TIZIANA MIGLIORE
Il “contesto” in Jurij Lotman
The role of context for Jurij Lotman. This paper aims to bring out and discuss Jurij
Lotman’s concept of “context”, appearing in his writings but which has not actually been
examined by scholars. Against the use of “context” as a pass key, as an unitary, static
and unquestionable background to invoke, like in the cliché “it depends on the context”,
Lotman’s definition of “context” is never an a priori; rather, it’s the result of a multilevel
analysis: the effect of translation processes between text and its contexts, namely types
of heterogeneous systems as I) text-reader; II) text-other texts; III) text and different
languages, styles or times of a culture, which are its “subtexts”. “Context”, in Lotman, is
always a plural term, that define the “symbolic fruition” rising through these intersections.
We’ll try to provide a remarkable contribution to the topic comparing Lotman’s vision on
“context” with the current approach in semiotics and semantics.
Keywords: semiotics; context; text; culture; arts.
La nozione di “contesto” è spesso offuscata da un uso retorico del
termine, sigillo di autenticità, originarietà, naturalità che si fa funzionare
ideologicamente. C’è una potenza di evocazione del contesto per cui, con
il chiamare in causa il “contesto storico”, “originario”, sembra improvvisamente che il senso si spieghi da sé, si risolva senza bisogno di ragionamento. «La vulgata consiste nel dire: “dipende dal contesto”, senza precisare
che cosa interviene o che cosa è cruciale per togliere l’ambiguità» (Kleiber
1994: 11, trad. ns.)1. Il contesto sarebbe l’invariante, statica e unitaria, alla
quale ricondurre le manifestazioni variabili, testi e formazioni discorsive che
finiscono in subordine: un solo type per tanti token, esterno e trascendente.
Ma «proprio nel suo essere invocato anziché definito, il contesto suscita
un effetto di problematizzazione, da un lato perché marca una rottura con
il principio di composizionalità del significato, dall’altro perché introduce
1
«L’allargamento del contesto, per quanto sia necessario – nessuno nega il ruolo delle
conoscenze generali nella costruzione dell’interpretazione – esige però che si determini
quali elementi sono effettivamente tenuti. È chiaro infatti che non tutti i dati saranno
pertinenti» (Kleiber 1994: 14, trad. ns.).
VERSUS 123, 2/2016, 293-308
ISSN 0393-8255
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la questione della situazione o della cognizione situata» (Rastier 1998: 97,
trad. ns.).
Contro il contesto come deus ex machina Jurij Lotman ha preso posizione.
Si tenterà di portare a sistema il modello che affiora dalle sue riflessioni.
1. Unità della cultura, eterogeneità della semiosfera
Nell’incipit de “L’insieme artistico come spazio quotidiano” Lotman
espone la tesi della circolarità fra le arti (“girotondo delle muse”) in antitesi
con lo Zeitgeist, l’idea hegeliana, rielaborata da Wilhelm Dilthey, di uno “stile
unitario” come “spirito del tempo”. Lo studioso russo solleva il dubbio
che in questo approccio «si abbia a che fare con l’unitarietà dell’oggetto
descritto e non con l’unitarietà di un punto di vista preconcetto»:
quando si leggono i lavori dedicati al modo in cui “lo spirito dell’epoca” oppure “lo
stile del tempo” si esprimevano in differenti opere d’arte (oppure saggi nei quali gli
autori si pongono l’obiettivo di creare sulla base di testi e monumenti “il ritratto del
secolo”, un’immagine sintetica della cultura di un dato periodo), talvolta ci si sente
come se ci si trovasse nel salotto di Sobakevic, dove tutti gli oggetti avevano lo stesso
sembiante e ogni sedia sembrava che dicesse: «anch’io sono Sobakevic!» oppure «io
pure sono molto simile a Sobakevic!» (Lotman 1974, trad. it.: 24)2.
