letteratura Spagnola moderna e contemporanea

La pubblicazione presenta la traduzione del testo di Moratín, un lungo e approfondito studio introduttivo e un apparato di note al testo e alla traduzione. Il libro, inoltre, risultato di un’ampia ricerca sul drammaturgo e sul teatro settecentesco, ha anche una funzione didattica poiché presenta la traduzione con il testo originale a fronte.
La comedia nueva (1792), pur essendo una delle opere teatrali più conosciute di Moratín (e presente nei cataloghi di varie case editrici spagnole, anche molto prestigiose) non aveva traduzioni recenti in italiano, tantomeno edizioni curate. Due sono le traduzioni conosciute. Quella di Pietro Napoli Signorelli del 1795, vivente l’autore; e quella di Joaquín Muñoz realizzata nel 1830 a Bologna, due anni dopo la scomparsa dell’autore, e mai pubblicata (testo manoscritto conservato presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna).
La traduzione. La lingua impiegata da Moratín imita grosso modo quella usata nella Madrid di fine Settecento, non vi sono investimenti retorici, né particolari elaborazioni e la sintassi è volutamente essenziale, se non addirittura scarna. La semplicità, corroborata anche dall’uso della prosa, l’immediatezza e la brillantezza sono i tratti che maggiormente colpiscono anche il lettore contemporaneo. Ma non si tratta di una trasposizione realistica della parlata dell’epoca, il testo dell’autore ne è piuttosto un’interpretazione, non una copia. Quella di Moratín, dunque, è una “semplicità raffinata” elaborata con molta cura. I criteri con cui è stata svolta la traduzione sono orientati a restituire il più possibile questo effetto di semplicità, di colloquialità e di brillantezza, senza dimenticare l’eleganza della prosa del drammaturgo. Ma le difficoltà maggiori di una traduzione di un testo appartenente ad un’epoca del passato, come sempre avviene, si rivelano nello scarto temporale e quindi nella differenza del contesto comunicativo, quello attuale e quello di fine ‘700. La sfida di questa traduzione è stata quella di riuscire a trovare un equilibrio in maniera tale da restituire al lettore attuale l’idea di un’opera settecentesca che sia, però, allo stesso tempo efficace, comprensibile e godibile anche oggi.
Lo studio introduttivo. Sono stati indagati e messi in rilievo i seguenti aspetti.
Le caratteristiche dell’Illuminismo e del Neoclassicismo e le sue applicazioni in ambito spagnolo di fine Settecento. I tratti salienti della vita di Moratín in base anche al contesto storico della sua epoca: l’influenza del padre Nicolás, i viaggi, le amicizie, il ruolo di afrancesado, l’esilio. Le opere teatrali di Moratín, la funzione educativa del teatro, l’impegno dell’autore per il rinnovamento del teatro spagnolo, la polemica tra tradizionalisti e neoclassicisti, le coincidenze tra Illuminismo e Neoclassicismo, le censure e i successi. L’analisi de La commedia nuova: il carattere metateatrale, la semplicità neoclassica e il rispetto delle tre unità, gli spazi, la prosa e la lingua utilizzata, il fine morale e sociale, la costituzione di un nuovo genere teatrale, la critica agli eruditi pedanti legati ancora alla scolastica (come Don Ermogene) e agli autori improvvisati che pretendono di scrivere testi senza alcun criterio e senza basi artistiche e morali (come Don Eleuterio), la caratterizzazione dei personaggi, l’ironia, gli spunti comici e la brillantezza, il ruolo della donna nella società del tempo (come raffigurato da Donna Agustina e da Donna Mariquita), i principi illuministici europei che sono rappresentati da Don Antonio e da Don Pedro, vero portavoce, quest'ultimo, delle idee dell’autore.

Abstract (Spanish): Este trabajo estudia la notable aportación pardobazaniana al estreno del género policiaco en España, la novela corta “La gota de sangre” (1911), obra que nace de la decepción frente a la fórmula clásica inglesa y explora los aspectos más turbios y reveladores del crimen. “La gota de sangre” contiene una benévola ironía sobre Sherlock Holmes y una rigurosa propuesta de innovación hacia los territorios de la infracción, la puesta en entredicho, la permeabilidad a las razones del desorden. El detective aficionado Selva procede de forma heterodoxa y ambigua, instintiva e intuitiva. Y lejos de tener una conducta intachable, se sale de la legalidad, porque su espíritu ha fermentado arrastrado por la transgresión de la creatividad, seducido por la emoción de vivir y contar. La autora nos ofrece una vívida imagen de su poética. Este detective que asume la ficción como horizonte noético es el escritor y es el lector. El eje de la novela es el cambio producido en Selva por los acontecimientos, la evolución que conlleva su pasión por explorar almas como remedio contra el tedio, proceso que le hace tomar conciencia de sí mismo y descubrir dos vocaciones: la policiaca y la literaria.

