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"La lettera di Geremia agli esiliati"

Devo anzitutto notare come la tempistica di questo incontro, proprio all'uscita di Tu-Bishvat, nel quale il tema del piantare è tanto centrale, sia azzeccata. Come vedremo infatti nel capitolo 29 del libro di Geremia, tema di questa serata, si parla di piantagione. Se durante Tu Bishvat però ci siamo concentrati sui frutti di Israele, questa sera dovremo concentrarci sui frutti, concreti e metaforici, ma sempre indirizzati in qualche modo alla terra di Israele, della Diaspora.

B.S.D. Torino, 16 Shevat 5782 (17.1.2022) XXXIII Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei “La lettera di Geremia agli esiliati” Ariel Di Porto Devo anzitutto notare come la tempistica di questo incontro, proprio all’uscita di Tu-Bishvat, nel quale il tema del piantare è tanto centrale, sia azzeccata. Come vedremo infatti nel capitolo 29 del libro di Geremia, tema di questa serata, si parla di piantagione. Se durante Tu Bishvat però ci siamo concentrati sui frutti di Israele, questa sera dovremo concentrarci sui frutti, concreti e metaforici, ma sempre indirizzati in qualche modo alla terra di Israele, della Diaspora. Molte delle informazioni che riporterò per contestualizzare il capitolo sono riprese da una lezione di Rav David Sabato (2016). Per inquadrare meglio il discorso, ritengo sia necessario fare un piccolo preambolo di natura storico-testuale, ricordando alcuni brani fondamentali che ci permetteranno di comprendere meglio il discorso del profeta Geremia: il primo è il capitolo 24 del secondo libro dei Re (vv. 10-17), che descrive l’esilio del re Yehoyachin, che aveva regnato per un brevissimo periodo: In quel tempo i funzionari di Nabuccodonosor re di Babilonia salirono contro Gerusalemme e la città fu cinta d’assedio. E Nabuccodonosor re di Babilonia giunse davanti alla città, mentre i suoi funzionari la stringevano d’assedio. Allora Jehojachin re di Giuda uscì incontro al re di Babilonia con sua madre, i suoi servi, i suoi principi e i suoi eunuchi e il re di Babilonia li catturò l’anno ottavo del suo regno. Asportò come aveva predetto il Signore tutti i tesori della casa del Signore, i tesori della casa reale e spezzò tutti gli utensili d’oro che aveva fatto Salomone re d’Israele per il tempio del Signore e menò in cattività tutta Gerusalemme, tutti i principi, tutti gli uomini valorosi in numero di diecimila, tutti i legniaiuoli e i fabbri, non rimase nel paese altro che la povera gente. Jehojachin deportò a Babilonia e menò in cattività da Gerusalemme a Babilonia la madre, le mogli del re, gli eunuchi, i magnati del paese. E tutti gli uomini più di valore in numero di settemila, legniaiuoli e fabbri in numero di mille, tutti gli uomini atti alla guerra. Il re di Babilonia li condusse in esilio a Babilonia. Il re di Babilonia costituì re in luogo di Jehojachin Mattanjà suo zio e gli cambiò il nome in Sedecia (Tsidkjà). Assieme al re viene esiliata l’élite del regno di Giuda; in questo modo viene indebolito il potere politico e militare del regno, vanificando così qualsiasi possibile futura ribellione. Nabuccodonosor prese con sé alcuni oggetti del Tempio di Gerusalemme, il ritorno dei quali sarà al centro delle profezie dei falsi profeti. Con l’esilio si crea una situazione in cui ci sono due poli, uno in Babilonia dove viveva l’élite di Gerusalemme, e uno in Israele, dove rimanevano le fasce più povere; ugualmente convivevano due re, Sedecia a Gerusalemme, e Yehoyachin a Babilonia. In questa situazione emergono differenti approcci: ARIEL DI PORTO LA LETTERA DI GEREMIA AGLI ESILIATI a) quello di Ezechiele (11,16): “Perciò dirai: Così dice il Signore Iddio: Ancorché Io li abbia allontanati fra le nazioni disperdendoli fra i vari paesi, Io sarò per loro un santuario minore nelle terre in cui sono giunti”; b) all’altra estremità troviamo i falsi profeti, che esercitano un’influenza nefasta su quanti erano in Babilonia, che considerano l’esilio un fenomeno temporaneo, che si concluderà a breve. Chananià ben ‘Azzur ad esempio annunciava che gli arredi del Santuario avrebbero fatto ritorno a Gerusalemme in due anni (Gr 28, 3). Questo ultimo approccio, che Geremia metterà in discussione, non permette