Jurij Lotman
CONVERSAZIONI
SULLA CULTURA RUSSA
A cura di Silvia Burini
Traduzione di Valentina Parisi
Bompiani
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Questo volume è pubblicato con il contributo della Mikhail Prokhorov
Foundation TRANSCRIPT Programme to Support Translations of
Russian Literature
© Yuri Lotman Estate, The Estonian Semiotics Repository Foundation
Published by arrangement with ELKOST Intl. Literary Agency
www.giunti.it
www.bompiani.eu
© 2017 Giunti Editore S.p.A. / Bompiani
Via Bolognese 165, 50139 Firenze – Italia
Piazza Virgilio 4, 20123 Milano – Italia
ISBN 978-88-452-9332-0
Prima edizione: settembre 2017
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SOMMARIO
“ECOLOGIA” DELLA CULTURA:
LE CONVERSAZIONI DI JURIJ LOTMAN
di Silvia Burini
7
CICLO PRIMO. GENTE. DESTINI. QUOTIDIANITÀ (1986)
Lezione 1
Lezione 2
Lezione 3
Lezione 4
Lezione 5
Lezione 6
Lezione 7
Lezione 8
Lezione 9
27
37
48
63
78
89
100
111
123
CICLO SECONDO. I RAPPORTI TRA LE PERSONE
E LO SVILUPPO DELLE CULTURE (1988)
Lezione 1
Lezione 2
Lezione 3
Lezione 4
Lezione 5
Lezione 6
Lezione 7
Lezione 8
137
149
160
172
182
193
205
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CICLO TERZO. CULTURA E INTELLETTUALITÀ (1989)
Lezione 1
Lezione 2
Lezione 3
Lezione 4
Lezione 5
Lezione 6
231
244
254
265
277
290
CICLO QUARTO. L’UOMO E L’ARTE (1990)
Lezione 1
Lezione 2
Lezione 3
Lezione 4
305
318
330
341
CICLO QUINTO. PUŠKIN E IL SUO AMBIENTE (1991-1992)
Lezione 1
Lezione 2
Lezione 3
Lezione 4
Lezione 5
Lezione 6
355
370
387
403
417
428
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“ECOLOGIA” DELLA CULTURA:
LE CONVERSAZIONI DI JURIJ LOTMAN
Silvia Burini*
Il pensiero è il diritto al dubbio1
La serie televisiva dal titolo Besedy o russkoj kul’ture, ossia le Conversazioni sulla cultura russa di Jurij Lotman, che costituiscono il
presente volume, fu registrata da un’emittente estone dal 1986 al
1991 e più volte trasmessa su diversi canali, sia in Russia che in Estonia. Nel 1995 la rivista “Tallinn” cominciò a pubblicare i testi delle
trasmissioni, trascrivendo direttamente le puntate trasmesse2. Quelli che impieghiamo per questa versione derivano però da una successiva edizione3, che seguiva a un’accurata revisione e a un’ulteriore
verifica sulla trascrizione, nonché al controllo di tutte le citazioni
che Lotman aveva introdotto: ho deciso di utilizzare proprio questa
più meditata variante, che pur preserva l’oralità dell’approccio dello
studioso, per trasmettere al lettore italiano con puntualità e rigore
la riflessione dello studioso.
* Ringrazio per i loro preziosi consigli Giuseppe Barbieri, Aleksandr Danilevskij e Alessandro Niero.
1
Vedi p. 247 del presente volume.
2
L’introduzione al testo spetta alla redattrice della serie televisiva Evgenija
Chaponen: cfr. Evgenija Chaponen, Ot sostavitelej (Nota dei curatori), in Ju.
Lotman, Vospitanie duši (L’educazione dell’anima), a cura di L. Kiselëva, T.
Kuzovkina, R. Vojtechovic, Sankt-Peterburg, Iskusstvo-SPB, 2005, pp. 348-349.
3
Cfr. Ju. Lotman, Besedy o russkoj kul’ture (televizionnye lekcii) (Conversazioni sulla cultura russa [lezioni alla televisione]), in Ju. Lotman, Vospitanie
duši, cit., pp. 350-597.
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CONVERSAZIONI SULLA CULTURA RUSSA
Benché si “esibisse” da solo, Lotman scelse di usare comunque il
termine “conversazioni” presupponendo sempre la presenza di un
“altro” come interlocutore (il pubblico dei telespettatori), sottolineando, quindi, la sua personale esigenza di una forma dialogica, che
egli riteneva uno dei meccanismi più importanti del funzionamento
della cultura. Lotman implica sempre nel discorso il suo interlocutore, non lo perde mai di vista, non si pone davanti a lui o sopra
di lui, ma accanto a lui, e con infinita pazienza lo accompagna alla
scoperta di un mondo. E in queste “conversazioni”, inoltre, Lotman
dialoga con il pubblico anche con l’ausilio di immagini, che risultano parte integrante del testo.
Leggerle non sarà certo come vedere il viso di Jurij Lotman, il
suo sorriso affascinante, sentire la sua voce, che aveva una particolare e accattivante intonazione, come posso testimoniare personalmente avendo frequentato nei primissimi anni novanta, ancora
sprovveduta studentessa italiana, l’università di Tartu... Ma questa
versione scritta, in cui le conversazioni assumono il nome di “lezioni”, nell’accezione che considereremo più avanti, permette al lettore
italiano, come accennavo, di avere sottomano un materiale vastissimo, offerto con un taglio totalmente inedito, che arricchisce con un
ulteriore punto di vista la generale impostazione lotmaniana sulla
cultura russa e sulla semiotica della cultura, consegnandoci così
nuovi aspetti dello studioso, come lettore e soprattutto come individuo. Per poter percepire questi sensibili addenda credo sia in qualche modo indispensabile ritornare a riflettere sull’opera lotmaniana nel suo complesso, anche per storicizzare l’esperienza culturale
dello studioso tartuense: che va considerato non solamente come
un semiologo o uno storico della cultura russa, ma anche come il
creatore di uno spazio culturale complesso, come una personalità
davvero dotata di una forza intellettuale di vasta portata4.