"Il rapporto tra la prima avanguardia italiana e la coeva generazione poetica spagnola: un tema “difficile” quello che Daniele Corsi analizza, mettendo al centro della sua indagine la creazione linguistica del primo Novecento nella penisola iberica. Dopo aver tracciato un panorama storico dell'incontro tra gli intellettuali spagnoli e l’“avanguardia”, ed aver rilevato l'influenza anche lessicale del Futurismo italiano sulla produzione spagnola del periodo, l’autore si concentra sull'elaborazione dei codici retorici di sessantacinque manifesti letterari in spagnolo e in catalano dal 1909 al 1928. Il percorso termina con un’analisi degli apporti spagnoli al linguaggio ultraista, con il loro “bisogno furioso di liberare le parole”, e la “migrazione” della metafora al linguaggio filmico, con Buñuel. Né manca la valutazione di "Eliche" di Guillermo de Torre, di cui Corsi, nel 2005, è stato brillante traduttore in italiano. "Futurismi in Spagna" segna così il punto di arrivo di ricerche intraprese da un decennio, che sono orgogliosa di aver visto nascere e crescere".

Tratto dalla "Prefazione" di Maria Grazia Profeti

http://www.aracneeditrice.it/aracneweb/index.php/pubblicazione.html?item=9788854874435

Analisi sociologica del "Informe sobre ciegos" (Rapporto sui ciechi) del capolavoro letterario "Sopra eroi e tombe" di E. Sabato.
Si può leggere un romanzo per mille motivi diversi: per evadere, per cercare nuovi spunti, per immergersi in luoghi e situazioni sconosciuti, per trovare se stessi e tanto altro.
Ma possiamo fare uso della letteratura per comprendere una determinata società? Possiamo leggere un romanzo surreale per comprendere la storia di un paese o la psicologia dell'uomo in un determinato luogo e tempo storico?
Attraverso i simboli e l'immaginazione, attraverso un viaggio profondamente surrealistico possiamo raccontare qualcosa di estremamente reale? Si.
Il seguente testo si prefigge l'obiettivo di dimostrare appunto il ruolo della letteratura surreale come riflesso artistico della società, dell'uomo e dello spirito del tempo entro il quale l'autore scrive.
Il romanzo in questione è uno dei capolavori della letteratura argentina, "Sopra eroi e tombe" di E. Sabato. Al suo interno è presente un tenebroso e fantastico capitolo, indipendente dal resto della narrazione del romanzo "Il rapporto sui ciechi".
Attraverso l'analisi del suddetto capitolo si tenterà di dimostrare e analizzare tanto la società quanto l'uomo contemporaneo nelle sue più varie sfaccettature.

Estudio de la novela “Industrias y andanzas de Alfanhuí” (1951) del escritor español Rafael Sánchez Ferlosio (1927), publicado como epílogo a la reedición de la traducción italiana de la misma, preparada por Danilo Manera.
"L’industrioso bambino errante", in Rafael Sánchez Ferlosio, "Imprese e vagabondaggi di Alfanhuí", Torino, Robin, 2017, pp. 201-213; ISBN 9788867409938.

Saggio dedicato a Rafael Alberti e alla sua fraterna amicizia con Federico García Lorca, entrambi poeti della nota Generazione del '27. Il saggio traccia alcuni aspetti della loro amicizia, le opere che nel tempo si dedicarono e, una volta assassinato Lorca nel 1936, gli epicedi e gli omaggi che Alberti - che mai dimenticò l'amico andaluso  - scrisse per lui.
Il saggio è stato presentato in seno al convegno "Pier Paolo Pasolini e la cultura spagnola: Rafael Alberti venti anni dopo" tenutosi a Roma dal 26 al 30 ottobre 2019, organizzato da EuroMed University (EMUI) in collaborazione con la Real Academia de Espana a Roma e l'Istituto Cervantes e pubblicato in seguito sulla rivista "Nómadas - Mediterranean Perspectives", n°59, Marzo 2020.

