Estensi

Il libro illustra la ricezione della figura di Alessandro Magno in Italia dalla fine dell’età antica all’Umanesimo compreso, concentrandosi in particolare sulla cultura ferrarese quattrocentesca da Leonello a Ercole I d’Este e propone inoltre l’edizione critica e commentata della traduzione latina di Niccolò Perotti e del volgarizzamento di Ludovico Sandeo di un opuscolo morale di Plutarco, il De fortuna aut virtute Alexandri Magni.

IT: Aspetti araldici, oltre che storici e figurativi, fanno di un inedito stemma estense ora identificato come del duca Cesare, dipinto ad olio su tela ovale (presso l’Istituto G. Ronchi di Monteombraro di Zocca), una testimonianza fra le più interessanti espresse dalla corte estense nei suoi primi anni modenesi. Dalla lettura degli elementi araldici, infatti, lo stemma avrebbe come termini ante quem il 1615 e post quem il 1605, se non il 1604, data in relazione al conferimento a Cesare del Toson d’oro da parte di Filippo III di Spagna. Tale è la sua qualità che se ne ipotizza una committenza ducale, come ovale da collocarsi a soffitto, magari entro cornice a stucco. Non si esclude un legame con i lavori di riqualificazione del Castello estense di quegli stessi anni, che vedevano tra i protagonisti Ercole dell’Abate, noto maestro della tarda Maniera locale. Pur senza addentrarsi in un’attribuzione ad personam, lo stemma appare saggio eloquente del clima del tardo manierismo modenese, come indicano anche i dati di stile della “cornice” di putti che lo racchiude.
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EN: Heraldic elements, as well as historical and figurative ones, helped to identify a previously unknown blazon as belonging to the Duke Ce-sare. An oil painting on an oval canvas (held at the G. Ronchi institute of Monteombraro, Zocca), it constitutes one of the most interesting testimonies expressed by the d'Este court in its early years in Modena. In fact, from a reading of the heraldic elements, the ante quem term of the blazon appears to be 1615 and the post quem 1605, if not indeed 1604, date which refers to the conferral to Cesare of the Golden Fleece by Philip III of Spain. Its quality is such that a ducal commissioning may be hypothesised, as an oval to be set into the ceiling , perhaps in a stucco cornice. Links cannot be excluded with the renovation works of the d'Este Castle in those same years, in which works were carried out by figures such as Ercole dell'Abate, a well-known maestro of the local late Mannerist style. But even without attempting to attribute the work to a specific figure, the blazon appears to be an eloquent representation of late Modenese Mannerism, as also shown by the style of the 'cornice' of putti which surrounds it.

L'obiettivo dell'articolo è offrire un panorama del collezionismo di casa d'Este nei decenni seguenti la morte di Francesco I nel 1658, tema mai affrontato. Nel Palazzo Ducale di Modena, allora in costruzione, furono allestiti ambienti di notevole importanza, in parte conservati, o ricostruibili tramite i documenti, per iniziativa del successore Alfonso IV, della reggente Laura Martinozzi, sua vedova, e di Francesco II, loro figlio. Ora è possibile documentare la creazione nel 1659 della stanza destinata a mettere in mostra un importante ciclo di tavole di Tintoretto acquistate a Venezia, e di una "gallaria nuova" arredata con armadi, piedistalli e cornici (1675). I documenti portano inoltre alla luce la ricerca di dipinti di Raffaello e Guido Reni per arricchire la galleria ducale, vasti progetti genealogici che corrono in parallelo a quelli portati a termine dagli Estensi di Ferrara nel tardo Cinquecento, e la prova di un viaggio di istruzione di Francesco II fra le antichità romane nel 1686.

The palazzo was erected on the strada della Darsena, today
known as corso Vittorio Emanuele II (No. 59). Work started in 1683,
commissioned by Rocco Lorenzotti, Councillor and Secretary to the
Duke Francesco II d’Este. After passing hands to the Molza family of
Marquises and then in 1751 being sold to Count Francesco Greco of
Mirandola, it was then sold once more in 1765 to the Ducal Chamber.
Still incomplete, the great building was described as “coarse,
shapeless and unusable”. But in 1772 it caught the eye of a gregarious
Neapolitan noble, Paolo Rango d’Aragona, a great traveller and man of the world, frequenter of the European courts, as he is described by Giacomo Casanova in the pages of the Histoire de ma vie. Rango d’Arangona was married to a very rich English noble lady, Jane Long – known as donna Giovanna – the daughter of Charles Long of Longville in Jamaica and a member of one of the most important families of the British upper classes.

