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Diversity & Inclusion: Analisi, applicazioni e critiche

2021, Diversity & Inclusion: Analisi, applicazioni e critiche

In questo paper proviamo ad analizzare, in maniera esplorativa, le pratiche del Diversity Managment (DM). Dopo una breve introduzione storica/concettuale, analizzeremo i casi di due aziende in cui sono state introdotte pratiche di DM, e successivamente proverò a trarre alcune conclusioni.

Università degli studi di Trento Magistrale Organizzazione, Società, Tecnologia (OST) A.A. 2021/2022 Diversity & Inclusion: Analisi, applicazioni e critiche Martina Bagatin Giulia Colussi Fabio Gasparini Natasha Valentini 1 INDICE Aspetti generali e di base del diversity&inclusion pg. 3 Casi studio 9 Conclusioni e critiche 13 Bibliografia 15 2 1. Diversity and Inclusion Questo elaborato si sviluppa al fine di definire il diversity & inclusion, concetto che risulta essere sempre più rilevante all'interno della gestione delle organizzazioni a livello internazionale. Anticipando brevemente, con Diversity & Inclusion si intende l'insieme delle politiche aziendali volte a promuovere le peculiarità e le diversità dei singoli attori sociali nei contesti lavorativi (Diversità e inclusione nel mondo del lavoro: 3 settori che fanno la differenza - CVing). In particolare, questo concetto trova espressione all'interno delle analisi e della pratica con il termine “Diversity Management”, a indicare l'aspetto applicativo di queste politiche. Per Diversity Management si intende, in sintesi, l'approccio alla gestione delle risorse umane nelle organizzazioni al fine di promuovere un ambiente lavorativo inclusivo, che valorizzi la diversità del personale con lo scopo di migliorare la prestazione dell'azienda al conseguimento dei suoi obiettivi (Monaci 2012). Essa quindi si focalizza sulla promozione dell’eterogeneità al fine di creare un contesto organizzativo in cui i singoli lavoratori si sentano apprezzati e quindi possano far emergere l'azienda e darle un vantaggio competitivo nel mercato (Buemi, Conte, Guazzo 2016). 1.1 Reclutamento Al fine di costruire un'organizzazione differenziata è necessario in primis focalizzarsi sul reclutamento del personale (Buemi, Conte, Guazzo 2016): spesso per le aziende è più semplice riprodurre l'omogeneità della forza lavoro, piuttosto che promuovere la diversità, che non viene problematizzata privilegiando aspetti come le competenze o i prerequisiti. La quotidianità lavorativa, inoltre, tende ad aggravare le caratteristiche dell'omogeneità, che porta ad atteggiamenti di esclusione nei confronti di chi non è conforme al gruppo maggioritario. Per risolvere questi aspetti, due sono state le soluzioni adottate dalle organizzazioni: 1. allargare le diversità presenti nel contesto lavorativo 2. laddove dove presente un personale eterogeneo in cui si escludono le minoranze, si promuove la consapevolezza dei fenomeni discriminatori per eliminarli Tuttavia, questo secondo punto è risultato contraddittorio in certi contesti, poiché ha aggravato e rafforzato le distanze tra i vari gruppi. Ma perché non ha funzionato? I contesti lavorativi sono specifici e il cambiamento deve essere coerente con le peculiarità dell'organizzazione considerata. Secondo il ricercatore Taylor Cox (Buemi, Conte, Guazzo 2016) esistono tre tipologie di aziende a cui corrispondono diversi approcci al Diversity Management: ● l'organizzazione monolitica, che è quella culturalmente più omogenea, in cui chi non appartiene al gruppo maggioritario svolge lavori sotto qualificati ed è lontano dai processi decisionali. In questo genere di aziende il reclutamento riproduce l'omogeneità 3 ● l'organizzazione plurale, in cui il personale è eterogeneo e si promuovono azioni volte a eliminare le discriminazioni; tuttavia l'integrazione nei livelli decisionali è irrisoria ● l'organizzazione multiculturale, in cui la diversità viene valorizzata e inserita nella costruzione della struttura organizzativa e dove il personale è integrato nelle decisioni e apprezzato per le caratteristiche individuali. Secondo Cox, il Diversity Management, orientato in modo differente a seconda della tipologia aziendale, permette di rendere multiculturali le organizzazioni monolitiche sia per rafforzare la giustizia sociale, sia per dare più profitti all’azienda. 1.2 Dimensioni della diversità Si è parlato di organizzazione differenziata, ma quali sono gli elementi che contribuiscono a rendere eterogenea la forza lavoro e a creare diversità? (Monaci 2012) Sarebbe riduttivo definire elementi specifici, vista la vastità degli aspetti che contribuiscono alla diversificazione. Tuttavia si possono designare tre macro categorie (Monaci 2012): ● organizzativa, che racchiude la specificità delle mansioni svolte, la posizione gerarchica, il settore in cui si lavora ● sociale, che è tra le categorie più rappresentative dell'eterogeneità e che racchiude le dimensioni che fanno riferimento all'appartenenza a gruppi, nei quali si crea un'identità. Questi gruppi vengono categorizzati all'interno della ricerca in quelle che si definiscono “assi sociali di diversità”: il genere, l'età, l'etnia, definite diversità visibili, a cui si aggiungono differenze non riconducibili a categorie demografiche, come le credenze religiose e l'appartenenza professionale. Trattando del genere è però necessario aggiungere una nota: non