Lotman compie i suoi studi di Lettere all’università di Leningrado terminandoli assai tardi, nel 1950, a causa della guerra. Alla fine
4
Cfr. S. Burini, L’ultimo Lotman: scritti dal 1991 al 1993, in Incidenti ed
esplosioni. A.J. Greimas, Ju. M. Lotman: per una semiotica della cultura, a cura
di T. Migliore, Roma, Aracne, 2010, pp. 13-28.
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degli anni quaranta l’ateneo leningradese vantava nomi della caratura di Boris Ejchenbaum, Boris Tomaševskij, Viktor Žirmunskij,
Vladimir Propp, Grigorij Gukovskij, ossia i massimi teorici della
scuola formalista degli anni venti: è qui che bisogna cercare l’origine e lo sfondo di quel ruolo attivo che sarà poi svolto da Lotman
nella fondazione di una poetica strutturalista che riprende e sviluppa molte idee dei formalisti. Già nei lavori nel primo decennio
della sua carriera scientifica (a partire dalla tesi di “dottorato” dedicata a due autori russi che operano a cavallo tra i secoli XVIII
e XIX, Aleksandr Radišcev e Nikolaj Karamzin) compaiono studi che sembrano dunque ancora pienamente inscritti all’interno
della scuola letteraria tradizionale, anche se affiora gradualmente
quell’idea di “lingua culturale” che occuperà un rilievo decisivo
nei lavori successivi.
Gli anni cinquanta vedono il rapido sviluppo della poetica strutturale, l’estensione di metodi linguistici ad altre scienze umane e in
primo luogo allo studio della letteratura. Sviluppando l’approccio
strutturale di F. de Saussure, Lotman amplia la nozione di discorso
e di testo arrivando a considerare come testo qualunque manifestazione della cultura: le opere d’arte (verbali e non), ma anche il
byt (l’espressione russa pressoché intraducibile che indica la nostra
esperienza di vita quotidiana), e inoltre i divertimenti, le mode, i
costumi, i giochi, l’attività politica, in sostanza tutte le forme di
vita del consorzio umano fondate su un sistema convenzionale di
segni culturali. Tali segni rappresentano codici culturali secondari,
nel senso che la loro identificazione e il loro studio sono diventati
possibili per analogia con la concezione strutturale della lingua, e
assumono complessivamente il nome di “sistemi di modellizzazione secondaria”.
Proviamo adesso a fissare nella sua riflessione, sia pure per sommi capi, in che rapporto stiano cultura e memoria, lingua e testo.
La cultura è una condizione necessaria per l’esistenza di qualsiasi
collettività umana. Quando si parla di cultura si intende, secondo
Lotman, l’insieme dell’informazione non genetica, la memoria non
ereditaria dell’umanità, che acquisisce contenuto conservando e
accumulando informazioni. La lotta per la memoria è imprescin-
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dibile dalla storia intellettuale dell’umanità, tant’è vero che la distruzione di una cultura passa soprattutto attraverso la distruzione della memoria, l’annientamento dei testi che la costituiscono.
E quindi per far sì che una porzione di realtà diventi patrimonio
della memoria collettiva è necessario che essa venga tradotta in
un’informazione codificata: questo è il compito della cultura, il cui
lavoro fondamentale consiste nell’organizzare strutturalmente il
mondo che circonda l’uomo.
La vita manda segnali che rimangono incomprensibili se non
vengono tradotti in segni finalizzati alla comunicazione. Questi ultimi fanno parte di un unico universo culturale, la “semiosfera”.
La comunicazione è alla base stessa del funzionamento della cultura e dei suoi tipi di linguaggio, ognuno dei quali è organizzato
da uno o più codici: qualsiasi atto della comunicazione prevede la
trasmissione di una certa informazione attraverso una lingua (un
codice) in modo tale da permettere che un emittente e un ricevente
possano entrare in rapporto. Qualcosa ha senso per noi quando ci
inserisce in un contesto di relazioni interpersonali e la semiotica
estende il suo concetto di lingua a ogni sistema che abbia come
fine la comunicazione e utilizzi segni, anche a livello basico, per
cui l’oggetto nero, denominato “ombrello”, in mano a qualcuno e
aperto, indica “pioggia”.
Anche sulla base di simili considerazioni, nella sua riflessione si
fa strada il concetto di “testualità della cultura”: la cultura è da intendersi come testo in ogni sua manifestazione, anche quando esso
si presenti sotto forma di immagine. Del resto, lingua e cultura
sono indivisibili: la lingua è immersa in un contesto culturale e la
cultura a sua volta ha come centro una struttura analoga a quella
della lingua naturale. Le lingue naturali (italiano, russo, francese)
servono alla nominazione pura e semplice della realtà. Le lingue
artificiali (simboli matematici, segnali stradali) si usano in situazioni specifiche. Le lingue secondarie, quelle che abbiamo definito
“sistemi di modellizzazione secondaria”, ci permettono di trasformare un settore della realtà in un testo della cultura. Costruiti,
come si diceva, sul modello della lingua, tali sistemi sono in grado
di trasmettere una certa rappresentazione della realtà del sapere,
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di creare un modello della realtà (il mito, la religione, il rito, l’abbigliamento, ossia fenomeni che costituendosi come testo forniscono
indicazioni su se stessi e sul tipo di logica della cultura che esiste
in ogni società). Rientrano tra questi sistemi linguistici, organizzati
in modo specifico, anche il teatro, il cinema, la pittura, la musica,
l’arte. Per testo, quindi, si intende una qualsiasi comunicazione codificata secondo un sistema di segni ordinato e creato dall’uomo.