Nel quartiere modenese di Terranova, addizione cinquecentesca, in un luogo urbanistico privilegiato per ampiezza dei lotti e prossimità alla sede ducale, il palazzo sorse sulla strada della Darsena, odierno corso Vittorio Emanuele II (n. c. 59), a partire dal 1683, su committenza di Rocco Lorenzotti, Consigliere e Segretario del duca Francesco II d’Este. Passato alla famiglia dei marchesi Molza e nel 1751 venduto al conte Francesco Greco della Mirandola, fu poi da questi ceduto nel 1765 alla Camera Ducale. Rimasto incompiuto, il grandioso edificio si presentava “rozzo, informe ed inservibile”. Ma nel 1772 attirava l’interesse di un nobile napoletano dalla singolare personalità, Paolo Rango d’Aragona, gran viaggiatore e uomo di mondo, frequentatore delle corti europee, come lo dipinge Giacomo Casanova nelle pagine della Histoire de ma vie, sposato a una ricchissima gentildonna inglese, Jane Long – donna Giovanna –, figlia di Charles Long di Longville in Giamaica, appartenente a una delle più importanti famiglie dell’alta borghesia inglese. Paolo Rango d’Aragona accrebbe i suoi numerosi titoli di nobiltà con l’acquisto del feudo marchionale di San Martino e Campogalliano, intraprendendo una straordinaria scalata sociale che l’avrebbe portato ai vertici della corte modenese. Mentre procedeva alla riqualificazione della Rocca feudale di San Martino in Rio, acquisiva a livello vitalizio dalla Camera Ducale l’incompiuto Palazzo già Lorenzotti, che a partire dal 1772 avrebbe trasformato in una delle più splendide residenze della capitale estense.
Lo scalone d’onore, che si crede già strutturato a fine Seicento, all’epoca di Rocco Lorenzotti, da maestranze operose anche nei cantieri ducali, è uno spettacolare esempio di scala “imperiale”, abbellita dalle decorazioni parietali di Ludovico Bosellini. Documenti in parte inediti illuminano sullo splendido giardino di singolare estensione, che doveva ritagliare, entro le mura cittadine, un frammento di Arcadia, e descrivono i sontuosi ambienti, con pitture, marmi, stucchi e dorature del più squisito stile rococò, ove dal dopoguerra ha sede l’Accademia Nazionale di Lettere, Scienze e Arti di Modena.

La politique culturelle menée par Hercule II d’Este s’inscrivait dans le contexte plus vaste de la concurrence entre les Cours italiennes de la Renaissance, et en particulier dans le cadre de la querelle pour la primauté et le titre de Grand-Duc qui opposait Ferrare et Florence. Les souverains des deux villes rivalisèrent d’initiatives sur le plan du prestige culturel. C’est dans cette perspective que ce travail se propose d’étudier et de comprendre sous ses multiples aspects la politique culturelle du Duc de Ferrare, basée sur trois pôles de rayonnement culturel : les Académies, l’Université et la Cour. Hercule II encouragea chacun de ces milieux, qui, à leur tour, servaient, à des niveaux différents et selon diverses modalités, la politique de prestige du Duc. L’étude des Académies à l’époque d’Hercule II est un aspect de la culture ferraraise encore peu connu et qui permet de mieux comprendre la politique culturelle du souverain. L’étude de l’activité universitaire, notamment dans ses rapports avec le pouvoir, permet de cerner la place de l’Université dans la politique culturelle du Duc. Enfin, l’étude de la Cour d’Hercule II d’Este permet de reconstituer l’entourage culturel du Duc et d’évaluer les rapports entre les écrivains et le pouvoir. Par ailleurs, la politique culturelle d’Hercule II d’Este était fondée sur la mise en place d’une idéologie officielle, basée sur la création d’un mythe fondateur, et qui contribuait à la construction d’une image de prestige. Cette étude veut mettre en évidence les piliers de cette idéologie officielle, faire apparaître les éléments clefs de la politique de prestige du Duc et reconstituer le réseau culturel mis en place par le Hercule II à des fins politiques. Dans une perspective interdisciplinaire qui englobe littérature, civilisation, histoire des Savoirs, et qui allie stratégie politique et domaine culturel, cette thèse se veut d’apporter un éclairage nouveau sur la politique culturelle d’Hercule II d’Este.