Si descrive e si commenta, da una doppia prospettiva intertestuale e intermediale, l’immagine di Don Chisciotte proposta dal maestro dell’arte contemporanea Mimmo Paladino all’interno della spettacolare edizione italiana del capolavoro cervantino pubblicata nel 2006 da Editalia. Il testo, nella versione italiana di Alfredo Giannini del 1923, è illustrato da oltre centocinquanta disegni -tra tavole, acquarelli, incisioni- dell’artista salentino.

Tutti i volumi pubblicati sono soggetti ad un processo di referaggio esterno di cui sono responsabili il Consiglio editoriale della FUP e i Consigli scientifici delle singole collane. Le opere pubblicate nel catalogo della FUP sono valutate e approvate dal Consiglio editoriale della casa editrice. Per una descrizione più analitica del processo di referaggio si rimanda ai documenti ufficiali pubblicati sul catalogo on-line della casa editrice (www.fupress.com).

Introduzione L'intento di questo lavoro è quello di analizzare il significato e la ricorrenza dell'elemento aria nel Cante jondo e nel Romancero gitano di Federico Garcia Lorca. Nelle due raccolte l'autore crea un universo mitico servendosi sia della tradizione popolare andalusa sia della cosmogonia tradizionale: aria, acqua, terra e fuoco, ma in una chiave personale. I collegamenti sfuggono dalla logica tradizionale, per lasciare spazio alle immagini che scaturiscono dalla mente del Nostro, dunque non si può avere un'interpretazione univoca dei simboli lorchiani.

Questo breve lavoro - nell'ambito dell'esame di Letteratura Sardo Ispanica offerto dal corso di laurea magistrale in Filologia Moderna, Università degli studi di Cagliari - vuole dimostrare e riconsiderare l’operato di Eduard Toda i Guell, diplomatico spagnolo in Sardegna alla fine del XIX secolo, in un ottica tale per cui il carattere storiografico e filologico-letterario sia utile alla revisione stessa degli studi sull'argomento in oggetto. Gli episodi e vicissitudini della Sardegna, inserite oggigiorno in un più ampio contesto europeo, devono portare le considerazioni sulle vicende della storia isolana in età spagnola a delinearsi sotto un profilo storico differente, il più possibile illibato da giudizi preconcetti e faziosi.  Difatti, sia gli studi degli antispagnolisti che dei revaluadores, basati quasi sempre o su ottimistiche valutazioni o su condanne del passato, od ancor peggio, come in casi recenti, sulla omissione di dati, testimonianze e prospettive per comodità di ricerca, risultano sostanzialmente inutili all'arricchimento della conoscenza storica delle terre di Sardegna.

La novela contemporánea del maquis está llena de referencias al medio ambiente rural español y las condiciones de vida en la naturaleza de los personajes. La metáfora animal y la animalización que estos experimentan en novelas como Luna de lobos de Llamazares (1985) y La agonía del búho chico de Vila (1994) se convierten en el eje temático que las rige, y estableciendo un reflexión crítica de vital importancia. El artículo ahonda en el estudio de estas metáforas y la importancia que adquieren a la hora de acompañar la relectura de la historia del maquis, desmintiendo la criminalización a la que fue sometida la guerrilla en la narración franquista durante la dictadura.

Se somete a análisis el soneto "Abril. Primavera mortal" de Luis Rosales, primera versión del famoso Zaguán que introduce en "La casa encendida". Publicado por primera vez en 1943, en la revista "Escorial", el soneto ha quedado al margen del interés de la crítica. La atención de los estudiosos se ha concentrado, hasta ahora, en las versiones sucesivas, incorporadas en obras tan ilustres y llamativas como "La casa encendida" o "Rimas". Aquí se presenta la versión primitiva como una de las primeras y afortunadas modulaciones de una línea temática (muerte-memoria-creación) que progresivamente se afirmará como centro gravitatorio de la entera lírica rosaliana.

