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Bambach 2023, Rubens e la sua risposta a Leonardo. Italiano

2023, IL TOCCO DI PIGMALIONE: RUBENS E LA SCULTURA A ROMA

The Italian text of my essay. Present Rubens scholarship has focused almost exclusively on a handful of copies by the Flemish artist after Leonardo da Vinci's works. Virtually overlooked in the literature, however, is the much larger and important context of his self-fashioning. As I argue here, Leonardo provided an extraordinary role model for Rubens as a 'pictor doctus' beyond his art -- as 'persona' and artist of polymathic learning, elegant courtier, ambitious art theorist, and ultimately unrealized author. This paper reconstructs a large body of evidence and provides a framework for future research on this fascinating subject. My essay was published in English and Italian languages, both files are uploaded on the Academia site.

RUBENS E LA SCULTURA A ROMA euro 42,00 IL TOCCO DI PIGMALIONE 1601-1608: Rubens a Roma, Rubens e la Galleria di Scipione Borghese. Un incontro che cambierà la storia dell’artista e quella della collezione. Non solo la pittura, ma anche la scultura faranno i conti per tutto il secolo con questo passaggio e con le sue conseguenze. a cura di Francesca Cappelletti e Lucia Simonato IL TOCCO DI PIGMALIONE. RUBENS E LA SCULTURA A ROMA 14 novembre 2023 – 18 febbraio 2024 Direttrice Generale della Galleria Borghese Francesca Cappelletti Ufficio prestiti Silvia Lucantoni Federica Pietrangeli Consiglio di Amministrazione Francesca Cappelletti, presidente Marco Cammelli Fabiano De Santis Mariastella Margozzi Ilaria Miarelli Mariani Ufficio tecnico Agnese Murrali Annalisa Ruocco Comitato Scientifico Patrizia Cavazzini Alessandro Ippoliti Luigi Pomponio Collegio dei revisori dei conti Fernanda Ballardin, presidente Marco Coletta Paola Passarelli Ufficio della Direttrice Gloria Antonelli Funzionarie Storiche dell’arte Lucia Calzona Geraldine Leardi Maria Giovanna Sarti Emanuela Settimi Stefania Vannini Ufficio restauro Costanza Longo Barbara Provinciali con Dorina Inglese Ufficio mostre Geraldine Leardi Ufficio comunicazione e promozione Maria Laura Vergelli Ufficio bilancio e programmazione Cinzia Guglielmi con Mariangela Cecere (Ales) Tatiana De Cola (Ales) Ufficio affari legali Monica Pantaleo Ufficio gare e contratti Martina Massarelli (Ales) Ufficio iconografico Maria Giovanna Sarti Servizio educativo e accessibilità Maria Giovanna Sarti Stefania Vannini Ufficio eventi Cinzia Guglielmi Ufficio del personale Roberta Gentile con Mauro Ansovini Tiziano De Deo (Ales) Ufficio del protocollo Anna Lo Cascio Elisabetta Sandrelli Ufficio del consegnatario Pietro Felici Accoglienza e informazioni Armando Peppetti Assistenti di sala Christiana Anastasi, Scilla Bonini, Paola Buzzi, Andrea Campagnolo, Ciro Coppola, Miriam Corrada, Assunta Curto, Daniela De Cesaris, Nicola Debiasi, Giulia Della Vecchia, Nadia Di Giandomenico, Stefano Fazzi, Daniela Frillocchi, Maria Clara Garofalo, Tiziana Gorini, Gabriele Labianca, Natalino Lampasona, Nicoletta Latteri, Donatella Luciani, Laura Marzo, Adelmo Morganti, Giulia Olivetti, Stefania Olivieri, Chiara Petracci, Palma Petrelli, Marco Petroselli, Roberta Picardi, Giuseppina Pierucci, Roberto Pinto, Rossella Ranieri, Franca Sacchinelli, Paola Savignano, Serena Sergiampietri, Alex Silvestri, Francesca Silvia, Michela Taglioni, Francesca Tota Ales Louise Beaudean, Eliphas Biasciucci, Lorena Bonanotte, Roberto Casella, Teresa Croce, Eliana Fiamin, Margherita Masi, Giulia Monti, Gabriella Natale, Luisa Polcari, Barbara Ripabella, Giulia Spada Collaboratori esterni Costanza Molini (ufficio mostre) Annalaura Valitutti (ufficio mostre) Giulia Siotto (ufficio restauro) Ileana Pallai (ufficio tecnico) Raffaele Valente (ufficio tecnico) Lara Facco (ufficio stampa) Giulia Bandini (servizio educativo) Rasul Mojaverian (ufficio accessibilità) Anastasia Diaz della Vittoria Pallavicini (ufficio comunicazione/eventi) Diletta Fenicia Moricca (ufficio comunicazione, membership) Dinamica (sito web e social network) Simona Ciofetta (archivi digitali e catalogo online) Claudia Sciarra (sito web) Rebecca Linguanti (ufficio gare e contratti) Michela Reggio d’Aci (ufficio gare e contratti) Thomas Clement Salomon (progetti direzione) Vigilanza Veruska Addesa, Alessio Casadei, Sebastian Coluzzi, Riccardo Corradini, Alessia Di Cesare, Rosa Fiorini, Fabrizio Franconi, Luca Fuligna, Valerio Massimo Garofalo, Emanuela Giovannini, Ermira Hashorva, Simone Longo, Simone Paolicelli, Francesco Petroselli, Maria Concetta Puletti, Mirko Scardamaglia, Antonio Vairano A cura di Francesca Cappelletti e Lucia Simonato Supervisione e coordinamento generale Geraldine Leardi Coordinamento prestiti Costanza Molini Coordinamento assicurazioni e trasporti Annalaura Valitutti Rapporti internazionali Thomas Clement Salomon Progetto di allestimento, illuminazione e grafica in mostra progetto allestimento PANSTUDIO architetti associati Arch. Cesare Mari progetto illuminotecnico Francesco Murano progetto grafico Cristiano Coppi per Metilene Supervisione allestimenti, illuminazione e sicurezza per il Museo Agnese Murrali Barbara Provinciali Annalisa Ruocco Accoglienza e allestimento delle opere Silvia Lucantoni Costanza Molini Federica Pietrangeli Annalaura Valitutti Revisione conservativa delle opere Giovanna Antonelli Matilde Migliorini Realizzazione allestimento e apparati grafici Articolarte Trasporti Apice Srl Arterìa Assicurazioni AGE Assicurazioni Gestione Enti Srl Albo dei prestatori Bayerische Staatsgemäldesammlungen München – Alte Pinakothek Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Pinacoteca – Milano Bayerisches Nationalmuseum, München The British Museum, London Gallerie Nazionali di Arte Antica, Roma Musée du Louvre, Paris The Metropolitan Museum of Art, New York National Gallery of Art, Washington Museo Nacional del Prado, Madrid Wallraf-Richartz-Museum & Fondation Corboud, Cologne Kupferstich-Kabinett, Staatliche Kunstsammlungen Dresden Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria Palatina Rijksmuseum, Amsterdam The Morgan Library, New York Nationalmuseum, Stockholm Rubenshuis, Antwerp Gallerie dell’Accademia di Venezia Philadelphia Museum of Art Musei del Bargello, Firenze Accademia Nazionale di San Luca, Roma The Israel Museum, Jerusalem The National Gallery, London Liechtenstein. The Princely Collections, Vaduz –Vienna Ringraziamenti Francesca Borgo Paola D’Agostino Guglielmo De Santis Lucia Faedo Gabriele Finaldi Elizabeth McGrath Sara Petrilli-Jones Ulrich Pfisterer Salvatore Settis Andrés Úbeda de los Cobos Alejandro Vergara Un ringraziamento speciale a Mattia De Luca per la sua grande generosità. Le curatrici sono molto riconoscenti a Lara Scanu per il suo fondamentale aiuto nella redazione di questo catalogo. Un ringraziamento particolare va a tutto il personale della Galleria Borghese. Catalogo Testi di Adriano Aymonino Carmen C. Bambach Francesca Cappelletti Alessandro Giardini David Jaffé Lucia Simonato Schede di Luca Annibali Giulia Bandini Marco Bei Bruna Bianco Vittoria Brunetti Andrea Crimi Giulia Daniele Giovanni Lusi Elisa Martini Marcantonio Massimo Lucrezia Mastropietro Maria Gabriella Matarazzo Alessandro Pinto Folicaldi Nadia Rizzo Sara Sciascia Shlomit Steinberg Claudio Tongiorgi Coordinamento editoriale Federica Boragina Progetto grafico Angelo Galiotto Impaginazione Giorgia Dalla Pietà Redazione Laura Guidetti Traduzione Alessandra Gallo e Corrado Piazzetta per Scriptum, Roma Ricerca iconografica Simona Pirovano SOMMARIO 9 Rubens a Roma. Una mostra oltre il ‘paragone’ Francesca Cappelletti 10 Rubens e la Galleria Borghese Lucia Simonato, Francesca Cappelletti 101 I. Il mito del Barocco 111 II. Rubens e la storia 13 33 129 III. Corpi drammatici “Materia e forma, pietra e immagine”: la riproduzione a stampa della statuaria classica prima e dopo Rubens Adriano Aymonino 143 IV. Corpi statuari Rubens, pictor doctus, e la sua risposta a Leonardo Carmen C. Bambach 159 VI. La nascita della scultura pittorica 153 V. Rubens e Caravaggio 183 VII. Il tocco di Pigmalione 59 73 Assimilazione e invenzione: cavalli rampanti e il ‘taccuino’ perduto di Rubens David Jaffé Rubens, Bernini e la nascita della scultura ‘pittorica’ Lucia Simonato 201 VIII. Rubens e Tiziano 210 Appendice. Peter Paul Rubens, De imitatione statuarum a cura di Alessandro Giardini 216 Bibliografia RUBENS, PICTOR DOCTUS, E LA SUA RISPOSTA A LEONARDO CARMEN C. BAMBACH Le numerose battaglie e le feroci scene di caccia dipinte da Rubens sono state a lungo interpretate come altrettanti ‘riflessi’ della Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci. Tra i numerosi disegni del maestro toscano riconducibili a quell’opera, pochi eguagliano la potenza visiva di quello a penna e inchiostro bruno, matita morbida nero-grigiastra e matita rossa conservato alle Gallerie dell’Accademia di Venezia (fig. 1)1. In questo foglio, celebre già all’epoca della sua esecuzione, convivono la “scientia” del genio vinciano e l’espressione impetuosa della “pazzia bestialissima”, cioè della follia animalesca che si scatena durante ogni guerra: la prima è visibile nella parte superiore della pagina, in cui spicca lo studio accurato – corredato da annotazioni esplicative – della fisionomia e delle proporzioni di una figura maschile di profilo raffigurata fino al busto (quadrettato e misurato con piccoli fori fatti con il compasso), mentre nella porzione inferiore il vigoroso schizzo a matita rossa raffigura soldati e cavalli che si lanciano furiosamente nella battaglia2. Nel 1568, a proposito della Battaglia di Anghiari Giorgio Vasari scrisse: “non si conosce meno la rabbia, lo sdegno e la vendetta negli uomini, che ne’ cavalli”3. Da studioso, Leonardo aveva meditato per oltre un decennio su ogni particolare della composizione di una scena di battaglia, prima di ricevere la commissione di Anghiari intorno al 24 ottobre 15034. Le annotazioni del 1490-1492 circa per il suo trattato incompiuto, il Libro di pittura, offrono una descrizione dettagliata del modo in cui un pittore dovrebbe raffigurare un combattimento: l’autore comincia la trattazione definendo l’atmosfera e la scenografia per l’azione drammatica: “farai prima il fumo dell’artiglieria mischiato infra l’aria insieme con la polvere mossa dal movimento de cavalli, de combattitori, la quale mistione userai così”5. In seguito, tra il 1505 e il 1510, in un’annotazione frammentaria per il suo trattato sulla pittura Leonardo conierà l’espressione “pazzia bestialissima” per definire la dimensione espressiva di una scena di guerra6. Tutto ciò aiuta a comprendere perché Rubens trovò ispirazione nella Battaglia di Anghiari sia in quanto composizione estetica straordinariamente dinamica sia come esempio di “pazzia bestialissima” nell’ambito della teoria del gesto del maestro toscano, che risulta quasi palpabile nel suo grande disegno del 1600 circa o poco successivo, oggi conservato al British Museum (fig. 2)7. Rubens elaborò questa composizione (41,5 × 52,1 cm) con una suggestiva tecnica di sfumato, reso con una matita morbida nero-grigiastra e lievi tocchi di sanguigna, e qui e là approfondì il chiaroscuro con vigorose acquerellature in grigio e bruno. Il foglio del British Museum è una libera improvvisazione sul tema centrale della Lotta per lo stendardo nella Battaglia di Anghiari di Leonardo, in cui massicci gruppi di soldati intrecciati e cavalli impetuosi, forse studiati su modelli in argilla scolpiti in rilievo, sono spesso osservati da dietro e si estendono drammaticamente nello spazio in senso diagonale. Nell’angolo superiore sinistro del foglio Rubens scrisse a matita nera una nota iconografica (oggi molto sbiadita): “sara Medesima[.] far si che colui / il corpo si alsi su piedi sopra le staffe / per avvicinare gli nemici”. Anche se questa nota frammentaria non ricalca il contenuto del lungo precetto scritto da Leonardo nel trattato di pittura su “come si debbe figurar una battaglia”8, Rubens ne coglie l’essenza, quasi partecipando a un dialogo che arricchisce il pensiero del maestro. Il monumentale intreccio di figure e cavalli nella composizione evoca la “turbulenzia” e il soldato centrale in sella ha i “denti spartiti in modo di gridare con lamento”, come prescritto da Leonardo. Non meno importanti sono l’estremo realismo, l’uso drammatico della luce e il trattamento dell’atmosfera resi con la tecnica della matita acquerellata, con cui Rubens cerca di imitare i riferimenti di Leonardo alla “polvere grossa” e altri effetti scenici delle battaglie: “dalla parte che viene il lume parrà questa mistione d’aria, fumo e polvere molto più lucida che dalla opposita parte”9. 33 Una replica fedele e accurata da un disegno perduto di Rubens del 1600-1605, eseguita a penna e inchiostro e conservata a Edimburgo, raffigura una Battaglia delle Amazzoni disseminata di note in latino, anziché in italiano: “Maxima púlvis núbis instar / aút Caliginis” (“tantissima polvere come una nuvola o una nebbia”)10; “púlvis longo tractu / a tergo albescit” (“la polvere per un lungo tratto, si schiarisce nella parte posteriore”) e “ad pedes lúx clarior” (“ai piedi una luce più brillante”)11. Le “oscure nuvole” e il “fumo che si mischia infra l’aria inpolverata”, dovuti ai cavalli e ai soldati che calpestano il campo di battaglia, così vividamente descritti da Leonardo nei suoi testi per il Libro di pittura, risuoneranno a lungo nella mente di Rubens e della sua cerchia, come dimostrano i loro disegni, gli schizzi a olio e i dipinti fino agli anni trenta del Seicento12. Come si nota negli esempi citati, i disegni di Rubens e dei suoi allievi presentano spesso dettagliate annotazioni, infatti fin dall’inizio della sua carriera il grande maestro fiammingo sapeva che Leonardo era solito riempire i propri disegni di prolisse osservazioni13. Un esempio significativo di nota iconografica, fra i tanti, si trova sul Nettuno con cavalli marini di Leonardo (fig. 3), del 1503-1505 circa, conservato a Windsor; questo grande schizzo per il disegno poi presentato ad Antonio Segni, eseguito in matita sfumata grigio-nera, ha la medesima straordinaria grandiosità e atmosfera di azione tempestosa della Battaglia di Anghiari14. Nella parte superiore sinistra del foglio, con la stessa matita usata per il disegno, Leonardo annota: “abassa i chavalli”, per ricordarsi che l’eroico dio nudo doveva spiccare di più rispetto alla quadriga dei suoi cavalli marini. È molto probabile che Rubens conoscesse i disegni del maestro toscano, come il Nettuno ad esempio, e avesse studiato nel dettaglio le sue teorie sulla pittura, dato che aveva accesso alle collezioni di disegni di Leonardo di provenienza Melzi-Leoni-Windsor15. Inoltre, come si dirà, Roger de Piles accenna al fatto che Rubens aveva studiato il materiale leonardiano appartenente a Pompeo Leoni16. Ricordiamo che all’inizio del Seicento copie manoscritte del Libro di pittura circolavano nell’Italia settentrionale, a Firenze e a Roma, e ciò accadeva già molto prima del 1651, data della sua pubblicazione a Parigi (come si accennerà più avanti nel testo)17. L’opera più celebre realizzata da Rubens d’après un artista italiano del passato è la maestosa composizione conservata al Louvre (fig. 4), brillante rielaborazione di una copia della perduta Battaglia di Anghiari. Tra il 1600 e il 1608 Rubens trasformò questo disegno in un vero e proprio dipinto su carta, e lo rimaneggiò nuovamente alla fine del 1610, dopo il suo ritorno ad Anversa18. Il disegno-dipinto del Louvre restituisce alla perfezione il temperamento selvaggio e primitivo della “pazzia bestialissima” che Leonardo voleva per le sue scene di battaglia. Naturalmente Rubens non poté mai vedere a Firenze l’originale della Battaglia di 1. Leonardo da Vinci, Busto di uomo di profilo con studio di proporzione; studi di soldati e di cavalli per la Battaglia di Anghiari (recto), 1490-1495 circa e 1503-1505 circa. Venezia, Gallerie dell’Accademia, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. 