Nei primi anni modenesi del ducato di Cesare d'Este, dopo la devoluzione di Ferrara nel 1598, gli spettacoli costituiscono forse il capitolo più rilevante nelle committenze estensi e cortigiane. Si è inteso tracciare una mappa delle “sale” ove s’ambienta una realtà spettacolare in cui s’innesta l’opera di Orazio Vecchi: dalla Sala della Spelta nel complesso dei palazzi comunali, sede di commedie sin dal 1539, al “camerone” di Palazzo Valentini, poi “teatro” Valentini, quindi Fontanelli, Rangoni e infine Comunale “sulla via Emilia”, che documenta con una continuità d’uso di tre secoli – almeno dal 1552 alla metà dell’800 - l’evoluzione in Modena dal “teatro da stanza” al teatro pubblico; dalla “sala da spettacolo” del Palazzo Rangoni presso S. Domenico, utilizzata dalla corte, al salone del marchese Ferrante Bentivoglio che, agli esordi del '600, accoglie una memorabile "commedia pastorale" allestita da artisti come Ercole dell'Abate e Giovan Battista Codebue, nomi di spicco del tardo manierismo modenese. Di questi autori, alcuni testi pittorici possono risultare d’ausilio per una ipotetica ricostruzione di soluzioni scenografiche coeve. Altri palazzi modenesi ospitarono eventi spettacolari: il "teatro" del conte Gaspare Forni, attivo almeno dal 1603; la dimora del conte Ludovico Ronchi, estimatore e amico di Orazio Vecchi; il cortile di casa Tassoni, la dimora di Camillo Richetti, che avrebbe accolto un’esecuzione dell’Anfiparnaso nel 1606, a due anni dalla morte del Vecchi stesso.

IT: L’apertura al pubblico dei depositi della Galleria Estense, straordinaria study collection allestita nel 2015 nel Palazzo Ducale di Sassuolo, ha offerto l’opportunità di riconoscere, in una Madonna col Bambino ivi conservata, l’opera di uno dei più illustri allievi di Guido Reni, il francese Jean Boulanger (1608-1660), dal 1638 pittore del duca Francesco I d’Este e protagonista della decorazione della reggia sassolese. Un provvidenziale restauro, promosso dal Rotary Club Sassuolo, ha confermato così l’iniziale ipotesi attributiva del relatore e ha permesso di meglio suffragarla attraverso riscontri stilistici stringenti con saggi certi dell’artista già restaurati, suggerendo una datazione tra il 1656 e il 1660. Come già pareva indicare anche il dettato compositivo, la presenza di pittura nei lembi ripiegati della tela ha poi permesso di accertare la natura frammentaria dell’opera. Si tratterebbe, infatti, della gloria celeste di una più grande pala che indagini archivistiche suggeriscono di riconoscere in quella che si ergeva nella cappella della famiglia Pasquini, alias Sandonati, nella chiesa delle monache di San Marco a Modena, opera da circa due secoli ritenuta dispersa, raffigurante nella parte inferiore sant’Ermenegildo stante e san Casimiro, re di Polonia, genuflesso. A margine di questo, nella medesima raccolta, un altro riconoscimento: un’inedita piccola Deposizione del modenese Sigismondo Caula (1637-1724), tra i più illustri allievi dello stesso Boulanger.
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EN: The opening to the public of the Este Gallery’s depositories, an extraor-dinary study collection set up in 2015 in the Ducal Palace of Sassuolo, has given the chance to acknowledge the work of one of Guido Reni’s most eminent pupils, the French Jean Boulanger (1608-1660), in a Madonna with Child which is conserved there. Boulanger was the Duke Francesco I d'Este's painter from 1638 and he was the protagonist of the decoration of the Sassuolo’s realm. A timely restoration, promoted by the Rotary Club Sassuolo, has thus confirmed the lecturer’s first attributional hypothesis and it has allowed to support it better through the constraining stylistic comparisons with some of the artist’s essays already restored, thus dating it between 1656 and 1660. As the compositional postulate seemed to indicate, the painting traces in the folded edges of the canvas have then allowed to ascertain the fragmentary nature of the work. In fact, it would be the celestial glory of a bigger canvas that some archive investigations acknowledge in the one once standing in the Pasquini family's chapel, alias Sandonati, in the church of the nuns of San Marco in Modena. This work has been considered “lost” for almost two centuries, and it represented in the lower part Saint Hermenegild standing and Saint Casimir, King of Poland, on bended knees. In the margins of this, in the same collection, another acknowledgement: a small, unknown Deposition of the Modenese Sigismondo Caula (1637-1724), one of the most eminent Boulanger’s pupils.