Nel 1898 in Spagna si formalizza una crisi che è insieme economica-socialepolitica, e ciò succede con la guerra e la perdita di Cuba: ultimo possedimento coloniale spagnolo. In realtà, precedente a questa sconfitta militare, c'è una situazione politica ed economico-sociale che è la causa diretta della perdita delle ultime colonie, e non solo. Le cause vengono cioè da lontano, dalla conquista delle Americhe; il loro sfruttamento, depredazione e sterminio delle popolazioni indigene, se da una parte rese possibile il Rinascimento europeo, basti pensare che fra il 1503 ed il 1660 nel porto di Siviglia arrivano 185 mila chili di oro e 16 milioni di chili di argento, senza contare molta altra parte di tali merci contrabbandate; d'altra parte, pur essendo la Spagna, la prima protagonista di tali eventi, non ne ebbe il maggior beneficio. Essendo la corona ipotecata, a causa degli otto secoli di guerra necessari per riconquistare il territorio spagnolo dai mussulmani, l'oro e l'argento di fatto passava nelle mani dei banchieri: genovesi, tedeschi, olandesi, fiamminghi. Per altro verso ancora: oltre alle spedizioni nelle Americhe finanziate dallo Stato (Colombo e Magellano), le altre erano intraprese da mercanti e banchieri. L'apparente ricco impero spagnolo aveva delle città povere, nelle quali peraltro l'illusione della prosperità favoriva: fronti di guerra, un'aristocrazia dedita alla dissipazione, un aumento vertiginoso di curati, guerrieri, nobili, mendicanti, oltre a quello del costo della vita e degli interessi sul denaro. In questo modo, diventava impossibile lo sviluppo di un'industria in un regno fatto da grandi latifondi sostanzialmente improduttivi ed incapaci di reggere un aumento della domanda di alimenti e delle mercanzie, conseguenza diretta dell'espansione coloniale. Tutto ciò, unitamente alla riconquista dei territori spagnoli da parte dei Re Cattolici, ossia la cacciata degli arabi e degli ebrei -che in realtà non erano altro se non spagnoli di religione mussulmana o ebrea, abili nell'artigianato, con capitali importanti -; una cacciata che sotto la maschera della difesa della religione cattolica celava una lotta contro la storia che porta come conseguenza l'immediato impoverimento dell'economia valenziana, oltre che della regione aragonese. Lo stesso venne poi fatto da Filippo II, il quale espulse moltissimi flamenchi per essere protestanti; essi vennero poi accolti dall'Inghilterra dove diedero un contributo importante allo sviluppo manifatturiero. A cosa si dedicavano invece i capitalisti spagnoli? I capitalisti più che investire nello sviluppo di nuove attività, preferirono vivere di rendita, comprando i titoli del debito della Corona. E se i vecchi ricchi costrui-

A Marivanna. L'oltre me stesso… l'insieme. Nel 1905, un pensatore spagnolo, Miguel de Unamuno (1864-1936, pubblica: Vida de don Quijote y Sancho, según Miguel de Cervantes Saavedra, explicada y comentada por Miguel de Unamuno. Nel titolo già il significato dell'opera: un commento, un modo per far rivivere un'opera in un contesto diverso rispetto a quello in cui quella stessa opera è stata scritta e senza un commento è costretta a morire, è costretta a farsi mera filologia, a non essere punto e sostrato di ulteriore civilizzazione. Questo Unamuno, e non solo lui, lo aveva capito: aveva capito che era necessario andare nella meta-letteratura per tener viva l'opera letteraria; che la filologia è interessante se viene concepita come storia del linguaggio nella quale cercare la filosofia di un popolo: solo così diventa storia contemporanea; che la pura storia filologica è soltanto dotta e sterile esercitazione, oltre ad essere una forma errata di storia, perché priva di verità. La storia filologica non ha infatti la verità dentro di sé, ma la ripone nell'autorità cui rimanda, nel documento; questa forma di storia può essere corretta, ma non vera. Vera è la storia che non si limita alla re-compilazione dei pensieri altrui e già passati, ma esprime il nostro pensiero in atto, esprime cioè una critica. La storia insomma è quella che si esprime nel pensiero e per il pensiero ed il suo valore è insieme cultura, civiltà e progresso visti dal pensiero: così si arriva alla conoscenza della verità storica 1 . E allora, qual è la circostanza storica vissuta da Unamuno nel momento in cui scrive la sua Vida? Don Miguel scrive quest'opera durante la sua seconda tappa intellettuale: 1897-1912; nella sua prima tappa (1884-1897), la Spagna vive una crisi politica-economica-culturale, che culminerà quale evento simbolo, con la guerra e con la perdita di Cuba (1898). L'Unamuno di questo periodo è fondamentalmente quello dei saggi En torno al casticismo (1895), che si apre al raziopositivismo europeo e francese in particolare; attento ai bisogni del popolo, ma anche alle problematiche della scienza economica, cui si avvicina attraverso il 1 Cfr. : Benedetto Croce, Logica come scienza del concetto puro, Bari 1964 9 ; Ibidem, Teoria e storia della striografia, Milano 2001. Mi permetto di rimandare inoltre a:

Pío Baroja, scrittore e intellettuale prolifico e irruente, si considerava a margine della generazione del ’98 e rifuggiva categorizzazioni critico-letterarie, sia affermando la propria identità individuale, sia spiazzando lettori e critici con testi narrativi e
saggistici di differente impianto etico e stilistico. È ancora oggi uno scrittore controverso, di cui si è studiato troppo poco il pensiero critico, riducendo spesso le sue riflessioni a posizioni politiche al di fuori del tempo, della storia culturale e dello sviluppo degli studi stessi dell’intellettuale. Analizzare i suoi i suoi spostamenti nel sistema transletterario, in un’ottica neutra e comparatistica, può aprire nuovi sentieri nella lettura delle opere narrative, in cui l’autore basco ha cesellato personaggi e sfondi di grande precisione e compattezza logica.

La novela policíaca en España empieza a desarrollorarse como género literario autónomo, con sus propias peculiaridades, a partir de la segunda mitad de los años setenta. Los investigadores, detectives o inspectores, según como se les llama en cada texto, presentan una personalidad que se aleja mucho respecto a sus precursores anglosajones. Ellos tienen un carácter complicado y sus asuntos privados se insertan en la trama, alternandose a los casos por resolver. Este artículo trata la cuestión del género en la novela negra basándose en una breve comparación entre Petra Delicado, personaje creado por Alicia Giménez Bartlett y Pepe Carvalho, el detective privado de Manuel Vázquez Montalbán. A través de algunas citas veremos como la inspectora barcelonesa ha conseguido derribar los límites a los que fueron sometidas durante muchos años los personajes femeninos y al mismo tiempo las mujeres reales en la sociedad occidental.

Nelle poesie composte durante la prima tappa della sua parabola creativa (1900-1915), il poeta spagnolo Juan Ramón Jiménez (Moguer, 1881- San Juan, 1958) si autorappresenta assediato  da una moltitudine di figure femminili e particolarmente incline a sregolatezza erotica. Momento culminante, e quindi anche critico, di questa irresistibile convergenza erotico-malinconica è Libros de amor, testo composto nel 1913, ma pubblicato postumo, molti anni dopo la morte del poeta.  Si affronterà un tema (l’erotismo) e  una tonalità (la melancolia) nelle loro variabili configurazioni (erotismo melancolico, melancolia erotica) e nei loro intrecci con le dinamiche vitali e formali che agiscono all’interno di questo specifico segmento di creazione.  Contestualmente si ricostruirà il graduale processo di depurazione del dettato poetico juanramoniano, iniziato ben prima della svolta purista ufficialmente avviata con la pubblicazione del libro Diario de un poeta recién casado (1916).

The article studies Llamazares' novel La lluvia amarilla (1988) from a new perspective, which identifies the scenario of the work as a 'theatre of ruins'. The essay opens with a reflection on the chromatic symbolism already suggested by the title and discernible also in Vilas' novel Ordesa (2018), with which it seems to have a dialogical relationship. After a necessary reference to the lyricism of Llamazares' prose, the Ainielle landscape is interpreted as a 'literary landscape', a concept that refers to the subjective experience of nature through the protagonist perceptive consciousness. In the second part of the article, the metamorphosis of Ainielle into a place of ruins (which also engulfs the narrator) is demonstrated, in a passage that is accomplished through the cemetery metaphor and the supernatural incursion. Finally, it illustrates the current state of Ainielle, a village in the Pyrenees, which has become a 'place of memory'.

Teresa, una giovane donna appena tornata dal viaggio di nozze, si spara al petto e cade in un lago di sangue nel bagno della casa paterna, durante un pranzo di famiglia. Inizia così Un cuore così bianco (edizione originale: Corazón tan blanco, 1992; traduzione di Paola Tommasinelli, Einaudi, 1999), romanzo di Javier Marías, scrittore, traduttore e saggista spagnolo pluripremiato, esponente tra i più ammalianti della corrente postmodernista spagnola. Il romanzo trova titolo e ispirazione in un passaggio del Macbeth di Shakespeare: «My hands are of your color, but I shame to wear a heart so white». Queste parole, rivolte da Lady Macbeth al marito ancora lordo di sangue dopo aver ucciso nel sonno re Duncan, sono a un tempo semplici quanto sfuggenti nel loro più profondo significato, tanto da passare inosservate tra le maglie dei critici e da rimanere nei secoli prive di un'interpretazione univoca.

