori dalla Caverna. Un’altra allusione, lanciata en passant poi lasciata cadere – quasi ad attirare la nostra attenzione sulla sua rilevanza potenziale ma inespressa – riguarda l’apprendere e il dimenticare, introdotti, all’avvio della trattazione del falso, come stati intermedi fra il conoscere e l’ignorare, ma accantonati152: l’apprendere ricompare come nozione decisiva nell’immagine dell’anima come blocco di cera153, che introduce la capacità di riconoscere qualcosa che si reincontra, ma il tema del dimenticare, in stretta contiguità con quello dell’apprendere/riconoscere e, in generale, all’interno di un’operazione maieutica e in un dialogo vertente su cosa sia la conoscenza, non può che far volgere il nostro pensiero alla teoria della reminiscenza – secondo cui conoscere è ricordare, rimuovere l’oblio che vela un contatto originario, pregresso – specie per come essa è esemplificata nel Menone, e forte è la tentazione di associare il rapporto di cooperazione asimmetrica fra Socrate e Teeteto nel Teeteto col rapporto fra Socrate e lo schiavo che grazie a Socrate, nel Menone, “ricorda”, o “riconosce” delle verità geometriche mai acquisite in vita sua154. Anche se la maieutica non è la reminiscenza, nondimeno ne può essere un preludio, una figura anticipatrice (pur a posteriori dal punto di vista compositivo), una controparte procedurale basata sulla quella stessa idea di un “trarre da sé” cui la reminiscenza conferisce un fondamento metafisico positivo, in modo analogo a come le Idee “fondano” la scoperta socratica dell’universale in un senso non più soltanto metodologico. Abbiamo visto che nel Teeteto, anche dopo che la Prima Ipotesi è alle spalle, l’immagine della conoscenza come contatto si ripropone di continuo, rinforzata dall’uso di un lessico tattile e visivo155. Per contro, abbiamo ipotizzato che il logos che caratterizza la conoscenza rispetto all’opinione vera con logos, sia la mediazione 150 Che potrebbe non escludere l’ontologia del Flusso, ma nega che quest’ultima caratterizzi la totalità del reale. 151 Il Sofista, che è il sequel drammatico del Teeteto, è una prima delineazione di (alcuni aspetti di) questa onto-epistemologia positiva. 152 188 a 1-4. 153 191 c 3-4. 154 Cfr. Platone, Menone, 81 c 5-86 b 4. 155 Per una recente ricognizione di questo lessico, che naturalmente in Platone va ben oltre il Teeteto, cfr. L. Giovannetti (a cura di), Le forme del vedere. Studi lessicografici sui verba videndi nel Corpus Platonicum, Bibliopolis, Napoli 2020. 40 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone discorsiva consistente nel dare ragioni e nel giustificare, secondo quella normatività delle procedure dialettiche che si esteriorizza nelle prassi dialogiche (virtuose): conoscenza sarebbe un logos (opinione vera) con logos (insieme di costituenti della definizione) con logos (differenza) con logos (inferenza, giustificazione, capacità di dare ragione); anziché aggiungere altri ingredienti all’opinione vera e ai suoi contenuti, occorre dunque concentrarsi sul processo della sua formazione. Una questione gigantesca – che trascende il Teeteto e coinvolge l’epistemologia platonica tout-court – è quella relativa al modo in cui mediazione e immediatezza si intreccino, se per l’uomo si dia la possibilità di una “visione diretta” delle verità ideali e dunque la nostra conoscenza riposi da ultimo nell’intuizione noetica156, oppure se l’immagine del contatto vada intesa come una sorta di idea regolativa, qualcosa a cui nell’uomo si sostituisce un’apprensione del reale come irriducibile discorsività e mediazione157. Evochiamo il problema non certo per pretendere ingenuamente di liquidarlo in poche battute, ma per evidenziare che anche nel Teeteto questa tensione fra processualità discorsiva e “contatto cognitivo”, fra mediazione e immediatezza, è ben presente, e dunque non si tratta di una contraddizione interna alla nostra lettura, che ipotizza di integrare la Terza Ipotesi con un logos non detto ma tuttavia “mostrato”. Ad ogni modo, l’idea della reminiscenza come un recupero discorsivo, mediazionale, di contenuti pregressi in qualche modo inscritti nell’anima, ha come esito ideale un rinnovato contatto che include la capacità di dare ragione di ciò che si sa, inoltre l’acquisizione di tale capacità è determinata dalla correttezza e “razionalità” del processo mediazionale in cui tale recupero consiste158. Se il Teeteto non fa parola della reminiscenza (né delle Idee come oggetto di contemplazione diretta), il suo lessico cognitivo e i suoi snodi teoretici inclinano verso un’idea della conoscenza come discorsiva156 Cfr. R.S. Bluck, Knowledge by Acquaintance in Plato’s Theaetetus, «Mind», 72, 1972, pp. 259-263; K. Sayre, Plato’s Literary Garden: How to Read a Platonic Dialogue, University of Notre Dame Press, Notre Dame-London 1995. 157 Cfr. F. Trabattoni, Essays in Plato’s Epistemology, cit., pp. 139-166 e 167-188 (che contengono anche molti riferimenti al succitato dibattito). 