C REAZIONE E T EMPO
NELLA FILOSOFIA DI
S ANT ’A GOSTINO
1
__________________________________________________________________
INTRODUZIONE
La nozione di «creazione» appartiene in prima istanza al linguaggio della Rivelazione
biblica; la cosmologia cristiana presenta un aspetto fondamentale: la creazione del mondo ex
nihilo. La teologia cristiana, basandosi sul dato biblico e sulla comprensione fattane
dall'esegesi patristica, identifica l’azione di “creare” con un'azione propria di Dio, che
«chiama all'esistenza le cose che non esistono» (cfr. Rm 4,17).
È interessante sottolineare le diverse accezioni del termine creazione.
1.
Un primo modo di intendere il termine creazione corrisponde al suo significato “attivo”,
come azione potente e radicale avente solo Dio per soggetto, che indica porre in essere, dal
nulla, ciò che ancora non esiste2. Tale azione viene espressa in lingua ebraica dal
verbo bara’ e resa in lingua greca generalmente con il verbo , più raramente con
(fare, produrre, e indica l’operare divino o umano in genere).
2.
La creazione può intendersi ancora nel suo significato “passivo”, come l'effetto
dell'azione creatrice, l'insieme delle cose create, dunque “il creato”: una realtà terrena, finita e
contingente, soggetta alla corruttibilità. È in tal senso che si utilizzano espressioni come «la
creazione loda il Signore»; «creazione che geme nelle doglie del parto» (Rm 8,22) e
sacerdozio, quello di Cristo risorto, che non appartiene a questa «creazione» (cfr. Eb 9,11).
3.
Va ancora segnalato un terzo modo di parlare della creazione: essa può essere intesa
come una relazione, cioè come una dipendenza continua e fondante da ciò che è creato dal
suo Creatore. La necessità di Dio si oppone alla contingenza del mondo; è Dio che vuole che
tutte le cose esistano; fra l'infinità del Creatore e la finitezza della creatura, fra l'eternità di Dio
1
** Elaborato per il seminario 55209: Ragione e rivelazione nella filosofia di Sant’Agostino. Pontificia
Universitas Lateranensis, facoltà di filosofia, anno accademico 2009-2010. **
2
È l'azione con cui Dio crea in principio il cielo e la terra (Gen 1,1), l'uomo e la donna come maschio e femmina
(Gen 1,27), tutte le cose che ha fatto (Gen 2,3-4; Is 45,8); ma anche l'azione con cui compie le sue opere
salvifiche in favore del suo popolo (Es 34,10) e con cui rinnova l'intimo del cuore umano (Sal 51,12; Ger 31,22);
è infine l'opera della creazione di nuovi cieli e di una nuova terra alla fine dei tempi (Is 65,17). Si tratta dunque
di un'azione divina con effetti tanto nell'ordine cosmico come in quello salvifico, ma per realizzare la quale non
vi sono né intermediari né cause subordinate: solo Dio può compierla.
e la temporalità del mondo, la creazione-relazione è capace di instaurare un legame veritiero,
non apparente, senza dissolvere la trascendenza del Creatore né divinizzare la creatura.
Il tema della creazione è stato sempre oggetto di dibattito tra i Padri della Chiesa; in funzione
di esso, l’uomo può contemplare Dio nella sua opera e intraprendere il cammino per poter
accedere al mistero di Dio stesso. Non si tratterà più delle scienze particolari o delle dottrine
“scientifiche” naturali, quanto piuttosto della natura stessa, così come essa si presenta allo
sguardo di ogni uomo retto e semplice, il quale vi può riconoscere le tracce del Creatore e
trovarsi così spinto a ringraziarlo e a rendergli lode, disponendosi in tal modo ad accogliere
anche l’ulteriore e superiore rivelazione divina.
Anche Sant’Agostino (395–430), giunto alla fede in quel Dio che creò l’universo e
l’uomo, in quel Creatore che si rivelò alla creatura attraverso il Libro sacro e mostrò la propria
presenza fisica sulla terra attraverso il proprio Figlio, si immerge nella contemplazione e
nell’analisi dell’opera divina della creazione, a cui congiunge strettamente anche il concetto di
tempo.
1.
CREAZIONE
[…] «Non siamo noi Dio» […] «È lui che ci fece». […] Interrogai sul mio Dio la mole dell’universo, e mi
rispose: «Non sono io, ma è lui che mi fece.»3
Ma prima del cielo e della terra non esisteva alcun corpo, o, se esisteva, l’avevi creato certamente senza
una voce passeggera, per trarne una voce passeggera con cui dire che fossero creati il cielo e la terra. 4
Alla luce di queste affermazioni, risulta evidente la differenza esistente tra il
Cristianesimo e le filosofie antiche: contrariamente a quanto avviene nel Cristianesimo, in
queste ultime è assente il concetto stesso di creazione, per cui esse, nonostante i tentativi
operati, trovano difficoltà a rendere conto dell’origine della realtà.5
Circa il problema dell’origine delle cose, il Nostro Dottore lo approfondì e lo difese contro i
manichei, che erano panteisti6, e contro i neoplatonici, i quali, pur ammettendo, come egli
pensava, la creazione, ne affermavano la necessità e l’eternità.