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Il teatro di Fernando Arrabal (Melilla, 1932) offre numerosi spunti di riflessione sul rapporto malattia-letteratura. I protagonisti dei drammi arrabaliani si presentano come individui adulti che agiscono e si esprimono molto spesso con un atteggiamento ed un linguaggio infantili. All’infantilismo, uniscono però dei comportamenti violenti tipici dell’individuo adulto alienato (schizofrenico e psicotico), caratteristiche queste che hanno inserito il teatro di Arrabal nel solco del teatro della crudeltà. I personaggi arrabaliani possono essere interpretati come una metafora della situazione culturale e politica della Spagna franchista, dove gli adulti-bambini che si muovono in scena rappresentano il popolo iberico in un contesto chiuso come quello della dittatura, che preferisce aver a che fare con individui sentimentalmente e psicologicamente immaturi. Ma la follia è anche la scintilla della creatività, la rottura di un ordine inaccettabile perché autoritario. Il comportamento deviato, nel teatro di Fernando Arrabal, assume un valore positivo nel momento in cui si pone come strumento di libertà. La malattia diventa, così, cura.

Nous nous proposons d’approfondir ici le portrait psychologique et idéologique, dessiné notamment dans Kaputt, du comte Agustín de Foxá, intellectuel espagnol phalangiste, ami de Malaparte et, comme celui-ci, romancier, journaliste, dramaturge et diplomate. Cette étude est, à nos yeux, importante pour comprendre quelques aspects Fondamentaux de l’oeuvre et de la personnalité de l’écrivain de Prato. Par exemple :
1. La valeur et le sens de notions clés de son oeuvre telles que la dichotomie cruauté-pitié.
2. La fonction importante exercée par le catholicisme dogmatique et “rhétorique” de l’écrivain espagnol dans l’itinéraire de Malaparte qui débouche sur son attitude particulière face à la souffrance réelle de l’homme.
3. La caractérisation du christianisme “anarchiste” de Malaparte par rapport au catholicisme “théologique” du comte de Foxá.

Non è solo un libro, quanto piuttosto diversi libri. Il corposo volume di Antonio Tricomi, già dal titolo (La Repubblica delle Lettere, Quodlibet, 2009) rivela la sua ambizione di essere una sorta di repertorio di quanto di decisivo c'è stato nel panorama italiano della letteratura negli ultimi settant'anni. Una summa non esaustiva, certo, tanto che è lo stesso autore, nella premessa, a sottolineare il fatto che si tratta di un libro di «narrazioni culturali che […], sempre faziosamente, […] prova a ritagliare un possibile, limitato itinerario di senso dall'ormai ampia parabola disegnata dalla democrazia italiana». Un itinerario di senso che ha come elementi liminali, e non è un caso, due saggi non letterari, o che -quanto meno -non partono dalla letteratura; il volume si apre, infatti, con un intervento su Buongiorno notte di Bellocchio e si chiude con uno dedicato al Divo di Sorrentino. C'è da sottolineare, però, che in realtà le due opere in questione sono -più che altrodei pretesti per sviscerare alcune questioni fondamentali dell'Italia repubblicana. Il primo saggio, traccia un percorso che -dal secondo dopoguerra in poi -prova a ripercorrere le travagliate sorti della sinistra italiana, dei suoi sogni e delle sue sconfitte, delle utopie e dei troppo repentini disincanti. Certo, il tutto condotto con carte alla mano, poiché lo studioso marchigiano non manca di sostenere il proprio discorso attraverso le testimonianze e le prese di posizione degli scrittorima più in generale diremmo degli intellettuali -che a tali temi si sono sentiti più vicini: Pasolini, Fortini, Toni Negri, Luperini, Calvino, Balestrini solo per citarne alcuni, oltre a tutta la letteratura più propriamente inerente ai protagonisti e alle vicende dei cosiddetti Anni di piombo (Braghetti, Morucci, Faranda, Curcio, Moretti, etc.). E così, anche nel saggio di chiusura del volume, ciò che interessa all'autore è una sorta di percorso intorno alla decadenza e alla scomparsa della Democrazia Cristiana: anche qui fanno da fari Sciascia, Pasolini, Elio Petri (molto spazio è dato alla trasposizione cinematografica di Todo modo), al punto che Il Divo di Paolo Sorrentino diventa solo l'ultimo ed importante capitolo di una grande vicenda che accoglie un ben più vasto arco di tempo e di riferimenti. L'attitudine di Tricomi è senz'altro quella del sociologo della letteratura, dello studioso che utilizza il testo letterario come cartina al tornasole per dare uno sguardo più ampio alla storia delle idee, alla cultura, al costume e alla storia tout court. Anche nei saggi più marcatamente letterari (ricordiamo che il volume si compone, per lo più, di scritti già apparsi in riviste o in volumi collettanei nell'arco di un decennio), i vari Bianciardi, Volponi, Balestrini, Pasolini, Siti, Affinati, Celati, Cordelli, fino ad arrivare a Saviano, sono utilizzati come punti di riferimento per una ricostruzione più vasta, a raggio più ampio, intorno ai problemi e alle contraddizioni di un'epoca, di un momento storico, di una svolta di costume o di poetica; si tratta, in ultima analisi, di mettere sotto osservazione una temperie culturale, piuttosto che la singola opera o il singolo autore. In questo orizzonte di studio, Tricomi raggiunge un risultato importante, da non sottovalutare; quello di essere riuscito, in molti casi, a strappare alcuni avvenimenti italiani ad una interpretazione provinciale ed asfittica ricollocandoli in un discorso più generale e di maggior portata (si veda, per esempio, il saggio intorno all'opera di Roland Barthes, nel quale alcune esperienze italiane vengono illuminate da un dibattito teorico dai confini molto più vasti; e si veda anche, nel saggio Dispacci da Weimar, come l'autore riesca a far convergere, in uno spazio relativamente ristretto, Cordelli, Ottieri, Moresco, con una radiografia dell'Italia