si tratta solo di una diversità visibile, ma anche di una diversità invisibile. Questo è spiegato dal fatto che ciò che è visibile non sempre corrisponde con l’identità della persona; per fare un esempio ci sono attori sociali che non si riconoscono nella distinzione binaria del genere, e vengono definite no-binary. In questo caso ciò che è visibile non corrisponde con la percezione che la persona interessata ha di sé. ● personale, che racchiude le particolarità dei singoli individui, definite come diversità invisibili, e fanno riferimento alle abilità fisiche, all'orientamento sessuale, al carattere e alla struttura della personalità (Monaci 2012; Buemi, Conte, Guazzo 2016) Queste categorie hanno subito un cambiamento quando il concetto di diversità è mutato: i primi studi identificavano la diversità come appartenenza a un gruppo sociale minoritario, mentre negli ultimi decenni è andata oltre e si è focalizzata sul patrimonio individuale delle persone. Pertanto, la diversità si è estesa da fattori primari come il genere, l'etnia, l'età, le abilità fisiche 4 a fattori personali, che riguardano le scelte, come la religione, il pensiero politico. (Buemi, Conte, Guazzo 2016) È necessario fare una premessa che riguarda la relazione tra la diversità e i casi studio effettuati per analizzarla. Lo spettro delle dimensioni appena viste non solo è complesso, ma è anche intersezionale all’interno del personale, il che rende l’analisi dei ricercatori impossibile. Pertanto, i casi studio difficilmente esauriscono la complessità della diversità nei specifici contesti lavorativi, orientando così l’analisi su poche dimensioni, per trarre dei risultati che siano reali e rappresentativi di almeno una parte della diversità. 1.3 Le cause del Diversity Management Dopo aver analizzato le dimensioni della diversità è necessario approfondire le cause che hanno condotto allo sviluppo e all'accelerazione di un pensiero critico sul tema dell'eterogeneità all'interno dell'ambiente lavorativo. A livello di macro-tendenze sono stati i cambiamenti nel mercato del lavoro a condurre le organizzazioni a porsi davanti la questione della diversità: la globalizzazione e l'internazionalizzazione delle attività d'impresa; i cambiamenti demografici negli ambienti occupazionali, con la progressiva femminilizzazione del lavoro e l'aumento di personale diversificato sia per età che per etnia; l'espressione di nuovi bisogni e attese soggettive. Non solo macro-tendenze, ma anche a livello organizzativo si è avuto a che fare con l'indebolimento dei tradizionali confini interni (funzionali e gerarchici) ed esterni delle aziende, che ha portato a sfide competitive e tecnologiche. Infine, c'è stata anche una maggiore consapevolezza verso aspetti etici e di responsabilità sociale che ha condotto a una sensibilizzazione accentuata delle discriminazioni. (Monaci 2012) Sempre secondo Cox, è possibile racchiudere le motivazioni che portano all'attenzione delle organizzazioni verso la diversità in tre ragioni principali: ragioni legali, per conformarsi agli obblighi normativi; ragioni etiche, dovute alle nuove aspettative sociali e infine ragioni economiche, come richiamato dalla stessa definizione di diversity management, poiché la valorizzazione della diversità porta al miglioramento delle prestazioni organizzative (Monaci 2012). 1.4 EEO vs Diversity Management (Monaci 2012) Nel trattare la sensibilizzazione verso la diversità vengono in mente le politiche adottate per fronteggiare le diseguaglianze: le Equal Employment Opportunity (EEO), ovvero le politiche delle pari opportunità occupazionali. Dandone brevemente una definizione, le EEO prevedono l'applicazione di norme “riparative” per le disuguaglianze subite nelle opportunità a causa del contesto sociale; questa applicazione si fonda sul merito, ma anche sulla rimozione degli ostacoli sociali che non permettono di raggiungere le prerogative della competizione e del merito. Spesso le pari opportunità si attuano per mezzo di quelle che vengono definite “azioni positive” (o affirmative actions) tra le quali ci sono, per esempio, i meccanismi “per quote”, che impongono la presenza di un numero minimo di personale appartenente a gruppi sociali che hanno subito disuguaglianze. Viene spontaneo chiedersi: se esistono queste politiche, perché si pone il problema del diversity management? Tralasciando le critiche che le vengono mosse, la politica delle pari opportunità in realtà si differenzia dagli obiettivi e dalle modalità proposte 5 dalle politiche di diversity & inclusion. Ci sono diversi punti fondamentali in cui le EEO e il Diversity Management divergono: ● mentre le EEO sono di matrice esterna, ovvero di natura vincolante dovuta a un intervento pubblico, il Diversity Management è su base volontaria ● mentre l'obiettivo delle EEO è quello di eliminare la discriminazione nel reclutamento all'interno del mercato del lavoro, il Diversity Managment riconosce e valorizza la diversità nell'organizzazione al fine di ottenere maggiori profitti ● mentre le EEO sono rivolte ai gruppi oggetto di discriminazioni, il Diversity Management adotta quella definizione di diversità che non include solo i gruppi, ma anche la multidimensionalità, che comprende le differenze personali ● mentre le EEO agiscono all'accesso nel mondo del lavoro, il Diversity Management si sviluppa non solo all'entrata, ma anche nei periodi successivi all'interno dell'azienda ● infine, mentre le EEO si caratterizzano per politiche statiche, come appunto le azioni positive, il Diversity Management attua politiche dinamiche, che si definiscono in base alle specifiche necessità delle risorse umane 1.5 Origini del Diversity Management (Buemi, Conte, Guazzo 2016) Dove è sorto inizialmente il Diversity Management? Sono state spiegate le motivazioni e i momenti che hanno portato al suo sviluppo, ma non ne è stata spiegata ancora la genesi storica e geografica. Gli USA, per la loro morfologia demografica, hanno una storia di dialettica tra diversità e identità che altri Paesi non hanno avuto. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta c'è stata una prima rottura dell'equilibrio instabile presente nel periodo precedente: infatti, si mobilita per la prima volta il Civil Rights Movement, chiedendo uguaglianza. Questo movimento e tutti gli altri che si sono aggiunti in seguito (femministi e per i diritti delle persone omosessuali) lottano per un'inclusione che richiede una graduale eliminazione della diversità, al fine di rendere la cultura americana universale e inclusiva. A partire dagli anni Settanta però i vari movimenti che si sono sviluppati iniziano a portare avanti una nuova idea di diversità, opposta a quella avanzata la decade precedente: la diversità non deve essere cancellata, ma al contrario deve essere valorizzata. L'universalismo proposto negli anni Cinquanta-Sessanta, criticato dalla nuova visione della diversità, eliminava l’eterogeneità per ottenere uguaglianza, ma si traduceva in realtà in un'omologazione alla cultura dominante. Dagli anni Ottanta c'è stato un arretramento dai successi raggiunti negli anni Settanta: le nuove politiche applicate, infatti, promuovono l'uguaglianza e le Affermative Actions, oltre che a 6 tagliare i finanziamenti per la Civil Right Division del dipartimento di Giustizia. Con queste direttive molti professionisti dell'Affermative Action iniziano a collaborare all'interno delle aziende private, creando comunità di esperti che si confrontano con una realtà diversa dalle amministrazioni statali e federali in cui avevano lavorato fino a quel momento. È proprio in seno a queste comunità che sorge per la prima volta l'idea che in realtà la promozione della diversità, invece di essere vista come vincolo legale, può recare vantaggio competitivo alle aziende e alle multinazionali. Da qui derivano dunque le prime politiche di Diversity Management, che ben si adattano all'ambiente americano: le minoranze etniche, infatti, costituiscono la maggioranza in alcune delle principali metropoli statunitensi, creando una realtà in cui è difficile stabilire il diverso da uno standard considerato “normale”. Tra le ragioni che conducono gli Stati Uniti ad attuare politiche di Diversity Management, due si distinguono come cause principali: innanzitutto, la necessità di un'organizzazione di attrarre talenti, che richiede una sensibilità per questioni fondamentali come l'inclusione (un ambiente privo di discriminazioni e al passo con le richieste dell'attuale società è in grado di rispondere ai bisogni degli skilled professional); secondariamente l'accelerazione del cambiamento dei mercati globali ha condotto alla necessità di adattarsi a una domanda di mercato sempre più multiculturale. 1.6 Europa e Italia (Buemi, Conte, Guazzo 2016) In Europa invece? A inizio anni Novanta il Diversity Management inizia a essere discusso, ma è ancora un tema poco conosciuto e tanto meno applicato all'interno dei contesti occupazionali. Ciò che ha portato questo dibattito all'interno del vecchio continente sono state le pressioni di alcune comunità e della Commissione Europea verso il contrasto alle discriminazioni nell'accesso al lavoro e l'influenza delle organizzazioni internazionali (soprattutto americane) che già attuavano il Diversity Management all'interno del loro ambiente occupazionale. Quindi a partire dagli anni Novanta, in Europa iniziano a diffondersi studi e campagne di sensibilizzazione al Diversity Management, che trova però applicazione solamente a partire dagli anni Duemila. La gestione dell'eterogeneità all'interno dei contesti occupazionali in Europa si fonda su due spinte: una che si basa su un vettore istituzionale e giuridico, con l'intenzione di eliminare la discriminazione, e una legata all'aspetto economico, dovuta al profitto. Un elemento interessante, emerso dagli studi comparativi sul caso americano ed europeo, è che le strategie attuate dagli USA nell'applicazione del Diversity Management non possono essere utilizzate nel contesto europeo, poiché le dinamiche sociali e politiche in cui si inquadra il Diversity Management sono differenti: mentre negli Stati Uniti la diffusione delle politiche di Diversity & Inclusion si sono sviluppate come risposta al superamento delle Affirmative actions, e quindi sorte in un contesto che aveva già una tradizione nel campo delle EEO, in Europa sono emerse le due spinte sopra menzionate, su una necessità dirompente e molto più recente rispetto al contesto americano. Inoltre, tra le altre differenze, in Europa le politiche del lavoro sono spesso delegate alla contrattazione sindacale che difficilmente riesce a considerare come positive le politiche adottate dai vertici, oltre al fatto che nel vecchio continente la maggior parte delle imprese sono di dimensioni piccole o