Ogni sistema che abbia come fine la comunicazione può essere
definito come lingua. Le teorie strutturali permettono a Lotman
di formulare in modo esplicito un simile approccio e di mettere al
centro delle proprie elaborazioni la nozione di “testo culturale”,
che può essere decifrato in modo adeguato dal latore della lingua/codice corrispondente o dal ricercatore che abbia ricostruito
il modello (la grammatica) di questa lingua/codice.
Questa concezione, intuita da Lotman alla fine degli anni cinquanta anche in relazione con altre discipline e le tendenze di
coeve ricerche (dall’ermeneutica all’antropologia culturale, al
decostruzionismo, alla narratologia), corrisponde alla sua evoluzione intellettuale di storico della letteratura pronto a leggere ogni
fenomeno culturale in parallelo con ciò che storicamente fa da
sfondo.
Il titolo Conversazioni sulla cultura russa fu pensato dallo stesso
Lotman quando nel 1976 cominciò a progettare la serie televisiva
con Evgenija Chaponen, redattrice del programma. L’idea iniziale
era venuta proprio alla redattrice, che era stata un’allieva di “Jurmich” (come lo hanno sempre chiamato tra di loro con affetto i
suoi studenti) all’università di Tartu, per testare il talento di affabulatore di Lotman anche al di fuori dell’ambito accademico: il
modo più immediato per arrivare al grande pubblico era appunto
la televisione. Insegnante per vocazione, Jurmich accettò, nonostante l’impellenza degli impegni all’università, preparando il primo ciclo: “Gente. Destini. Quotidianità”, in collaborazione con
la moglie, la studiosa Zara Minc. Dello storyboard venne redatta
anche una versione scritta e rielaborata, uscita postuma, nel 1994,
a San Pietroburgo, con il titolo, appunto, di Conversazioni sulla
cultura russa, Vita quotidiana e tradizioni della nobiltà russa (secolo
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XVIII – inizio secolo XIX)5, che deve essere considerata come la
prima occorrenza a stampa delle conversazioni lotmaniane.
In quel lontano 1976, in realtà, le lezioni televisive di Lotman non
furono trasmesse: per motivi politici gli era proibito apparire pubblicamente, cosicché il primo ciclo venne trasmesso solamente dieci
anni dopo, nel settembre del 1986 (Jurmich, con l’usuale humor,
commentò che così ne avrebbero festeggiato il primo decennale...).
Nel corso dei cinque anni successivi furono registrati altrettanti cicli di conversazioni, per un totale di 35 lezioni, che costituiscono
in toto questo libro: “Gente. Destini. Quotidianità” (ciclo primo,
1986); “I rapporti tra persone e lo sviluppo delle culture” (ciclo secondo, 1988); “Cultura e intellettualità” (ciclo terzo, 1989); “L’uomo
e l’arte” (ciclo quarto, 1990); “Puškin e il suo ambiente” (ciclo quinto, 1991-1992).
I cinque cicli sono poi confluiti in Russia in un volume6 che ha riunito anche gli articoli di alta divulgazione che Lotman aveva scritto come pubblicista, nonché altre memorie e interventi vari. Si tratta
di una mole davvero cospicua di testi, e questo ci rafforza nella
convinzione che la complessiva eredità di Jurij Lotman non sia ancora sufficientemente studiata. Infatti, quel volume raccoglie meno
di un quinto degli scritti “non accademici” che Lotman approntò in modo costante dall’inizio degli anni cinquanta fino alla sua
scomparsa (l’ultima intervista risale al luglio del 1993, a pochissimi
mesi dalla morte)7. Proprio anche in questo modo Jurmich è diven5
Cfr. Ju. Lotman, Besedy o russkoj kul’ture. Byt i tradicii russkogo
dvorjanstva (XVIII – nacalo XIX veka) (Conversazioni sulla cultura russa. Byt
e tradizioni della nobiltà russa [XVIII secolo – inizio XIX secolo]), SanktPeterburg, Iskusstvo-SPB, 1994.
6
Cit L. Kiselëva, Ju. M. Lotman – sobesednik: obšcenie kak vospitanie (Ju.
M. Lotman interlocutore: interazione come educazione), in Ju. Lotman, Vospitanie duši, cit., p. 598-599.
7
Una recentissima pubblicazione in questa chiave è il volume su Zara
Minc, moglie di Lotman: Zare Grigor’evne Minc posvjašcaetsja... Publikacii, vospominanija, stat’i. K 90-letiju so dnja roždenija (Dedicato a Zara Grigor’evna
Minc... Pubblicazioni, ricordi, articoli. Per il 90mo anniversario dalla nascita),
Tallinn, Izdatel’stvo TLU, 2017.