236r 2. Peter Paul Rubens, Disegno ispirato alla Lotta per lo stendardo di Leonardo, con altri motivi di cavalli e soldati in lotta, 1600 circa. Londra, British Museum, inv. 1895.0915.1044 Anghiari andato distrutto. Non stupisce quindi ciò che sappiamo oggi – grazie alle laboriose osservazioni di prima mano dell’originale di Rubens da parte di numerosi studiosi – e cioè che per realizzare la composizione del Louvre, Rubens è intervenuto su una copia indiretta già esistente19. Gli strati di disegno di questa copia anteriore (precedente ai ritocchi di Rubens) erano stati realizzati dopo la metà del Cinquecento in matita nera, penna e inchiostro bruno, pennello e acquerello bruno forse da due mani diverse20. Dopo essersi appropriato di questo cimelio del passato, Rubens aggiunse i suoi strati di disegno a pennello con acquerellature in bruno e grigio, a pennello con bianco bluastro, grigio e gouache bianca. Inoltre in un secondo momento ampliò la scena, incollando strisce di carta sui quattro lati21. Le due fasi di lavoro sul disegno-dipinto del Louvre testimoniano quindi il persistente interesse di Rubens per l’ingegno compositivo di Leonardo. Il foglio inizialmente misurava 42,8 × 57,7 cm (con l’usura del tempo si era strappato in due parti che erano state poi ricongiunte), ma dopo le aggiunte di Rubens sui quattro lati la scena di battaglia misurava 45,3 × 63,6 cm. La composizione del Louvre raffigura l’episodio più celebre, la Lotta per lo stendardo, che doveva essere il punto focale al centro del dipinto immaginato da Leonardo. La Battaglia di Anghiari e la Battaglia di Cascina di Michelangelo avrebbero dovuto affiancare l’importante struttura lignea (una tribuna, con gli scranni del gonfaloniere e dei buonomini della Repubblica) nella Sala del Gran Consiglio nel Palazzo della Signoria (oggi Palazzo Vecchio). A mio avviso, sulla base della direzione della luce osservata nelle copie, la Battaglia di Anghiari era probabilmente destinata alla parete est, a destra della tribuna dei Signori (guardando la parete orientale)22. L’opera di Leonardo doveva rivaleggiare con la Battaglia di Cascina di Michelangelo, mai realizzata. Quest’ultima fu commissionata un anno dopo, tra l’agosto e il settembre del 1504, e doveva essere dipinta a buon fresco, sempre sulla parete est della Sala del Gran Consiglio, ma a sinistra della tribuna dei Signori23. Anche questa collocazione è confermata dalla direzione della luce osservata nelle copie della Battaglia di Cascina, soprattutto in quella risalente al 1540 circa di Bastiano (detto Aristotile) da Sangallo, conservata presso la Holkham Hall24. Un disegno dalla Battaglia di Anghiari, eseguito principalmente in matita nera e in parte rimaneggiato con pennello e acquerello grigio, penna e inchiostro bruno (venduto da Sotheby’s nel 2019; fig. 5), somiglia così precisamente al motivo del foglio di Rubens al Louvre da suggerire decisamente una fonte comune. Anche le dimensioni sono molto simili a quelle del foglio che costituisce il nucleo della composizione di Rubens (43,5 × 56,5 cm)25. A mio avviso, si tratta della copia più autorevole del cartone di Leonardo, risalente agli anni sessanta del Cinquecento, eseguita da un artista vicino a Giovanni Stradano (Jan van der Straet 3. Leonardo da Vinci, schizzo per il disegno presentato ad Antonio Segni: Nettuno con cavalli marini, 1503-1505 circa. Castello di Windsor, Royal Library, inv. RCIN 912570 CARMEN C. BAMBACH 34 RUBENS, PICTOR DOCTUS, E LA SUA RISPOSTA A LEONARDO 4. Peter Paul Rubens, su disegno cinquecentesco (e con aggiunte successive), progetto dalla Lotta per lo stendardo di Leonardo nella Battaglia di Anghiari, 1600-1608 circa, 1615-1620. Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts graphiques, inv. 20271 5. Artista vicino a Jan van der Straet (Giovanni Stradano), qui attribuito, dalla Lotta per lo stendardo di Leonardo nella Battaglia di Anghiari, 1560-1570. Collezione privata (per gentile concessione di Sotheby’s, Londra) 35 [1523-1605]), collaboratore di Vasari al Salone dei Cinquecento (la nuova veste della Sala del Gran Consiglio). La Lotta per lo stendardo fu l’unico motivo della composizione che Leonardo tentò di dipingere, molto prima di aver completato il cartone preparatorio o il disegno a grandezza naturale. Il suo cartone era stato commissionato nell’ottobre del 1503 e quando fu esposto riscosse un enorme successo di pubblico, come sappiamo da Vasari, da Benvenuto Cellini e da altri autori26. Nel 1505-1506 Leonardo sperimentò una tecnica di pittura a olio “a secco” ad asciugatura lenta, con risultati disastrosi. Due copie su tavola, in cui anonimi artisti cinquecenteschi hanno rappresentato le figure leonardiane dipingendole a risparmio su uno sfondo dalle tonalità giallo-brunastre che doveva indicare (approssimativamente) il colore dell’intonaco del murale incompiuto, rappresentano la condizione in cui Leonardo abbandonò l’opera. Queste repliche sono la cosiddetta Tavola Doria (già a Napoli, collezione Doria d’Angri; fig. 6), ora di proprietà congiunta del Tokyo Fuji Art Museum e dello Stato italiano, e la tavola esposta a Palazzo Vecchio (Firenze, Gallerie degli Uffizi 1890, n. 5376; fig. 7)27. Analisi comparative di queste copie pittoriche dimostrano che sia nel caso della composizione di Rubens al Louvre (fig. 4) sia in quello della copia italiana su carta della metà del Cinquecento (fig. 5) la fonte originale deve essere una delle prime copie del cartone di Leonardo, anziché la porzione dipinta dall’artista sulla parete. I resti danneggiati di quel poco che il maestro aveva dipinto nella Sala del Gran Consiglio scomparvero con la ristrutturazione operata da Vasari tra il 1563 e il 1572. I frammenti del celebre cartone (incompiuto) per la Battaglia di Anghiari cominciarono a deperire probabilmente nel 1510-1512, ed è verosimile che negli anni tra il 1520 e il 1540 ne rimanesse ben poco. Il progetto della Battaglia di Anghiari, con la pittura frammentaria e degradata del motivo centrale sulla parete, rappresentò un epico fallimento pubblico nella carriera professionale di Leonardo; e la porzione dipinta fu coperta nel 1512. Trasformata dall’ingenium, dallo stile personale e dalla “furia del pennello” peculiari del vocabolario pittorico rubensiano, la Battaglia di Anghiari del Louvre (fig. 4) ha finito per rappresentare per i posteri tutto ciò che Leonardo aveva immaginato in termini di espressività e ferocia per il suo murale perduto28. Si tratta senza dubbio della risposta più ispirata a Leonardo mai prodotta da un artista. Inoltre, come gli studiosi hanno riconosciuto, lo spirito della Battaglia di Anghiari dal punto di vista compositivo si ritrova in molte delle opere raffiguranti battaglie e scene di caccia dipinte da Rubens nel corso di tutta la carriera. Eppure, nonostante l’enorme valenza visiva della composizione del Louvre nella produzione del maestro fiammingo, gli studiosi hanno trovato sorprendentemente difficile esprimersi sulla percezione che Rubens potrebbe aver avuto di Leonardo, una questione 6. Da Leonardo da Vinci, copia della Lotta per lo stendardo nella Battaglia di Anghiari (cosiddetta Tavola Doria), ante 1563. Proprietà congiunta del Tokyo Fuji Art Museum e dello Stato italiano che va al di là delle evidenze stilistiche, delle incertezze sulle attribuzioni e dell’ardua identificazione delle fonti visive nei disegni dell’anversese, pur affrontate con ammirevole precisione filologica29. Le prove suggeriscono che il maestro fiammingo continuò a rispondere a Leonardo in modo più o meno diretto e preciso nel corso di tutta la carriera. Cercherò in questa sede di ricomporre un contesto estremamente frammentario, così da illustrare quali aspetti concettuali della produzione, del pensiero e della biografia di Leonardo potrebbero aver influenzato il fiammingo. Nella classifica dei grandi artisti del Rinascimento italiano che Rubens stimava, Tiziano – morto nel 1576, l’anno prima della sua nascita – fu senza dubbio il suo pittore ‘moderno’ preferito, tanto che ne studiò con attenzione lo stile e ne copiò le opere30. Numerose copie ancora esistenti eseguite dallo stesso Rubens e da altri artisti presenti nella sua collezione personale testimoniano anche la sua profonda e persistente venerazione per le sculture e gli affreschi di Michelangelo31. Nel 1600-1608, Rubens disegnò a matita nera e rossa una replica fedele e straordinariamente accurata dei possenti nudi maschili visibili in basso a sinistra nel Giudizio universale (New York, collezione privata; fig. 8); si tratta delle figure della parte più direttamente accessibile dell’affresco, quella che rappresenta la Resurrezione della carne32. Come sappiamo, l’ammirazione di Rubens per Michelangelo era in contrasto con il gusto del primo Seicento. Infatti già dalla presentazione del Giudizio universale nel dicembre 1541 e per gran parte della seconda metà del secolo, lo stile e la ‘terribilità’ degli ultimi lavori del maestro toscano non erano più così alla moda; la sovrabbondanza di figure nude in pose tanto complesse era stata condannata dai teorici della Controriforma come blasfema ed eccessiva, e a volte il suo stile veniva persino ridicolizzato33. Rispetto a Michelangelo, le ancor più numerose copie di Rubens da Raffaello (e i suoi disegni ispirati alle incisioni di Marcantonio Raimondi sempre da quest’ultimo) confermano la preminenza indiscussa dell’arte dell’Urbinate, non solo per Rubens e la sua cerchia, ma anche per la storia del gusto tra gli artisti e i collezionisti cinque e secenteschi34. Per contro, sono pochissime le copie da Leonardo eseguite da Rubens e dai suoi collaboratori e, come la Battaglia di Anghiari del Louvre, nessuna è stata realizzata osservando direttamente un originale35. Tuttavia, basarsi su questa scarsità di repliche come unico metro per misurare l’impatto di Leonardo su Rubens rischia di portarci fuori strada. Rubens probabilmente conosceva meglio di quanto sospettiamo il vasto patrimonio di disegni e manoscritti teorici di Leonardo (lo si vedrà tra poco). Tuttavia agli inizi del Seicento altre prove dell’arte del genio vinciano erano meno accessibili e le opere pittoriche autografe erano ben poche. Un esiguo numero di dipinti da cavalletto si trovava in Francia, alcuni già dal 1518, anche se in Italia e nel resto d’Europa ne circolavano numerose copie. Rubens dipinse il Ritratto di signora ora a Windsor (fig. 9) intorno al 7. Da Leonardo da Vinci, copia della Lotta per lo stendardo nella Battaglia di Anghiari, ante 1563. Firenze, Museo di Palazzo Vecchio, inv. 1890, n. 5376 1625-1628, mentre era impegnato nel progetto per Maria de’ Medici a Parigi36. La tela, che rappresenta la donna di tre quarti, con lo sguardo diretto verso l’osservatore, il capo leggermente voltato a sinistra e le mani elegantemente incrociate all’altezza della vita, è un’ispirata risposta personale al modello della Gioconda di Leonardo (fig. 10). Il Ritratto di dama con ventaglio, in prestito al Museo Boijmans van Beuningen37, risale al 1625-1635 ed è un’opera meno convincente di Rubens e bottega, tuttavia anch’esso rende omaggio alla posa della Monna Lisa. Il maestro fiammingo aveva visto di persona il dipinto originale di Leonardo a Fontainebleau e, se si può prestar fede a Cassiano dal Pozzo, è possibile che abbia condiviso le sue riflessioni sul quadro con il duca di Buckingham. Un lungo passaggio nel diario del 1625 di Cassiano registra la visita al castello di Fontainebleau e descrive la Gioconda nella Galerie des peintures, con il seguente accenno a Rubens: “5o Un ritratto, della grandezza del vero, in tavola incorniciato di noce intagliato, è mezza figura et è ritratto d’una tal Gioconda. Questa è la più compiuta opera che di quest’autore si veda […] In somma con tutte le disgratie che questo quadro habbi patito, la faccia et le mani si mostrano tanto belle, che rapiscono chi le mira. Il Duca di Buchingam, mandato d’Inghilterra per condur la sposa al nuovo re, hebbe qualche intention d’haver questo ritratto, ma essendone stato distolto il re dall’istanze fattegli da diversi, che messero in consideratione che S. M. mandava fuor del regno il più bel quadro che havesse, detto Duca sentì con disgusto questo intorbidamento e, tra quelli con chi si dolse fu il Rubens d’Anversa, Pittor dell’Arciduchessa”38. La Gioconda originale e altri tre dipinti di Leonardo furono visti da Antonio de Beatis e dal suo mecenate, il cardinale Luigi 8. Peter Paul Rubens da Michelangelo, studi di figura dall’affresco del Giudizio universale, 1600-1602 circa. Collezione privata CARMEN C. BAMBACH 36 RUBENS, PICTOR DOCTUS, E LA SUA RISPOSTA A LEONARDO 37 di Santa Maria delle Grazie, che “incomincia a guastarsi”44. Leonardo aveva dipinto l’affresco con una tecnica sperimentale a secco, usando tempera grassa e olio sull’intonaco. Giovanni Battista Armenini nel suo De’ veri precetti della pittura (Ravenna 1586 e 1587) dopo aver visto il Cenacolo lo aveva descritto come “mezzo guasto”45. Eppure la straordinaria imponenza e la struttura ritmica della disposizione delle figure nel Cenacolo incantarono Rubens e la sua risposta alla composizione fu personale e inaspettatamente vivace. Due suoi fogli con schizzi audaci e altamente espressivi a penna e inchiostro bruno, ora alla Chatsworth House e al J. Paul Getty Museum, raffigurano gruppi di figure strettamente intrecciate che pulsano di movimento e forse erano idee per un dipinto dallo stesso soggetto46. I gesti amplificati degli apostoli intorno a Gesù, visti in una prospettiva obliqua, creano un’esuberante azione drammatica che va ben oltre le limpide geometrie che governano gli spazi e la disposizione delle figure in Leonardo. Sul recto del foglio del Getty Rubens scrisse un promemoria sopra le teste degli apostoli, per ricordarsi di aumentare la drammaticità delle pose: “Gestus magis largi longiq[ue] / brachijs extensis” (“i gesti [devono essere] più ampi e più larghi / con le braccia distese”)47. Come ha osservato Jeremy Wood, il Cenacolo era ben noto e copiato anche nella cerchia di Rubens, ad esempio da Pieter Soutman e Jacob de Witt48. Il disegno alquanto grezzo e parzialmente incompleto conservato al Musée des Beaux-Arts di d’Aragona, durante le loro visite del 10 e dell’11 ottobre 1517 alla dimora di Amboise e nel Castello di Blois, meno di due anni prima della morte del maestro39. Queste opere facevano probabilmente parte del lotto che l’incorreggibile allievo Salaj (Gian Giacomo Caprotti) vendette a Francesco I nel 151840. Il diario di Cassiano dal Pozzo del 1625 cita anche altri dipinti attribuiti a Leonardo, ed è lecito chiedersi se Rubens ne abbia tratto ispirazione verso la fine degli anni venti del Seicento41. Nel 1640, al momento della morte, Rubens possedeva “Vn pourtrait sur toile apres Leonardo da Vinci”, elencato nell’inventario dei suoi dipinti42 e anche se si può escludere che si tratti di un’opera autografa (Leonardo non dipingeva su tela), il fatto che egli possedesse un tale dipinto conferma in generale il suo impegno di rappresentare il maestro toscano nella propria collezione. Anche Federico Zuccaro aveva potuto vedere di persona la 9. Peter Paul Rubens, Ritratto di donna, 1625-1630 circa. Royal Collection Trust, inv. RCIN 400118 Digione, eseguito a penna e inchiostro con acquerellature sulla base dell’Ultima cena danneggiata di Leonardo, è stato declassato nell’attribuzione a un “artista fiammingo d’après Rubens”; sotto la tovaglia la composizione è incompleta e al posto dei piedi degli apostoli vi sono soltanto scarabocchi49, inoltre sul verso sono presenti note in olandese riguardanti il colore per gli abiti delle figure. Nell’Abregé de la vie des peintres (Parigi 1699) Roger de Piles dice di aver tradotto in francese un taccuino di Rubens scritto in latino, oggi perduto – afferma “dont l’Original est entre mes mains”50 – che sembra contenesse un lungo brano con la descrizione e le sue reazioni al Cenacolo leonardiano. Secondo quanto riferito da De Piles, Rubens riteneva che i superbi risultati raggiunti da Leonardo nell’Ultima Cena fossero impossibili da descrivere a parole e da imitare nell’arte: “Enfin par un effet de ses profondes spéculations, il est arrivé à un tel degré de perfection, qu’il me paroît comme impossible d’en parler assez dignement, & encore plus de l’imiter”51. Uno degli oggetti più interessanti di proprietà di Rubens – che tuttavia non è stata analizzata in relazione alla sua ammirazione per il Cenacolo – era un’edizione a stampa delle Novelle di Matteo Bandello (Lucca 1554), dove la novella 58 (l’ultima della prima parte) contiene la celebre descrizione dei metodi di lavoro del vinciano. Il racconto è dedicato a Ginevra Rangoni (1487-1540), la quale sposò un Gonzaga del ramo cadetto della nobile famiglia che due Gioconda durante il suo soggiorno in Francia nel 1573-1574, ma non ne era rimasto particolarmente colpito. Secondo una nota in una postilla alla sua copia della Vita di Leonardo di Vasari (nell’edizione del 1568), la Monna Lisa non solo era “secha e di poco gusto e da fugirla e non dar fine mai a cosa alcuna come fece il ditto Lionardo che se ne consumo la vita in sustanzie di parole e giribizzi sufistichi e di poca utilita a se stesso e al arte”43. Questa critica mette in prospettiva la fama di Leonardo, che non era monolitica, soprattutto agli occhi di un pittore fiorentino tardo-manierista. All’epoca di Rubens i dipinti murali di Leonardo non erano più in condizioni del tutto identiche all’originale o erano scomparsi (fig. 11). Due mesi dopo la visita all’anziano maestro ad Amboise, Antonio de Beatis riferisce nel suo diario dal 20 al 30 dicembre 1517 di aver visto a Milano l’Ultima Cena nel refettorio 10. Leonardo da Vinci, Gioconda, iniziata nel 1503. Parigi, Musée du Louvre, Département des Peintures, inv. 779 11. Leonardo da Vinci, Ultima cena, 1493/1494-1498 circa. Milano, Santa Maria delle Grazie, Refettorio CARMEN C. BAMBACH 38 RUBENS, PICTOR DOCTUS, E LA SUA RISPOSTA A LEONARDO 39 generazioni più tardi avrebbe ospitato Rubens a Mantova52. Bandello scrive che da ragazzo aveva visto Leonardo mentre dipingeva il Cenacolo sull’impalcatura del refettorio di Santa Maria delle Grazie (fig. 11)53, infatti suo zio era don Vincenzo Bandello, il priore della comunità monastica domenicana che nel 1493-1494 aveva commissionato il lavoro, sotto il patrocinio di Ludovico Sforza detto il Moro. Secondo le parole di Matteo Bandello, alcune volte Leonardo rimaneva tutto il giorno sul ponteggio per dipingere furiosamente, “scordatosi il mangiare e il bere”, mentre altre volte sostava soltanto per una o due ore “contemplava, considerava, ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava.” E continua: “L’ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di subito partirsi e andare altrove.”54 Il brano coglie in modo vivido e coinvolgente due aspetti chiave del processo creativo di Leonardo: lo studio e la riflessione silenziosa, l’ispirazione e il lavoro frenetico. Gli aneddoti su Leonardo apparentemente inoperoso sui ponteggi del Cenacolo, probabilmente più noti di quanto si pensi, ricordano l’episodio riferito a Rubens nella Inleyding tot de hooge schoole der Schilderkonst di Samuel van Hoogstraten (Rotterdam 1678): a chi gli rimproverava di aver trascorso tutto il soggiorno romano a vagare, osservare e star seduto in silenzio invece di produrre copie o disegni tratti dai dipinti degli antichi maestri, Rubens rispondeva ridendo: “Sono molto più operoso quando mi vedi oziare” (“Ik ben aldermeest beezich, als gy my leedigh ziet”)55. All’inizio del Seicento, lo stile