Quella agostiniana, invece, può essere qualificata come filosofia creazionistica, perché ha
posto la creazione al centro della propria speculazione filosofica; altresì ha approfondito
3
AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, a cura di A. Trapè, Città Nuova Editrice, Roma 1965-1991, I, X,6.9, 307.
4
Ivi, XI,6.8, 373
5
Nella mitologia greca, ad esempio, il mondo esisteva in forma di caos e si è successivamente trasformato,
dando origine anche agli dèi. La stessa filosofia occidentale nasce come ricerca dell’άρχή, cioè di un principio
unificante che permetta di spiegare l'origine e l'organizzazione della natura; aria, acqua, άπειρον, terra, fuoco,
atomi, semi, si presentano sia come forze primordiali o entità divine, sia in virtù delle loro intrinseche proprietà.
6
Il termine greco panteismo deriva dall’unione di πάν = tutto e θεός = Dio, vuol dire letteralmente “Dio è Tutto”
e “Tutto è Dio”; ogni cosa è un Dio astratto e immanente o per cui l'Universo, o la natura sono equivalenti a Dio.
2
aspetti ardui come: la creazione dal nulla, la creazione che ha inizio col tempo, la creazione
secondo le ragioni eterne, la creazione come atto di amore.
1.1
CREAZIONE DAL NULLA – “EX NIHILO”
«Perché vengono meno?». Perché sono mutevoli. «E perché sono mutevoli?». Perché non sono in senso
assoluto. «E perché non sono in senso assoluto?». Perché sono inferiori a colui che le ha create. «Chi le ha
create?». Colui che è l’essere sommo. «Chi è quest’essere?». Dio, l'immutabile Trinità, che le ha create
mediante la sua somma sapienza e le conserva con la sua somma bontà. «Perché le ha create?». Perché
fossero. L’essere infatti, quale che sia, è bene, poiché il sommo bene è il sommo essere. «Da che cosa le
ha fatte?». Dal nulla […] Ciò da cui Dio ha creato tutte le cose […] non è che nulla.7
La Sacra Scrittura afferma: In principio creavit Deus cœlum et terram (Gen 1,1); detto ciò si
pone la questione per Agostino: da dove Dio ha creato il cielo e la terra? La risposta più breve
e più tagliente a questo fondamentale problema si trova anche nel De actis cum Felice
Manichaeus:
Ciò che uno fa, o lo fa dalla sua sostanza o da un qualcosa fuori di sé o dal nulla. L’uomo che non è
onnipotente dalla sua sostanza genera il figlio, e, come artefice, dal legno fa l’arca, ma non il legno […]
Nessun uomo può fare qualcosa dal nulla, cioè fare che sia ciò che non è assolutamente. Dio invece perché
onnipotente, non dalla sua sostanza, né da qualcosa che egli non avesse fatto, ma dal nulla, ha creato il
mondo.8
Qui, Agostino accenna alle tre ipotesi sull’origine del mondo che la ragione filosofica ha
elaborato: l’emanatismo, il dualismo, il creazionismo. Se il mondo fosse emanazione di Dio,
allora il mondo sarebbe della stessa sostanza di Dio e sarebbe esso stesso divino; la
conseguenza sarebbe il panteismo: l’identità tra mondo e Dio, ma questa ipotesi va comunque
esclusa. Perciò sant’Agostino si interroga anzitutto sul “fare” di Dio:
Ma come creasti il cielo e la terra? […] Non ti accadde certamente come a un uomo, che, artista,
riproduce in un corpo le forme di un altro corpo seguendo i cenni dello spirito […] Lo spirito impone le
sue immagini su qualcosa che già esiste e possiede quanto basta per esistere, come la terra o la pietra o il
legno o l'oro o qualsiasi altro materiale di tale genere. Ora, fuori dalla tua azione, da dove potrebbero
derivare queste materie? Tu desti all'artista un corpo, tu uno spirito, che comanda le membra, tu la
materia, con cui attua l'opera, tu l'ingegno, con cui acquistare l'arte e vedere dentro ciò che attuerà fuori di
sé […]. Tutte queste cose ti lodano come creatore di tutte le cose. Ma tu come le crei? Come creasti, o
Dio, il cielo e la terra? Non certo in cielo e in terra creasti il cielo e la terra; nemmeno nell'aria o
nell'acqua, che pure appartengono al cielo e alla terra. Nemmeno creasti l'universo nell'universo, non
esistendo lo spazio ove crearlo, prima di crearlo perché esistesse. Né avevi fra mano un elemento da cui
trarre cielo e terra: perché da dove lo avresti preso, se non fosse stato creato da te, per crearne altri? 9
È evidente la differenza tra “fare” umano e “fare” di Dio: il primo, per potersi realizzare, ha
sempre bisogno che esista già qualcosa (il materiale su cui fare, gli strumenti con cui fare) e
sul quale Platone aveva modellato l’azione del ός (che dava forma ad una materia
preesistente). Ma «Dio non è come un artigiano il quale, considerando una forma qualsiasi del
proprio pensiero, la impone alla materia che trova a sua disposizione; al contrario, questi
7
AGOSTINO D’IPPONA, La vera religione, a cura di A. Pieretti, Città Nuova Editrice, Roma 1992, XVI, 18.35.