Il “volto di un’epoca” sembra sovrastare le forme di vita ed esistere
indipendentemente da esse, con vuoti di comprensione notevoli. Lotman
ha poi il sospetto che l’unità ricercata sia un’illusione “postuma”. Si chiede:
queste forme di vita «le guardava forse così il contemporaneo? E se sì,
perché avrebbe avuto bisogno che la vita si modellasse in forme diverse?»
(ibid.: 24-25).
Per Lotman «l’esistenza della cultura in quanto sistema unitario sottintende la presenza di una diversificazione strutturale interna» (Lotman 1970b,
trad. it.: 104)3. La cultura è per sua natura plurilinguistica: «nessuna cultura
può accontentarsi di una sola lingua. L’insieme di due lingue parallele forma
un sistema minimale, come ad esempio nel caso del sistema verbale e di
quello iconico» (Lotman 1977a: 9). Costruisce poi delle autodescrizioni tese
a restituirle unitarietà: «il metameccanismo della cultura ristabilisce l’unità
fra le parti che tendono all’autonomia e diventa la lingua nella quale si
realizzano le relazioni interne della cultura» (ibid.: 12).
2
Sobakevic è uno dei personaggi de Le anime morte di Nikolaj Gogol’. Lotman sta
citando un passo del romanzo. Vedi Gogol’ 1842, trad. it.: 88.
3
Benché alla ricerca di omologie e nel tentativo di stabilire una “tipologia delle culture”,
«[...] Lotman era ed è consapevole del fatto che nessun periodo storico ha un unico codice
culturale (anche se la costruzione di un codice-modello può essere un’utile astrazione) e
che in ogni cultura esistono simultaneamente vari codici» (Eco 1990a: X, trad. ns.).
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L’eterogeneità è la norma, trampolino del meccanismo semiotico della
cultura4. «Ciò che ci interessa non è quali tratti generali permettano di
ascrivere determinati quadri, statue, testi poetici, mobili, abiti, alle manifestazioni di uno stile, ma il motivo per cui sia caratteristico di un certo
stile il manifestarsi in fenomeni di genere diversi» (Lotman 1974: 32)5.
Non si dà movimento ascendente dai testi al contesto, down-top, ma i testi
sono parte della cultura come il tessuto di un organismo vivo (Lotman
1980: 4). L’insieme dei testi della semiosfera è condizione necessaria per il
pensiero allo stesso modo in cui l’insieme degli esseri biologici, la biosfera
del nostro pianeta, è condizione necessaria per la vita (Lotman 1985). Ogni
testo, entrando in un contesto come parte, è simile, sotto un certo aspetto,
ad altri testi di questo contesto. A differenza del caso di Sobakevic, però,
ha una sua individualità che rende il rapporto culturalmente intelligente:
«sono come tutti, non somiglio a nessuno» (Lotman 1980: 5).
L’eterogeneità è allora alla base dell’unitarietà e «si realizza attraverso
traduzioni fra il testo e i suoi diversi “contesti” – al plurale in Lotman! –
cioè sistemi del tipo I) testo-lettore, II) testo-altri testi, III) testo e lingue,
stili o tempi diversi di una data cultura» (ibid.: 4). Il verbo “realizzare” non
è fortuito: se si attribuisce al testo il modo di esistenza dell’attualizzazione,
la “realizzazione” concerne invece propriamente il suo essere attivato: da
un pubblico, da un altro testo, da un diverso linguaggio, stile o periodo6.
Con Lotman il “contesto” diventa banco di prova della compenetrazione
fra testi e “byt”7.
2. La nozione di contesto in semiotica
Roman Jakobson aveva incluso il “contesto” fra i fattori della comunicazione, identificandolo con la funzione referenziale del linguaggio.
Contesto “verbale” o “verbalizzabile” (Jakobson 1960, trad. it.: 186), che
non equivale alle circostanze esterne dell’atto comunicativo, vulgata purtroppo dominante.
4
«L’eterogeneità strutturale interna è una condizione della globalità del meccanismo
culturale» (Lotman e Uspenskij 1977, trad. it.: 150).