medie, in cui i costi elevati per lo sviluppo del Diversity 7 Management sono un ostacolo alla sua attuazione. Infine, nel contesto europeo la gestione della diversità non è facilmente generalizzabile ai vari Paesi: per esempio ogni Stato risponde in modo differente all'immigrazione e alla diversità culturale. Si giunge così alla conclusione che in Europa sia necessario una strategia applicativa differente del Diversity Management, che comprenda i problemi e il contesto appena descritto. La prospettiva che inizia a proporsi come strategia dominante in Europa pone l'impresa a sentirsi parte di un tessuto sociale, politico ed economico che interagisce al fine di gestire la diversità. Quindi si propone una pratica manageriale strettamente legata al contesto in cui operano le varie organizzazioni: in seno a questa strategia sono state originate le Carte della Diversità, la via europea al Diversity Management. Nate su base volontaria, sono brevi documenti che pongono l'accento sull'importanza della diversità all'interno dell'ambito occupazionale, con l'obiettivo di incentivare le politiche di Diversity Management in Europa. Coloro che sottoscrivono queste Carte si impegnano a promuovere un ambiente lavorativo privo di discriminazione di genere, età, disabilità, origine etnica, religione e orientamento sessuale, oltre che a promuoverne le peculiarità. L'aspetto interessante è che i vari Paesi che hanno sottoscritto le Carte attuino politiche e pongano l'attenzione su differenti dimensioni della diversità, a dimostrazione di quanto descritto in precedenza: i contesti locali plasmano la gestione della diversità in base alle necessità che risultano più rilevanti e problematiche all'interno del singolo Paese. L'Italia, firmataria della Carta della Diversità, per esempio pone molta attenzione alla questione di genere (65% degli interventi verte su questa dimensione), mentre per l'orientamento sessuale risulta esserci meno spazio (7%); la media europea invece vedrebbe un 48% degli interventi sulla dimensione di genere e un 16% sulla dimensione dell'orientamento sessuale. Spostandosi in Italia quindi, quali sono stati gli incentivi che hanno promosso il Diversity Management? L'Italia, alla pari di tutti i casi che si sono analizzati, ha visto la necessità di trattare la diversità per il rapido cambiamento del mercato del lavoro: la forte presenza femminile, l'aumentato numero di lavoratori immigrati e il costante allungamento della vita media hanno posto davanti alle varie aziende italiane la questione della diversità. Inoltre, la forte discriminazione per la dimensione dell'orientamento sessuale e le direttive riguardanti al collocamento obbligatorio delle persone disabili emanate a fine anni Novanta, ha portato l'Italia a sensibilizzarsi e a promuovere una consapevolezza e una prospettiva inclusiva che finora non si era posta. 1.7 Conclusione capitolo introduttivo Concludendo, come è emerso dalle origini del Diversity & Inclusion, l'adozione di questa prospettiva riscatta ulteriormente la svalutazione che veniva data ai lavoratori nei decenni passati: anche se in una prospettiva utilitaristica, con queste politiche si riconosce come il successo di un'impresa sia dato in primis dal capitale umano, che valorizzato permette di raggiungere profitti ed efficienza rilevanti. Si crede che questo cambio di prospettiva, che pone al centro la persona, possa riscattare non solo un contesto lavorativo discriminatorio, ma anche una società che sente la necessità di accettarsi ed essere accettata nella sua multidimensionalità. Nei prossimi capitoli si continuerà a discutere di Diversity Management, ma da un punto di vista concreto: verranno descritti due casi studio (Sweet Spa e LU-VE Spa) al fine di rendere più chiare le azioni applicate nelle realtà lavorative. Il capitolo conclusivo si focalizzerà sulle 8 problematicità del Diversity & Inclusion, nell'ottica di una critica costruttiva al fine di creare un margine di miglioramento, poiché è solo nella messa in discussione che si può andare oltre ai limiti e restare al passo con una società mutevole. 3. Casi Studio 3.1 Sweet Spa Sweet spa, nasce nel 1994, è una realtà produttiva di medie dimensioni nel campo dolciario della provincia di Gorizia. Nel corso del tempo, essa è diventata importante e conosciuta, non solo in Italia ma anche all’estero. L’ovetto di cioccolato con sorpresa è il prodotto che caratterizza e posiziona Sweet Spa all’interno del mercato dolciario europeo e internazionale. Infatti, una sua caratteristica importante è l’elevata esportazione del proprio prodotto all’estero che rappresenta l’85-90% del fatturato totale. Al momento della presentazione del caso studio Sweet Spa aveva al suo interno 66 lavoratrici e lavoratori, 25 dei quali occupati nell’area direzionale e 41 nell’area produttiva. Circa la metà delle lavoratrici e dei lavoratori di Sweet Spa sono presenti in azienda dalla sua origine (1994), e la maggior parte di essi lavora nell’area produttiva. La composizione dell’organico rispetto al genere è rispettivamente 65% la componente femminile e 35% per quella maschile. Come è possibile notare da queste percentuali vi è una forte presenza femminile all’interno dell'azienda, essa però varia a seconda dell’area organizzativa. La maggioranza la si trova nell’area amministrativa rispetto a quella produttiva mentre è il contrario per il genere maschile. Inoltre, tra