Serie XI, vol. XL MODENA -AEDES MURATORIANA 2018 5 C. Crivelli, Praxis notariorum in duos libros diuisa. In prima parte agitur de instrumentis vernaculo sermone conficiendis. In secunda de modo formandi processus criminales, Parmae, ex typographia Iosephi Rossetti, 1694. 6 B. Bertazzoli (1520-1588), Consiliorum seu Responsorum iuris in criminalibus, & poenalib. controuersijs emissorum Bartholomei Bertazzolii liber primus [-secundus], Venetiis, apud Ioannem Baptistam Somaschum, 1583-1585. 7 B.G. Torri, De crimine, et poena stupri tractatus novissimus ex recentiorum rei criminalis interpretum scriptis, quem Antonio I Farnesio d[at] d[onat] d[edicat] Benedictus Joseph Torri, Parmae, ex typographia Joseph Pescatori, 1728. 8 C. Casanova, Le maschie virtù. Le strategie familiari di una madre del Cinquecento, in "Genesis. Rivista della Società Italiana delle Storiche", IX (2010), pp. 39-56, a p. 43: le donne nobili ricevevano talvolta una buona preparazione, perché in seguito avrebbero dovuto essere d'aiuto come mogli e madri di governanti. A. Bellavitis, Il lavoro delle donne nelle città dell'Europa moderna, Roma 2016, pp. 55-63. 9 F. Dallasta, Eredità di carta. Biblioteche private e circolazione libraria nella Parma farnesiana (1545-1731), Milano 2010, pp. 129-134. La statistica che abbiamo realizzato per Parma (solo città) a partire da fonti fiscali del 1657 e del 1690 rivela che le donne erano in grado di firmare solo nel 5% dei casi, contrariamente agli uomini, che si collocavano fra il 21 e il 34% dei casi. 10 ASPR, Gridario, b. 19, grida del governatore di Parma, n. 82, 15 dicembre 1609. Per tutelare la frequenza della scuola della dottrina cristiana si vedano anche le due gride rispettivamente del progovernatore e del governatore di Parma del 14 giugno 1704 e del 19 aprile 1749: A. Aliani, I regesti del gridario della Biblioteca Civica comunale di Parma (1526-1802), Parma 1985, nn. 388 e 905. Sulle scuole della dottrina cristiana a Parma in epoca farnesiana si veda Dallasta, Eredità di carta, cit., pp. 145-148. 11 G.B. Spaccini, Cronaca di Modena. Anni 1621-1629, a cura di R. Bussi, C. Giovannini. Trascrizione di C. Giovannini, Modena 2006, p. 93, 7 agosto 1621: il cronista esprime un giudizio severo su una donna che "ha della grandezza nella testa e pratticato con grandi, per questa occasione sa di troppo il fatto suo". Sulla "buona moglie" si veda I. Fazio, Percorsi coniugali nell'Italia moderna, in Storia del matrimonio, a cura di M. De Giorgio e C. Klapisch-Zuber, Roma-Bari 1996, pp. 151-214, alle pp. 178-183. In particolare su obbedienza e operosità della moglie: ivi, pp. 179-181. Le mogli erano considerate più controllabili se erano giovani e inesperte. 12 Sullo ius corrigendi si veda M. Cavina, Per una storia della "cultura della violenza coniugale", in

Nell’ala meridionale del Palazzo Ducale di Sassuolo, l’Appartamento dei Giganti, composto da tre ambienti, conserva stratificate presenze d’arte dovute agli Este nel secondo ‘400, ai Pio di Savoia ai primi del ‘500 e alla riqualificazione voluta da Francesco I d’Este, che dal 1634 trasformò il castello in sontuosa reggia barocca. I frammenti di decorazione parietale di metà Seicento, recuperati dai restauri della Soprintendenza per i BSAE di Modena e Reggio conclusi nel 1998, suggeriscono un’ipotesi interpretativa del significato dell’intero ciclo, che comprendeva anche tele disperse con Storie dei Giganti, eseguite nel 1644 dal reggiano Francesco Mattei, in un contesto affrescato in cui sarebbe intervenuto nel 1646 Sebastiano Sansoni da Scandiano. Le raffigurazioni dell’Errore e dell’Arroganza - dalla nota Iconologia di Cesare Ripa - assieme alla scena del Castigo di Sisifo, opere superstiti dipinte su parete, fanno ipotizzare un programma iconografico vertente sulla “hybris”, l’insolente presunzione di colui che si erge contro gli dei: un monito verso chi osasse, nell’errore e per arroganza, sfidare l’autorità, fosse questa l’Impero o il Papato o lo stesso potere ducale.