pittorico di Leonardo era conosciuto per lo più attraverso copie. Tuttavia le numerose imitazioni dei Leonardeschi (i seguaci lombardi) meno capaci – in forma di dipinti e disegni, questi ultimi spesso eseguiti a punta metallica su carta preparata grigio-bluastra – avevano contribuito a far diminuire l’apprezzamento per l’arte del maestro56. Quelle opere infatti esasperavano i dispositivi pittorici di Leonardo facendo un uso eccessivo del chiaroscuro o delle tonalità bluastre, per indicare la prospettiva ricca di atmosfera nei paesaggi, e alterandone anche il vocabolario figurativo per i tratti del viso e per i gesti. Leonardo aveva prodotto numerosi studi di teste maschili e femminili dalla fisionomia grottesca, e anche questi furono replicati abbondantemente dai Leonardeschi, oltre che da artisti del Seicento e del Settecento che realizzarono copie da copie a diversi gradi di distanza dagli originali57. Uno dei primi studi di Rubens ispirati a Leonardo è il profilo maschile del 1601-1605 circa disegnato a matita rossa con tratti vividi poi rielaborati a pennello e acquerello rosso, con lumeggiature in gouache bianco-giallastra, oggi alla Morgan Library and Museum di New York (fig. 12)58. Qui il maestro fiammingo, impiegando la medesima matita rossa usata per il ritratto, annotò erroneamente il foglio scrivendo sulla sinistra “Niccolò da Uzzano”, il nome del gonfaloniere di giustizia fiorentino morto nel 1431. Prima di proseguire nella nostra analisi della risposta di Rubens a Leonardo con questioni teoriche di più vasta portata, dobbiamo notare che durante il Seicento e il primo Settecento si verificarono cambiamenti molto significativi nel gusto, nei metodi di formazione degli artisti e nelle tendenze del collezionismo. Al di là della semplice distanza temporale quindi, il tema del probabile apprezzamento di Leonardo da parte di Rubens e la nostra comprensione della questione sono stati sicuramente offuscati da tali mutamenti. La vita di Rubens (1577-1640) si svolse in anni in cui il clima culturale nella storia della pittura era in continua evoluzione. Un’accelerazione nella trasmissione delle teorie leonardiane sulla pittura (oltre i circoli di conoscenti e artisti in Italia) avvenne soltanto dopo la stampa a Parigi nel 1651 delle due edizioni gemelle (in italiano e in francese) del suo trattato (fig. 13). Il testo compendiato di queste edizioni rifletteva la complessa vicenda della rielaborazione degli appunti originali di Leonardo, tuttavia le due pubblicazioni ebbero il pregio di risvegliare l’attenzione sul maestro e sulla sua opera, anche se attraverso la lente estetica del gusto accademico francese. Tra il 1481e il 1482, mentre dipingeva l’incompiuta pala degli Uffizi con l’Adorazione dei Magi destinata ai monaci della chiesa di San Donato a Scopeto a Firenze, e il 1519, anno della sua morte ad Amboise, Leonardo aveva scritto numerosi appunti frammentari per il suo incompiuto Libro di pittura. In questi scritti disordinati aveva esposto i principi fondamentali del disegno e della pittura, completandoli con consigli pratici, utili a imparare e perfezionare queste arti. Giovan Francesco Melzi (1491/14931567), il “gentiluomo milanese” che fu suo amato allievo ed erede artistico, si adoperò per assistere il maestro nella redazione di queste note negli ultimi anni di vita59 e alla sua morte, il 2 maggio, ereditò tutti i manoscritti e “ciaschaduno di libri che il dicto Testatore ha de presente et altri Instrumenti et Portracti circa l’arte sua et industria de Pictore”60. L’impresa più importante di Melzi, probabilmente compiuta negli anni trenta o quaranta del Cinquecento, fu quella di riunire e ordinare il caos di appunti sulla pittura sparsi nel labirinto dei manoscritti del maestro, creando il testo compendiato oggi noto come Libro di pittura del Codex Urbinas Latinus 127061. In seguito, nella seconda metà del XVI secolo, ne circolarono anche diverse altre copie con testi ancora più abbreviati, tuttavia soltanto il Codex Urbinas Latinus 1270 di Melzi comprende la sezione sul “Paragone delle arti”, mentre l’altro gruppo di copie manoscritte del Libro di pittura (noto come Gruppo B) sembra l’abbia omessa per vari motivi62. In ogni caso, anche se gli appunti di Leonardo sulla pittura erano rimasti inediti, nel Seicento se ne aveva una conoscenza diffusa. Ad esempio, una breve allusione sardonica di Galileo nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano (Firenze 1632) conferma la padronanza da parte dell’autore delle teorie di Leonardo sulla pittura: “altri posseggono tutti i precetti del Vinci, e non saprebber poi dipignere uno sgabello […] il dipignere s’impara col continuo disegnare e dipingere”. Il Dialogo di Galileo sosteneva la preminenza della pratica e dell’esperienza diretta, sulla teoria e l’apprendimento libresco (una filosofia molto leonardiana), ed era uno dei libri che Rubens teneva nella sua biblioteca63. Nell’ottobre del 1651, le edizioni gemelle in francese e in italiano degli scritti di Leonardo sulla pittura furono pubblicate contemporaneamente a Parigi da Jacques Langlois con i rispettivi titoli di Traitté [sic] de la peinture e Trattato della pittura64, corredate da nuove biografie di Leonardo e di Leon Battista Alberti a cura di Raphaël Trichet du Fresne e da una versione del De statua di Alberti. La traduzione francese dell’originale italiano era opera di Roland Fréart de Chambray. La preparazione per la costosa pubblicazione in folio, illustrata con 101 tavole incise, era iniziata già nel 1640, ma gli eventi politici in Francia avevano contribuito a ritardare la stampa di ben undici anni65. Il testo pubblicato si basava sul manoscritto consegnato da Roma nell’agosto del 1640 da Cassiano dal Pozzo, a sua volta risultato, durante gli anni trenta del Seicento, delle scrupolose campagne di trascrizione, collazione e correzione dei contenuti provenienti da varie fonti manoscritte66. Nel 1638 Nicolas Poussin aveva realizzato i disegni delle figure umane, mentre gli altri erano opera di Pierfrancesco Alberti (1584-1638). Charles Errard aveva trasformato alcuni progetti in disegni per l’incisione e, con grande disappunto di Poussin, le acqueforti finali erano per lo più opera di René Lochon. L’esatta attribuzione delle illustrazioni pubblicate nel Trattato nel 1651 continua a essere oggetto di discussione67. Negli anni quaranta del Seicento, i preparativi per la pubblicazione del Trattato di Leonardo coincidevano con la fondazione e con gli esordi dell’Académie royale de peinture et de sculpture, un’istituzione che svilupperà il suo grande potere politico negli anni sessanta del secolo68. La grande incisione di Pierfrancesco Alberti realizzata intorno al 1600, l’anno in cui Rubens giunse in Italia, ritraeva invece l’Accademia di San Luca a Roma, dove i giovani artisti svolgevano molte delle attività raccomandate nei precetti di Leonardo (fig. 14)69. Le prime biografie di Rubens – Giovanni Baglione (1642), Giovanni Pietro Bellori (1672), Joachim von Sandrart (1675) e Roger de Piles (1681) – furono compilate in un contesto culturale il cui gusto estetico era largamente sfavorevole ai principi dello stile pittorico di Leonardo. De Piles, convinto sostenitore del maestro fiammingo, aveva pubblicato anche un’importante biografia di Leonardo nel suo Abregé de la vie des peintres, avec des reflexions sur leurs ouvrages, et un Traité du peintre parfait (Parigi 1699)70. Pur basandosi in parte sulla Vita vasariana, il critico francese aveva commentato in modo ponderato e sofisticato l’opera di quel genio difficile, impiegando il termine “génie” (senza la nostra moderna ansia per questa parola) come parte del proprio vocabolario critico per descriverlo71. De Piles godeva del vantaggio di aver assimilato a fondo i precetti della teoria artistica leonardiana pubblicati nelle edizioni parigine del 1651, e utilizzò questa conoscenza per descrivere i dipinti di Rubens, pur non riconoscendo l’artista toscano come fonte d’ispirazione72. Al contrario, il più prosaico Sandrart, che aveva brevemente incontrato Rubens di persona nel 1627, spiegava che il fiammingo aveva studiato le lodevoli sculture antiche e le opere di Michelangelo, Leonardo e Raffaello a Roma, ma avvertiva: “ha delle riserve nel seguirle interamente, poiché la summenzionata maniera veneziana gli è più congeniale” (“jedoch gänzlich zu folgen Bedenken gehabt / indem ihm vorgemeldte Venetianische Manier mehr angestanden”)73. 12. Peter Paul Rubens, Testa maschile di profilo (erroneamente annotata come Niccolò da Uzzano), 1600-1605 circa. New York, Morgan Library & Museum, inv. I.234 CARMEN C. BAMBACH 40 RUBENS, PICTOR DOCTUS, E LA SUA RISPOSTA A LEONARDO 41 A mio avviso la risposta di Rubens a Leonardo è stata influenzata in modo significativo da un fattore, probabilmente più astratto: Leonardo era l’exemplum del pittore colto e dagli interessi enciclopedici, cosa che sicuramente non era sfuggita all’attenzione del fiammingo. Presumibilmente dal 1600 la dimensione della fama di Leonardo esercitò una precoce influenza formativa sulla vita intellettuale di Rubens, che era ambizioso e prodigiosamente creativo. Sarebbe difficile contestare l’affermazione di Julius Held, eminente storico dell’arte e massima autorità accademica sul nostro fiammingo, che definì Rubens probabilmente “l’artista più colto mai vissuto” e vorace lettore. Il numero di libri presenti nella sua biblioteca personale o citati nella sua corrispondenza poteva eguagliare o superare i trecento volumi74. Le prove più recenti (la biblioteca, le citazioni, i libri a lui dedicati, i registri dei suoi acquisti e simili) confermano che verso la fine della vita Rubens aveva a portata di mano un’enorme varietà di ‘classici’ e ‘moderni’ su una vasta gamma di argomenti e nelle loro lingue originali75. In particolare i suoi libri confermano la venerazione per gli autori classici e tardo antichi, mentre il gran numero e la varietà dei disegni da sculture antiche rivelano l’attento studio di queste opere per scopi artistici oltre all’osservazione meticolosa e precisa volta a soddisfare i suoi interessi antiquari76. Considerate le notizie relative alla sua considerevole erudizione, si potrebbe sottovalutare quanto Rubens desiderasse inserirsi nell’ampia tradizione del pittore colto – il pictor doctus77 o pictor studiosus78 – che, come egli ben sapeva, si era evoluta in un sofisticato topos a partire dal Rinascimento e fino ai suoi tempi. Anche Leonardo aveva curato con attenzione la propria fama e la creazione del proprio ‘personaggio’ reinventandosi in modo analogo, e il contenuto della sua biblioteca personale intorno al 1503-1505 conferma le sue ambizioni intellettuali in questo senso79. Tra i suoi manoscritti troviamo anche numerosi promemoria sulla ricerca di opere di autori che abitavano a Milano (dove viveva) o in città che visitava (come Vigevano o Urbino), oppure di volumi entrati in possesso di colleghi ed eredi degli autori defunti. Intorno al 1503-1505 Leonardo possedeva circa 116 libri, molti dei quali probabilmente acquistati intorno al 1500 a Venezia, all’epoca capitale dell’editoria nel Nord Italia80. L’inventario dei suoi volumi (Codex Madrid II, fol. 3r-2v) suggerisce una biblioteca eccezionale per un artista del suo tempo e della sua classe sociale. Scorrendo i 116 titoli dell’elenco si nota che la varietà di argomenti riecheggia la ricchezza multidisciplinare della biblioteca di Rubens, oltre un secolo dopo. Tuttavia nel tracciare questi paralleli bisogna ovviamente fare molte distinzioni. I libri di Leonardo erano per lo più prime edizioni italiane a stampa, ad esempio la Bibbia, il trattato enciclopedico di Giorgio Valla De expetendis et fugiendis rebus, e varie opere di teologia; Aristotele, Plinio, Alberto Magno e altri autori di filosofia naturale; Euclide, Luca Pacioli per la matematica; gli autori arabi sull’astronomia, l’ottica e la geometria; Vegezio e Valturio per la tecnologia militare; Ketham per la medicina e alcuni volumi sulla salute degli equini; oltre a una quantità di opere di storia, letteratura e poesia81. Nel corso del secolo in cui visse Rubens la produzione di libri in tutta Europa aumentò in modo esponenziale. Leonardo invece era vissuto all’inizio dell’era del libro a stampa, nell’epoca del sapere aristotelico semplificato e reso accessibile a tutti, delle inesatte traduzioni in volgare e di modesti estratti da libri famosi, per citare solo alcune caratteristiche degli incunabola da lui collezionati. Possiamo riportare qui un esempio fra i tanti. All’inizio della sua carriera di autore, Leonardo possedeva una piccola edizione a stampa del Dell’Immortalità de l’anima elegantissimo dialogo vulgare ornamentissimo di Giacomo Campora da Genova, opera citata nei suoi inventari del 1493-1495 e del 1503-150582. Questo trattato di un chierico domenicano vissuto all’inizio del Quattrocento, più volte ristampato tra il 1470 e il 1500, combinava truismi teologici con una dubbia comprensione di Aristotele e descriveva le “passioni mentali”, le “passioni dell’anima”, oltre alle più basse “passioni corporali” con il linguaggio goffo di un modesto libro popolare. È chiaro, tuttavia, che il volumetto fornì a Leonardo uno stimolo e un punto di partenza per la straordinaria ricerca sul gesto e l’espressione negli anni ottanta e novanta del Quattrocento83. Leonardo studiava e scriveva di scienza molto prima delle scoperte scientifiche e dei progressi tecnologici del Seicento, e viveva in un’epoca in cui stavano appena iniziando a uscire edizioni più rigorose e filologicamente curate di testi letterari, classici e di medicina. Per qualificarsi ulteriormente – a differenza di Rubens, che aveva ricevuto un’educazione classica nelle lettere, prima dal padre Jan (avvocato e politico) e poi dalla scuola latina del Capitolo della cattedrale di Nostra Signora ad Anversa (tra le altre) – il vinciano, figlio illegittimo e con una scarsa istruzione formale oltre l’abaco, aveva studiato da autodidatta avvalendosi dell’aiuto di una rete personale di studiosi ed esperti di tecnologia. Per tutta la vita adulta si sforzò di imparare il latino, ma non lo padroneggiò mai. Eppure, l’autodidatta toscano nutriva l’ambizione di scrivere libri su numerosi argomenti e arricchiva le sue trattazioni con splendidi disegni, soprattutto quando sentiva che le parole non erano sufficienti, tanto che lasciò ai posteri più di 4000 fogli con disegni e manoscritti. Com’è noto, in un celebre testo del 14901492 (Codex Atlanticus, fol. 327v), inteso come proemio a un suo trattato mai venuto alla luce, Leonardo si definì “homo sanza lettere”. Tuttavia descrivere sé stesso in questo modo era un espediente retorico per difendersi dalle critiche degli intellettuali colti della corte degli Sforza e serviva a sottolineare che la sua autorità intellettuale derivava dall’esperienza (“la sperientia maestra”), più che dai libri e dalla conoscenza del latino84. Nei passi sul Paragone delle arti – la sezione presente soltanto nella compilazione di Melzi, nel Codex Urbinas Latinus 1270 – Leonardo sostiene con veemenza la superiorità e la nobiltà della pittura rispetto alla poesia, alla musica e alla scultura85. Sottolinea la rapidità e la simultaneità con cui un dipinto comunica informazioni visive, a differenza della parola scritta, e sostiene che a un pittore professionista è richiesto un sapere universale. Il suo essere “scienzia” o “discorso mentale” eleva la pittura al rango di arte liberale. Il pittore ha il dono unico di imitare perfettamente la natura, sia nella rappresentazione della figura umana sia del paesaggio, e può farlo usando il colore, la prospettiva e la luce; la sua capacità di ritrarre la figura umana richiede una comprensione dei “concetti dell’anima” e delle possibilità fisiche del corpo di compiere gesti e movimenti, nonché una profonda conoscenza dell’anatomia e delle proporzioni di uomini, donne e bambini86. I precetti della seconda parte del Codex Urbinas Latinus 1270 insistono ripetutamente sulla “universalità” del pittore: “quello non fia universale che non ama ugualmente tutte le cose che si contengono nella pittura”87, un attributo che determina la definizione di eccellenza artistica: “com’il pittore non è laudabile s’egli non è universale”88. Radicato nelle numerose citazioni obbligate di testi antichi e nei molteplici paragoni fra le arti, il topos complesso e raffinato del pittore colto e nobile emergerà una generazione più tardi nella disinvolta eleganza letteraria, o “sprezzatura”, del Libro del cortegiano di Baldassarre Castiglione (il manoscritto è stato iniziato verso il 1508; prima stampa a Venezia nel 1528). Castiglione era nato nel 1478 nei dintorni di Mantova, non lontano dalla corte presso la quale Rubens si stabilì tra il 1600 e il 1608. Il Cortegiano sarà un libro fondamentale per la costruzione dell’immagine di Rubens come pittore gentiluomo, ricercato e squisitamente erudito, infatti l’artista fiammingo ne possedeva un esemplare in italiano, lingua che padroneggiava e che si dilettava a usare per la corrispondenza89. Inoltre probabilmente intorno al 1632, come è stato suggerito, Rubens dipinse un olio su tavola con l’accurata copia a grandezza naturale del celebre Ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello90. Già nei primi dialoghi del Cortegiano si parla della nobiltà della pittura (fondata sulla padronanza del disegno) e del suo status di arte liberale come di fatti ormai acquisiti. Il libro I introduce l’esempio di Gaio Fabio (Gaius Fabius Pictor), pittore romano membro dell’influente gens Fabia, fratello di un console e lui stesso console della Repubblica, che ebbe anche una progenie intellettualmente dotata91. Si dice che Gaius Fabius Pictor, molto versato in letteratura, diritto e oratoria, avesse dipinto le pareti del tempio della