le 19 funzioni presenti nell’organizzazione esse sono coordinate per la maggior parte,12 di esse, da donne. Questo porterebbe a dire che all’interno di questa realtà produttiva non vi è il noto “glass ceiling” o “soffitto di cristallo”, impossibilità di risalire i gradini superiori della scala aziendale vista l’alto numero di donne presenti in posizioni di responsabili. Altra categoria presente nell’organico di questa realtà produttiva, oltre a quella del genere femminile anche se non così preponderante è la componente straniera, la quale risulta essere il 19,7% del totale. Il genere preponderante nel gruppo di stranieri è sempre quello femminile che si attesta al 69%, tra cui 5 di loro ricoprono ruoli nell’area direzionale. Nel gruppo di stranieri vi è una maggiore probabilità di incontrare persone provenienti da paesi della ex Jugoslavia, vista la collocazione dell’azienda in un territorio di confine, in particolare con la Slovenia. Nonostante questo aspetto di carattere geografico, Sweet Spa ha all’interno del proprio organico anche persone provenienti da Paesi anche meno limitrofi come Argentina, Russia o Tunisia e altri. Rispetto al Diversity&Inclusion, Sweet Spa non ha dei documenti formali scritti o dei codici o linee guida etiche o di comportamento rispetto al valore della diversità perché ritiene che non sia necessario. Nonostante ciò, cerca in diversi modi di venire incontro alle necessità di ogni risorsa presente al suo interno a prescindere dal sesso, nazionalità, credo e altro, senza avere delle pratiche standard o ad hoc ma vengono presi in considerazione i bisogni della singola persona e insieme al vertice si cerca una soluzione. Oltre a questo Sweet Spa, fornisce ad ognuno un certo numero di ore per la formazione. Questo per poter apprendere e acquisire le competenze necessarie al fine di svolgere le diverse mansioni presenti all’interno dell’azienda. Inoltre, è stata prevista da Sweet Spa, una tipologia di 9 formazione particolare, quella outdoor, fuori dalle mura aziendali per acquisire e migliorare una skill di gruppo: team working, il saper lavorare in gruppo. L’attività di formazione è stata condotta nella stazione aeroportuale militare di Rivolto (provincia di Udine), dove le dipendenti e i dipendenti di Sweet Spa hanno potuto apprendere, grazie ai piloti delle Frecce Tricolori, come sia fondamentale saper gestire in gruppo quelle situazioni di tensione e alto rischio, questo per poterlo applicare anche nell’ambito lavorativo. L’organizzazione ha voluto mettere in atto quelle pratiche di work-life balance per entrambi i sessi perché ritengono che entrambi i generi possano avere delle necessità familiari da soddisfare e che non debba essere esclusivamente il genere femminile ad occuparsi dei lavori domestici e di cura dei figli. Alcuni esempi sono un aumento della flessibilità con i permessi di uscita e di entrata fuori orario ed altre politiche di conciliazione. Ulteriore pratica che viene garantita a ogni risorsa dell’organizzazione se vi è una richiesta che viene posta al vertice che valuterà il caso, è la possibilità di avere dei prestiti da parte di Sweet Spa oppure un anticipo sullo stipendio o sul Tfr. Rispetto agli orizzonti futuri, l’impresa cercherà di mantenere queste politiche di diversity e di includere anche un’ulteriore categoria che secondo il vertice risulta essere ancora oggi, soprattutto in Italia, penalizzata: la categoria dei giovani lavoratori, i quali possono essere una ricchezza per le aziende. Per concludere, all’interno della realtà di Sweet Spa, vi è una forte attenzione al proprio personale, il quale secondo l’area direzionale deve sentirsi bene all’interno del proprio luogo di lavoro per poter garantire poi una maggiore produttività ed engagement all’azienda. Inoltre, avere queste particolarità e diversità all’interno del proprio organico le permette di essere più competitiva sul mercato perché in grado di comprendere meglio la richiesta e le necessità dei consumatori del paese estero nel quale ha intenzione di penetrare. 3.2 LU-VE SpA LU-VE Spa, azienda operante nell’area della catena del freddo, viene creata verso la fine del 1985, avente come mansione principale quello di fabbricare tutte quelle attrezzature in grado di conservare prodotti alimentari ad una temperatura costante, seguendo un intero circuito che parte dalla produzione fino ad arrivare alla fase della vendita, implementando inoltre i percorsi intermedi di trasporto, stoccaggio ed esposizione del prodotto. La cosiddetta catena del freddo, oltre che per cibi e bevande, è utilizzata anche per conservare medicinali, avendo quindi una forte relazione anche con la qualità della vita degli individui. La sede dell’azienda presa in analisi è situata in provincia di Varese, nella quale sono presenti 274 dipendenti (210 uomini, circa il 76,6% e 64 donne, circa il 23,4%. La maggior parte dei dipendenti (124 unità), ha un’età compresa tra i 35 e i 47 anni, a seguire 102 dipendenti hanno un’età tra i 21 e i 34 ed infine i restanti 48, tra i 48 e i 60 anni. I lavoratori autoctoni sono circa il 90% (247), quelli di origine straniera sono 27 di cui 25 uomini e 2 donne. La nazionalità straniera predominante è composta dai senegalesi (29,63%), successivamente vi sono persone provenienti dalle filippine (25,93%), alcuni con nazionalità marocchina (14,81%), tunisina (11,11%), pakistana e albanese (7,41%) e russa (3,7%). Si può notare inoltre che sul totale dei dipendenti di origine straniera compiano mansioni diversificate: 7 sono saldo10 brasatori, 5 montatori, 4 tranciatori, 3 assemblatori, 3 collaudatori/riparatori, uno mandrinature, uno imballatore, uno attrezzista, uno addetto alle prime lavorazioni e uno addetto alla gestione degli ordini. Il settore in cui questa azienda opera è sottoposto a periodi in cui vi sono picchi di richieste, per questa ragione, oltre ai veri e propri dipendenti, per riuscire a rendere flessibile la produzione impiega in base alla necessità del personale in somministrazione. Se vi è la possibilità, inoltre, dopo aver trascorso il periodo con contratto a tempo determinato, l’azienda provvede a prorogare lo stesso o ad assumere il personale a tempo indeterminato. Al momento della ricerca, tutti i dipendenti erano assunti a tempo indeterminato; Anche sul fronte degli avanzamenti di carriera l’impresa non fa differenze di nazionalità, tanto che “nell’ultimo anno infatti, in presenza di crisi, almeno 10 persone da operai sono andate due in ufficio perché sapevano usare il computer, due in magazzino, due sui carrelli” (D.Redaelli, in M.Monaci,2012,p.141). Vi è quindi la possibilità di avanzamento per chiunque. Per quanto riguarda la cultura aziendale, essa è molto rilevante per poter mettere in atto politiche di diversity management. L’azienda LU-VE è improntata su una politica di rispetto e attenzione alla persona, cercando di incrementare il benessere dei propri dipendenti, valorizzarli e andare in contro ai loro bisogni, “anche cose che non sono nello stretto giro del contratto di lavoro come è concepito da molte parti. Quindi il discorso è quello del rispetto della persona, della sua identità, della sua provenienza, delle sue origini […]si cerca di creare un ambiente che sia il più sereno possibile, che tenga conto anche degli eventi personali del collaboratore. Si cerca di avere una visione più “umanizzata” del rapporto” (Ivi, p.138). Un dato rilevante consta circa che il presidente di LU-VE chiama tutti i suoi dipendenti “collaboratori” indipendentemente dalla provenienza o dal tipo di mansione svolta. Questo indica come vi è coscienza della rilevanza del ruolo ricoperto da ognuno per conseguire gli obiettivi proposti dall’azienda, ma, anche la stima, il rispetto e l’importanza per le persone in sé. In più i dipendenti sono sempre al corrente delle decisioni aziendali e dei cambiamenti, in particolar modo se riguardano il loro posto di lavoro, i progetti in fase di svolgimento e le modifiche; Questo clima aziendale molto aperto e trasparente, dal vertice ai propri collaboratori, tende infatti a facilitare l’adesione dei lavoratori, di qualsiasi nazionalità, alla vita organizzativa. Un esempio riguarda le “decisioni di layout, modifica e cambio di macchine, dove gli operai vengono informati preventivamente e viene anche raccolto il loro parere. […] Sono state fatte anche iniziative per aumentare l’efficienza del reparto, intese non nel senso di “operai lavorate di più” ma intese come “vogliamo migliorare le vostre condizioni di lavoro per ridurre i tempi macchina e così via” (Ivi, p.139). Inoltre, la partecipazione è realizzabile anche dal fatto che vi è un riconoscimento e una valorizzazione dei singoli contributi che i collaboratori possono fornire. Un responsabile di produzione afferma infatti che i capireparto danno rilievo alle proposte e dichiarano di chi è stata l’idea; Il presidente ci tiene molto, infatti per questo da “premi in forma di una tantum” a prescindere, ovviamente dalla nazionalità del collaboratore. Le politiche attuate dall’azienda in termini di diversity management sono diverse, le più importanti riguardano i corsi di formazione, inerenti da un lato alla sicurezza sul posto di lavoro, mentre dall’altro vi è un affiancamento da parte dei collaboratori esperti sulle mansioni da svolgere, non lasciando mai solo il personale. Questi corsi sono per tutti i dipendenti, non facendo nessuna distinzione tra le differenti etnie. Anzi, è emerso che il personale di origine straniera ha la possibilità di frequentare corsi di lingua italiana. All’interno del corso avanzato inoltre, si insegna la lingua italiana anche attraverso fatti di attualità e di cultura, con il fine di 11 far comprendere la realtà socioculturale che li circonda e per facilitare la loro integrazione. Queste iniziative molto laboratoriali, hanno motivato il personale che ha partecipato ampiamente facendo diminuire le assenze, e facendo capire ai lavoratori che l’azienda ha parecchio interesse verso i propri dipendenti, in più al termine dei corsi viene rilasciato un diploma di partecipazione. Un ulteriore iniziativa che denota l’interessamento da parte di LUVE per i propri collaboratori concerne la fondazione di borse di studio da assegnare ai figli dei lavoratori. “Tale iniziativa costituisce a pieno titolo un esempio di ciò che oggi viene chiamato welfare aziendale” (Ivi, p.149). Per partecipare basta essere dipendenti dell’azienda, avere dei figli iscritti alle scuole medie-superiori o all’università e che abbiano una buona media. Le borse sono 7, però ne sono state assegnate sempre di più confermando così il valore che, i collaboratori e le rispettive famiglie, hanno per l’azienda. Queste due manovre sopracitate sono state intensamente richieste dal dirigente dell’azienda rivestendo