158 Nel Menone è evidente che il buon esito del processo anamnestico, nel caso dello schiavo che estrae da sé delle verità geometriche, dipende dalla giusta sequenza di passi compiuti e dalle corrette sollecitazioni confutative di Socrate: inoltre, Socrate aggiunge che perché le opinioni vere che ha estratto divengano conoscenza, qualcuno dovrà interrogarlo «in molti modi e molte volte» su quelle questioni (Menone, 80 b 10-12): se si arriva a formare le proprie opinioni nel modo giusto, si ha conoscenza, e si potrà rendere ragione di ciò che si dice e si sa. La giusta progressione “pedagogica”, è necessaria tanto allo schiavo di Menone quanto a noi lettori del Teeteto, che non assistiamo certo alla discussione di una serie di ipotesi esteriormente giustapposte, bensì siamo chiamati a ripercorrere un continuo approfondimento critico che deve partire da uno stadio più rozzo e semplice e deve esibire un determinato, graduale accrescimento di complessità e articolatezza entro cui ciò che deve essere salvato degli stati precedenti viene conservato, pur trasfigurandosi di continuo. 41 Diego Zucca mente attinta, ma al tempo stesso caratterizzano l’anima che conosce come capace di dare ragione di ciò che conosce come se fosse in diretto contatto con i propri oggetti: anche questo è un lascito della Prima Ipotesi entro quel processo acquisitivo159 – il quale “toglie conservando” – che il dialogo dispiega, un processo che da ultimo verte su sé stesso: il risultato positivo del processo non è detto ma solo mostrato, e consiste, a ben vedere nella coscienza retrospettiva del processo stesso160; grazie a cui siamo oramai gravidi degli stadi mancanti, che porranno le condizioni di possibilità metafisiche del processo medesimo, “compiendo” così l’autoconoscenza dell’anima. La logica di sviluppo del discorso, nel Teeteto, potrebbe essere ben descritta – come abbiamo cercato di mostrare – dalla seguente osservazione di Hegel nella sua Prefazione alla Fenomenologia dello spirito: «La gemma scompare quando sboccia il fiore, e si potrebbe dire che ne viene confutata; allo stesso modo, quando sorge il frutto, il fiore viene, per così dire, denunciato come una falsa esistenza della pianta, e il frutto subentra al posto del fiore come sua verità»161: ma l’autentico frutto, anche nel Teeteto, è lo stesso percorso – fenomenologico e razionale – che conduce dalla gemma al frutto. Diego Zucca, Self-referentiality as a Key-feature of Plato’s Theaetetus This paper aims at showing the many ways in which the self-referential dimension is present – by being both dramatically shown and argumentatively thematized – in Plato’s Theaetetus. A general reading of the whole dialogue is provided and argued for, which individuates self-referentiality as its very speculative keystone: the Theaetetus exhibits an attempt to attain knowledge of knowledge where the soul comes to cognize the soul itself (its own cognitive powers), through producing opinions about opinions, appearances about appearances, even dreams about dreams; the characters discuss about discussing, get things wrong about getting things wrong, make digressions about making digressions where the philosopher characterizes the philosopher, they search for a logos of “logos”, and so on. Such a widespread self-referential dimension shows its speculative value as it is combined with a both a progressive and retroactive way of proceeding: each stage of the research – by way of an immanent criticism – brings about the next one and shows its very meaning only retrospectively, from the point of view of the next stage, and each new stage both overcomes but also “preserves” the previous one, so that the 159 L’idea del contatto o visione diretta si ripropone anche entro la confutazione della Seconda Ipotesi: i giudici hanno opinione vera ma non conoscenza, perché non hanno visto i fatti, ma li hanno ricostruiti in base a testimoni e prove (201 a 4-c 6). 160 Parlando della sua arte maieutica, Socrate insiste sulla propria sterilità, sul fatto che la sua anima non abbia una propria «prole» ma consenta ad altri di averne (150 d 1 ss.): ebbene, il dare prole della maieutica – che, abbiamo argomentato, è e deve essere (anche) un processo intrapsichico – è la prole stessa di Socrate: la cui sterilità è in realtà apparente, o quantomeno è una sterilità qualificata. 161 G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., Prefazione, p. 51. 42 L’autoreferenzialità come cifra del Teeteto di Platone aporetic end of the dialogue is only apparent and needs to be taken as an incompleteness rather than as a failure. Keywords: Plato; Theaetetus; Maieutics; Self-referentiality; Plato’s Epistemology; Cognitive Psychology. Diego Zucca Università di Sassari Dipartimento di Storia, Scienze dell’uomo e della Formazione Via Zanfarino 62 70100 Sassari dizucca@uniss.it 43