Salute sul Quirinale, poi andato distrutto, firmando l’opera intorno al 304 a.C. Il caso riportato da Castiglione, arricchito da commenti ‘antichi’ e ‘moderni’, deriva dal libro della Naturalis historia di Plinio il Vecchio (XXXV, cap. 7) dedicato alla pittura92. “Penso che dal nostro Cortegiano”, continua Castiglione, “[una cosa] per alcun modo non debba esser lasciata addietro: e questo è il saper disegnare ed aver cognizion dell’arte propria del dipingere”93. Nell’ambito di un discorso più ampio sugli stili poetici, sulla musica e sulla questione dell’imitazione in rapporto alla maniera individuale, il libro elogia Leonardo, insieme a Mantegna, Raffaello, Michelangelo e Giorgione (in quest’ordine). I cinque “eccellentissimi nella pittura”, ognuno diverso dall’altro ma superbi nel loro stile individuale, sono – al 13 Roland Fréart de Chambray (a cura di), Traitté de la peinture de Léonard de Vinci (Paris 1651), pp. 76-77. Leonardo sui muscoli umani in azione e sull’esercizio della forza. Incisione di Charles Errard da Nicolas Poussin. Washington, DC, National Gallery of Art, inv. N44.L58 A5314 1651 CARMEN C. BAMBACH 42 RUBENS, PICTOR DOCTUS, E LA SUA RISPOSTA A LEONARDO 14. Pierfrancesco Alberti, L’Accademia de’ pittori (L’Accademia di San Luca), 1600 circa. New York, Metropolitan Museum of Art, inv. 49.95.12 43 pari degli autori letterari – distintamente riconoscibili grazie alla “maniera” della loro arte94. Mantegna, Leonardo, Michelangelo, Raffaello e Giorgione riflettono appieno i gusti artistici del primo Cinquecento, diffusi quando Castiglione era attivo alle corti di Urbino e Mantova. Due colti personaggi del Cortegiano discutono anche sulla superiorità della pittura o della scultura, basandosi sulle idee e sul linguaggio concettuale del Paragone delle arti di Leonardo (ma senza citarlo esplicitamente)95. Tra gli interlocutori di questo paragone ci sono il Conte (lo stesso Castiglione), che ha una predilezione per Raffaello, e il dotto scultore di corte Gian Cristoforo Romano (Giovanni Cristoforo Ganti, 1460 circa - 1512), il quale è invece amico di Leonardo (quest’ultimo lo indica come attore nel foglio conservato al Metropolitan Museum of Art con gli appunti e gli schizzi per la messa in scena di La comedia di Danae di Baldassarre Taccone96, una “festa” che fu rappresentata il 31 gennaio 1496 in casa del conte Giovan Francesco Sanseverino a Milano). La fonte antica più accreditata era naturalmente la Naturalis historia di Plinio, ben nota sia a Leonardo sia a Rubens, che ne possedevano edizioni a stampa nelle rispettive biblioteche97. Il libro XXXV di Plinio (cap. 34) presenta Apelle come il più grande e colto pittore dell’antichità, anche autore di trattati sulla dottrina della pittura: picturae plura solus prope quam ceteri omnes contulit, voluminibus etiam editis, quae doctrinam eam continent. Da allora, come ha dimostrato Sarah McHam, molti pittori del Rinascimento saranno proclamati i “nuovi Apelle” del loro tempo, e Leonardo (così denominato dai poeti della corte sforzesca) non faceva eccezione98. Anche l’epitaffio latino composto da Jan Caspar Gevaerts per la cappella funeraria di Rubens nella Sint-Jacobskerk di Anversa paragona l’artista ad Apelle. Tra gli autori rinascimentali vissuti due generazioni prima di Leonardo, Leon Battista Alberti (1404-1472), raffinato umanista ed eclettico erudito, aveva sostenuto l’idea del pictor studiosus. Nel libro III del suo trattato bilingue, Della pittura / De pictura (ms., 1435-1436), Alberti sottolineava infatti l’importanza dell’educazione letteraria del pittore, al di là della sua arte: “Pertanto consiglio a ciascuno pittore molto si faccia famigliare ad i poeti, retorici e agli altri simili dotti di lettere”99. Il retaggio delle fonti “antiche” e “moderne” non sfuggiva a Leonardo, il quale aveva letto e reagito al testo formativo dell’Alberti sulla pittura, e spesso si affidava a Plinio come riferimento per i suoi scritti: non leggeva il latino, ma possedeva la Historia naturale nella traduzione in volgare eseguita da Cristoforo Landino negli ultimi decenni del Quattrocento100. Inoltre, sappiamo che verso il 1503-1505 aveva almeno due, se non tre, altri trattati dell’Alberti101. Anche Rubens del resto possedeva la traduzione italiana del De re aedificatoria di Alberti, probabilmente nella celebre edizione pubblicata da Cosimo Bartoli a Firenze nel 1550102. Se Leonardo può rappresentare un caso estremo, numerosi altri artisti curarono con attenzione la propria immagine di individui colti. Ricordiamo tra questi il Gian Cristoforo Romano citato nel Cortegiano, per non parlare di Michelangelo negli anni della maturità103. Nel tardo Cinquecento il nome di Leonardo era citato continuamente, tuttavia, salvo poche eccezioni, delle sue opere si discuteva poco e spesso lo si faceva usando le parole di autori precedenti. All’estero, i dettagli della sua carriera erano noti grazie a Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori di Vasari, la cui seconda edizione (Giunti, Firenze 1568) comprendeva una lunga biografia, ampiamente rivista, del grande maestro toscano104. Qui il biografo aveva definito Leonardo il massimo esponente del Terzo Stile o “maniera moderna”, lodandone la “gagliardezza e bravezza del disegno” e il senso di “disegno perfetto e grazia divina”105 e aveva raccontato (come nel caso di molti altri artisti) vari aneddoti sulla sua bravura, proprio come Plinio aveva fatto con gli “antichi”. A differenza dell’edizione delle Vite del 1550, che presentava molti errori, la Giuntina pubblicava nuovi fatti su Leonardo, poiché nel maggio del 1566, durante il suo soggiorno a Milano, il biografo aretino aveva incontrato personalmente Giovan Francesco Melzi, il quale gli aveva mostrato i disegni e i manoscritti originali del maestro106. Anche gli scritti di Giovanni Paolo Lomazzo contengono informazioni biografiche sparse ma piuttosto ricche su Leonardo e sulla sua teoria artistica, tuttavia i trattati dell’autore lombardo non erano molto conosciuti fuori dal Nord Italia. La sua Idea del tempio della pittura (Milano 1590) cita diversi esempi dell’opera del vinciano107, mentre il Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura (Milano 1584) allude al manoscritto di Leonardo sul paragone tra pittura e scultura che Lomazzo aveva consultato, e nel libro II analizza ampiamente le teorie leonardiane sui “moti mentali”, le “passioni dell’anima”, il movimento fisico, i gesti e la varietà delle espressioni108. Lomazzo possedeva alcuni disegni e appunti di Leonardo e, grazie ai contatti personali con Melzi, era a conoscenza di molte informazioni dirette sul grande artista toscano, come lui stesso riferiva109. Durante i suoi anni in Italia, Rubens lesse quasi certamente Vasari, almeno alcune parti, e potrebbe aver conosciuto anche solo superficialmente gli scritti di Lomazzo. In ogni caso, nel 1635 Jan Caspar Gevaerts donò a Rubens un esemplare a stampa dell’edizione del 1568 delle Vite di Vasari per la sua vasta e multidisciplinare biblioteca personale110. Tra il 1600 e il 1608, durante la sua permanenza in Italia (con la parentesi in Spagna nel 1603-1604), Rubens iniziò a comprendere meglio la statura di Leonardo come artista e teorico della pittura – quindi molto prima che in Europa si diffondesse una conoscenza più ampia e concreta dei contributi del genio vinciano. Per tutto il Cinquecento e il Seicento, gli artisti e i collezionisti lombardi avevano tenuto viva la fiamma dell’arte di Leonardo. Il duca Vincenzo I Gonzaga, mecenate di Rubens a Mantova, era il pronipote di Isabella d’Este e Francesco II Gonzaga. Definita “la prima donna del mondo” dal poeta Niccolò da Correggio, Isabella d’Este Gonzaga (1474-1519) era stata una figura leggendaria per la sua conoscenza dei classici, la sua biblioteca, le collezioni di arte e antichità che conservava nelle “grotte” dei suoi palazzi e anche come mecenate di artisti, musicisti, umanisti e letterati – uno dei quali era Baldassarre Castiglione111. Nel 1500-1503, ospitato a Mantova, Leonardo l’aveva ritratta (fig. 15) probabilmente due volte, anche se uno dei due disegni è andato perduto112. Dal 1501 fino almeno al 1506 – come si apprende dalla corrispondenza tra il segretario di Isabella alla corte dei Gonzaga e Pietro da Novellara, il vicario generale dell’ordine dei Carmelitani, che si trovava a Firenze – la marchesa di Mantova sollecitò con insistenza Leonardo per ottenere un dipinto di sua mano, e chiese anche un “Christo giovenetto”113. Nel 1620-1625 Lucas Vorsterman, allievo e poi collaboratore di Rubens, incise per il fiammingo una copia del Ritratto di Isabella d’Este di Tiziano oggi conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna (fig. 16)114. Leonardo era un formidabile aemulus. La sua fama leggendaria come artista di grande cultura può aver ispirato Rubens a esplorare le opportunità di reinventarsi seguendo quel modello nella sua vita intellettuale, a proprio modo e secondo il proprio talento. Tuttavia è altrettanto noto che la reputazione di Leonardo era piuttosto altalenante. Inizialmente Bartolomeo Cerretani (1475-1524), storico e cronista fiorentino, lo aveva elogiato con entusiasmo e nel 1505, quando l’artista aveva iniziato a dipingere la Battaglia di Anghiari, lo aveva definito “maestro grandissimo”. Nell’ottobre del 1509, tuttavia, Cerretani aveva perso la pazienza, perché Leonardo aveva trascorso la maggior parte dei due anni precedenti al servizio dei francesi a Milano, mentre nella sua nuova posizione tra i Dodici Buonomini del governo repubblicano di Piero Soderini, Cerretani si aspettava che Leonardo avrebbe completato l’importante commissione pubblica per la Signoria fiorentina. Nel 1509 le sue laconiche dichiarazioni sull’artista erano: “stava col re di Francia a Milano […] lavorava poco”115. Nell’edizione delle Vite del 1568, Vasari definirà il maestro toscano “vario et instabile”116. La sua incapacità di portare a termine i progetti è stata sottolineata da quasi tutti gli autori cinquecenteschi che hanno scritto di lui, e alcuni lo hanno criticato aspramente per questo, cosa che Rubens indubbiamente sapeva117. Come ci ricorda Virgilio nel libro IV dell’Eneide: “Fama, malum qua non aliud velocius ullum, / mobilitate viget, virisque adquirit eundo”118: la fortuna e la fama agiscono rapidamente ma non sempre per il bene, né con un riconoscimento proporzionale ai risultati raggiunti. Lo stesso Rubens non aveva risparmiato un commento sprezzante su uno scienziato contemporaneo: nella lunga lettera scritta in italiano il 9 agosto 1629 da Londra a Ni- colas-Claude Fabri de Peiresc, il fiammingo raccontava di aver incontrato brevemente “il famosissimo filosofo Drebbel” – si trattava del talentuoso Cornelis Drebbel (1572–1633), ingegnere e inventore olandese – e scherzosamente aggiungeva: “come dice Machiavelli, di lontano nella opinione degli huomini paiono maggiori che d’appresso”119. Alcuni autori cinquecenteschi, di cui Rubens possedeva i libri, avevano duramente biasimato Leonardo per il suo “filosofare”, per le invenzioni meccaniche e le imprese scientifiche che lo distoglievano dalla pittura. Nel Cortegiano di Castiglione è senza dubbio Leonardo il pittore di cui l’autore non fa il nome: “un altro de’ primi pittori del mondo sprezza quell’arte dove è rarissimo ed èssi posto ad imparar filosofia, nella quale ha così strani concetti e nove chimere, che esso con tutta la sua pittura non sapria depingerle”120. L’erudito giurista, matematico e medico Fazio Cardano (1444-1524), amico di Leonardo a Milano e suo consigliere per il latino121, aveva un figlio, Gerolamo (1501-1576), anch’egli medico e studioso poliedrico, il quale aveva avuto modo di conoscere 15. Leonardo da Vinci, cartone (disegno a grandezza naturale) utilizzato per un ritratto di Isabella d’Este, 1500-1503 circa. Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts graphiques, inv. MI 753 CARMEN C. BAMBACH 44 RUBENS, PICTOR DOCTUS, E LA SUA RISPOSTA A LEONARDO 45 Teorizzando l’ideale del pittore universale, Leonardo non soltanto considerava le possibilità illimitate dello scibile umano, ma parlava anche di sé stesso, costruendo così per i posteri il proprio personaggio. Negli anni milanesi si era trovato a suo agio nell’eleganza della corte di Ludovico Sforza detto il Moro, occupandosi della messa in scena delle feste, disegnando costumi, inventando prodigi meccanici e anche partecipando a eventi intellettuali, come il “laudabile scientifico duello” del 9 febbraio 1498 citato da Fra Luca Pacioli nel suo Divina proportione126. Come ricorda Lomazzo nel Trattato del 1584, il maestro scrisse il perduto manoscritto sul Paragone tra pittura e scultura con la mano sinistra (“egli scrisse di mano stanca”), su preghiera di Ludovico il Moro127, e con quello negli anni novanta del Quattrocento gettò le basi per la formazione dell’ideale del pittore di corte. A suo avviso solo le “fatiche di mente” stimolano il pittore a dipingere, e questo lo eleva, mentre egli lavora nell’ambiente elegante del suo studio: “Con grand’aggio [il pittore] siede dinanzi alla sua opera ben vestito, e move il levissimo pennello con li vaghi colori, et ornato di vestimenti come a lui piace, e l’abitazione sua piena di vaghe pitture, et pulita, et accompagnata spesse volte di musiche, o lettori di varie e belle opere, la quale, senza strepito di martelli od altri rumori misto, sono con gran piacer udite”128. direttamente i manoscritti del vinciano probabilmente attraverso il padre122. Gerolamo (un’edizione del De subtilitate, Norimberga 1550, era presente nella biblioteca di Rubens)123 aveva parafrasato alcuni passi degli appunti di Leonardo sulla pittura e lo elogiava come pittore, tuttavia ne rifiutava il contributo all’anatomia e alla filosofia naturale: “erat enim purus pictor, non medicus nec philosophus”. Inoltre nel De subtilitate alludeva in modo sgradevole ai falliti esperimenti del maestro toscano con le macchine volanti, mentre riconosceva la sua eccellenza come pittore: “volandi inventum, quod nuper tentatum a duobus, illis pessime cessit: Vincius, de quo supra diximus, tentavit et frustra, hic pictor fuit egregius”. Nell’edizione delle Vite del 1568 Vasari parla in termini assolutamente negativi del periodo romano di Leonardo alle dipendenze di Giuliano de’ Medici, tra il 1513 e il 1516: “attendeva molto a cose filosofiche e massimamente alla alchimia […] Fece infinite di queste pazzie, et attese alli specchi”124. Abbiamo già accennato alle acide critiche di Federico Zuccaro all’artista e alla sua Gioconda negli anni settanta del Cinquecento125. Leonardo aggiunge con enfasi: “Il pittore ha dieci varii discorsi, con li quali esso conduce al fine le sue opere, cioè luce, tenebre, colore, corpo, figura, sito, remozione, propinquità, moto e quiete.” In netto contrasto, lo scultore lavora con enorme “faticha di corpo” in un laboratorio disordinato, mentre scolpisce il marmo “per forza di braccio […] con essercitio meccanichissimo, accompagnato spesse volte da gran sudore”129. Le Vite di Vasari nell’edizione del 1568, così come Lomazzo e altre fonti biografiche, ricordavano a Rubens l’illustre carriera di Leonardo come artista di corte dei potenti. Aveva servito Ludovico il Moro a Milano dal 1487 circa fino all’autunno del 1499, quando le armate francesi di Luigi XII conquistarono la città130. Giuliano de’ Medici lo aveva assunto e retribuito dal 1513 al 1516, e l’artista era entrato a far parte della cerchia degli “uomini ingegnosi” (pittori, scultori, architetti, scrittori, alchimisti, specialisti di tecniche minerarie) che il fratello di Lorenzo il Magnifico sosteneva con liberalità, se possiamo fidarci della testimonianza personale di Francesco Vettori131. Lo stesso Giuliano gli aveva messo a disposizione un’abitazione e uno studio, e nel dicembre 1513 aveva fatto ristrutturare per lui dall’architetto romano Giuliano Leno degli alloggi nella Villa del Belvedere in Vaticano132. L’impiego di Leonardo presso i reali francesi era cominciato tra il 1501 e il 1512 con Luigi XII e terminato con Francesco I e la regina madre, Luisa di Savoia, tra il 1516 e il 1519133. Secondo Benvenuto Cellini, che fu al servizio di Francesco I nel 1537 e poi dal 1540 al 1545, il re francese “non credeva mai che altro homo fusse nato al mondo che sapesse tanto come Lionardo, non tanto di scultura, pittura et architettura, quanto che egli era grandissimo filosofo”134. Sia Vasari sia Lomazzo raccontarono erroneamente che Leonardo morì tra le braccia di Francesco I, tuttavia la “falsità” da loro ampiamente diffusa non fece che accrescere la fama e l’ascesa del maestro al rango nobiliare135. Nella biografia di De Piles del 1699 si presume infatti che fosse di estrazione aristocratica, “etoit d’une noble Famille de la Toscane” e si ripete la versione di Vasari sulla sua dipartita136. La leggenda della morte dell’artista tra le braccia del re venne sfatata soltanto quando Giovanni Battista Venturi notò che nel maggio del 1519 Francesco I si trovava nel palazzo di Saint-Germain-en-Laye (Essai, Parigi 1797)137. Rubens probabilmente ricordava anche l’aneddoto un po’ confuso narrato da Vasari, secondo il quale nel 1482 Lorenzo il Magnifico aveva inviato Leonardo in missione diplomatica presso Ludovico il Moro a Milano con in dono una lira d’argento da lui fabbricata “in forma d’un teschio di cavallo”138. Uno dei contributi più rivoluzionari di Leonardo è l’idea che le “passioni dell’anima” e i “concetti della mente” governino la capacità di espressione, la gestualità e i movimenti della figura umana139. Nei suoi appunti frammentari, scritti nel corso di oltre due decenni, li chiama anche “moti mentali”, “accidenti mentali” o in altri modi (senza un vocabolario unificato), ma il principio è sempre lo stesso: “Come il bono pittore ha da depingere