Il contributo delinea il mecenatismo e gli interessi artistici di Alfonso IV d’Este (1634-1662) attraverso due registri inediti relativi alle sue spese. Oltre a fornire importanti conferme documentarie a quanto finora supposto, si chiariscono le acquisizioni del duca sul mercato artistico, tra cui la costosissima "Testa femminile" di Raffaello ora al Louvre. Le carte dei registri offrono inoltre le prime testimonianze di artisti poco noti che nel Seicento gravitarono intorno alla corte estense. Tra questi figura Olivier Dauphin, nipote del più celebre Jean Boulanger, di cui è ora possibile intravedere il coinvolgimento nell’illustrazione dell’Idea di Domenico Gamberti, conclamato capolavoro dell’editoria barocca. Di quest’opera, voluta da Alfonso in memoria del padre defunto, si rettificano i protagonisti e le modalità del loro ingaggio, fugando fraintendimenti storicizzati come nel caso degli ancora oscuri incisori Domenico Fontana e Bartolomeo Fenis. Le nuove evidenze documentarie recuperano così il prestigio della committenza di Alfonso e ne profilano un vivido ritratto di principe appassionato di lettere e scienze.

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Negli ultimi decenni della Restaurazione, quando il governo austro-estense si sta avviando al tramonto, la realtà culturale del ducato modenese vive una stagione di proficui contatti ad ampio raggio, sia grazie alla rete di rapporti amicali e professionali intessuta dai due successivi direttori dell'Accademia Atestina di Belle Arti -lo scultore Giuseppe Pisani (Modena, 1757-1839), ritrattista della corte, a cui va il merito di aver risollevato le sorti dell'insegnamento di scultura, 1 e dal 1839 il pittore Adeodato Malatesta (Fiorano Modenese, 1806-Modena, 1891), autorevole caposcuola che influirà profondamente sull'arte modenese ed emiliana -sia grazie ai pensionati di studio ducali, frequentemente concessi, che collegano Modena ai più rinomati centri dell'elaborazione artistica: Carrara per la scultura, Firenze, Venezia e Roma. In questa complessa trama, che vede Modena partecipe del più vitale dibattito figurativo, un ruolo preminente possiede la personalità di Pietro Tenerani (Torano, Carrara, 1789-Roma, 1869), titolare dell'atelier di scultura più prestigioso della penisola. 2 Formatosi alla scuola di Lorenzo Bartolini (Vaiano, Prato, 1777-Firenze, 1850) presso l'Accademia di Carrara, con Massa facente parte dei territori estensi, Tenerani era stato pensionato a Roma dal 1813, conoscendovi Antonio Canova (Possagno, Treviso, 1757-Venezia, 1822) ed entrando poi nello studio del suo rivale Bertel Thorvaldsen (Copenaghen, 1770-1844), dove sarebbe rimasto per ben quindici anni, divenendo il suo più stretto collaboratore e fiduciario. In autonomia espressiva rispetto al neoclassicismo astratto e idealizzato del maestro danese, Tenerani elaborerà tuttavia una poetica personale, che andrà orientandosi verso una nuova purezza formale e che lo porterà a sottoscrivere, assieme al faentino 1 Sull'attività di Pisani e per un generale panorama sulla scultura della Restaurazione nel Ducato austroestense si rimanda a: L. SILINGARDI, Dall'ideale classico al «bello morale». L'Accademia Atestina di Belle Arti e la scultura a Modena dalla fine del Settecento alla metà dell'Ottocento in: «Atti e Memorie dell'Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Modena», VIII, XI (2008), pp. 209-265, con bibliografia precedente. In apertura di contributo, desidero ringraziare Graziella Martinelli Braglia per avere amichevolmente discusso e condiviso i contenuti delle pagine che seguiranno. 2 Su Pietro Tenerani, oltre allo storico studio di O. RAGGI, Della vita e delle opere di Pietro Tenerani, del suo tempo e della sua scuola nella scultura, Firenze 1880, si veda la fondamentale monografia: S. GRANDESSO, Pietro Tenerani (1789-1869, Cinisello Balsamo 2003.