8
ID., Dibattito con Felice Manicheo, in Contro i Manichei II, a cura di G. S. Gasparro, Città Nuova Editrice,
Roma 2000, XIII/2, II,18-19.
9
ID., Confessioni … XI,5.7, 373.
3
diversi materiali è Dio che li fa esistere»10; il “fare” di Dio è propriamente un “fare” dal nulla:
tempo ed essere assenti.
«La creazione dal nulla operata da Dio fa sì che ogni cosa, per infima e insignificante che sia,
proceda da Lui, e in Lui trovi la propria giustificazione. Come tale, essa è, e non può non
essere, dal momento che Dio è colui al quale appartengono il tempo, i secoli e l’essere nel
sommo grado […] Ogni cosa che è, e in quanto è, in se stessa è bene»11
«Lo stesso concetto di creatio ex nihilo suppone la categoria filosofica di “nulla” […] Prima
della creazione, “la terra era tohù wabohù e le tenebre ricoprivano l’abisso” (Gen 1,2), una
forma onomatopeica per evocare una superficie desertica, desolata e squallida, che indica
assenza di vita, è silenzio, morte, cioè l’esatto contrario dell’essere. Deserto, tenebre e abisso,
sono la triade oscura del nulla che è vinto dalla divina Parola creatrice.»12
Dio dunque non è solo il “plasmatore” delle cose, ma anche il creatore della materia da cui le
cose sensibili sono state formate.
Avere di Dio un altissimo concetto è il più vero inizio di religiosità. E non se ne ha un concetto altissimo,
se non si crede che è totalità del possibile e assolutamente immutabile, creatore inoltre di tutti i beni, ai
quali è superiore, ordinatore di tutte le cose che ha creato, non aiutato nel creare da altra natura, quasi non
fosse l'assoluto. Ne consegue che dal nulla ha creato l'universo e che da sé non ha creato, ma ha generato
un principio che gli è eguale. 13
Con forza Agostino spiega che la creazione è un concetto che si colloca tra
generazione e fabbricazione: non è generazione perché le cose create non sono uguali a Dio
che le crea; non è fabbricazione perché Dio non opera solo in parte nelle cose modellando una
materia preesistente, ma le produce secondo tutta la loro natura. In effetti, attraverso la
creazione, Dio, essere eterno, immutabile e assoluto rende tutte le creature partecipi del
proprio essere, non in modo assoluto, poiché altrimenti esse verrebbero ad identificarsi con
Lui, bensì in relazione alla quantità di essere che egli assegna a ciascuna.14
Abbiamo visto come il creare di Dio è un “fare assoluto”, perché oltre Lui stesso non
richiede nulla, nient’altro che il nulla. Perciò se qualcosa è, è dunque unicamente perché Dio
è; ogni altro intermediario è escluso: «quid enim est, nisi quia Tu es?» 15 (Ed esiste qualcosa,
se non perché esisti tu?) Di conseguenza, l’essere delle cose risulta da una Parola creatrice:
«Ergo dixisti et facta sunt atque in verbo tuo fecisti ea»16 (Dunque tu parlasti, e le cose furono
create; con la tua parola le creasti.)
10
É. GILSON, Introduzione allo studio di sant’Agostino, Casa Editrice Marietti, Genova-Milano 2007, 218.
11
AGOSTINO D’IPPONA, La vera religione, …, 15-16.
12
G. RAVASI, Relazione ai partecipanti al Congresso “Dal telescopio di Galileo alla cosmologia evolutiva”,
Pontificia Universitas Lateranensis (Roma, 30 novembre - 2 dicembre 2009).
13
AGOSTINO D’IPPONA, Libero arbitrio, in Dialoghi II, a cura di A. Trapè, Città Nuova Editrice, Roma 19761992, III/2, I,2.5.
14
Una pietra, per esempio, ha un grado di essere inferiore rispetto a quello di un animale, la cui essenza sarà a
sua volta inferiore a quella di un uomo, e così via, fino ad arrivare alle intelligenze angeliche e infine a Dio
stesso, “dispensatore” di essere”.
15
16
AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, XI,5.7, 373.
Ibidem.
4
Il “come” del creare divino è dunque il Verbo; in esso è il luogo stesso della creazione, la
quale non presuppone nient’altro che questa sovrana Parola di Dio. In Lui il dire è fare e fare
è dire: il suo parlare è creare e il suo creare non è che parlare; Egli dice e tutto è così come
Egli lo dice. Tutto deriva dalla sua Parola, dal suo Verbo, Principio di tutto17, perché Dio
stesso è Essere:
Solo ciò che, non soltanto non muta, ma soprattutto non può assolutamente mutare, merita senza riserve
ed alla lettera il nome di essere.18
Nel Verbo (in Verbo) tutte le cose trovano il loro vero luogo d’origine, perché “verbo”
significa non solo parlare e dire, ma anche conoscere e pensare. Perciò, ogni cosa trova la
propria origine nell’essere conosciuta da Dio, nell’essere pensata e detta dal Verbo.
Altro tema che rientra nel concetto di creazione è quello delle idee o cause esemplari,
esistenti nella mente divina: creazione secondo le ragioni eterne.