due cose, l’omo e la sua mente. / Il bono pittore ha a dipingere due cose principali, cioè l’omo e il concetto della mente sua. Il primo è facile, il secondo difficile, perché s’ha a figurare con gesti e mouimenti delle membra; e questo è da essere imparato dalli mutti, che meglio li fanno che alcun’altra sorte de omini”140. Leonardo cercava di creare una potente connessione psicologica tra l’osservatore dell’opera d’arte (il “risguardatore” o “contemplatore”, per usare le sue parole) e le figure e le azioni drammatiche rappresentate nella “istoria”. Solo una piccola parte di un discorso più ampio, databile al 1490-1500, è oggi conservata nel Codex Urbinas Latinus 1270 di Melzi: “Delli componimenti delle istorie. / Li componimenti delle istorie depinte debbono movere li risguardatori e contemplatori di quelle a quello medesimo effetto, che è quello per il quale tale istoria è figurata”141. L’attenzione di Leonardo alla rappresentazione dello stato psicologico delle figure attraverso i loro gesti crea nelle sue composizioni una dimensione spirituale dello spazio, come nel Cenacolo (fig. 11), tanto ammirata da Rubens, e che Roger de Piles nell’Abregé lodò per la “beauté éxquise” della composizione142. Il maestro vinciano descriveva i “moti” (composti da un “moto spirituale” e da un “moto accidentale”) come di diversa natura, sulla base delle definizioni della fisica e della filosofia naturale medievale-aristotelica – un quadro filosofico che sosteneva le sue idee sul gesto e sull’espressione, di fondamentale importanza nei ritratti e nelle composizioni figurative. Nei primi egli costruisce un’intensità psicologica che emerge quasi esclusivamente dallo sguardo dei personaggi e dalle sottili tensioni dinamiche amplificate da pose e gesti – come nel Ritratto di Ginevra de’ Benci (Washington, National Gallery of Art), nella cosiddetta “Belle Ferronnière” (quasi certamente Lucrezia Crivelli; Parigi, Musée du Louvre) e nella Gioconda (fig. 10). Ma le sue teorie sulle “passioni dell’anima” si cristallizzano in modo più drammatico nel dipinto incompiuto con San Girolamo (Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca), cominciato nel 1483 circa, e nell’Ultima Cena (fig. 11), iniziata attorno al 1493-1499, composizioni religiose in cui i potenti “moti” della mente e dell’anima, esternati attraverso gesti fisici energici, generano un profondo impatto spirituale anche attraverso la disposizione delle figure. L’idea leonardiana dei “moti” e delle “passioni dell’anima” raggiunse un pubblico più vasto con la pubblicazione del Libro di pittura, a Parigi nel 1651. De Piles, che era pienamente addentro a questo nuovo linguaggio, commentò nell’Abregé de la vie des peintres: “Il étoit sur tout fort attaché à l’éxpression des passions de l’âme, comme un chose qu’il croyoit des plus nécessaires à sa Profession, & sur tout pour attirer l’approbation des gens d’Esprit”143. Per descrivere la forza dei personaggi di Rubens, il critico francese adottò subito il concetto leonardiano di “passions de l’âme”, ma senza menzionare il maestro toscano. Nelle sue Réflexions, che nell’Abregé seguono la biografia di Leonardo, De Piles ipotizzò tuttavia che il silenzio di Rubens indicasse un tacito disaccordo con l’approccio del grande maestro toscano al colore e allo stile pittorico: “S’il m’est permis d’ajoûter quelque chose aux paroles de Rubens, je diray qu’il n’a pas parlé du Coloris de Léonard de Vinci ; parce que n’ayant fait ses remarques que des choses qui luy pouvoient être utiles par rapport à sa Profession, & n’ayant trouvé rien de bon dans le Coloris de Léonard, il a passé cette partie de la Peinture sous silence”144. 16. Lucas Vorsterman I da Rubens, dal Ritratto di Isabella d’Este di Tiziano, 1620-1625. New York, The Metropolitan Museum of Art, inv. 51.501.7599 CARMEN C. BAMBACH 46 RUBENS, PICTOR DOCTUS, E LA SUA RISPOSTA A LEONARDO 47 Più probabilmente, il giudizio rifletteva le opinioni e i gusti personali dello stesso De Piles, il quale scriveva molto dopo la morte di Rubens, in un periodo di fervide dispute intellettuali. Nella querelle des anciens et des modernes i teorici dell’arte avevano diviso la storia della pittura italiana in due correnti, con Tiziano e Veronese da una parte e Raffaello e i Carracci dall’altra. De Piles aveva scelto di difendere Rubens e il “pittorico” (“il moderno”), rispetto a Poussin e al “classico” (“l’antico”), tuttavia, nonostante le riserve, nell’Abregé riconosceva la “grande variété de connoissance” di Leonardo e il dono per i posteri costituito dalle sue note teoriche sulla pittura. E aggiungeva: “Il étoit occupé sans cesse de Réflexions sur son Art”145, per poi elogiare i suoi disegni: “Son Dessein est d’une grande correction & d’un grand Goût, quoy qu’il paroisse avoir été formé sur le Naturel plutôt que sur l’Antique”146. Inoltre quando Damon, uno degli interlocutori della Seconde Conversation di De Piles (Parigi 1677) che parteggia per Rubens, enumera le varie discipline che i pittori dovrebbero conoscere, il modello è essenzialmente quello del “pittore universale” di Leonardo: “Il me semble, continua-t’il, que la Peinture enferme tant des connoissances, qu’il est necessaire qu’un Peintre sçache la Philosophie, la Geometrie, la Perspective, l’Architecture, l’Anatomie, l’Histoire, la Fable & quelque chose mesme de la Theologie: qu’il sçache les devoirs de la vie civile, & qu’il ait une grande pratique du Dessein, & du Coloris”147. E Philarque, l’altro interlocutore, descrive (sempre in termini leonardiani) la varietà delle “‘passions de l’âme’ che Rubens sapeva ormai padroneggiare”148. Insomma Leonardo aveva inventato un vocabolario nuovo e audace per parlare della creatività artistica, anche se nelle edizioni del Libro di pittura pubblicate a Parigi nel 1651 le parti relative a questi argomenti erano state soppresse. Il maestro toscano riteneva che le fonti di ispirazione del pittore dovessero essere colte con “libera potestà” e la sua idea del carattere soprannaturale della forza creativa non sarebbe piaciuta alle autorità religiose e politiche dei Paesi cattolici: “la deità ch’ha la scienza del pittore fa che la mente del pittore si trasmuta in una similitudine di mente divina”149. Per Leonardo, filosofo naturale dai primi anni novanta del Quattrocento in poi, così come per i seguaci del pensiero aristotelico-medievale del suo tempo, il “motore primo” di tutte le cose – animate e inanimate – è il “moto spirituale”, l’invisibile forza vitale che opera secondo un insieme di leggi universali e dà impulso a ogni azione fisica, o “moto materiale”. A suo avviso il disegno è una forza di ispirazione divina, che trascende i poteri della Natura. Una nota perduta del 1492 circa per il Libro di pittura, conservata solo nel Codex Urbinas Latinus 1270 di Melzi, comunica le convinzioni di Leonardo in termini straordinariamente concisi: “Due sono le parti principali nelle quali si divide la pittura, cioè lineamenti, che circondano le figure de’ corpi finti, li quali lineamenti si dimanda disegno. La seconda è detta ombra. Ma questo disegno è di tanta eccellenzia, che non solo ricerca l’opere di natura, ma infinite più che quelle che fa natura. Questo commanda allo scultore terminare con scienza li suoi simulacri, et a tutte l’arti manuali, ancora che fussino infinite, insegna il loro perfetto fine. E per questo concluderemo non solamente esser scienzia, ma una deità essere con debito nome ricordata, la qual deità ripete tutte l’opere evidenti fatte dal sommo iddio”150. Sono proprio questi i concetti che Vasari tratterà più ampiamente nel celebre discorso sul disegno nell’edizione delle Vite del 1568, e l’importanza del disegno divenne centrale nei dibattiti accademici del Seicento151. Le idee di Leonardo sul ruolo degli schizzi nella fase di progettazione di un’opera furono un altro dei suoi contributi rivoluzionari, fondamentale per Rubens e per gli artisti secenteschi. Tra il 1490 e il 1510 il genio vinciano dedicò almeno sette frammenti all’uso dei quaderni di schizzi (“piccioli libretti”) e all’importanza di un’esecuzione rapida (“il bozzare pronto”, per usare una sua espressione), il che rivela il suo costante interesse per l’argomento152. I piccoli taccuini portatili impiegati per abbozzare con tratti brevi (“con brevi segni”) le figure intente alle attività quotidiane potevano servire in seguito come repertorio di idee per pose e gesti153. Inoltre lavorando sui quaderni di schizzi i pittori imparavano a creare figure ben integrate in una “storia”: l’autore consigliava di abbozzare rapidamente le composizioni (“il bozzare delle storie sia pronto”), con sintetici accenni alle figure e alle loro membra (“il membrificare non sia troppo finito”)154; e metteva in guardia contro le composizioni troppo elaborate, infatti a suo parere molti pittori rovinano i disegni rimaneggiando le figure e le membra con una finitura eccessiva155. Il Codex Urbinas Latinus 1270 di Melzi conserva una nota originale oggi perduta del 1505-1510, in cui Leonardo spiega le sue idee sull’abbozzare proprio all’epoca del lavoro sul cartone della Battaglia di Anghiari156: qui egli consiglia ai pittori di studiare i “piegamenti e distendimenti” dei corpi dei soldati in azione, e nei disegni di questo periodo esplora anche l’anatomia fisio-meccanica del corpo maschile in movimento, per creare contenuti da inserire nel Libro di pittura157. Un antico copista, molto probabilmente lo stesso Melzi, ha emendato l’intestazione del precetto con un’aggiunta in caratteri minuscoli, per chiarirne il contenuto (qui sottolineato): “Del compore delle storie in p.[rim]a bozza”158. Il vocabolario di Leonardo relativo alla creazione di schizzi era ormai cambiato e la sua formulazione, probabilmente incompleta, risultava ambigua: “Lo studio de’ componitori delle istorie debbe essere de porre le figure disgrossatamente, cioè bozzate, e prima saperle ben fare per tutti li versi e piegamenti e distendimenti delle lor membra”159. Il Codex Urbinas Latinus 1270 registra anche un altro testo significativo del 1505-1510, in cui Leonardo esorta i pittori a esplorare le idee per le composizioni pittoriche cominciando col tracciare “componimenti inculti” (schizzi approssimativi) per analogia con il metodo dei poeti, che nella stesura dei versi scrivono le prime idee in modo disordinato e i testi sono pieni di cancellature160. Tuttavia il passaggio più celebre si trova nel ms. A di Parigi, ed è del 1490-1492 circa: Leonardo interpreta l’invenzione di soggetti e schizzi veloci in relazione alla fantasia creativa161 suggerendo che le forme accidentali – ad esempio muri imbrattati di macchie o le miscele di pietre miste – possono far nascere nell’occhio e nella mente del pittore nuove idee per composizioni figurative. Quando Melzi trascrisse questa porzione di testo, ora nel Codex Urbinas Latinus 1270, aggiunse il contenuto di altri appunti perduti del maestro, in cui si dice che anche le forme suggestive della cenere, delle nuvole e del fango possono destare l’ingegno del pittore a nuove invenzioni162. In pratica, però, Leonardo si aspettava che i pittori andassero ben oltre queste iniziali fantasticherie quasi oniriche sulle forme, e studiassero con attenzione le figure e i dettagli dalla natura. In un mondo pre-freudiano, Leonardo aveva provato quindi a verbalizzare il ruolo svolto nell’impulso artistico dallo stato mentale conscio, inconscio e semi conscio, e aveva preso atto del potere dell’immaginazione umana. Infatti allude alla creatività che può svilupparsi in uno stato di semi-coscienza: “Dello studiare insino quando ti desti, o nanzi tu te adormenti nel letto allo scuro”163 e nel Codex Arundel del 1504-1505 circa riflette: “e certa la cosa / p[er]che vede piv certa la cosa lochio ne sognj / che colla imaginatione sta[n]do dessto”164. Leonardo adotta i principi della suggestione come metodo artistico, perché ha capito che abbozzare rapidamente con la penna, lo stilo o la matita può generare un’esplosione di idee sulla carta165. Nel flusso spontaneo del “bozzare pronto” o del “porre le figure disgrossatamente”, l’artista può cercare e inventare i movimenti e i gesti realistici per comunicare gli “atti mentali” delle figure all’interno della storia. Facendo eco a Leonardo, anche se con un vocabolario diverso, l’edizione del 1568 delle Vite di Vasari definisce tali schizzi compositivi come “una prima sorte di disegni che si 17. Lucas Vorsterman I da Leonardo da Vinci, Profilo di uomo anziano con barba, 1627-1630 circa. Londra, British Museum, inv. A,06.4/SL,5227.4. Copia di un disegno autografo di Leonardo da Vinci (Windsor, Royal Library, inv. RCIN 912499r) CARMEN C. BAMBACH 48 RUBENS, PICTOR DOCTUS, E LA SUA RISPOSTA A LEONARDO 49 fanno per trovare il modo delle attitudini et il primo componimento dell’opra; e sono fatti in forma di una macchia”166. Nel percorso di formazione artistica previsto da Leonardo, i giovani pittori dovevano ritrarre il modello dal vero (“ritrarre di naturale”) e i panneggi da calchi tridimensionali, con grande diligenza. Poi, sulla base di tali studi, potevano adattare e rielaborare le figure per la “istoria” secondo lo scopo richiesto, “levando e ponendo, tanto, che tu ti satisfaccia”167. Nelle Réflexions, De Piles elogia la competenza di Leonardo in anatomia e conferma che Rubens ebbe accesso e poté studiare i disegni del grande artista toscano appartenenti alla collezione di Pompeo Leoni (1530/1533 circa - 1608). “Rubens s’étend ensuite sur le degré auquel Leonard de Vinci possédoit l’Anatomie. Il rapporte en détail toutes les Etudes & tous les Desseins que Leonard avoit faits, & que Rubens avoit vûs parmi les curiositez d’un nommé Pompé Leoni, qui étoit d’Arezzo. Il continuë par l’Anatomie des Chevaux, & par les Observations que Leonard avoit faites sur la Phisionomie, dont Rubens, avoit vû pareillement les Desseins ; & il finit par la méthode dont ce Peintre mesuroit le corps humain”168. Gli studi anatomici di Leonardo in possesso di Pompeo Leoni facevano parte dell’album Windsor Leoni (ora smembrato) conservato presso la Royal Library del castello di Windsor, che comprendeva anche gli studi sull’anatomia del cavallo, nonché sulla fisionomia e sulle proporzioni del corpo umano. Alcune informazioni del critico francese sono imprecise, ad esempio non era Pompeo Leoni ma il padre Leone (1509-1590), il celebre scultore, collezionista di Arezzo amico di Michelangelo. Inoltre De Piles non specifica quando e dove Rubens abbia visto i disegni della collezione Leoni, anche se si tratta di informazioni importanti. In base alle date dei numerosi viaggi di Rubens possiamo ricostruire dove l’artista potrebbe aver avuto l’opportunità di vedere dipinti, disegni e manoscritti di Leonardo. Come ho già avuto occasione di affermare, sembra che abbia visto la Gioconda a Fontainebleau intorno al 1625, in base all’allusione nel diario di Cassiano dal Pozzo. A mio avviso, però, è più che probabile che le occasioni di osservare le opere del genio vinciano siano state molteplici e durante un lungo arco di tempo (di sfuggita o con tutta calma), non solo in Italia e in Francia, ma anche altrove in Europa. Anche a Madrid e a Londra esistevano importanti collezioni di disegni e manoscritti di Leonardo. La seguente sintesi del complesso corpus di documenti e testimonianze archeologiche visive può aiutare a chiarire quando, tra il 1600 e il 1640, l’artista fiammingo potrebbe aver visto questi disegni e manoscritti169. Tra le collezioni di opere leonardiane su carta presenti nel tardo Cinquecento e nel Seicento a Firenze, in Lombardia, Piemonte, Savoia, Roma, Inghilterra e Francia, nel 1600 nessuna era all’altezza di quella di Pompeo Leoni170. A Milano, i suoi principali concorrenti nella raccolta di disegni e manoscritti del genio vinciano erano i fratelli Mazenta: Giovanni Ambrogio (1565-1635) e i meno importanti Guido (1564 circa - 1613) e Alessandro (1566-1630). Le tendenziose Memorie di Giovanni Ambrogio Mazenta (ms. 1631-1635) registrano episodi di furti e recuperi di manoscritti e accusano indebitamente Pompeo Leoni di essere un collezionista “distruttivo”171. Fino al 1590, le collezioni d’arte di Pompeo Leoni erano probabilmente divise tra la Casa degli Omenoni a Milano (ereditata dal padre Leone) e la casa di Calle de San Francisco a Madrid, acquistata nel 1574. Il 9 ottobre 1608 Pompeo dettò a Madrid, poco prima di morirvi, un testamento redatto con cura, poiché la sua complicata famiglia comprendeva una moglie, due amanti e le rispettive progenie172. Al momento del decesso, tuttavia, la collezione d’arte, compresi i disegni e i manoscritti di Leonardo, si trovava nella casa di Calle de San Francisco a Madrid, come sappiamo da due inventari, entrambi redatti in loco dallo stesso notaio che si era occupato del testamento: una tasación (stima) del 1609 dei beni di Pompeo subito dopo la sua morte e un altro inventario senza valutazioni del 1613173. Come ho proposto, il lettore specialista di Leonardo e “perito” che guidò le prime valutazioni dei taçadores madrileni fu Vicente Carducho (1576/15781638), pittore fiorentino quasi esattamente contemporaneo di Rubens. Carducho (con i suoi aiutanti copisti) annotò in uno spagnolo italianizzato l’album Windsor Leoni e altri manoscritti di Leonardo (ad esempio, il ms. B di Parigi, inv. 2173 e 2184; il Codice sul volo degli uccelli di Torino e il Codex Madrid I, inv. 8937)174. I Diálogos de la pintura di Carducho (Madrid 1633) rivelano la sua conoscenza dei disegni e della teoria artistica di Leonardo e l’autore elogia anche Rubens per la “grandeza y valentía” (grandezza e valore) che aveva portato in patria attraverso le sue opere. Poco dopo il marzo 1609 si svolse a Madrid una almoneda (asta) durante la quale Juan de Espina y Velasco (1568-1642) acquistò due manoscritti di Leonardo (Codex Madrid I e II), e forse anche altro175. Carducho, che conosceva le eccentriche collezioni di Espina, affermò in due occasioni distinte che sia il principe di Galles (il futuro Carlo I) durante la sua visita in Spagna nel 1623, sia Thomas Howard, XIV conte di Arundel, avevano tentato di acquistare i volumi madrileni176. Inoltre tra il 1628 e il 1637, Arundel probabilmente cercò anche altro materiale leonardiano177. Ciò che non era stato venduto nell’almoneda del 1609 fu ereditato dal figlio di Pompeo, Miguel Ángel (“Micael Angel”, Michelangelo), che lasciò Madrid per Milano poco dopo il 24 agosto 1609 e qui morì il 2 giugno 1611 senza lasciare alcun testamento. La significativa quantità di opere di Leonardo rimaste in suo possesso passò quindi al fratello León Bautista (detto anche soltanto Bautista, e nei documenti italiani Leon Battista), il quale nel 1615 morì senza figli a Milano. Ciò che non fu venduto del suo patrimonio finì nelle mani dell’avido cognato Polidoro Calchi, che vendette parte di questa eredità al conte Galeazzo Maria Arconati (1580-1649). Tuttavia dai documenti risulta chiaro che nel 1613-1614 era presente del materiale leonardiano sia nella casa della famiglia Leoni a Madrid (registrato nell’Inventario redatto nei mesi di giugno-agosto 1613), sia, nell’ottobre 1614, nella Casa degli Omenoni a Milano (“in Casa il Leoni Aretino in Milano”178). Nel 1613 l’album Windsor Leoni si trovava ancora a Madrid, ma tra il 1613-1618 e il 1623 si verificò il suo passaggio in mani inglesi, infatti dalla metà degli anni venti del Seicento esistono prove visive attendibili del fatto che i disegni di quell’album venissero copiati in Inghilterra179. Nel 1613-1614 la vendita al granduca Cosimo II de’ Medici del monumentale Codex Atlanticus proveniente dalla residenza milanese di Leon Battista Leoni non andò in porto180. Tra gli anni venti e i primi anni quaranta del Seicento, l’album Windsor Leoni fu per qualche tempo di proprietà di Thomas Howard, XIV conte di Arundel (15851646), e di sua moglie Aletheia Talbot (1585-1654), contessa di Shrewsbury, dal momento che Lucas Vorsterman I nel 1627 (fig. 17) e Wenceslaus Hollar dopo il 1636 realizzarono delle esatte repliche dei disegni di Windsor per i due collezionisti181. Gli Arundel possedevano anche il codice leonardiano oggi conservato alla British Library (ms. Arundel 263), tuttavia la loro collezione cominciò a essere smembrata mentre la coppia era ancora in vita a causa delle loro difficoltà finanziarie182. Il ritratto di gruppo di Rubens conservato a Monaco raffigura Aletheia Talbot nel 1620 in un’ambientazione principesca, seduta a fianco di un uomo che potrebbe essere sir Dudley Carleton, ambasciatore britannico all’Aia, o l’accompagnatore di lei, Francesco Vercellini (fig. 18). Nel 1629, durante un’altra visita a Londra, Rubens ebbe modo di vedere varie collezioni d’arte, tra cui quella presso la Arundel House183. Il gruppo dei primi studi écorchés di Rubens – alcuni dei quali sono venuti alla luce nel 1987 e che sono stati catalogati con precisione da Michael Kwakkelstein – in generale conferma le affermazioni di De Piles secondo cui il maestro fiammingo aveva visto i disegni anatomici di Leonardo184. Consideriamo ad esempio lo studio audace ed espressivo a penna e inchiostro conservato al Metropolitan Museum of Art (fig. 19; cat. III.2), in cui Rubens raffigura un avambraccio sinistro in due posizioni e un avambraccio destro, e mettiamolo a confronto con il disegno di Leonardo conservato a Windsor (Anatomical ms. A, fol. 14v, inv. RCIN 91913v; fig. 20), del 1510-1511 circa, in cui l’artista rimuove gli strati di pelle per esporre più chiaramente la rete sottostante di muscoli e legamenti del braccio e della spalla in movimento185. I magnifici disegni dell’Anatomical ms. A di Windsor, spesso estremamente accurati, sono stati eseguiti sulla base di autentiche dissezioni (e non su calchi), e probabilmente sono “belle copie” derivate da schizzi preliminari eseguiti in loco in una fase iniziale186. In questi fogli, Leonardo esprime la necessità di disegnare le forme anatomiche da più punti di vista, per comunicare la complessità del corpo e delle sue membra. Di solito per le forme sceglie tre o quattro angolazioni diverse, ma nel caso degli arti in movimento adotta otto punti di vista. Il disegno di Rubens (fig. 19), ispirato ai modelli tridimensionali realizzati da Willem van Tetrode ed eseguito per scopi completamente diversi, è una risposta a Leonardo solo in senso lato. Gli autori hanno datato gli écorchés di Rubens agli anni tra il 1600 e il 1605, cioè al periodo italiano, ipotizzando che Rubens avesse visto le anatomie leonardiane della collezione di Pompeo Leoni a Milano; inoltre quei disegni sono realizzati su una carta associata alla corte mantovana187. Come sappiamo, però, la permanenza di Rubens a Mantova fu interrotta nel 1603-1604 da un viaggio diplomatico a Madrid (per conto del duca Vincenzo Gonzaga), confermato anche dalla sua corrispondenza188. Come abbiamo visto, negli anni della visita di Rubens in Spagna la collezione di Pompeo Leoni, compresi i fogli anatomici dell’album Windsor-Leoni, si trovava a Madrid. 18. Peter Paul Rubens, Ritratto di gruppo con Aletheia Talbot, 1620. Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, inv. 352. Ritratto di gruppo con Aletheia Talbot, contessa di Shrewsbury, accanto a un uomo che potrebbe essere Sir Dudley Carleton, ambasciatore britannico all’Aia, oppure l’accompagnatore di lei, Francesco Vercellini CARMEN C. BAMBACH 50 RUBENS, PICTOR DOCTUS, E LA SUA RISPOSTA A LEONARDO 51 È possibile quindi che gli studi écorchés di Rubens risalgano a un periodo successivo al suo breve soggiorno spagnolo. Come l’ambizioso Leonardo, anche Rubens aveva sperato di produrre libri su una varietà di argomenti, tuttavia, a parte la pubblicazione di Palazzi di Genova (Anversa 1622), sembra che questi suoi progetti siano rimasti irrealizzati. Gli schizzi e le bozze di testo nei taccuini e nei quaderni di lavoro perduti di Rubens avrebbero potuto gettare una luce importante sui suoi obiettivi di artista-autore. La prima fonte scritta a farlo, la biografia dell’anversano composta da Giovan Pietro Bellori in Le Vite de’ pittori, scultori e architetti moderni (Roma 1672) si riferiva all’esistenza concreta di un suo scritto teorico, in cui il contenuto multidisciplinare testimonia la sua erudizione di pittore: “essendosi veduto un libro di sua mano, in cui si contengono osservazioni di ottica, simmetria, proporzioni, anato19. Peter Paul Rubens, Studi anatomici: avambraccio sinistro in due posizioni e avambraccio destro, 1603-1604 circa. New York, Metropolitan Museum of Art, Rogers Fund (1996), inv. 1996.75 mia, architettura, ed una ricerca de’ principali affetti ed azioni cavati da descrizzioni di poeti, con le dimostrazioni de’ pittori. Vi sono battaglie, naufragi, giuochi, amori ed altre passioni ed avvenimenti, trascritti alcuni versi di Virgilio e d’altri, con rincontri principalmente di Rafaelle ed dell’antico”189. Come abbiamo visto, anche l’Abregé de la vie des peintres di Roger de Piles alludeva a un taccuino perduto che il critico francese conosceva di prima mano. La perdita degli scritti teorici del maestro fiammingo, dei suoi quaderni di lavoro e dei disegni, tuttavia, ha inevitabilmente ridotto la possibilità di comprendere le sue intenzioni come autore, distinte dal suo impiego più pratico dei quaderni di schizzi e degli studi preliminari per scopi artistici190. L’evidenza visiva sembra essere chiarissima nel caso dei suoi disegni anatomici, che a quanto pare a un certo punto costituivano un “libro”, come suggeriscono le note e le copie del suo devoto assistente Willem Panneels (1600/1605 circa - 1634)191. Un Taccuino teorico perduto, composto forse di 250 fogli il più grande dei quali misurava circa 20,2 × 15,9 cm e corrispondeva a un formato in-quarto (se dovessimo fare un paragone con i manoscritti di Leonardo), non poteva quindi essere un taccuino tascabile, ma più probabilmente serviva come libro di studio per la consultazione192. Il taccuino perduto di Rubens, che conteneva un importante nucleo del suo materiale teorico, purtroppo fu distrutto da un incendio nel 1720, quando era in possesso di André-Charles Boulle193. La minuziosa ricostruzione del Taccuino è un’impresa complessa e ancora in corso, che impegna molti studiosi194. Attualmente ne esistono tre fogli sciolti autografi, conservati alla Courtauld Gallery di Londra, al Kupferstichkabinett di Berlino e in una collezione privata (vendita di Sotheby’s del 2021)195. Copie parziali del contenuto si trovano nel ms. Chatsworth, nel ms. Bordes del Prado, nel ms. Johnson della Courtauld Gallery e nel ms. de Ganay del Rubenshuis di Anversa. Arnout Balis (2001) ha sottolineato che le questioni relative a questo materiale rubensiano sono estremamente complesse, con molte lacune da colmare rispetto alle prove esistenti. Forse tra le strade percorribili si potrebbe tener conto del fatto che Rubens vide quasi certamente i manoscritti di Leonardo rilegati. Pompeo Leoni e i suoi eredi possedevano taccuini rilegati (fig. 21); e, senza passare per le mani dei Leoni, alcuni volumi tascabili in legatura originale con copertine in cartonnage erano finiti in possesso del conte Galeazzo Maria Arconati. Esistevano anche assemblaggi di collezionisti realizzati rilegando direttamente i fogli di vari quaderni di Leonardo per formare oggetti come il Codex Arundel 263 della British Library, che è un formato in folio. Leonardo aveva impiegato diverse tecniche per compilare i suoi appunti e disegni: non utilizzava soltanto quaderni tascabili già comprati in legatura, ma lavorava anche su fogli sciolti, mescolando e accostando bifogli per creare un “racolto sanza ordine” (secondo le sue parole nel ms. Arundel 263, fol. 1r), che successivamente poteva decidere di riordinare e rilegare. Per molti aspetti, l’enorme corpus di disegni e manoscritti autografi di Leonardo offre una prova più chiara delle sue intenzioni, dal momento che venti dei suoi manoscritti sono ancora rilegati e risalgono al periodo compreso tra il 1487 e il 1514196. Questi venti manoscritti rilegati sono in quattro formati standard (in folio, in-quarto, in-ottavo e in-sedicesimo), una tipologia descrittiva che è servita a catalogare i manoscritti di Leonardo nel documento del 1637 chiamato Istrumento della donazione, redatto per conto del conte Galeazzo Maria Arconati in occasione della sua donazione alla Biblioteca Ambrosiana di Milano197. Le descrizioni di Arconati sono sorprendentemente precise, soprattutto nel caso dei manoscritti ora a Parigi presso la Bibliothèque de l’Institut de France. I manoscritti parigini di Leonardo succes- 20. Leonardo da Vinci, Studi anatomici: strutture di muscoli e legamenti della spalla e del braccio in movimento con strati rimossi; struttura scheletrica del piede, con annotazioni, Anatomical ms. A, fol. 14v, 1510-1511 circa. Castello di Windsor, Royal Library, inv. RCIN 919013v sivi al 1495 si sono conservati nelle stesse condizioni in cui erano quando lui era in vita. Leonardo era un incorreggibile “accumulatore seriale” di carte e fogli, e fu il devoto Giovan Francesco Melzi a mettere ordine con straordinaria pazienza tra i suoi taccuini, i brogliacci caotici, i manoscritti rilegati con testi in bozza in vari stati di avanzamento, le innumerevoli pagine separate e probabilmente interi fascicoli di fogli sciolti198. Eppure, anche se sono sopravvissute oltre 4000 pagine con disegni e appunti, un’enorme quantità di opere su carta è andata perduta. Antonio de Beatis, nella descrizione della sua visita alla residenza di Le Clos-Lucé ad Amboise del 10 ottobre 1517, riferisce di aver visto “una infinità de volumi, et tucti in lingua vulgare, quali si vengono in luce saranno profigui et molto delectevoli”199. In ogni caso i disegni e i manoscritti di Leonardo ci hanno fornito una chiave d’accesso alla sua mente, ed è soprattutto grazie alla loro profonda ricchezza e alla varietà dei contenuti che oggi possiamo definire “genio” il loro autore. Per una serie di ragioni, tuttavia, i suoi manoscritti rimangono opere particolarmente complesse da inquadrare all’interno del suo corpus eclettico. Come affermava lo stesso Leonardo, e Rubens avrebbe sicuramente concordato: “Pochi pittori fanno professione di lettere, perché la lor vita non basta ad intendere quella”200. 21. Tre taccuini tascabili di Leonardo da Vinci del 1493-1505 circa, di proprietà di Pompeo Leoni e rilegati in pergamena durante la sua vita o poco dopo la sua morte nel 1608: a sinistra, Codex Forster II (fronte 10,2 × 7,4 cm); al centro, Codex Forster III (fronte 9,5 × 6,8 cm); a destra, Codex Forster I (fronte 14,4 × 10,2 cm). Londra, Victoria and Albert Museum, National Art Library CARMEN C. BAMBACH 52 RUBENS, PICTOR DOCTUS, E LA SUA RISPOSTA A LEONARDO 53 Nota dell’autrice: Desidero ringraziare Jeremy Wood, che durante la stesura di questo saggio ha gentilmente letto diverse bozze, mi ha offerto commenti preziosi e mi ha segnalato testi pertinenti. Sono grata anche a Juliana Barone, Cristiana Romalli, Mark Evans, Robert Johnson, Silvio Leydi, Rossana Sacchi e al personale della Thomas J. Watson Library del Metropolitan Museum of Art di New York. Ringrazio Alina Payne, direttrice de I Tatti – l’Harvard University Center for Italian Renaissance Studies a Firenze e il consiglio dell’Università di Harvard per la nomina a Visiting Professor (autunno 2023), che mi ha permesso di completare questo articolo. 1 Venezia, Gallerie dell’Accademia, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. 236 recto; Bambach 2019, II, pp. 410-415, IV, pp. 284, note 305, 306, 414, nota 331. 2 Come ho spiegato, all’epoca della Battaglia di Anghiari, quando eseguì nella parte inferiore del foglio gli studi di soldati e cavalli in sanguigna databili al 15031505, Leonardo rimaneggiò lo studio delle proporzioni del viso dell’uomo raffigurato di profilo fino al busto (nella parte superiore del foglio), databile al 1490-1495 circa. Il medium impiegato nei disegni sul foglio di Venezia è complesso: penna e due tonalità di inchiostro bruno (quello più chiaro fu ripassato con inchiostro nero-bruno alcuni anni dopo), oltre a tracce di stilo, matita nera morbida, matita rossa, 28 × 22,4 cm. Sono presenti precisi fori tracciati con un compasso per la costruzione di una griglia sopra la grande figura maschile di profilo; anche i contorni della testa presentano ulteriori tracciature probabilmente eseguite per facilitare la calibrazione delle misurazioni in proporzione. Il disegno di Leonardo con il tronco di uomo di profilo con schema di proporzione, completo delle note di accompagnamento presenti sul foglio di Venezia fu copiato nel 1560-1580 da Carlo Urbino nel Codice Huygens, fol. 54r (New York, Pierpont Morgan Library and Museum). 3 Vasari (1966-1987), IV (testo), p. 32. 4 La data del 24 ottobre 1503 è quella in cui a Leonardo vengono consegnate le chiavi della Sala del Papa, perché possa iniziare il cartone della Battaglia di Anghiari (Firenze, Archivio di Stato [ASFi], Signori e colleghi, deliberazioni in forza di ordinaria autorità, 1501-1504, filza 105, fol. 106r). Bambach 2019, II, pp. 346347 e IV, pp. 268-269, note 56-69. 5 Parigi, Bibliothèque de l’Institut de France, ms. A, inv. 2185, fol. 31r-30v. Il passaggio su “come si debbe figurar una battaglia” fu anche copiato da Melzi nella Parte secunda del Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 53r-v, 85r-v, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana (BAV); Vecce 1995, pp. 207-208, n. 148 (trascrizione critica). 6 La nota nell’originale leonardiano è andata perduta. BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 59v; Vecce 1995, p. 218, n. 177 (trascrizione critica): “Del comporre le istorie. / … et massime nelle battaglie, dove per nescessità accade infiniti storciamenti e piegamenti delli componitori di tale discordia, o vo’ dire pazzia bestialissima.” 7 Londra, British Museum, inv. 1895.0915.1044. Per la datazione precoce e la trascrizione dell’annotazione di Rubens si rimanda a Wood [CR XXVI.3] 2011, I, pp. 98-102, n. 167. 8 BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 53r-v, 85r; Vecce 1995, pp. 207-208, n. 148 (trascrizione critica). 9 BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 53r; Vecce 1995, p. 207, n. 148 (trascrizione critica). 10 Il disegno conservato alle National Galleries of Scotland di Edimburgo, inv. D4936, mi è stato segnalato da Jeremy Wood. Mc Grath [CR XI] 1997, II, pp. 326-327 attribuisce questo disegno allo stesso Rubens, mentre Bert Schepers in McGrath, Gregory, Healy, Schepers, Van de Velde [CR XI.1] 2016, I, pp. 140-146, n. 7a, lo analizza come una copia accurata di un disegno perduto del maestro. 11 Come trascritto da Bert Schepers in McGrath, Gregory, Healy, Schepers, Van de Velde [CR XI.1] 2016, I, p. 140, n. 7a. 12 Mc Grath [CR XI] 1997, II, pp. 326327, 329-330, nota 34, n. 58, ha parlato della risposta artistica di Rubens alla teoria leonardiana degli effetti che si mescolano durante la battaglia – fumo, polvere e luce – parlando dello schizzo a olio con la Battaglia di Tunisi del 1630 (Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie, inv. 798G). 13 Barone 2007b, pp. 348-364; Kopecky (2008), su disegni e iscrizioni. 14 Castello di Windsor, Royal Library, inv. RCIN 912570. Bambach 2019, II, pp. 421429, su questo progetto. Matita nera e carboncino, 25,2 × 38,9 cm. Vasari (19661987), IV (testo), p. 23, sul perduto disegno di presentazione per Antonio Segni. 15 Bambach 2019, III, pp. 585-634, sull’ubicazione delle collezioni di Leonardo nel Cinquecento e nel Seicento. 16 De Piles 1699, p. 168. 