IT: Il convegno “Modena Barocca. Opere e artisti alla corte di Francesco I d’Este (1629-1658)”, i cui lavori si svolgeranno all’interno del Palazzo Ducale, residenza del Duca, è organizzato, sotto l’egida della Direzione Regionale per i Beni Culturali e per il Paesaggio dell’Emilia-Romagna, dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Modena e Reggio Emilia e dal Dipartimento di Scienze del linguaggio e della cultura dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, grazie all’essenziale contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e con l’importante collaborazione dell’Accademia Militare. In quattro sessioni suddivise su tre giorni di lavoro, studiosi italiani e stranieri, specialisti della storia delle arti e del collezionismo negli stati estensi, ma non solo, presenteranno nuove ricerche o approfondiranno temi legati alle vicende dell’arte e del mecenatismo al tempo della corte modenese di Francesco I. L’intenzione dei curatori, che ci auguriamo possa venire raccolta e trovare seguito in altre future occasioni, è di rilanciare gli studi sulla figura di un Duca così importante per Modena, ma anche per la storia di tutto il collezionismo d’arte in Italia, e sul periodo che ha visto
fiorire nel cuore del Seicento lo Stato estense e la sua nuova capitale, che forse raggiunsero in quegli anni il culmine della loro parabola storica.

Atti del Convegno " Il <<gusto>> della ricerca. Convegno di studio in onore di Piero Camporesi in occasione del ventennale dalla scomparsa"

Bologna, 20 ottobre – Forlì, 21 ottobre 2017

Università degli Studi di Bologna-Dipartimento di Filologia classica e Italianistica
Centro Studi Camporesi

Il libro fornisce una ricostruzione della storia della casata dei Maestri dalle Goresene basata sulle fonti a stampa e sulla documentazione conservata presso gli archivi storici antichi del Comune e della Cattedrale di Adria e dell'Archivio di Stato di Rovigo. La ricerca delinea i profili biografici dei membri più rinomati della famiglia dal capostipite noto (XV secolo) fino ad una delle ultime discen-denti del XX secolo, prendendo in considerazione anche i legami di parentela più significativi con le altre famiglie adriesi e ferraresi.

La via Emilia, parte 2. Da piazza Mazzini,  un tempo occupata dal quartiere del ghetto ebraico, a piazza Matteotti , seguendo i passi verso ovest del duca Francesco III d'Este cui si deve la sua vasta ristrutturazione edilizia e urbanistica settecentesca del centro della città.

Francisco Giordano, Il palazzo degli Este a Bologna. La scoperta di affreschi e le stratificazioni storiche, in: “Strenna Storica Bolognese”, ed. Pàtron, XLVII, 1997, Bologna
Sullo stesso Palazzo ho pubblicato: Palazzo Torfanini. Decorazioni pittoriche e vicende costruttive, in: “IL CARROBBIO”, ed. L. Parma, XVII, 1991.
E' stata pubblicata una mia comunicazione in: “Il Resto del Carlino Bologna”, 4/1/1995 (non firmata). Quest'ultima breve comunicazione riporta l'annuncio della riscoperta da parte del sottoscritto  di un affresco di Nicolò dell'Abate che si credeva perduto; l'articolo uscì senza firma.
Scoperta di un affresco, in: “Bologna ieri, oggi, domani”, IV n.36, Maggio 1995, ed. Parmaclub srl, pp. 38-40.

La politique culturelle menee par Hercule II d&#39;Este s&#39;inscrivait dans le contexte plus vaste de la concurrence entre les Cours italiennes de la Renaissance, et en particulier dans le cadre de la querelle pour la primaute et le titre de Grand-Duc qui opposait Ferrare et Florence. Les souverains des deux villes rivaliserent d&#39;initiatives sur le plan du prestige culturel. C&#39;est dans cette perspective que ce travail se propose d&#39;etudier et de comprendre sous ses multiples aspects la politique culturelle du Duc de Ferrare, basee sur trois poles de rayonnement culturel : les Academies, l&#39;Universite et la Cour. Hercule II encouragea chacun de ces milieux, qui, a leur tour, servaient, a des niveaux differents et selon diverses modalites, la politique de prestige du Duc. L&#39;etude des Academies a l&#39;epoque d&#39;Hercule II est un aspect de la culture ferraraise encore peu connu et qui permet de mieux comprendre la politique culturelle du souverain. L&#39;etude de...