La filosofia agostiniana attribuisce ad esse un'importanza fondamentale, tanto da sostenere
che «nessuno può essere sapiente se non le conosce»; anzi aggiunge che il conoscerle è dato a
«pochissimi». Tra questi pochi ci fu, senza dubbio, lo stesso Agostino. Ogni cosa è stata
creata secondo la propria idea o ragione; dunque per la partecipazione a queste idee avviene
che ogni cosa è tutto ciò che è.
È ben chiara, a questo punto, la dottrina dell’esemplarismo divino: il riconoscere nelle cose le
idee divine come in un vestigium o in un'immagine, e salire dalla contemplazione di esse alla
contemplazione delle idee esistenti nella mente divina. In Dio, infatti,
perdurano stabili le cause di tutte le cose instabili; e di tutte le cose mutabili si conservano in Te
immutabili i princìpi, e di tutte le cose irrazionali e temporali sussistono in Te sempiterne le ragioni. 19
La teoria dell’esemplarismo è anche il fondamento della nostra conoscenza di Dio: la via
affirmationis. Se l’universo non è che un’immagine di Dio, questa stessa immagine ci deve
permettere di ricostruire in qualche modo la natura dell’Autore stesso dell’universo; è nelle
piccole cose che si rivela la grandezza della sua arte, le meraviglie delle sue opere, le vestigia
della sua Sapienza.
Ogni cosa è stata creata da Dio simultaneamente, nello stesso tempo, ma non tutte allo
stesso modo: alcune le ha create in se stesse, come la materia e l’anima umana, altre
virtualmente, in germi invisibili, quasi semi dei semi, dai quali dipende il progressivo sviluppo
dell’universo.
Sant’Agostino, perciò, fa sua l’idea delle rationes seminales, idea molto diffusa nell’ambito
della filosofia neoplatonica e stoica (ό)20; esse, inserite nelle cose,
17
Cfr. AGOSTINO D’IPPONA, Commento al Vangelo di S. Giovanni, a cura di A. Vita, Città Nuova Editrice, Roma
1968-1985, XXIV/2, 2.3, 27.
18
ID., Trinità, a cura di A. Trapè - M. F. Sciacca, Città Nuova Editrice, Roma 1973-1897, IV, V,2,3, 237.
19
AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, … I,6.9, 11.
20
Abbandonato il politeismo tradizionale per lasciare il posto al monoteismo, gli stoici considerano Dio unica
divinità del mondo; Egli coincide con il principio attivo del mondo, ovvero con quel ς o ragione (=la forma)
5
presiedono allo sviluppo dell'universo; si possono concepire come semi, nei quali è presente
tutto l'essere quale verrà formandosi col tempo; nulla appare nell'universo che non sia stato
creato fin dall'inizio. Ecco, pertanto un altro aspetto della creazione: secondo le ragioni
seminali.
Per completare la filosofia della creazione occorre aggiungere che Dio non crea per
interesse o per indigenza o per necessità, ma liberamente, per puro amore. La ragione della
creazione sta anche nel fatto che vi è un Dio buono e che, di conseguenza, ogni cosa creata è
buona; noi non eravamo, ma è solo dal suo amore che noi siamo. Dall’uomo deve, perciò,
elevarsi la lode al Suo amore, a questa Sua bontà:
Ciò che sento in modo non dubbio, anzi certo, Signore, è che ti amo. Folgorato al cuore da te mediante la
tua parola, ti amai, e anche il cielo e la terra e tutte le cose in essi contenute, ecco da ogni parte mi dicono
di amarti. […] Nulla amo, quando amo il mio Dio.21
Chi è stato, dunque, l'autore delle cose create? Per mezzo di chi le ha fatte? Perché le
ha fatte, per quale fine? Il Santo Dottore alla prima domanda risponde: Dio, «buono per
essenza»22; alla seconda: per mezzo del Verbo; alla terza: perché le cose sono buone.
La creazione e la conservazione delle cose è frutto dell'amore di Dio, di quell'amore che non
suppone, ma crea la bontà nelle cose stesse che Dio ama. «Totalità del possibile e
assolutamente immutabile, creatore di tutti i beni, ai quali è superiore, ordinatore di tutte le
cose che ha creato, non aiutato nel creare da altra natura»23, Dio non ama le cose perché sono
buone, ma le cose sono buone perché è Lui stesso che le ama. «Secondo il racconto della
genesi, Dio contemplò il mondo dopo averlo creato e vide che la sua opera era buona […] Fu
ricolmo di gioia allorché ebbe portato a termine l’universo. Non esiste infatti un artigiano più
eccellente di Dio »24.
Sant’Agostino, «uomo di passione e di fede, di intelligenza altissima e di premura
pastorale instancabile»25, si presenta dunque come il primo filosofo cristiano a fornire una
definizione concettuale e rigorosa della creatio ex nihilo.
Perché, dunque, si possa parlare di creazione in senso proprio, il rapporto di causa-effetto,
Dio-mondo deve avere alcune precise caratteristiche.
Dev’essere una causazione o produzione libera, per cui l’effetto non è necessario rispetto
alla causa: solo Dio è eterno.
-
Dev’essere una causazione o produzione di un effetto inferiore rispetto alla causa: la
creatura non può essere coeterna al Creatore.
-
che, agendo sulla materia (principio passivo) produce gli esseri singoli. Dio viene identificato sia con il fuoco
cosmico, con il soffio caldo (), sia come la ragione seminale del mondo, ossia come il seme universale
che contiene in se stesso i semi e le forme delle varie cose.