agli esuli di operare la riabilitazione necessaria per ottenere la redenzione. Geremia ritiene che quella dell’esilio non sia una condizione definitiva del popolo ebraico, ma che rappresenti una parentesi lunga, che richiede una adeguata preparazione prima di poter ritornare a casa. Geremia invita gli esuli e costruire case e dimorarvi, piantare giardini e mangiarne i frutti, prendere moglie e generare figli e figlie. Nelle parole di Geremia risultano evidenti gli echi delle maledizioni di Dt 28 e di Dt 20, quando viene affrontato il tema dell’esenzione dalla guerra. Il versetto successivo ha invece una valenza religiosa ben più significativa: Geremia difatti chiede agli esuli di cercare la pace della città in cui sono stati esiliati, perché nella sua pace avranno pace a loro volta. Per la prima volta Geremia esprime un principio che accompagnerà gli ebrei esiliati per migliaia di anni, quello dell’identificazione con il paese in cui ci si trova (Sabato 2016). Nel libro di Geremia abbiamo buona parte delle menzioni bibliche di Babilonia: 169 su 306. Questa presenza costante ci suggerisce come Babilonia abbia un ruolo significativo all’interno del libro. In generale si noterà che l’atteggiamento nei confronti di Babilonia può sembrare ambiguo, perché se in alcuni capitoli, come 50-51, è estremamente negativo, in altri, come 2729 è positivo. Per questo e altri motivi molti studiosi hanno considerato il libro di Geremia problematico, confuso, incomprensibile (Thelle 2009, 187-188). Neher (2005, 6-7) suggerisce che il libro di Geremia non ha il suo punto di origine all’inizio né il suo punto di epilogo alla fine; origine e fine si incontrano nel nodo centrale, ove compare l’idea di Genesi, che si trova poi solamente all’inizio della Torà e dell’omonimo libro. Se il discorso su Babilonia viene ampliato agli altri libri biblici, dovremmo rivolgerci al Salmo 137 (1;4): “Presso i fiumi di Babilonia ci siamo seduti, abbiamo pianto quando ci siamo ricordati di Sion... Come potremo cantare i canti del Signore in terra straniera?” A quei tempi le religioni erano inestricabilmente legate a spazi geografici. Se la tua nazione era sconfitta, lo era anche la tua divinità, e dovevi accettarlo. L’esilio voleva dire assimilarsi alla cultura maggioritaria o sparire dalla storia, come era avvenuto un secolo e mezzo prima al Regno del Nord (Sacks 2014a). Per capire quale potesse essere l’atteggiamento degli esuli verso Babilonia, basterà proseguire nella lettura del Salmo 137 (8-9): “Figlia di Babele, mostro abominevole! Felice chi ti restituirà il male che ci hai fatto! Felice chi afferrerà i tuoi lattanti e li flagellerà contro la roccia!” I deportati non aspettavano altro che la rivincita, che doveva peraltro essere nel disegno divino e che era stata ripetuta senza tregua dai profeti. Rav Sacks alla lettera di Geremia ha dedicato la Erasmus Lecture del 2013. La prigionia degli ebrei in Babilonia, faceva seguito a una sconfitta che comprendeva la distruzione del Tempio di Gerusalemme, il simbolo centrale della nazione e il segno tangibile della presenza divina in mezzo a loro (Sacks 2014a). 2 ARIEL DI PORTO LA LETTERA DI GEREMIA AGLI ESILIATI Il messaggio che emerge dal libro di Geremia è però sensibilmente diverso rispetto a quello del Salmo 137. Il profeta si rivolge alla comunità degli esiliati, con una lettera, non redatta da un uomo, ma da D. stesso. Di certo la reazione dei deportati deve essere stata molto forte, letta prima con indignazione e stupore, poi con rassegnazione, e da ultimo con fervore (Neher 2005, 81-82). Il capitolo 29 del libro di Geremia rappresenta uno spunto per riflettere sul tema dell’esilio. Suscita una domanda fondamentale: è possibile sopravvivere in esilio mantenendo intatta la propria identità? Nelle parole di Geremia non è presente alcun trionfalismo, nessun “te lo avevo detto”. Le parole di Geremia, nel loro essere controintuitive, hanno cambiato il corso della storia ebraica, e forse indirettamente quella della civiltà occidentale nel suo complesso (Sacks 2014a). Le parole di Geremia sono concepibili solo in una cornice monoteistica, in cui si crede che il D. della storia ha la sovranità su tutti gli altri poteri. In questo modo D. stesso è artefice della disfatta