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tato una di quelle “figure di culto” che, come lo storico dell’antica
cultura russa (e non solo) Dmitrij Lichacëv o lo scienziato Andrej
Sacharov, hanno saputo parlare della loro attività secondo modalità
non esclusivamente specialistiche, il che consente a noi oggi di fruire appieno, e lato sensu, di un’eredità culturale davvero preziosa.
Il tema delle Conversazioni è la cultura (russa), in tutta la sua
ampiezza e complessità, affrontata però con una disarmante chiarezza: fin dalle primissime pagine, è lo stesso Lotman a offrirci
infatti alcune “semplici” chiavi di lettura di una realtà culturale tanto stratificata. La prima avvertenza da adottare, quando si
affronta una cultura nello specifico, è nella cosciente percezione
delle vie lunghissime che essa ha percorso, del suo essere immersa
in una più generale cultura dell’umanità, dato che per Lotman
la cultura, come ho accennato, è un tipo di memoria che si dirama in diverse sfere e su differenti registri, e che non è fatta solo
di edifici, quadri o libri, ma anche di uomini. In secondo luogo
lo studioso avverte che un’inadeguata comprensione della “vita
quotidiana” delle epoche che decidiamo di prendere in esame ci
preclude anche quella dell’arte, delle persone e, in definitiva, di
noi stessi, poiché la storia vive intorno a noi e in noi. Per Lotman
la storia8 è prima di tutto una categoria narrativa, un modo in cui
l’uomo interpreta gli eventi raccontandoli: se questi non trovano
disposizione in un “racconto” e non vengono “tradotti”, in modo
che si creino i collegamenti esplicativi del prima e del dopo, viene
a mancare lo sguardo collettivo e individuale capace di cogliere il
senso di ciò che accade9.
Cfr. S. Burini, Lotman y el problema del hecho históric, in La exuberancia
del límites. Homenaje a Jorge Lozano, a cura di M. Serra e P. Francescutti,
Madrid, Biblioteca Nueva, 2013, pp. 23-28.
9
Cfr. L. Gherlone, Dopo la semiosfera. Con saggi inediti di Jurij M. Lotman,
Milano – Udine, Mimesis, 2014. In un testo dedicato alla semiotica e alla storia, Lotman sottolinea che “la semiotica sta bussando alla porta della storia”
(Ju. Lotman, Semiotics and the historical sciences, in Dialogue and Technology:
Art and Knowledge, a cura di B. Göranzon e M. Florin, London, Springer,
London, 1991, p. 178). Dalla metà degli anni ottanta Lotman ripensa la sua teoria culturologica in un orizzonte più marcatamente storico, che era presente
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Nella prima lezione del ciclo “I rapporti tra persone e lo sviluppo delle culture” (1988) Lotman sottolinea tuttavia (ed ecco
un’ulteriore chiave di lettura) come la letteratura e la storia non
si esauriscano negli oggetti di uso quotidiano o nelle abitudini:
l’aspetto più importante, e più complicato, sta nel capire in quali
modi gli individui comunicassero tra di loro e come risultassero
necessari gli uni agli altri. Il più grande rischio che Lotman riscontra nello sviluppo della cultura è insomma quello di ritrovarci senza gli strumenti necessari (anche al passato) per comprenderci l’un
l’altro. Lo stesso concetto di “originalità”, riferito a una cultura, si
percepisce pienamente e positivamente solo se a essa se ne affianca un’altra: “Se tutto è color verde, i colori cessano di esistere...”10
In altre parole, l’esperienza culturale autentica risiede nella ricerca
del contatto con l’altro, perché solo così è possibile rendere più
complesso il proprio mondo. Più si semplifica, più si conosce in
modo univoco, meno si è liberi. La cultura esige insomma contatti
vivi, in cui l’incomprensione è necessaria, così come la contraddizione. Ad aprire vie alternative è l’arte, che ci offre una modalità
di conoscenza contraddittoria ma vicina alla vita. Secondo Lotman
un’opera d’arte non sussiste mai come cosa separata e a sé stante,
come oggetto tolto da un contesto: essa costituisce invece una parte
del byt11, delle idee religiose, della normale vita extrartistica e, in
ultima analisi, di tutto il complesso delle varie passioni e aspirazioni della realtà a essa contemporanea. Questa capacità dell’arte di
correlarsi a ciò che è esterno e contestuale a essa e di ricevere in tal
anche negli scritti degli anni precedenti. Negli ultimi lavori questo orizzonte
è amplificato e caricato di una riflessione etico antropologica sulla triade – conoscenza, memoria e coscienza (sia individuale che collettiva) – che dovrebbe
informare l’educazione dell’uomo, soprattutto in momenti di crisi epocali.
Lotman arriva a parlare della necessità di una semiotica storica in chiave culturologica.
10
Vedi p. 227 del presente volume.
11
Cfr. S. Burini, Jurij Lotman e la semiotica delle arti figurative, in Ju. Lotman, Il girotondo delle Muse, a cura di S. Burini, trad. di S. Burini e A. Niero,
presentaz. di C. Segre, ricordo di N. Kauchtschischwili, Bergamo, Moretti &
Vitali, 1998, pp. 129-169, per la citazione p. 138.
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modo diversi significati è una delle più profonde proprietà del testo
artistico. Lo scambio semiotico che avviene mediante traduzioni,
per così dire, imperfette, fra il testo e i diversi contesti in cui può
essere letto costituisce così una riserva inesauribile per la produzione di nuovi significati e di nuove idee. Nel ciclo quarto, “L’uomo
e l’arte” (1990), Lotman aggiunge molto semplicemente che l’arte è
necessaria, perché senza arte si sta male, che essa è un organismo
vivente, qualcosa che si evolve da sé, dotata di bizzarre caratteristiche: è viva. Probabilmente proprio questo elemento fa sì che l’arte
risulti sempre per noi una lingua ignota, e questa è per Lotman la
sua intrigante contraddizione che la rende perennemente disponibile a nuove letture, a diverse interpretazioni.