17 Barone 2015; Steinitz 1958, pp. 45-70, sulle prime copie manoscritte del Libro di pittura di Leonardo circolanti in Italia settentrionale, a Firenze e a Roma. 18 Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts graphiques, inv. 20271. Si veda la scheda dettagliata di Wood [CR XXVI.3] 2011, I, pp. 78-93, n. 1 (con bibliografia precedente). 19 Riassunti in Wood [CR XXVI.3] 2011, I, pp. 78-88. 20 Wood [CR XXVI.3] 2011, I, pp. 87-88, propone una sequenza di quattro fasi di lavoro sul disegno del Louvre e una quinta costituita dalla campagna di restauro di inizio Ottocento. La composizione del Louvre comprende anche piccoli ritocchi eseguiti a guazzo, matita nera ricostruita e pittura a olio da artisti-restauratori successivi. 21 Wood [CR XXVI.3] 2011, I, p. 78, fornisce la più affidabile descrizione tecnica del medium usato. 22 Bambach 1999, pp. 107-108, nota 5; Bambach 2019, II, pp. 348-350, dove si appoggia l’ipotesi della parete est. In questo saggio si esaminano nuovamente alcuni aspetti della Battaglia di Anghiari di Leonardo, offrendo piccole modifiche alle consuete descrizioni presenti nella letteratura rubensiana. 23 Bambach 2017, pp. 73-81, dove si analizza il cartone della Battaglia di Cascina di Michelangelo e il fatto che quest’ultimo non iniziò mai a dipingere il suo affresco. Si veda anche Bambach 1999, pp. 107-108, nota 5; Bambach 2019, II, pp. 348-350. 24 Bambach 2017, pp. 71, 77-80, 293, n. 39, sulla copia dipinta da Bastiano (Aristotile) da Sangallo conservata presso la Holkham Hall. 25 In precedenza nel Koninklijk Huisarchief, L’Aia; collezione privata, asta Sotheby’s, New York, 30 gennaio 2019, lotto 10 (scuola italiana, XVI secolo), con bibliografia e storia delle esposizioni. Ringrazio Cristiana Romalli per la fotografia https://www.sothebys.com/ en/auctions/ecatalogue/2018/old-masterdrawings-n10006/lot.10.html?locale=en [consultato il 21-09-2023]. Analizzato e illustrato in Wood [CR XXVI.3] 2011, I, pp. 86-87, II, fig. 2 (come collezione privata). 26 Bambach 2019, II, pp. 329-429, sulla commissione, la progettazione, la tecnica pittorica fallimentare e i progressi del lavoro di Leonardo per la Battaglia di Anghiari. 27 Bambach 2019, II, pp. 363-368, figg. da 8.22 a 8.25. 28 Muller 1982, pp. 229-247, analizza con acume gli eruditi concetti di Rubens sull’imitazione artistica, che, come sottolinea in modo persuasivo, non possono essere rigidamente classificati (ivi, p. 244). La “furia del pennello”, citata nelle Vite de’ pittori, scultori et architetti moderni (1672) di Giovanni Pietro Bellori, è discussa ivi, p. 244, nota 101. 29 A questo proposito, la meticolosa analisi delle questioni di attribuzione e delle evidenze archeologiche presente nelle pubblicazioni di Juliana Barone (2007b; 2009) e di Jeremy Wood [CR XXVI.3] 2011 ha portato a risultati di fondamentale importanza. 30 Wood [CR XXVI.2] 2010, I, pp. 25-49, sulla risposta di Rubens all’arte veneziana e sul confronto tra Rubens e Tiziano. 31 Wood [CR XXVI.3] 2011, I, pp. 29-31, 47-55, 129-241, nn. 172-201, sulle copie da Michelangelo eseguite da Rubens e dalla sua cerchia. 32 Logan, Belkin 2021-2023, I/1, pp. 119120, n. 80. 33 Bambach 2017, pp. 15-30, 199-213, 232-265, per un quadro più ampio sulla ricezione, le critiche e il declino del gusto per le opere di Michelangelo nel Seicento – se si escludono i collezionisti dei suoi disegni e Rubens come artista (cfr. ivi, pp. 263-264, fig. 101). La maggior parte delle controversie riguardava gli affreschi tardi di Michelangelo e Pietro Aretino fu il più crudele tra i critici. Nella sua Vita di Michelangelo (1568), Vasari, che era stato ‘amico professionale’ dell’Aretino, fu molto cauto nell’analisi del Giudizio universale alla sua inaugurazione il 25 dicembre 1541. Le lettere del 1541 di Nino Sernini, agente del cardinale Ercole Gonzaga, e quelle nel 1545 di don Miniato Pitti, amico intimo di Vasari, riportano critiche meno aperte all’affresco di Michelangelo. 34 Wood [CR XXVI.1] 2010, I, pp. 27-127, sul contesto, e si vedano i nn. 1-102, per le copie autografe di Rubens. 35 Wood [CR XXVI.3] 2011, I, pp. 75-129, nn. 165-171, sulle copie da Leonardo e dalla sua cerchia. 36 White 2007, pp. 206-214, n. 62 (seconda metà degli anni venti del Seicento); Van der Stighelen, Vlieghe [CR XIX.3] 2021, pp. 181191, n. 199, data il dipinto più precisamente al 1626 circa. Nella letteratura su Rubens il collegamento con la Gioconda di Leonardo non è stato rilevato. 37 Rotterdam, Museum Boijmans van Beuningen, inv. VdV 70 (in prestito dalla Willem van der Vorm Foundation). Van der Stighelen, Vlieghe [CR XIX.3] 2021, pp. 189191, n. 203, figg. 115, 119-120. Questo dipinto mi è stato segnalato da Jeremy Wood. 38 A quanto ne so, questo riferimento a Rubens da parte di Cassiano dal Pozzo non è segnalato nella letteratura sull’artista fiammingo. Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, ms. X, E.54: Legatione del signore cardinal Barberino in Francia, descritta dal commend.re Cassiano del Pozzo; trascritta in Müntz e Molinier 1886, pp. 1718. Si tratta di uno dei due manoscritti di Cassiano dal Pozzo che riportano i suoi viaggi in Francia. L’altro è BAV, ms. Barb. Lat. 5688, Legatione del Sig.re Cardinale Barberino in Francia descritta dal Commend. Cassiano dal Pozzo, 24 giugno 1625. Dalla corrispondenza di Rubens sappiamo che arrivò a Parigi nel 1625, poiché è menzionato nelle lettere del 22 gennaio e del 17 febbraio; CDR 1900, III, pp. 327-335, nn. CCLXVIII, CCCLXX. A quanto pare, Rubens conosceva Cassiano dal Pozzo fin dal 1623, ed è menzionato nel 1625; ivi, pp. 361-368. 39 BNNa Vittorio Emanuele III, ms. X.F.28, Itinerario di Monsignor R.mo et Ill.mo Cardinale de Aragonia per me dom. Antonio de Beatis (diario del 10-11 ottobre 1517), fol. 76v-77r. L. Frank in La Sainte Anne 2012, pp. 198-199, n. 58; Bambach 2019, III, pp. 397-399 e IV, pp. 372-373, note 1-3. 40 Parigi, Archives nationales, J 910, fasc. 6, p. 87; scoperto da Bernard Jestaz. L. Frank in La Sainte Anne 2012, p. 204, n. 65; Bambach 2019, II, p. 270 e III, pp. 510-518. Secondo la voce di spesa del ducato di Milano per l’anno 1518, la corona francese aveva pagato a Salaj 2604 lire, 3 soldi e 4 denari, per alcuni dipinti di cui non erano specificati né il soggetto né l’autore (“pour quelques tables de paincture”), ma che presumibilmente erano originali di Leonardo. 41 Legatione del signore cardinal Barberino in Francia, descritta dal commend.re Cassiano del Pozzo; trascritta in Müntz e Molinier 1886, pp. 17-18: la “Vergine con il Bambino e San Giovanni (forse la Vergine delle Rocce? o la Vergine con il Bambino e sant’Anna?), la Leda e il Cigno distrutti, il Ratto di Proserpina (ignoto) e San Giovanni nel deserto.” 42 Come trascritto in Muller 1989, p. 116, n. 109; segnalatomi da Jeremy Wood. 43 Hochman 1988; Acidini 1998-1999, II, pp. 273-274; Bambach 2019, I, p. 1, IV, p. 37, nota 3. 44 Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, ms. X.F.28, Itinerario di Monsignor R.mo et Ill.mo Cardinale de Aragonia per me dom. Antonio de Beatis (diario del 20-30 dicembre 1517), fol. 136r: “fo visto nel refectorio de frati, chi sonno del ordine di san Domenico de observantia, una cena picta al muro da messer Lunardo Vinci, qual troviamo in Amboys, che e excellentissima, benche incomincia ad guastarse non so si per la humidita che rende il muro o per altra [in] advertentia”. Bambach 2019, I, p. 4 (cit.), e pp. 412-481, sul processo ideativo, la tecnica pittorica e lo sviluppo del Cenacolo di Leonardo. 45 Armenini 1587, p. 172; analizzato in Bambach 2019, I, p. 4 e IV, p. 39, nota 24. 46 Bakewell, The Duke of Devonshire and the Chatsworth Settlement Trustees, inv. 1007; e Los Angeles, J. Paul Getty Museum, inv. 84.GA.959. Analizzato e illustrato in Logan, CARMEN C. BAMBACH 54 Belkin 2021-2023, I/1, pp. 99-105, nn. 66, 67, figg. 109-112. 47 Trascritto in Logan, Belkin 2021-2023, I/1, p. 102, n. 67, fig. 112. 48 Wood [CR XXVI.3] 2011, I, p. 107. 49 Jaffé 1977, p. 29, tav. 53 (come Rubens); Wood [CR XXVI.3] 2011, I, pp. 108-109, fig. 12 (come artista fiammingo d’après Rubens). 50 De Piles 1699, pp. 166-168, per il testo. Balis 2001, pp. 14-16, riassume le ipotesi sul modo in cui De Piles possa aver acquisito questo taccuino. Si veda anche Wood [CR XXVI.3] 2011, I, p. 107. 51 De Piles 1699, pp. 167-168. 52 Nel 1519, a Mantova, Ginevra Rangoni sposò in seconde nozze il “condottiero” Aloisio Gonzaga (1494-1549). 53 Arents 2001, p. 364, Catalogus librorum 1658, p. 26, colonna 2: Le novelle del Bandello. Bambach 2019, I, pp. 416-417, IV, 175, note 432-436, per l’analisi della descrizione di Leonardo al lavoro. Bandello (1978), pp. 395400, per il testo citato. 54 Bandello (1978), pp. 395-396. 55 Citato e analizzato in Muller 1982, pp. 245 e note 108, 109. 56 Bambach 2022, pp. 18-78. 57 Bambach 2019, I, pp. 59-63, 457-472 e IV, 494, 514, 523-533. 58 New York, Morgan Library and Museum, inv. I.234. Wood [CR XXVI.3] 2011, I, pp. 114-120, n. 169, attribuisce in modo a mio avviso convincente il disegno a Rubens. Logan, Belkin 2021-2023, I/1, p. 184, nota 3, lo considera un disegno ritoccato da Rubens. 59 Morigia 1619; Bambach 2019, III, pp. 94-96, 519-533, 586-594. Sacchi 2017, per la revisione della data di morte di Giovan Francesco Melzi e delle sue ultime volontà. 60 Il testamento originale di Leonardo è perduto, ma è noto attraverso le copie. Bambach 2019, III, pp. 484-489, IV, pp. 387394, note 270-310, per una ricostruzione dei testi basata sulle prime trascrizioni. Citazione mia, ivi IV, p. 389, nota 278 (la copia seicentesca un tempo negli archivi francesi). 61 BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270; per le citazioni del testo si veda Vecce 1995 (trascrizioni critiche modernizzate). Farago, Bell, Vecce 2018, 2 voll., sulla storia del Libro di pittura di Leonardo. 62 Come suggerisce Claire Farago, la sezione sui paragoni è stata omessa e sono state apportate altre modifiche al Libro di pittura abbreviato, per renderlo un “testo della Controriforma”. Farago, Bell, Vecce 2018, I, pp. 229-237, 510, note 102-111. 63 Arents 2001, p. 347, Catalogus librorum, 1658, p. 9, colonna 2: Dialogo di Galileo Galilei dei Sistemi del Mondo. Rubens possedeva anche le Dimostrationi Matimatiche del Galileo; Arents 2001, p. 364, Catalogus librorum 1658, p. 26, colonna 2. 64 Farago, Bell, Vecce 2018, il principale studio recente sulla pre-storia e la pubblicazione del Libro di pittura di Leonardo a Parigi nel 1651. I titoli completi delle edizioni del 1651 erano: Traitté de la Peintvre de Leonard de Vinci donné av pvblic et tradvit d’Italien en François e Trattato della Pittvra di Lionardo da Vinci, nouamente dato in luce, con la vita dell’istesso autore, scritta da Raffaelle dv Fresne. Si sono giunti i tre libri della pittura & il trattato della statua di Leon Battista Alberti, con la vita del medesimo. 65 C. Farago in Farago, Bell, Vecce 2018, I, pp. 1-70. 66 Barone 2011; Barone 2018, pp. 263-299, sulle trasformazioni redazionali per produrre un testo pubblicabile e sul manoscritto finale consegnato da Cassiano dal Pozzo ai fratelli Fréart nell’agosto del 1640, conservato al Museo Statale Ermitage (ms. OR-11706; abbreviato anche come “si: Hermitage”). Questo manoscritto dell’Ermitage deriva da quello conservato a Milano, Biblioteca Pinacoteca Ambrosiana, ms. H 228 Inf. che a sua volta era stato corretto rispetto a diverse altre copie manoscritte. 67 Sparti 2003; Barone 2007; Barone 2011; Barone 2018, pp. 263-299; Janice Bell in Farago, Bell, Vecce 2018, I, pp. 332-369, in particolare sulle complesse questioni riguardanti i contributi di Nicolas Poussin e Charles Errard. 68 C. Farago in Farago, Bell, Vecce 2018, I, pp. 34-37, 61-70. 69 New York, Metropolitan Museum of Art, inv. 49.95.12. Pierfrancesco Alberti, Accademia de’ pittori (l’Accademia di San Luca), incisione, 41,2 x 52,2 cm. 70 De Piles 1699, pp. 162-169. 71 Ivi, p. 162. Vasari (1966-1987), IV (testo), pp. 14-38, “Vita di Lionardo da Vinci.” 72 De Piles 1699, p. 163: “c’est-la qu’il ecrivit le Livre de Peinture, que l’on imprimé a Paris en 1651. & dont le Poussin a fait les Figures”. 73 Anche Wood 2019, pp. 17, 38 (inglese); TA 1675, II, p. 291 (testo originale online: http://ta.sandrart.net/-text-514). 74 Held 1982, p. 167. 75 Arents 2001 fornisce una classificazione magistrale dei libri collegati a Rubens (suddivisi in diciannove categorie, da A a S), con le rispettive voci di catalogo, e con un facsimile allegato del raro catalogo di vendita della biblioteca di Albert Rubens, il figlio maggiore del pittore, Catalogus librorum bibliothecae clarissimi viri D. Alberti Rubens (Bruxelles, 1658), pp. 339-366. È noto che Albert Rubens ereditò i libri del padre. 76 Si veda il facsimile del Catalogus librorum bibliothecae clarissimi viri D. Alberti Rubens (Bruxelles, 1658), riprodotto in Arents 2001, pp. 339-366. Van der Meulen [CR XXIII] 1994-1995, I, pp. 25-153, su Rubens e i suoi studi dall’antico. 77 L’appellativo di “pictor doctus” corrisponde alla descrizione del maestro fiammingo contenuta in una lettera di Franciscus Sweerts del 1° giugno 1616, come discusso da Frans Baudouin in Arents 2001, pp. 47-80. 78 L’epressione “pictor studiosus” è citata dal De pictura di Leon Battista Alberti; Alberti (2006), p. 249. 79 Madrid, Biblioteca Nacional de España (BNE), Codex Madrid II, ms. 8936, fol. 3r2v (è la direzione in cui Leonardo ha scritto l’inventario del libro). Bambach 2019, II, pp. 1-59 e IV, pp. 13-28 (appendice IV, nn. 8, 9; per una ricostruzione dei libri presenti in questo inventario). 80 BNE, Codex Madrid II, ms. 8936, fol. 3r-2v. 81 Bambach 2019, IV, pp. 13-28. 82 Milano, Biblioteca Pinacoteca Ambrosiana, Codex Atlanticus, fol. 559r: “deimortalita danjma”; e BNE, Codex Madrid II, ms. 8936, fol. 2v: “della imortalita dellanima.” Un’edizione a stampa di questo trattato in volgare era stata pubblicata per la prima volta a Roma da Giovanni Filippo de Lignamine nel 1472 e a Milano da Antonius Zarotus il 20 marzo 1475. Altre edizioni furono stampate nel 1477, 1478, 1494, 1497 e 1498. Bambach RUBENS, PICTOR DOCTUS, E LA SUA RISPOSTA A LEONARDO 2019, IV, pp. 11, 16, 17, 25 (appendice IV, sezione 8, n. 37, sezione 9, n. 94); ivi, II, pp. 3-5 e IV, pp. 198-199, nota 8, sulla risoluzione della controversia riguardante l’identificazione di quest’opera negli inventari dei libri di Leonardo. 83 Bambach 2019, I, pp. 322-334, 426-429, 439-443 e II, pp. 55-59. 84 Ivi, III, pp. 3-59, sulla prefazione di Leonardo e sulla sua identità di autore autodidatta. 85 BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 1r-28v, “parte prima”; Vecce 1995, pp. 131168, nn. 1-46 (trascrizione critica). 86 Bambach 2019, I, pp. 8-13, 412-501, II, pp. 227-235 e III, pp. 136-160. 87 BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 33v; Vecce 1995, p. 174, n. 60 (trascrizione critica). 88 BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 37v; Vecce 1995, p. 181, n. 73 (trascrizione critica). 89 Arents 2001, pp. 45, 365, Catalogus librorum bibliothecae clarissimi viri D. Alberti Rubens (Bruxelles 1658), p. 27, colonna 1: Il Cortegiano del Conte Castiglione. 90 Londra, Courtauld Gallery, inv. 24. Illustrato e analizzato in Wood [CR XXVI.1] 2010, I, pp. 292-299, n. 47, tav. 1. 91 Castiglione (1965), p. 80: “e da questa trasse il cognome la casa nobilissima de’ Fabii, ché il primo Fabio fu cognominato Pittore, per esser in effetto eccellentissimo pittore e tanto dedito alla pittura…” 92 Plinio, XXXV, cap. 7: apud romanos quoque honos mature huic arti contigit, siquidem cognomina ex ea pictorum traxerunt fabii clarissimae gentis, princepsque eius cognominis ipse aedem salutis pinxit anno urbis conditae ccccl, quae pictura duravit ad nostram memoriam, aede ea Claudii principatu exusta. McHam 2013, pp. 106, 302-303, 318, n. 61, 331, elenca gli autori che nel Quattrocento e del Cinquecento hanno scritto di arte, citando l’aneddoto di Plinio su Fabius Pictor. 93 Castiglione (1965), p. 80. 94 Ivi, pp. 62-63: “Eccovi che nella pittura sono eccellentissimi Leonardo Vincio, il Mantegna, Raffaello, Michel Angelo, Georgio da Castel Franco; nientedimeno, tutti son tra sé nel far dissimili, di modo che ad alcun di loro non par che manchi cosa alcuna in quella maniera, perché si conosce ciascun nel suo stilo esser perfettissimo.” 95 Ivi, pp. 80-86. 96 New York, Metropolitan Museum of Art, inv. 17.142.2; Bambach 2019, I, pp. 489491, sul disegno leonardiano per La Danae di Taccone che riporta la partecipazione di Gian Cristoforo. Ceriana 1999, su Gian Cristoforo Romano. 97 Il Plinio di Leonardo è citato nel Codex Trivulzianus (fol. 2), nel Codex Atlanticus (fol. 559r) e nel Codex Madrid II (fol. 2v). Per il Plinio di Rubens, a mio avviso esistono tre possibilità. Si confronti Arents 2001, pp. 346347, Catalogus librorum 1658, p. 8, colonna 2: “Plinii Opera 12. 3 Voll. Lugd. Bat.” e p. 9, colonna 1: “Plinius. Dalecampii.f. Genevae” e sotto: “Edit Basiliensis. Idem Francof.” 98 McHam 2013; Bambach 2019, I, pp. 317319, 378-379, sulla poesia encomiastica di Leonardo alla corte degli Sforza negli anni novanta del Quattrocento. 99 Alberti (2006), p. 249. R. Sinisgalli ivi, pp. 25-56 (“la falsa precedenza del latino”), ha dimostrato che il trattato di Alberti in volgare precede la produzione del testo latino. 100 A questo proposito possono bastare due esempi per capire quanto Leonardo si affidasse a Plinio: il suo gruppo di annotazioni sugli animali nel ms. H di Parigi (fol. 12v-27v) che deriva direttamente dalla Historia naturale, e il suo adattamento di una tecnica sperimentale di pittura murale a secco nel dipinto della Battaglia di Anghiari (si veda l’analisi in Bambach 2019, II, pp. 359-369). 