molta importanza anche da una prospettiva di diversity management “del vertice d’impresa”. Gli esiti emersi da tali iniziative, sono la trasformazione in positivo delle condizioni aziendali, una maggior fidelizzazione e il fatto che, la maggior parte del personale si sente valorizzato e parte integrante della vita e dello sviluppo aziendale. Dal punto di vista delle necessità dei dipendenti, LU-VE cerca ove possibile, di soddisfarle: Ad esempio alcuni collaboratori extracomunitari, hanno delle esigenze in precisi periodi dell’anno, sia di tipo religioso-culturale, sia per quanto riguarda l’assenza dal lavoro (per un periodo abbastanza lungo) per poter raggiungere i propri familiari nei propri paesi d’origine. L’azienda in questi casi, in accordo con la produzione, prova ad organizzare possibili soluzioni per rispettare sia le necessità tecnico- organizzative dell’azienda che quelle personali dei lavoratori. Un esempio riportato nell’articolo concerne la disponibilità verso gli impegni religiosi, anche giornalieri, dei lavoratori di fede islamica: “soprattutto per quel che riguarda il Ramadan, nel senso che ai turnisti del secondo turno veniva spostata la pausa cena: poiché fino alle 20.00 non possono mangiare, abbiamo spostato la cena dalle 18.40 alle 20.00. (...) Per quanto riguarda la preghiera giornaliera, solo un collaboratore la pratica. Quando deve pregare, si prende, soprattutto nei periodi di Ramadan, quelle tre o quattro volte durante la giornata per pregare quei 3 o 4 minuti. Non è mai stato un problema” (Ivi, p.144). Per concludere spicca come l’azienda abbia una forte apertura culturale, poiché la leadership da molta rilevanza all’aspetto umano a prescindere dall’identità etnica e dalla cultura, e cerca sempre di risaltare il lato umano e solidale su quello produttivo. Ovviamente tali aspetti si conseguono poiché un benessere all’interno dell’azienda, porta con sé anche una maggior produttività e partecipazione. L’obiettivo dell’azienda di gestire la compresenza tra culture differenti, di creare un equilibrio e un clima sereno ha quindi, nell’insieme, avuto successo. Infine, come prospettiva futura l’azienda si propone di istituire degli appuntamenti per tutto il personale, all’interno dei quali vorrebbe trattare l’argomento della vicinanza e del confronto con le pluralità culturali. Il fine di questi incontri sarebbe quello di provare a migliorare ed acquisire conoscenze dei differenti background culturali delle nazionalità ed etnie interne all’azienda, creando una condizione aziendale sempre più inclusiva che prevede una conciliazione tra equità, correttezza e soprattutto riconoscimento di ogni tipo di diversità. 12 4. Conclusioni e Critiche 4.1 Elementi situazionali che agevolano il DM nei casi LU-VE e Sweet Spa è necessario evidenziare la presenza di elementi “situazionali” che possono agevolare l’introduzione del DM. Prendiamo il primo: il settore in cui opera l'azienda. Quest’ultimo facilita introduzione del DM quando: 1) è caratterizzato una struttura competitiva che consente di sottrarsi a una concorrenza basata sul contenimento dei costi aziendali; 2) un settore che comporti obbiettivi e attività ai quali si può più direttamente attribuire significati di notevole rilevanza, agendo sul coinvolgimento e l’incentivazione immateriale dei dipendenti; 3) settore caratterizzato da un contatto diretto e continuativo con l’utenza finale. Come nel caso di Sweet, dove i collaboratori stranieri avevano nel rapporto personale con i clienti opportunità di valorizzazione del loro contributo, alimentando e riconoscendo il senso del proprio lavoro. Il secondo elemento è l’orientamento all’innovazione dell’impresa. Il fatto che quest’ultimo all’interno di una azienda sia già sviluppato (come nel caso di Sweet), può agevolare il consolidamento dell’impegno da parte dell’impresa nei confronti della valorizzazione delle specificità culturali - ma non solo - dei dipendenti1. Il terzo elemento è il territorio di insediamento dell’attività aziendale. Infatti, nel caso di Sweet, c’è il radicamento dell’impresa in una “terra di confine” aperta alla diversità nei confronti della presenza si stranieri. Il quarto e ultimo elemento è la collocazione che viene data al personale straniero all’interno dell’organizzazione: nel caso sia di elevata responsabilità - in termini di competenze o capacità decisionale - vi sono più possibilità che il DM cross-culture abbiano effetti positivi sia per l'impresa che per l’individuo; ma anche nel caso in cui la mansione fosse caratterizzata solo da compiti esecutivi e ripetitivi (come nei casi delle linee produttive di LU-VE e Sweet) il DM può generare dei risultati significativi in termini di clima organizzativo e dell’integrazione sociale nell’impresa. 4.2 Limiti del DM Uno dei possibili limiti, o meglio, ostacoli contro cui il DM si deve confrontare è l’atteggiamento non positivo dei clienti di fronte alla diversità̀ del personale d’impresa (Monaci 2012). L’organizzazione si deve confrontare anche con gli stereotipi e i vissuti dell’utenza. Gli effetti del DM non sono solo all’interno dell'impresa, ma anche all’esterno di essa, in particolare la ricettività dei vari elementi che compongono la rete aziendale: clienti, fornitori, soggetti pubblici, comunità̀ locale2. 1 2 Per esempio, attraverso il coinvolgimento dei collaboratori nelle strategie organizzative. Si potrebbe dire che devono condividere uno stesso orientamento pratico verso il mondo. 