I temi affrontati nelle Conversazioni sono insomma quelli fondamentali per Lotman: la cultura come concetto collettivo, il suo
legame con il byt, la cultura come forma di relazione prima di tutto
comunicativa e poi simbolica tra gli individui, ma anche l’utilità
dell’arte, il rapporto tra arte e morale, il senso della Storia.
Qualche anno fa, ebbi l’occasione di presentare al pubblico italiano una breve ma significativa selezione di pagine lotmaniane non
accademiche né strettamente semiotiche: le Non-memorie, non ancora comparse, alla data, nella stessa Russia12. Quella circostanza
mi aveva permesso di individuare almeno cinque diversi registri
nell’unitaria personalità dello studioso13. Oltre al celebrato semiotico e culturologo, mi era sembrato possibile cogliere un “ultimo”
Lotman, “dalla visione di tipo escatologico”14; un Lotman memorialista; un Lotman docente (e alto divulgatore calato nel contesto
estone); e, infine, perfino un Lotman “artista” (autore dei disegni
che vennero per la prima volta presentati al lettore italiano). Il tassello delle Conversazioni ci consegna ulteriori sfumature del Lotman alto divulgatore e, forse, un sesto e “multimediatico“ Lotman.
Tutti, beninteso, attingono linfa vitale da uno solo: il Lotman uomo.
12
Cfr. Ju. Lotman, Non-memorie, a cura di S. Burini e A. Niero, presentaz.
di M. Corti, Novara, Interlinea, 2001.
13
Cfr. S. Burini, A. Niero, “Io conosco cinque Lotman...”, ivi, pp. 107-124.
14
C. Segre, L’ultimo Lotman, “Slavica tergestina”, n. 4, 1996, p. 50.
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Nel dipanarsi delle Conversazioni si alternano passi esplicativi,
digressioni, osservazioni “semiotiche” e altri spunti, talvolta romanzeschi. La lettura/ascolto risulta sempre appassionante perché
il tono della narrazione è costantemente connotato dalla sincera
modestia che ha sempre caratterizzato la figura dell’autore. Paradossalmente, da queste sue pagine, più che in tanti altri testi con
dichiarati fini semiotici, emerge l’idea che la semiosi è ovunque,
si riscontra nella vita quotidiana come nella letteratura (si veda il
meraviglioso discorso sulla specificità segnica di un topos della cultura ottocentesca come il ballo, forma essenziale di comunicazione,
di vita e di socialità – ciclo primo, lezione 6 – ovvero il capitolo
sulla lettera privata, metamorfizzatasi in genere letterario – ciclo
secondo, lezione quinta). Il lotmaniano “sguardo totalizzante della
semiotica”15 è in realtà l’altra faccia o forse il vero sguardo di un
uomo profondamente interessato alla vita, sempre curioso, e soprattutto pronto a dialogare e a interagire con “l’altro”, in quella
dialettica essenziale (per chi si riconosca parte della semiosfera)
che è il confronto tra svoë [il proprio] e cužoe [l’altrui]. L’andamento discorsivo delle Conversazioni è percorso da squarci, a volte da
vere e proprie illuminazioni, che riprendono sì i cardini portanti
del sistema semiotico lotmaniano (cultura, memoria, testo), presentandoli tuttavia “addolciti” in una logica di affinamento delle
nozioni riguardanti la possibilità di comprendere la “lingua” di
un’epoca (pena l’indecrittabilità di quest’ultima), una storia che è
fatta anche di decorsi feriali e quotidiani, di tran tran e abitudini
giornaliere, di ciò che in russo viene intraducibilmente riassunto
nel termine byt.
Nelle Conversazioni sfi lano inoltre concetti a cui Lotman ha dedicato ben altro impegno scientifico quali onore, vergogna, moda
e aspetto esteriore (come indice semiotico). In questo senso, e senza muovere da posizioni di aprioristica superiorità o preconcetti,
15
M. De Michiel, La semiotica della cultura in Russia. La scuola di TartuMosca oggi, in Il simbolo e lo specchio. Scritti della scuola di Mosca-Tartu, a cura
di R. Galassi e M. De Michiel, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1997,
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Lotman affronta per esempio magistralmente (varcata saldamente
la soglia dell’universo russo dal XVIII all’inizio del XX secolo)
quel motore di semiotica del comportamento che è la “tabella dei
ranghi”, voluta da Pietro il Grande come volano di mobilità sociale
e mutatasi invece in una rigida gabbia di ruoli e di appellativi. Altrettanto innovativa mi appare la lezione quinta del ciclo secondo,
in cui Lotman racconta come i personaggi della storia ottocentesca, soprattutto i decabristi, si trasformino in personaggi letterari e
vivano dei loro sentimenti, modellando la loro vita sull’esempio di
questi personaggi e impostando, in questo modo, la loro anima su
un registro “alto”.