Brevi suggestioni tratte da:
“Esploratori dell’abisso” di Enrique Vila-Matas
“La Regina delle nevi” di Carmen Martίn Gaite
“L’arte di camminare” di Álvaro Cunqueiro
“Vita e Fughe di Fanto Fantini” di Álvaro Cunquiero
“Sara di Ur” di José Jίménez Lozano
“Le ragazze di Ventas” di Dulce Chacón

El viaje, incluso en su vertiente geográfica y de desplazamiento físico, recurre en toda la obra vilamatiana, pero con especial exuberancia en “Lejos de Veracruz” (1995), un texto donde se cruzan a varios niveles, alrededor del eje constituido por los escenarios viajeros, las alternativas que conforman el entramado compositivo del autor: hogar/espacio exterior (con su estadio intermedio y conciliador: el hábitat provisional de un hotel), arraigo/huida, cotidiano/exótico, vejez/juventud, indolencia/aventura, etc. que remiten abiertamente a una peculiar tipología de escritores sedentarios y nómadas (Mallarmé/Rimbaud o Mann/Hemingway) y a contraposiciones de aún mayor alcance en su obra como normalidad plana/abismo, sensatez/locura, realidad/ficción y vida/escritura. Este aporte se propone trazar un mapa de las isotopías relacionadas con el viaje y los espacios geoculturales en “Lejos de Veracruz”, donde islas y volcanes tropicales se codean con la provincia castellana o un inmueble barcelonés, y aparecen el asesinato callejero, los souvenirs turísticos, la repatriación consular y hasta el descenso a los infiernos. Sin olvidar la función decisiva de las canciones, la fórmula del dietario, el guiño a Robinson Crusoe, las resonancias cervantinas y valleinclanianas (no por nada el protagonista Enrique es manco), y la abundante geometría de alter egos, identidades múltiples y cambiantes. Antonio escribe libros de viajes por lugares donde nunca ha ido hasta concluir que “los viajes no curan el espíritu” y suicidarse antes de abrir una librería especializada en viajes. Enrique viaja a tres continentes sin sacar de ello más que trágicos regresos y “cuatro lugares comunes” hasta que, después de las heridas de una definitiva pasión bolerística, se encierra en una urbanización supuestamente de veraneo a continuar la escritura del hermano contando sus proprias vivencias, para que los lectores “viajen como locos”. El viaje ideal vilamatiano, un viaje infinito y nunca demasiado real ni demasiado inventado, cuando no se cristaliza en una renuncia, se propone como “odisea sin retorno”, un cortar amarras o quemar las naves, una estrategia de fuga, una pérdida continua, siempre hacia adelante. Por eso queda siempre bajo el signo de la distancia: es una condición de ensueño solamente posible cuanto más lejos de Veracruz.