del Suo popolo, e i babilonesi sono lo strumento della Sua ira (Sacks 2014a). Sullo sfondo troviamo anche la convinzione che D. avrebbe mantenuto la Sua parola. Anche se il popolo ebraico ha disatteso molte volte all’alleanza con D., la promessa sarebbe stata comunque mantenuta, e il Signore avrebbe ricondotto il popolo nella propria terra. In tal senso è istruttivo rifarsi al capitolo 24 del libro, nel quale Geremia considera il regno di Sedecia un cesto di fichi marci che verranno pestati. Accanto ad esso vi sarà un altro cesto di fichi deliziosi, che saranno considerati delle primizie, che rappresentano gli esiliati di Giuda, deportati nel paese dei Caldei, che saranno guardati benignamente e riportati in terra di Israele. Ritorneranno, aveva detto D. e ribadirà a più riprese Geremia, ma fra settanta anni, una lunga pazienza (29, 28). Geremia si era convinto di quanto fosse sbagliato, politicamente e teologicamente, opporre resistenza a Nabuccodonosor (Neher 2005, 80-81). Spesso nel libro di Geremia troviamo dei simboli concreti, derivanti dal mondo reale: sotto certi aspetti la profezia dei fichi è simile a quella del mandorlo e della pentola che ribolle, ma con una differenza importante, che nella profezia dei fichi non c’è solo la calamità, ma anche la consolazione. I fichi hanno la caratteristica di maturare in tempi differenti, tutto dipende dalla capacità del proprietario di raccogliere i frutti dall’albero al momento giusto, prima che marciscano. Nella profezia del fico sono presenti dei parallelismi linguistici, che troviamo altre volte nel libro con la storia di Yosef, più precisamente con i sogni del Faraone. In questo modo viene costruito un parallelismo fra la disgrazia della carestia egiziana, che inaugura l’esilio egiziano del popolo ebraico, e quella in Babilonia di Geremia. Si intende in questo modo dare coraggio agli esuli alla luce degli esiti dell’esilio in Egitto, che culmina nell’esodo, secondo il principio ma’asè avot siman labanim, ciò che avviene ai padri è un segno per i figli (Sabato 2016). Rav Sacks (2014b) nota come il conteggio degli anni per il Giubileo sia una prerogativa del Bet din, e in maniera particolare del Sinedrio, e da qui impara un principio fondamentale: il pensiero a lungo termine caratterizza la leadership politica. Tante volte nella storia di Israele la lungimiranza della leadership ebraica ha salvato la situazione: Moshè nel libro di Devarim, Geremia di fronte all’esilio babilonese, Ezrà e Nechemià che comprendono che la battaglia principale che salvaguarderà il popolo ebraico sarà quella culturale, e non quella militare, Rabban Yochanan ben Zakkay, che chiederà a Vespasiano di salvare non il Santuario, ma Yavne e i suoi sapienti. In tutti questi casi la leadership di Israele comprende che l’elemento fondamentale per salvaguardare l’identità di Israele è quello legato allo studio e al mantenimento della propria tradizione. L’ordine per gli esiliati di pregare per il benessere della città nemica nella quale vivono è stato ben presente a generazioni di ebrei che hanno vissuto in un ambiente ostile. Il paradossale imperativo di Geremia è stato oggetto di meditazione per gli ebrei esiliati a Babilonia e a Roma, 3 ARIEL DI PORTO LA LETTERA DI GEREMIA AGLI ESILIATI nell’Europa cristiana e nell’impero della Mezzaluna, a Parigi, Berlino, Varsavia, Kiev, Vilna, Salonicco, New York, e nelle stive dell’Exodus, e perfino a Treblinka e Aushchwitz (Neher 2005, 82). Le parole di Geremia sono state riprese dalla tradizione rabbinica nel Pirqè Avot: (III, 2): “Rabbi Chananià, vice sommo sacerdote, affermava: prega per il benessere del governo, perché se non fosse per il timore di quello, l'uomo ingoierebbe vivo il suo prossimo”. Questo invito si riferiva a un contesto differente, quello della dominazione romana in Giudea, e avrebbe avuto uno sviluppo considerevole nei secoli successivi: per esempio nella Spagna del XIV secolo la preghiera per il governo locale era entrata a far parte del formulario, e successivamente, dopo la cacciata, nell’Impero Ottomano si pregò per il Sultano. La preghiera raggiunse anche l’Italia e l’Olanda. Le parole di Geremia vennero anche fatte proprie dagli ebrei della haskalà, che volevano invitare gli ebrei ad adattarsi