I frutti dello spirito di osservazione di Lotman si condensano
talvolta in formulazioni aforistiche fulminanti, con un andamento che prende sempre le mosse da esempi concreti, come quando,
nella lezione sesta del secondo ciclo, analizza le norme comunicative, ossia le formule rituali per comunicare con gli altri, mostrando
come l’esperienza quotidiana attinga da un repertorio di frasi fatte
della letteratura. Non si avverte l’impressione che Lotman parli di
semiotica, eppure in controluce ogni suo ragionamento rimanda
implicitamente a testi che trattano (in altra, più impegnativa sede
e con più puntuali corredi teorici) gli stessi aspetti affrontati nelle
Conversazioni. Tutto ciò passa al lettore/spettatore mediante uno
stile informale che non disdegna i tic orali che permangono nel
testo, più con il piglio del semplice “conversatore” che con quello
del rigoroso studioso di semiotica della cultura. Saper impiegare
anche una lingua non accademica è del resto in linea con la figura
di fi lologo che egli aveva in mente, che Jurmich assimilava a un artigiano piuttosto che a uno scienziato, a una sorta di liutaio rinascimentale capace di congiungere scienza ed esperienza, invenzione e
tradizione, di eseguire ogni fase del proprio lavoro, dall’ideazione
alla scelta del legno adatto nel bosco, sino alla prova fi nale delle
corde musicali16.
Che la semiotica lotmaniana non sia una frigida attività dello spirito, un puro esercizio intellettuale, bensì una fervida “messa a con16
Cfr. ibid.
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tatto con il mondo, con la storia, strappata a qualsiasi astrazione”17,
è testimoniato per altro dall’interesse vivo e costante dello studioso
per gli aspetti didattici del suo operato. Qui possiamo comprendere
meglio il passaggio, che accennavo in esordio, dalla conversazione
alla lezione. In tutto il percorso lotmaniano l’insegnamento è esplicitamente salutato come momento creativo, pronto a trasformarsi in
fruttuoso “gioco intellettuale”: è lo stesso Lotman a sottolinearlo in
uno scritto non particolarmente noto, Kniga dlja ucitelja (Libro per
l’insegnante)18, destinato ai docenti impegnati nell’analisi di testi
poetici nelle scuole superiori estoni. Il Libro per l’insegnante era
teso a integrare un Ucebnik-chrestomatija (Manuale-antologia)19, a
cui, sempre in chiave di alta divulgazione, doveva essere affiancato
un vero e proprio Uebnik po russkoj literature (Manuale di letteratura russa)20, che inizialmente fu pubblicato in estone21 e soltanto
di recente è apparso nell’“originale” russo. Si veda dunque con che
tono appassionato Lotman racconta la sua esperienza in aula:
Le quattro-sei ore di lezione giornaliere non mi stancavano, e l’avere inaspettatamente scoperto che nel corso della lezione ero capace di pervenire a idee sostanzialmente nuove e che verso la fine della lezione venivo
formulando concetti interessanti e prima a me ignoti, era letteralmente
esaltante22.
C. Segre, L’ultimo Lotman, cit., p. 48.
Ju. Lotman, V. Neverdinova, Kniga dlja ucitelja. Metodologiceskie materialy k ucebniku-chrestomatii (Libro per l’insegnante. Materiale metodologico
per il manuale-antologia), Tallinn, Valgus, 1984, p. 30.
19
Cfr. Ju. Lotman, V. Neverdinova, Ucebnik-chrestomatija po literaturnomu cteniju dlja IX klassa (Manuale-antologia per la lettura di testi letterari per
la classe IX), Tallinn, Valgus 1982. Cito dalla ristampa del 1990.
20
Cfr. Ju. Lotman, Ucebnik po russkoj literature (Manuale di letteratura
russa), Moskva, Jazyki russkoj kul’tury, 2000. Questa edizione, tra l’altro, è
integrata con parti sia del Manuale-antologia sia del Libro per l’insegnante
richiamati or ora.
21
Cfr. Ju. Lotman, Vene kirjandus: Õpik IX kl. (Manuale di letteratura: per
la IX classe), Tallinn, Valgus, 1982.
22
Ju. Lotman, Non-memorie, cit., pp. 72-73.
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Sull’attività di Lotman insegnante esistono varie testimonianze
relative alla sua docenza universitaria 23, ma generalmente non viene
dato abbastanza rilievo alla succitata terna di pubblicazioni, nate
appositamente per esigenze didattiche e orientate verso la ricezione
della letteratura russa da parte di un pubblico non necessariamente russofono (al quale Lotman si rivolgeva più volte anche con le
classiche lezioni frontali). Era, quello, anche un modo fruttifero
di interagire con la città di Tartu, nell’Estonia (allora) sovietica.
Del resto, come fa notare L. Kiselëva 24, Lotman deve aver tenuto
presente che per la maggior parte degli estoni la lingua russa si
associava almeno allora al concetto di cultura sovietica.
Come i succitati tre testi didattico-divulgativi, anche le Conversazioni vanno viste pertanto come un tentativo di collegare, nella
coscienza degli estoni, la lingua russa con la grande cultura di quel
Paese e non con l’ideologia sovietica, creando così implicitamente le premesse per un avvicinamento tra la cultura russa e quella
estone, persino nel delicato periodo di “russificazione” dell’Estonia (anni settanta e ottanta). In ciò Lotman era sorretto dalla sua
stessa personalità, dal suo modo di comportarsi, dalla sua sterminata erudizione, dalla conoscenza del tedesco e del francese che lo
differenziavano dai russi sovietici e gli guadagnavano i consensi
persino di parte dell’intelligencija estone.