21
AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, … X,6.8, 305.
22
È. GILSON, cit., 218.
23
AGOSTINO D’IPPONA, Libero arbitrio, … I,2.5.
24
Cfr. Étienne GILSON, cit., 218.
25
BENEDETTO XVI, Udienza generale, 9 gennaio 2008.
6
Dev’essere una causazione o produzione dal nulla, cioè tale da non presupporre alcuna
realtà prima dell’effetto creato: né materia né forme, né causa materiale né causa formale, ma
solo la causa efficiente; ogni natura che esiste e non è Dio, è stata creata dal nulla.
-
L’INPLICATISSIMUM ÆNIGMA, IL TEMPO
2.
Alla creazione va congiunto l’ænigma del tempo: «Come è possibile pensare insieme
l’eternità di Dio e la creazione del mondo?»26 Se quest’ultima indica un mutamento nella
volontà di Dio, che “prima” era inattivo, e “poi” decide di creare il mondo, allora sembra
lecito chiedersi: «Che cosa faceva Dio prima di creare il mondo?»27.
Sono queste le domande che hanno spinto Agostino ad un’analisi dettagliata del tema del
tempo. Ma per l’Ipponate esse non hanno senso, dal momento che Dio, insieme con il mondo
ha creato anche il tempo: l’essere divino “precede” il tempo, è “al di là” del tempo, ovvero è
“eterno”.
I filosofi stoici hanno invece immaginato un ciclo eterno, composto di lunghi periodi che si
succedono secondo un ordine fisso e che riporterebbe perpetuamente nella natura gli stessi
rinnovamenti e le stesse distruzioni.28
Nel libro XI delle Confessiones, il Santo Vescovo di Ippona ripropone un interrogativo
comune ai filosofi suoi contemporanei e non: quid est tempus? Scrive a riguardo:
Cos'è il tempo? Chi saprebbe spiegarlo in forma piana e breve? Chi saprebbe formarsene anche solo il
concetto nella mente, per poi esprimerlo a parole? Eppure, quale parola più familiare e nota del tempo
ritorna nelle nostre conversazioni? Quando siamo noi a parlarne, certo intendiamo, e intendiamo anche
quando ne udiamo parlare altri. Cos'è dunque il tempo? Se nessuno m'interroga, lo so; se volessi spiegarlo
a chi m'interroga, non lo so.29
In questo modo Sant’Agostino inaugura una meditazione che, in realtà, si rivela aspra e
profonda, tra le più dense e penetranti di quante siano state scritte sull’argomento.
2.1
L'UNIVERSO CREATO COL TEMPO E LA CREAZIONE “AB AETERNO”
Innanzitutto Agostino trova subito sul proprio cammino avversari forti ed agguerriti: i
platonici, i quali ammettevano la creazione, ma sostenevano che fosse necessaria ed eterna,
proponendo la concezione ciclica del tempo e della storia.30
26
Il problema del tempo in Agostino era collegato anzitutto all’obiezione dei pagani, riguardo alla creazione del
mondo ad opera di Dio: il Dio cristiano o è perfetto, e allora non si capisce perché abbia sentito la necessità di
creare l'universo, oppure è imperfetto e solo con la creazione ha potuto raggiungere la perfezione. Pertanto, era
perfetto prima e imperfetto dopo, oppure imperfetto prima e perfetto dopo.
27
Cfr. Étienne GILSON, cit., 220.
28
Étienne GILSON, cit., 220.
29
AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni … XI,14.17, 381-383.
30
Nella civiltà greca, il tempo è vissuto come misura del perdurare delle cose mutevoli e come ritmica
successione delle fasi in cui si svolge il divenire della natura. In questa cultura troviamo una visione
7
Sant’Agostino respinge entrambe le affermazioni insieme con le conseguenze che ne
derivano; infatti, nel De civitate Dei così scrive:
- se dicendo creazione eterna s’intende che il mondo non è stato creato da Dio, «si è troppo
lontani dalla verità e si sragiona a causa della funesta malattia della irreligiosità»31;
- se invece s’intende dire che il mondo è stato fatto da Dio, ma non ha l’inizio del tempo
bensì solo della creazione, ci si esprime in modo «appena intelligibile»32.
E ancora, nell’opera medesima, esamina l’opinione di Apuleio, il quale riteneva che il genere
umano, come il mondo, sia sempre esistito33.
Agostino non segue i filosofi su questa via, anche se non manca di notare che essa va in
contraddizione con quanto essi stessi insegnano sulla sorte delle anime (i circuiti eterni)34, ma
s’impegna a dimostrare che contro la creazione del mondo nel tempo i loro argomenti non
hanno consistenza. Il mondo non è stato creato nel tempo (quasi che quest’ultimo esistesse
prima del mondo), ma col tempo. Essendo correlativo alle cose mutabili non può esistere
senza di esse.
Tu, Dio nostro, sei il creatore di ogni cosa creata; e se col nome di cielo e terra s'intende ogni cosa creata,
arditamente dico: «Dio, prima di fare il cielo e la terra, non faceva alcunché».35
Il tempo comincia con la creazione: non può esserci dunque tempo prima del tempo, cioè
prima delle cose create; chiedersi pertanto che cosa facesse Dio prima della creazione, quasi
che Dio preceda il tempo con il tempo e non con l’eternità, è un falso problema che nasce dal
non tener conto del rapporto che corre tra tempo ed eternità.