5
O in altri termini: «Ricostruire il codice di una cultura non significa spiegare tutti
i fenomeni di quella cultura, ma permetterci invece di spiegare perché quella cultura ha
prodotto quei fenomeni» (Eco 1990a.: X, trad. ns).
6
Sul concetto di “attivazione” cfr. Goodman 1984.
7
«Byt è il consueto decorso della vita nelle sue forme reali e pratiche; byt sono le
cose che ci circondano, le nostre abitudini, il nostro comportamento di ogni giorno». Ju.M.
Lotman, Byt i kul’tura, cit. in Burini 1994: 138.
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2.1. Contesto interpretativo, contesto generativo
Il contesto definisce il rapporto fra semantica e pragmatica. Due le
direzioni prese per integrarlo in semiotica. Rispetto a una “semantica a
istruzioni” (Schlieben-Lange 1975), Umberto Eco si è concentrato sul
sistema contestuale che Lotman chiama “del tipo I”, per cui il testo è una
“macchina per inferenze”, uno “spettro enciclopedico” di possibilità che è
il lettore a cogliere. Descrizioni locali consentono di costruire, di volta in
volta, porzioni di enciclopedia per specifiche interpretazioni contestualmente
delimitate (Eco 1979). «Un pensiero semantico a enciclopedia [...] sottomette
le leggi della significazione alla determinazione continua dei contesti e delle
circostanze. Una semantica a enciclopedia non rifiuta di fornire regole per
la generazione e l’interpretazione delle espressioni di una lingua, ma queste
regole sono orientate ai contesti, e la semantica incorpora la pragmatica»
(Eco 1983, ed. 2004: 356). Eco ha inoltre distinto il contesto dalla circostanza: il contesto è «l’ambiente nel quale una data espressione occorre
insieme ad altre espressioni appartenenti allo stesso sistema di segni» (Eco
1990b: 268); una circostanza è «la situazione esterna in cui un’espressione,
assieme al suo contesto, può occorrere» (ibid.).
Algirdas Julien Greimas ha preferito la dimensione intratestuale: ha tenuto
conto dei semi contestuali nell’unità linguistica – classemi che fanno parte
della composizione di un semema – e si è servito delle isotopie del testo
per studiare i rapporti tra universi idiolettali delle istanze di enunciazione
e universi sociolettali (Greimas 1966)8. Nel riflettere poi sulle relazioni fra
costrutti testuali e saperi sociali, Greimas è partito dal discorso: in esso
si riproducono le strutture formali di organizzazione dei saperi presenti
nell’universo cognitivo (Greimas 1976, 1983).
L’ottica immanente e antireferenzialista della Scuola di Parigi porta a
«cercare di definire un principio di immanenza che permetta di integrare
i fattori psicologici, istituzionali del contesto nel quadro di una teoria di
insieme, anziché trattarle come altrettante variabili ad hoc e come sovradeterminazioni esterne. La questione è dunque quella della semiotizzazione
del contesto, o meglio dell’elaborazione di una semiotica delle situazioni»
(Landowski 1989, trad. it.: 9-10)9. La teoria delle pratiche e la gerarchia
dei livelli di pertinenza e dei piani di immanenza di Jacques Fontanille –
segni, enunciati, testi, oggetti, scene predicative, pratiche, strategie, forme
8
In Greimas la nozione di “classema” arricchisce le rappresentazioni semantiche con
una selezione contestuale.
9
Nella sua linguistica semiotica Michael Halliday ha tentato invece un’articolazione
dei «contesti sociali nei quali la lingua cresce plasticamente, distinguendo un campo (luogo
istituzionale, pratica e argomento del discorso, ossia l’azione sociale), un tenore (qualità
della relazione tra interlocutori, ossia la struttura di ruolo) e un modo (canale, modalità di
comunicazione, registro, ossia l’organizzazione simbolica)» (Halliday 1978: 163, trad. ns).