101 Codex Madrid, fol. 3r-2v: “vn lib[r] o damjsura dj b[attist]a albertj”; “lib[r] o doue si taglia le corde da navi”; “batista alberti in architettura.” Questi libri erano probabilmente un manoscritto di Ex ludis rerum mathematicarum; Liber navis (perduto) e De re aedificatoria, di Leon Battista Alberti, a cura di Bernardo Alberti, pubblicato a Firenze da Nicolaus Laurentii Alamanus il 29 dicembre 1485. 102 A mio avviso si tratta senza dubbio di L’architettura di Leonbattista Alberti. Tradotta in lingua fiorentina da Cosimo Bartoli, Firenze 1550. Si confronti Arents 2001, p. 364; Catalogus librorum bibliothecae clarissimi viri D. Alberti Rubens (Bruxelles 1658), p. 26, colonna 2: “Architettura di Leon Battista Alberti”. 103 Summers 1981, pp. 3-70; anche Bambach 2017, pp. 15-19, 190-191, su alcuni aspetti dell’auto costruzione dell’immagine da parte di Michelangelo. 104 Vasari (1966-1987), IV (testo), pp. 1438, “Vita di Lionardo da Vinci.” 105 Ivi, p. 8. 106 Ivi, p. 28. 107 Lomazzo (1973-1975), I (Idea del tempio), pp. 109, 119-120, 153, 249, 290, 345. 108 Ivi, II (Trattato), p. 138, sul paragone tra pittura e scultura, pp. 95-163, sui moti e le passioni. 109 Bambach 2019, III, pp. 566-572 (e note), 594-596 (e note), su Lomazzo come collezionista di Leonardo. Lomazzo 19731975, I (Idea del Tempio), p. 258; II (Trattato), pp. 96, 291, 533, 564, per esempi di riconoscimento di Melzi da parte di Lomazzo come sua fonte su Leonardo; discusso in Bambach 2019, I, pp. 21-26. 110 Arents 2001, pp. 104-105, n. B3, con illustrazione della dedica a Rubens da parte di Jan Caspar Gevaerts (“Casperius Gevartius”). 111 Prima donna del mondo 1994. 112 Bambach 2019, II, pp. 253-262. 113 Ivi, pp. 250-252, 278-291. 114 New York, The Metropolitan Museum of Art, inv. 51.501.7599. Lucas Vorsterman I, da Rubens, dal ritratto di Tiziano di Isabella d’Este, incisione; secondo stato di due; foglio (rifilato): 42,2 × 31,9 cm. 115 Cerretani, Ricordi, ms. Vat. Lat. 13661, fol. 108r, BAV; Cerretani 1993, p. 212; Bambach 2019, III, p. 92. 116 Vasari (1966-1987), IV (testo), p. 16. 117 Bambach 2016; Bambach 2019, I, pp. 25-26, 334-337, II, pp. 282-291 e III, pp. 1-3, sui vari aspetti dei dipinti incompiuti di Leonardo e sul suo concetto artistico di “opera in corso”. 118 Eneide IV: 174-175 (“La Fama, un male di cui null’altro è più veloce; e come più va, più cresce; e maggior forza acquista”); Virgilio 1978, I, pp. 406-407. 119 CDR, V, pp. 152-154, n. DCXVI; Arents 2001, p. 246, n. H 76; in inglese con 55 commento in Magurn 1955, pp. 321-323, 493, n. 196. 120 Castiglione (1965), p. 144. 121 Bambach 2019, II, pp. 23-39, III, pp. 206-207 e IV, p. 204, nota 111. 122 Ivi, II, pp. 36, 171 e III, p. 578. 123 Arents 2001, p. 346, Catalogus librorum 1658, p. 8, colonna 2: “Cardanus De Subtilitate / -- De Rerum Varietate.” 124 Vasari (1966-1987), IV (testo), p. 34. 125 Hochmann 1988; Acidini 1998-1999, II, pp. 273-274; Bambach 2019, I, p. 1 e IV, p. 37, nota 3. 126 Luca Pacioli, Divina proportione, Venezia, 1509, fol. b-ir (ms., 1498 circa). Sulle attività di Leonardo alla corte degli Sforza, Bambach 2019, I, pp. 489-501. 127 Lomazzo (1973-1975), II (Trattato), p. 138. Bambach 2019, I, pp. 39-63, sulla “stanca mano” di Leonardo, sul suo “mancinismo” e sulle copie di altri artisti che imitano il suo tratto da mancino. 128 BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 20v; Vecce 1995, pp. 158-159, n. 36 (trascrizione critica). 129 BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 20v; Vecce 1995, p. 158, n. 36 (trascrizione critica). 130 Bambach 2019, I, pp. 313-501. Ho analizzato diffusamente la difficoltà di considerare Leonardo artista di corte di Ludovico il Moro prima del 1487-1490, sebbene fosse arrivato a Milano nel 1482. 131 Bambach 2016b, su Varchi, Vettori e Giuliano de’ Medici; Bambach 2019, III, pp. 309-395 (citato da Vettori, ivi, p. 323). 132 Bambach 2019, III, pp. 321-323. 133 Ivi, II, pp. 246, 272, nota che la lettera di Pietro da Novellara a Isabella d’Este, del 14 aprile 1501, menziona già i rapporti di Leonardo con il re francese (Luigi XII), anche se non lo nomina. Bambach 2019, III, pp. 397-489, sul servizio di Leonardo a Francesco I e alla regina madre, Luisa di Savoia. 134 Cellini 1857, p. 226, Dell’architettura; Cellini 1968, p. 859; analizzato in Bambach 2019, III, pp. 397-398. 135 Vasari (1966-1987), IV (testo), p. 36; ad esempio Lomazzo nel suo Libro de sogni e in Idea del tempio della pittura; Lomazzo (19731975), I, pp. 109, 293. Bambach 2019, III, pp. 487-489. 136 De Piles 1699, pp. 162, 164. 137 Bambach 2019, III, p. 487 e IV, p. 394, nota 312, sulle evidenze testuali e le citazioni. 138 Vasari (1966-1987), IV (testo), pp. 16, 24. 139 Bambach 2019, I, pp. 323-28, 426-35 e II, pp. 17-18, 56-59, sull’idea leonardiana di “passioni dell’anima” e “passioni mentali”, compresa la probabile influenza di un’edizione a stampa precedente al 1494 di De la immortalità de l’anima elegantissimo dialogo volgare ornamentissimo di Giacomo Canfora da Genova, presente nella biblioteca di Leonardo. 140 BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 60r; Vecce 1995, p. 219, n. 180 (trascrizione critica). 141 BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 61v; Vecce 1995, p. 221, n. 188 (trascrizione critica). 142 De Piles 1699, p. 162 (“squisita bellezza”). 143 Ivi, p. 163 (“Era soprattutto molto legato all’espressione delle passioni dell’anima, come qualcosa che riteneva più necessario per la sua Professione, e soprattutto per attirarsi l’approvazione delle persone di Spirito”). 144 Ivi, p. 168. Merle du Bourg 2004, pp. 195-199, 219, nota 394, per un’ampia analisi di questo passo citato (“Se posso aggiungere qualcosa alle parole di Rubens, direi che non ha menzionato i colori di Leonardo da Vinci, perché avendo osservato solo le cose che potevano essergli utili in relazione alla sua professione, e non avendo trovato nulla di buono nei colori di Leonardo, ha passato sotto silenzio questa parte della Pittura”). 145 Ivi, pp. 162, 163 (“Era costantemente impegnato nelle riflessioni sulla sua arte”). 146 Ivi, p. 165 (“Il suo disegno è molto corretto e di grande gusto, anche se sembra basato sul Naturale piuttosto che sull’Antico”). 147 De Piles (1970), Conversation seconde, p. 89 (“Mi sembra – continuò – che la pittura comprenda così tante conoscenze, che è necessario che un pittore conosca la filosofia, la geometria, la prospettiva, l’architettura, l’anatomia, la storia, la favola e persino qualcosa di teologia; che conosca i doveri della vita civile e che si eserciti molto nel disegno e nel colore”). 148 Ivi, p. 268. 149 BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 36r; Vecce 1995, p. 178, n. 68 (trascrizione critica). 150 BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 50r-v; Vecce 1995, p. 202, n. 133 (trascrizione critica). Si veda Bambach 2019, I, p. 6; Bambach 2022. 151 Vasari (1966-1987), I (testo), p. 111. 152 Bambach 2015; Bambach 2019, IV, pp. 9-10, nn. 3 e 4, per le trascrizioni diplomatiche complete del testo; Bambach 2022 (in relazione ai Leonardeschi). Tre descrizioni di Leonardo si trovano nel ms. A di Parigi, del 1490-1492 circa. Si veda Parigi, Bibliothèque de l’Institut de France, ms. A, inv. 2185, fol. 8v, 22v, 27v. Un’altra breve menzione del 1490-1492 si trova a Milano, Biblioteca Pinacoteca Ambrosiana, Codex Atlanticus, fol. 430r. Due annotazioni sembra siano presenti solo nel Codex Urbinas Latinus 1270 di Melzi, sulla base di passi perduti del maestro risalenti a dopo il 1500. Si veda BAV, Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 60v, 61v-62r. Una settima annotazione sugli schizzi rapidi è nel Codex Urbinas Latinus 1270, ma combina accuratamente testi scritti da Leonardo in due momenti diversi: unisce il passo autografo più celebre del ms. A di Parigi, del 1490-1492 circa, e un’aggiunta, ormai perduta, molto più tarda, con frasi di Leonardo probabilmente del 1505-1510 circa. Si veda Parigi, Bibliothèque de l’Institut de France, ms. A, inv. 2185, fol. 22v; BAV, Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 35v. 153 Parigi, Bibliothèque de l’Institut de France, ms. A, inv. 2185, fol. 27v. La trascrizione diplomatica completa di questo testo è in Bambach 2019, IV, pp. 9-10, n. 4, con bibliografia. Melzi ha trascritto questa nota in modo abbastanza preciso in BAV, Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 58v-59r; Vecce 1995, pp. 216-217, n. 173 (trascrizione critica). 154 Parigi, Bibliothèque de l’Institut de France, ms. A, inv. 2185, fol. 8v. 155 Milano, Biblioteca Pinacoteca Ambrosiana, Codex Atlanticus, fol. 430r: “del co[n]pore storie / del no[n] riguardare. le me[n]b[r]a. delle figure. nelle storie // come moltj fano . che p[er] fare le figure . i[n] tere guastano / i chonponjme[n]tj.” Si veda Bambach 2015; Bambach 2019, I, pp. 429435 e II, pp. 389-391. 156 BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 60v; Vecce 1995, pp. 219-220, n. 181 (trascrizione critica): “Lo studio de componitori delle istorie debbe essere de porre / le figure disgrossatamente cioe bozzate e prima saper/ le ben fare”. Si veda Bambach 2015; Bambach 2019, II, pp. 386-390. 157 Si veda ad esempio Parigi, Bibliothèque de l’Institut de France, inv. 2181, fol. 101v-102r, 109v-110r, e i fogli anatomici (Windsor, Royal Library, inv. RCIN 912623, RCIN 912625, RCIN 912640, RCIN 912636r e RCIN 912639). Su questi disegni si veda Bambach 2019, III, pp. 145-60, figg. 10.44-10.45, 10.50-10.51, 10.54-10.56. 158 Si veda nota 156. 159 BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 60v; Vecce 1995, pp. 219-220, n. 181 (trascrizione critica). 160 BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 61: “b. Precetti del componere / le istorie / A. / […] Pero tu, componitore delle istorie non membrificare con terminati lineamenti le membrificazioni d’esse istorie”, Vecce 1995, pp. 221-222, n. 189 (trascrizione critica). Bambach 2019, I, p. 435, sul “componimento inculto”. 161 Parigi, Bibliothèque de l’Institut de France, ms. A, inv. 2185, fol. 22v: “Modo daume[n]tare e destare / lo [n]giegnjo a varie i[n]ue[n]tionj / no[n] restero] p[e]ro dj mettere i[n]fra questi p[re]ciettj 1a nova i[n] ue[n]tione dj spechula/tione”. 162 Nel registrare il nuovo testo, tratto da altri appunti di Leonardo, Melzi scrisse un’enfatica “N” maiuscola (“nulla di pittura”) per segnare il punto in cui il testo basato sul ms. A di Parigi si interrompe e inizia quello nuovo. BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 35v; Vecce 1995, pp. 177-178, n. 66 (trascrizione critica). Tuttavia la trascrizione diplomatica si avvicina di più alla probabile ortografia di Leonardo. 163 Parigi, Bibliothèque de l’Institut de France, ms. A, inv. 2185, fol. 26r; BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 35v; Vecce 1995, pp. 178, n. 67 (trascrizione critica). 164 Londra, British Library, ms. Arundel 263, fol. 278v. 165 Leonardo realizzò degli schizzi “di getto” per la figura inginocchiata di Leda e il cigno e per la Vergine con il Bambino e Sant’Anna. Per Leda e il cigno si veda Windsor, Royal Library, inv. RCIN 912337; per la Vergine con il Bambino e Sant’Anna si veda Los Angeles, J. Paul Getty Museum, inv. 86.GG.725; Venezia, Gallerie dell’Accademia, Gabinetto Disegni e Stampe, inv. 230; Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts graphiques, inv. RF 460; e Londra, British Museum, inv. 1875.0612.17. 166 Vasari (1966-1987), I (testo), p. 117. 167 Parigi, Bibliothèque de l’Institut de France, ms. A, inv. 2185, fol. 26r. BAV, Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 38v; Vecce 1995, p. 182, n. 76 (trascrizione critica). 168 De Piles 1699, p. 168. 169 Bambach 2019, III, pp. 585-634 (capitolo 14) e IV, pp. 29-34 (appendici V e VI), 417-441. Ho avuto la fortuna di consultare i documenti pertinenti in originale negli archivi di Madrid, Archivo Histórico de Protocolos (AHPM) e Firenze (ASFi). La ricostruzione dei resti archeologici e visivi presenti sui manoscritti e sui disegni di Leonardo non era stata mai esplorata prima in letteratura. 170 Ivi, pp. 588-602, per un riepilogo. 171 Ivi, pp. 589, 606-607, 609-618, 622-624, parla della tendenziosità delle Memorie di Mazenta e dei metodi usati da Pompeo Leoni per tagliare e incollare i disegni e assemblare il Codice Atlantico e gli album di Windsor. I metodi di Pompeo Leoni non erano insoliti tra i collezionisti di disegni del Cinquecento e del Seicento. 172 AHPM, Protocolo inv. 2632. 173 AHPM, Protocolo inv. 2662, fol. 1338r-1384v (da gennaio a marzo 1609); AHPM, Protocolo inv. 2661, fol. 617r-686v (da giugno ad agosto 1613). Anche per questi documenti il notaio era Francisco Testa di Madrid. 174 Bambach 2019, III, pp. 624-628 e IV, pp. 32-34 (appendice VI). 175 Ivi, III, pp. 628-630. Testamento con le ultime volontà di Juan de Espina e documento allegato, AHPM, Protocolo, inv. 7672, fol. 242r-247v. 176 Ivi, III, pp. 628-630 e IV, pp. 438439 (note 338-348); Carducho 1633, fol. 155v-157r, sul materiale di Leonardo di proprietà di Juan de Espina (fol. 156v). 177 Ibidem. 178 Citato dalla lista che accompagnava un’offerta di vendita del Codex Atlanticus al Granduca Cosimo II de’ Medici; ASFi, Miscellanea Medicea, 109/I, “Nota delle cose migliori che si trouano in Casa il Leoni Aretino in Milano”, fol. 228r-v. 179 Bambach 2019, III, pp. 618-620. 180 Ivi, III, pp. 612-617 e IV, pp. 429-430 (note 169-174), per una sintesi di questo episodio. Si veda ASFi, Miscellanea Medicea, 109/I, “Nota delle cose migliori che si trouano in Casa il Leoni Aretino in Milano”, fol. 228rv. La corrispondenza relativa è, qui in ordine cronologico, ASFi, Mediceo del principato, 3130 (fol. 456), 3140 (fol. 8), 1455 (fol. 503), 3140 (fol. 276), 1455 (non numerato [fol. 568r]). 181 Riepilogo basato su Bambach 2019, III, pp. 590-591, 606, 612-620, 630-632. 182 Ivi, pp. 612, 630-632. 183 Wood [CR XXVI.2] 2010, I, p. 31. 184 Logan, Belkin 2021-2023, I/1, pp. 180202, nn. 126-151, li datano a circa il 16021605 a Mantova; Kwakkelstein [CR XX.1] 2022, pp. 13-65, per importanti criteri di classificazione, cronologia e funzione. 185 Sul disegno di Rubens qui illustrato (New York, Metropolitan Museum of Art, inv. 1996.75), in relazione con due studi anatomici di un braccio sinistro in una collezione privata, si veda Logan, Plomp 2004, pp. 19, 27, 56, 98-100, n. 16; Bambach 2019, I, pp. 34-38, figg. 1.21, 1.22; Logan, Belkin 2021-2023, I/1, 195-196, n. 141; Kwakkelstein [CR XX.1] 2022, pp. 94-97, n. 16, fig. 75. 186 Castello di Windsor, Royal Library, inv. CARMEN C. BAMBACH 56 RCIN 919013v, da Anatomical ms. A, fol. 14v; Bambach 2019, III, pp. 211-249, sui disegni leonardiani dell’Anatomical ms. A di Windsor. 187 Logan, Plomp 2004, pp. 98-100, n. 16; Logan, Belkin 2021-2023, I/1, p. 183; Kwakkelstein [CR XX.1] 2022, pp. 94-97, n. 16, fig. 75. La letteratura si riferisce spesso a questo tipo di carta chiamandola “carta mantovana” (filigrana simile a Briquet 7307), il che richiede una precisazione, infatti la filigrana indica l’uso a Mantova e non la fabbricazione in quella città. 188 Wood [CR XXVI.2] 2010, I, p. 28. Magurn 1955, p. 28. 189 Bellori (a cura di Evelina Borea), Turin, 1976, p. 266. Sparti 2012, pp. 85-102, sull’affidabilità della biografia di Rubens di Bellori. 190 Questo era uno dei caveat, giustamente espresso in Balis 2001, pp. 11-16. 191 Soprattutto Kwakkelstein [CR XX.1] 2022, pp. 13-20. 192 Bambach 2019, II, pp. 61-235 e IV, pp. 5-6 (appendice III, per formati e dimensioni). I taccuini tascabili tipici di Leonardo erano in formato in-ottavo (al massimo 15 × 10 cm) e in-sedicesimo (al massimo 10,5 × 8 cm). I suoi formati inquarto misuravano circa 23,2 × 16,9 cm. 193 Balis 2001; Balis 2011; Barone 2007b, pp. 366-393; Barone 2009; Balis 2021; Kwakkelstein [CR XX.1] 2022; Büttner, McGrath, Schepers 2022. Nella loro precisa catalogazione dei singoli fogli, Logan, Belkin 2021-2023, I/1, pp. 56-59, 128-130, nn. 21, 87, hanno fornito un utile stato della questione, che mi ha permesso di proporre le seguenti osservazioni e modifiche da sottoporre ad analisi. Ringrazio Jeremy Wood per i generosi commenti, mentre sviluppavo la mia proposta. 194 Balis 2001; Balis 2011; Barone 2007b, pp. 366-393; Barone 2009; Kwakkelstein [CR XX.1] 2022; Balis 2021; Logan, Belkin 2021-2023, I/1, 56-59, 128-130, nn. 21, 87; Büttner, McGrath, Schepers 2022. 195 Berlino, Kupferstichkabinett inv. KdZ 3240, con copie da Raffaello e Holbein, in penna e inchiostro bruno, 20,2 × 15,9 cm (Logan, Belkin 2021-2023, I/1, n. 21); Londra, Courtauld Gallery, inv. D1978. PG.427, studi di costruzione geometrica ispirati all’Ercole Farnese, penna e inchiostro bruno, 19,8 × 15,6 cm (Logan, Belkin 2021-2023, I/1, n. 87). Il terzo foglio, venduto da Sotheby’s Londra il 7 luglio 2021, lotto 26, con bibliografia e storia delle attribuzioni (https://www.sothebys.com/en/ buy/auction/2021/a-fine-line-master-workson-paper-from-five-centuries/a-double-sidedpage-of-studies-recto-a-nymph [consultato il 21-09-2023]), reca disegni sul recto (un satiro femmina che afferra un’erma di Pan) e sul verso (un soldato caduto a terra, senza testa), a penna e inchiostro bruno, e misura 18,3 × 13,4 cm. Sia questo foglio sia il saggio di Balis 2021 mi sono stati segnalati da Jeremy Wood. 196 Bambach 2019, I, pp. 65-79, II, pp. 1-35 e III, pp. 83-307, 353-393. 197 Ivi, II, pp. 61-63, 74-76 e IV, pp. 1-6 (appendici da I a III). 198 Ivi, III, pp. 591-596. 199 Si veda nota 39. 200 BAV, Codex Urbinas Latinus 1270, fol. 20r; Vecce 1995, p. 158, n. 34 (trascrizione critica). RUBENS, PICTOR DOCTUS, E LA SUA RISPOSTA A LEONARDO 57 In copertina Peter Paul Rubens, Agrippina e Germanico, particolare, 1614 circa, olio su tavola, 66,4 × 57 cm. Washington, DC, National Gallery of Art, inv. 1963.8.1 © Ministero della Cultura-Galleria Borghese © 2023 Electa S.p.A., Milano Tutti i diritti riservati www.electa.it Questo volume è stato stampato per conto di Electa S.p.A. presso Errestampa s.r.l., Orio al Serio (BG), nell’anno 2023