Questo rapporto non è di continuità, come se l’eternità fosse un tempo perpetuo, ma di
mutabilità ed immutabilità; la creazione nel tempo non importa, dunque, mutabilità in Dio, il
quale «sa operare riposandosi e riposare operando e può applicare ad un’opera nuova un piano
non nuovo, ma eterno». Il prima e il poi non stanno in Lui, ma nelle cose che prima non erano
e poi cominciano ad essere.
[Il prima e il poi] si riferiscono agli esseri che prima non esistevano e poi sono esistiti […] ma Dio con
una sola, immutabile, eterna volontà fece in modo che le cose create non fossero prima quando non erano
e fossero dopo quando cominciarono ad esistere. 36
Il mutamento dunque è nelle creature, è proprio delle creature, non di Dio. Il nostro filosofo
giunge così a riaffermare quanto è comune nel contesto biblico, e cioè la concezione del
tempo lineare, procedente a senso unico: lo svolgimento storico dell'umanità è irreversibile,
antropomorfica della mitologia classica, dalla quale deriva la continuità degli eventi tra la storia degli dèi e
quella degli uomini: la storia degli dèi rispecchia, anticipa e spiega la storia degli uomini, e una visione
naturalistica della religiosità orfico-misterica, dalla quale si evince l'idea del ciclo come perenne ritorno in senso
naturalistico, dove si stabilisce un'alternanza tra vita e morte, progresso e decadenza, fortuna e disgrazia.
31
32
Cfr. AGOSTINO D’IPPONA, Città di Dio … XI,4.2, 73.
Ibidem.
33
Cfr. ID., Città di Dio … XII,10, 171.
34
Cfr. ID., Città di Dio … XI,4,2, 73.
35
ID., Confessioni … XI,12.14, 379-381.
36
ID., Città di Dio … XII,12.6, 159.
8
senza possibilità di ritorno e con una serie di istanze nelle quali le libere decisioni dell'uomo,
con il loro apporto di male o di bene, sono destinate a rimanere tali per tutta l'eternità.
Non c’era un “prima” né un “poi” quando non c’era il tempo: dunque non ha senso
chiedersi che cosa facesse Dio “prima” della creazione; il concetto di creazione non implica
quello di un inizio del mondo nel tempo, e il mondo non è stato fatto nel tempo, ma con il
tempo.
Tu dunque sei l’iniziatore di ogni tempo, e se ci fu un tempo, e se ci fu un tempo prima che tu creassi
il cielo e la terra, non si può dire che ti astenevi dall’operare. Anche quel tempo era opera tua, e non
poterono rascorrere tempi prima che tu avessi creato un tempo.37
Dunque prima del mondo non c’era un «prima temporale», perché non c’era tempo; c’era
invece (anzi bisognerebbe dire «c’è») l’eternità, che è come un infinito presente atemporale
(senza scorrimento e scansione di «prima» e di «poi»); perciò la temporalità, non solo è creata
da Dio con il mondo, ma è anche la cifra caratteristica degli esseri creati, così come l’eternità
appartiene solo al Dio creatore.
Inoltre, «in qualsiasi senso s’intenda in principio, è un fatto che, secondo la Genesi, Dio ha
creato il cielo e la terra; che cosa si deve intendere con queste espressioni? La narrazione della
creazione non deve implicare alcuna durata di tempo nell’azione creatrice. Dio ha creato tutto
simultaneamente e l’insieme dell’opera dei sei giorni distinti dal racconto della Genesi deve
intendersi come un solo giorno o piuttosto come un solo istante.»38 Non è, dunque, corretto
parlare di “tempo eterno”: il tempo è oggetto dell’eternità di Dio, creatura dell’Eterno-Dio39,
principio e fine, άλφα e ώμέγα.
Il tempo implica mutamento e movimento, mentre l’eternità, che è assenza di ogni
espressione temporale, implica stabilità e permanenza; in Dio non c'è passato né futuro, ma c'è
un eterno presente al di sopra di ogni tempo.
Non ci fu dunque un tempo, durante il quale avresti fatto nulla, poiché il tempo stesso l'hai fatto tu; e non
vi è un tempo eterno con te, poiché tu sei stabile, mentre un tempo che fosse stabile non sarebbe tempo. 40
2.2
CHE COSA MISURA IL TEMPO?
Netta e recisa è dunque la differenza esistente tra eternità intesa come stabilità e
immutabilità, e il tempo inteso come mutamento e divenire. Ma se è diverso dall’eternità, si
ripropone la questione: quid est tempus? La domanda si pone subito, e, di fronte
all’«inplicatissimum ænigma»41 che essa nasconde, si accendono la curiosità intellettuale e la
passione filosofica di Agostino.
Innanzitutto condizione del tempo è la mutabilità delle cose: mutare, infatti, vuol dire
assumere modi di essere differenti secondo una sequela, una successione di stati. Ma è proprio
37
ID., Confessioni … XI,12.14, 381.
38
Cfr. É. GILSON, cit., 225.
39
Cfr. É. GILSON, cit., 219.
