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Il Pane Sardo

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Il pane sardo un valore sociale inestimabile - Sardegna Reporter.

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Il pane sardo: un valore sociale x

inestimabile
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Un articolo a cura di Massimiliano Perlato. *

Di La Redazione - 16 Novembre 2020

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Il pane sardo: un valore sociale inestimabile
Alimento base delle culture povere, il pane, oltre a nutrire la famiglia, diventava
anche protagonista delle feste e delle ricorrenze, cambiando forma e consistenza a
seconda dell’occasione. C’era così un pane per la nascita e un pane per la morte,
molti per il matrimonio e uno per le date significative del calendario.

Il pane ha così sempre accompagnato l’uomo nel corso della sua storia e con lui ha
seguito momenti di evoluzione e di crisi. Per quello che riguarda il pane per il
consumo quotidiano, secondo una prima, seppur molto ampia e per nulla esaustiva
classificazione, vengono di norma individuate in Sardegna tre aree dove, pur in
compresenza di altri tipi di pane, vi è una certa prevalenza di uno di questi.

Tipologie di pane sardo per il consumo quotidiano

In una di queste prevale la cosiddetta “spianata”, un pane piatto tondo e morbido,


non destinato a essere inzuppato. In un’altra prevale il pane “carasau”, un pane
tondo e piatto anch’esso, ma croccante e a lunga conservazione, destinato ai lunghi
periodi trascorsi lontano da casa. In altre aree prevale un pane con “mollica”,
grosso, più o meno alto (in qualche caso assomiglia al panettone), che si
accompagna bene con qualsiasi tipo di companatico, ma che trova il suo impiego
ideale nelle zuppe.

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Fra tutti, il pane con mollica era quello di minor durata, una settimana massimo ULTIMI ARTICOLI
prima che si indurisse. Di qui l’usanza, un tempo diffusa in molti centri sardi, dello Mutui acquisto casa – III
trimestre 2020
scambio del pane fresco, per cui nella cerchia familiare si panificava a turno e si
25 Gennaio 2021
portava il pane agli altri appartenenti al gruppo, con un alto significato di legame e
solidarietà. Né, comunque, ci si disfaceva del pane secco, che invece veniva
Pecorino Romano, 285mila
utilizzato per la preparazione di piatti poveri che alla fine risultavano fra i più quintali nella campagna appena
saporiti. Basti pensare a “su pane addidu” (il pane bollito nel brodo di pecora) o alla conclusa
25 Gennaio 2021
zuppa gallurese.

Tennis Tavolo Sassari: vittoria


Tipologie per occasioni speciali della B1 maschile per 5-0 a
Modena
25 Gennaio 2021
La panificazione dei sardi, però, non si esauriva con i tre tipi di pane citati. Ve
n’erano molti altri che, pur svolgendo una funzione meno decisiva riguardo Olocausto e minoranze sulla
all’alimentazione quotidiana, avevano comunque un ruolo sempre legato alla tavola pagina facebook ISSASCO
25 Gennaio 2021
oppure alle occasioni speciali di cui si è detto.

Tale è, ad esempio, quello che in Sardegna assume diverse denominazioni a Carica altri '

seconda della zona di provenienza e che può essere chiamato, in generale, la pasta
dura.

E la pasta dura, sia nella sua versione più grossa, “zichi russu” nel Mejlogu, sia in
quella sottile (zichi fine), era di solito il pane su cui si esercitava la fantasia e
l’abilità delle donne sarde per ottenere le forme e i disegni cui sarebbe stato affidato
il compito di celebrare le occasioni speciali.

Si pensi, ad esempio, ai pani nuziali, che in molti casi, per elaborazione e


complessità dei disegni, assurgono a vere e proprie opere d’arte. Ma si pensi anche
ai pani delle ricorrenze, “su pane ’e Pasca”, per citare quello che forse è il più noto
e il più diffuso in tutte le aree della Sardegna, elaborato e ritorto dalla massaia, fino
a ricavarne le più diverse forme che la fantasia riuscisse sul momento a partorire. Il
pane di Pasqua includeva, di norma, un uovo intero col guscio, che diventava sodo
con la cottura in forno insieme al pane.

Le farine per la pani9cazione

I diversi tipi di pane implicavano, naturalmente, l’uso di diverse varietà di farine,


più o meno raffinate, la cui base era sempre il grano duro.
La farina più nobile – non a caso utilizzata, oltre che per il pane quotidiano (da chi
se lo poteva permettere), per il pane delle feste – era “sa simula”, la semola,
ottenuta con diversi gradi di raffinazione, in base al crivello (chiliru) o al setaccio
(sesattu, sedattu) utilizzati.

L’altra farina era “su poddine”, il fior di farina, molto più sottile della semola, e
utilizzata di solito mischiata ad essa o al cruschello, per evitare di ottenere dei pani
duri come mattoni. Il terzo tipo di farina, infine, quella meno raffinata, con un’alta
percentuale di crusca, era “su chivalzu” o “chivarju”.