alle culture dei paesi in cui vivevano (Chilton Callaway 2020, 240-241). Tuttavia il messaggio di Geremia nella sua complessità non si è sempre fissato nelle coscienze degli esuli con successo: in alcune circostanze gli ebrei si sono eccessivamente adattati alla società circostante, enfatizzando la ricerca della pace nell’esilio; in altre invece si è cercata l’opposizione alla società circostante e veniva predicata la ribellione (Sabato 2016). Circa gli esiti della permanenza ebraica in Babilonia, questa ha permesso al popolo ebraico di affermarsi come una minoranza creativa, in prima battuta ai tempi di Ezrà e Nechemià, che rinnovarono l’educazione ebraica quando il popolo tornò in Israele, e quasi mille anni dopo, quando in Babilonia vide la luce il grande capolavoro del giudaismo rabbinico, il Talmud Babilonese (Sacks 2014a). La storia ebraica è stata caratterizzata da numerose tragedie e cadute. Ciò che ha dell’incredibile è che il popolo ebraico non solo è sopravvissuto alle sconfitte, ma si è ripreso ed è divenuto più forte. Sono divenuti in un certo senso una nazione di sopravvissuti, grazie alla leadership di personaggi come Geremia, che non è solo, così come non lo sono altri grandi leader come Mosè e Isaia, colui che aveva previsto la distruzione. Ciò che accomuna queste figure è l’essere profeti di speranza, che non significa essere degli ottimisti. Essere ottimista vuol dire essere convinti che le cose andranno meglio, avere speranza è la convinzione che se lavoriamo duramente assieme possiamo migliorare le cose, così come vediamo mirabilmente nel cap. 31 del libro (Gr 31, 15-16): Così dice il Signore: Trattieni la tua voce dal pianto e i tuoi occhi dal versar lacrime, perché le tue pene saranno ricompensate, dice il Signore; essi torneranno dalla terra del nemico. C’è speranza per il tuo avvenire, dice il Signore. I tuoi figli torneranno nei loro confini. È vero poi che Geremia ha criticato il popolo ebraico, ma lo stesso Geremia ha pronunciato, proprio nel mezzo della critica, indimenticabili parole d’amore (Gr 2, 2): Io ricordo in tuo favore la bontà di quando eri fanciulla, l’amore di quando eri sposa, il fatto che andasti dietro di Me sul deserto, in terra non seminata. Infine Geremia è colui che ha attribuito al popolo ebraico una funzione universale, Geremia stesso è “un profeta per le nazioni” (Gr 1, 5). Ciò attribuisce alla sua preoccupazione per il suo popolo forza e dignità morale, e gli ha consentito di risollevarsi, riprendendosi dalla crisi, e andare avanti (vedi Sacks 2014 c). Rispondendo a Rav Sacks, Rav Shalom Carmy ritiene che i due messaggi del capitolo 29 di Geremia, che la vita ebraica può continuare o persino prosperare in esilio, e che è necessario cercare il benessere della città in cui si dimora, siano determinati dal tempo in cui il messaggio è stato espresso. Oggi a suo avviso ci troviamo in una situazione differente, confrontandoci con 4 ARIEL DI PORTO LA LETTERA DI GEREMIA AGLI ESILIATI il secolarismo proprio del mondo occidentale, che almeno per il momento non è monolitico, e non rappresenta l’ideologia ufficiale del regno. Per questo, anche tenuto conto del fatto che in democrazia siamo cittadini, e non sudditi, cristiani ed ebrei hanno l’opportunità di fornire la loro alternativa culturale al secolarismo (Carmy 2014). Bibliografia Carmy, Shalom, 2014. Sinai’s Universalism. www.firstthings.com/article/2014/01/sinaisuniversalism-1 Chilton Callaway, Mary, 2020. Jeremiah Through the Centuries. Oxford: Wiley-Blackwell Neher, Andrè 2005. Firenze: Giuntina Sabato, David 2016. The Prophecy Concerning The Exiles In Bavel - Yirmeyahu 29. www.haretzion.linnovate.co.il/en/tanakh/neviim/sefer-yirmeyahu/prophecy-concerningexiles-bavel-yirmeyahu-29 Sacks, Jonathan 2014a. On Creative Minorities. www.firstthings.com/article/2014/01/oncreative-minorities Sacks, Jonathan 2014b. Behar (5774) – Think Long. www.rabbisacks.org/behar-5774-thinklong/ Sacks, Jonathan 2014c. Masei (5774) – Leadership www.rabbisacks.org/masei-5774-leadership-time-crisis/ at Time of Crisis. Thelle, Rannfrid I., 2009. Babylon in the Book of Jeremiah (MT): Negotiating a Power Shift, in Prophecy in the Book of Jeremiah, a cura di H. M. Barstad e R. G. Kratz. Berlino-New York: De Gruyter 5