40
AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni … XI,14.17, 381-383.
41
Cfr. Ivi, XI,22.28, 389-391.
9
la successione di diversi stati che forma la durata, il tempo; senza mutazione non ci sarebbe
tempo.
La successione dei modi di essere comporta nel tempo tre determinazioni: passato, presente,
futuro; ciò che fu, ciò che è, ciò che sarà. Nel contempo, egli ricorda il paradosso del tempo
illustrato da Aristotele42: come può essere “qualcosa” una realtà composta di parti (il passato
e il futuro) che non hanno consistenza, cioè che “non sono”?
Due, dunque, di questi tempi, il passato e il futuro, come esistono, dal momento che il primo non è più, il
secondo non è ancora? E quanto al presente, se fosse sempre presente, senza tradursi in passato, non
sarebbe più tempo, ma eternità. Se dunque il presente, per essere tempo, deve tradursi in passato, come
possiamo dire anche di esso che esiste, se la ragione per cui esiste è che non esisterà? Quindi non
possiamo parlare con verità di esistenza del tempo, se non in quanto tende a non esistere. 43
Ecco altri interrogativi.
1.
Se il passato non è più, il futuro non è ancora, e per parte sua il presente non è altro che
tendenza a non essere, che cos’è dunque il tempo?
2.
Del resto, che cosa si misura nel tempo, se il presente, il passato, il futuro “non sono”, e
ciò che “non è” non si può misurare?
3.
Forse il tempo, oltre alle sue tre dimensioni (passato, presente, futuro), possiede una
sorta di “quarta dimensione” che consente di misurarlo?
In Agostino inizia così a farsi strada la convinzione che il tempo non sia una “grandezza
fisica” divisibile in parti misurabili: non si misurano le “parti” del tempo, ma il suo “passare”,
che è percepito dalla coscienza.
Signore, noi percepiamo gli intervalli del tempo, li confrontiamo tra loro, definiamo questi più lunghi,
quelli più brevi, misuriamo addirittura quanto l'uno è più lungo o più breve di un altro […] Ma si fa tale
misurazione durante il passaggio del tempo; essa è legata a una nostra percezione. I tempi passati invece,
ormai inesistenti, o i futuri, non ancora esistenti, chi può misurarli? Forse chi osasse dire di poter misurare
l'inesistente. Insomma il tempo può essere percepito e misurato al suo passare; passato non può, perché non
è44
Dunque, la realtà del tempo non è nulla di permanente, la sua essenza consiste nell’avere
soltanto un’esistenza frammentaria: il passato è tale perché non è più, il futuro è tale perché
non è ancora.
Quanto al presente: se fosse sempre presente e non trapassasse continuamente nel passato,
non sarebbe tempo ma eternità; altresì non può consistere che in un istante indivisibile, poiché
se si estendesse nella durata, si dividerebbe a sua volta in un passato che non è già più e in un
futuro immediato che non è ancora. E il tempo, che ci travolge, resta per noi una realtà
42
Secondo Aristotele il tempo (χρόνος) è «il numero del movimento secondo il prima o il poi» (Fisica,
IV,11,219b,1). Poiché nel movimento ci sono un prima ed un poi, anche nel tempo ci devono essere un prima ed
un poi. Di conseguenza, come il luogo non esiste senza i corpi, così il tempo non esiste senza le cose che
mutano. Inoltre, siccome ogni misura sottintende una mente misurante, capace di tener conto dell’ordine di
successione delle cose, il tempo presuppone l’esistenza dell’anima.
43
AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni … XI,14.17, 381-383.
44
Ivi, XI,16.21, 385.
10
misteriosa: tutta la sua sostanza risiede proprio in questo istante indivisibile che è presente.45
Possiamo rappresentare schematicamente:
PASSATO
PRESENTE
FUTURO
PRESENTE
2.3
LA SOLUZIONE DELL’ÆNIGMA: L’ANIMA
Nonostante la fuggevolezza del tempo, noi riusciamo a misurarlo e parliamo di un
tempo breve o lungo, sia passato sia futuro. Come e dove portiamo a termine questa misura?
Agostino risponde: nell'anima.
È nell’anima, infatti, che Agostino ritrova ciò che altrove ha cercato invano, è nell’anima che
coglie il rapporto tra permanente e transitorio: il presente, il passato, il futuro; è nella
coscienza che queste tre dimensioni del tempo acquistano consistenza. Non si può certo
misurare il passato che non è più, ma nell'anima c’è la memoria delle cose passate, o il futuro
che non è ancora, ma nell'anima c’è l'attesa delle cose future, o il presente che è privo di
durata e in un istante trapassa, ma nell'anima dura l’attenzione alle cose presenti.
Esiste perciò l’io che, rimanendo presente a se stesso e sottraendosi al tempo, ricorda ogni
cosa, le intuisce e le spera.
Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato,
presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del
presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell'animo e non le
vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro
l'attesa.46
Quando misuriamo il tempo e diciamo che il tempo “trascorre” dal passato al futuro, in realtà
indichiamo un moto dell’anima.
Dunque, il tempo è distensio animi, distensione dell’anima; l’anima “si estende” nel tempo:
“si distende” nel passato quando ricorda, “si protende” nel futuro quando attende.