23
Cfr., tra gli altri, L. Kiselëva, Akademiceskaja dejatel’nost’ Ju. M. Lotmana v Tartuskom universitete (L’attività accademica di Ju. M. Lotman all’università di Tartu), “Slavica tergestina”, n. 4, 1996, pp. 9-19, e Eadem, Speckurs
Ju. M. Lotmana o Tjutceve v Tartuskom universitete (Corso monografico di
Ju. M. Lotman su Tjutcev all’università di Tartu), in Tjutcevskij sbornik II
(Miscellanea tjutceviana II), Tartu, Kafedra russkij literatury Tartuskogo universiteta – Institut slavjanskich jazykov stokgol’mskogo universiteta, 1999, pp.
264-271, accompagnato da Ju. Lotman, Speckurs “Russkaja filosofskaja lirika”.
Tvorcestvo Tjutceva [neavtorizovannyj konspekt leckij] (Corso monografico
“La poesia fi losofica russa”. L’arte di Tjutcev [appunti non autorizzati delle
lezioni]), in Tjutcevskij sbornik, cit., pp. 272-317.
24
L. Kiselëva, Akademiceskaja dejatel’nost’ Ju. M. Lotmana v Tartuskom
universitete, cit., pp. 14-15.
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Brillante epitome di un proprio inserimento nella cultura estone, cercato e conseguito, le Conversazioni si riallacciano idealmente anche a un altro sintomatico episodio dell’epoca: l’articolo
Ljudi i znaki (Uomini e segni) apparso sul quotidiano “Sovetskaja
Estonija” [Estonia sovietica]25. Questo breve testo, in cui Lotman
illustra i fondamenti della semiotica, nasce in realtà come risposta
a una lettera inviata da un fantomatico operaio, I. Semennikov, che
richiedeva lumi su quella nuova scienza 26. Anche in questo caso lo
studioso di Tartu lasciava la turris eburnea delle mura accademiche
per mettersi a disposizione di un pubblico più vasto, creando così
l’ennesimo ponte tra mondi spesso impermeabili fra loro.
Che ruolo hanno in definitiva le Conversazioni all’interno dell’opera lotmaniana? La quantità e la diversità dei lavori di Lotman, su
cui sono intervenuta in più sedi 27, rendono improbabile in questa
Sul n. 27 del 1969 (ora ripubblicato come Ju. Lotman, Ljudi i znaki (Uomini e segni), “Vyšgorod”, n. 3, 1998, pp. 133-138).
26
A distanza di trent’anni la reale identità di Semennikov è tuttora avvolta
nel mistero e questo operaio illuminato si è trasformato in una figura quasi
mitica. È probabile che si sia trattato di una mistificazione della redazione di
“Sovetskaja Estonija”, ma ciò non toglie l’implicito merito del quotidiano di
aver stimolato Lotman a stendere un articolo in cui condensa in modo accessibile i principi della semiotica.
27
Mi permetto di ricordare in questo senso anche gli altri miei interventi
su Lotman: cfr. S. Burini, Nota, in Ju. Lotman, L’insieme artistico come spazio
quotidiano, a cura di S. Burini, “Strumenti Critici”, n. 78, 1994, pp. 234-242;
Eadem, Nota, in Ju. Lotman, La natura morta in prospettiva semiotica, a cura
di S. Burini, “Strumenti Critici”, n. 80, pp. 64-73; Eadem, Nota, in Ju. Lotman, Il fuoco nel vaso, a cura di S. Burini, “Strumenti Critici”, n. 84, 1997, pp.
188-192; Eadem, Jurij Lotman e la semiotica delle arti figurative, in Ju. Lotman,
Il girotondo delle muse, a cura di S. Burini, trad. di S. Burini e A. Niero,
presentaz. di C. Segre, ricordo di N. Kauchtschischwili, Bergamo, Moretti
& Vitali, 1998, pp. 129-169; Eadem (con A. Niero), Nota, in Ju. Lotman, Nonmemorie, a cura di S. Burini e A. Niero, “Strumenti Critici”, n. 87, 1998, pp.
240-246; Eadem, Effetto rebound: Dostoevskij e Visconti, in Ju. Lotman, Yu.
Tsivian, Dialogo con lo schermo, a cura di S. Burini e A. Niero, Bergamo, Moretti & Vitali, Bergamo, 2001, pp. 323-332; Eadem, Ju. M. Lotman i semiotika
izobrazitel’nych iskusstv (Ju. M. Lotman e la semiotica delle arti figurative), in
Lotmanovskij sbornik 3, a cura di L. Kiselëva, R. Lejbov, T, Frajman, Moskva,
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sede una rassegna ancorché cursoria dei suoi scritti 28. Ciò che adesso mi sembra rilevante è sottolineare come questa tanto particolare
impresa sia collegata all’elaborazione di una tipologia dalla cultura
derivata, a sua volta, da quella dei sistemi di segni e dalla descrizione della cultura nel suo insieme, una cultura vista come sistema
semiotico complesso dal quale deriva la nozione di testualità della
cultura stessa e il concetto di memoria culturale.
Nelle Conversazioni emerge però un’ulteriore caratterizzazione
del concetto di cultura, mai precedentemente impiegata: la cultura,
che l’uomo ha fatto da sé, si contrappone, in un certo senso, alla
natura, che all’uomo è data. Non tutto quello che l’uomo fa, tuttavia, è cultura: o, meglio, egli la può creare, ma anche distruggere. Lotman, a questo punto, definisce la cultura come “una specie
di ecologia particolare della società umana”29. Si tratta infatti di
quell’atmosfera che l’umanità crea intorno a sé per continuare a
OGI, 2004, pp. 836-857; Eadem, Nota introduttiva, in Ju. Lotman, La caccia
alle streghe. Semiotica della paura, a cura di S. Burini, nota redazionale di M.