13 La domanda è: il contesto supporta l’azienda nel suo impegno verso il DM Cross-culture?3 La letteratura sul tema del DM (Bombelli, 2010; Cocozza, 2010; Cuomo, Mapelli, 2007; Visconti, 2007), presenta alcune criticità di tipo operativo: - Problematiche di carattere linguistico Gestione delle ferie Gestione dello status di migrante Resistenze a svolgere alcuni compiti per motivazioni religiose Essere coordinati da altri immigrati di differente nazionalità̀ che hanno una posizione più rilevante all’interno dell’organizzazione Ma come fa notare Monaci: “Simili criticità̀ appaiono riconducibili alla presenza in quanto tale di collaboratori immigrati piuttosto che alle azioni di DM” (Monaci 2012, p.197), le quali tentano di gestire tali problematiche. Il DM presenta anche delle criticità più radicali come dinamiche di etnocentrismo, “discriminazione alla rovescia” cioè da parte dei lavoratori autoctoni, e percezione di “subire il cambiamento”. Una delle possibili cause a queste dinamiche è l’eccessiva formalizzazione degli interventi, che però rappresenta un elemento ambivalente: il ricorso a pratiche informali tende a riprodurre l’idea di decisioni non calate dall’alto secondo una logica top- down4; mentre il ricorso a pratiche più formalizzate potrebbe generare delle “logiche di proceduralizzazione” degli interventi organizzativi (Monaci 2012) 5. Con questo termine si intende l’accentuazione o la costruzione di un senso di divisione interna in contesti in cui le differenze nel personale non hanno mai generato problemi particolari. Va però ricordato, come suggerisce Monaci: “la carenza di formalizzazione tende a ostacolare lo sviluppo di requisiti di sistematicità̀ e aspetti di codificazione che, se affiancati alle dinamiche più̀ “naturali” dell’evoluzione di un’identità̀ organizzativa orientata all’ascolto, appaiono cruciali sotto almeno due profili: per portare allo scoperto potenzialità̀ implicite o non ancora esplorate rese disponibili dalla diversità̀ ; e, ancor più, per aumentare la consapevolezza condivisa del ruolo degli investimenti in DM ai fini della crescita aziendale e per sostenere il consolidamento di tali linee di intervento nel medio-lungo periodo” (Monaci 2012, p.198) Ci si sta muovendo nella direzione in cui promuovere la diversità̀ possa creare un ambiente organizzativo che aumenta la competitività̀ e la produttività dell’impresa, coniugando le performance aziendali con dinamiche di inclusione sociale. La (mia) sensazione, è che però l’obiettivo primario rimane quello di aumentare la produttività e la competitività, e il DM rappresenti solamente un mezzo per raggiungere l’obiettivo. Questo non è per forza di cose un aspetto negativo, però fa riflettere su quali possano essere le “reali” priorità di ogni contesto organizzativo. Il rischio sarebbe quello di trattare il DM come un artificio retorico, una “moda” Nel caso della Sweet c’è un contesto che supporta questi modelli di gestione aziendale, anche attraverso premi e riconoscimenti, e questo funge da incentivo per la promozione del DM. 4 Come nei casi LU-VE e Sweet. 5 Che vengono percepiti come "distanti" rispetto alla quotidianità aziendale. 3 14 proposta dai sovraordinati, ovvero il rappresentarsi (attraverso programmi formali prodotti dalle stesse aziende) come inclusivi ma poi non agire concretamente nella realtà organizzativa, perché tendenzialmente alcune misure del DM operano in un’ottica di medio-lungo periodo non compatibile con le logiche di profitto capitalistiche. Utilizzando una metafora cara a Gregory Bateson ci si continuerebbe a muovere in una logica disgiuntiva O/O, anziché una logica congiuntiva E/E. Per quanto riguarda invece il discorso dell’EEO, fatto nel primo capitolo, uno dei meccanismi di attuazione è quello delle “quote”, ovvero imporre per legge ad un'organizzazione un numero minimo di posti di lavoro a persone che appartengono a determinati gruppi sociali. Se non attuato con le dovute precauzioni questo meccanismo potrebbe essere percepito in contrasto con il principio di equità, in quanto non ci sarebbe più un criterio "meritocratico", ma di appartenenza ad un gruppo di “minoranze protette”. Questo potrebbe causare all’interno dell’organizzazione quel sentimento di “discriminazione alla rovescia”, in cui i gruppi che hanno più opportunità in ingresso, avvantaggiati, si sentono vittime di discriminazioni. Ma dall’altro lato anche le minoranze possono risentirne, in quanto facenti parte di un contesto che li rappresenta come bisognosi e che per realizzarsi in ambito lavorativo necessitano di aiuti. Bibliogrfia Bombelli M.C. (2010), Management plurale. Diversità individuali e strategie organizzative, Etas, Milano. (a cura di) Buemi M., Conte M., Guazzo G., (2016), Il Diversity Management per una crescita inclusiva, Franco Angeli, Milano Cocozza A. (2010), Il diversity management. La gestione delle differenze nelle rela- zioni di lavoro, FrancoAngeli, Milano. Cuomo S., Mapelli A. (2007), Diversity management. Gestire e valorizzare le differenze individuali nell’organizzazione che cambia, Guerini e Associati, Milano. Monaci M. (2012), Culture nelle diversità, cultura nella diversità, Fondazione Ismu, Milano Visconti L.M. (2007), Diversity management e lavoratori migranti. Linee guida per la gestione del caso Italia, Egea, Milano. 15 16