È “il fluire” del tempo: 1) solo nell’anima il passato non svanisce, ma “è” in quanto ricordo
(presente del passato); 2) solo nell’anima il futuro “è” già, in quanto attesa (presente del
futuro); 3) solo nell’anima il presente non fugge via, ma “è” attenzione alla realtà (presente
del presente).
Ma come diminuirebbe e si consumerebbe il futuro, che ancora non è, e come crescerebbe il passato, che
non è più, se non per l'esistenza nello spirito, autore di questa operazione, dei tre momenti dell'attesa,
dell'attenzione e della memoria? Così l'oggetto dell'attesa fatto oggetto dell'attenzione passa nella
memoria. Chi nega che il futuro non esiste ancora? Tuttavia esiste già nello spirito l'attesa del futuro. E
chi nega che il passato non esiste più? Tuttavia esiste ancora nello spirito la memoria del passato. E chi
nega che il tempo presente manca di estensione, essendo un punto che passa? Tuttavia perdura
l'attenzione, davanti alla quale corre verso la sua scomparsa ciò che vi appare. Dunque il futuro,
45
Cfr. É. GILSON, cit., 222.
46
AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni … XI,20.26, 389.
11
inesistente, non è lungo, ma un lungo futuro è l'attesa lunga di un futuro; così non è lungo il passato,
inesistente, ma un lungo passato è la memoria lunga di un passato. 47
Al di là del tempo, al di là dei nostri pensieri c’è Dio che sussiste, Lui che è il creatore di ogni
pensiero, Lui che è eterno48; per Lui, infatti, non esiste né passato né futuro, ma una
conoscenza della cosa indivisa ed una, come l’atto stesso con cui le ha create.49
CONCLUSIONE
Al termine di questa ricerca, Sant’Agostino ha saputo rivivere a fondo ed interpretare
ciò che di più intimo è nel Cristianesimo; e il Cristianesimo è uno degli elementi più
determinanti di tutta la nostra storia e di tutta la nostra cultura.
Agostino, «magnus vir gratia fulminatus»50, dichiara di aver raggiunto delle grandi verità:
1. Scopre insieme gli abissi dell’Essere (immutabile, eterno, immortale) esclusivo di
Dio, e la precarietà di quell’essere (mutevole, temporale, mortale) che è il nostro.
2. Il creato proviene dal nulla.
3. Del creato, nessuna creatura, anche la più perfetta, anche se sottratta per dono di grazia
alla mutabilità, è coeterna a Dio.
È questo il nostro modo di essere creature, di tutto noi stessi, continuamente debitori al
Verbo-Parola che, «dicendoci», ci “fa”. È quanto si può riscontrare nel Salmo 851: «O
Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: sopra i cieli si innalza la tua
magnificenza. Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi
avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli. Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la
luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo
perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai
coronato […]».
È una celebrazione dell’uomo, creatura di Dio; è un inno di lode al Padre e Signore del
creato, la cui gloria è cantata dai cieli, ma anche dalle labbra dell'umanità. La lode che spunta
spontanea sulle labbra dei bambini cancella e confonde i discorsi presuntuosi dei negatori di
Dio, "avversari, nemici, ribelli", perché si illudono di sfidare e contrastare il Creatore con la
47
AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni … XI,28.37, 399-401.
48
L’eternità è, a differenza del tempo, un “eterno presente”, è un possedersi dell’essere non successivamente, ma
totalmente nell’istante. Ciò è proprio solo dell’Essere che ha tutto l’essere, che è tutto l’essere e quindi non ha la
necessità di mutare per essere.
49
Cfr. É. GILSON, cit., 224.
50
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Augustinum Hipponensem, 13.
51
Cfr. Sal 8,2-6
12
loro ragione e azione.52 Perché «in Dio eterna è la verità, eterna la carità, vera è la carità, vera
l’eternità; amata è l’eternità, amata la verità»53.
BIBLIOGRAFIA
AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, a cura di A. Trapè, Città Nuova Editrice, Roma 19651991, I.
ID., Libero arbitrio, in Dialoghi II, a cura di A. Trapè, Città Nuova Editrice, Roma 19761992, III/2.
ID., Trinità, a cura di A. Trapè – M. F. Sciacca, Città Nuova Editrice, Roma 1973-1987,
IV.
ID., Città di Dio, a cura di A. Trapè – D. Gentili, Città Nuova Editrice, Roma 1988, V/2.
ID., La vera religione, a cura di A. Pieretti, Città Nuova Editrice, Roma 1995, VI/2.
ID., Dibattito con Felice manicheo, in Contro i Manichei II, a cura di G. Sfameni
Gasparro, Città Nuova Editrice, Roma 2000, XIII/2.
ID., Commento al Vangelo di S. Giovanni, a cura di A. Vita, Città Nuova Editrice, Roma
1968-1985, XXIV/2
É. GILSON, Introduzione allo studio di sant’Agostino, in Collana di Filosofia, Casa
Editrice Marietti, Genova-Milano 2007.
GIOVANNI PAOLO II, Agostino d’Ippona, a cura di Agostino Trapè, Città Nuova Editrice,
Roma 1988.
52
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 26 giugno 2002.
53
AGOSTINO D’IPPONA, Trinità … IV,proemio,1,3, 177.
13