Il Pane Sardo
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Il pane sardo: un valore sociale inestimabile
Alimento base delle culture povere, il pane, oltre a nutrire la famiglia, diventava
anche protagonista delle feste e delle ricorrenze, cambiando forma e consistenza a
seconda dell’occasione. C’era così un pane per la nascita e un pane per la morte,
molti per il matrimonio e uno per le date significative del calendario.
Il pane ha così sempre accompagnato l’uomo nel corso della sua storia e con lui ha
seguito momenti di evoluzione e di crisi. Per quello che riguarda il pane per il
consumo quotidiano, secondo una prima, seppur molto ampia e per nulla esaustiva
classificazione, vengono di norma individuate in Sardegna tre aree dove, pur in
compresenza di altri tipi di pane, vi è una certa prevalenza di uno di questi.
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Fra tutti, il pane con mollica era quello di minor durata, una settimana massimo ULTIMI ARTICOLI
prima che si indurisse. Di qui l’usanza, un tempo diffusa in molti centri sardi, dello Mutui acquisto casa – III
trimestre 2020
scambio del pane fresco, per cui nella cerchia familiare si panificava a turno e si
25 Gennaio 2021
portava il pane agli altri appartenenti al gruppo, con un alto significato di legame e
solidarietà. Né, comunque, ci si disfaceva del pane secco, che invece veniva
Pecorino Romano, 285mila
utilizzato per la preparazione di piatti poveri che alla fine risultavano fra i più quintali nella campagna appena
saporiti. Basti pensare a “su pane addidu” (il pane bollito nel brodo di pecora) o alla conclusa
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zuppa gallurese.
Tale è, ad esempio, quello che in Sardegna assume diverse denominazioni a Carica altri '
seconda della zona di provenienza e che può essere chiamato, in generale, la pasta
dura.
E la pasta dura, sia nella sua versione più grossa, “zichi russu” nel Mejlogu, sia in
quella sottile (zichi fine), era di solito il pane su cui si esercitava la fantasia e
l’abilità delle donne sarde per ottenere le forme e i disegni cui sarebbe stato affidato
il compito di celebrare le occasioni speciali.
L’altra farina era “su poddine”, il fior di farina, molto più sottile della semola, e
utilizzata di solito mischiata ad essa o al cruschello, per evitare di ottenere dei pani
duri come mattoni. Il terzo tipo di farina, infine, quella meno raffinata, con un’alta
percentuale di crusca, era “su chivalzu” o “chivarju”.
In alcuni casi, però, le famiglie più povere, o anche quelle ricche, quando
panificavano per i loro pastori o lavoranti, utilizzavano la farina d’orzo, da cui si
otteneva un pane molto saporito, ma di qualità più scadente. Ancor meno pregiata
era la panificazione, limitata per quello che se ne sa a ristrette zone dell’isola e a
classi veramente povere, con la farina di ghiande.
Pani comuni
Numerosi sono i pani cosiddetti comuni che variano per qualità di farina, foggia e
nome secondo le zone. Il “pan ‘e trigu” (di grano) si consuma soprattutto nelle aree
di ponente, il “pan ‘e trigu-india” (di mais) è tipico del Logudoro, come il “cola cola”
di farina bianca e fine, “l’orzatu” (di orzo) dal gusto un po’ acidulo è diffuso in
Barbagia.
Meno frequenti, i pani di patate, di meliga, persino di ghiande, che bollite, pestate
nel mortaio e mischiate con argilla rossa e cenere, lasciano nella pasta striature
color cioccolato e un sapore tendente al dolce: ormai sono reperibili soltanto in
alcuni villaggi montani dell’Ogliastra.
C’è poi un’infinità di pani della tradizione. Per esempio ci sono quelli che hanno la
caratteristica di durare a lungo, come “su zicchi” di fior di farina, di solito tondo
come la più grossa “spianata”, o il famoso “pane carasau” alias “carta da musica”
che i sardi chiamano semplicemente “sa fresa”.
Nel Meilogu le “coccas” sono pani votivi preparati per i Morti. “Su coccone” e “su
coccoroi” sono fatti di norma col cruschello che entra in buona percentuale, unito a
semola grossolana, anche nel saporito pane nero “civraxu”, specialità di Sanluri,
altrove detto “civarju” o “chivarzu”. Assai più morbida la pasta del “moddizzosu” o
“ammoddigadu”, una spugnosa pagnotta fatta a cupola e confezionata per onorare i
Santi.
A Pasqua si approntano pani con in mezzo un uovo, conosciuti nel Sud come
“coccoieddus cun ou” o “coccoi de angùlla” e nel Nord come “cozzala dess’ou” o “di
l’obu”.
Massimiliano Perlato
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