Lotman, trad. di S. Burini e A. Niero, “EC. Rivista dell’Associazione Italiana
Studi Semiotici”, luglio 2008, http://www.ec-aiss.it/, 2008; Eadem, Nota introductoria, in Ju. M. Lotman, Caza de brujas. La semiotica del miedo, “Revista
de Occidente”, n. 1, 2008, pp. 7-8; Eadem, L’ultimo Lotman: scritti dal 1991 al
1993, in Incidenti ed esplosioni. A.J. Greimas, Ju. M. Lotman: per una semiotica
della cultura, a cura di T. Migliore, Roma, Aracne, 2010, pp. 13-28; Eadem,
Jurij Lotman e il grande muto. Alcune note a margine, in Far comprendere far
vedere. Cinema, fruizione, multimedialità: il caso “Russie!”, a cura di M. Del
Monte, Crocetta del Montello (TV), Terra Ferma, 2010, pp. 69-74; S. Burini,
Lotman y el problema del hecho históric, in La exuberancia del límites. Homenaje a Jorge Lozano, a cura di M Serra e P. Francescutti, Madrid, Biblioteca
Nueva, 2013, pp. 23-28; Eadem, Jurij Lotman e le arti: l’originalità come forma
di coraggio, in Le Muse fanno il girotondo. Jurij Lotman e le arti, a cura di M.
Bertelè, A. Bianco, A. Cavallaro, Crocetta del Montello (TV), Terra Ferma,
2015, pp. 8-17.
28
Cfr. B. Gasparov, Jurij Lotman, in Storia della letteratura russa. III. Il
Novecento. 3. Dal realismo socialista ai nostri giorni, Torino, Einaudi, 1991, p.
681. A questo articolo rimando anche per una ricognizione delle tappe fondamentali del pensiero lotmaniano.
29
Vedi p. 232 del presente volume.
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esistere. Proprio in questo senso si può usare il termine “ecologia”,
perché stiamo parlando di una culturale sopravvivenza dell’umano. Lotman invita inoltre a considerare molto bene il rapporto tra
cultura e scienza, che non risulta sempre equilibrato: ci sono stati, e forse ne stiamo attraversando uno, dei periodi storici in cui
l’avanzata del progresso tecnico-scientifico si è accompagnata a una
regressione in ambito culturale.
Lotman ha successivamente e ulteriormente chiarito la differenza tra la semiotica e la semiotica della cultura: la prima si occupa
dello sviluppo dei principi teorici basandosi sull’analisi di materiali testuali diversi; la seconda ha un oggetto di ricerca talmente
complesso che le teorie generali risultano sin troppo primitive per
comprendere anche solo un tale oggetto di ricerca. L’evoluzione
creativa di Lotman che si rispecchia nelle Conversazioni promana
da questa impostazione, così come il suo passaggio dalla statica
alla dinamica, dallo studio di oggetti isolati a quello di processi
esplosivi imprevedibili30.
Proprio l’anno prima della sua morte venne pubblicato l’articolo
Tezisy k semiotike russkoj kul’ture (Tesi per la semiotica della cultura russa31), che contiene due distinti approcci alla questione: il
primo è basato sugli allora più recenti progressi della semiotica per
studiare la cultura russa (o, con gli opportuni distinguo, qualsiasi
altra); il secondo però si approccia criticamente agli schemi preconfezionati per l’analisi di una cultura nel suo insieme, mirando
a ricavare i principi di analisi dall’oggetto stesso della ricerca, cosa
che, nella metodologia del caso, trova la definizione di “teoria ad
hoc”. In altre parole, lo studio specifico di una cultura e l’empatia
del ricercatore nei confronti della stessa possono portare non solo
Cfr. Ju. Lotman, La cultura e l’esplosione, trad. di C. Valentino, Milano,
Feltrinelli, 1993.
31
Cfr. Ju. Lotman, Tezisy k semiotike russkoj kul’ture (programma izucenija
russkoj kul’tury) (Tesi per una semiotica della cultura russa [programma di
studio della cultura russa]), in Id., Stat’i po semiotike kul’tury i iskusstva (Saggi sulla semiotica della cultura e dell’arte), Sankt-Peterburg, Akademiceskij
proekt, 2002, pp. 226-236.
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a capire meglio la cultura, ma anche ad arricchire la semiotica della
cultura da un punto di vista teorico. Come rileva Torop32, gli approcci ad hoc sono produttivi solo quando il ricercatore comprende
in modo molto profondo la specificità della materia, dispone di
varie metodiche e di agilità mentale33. È il caso di Lotman che,
da “semiotico ad hoc”, sviluppa sempre le sue teorie sulle basi di
testi ben precisi, cosa che, con particolare vigore, traspare dalle
Conversazioni.
Cfr. P. Torop, Metasemiotica ad hoc, in L. Gherlone, Dopo la semiosfera,
cit., pp. 127-129.
33
La semiotica sovietica ha la sua data di nascita nel dicembre 1962, in occasione del “Simposio sullo studio strutturale dei sistemi segnici”, e si radicava su un ricchissimo patrimonio accademico e culturale: il tardo formalismo
russo, le istanze provenienti dalla giovane scienza, la cibernetica, e la complessa lezione dello strutturalismo. Tutto questo retaggio si sintetizza nella
semiotica di Lotman e rende difficile e complessa la comprensione sistematica
del suo insegnamento.
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