La bula Ite vos (29 de mayo 1517), buscó la unión de
las distintas reformas franciscanas en la Observancia,
pero dividió definitivamente la Orden de
Hermanos Menores entre la Conventualidad y
la Regular Observancia. La celebración de su
quinto centenario invita a repensar el origen y
desarrollo de las distintas reformas en el abigarrado
mundo franciscano de España desde mediados
del siglo XV hasta bien entrado el siglo
XVI. Igualmente se hace necesario profundizar
en el conocimiento histórico de la preponderancia
que adquirió la Regular Observancia, que,
apoyada por la corona, extendió su influencia al
continente americano, así como la práctica aniquilación
de la Conventualidad y el desarrollo
vigoroso de la Descalcez.

Resumen: El presente artículo se propone analizar el asunto de la traducción cultural y lingüística en la obra del escritor Andrés Neuman (Buenos Aires, 1977), cuya biografía se ve afectada por el traslado de Latinoamérica a España en una edad temprana de su vida. Se verá
cómo la presencia predominante del problema de la traducción en una selección importante de sus novelas y cuentos se debe no sólo a razones biográficas, sino también a una cultura, como la actual, caracterizada por la transculturalidad y las migraciones.
Palabras clave: traducción, migración, frontera cultural y lingüística, transculturalismo.

Abstract: The present article analyses the importance of cultural and linguistic translation in Andrés Neuman’s works (Buenos Aires, 1977), whose biography is affected by his move from Latin America to Spain at an early age. Translation as a problematic issue in an important selection of novels and short stories by the Argentinian-Spanish novelist will be considered in light of nowadays culture, characterized by transculturalism and migration flows.
Key words: Translation, Migration, Cultural and Language Border, Transculturalism

As for the Spanish Civil War, the general concept of exile literature mixes together so different realities, that it admits a reductionist generalization. The case of Teresa Pàmies is an example of this, because her long exile marks her work and converts it in a key–element to understand the history
of Spain from Alfonso XIII’s reign to the end of the XX century. At the same time, most of her works are subsequent to her return, and her ideological commitment coexists with a permanent and peculiar dissidence within the dissidence. The exile wasn’t for her a time for literature but for action,
resistance and total devotion to a cause that would be partially questioned in her following writings (she went on writing until she was 90), never abandoning the trench of the militant literature, at the same time as exceptional witness and protagonist of this long and troubled historical period.

El artículo se centra en el análisis comparativo de la narrativa testimonial italiana y española acerca de la campaña militar en la Unión Soviética en la segunda guerra mundial. El alistamiento voluntario de los divisionarios españoles, frente a la obligatoriedad del de las tropas italianas, se refleja tanto en la caracterización de los personajes como en la narración de los avatares vitales de los soldados, además de la representación de la mística de la guerra y del imaginario heroico de los combatientes.
La cuestión memorística evidenciada en esta narrativa da pie al surgimiento de un interesante campo de investigación que permite ahondar en la representación de las ideologías fascista y franquista en la guerra, confrontando una memoria histórica que, particularmente en lo que respecta al caso español, fue poco investigada ya en el periodo de la dictadura, por razones que se intentará explicar por medio del análisis de los textos escogidos.

Gran parte de la obra de Alfons Cervera (Gestalgar, 1947) se centra en un tema crucial tanto para el escritor como para el contexto cultural contemporáneo español: el rescate de la memoria histórica y de las vivencias de los vencidos de la Guerra Civil, aquellos protagonistas cuyos avatares vitales, ya fueran personales o políticos, fueron erradicados del discurso público acerca de la guerra y la posguerra, la represión y la dictadura franquista.

Este estudio analiza en las cinco novelas de Alfons Cervera publicadas entre 1995 y 2005, y que con el título Las voces fugitivas han sido publicadas en 2013, la representación de la memoria histórica de la posguerra española a partir del cambio discursivo literario. Este cambio se asienta en la ruptura del patrón maniqueo a la hora de representar los acontecimientos de la posguerra, cuyo reflejo en la narrativa de Cervera se expresa a través de múltiples puntos de vista y voces narrativas, los cuales colaboran en la elaboración de unos relatos plurales y polifónicos.

(...) il complesso e toccante romanzo di Marsé è  esattamente il riflesso di quello che accade quando l’uomo si disumanizza e l’ultimo avamposto, un barlume di luce  tra  le pieghe di una società corrosa dall’abbandono, minacciata dall’oblio e composta ormai da adulti non-vivi pur non essendo ancora morti, risiede nei bambini.