In alcuni casi, però, le famiglie più povere, o anche quelle ricche, quando
panificavano per i loro pastori o lavoranti, utilizzavano la farina d’orzo, da cui si
otteneva un pane molto saporito, ma di qualità più scadente. Ancor meno pregiata
era la panificazione, limitata per quello che se ne sa a ristrette zone dell’isola e a
classi veramente povere, con la farina di ghiande.

Pani comuni

Numerosi sono i pani cosiddetti comuni che variano per qualità di farina, foggia e
nome secondo le zone. Il “pan ‘e trigu” (di grano) si consuma soprattutto nelle aree
di ponente, il “pan ‘e trigu-india” (di mais) è tipico del Logudoro, come il “cola cola”
di farina bianca e fine, “l’orzatu” (di orzo) dal gusto un po’ acidulo è diffuso in
Barbagia.

Meno frequenti, i pani di patate, di meliga, persino di ghiande, che bollite, pestate
nel mortaio e mischiate con argilla rossa e cenere, lasciano nella pasta striature
color cioccolato e un sapore tendente al dolce: ormai sono reperibili soltanto in
alcuni villaggi montani dell’Ogliastra.

Pani della tradizione

C’è poi un’infinità di pani della tradizione. Per esempio ci sono quelli che hanno la
caratteristica di durare a lungo, come “su zicchi” di fior di farina, di solito tondo
come la più grossa “spianata”, o il famoso “pane carasau” alias “carta da musica”
che i sardi chiamano semplicemente “sa fresa”.

Fatto di farina di semola di grano duro, secco e croccante, a sottilissimi dischi


sovrapposti, il pane carasau viene infornato due volte come il “pistoccu”: entrambi
biscottati, accompagnano i pastori al seguito del gregge, e vengono mangiati
ammorbiditi nell’acqua o nel brodo.

Semola di grano anche nel “coccoi”, di forma allungata. Ma attenzione: nel


Campidano così si chiamano le ciambelle allo zafferano, mentre in Gallura “lu
coccu” è un pane senza lievito, cotto nella cenere rovente, e “coco” è anche una
focaccia di frumento non fermentato e non setacciato, dal gusto un po’ ispido.

Nel Meilogu le “coccas” sono pani votivi preparati per i Morti. “Su coccone” e “su
coccoroi” sono fatti di norma col cruschello che entra in buona percentuale, unito a
semola grossolana, anche nel saporito pane nero “civraxu”, specialità di Sanluri,
altrove detto “civarju” o “chivarzu”. Assai più morbida la pasta del “moddizzosu” o
“ammoddigadu”, una spugnosa pagnotta fatta a cupola e confezionata per onorare i
Santi.

Pani cerimoniali e augurali

Il panorama si complica quando si passa ai pani cerimoniali e augurali, carichi di


significati simbolici. Ogni patrono, festa o ricorrenza religiosa e familiare chiede il
proprio, da distribuire tra amici e parenti oppure da donare agli ospiti o ai bisognosi.
È allora che le massaie danno via libera al loro estro per modellarli, intagliarli e
istoriarli con figure di animali, aiuole fiorite o ghirlande piuttosto che con scene di
vita campestre, fino a farne delle vere e proprie sculture commestibili.

Per Capodanno forgiano il pane “candelarju”, carico di ornamenti e ghirigori, e “sos


bacchiddos ‘e Deu”, a forma di piccoli bastoni episcopali: i bambini lo ricevono in
cambio di una filastrocca cantata di portone in portone; le famiglie tra di loro si
scambiano invece il “capude”, una schiacciata di fior di farina riservata alle grandi
solennità.

All’inizio dell’anno e per l’Epifania preparano anche grandi focacce di farina di


frumento su cui raffigurano arnesi e personaggi legati al mestiere del padrone di
casa: “sa giuada” dei contadini reca in cima un giogo di buoi e un aratro lavorati con
la pasta di pane; “sa pertusitta”, un ovile con le pecore o un pastore col cane legato
alla cintola.

A Pasqua si approntano pani con in mezzo un uovo, conosciuti nel Sud come
“coccoieddus cun ou” o “coccoi de angùlla” e nel Nord come “cozzala dess’ou” o “di
l’obu”.

Ma è con i pani nuziali che le donne raggiungono l’apice creativo, plasmando i


puntuti “pizzurius” o “coccoi de pizzus” campidanesi e “su pane de cojuados noos”
(degli sposi novelli), “pikkadu” (intagliato) e “iskaddadu” (lucidato), come usa nel
Logudoro: sottili, ricamati di merletti e resi lucenti immergendoli appena sfornati in
acqua calda e poi rimettendoli in forno o spennellandoli con l’albume, hanno spesso
forma di foglia, di corone, di uccelli. In alcune località vengono offerti in dono dal
vicinato, decorati con pagliuzze di carta colorata e di fiori di pervinca (simbolo di
felicità e di fecondità).

Massimiliano Perlato
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