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I QUADERNI
DELLA FONDAZIONE CRC
Impresa
possibile
Welfare aziendale
in provincia di Cuneo
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I QUADERNI DELLA FONDAZIONE CRC
• FEBBRAIO 2018
Q 33
QUADERNO 33
La collana Quaderni della Fondazione CRC mette a disposizione
i risultati delle ricerche socio economiche promosse dal Centro Studi
per esplorare temi di interesse e di prospettiva per il territorio della
provincia di Cuneo e per contribuire alla realizzazione e alla valutazione
dell’attività propria della Fondazione.
La presente ricerca è stata promossa e finanziata dalla Fondazione CRC
e realizzata in collaborazione con il Laboratorio di ricerca “Percorsi
di secondo welfare” del Centro Einaudi di Torino, l’Università Cattolica
del Sacro Cuore di Milano e IPSOS.
Centro Studi Fondazione CRC (coordinamento generale
e redazionale): Elena Bottasso, Stefania Avetta.
Centro Einaudi, Laboratorio di ricerca “Percorsi di secondo
welfare”: Franca Maino (coordinamento), Federico Razetti
e Valentino Santoni.
IPSOS: Andrea Alemanno e Monica Mantovani,
in collaborazione con Luca Pesenti,
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Si ringraziano tutte le persone, gli enti e le imprese che hanno
partecipato ai diversi momenti della ricerca, partecipando alle rilevazioni
telefoniche, alle interviste e ai tavoli di lavoro.
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FEBBRAIO 2018
Impresa
possibile
Welfare aziendale
in provincia di Cuneo
A cura di
Franca Maino, Federico Razetti e Valentino Santoni
Laboratorio di ricerca “Percorsi di secondo welfare”
Luca Pesenti
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
C EN TRO STU D I
© 2018 Fondazione CRC
Via Roma 17 – 12100 Cuneo – Italia
www.fondazionecrc.it
ISBN 978-88-98005-19-2
Il documento in formato PDF è scaricabile dal sito www.fondazionecrc.it
È vietata la riproduzione dei testi, anche parziale, senza autorizzazione
Progetto grafico e impaginazione: Bosio.Associati – Savigliano
Stampa: Tipolito Europa
Chiuso in tipografia a febbraio 2018
Indice
p. 8
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Presentazione
Introduzione
1. Il welfare in azienda: inquadramento del tema e del dibattito
1.1 I termini-chiave: occupazionale, aziendale o in azienda, unilaterale
o bilaterale
1.2 Le aree di intervento e la platea dei beneficiari
1.3 Welfare in azienda e connessioni con il territorio: dalla CSR al
welfare territoriale
41
2. Il welfare in azienda in Italia
2.1 I principali trend nazionali e internazionali
2.1.1 Il welfare aziendale in Italia in prospettiva comparata
2.1.2 Le dimensioni del fenomeno in Italia: evidenze dalle principali
ricerche
2.2 La normativa di riferimento: nuove opportunità per la diffusione
del welfare aziendale
2.2.1 La normativa fiscale e le novità introdotte dalle Leggi di
Stabilità 2016 e 2017
2.2.2 Lo smart working
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3. La parola alle imprese
3.1 Lo scenario economico produttivo della provincia di Cuneo
3.2 Il disegno della ricerca e le caratteristiche del campione
3.3 Che cosa succede in azienda: la soddisfazione interna
3.4 La cultura aziendale e il welfare: percezioni e comprensioni
3.5 L’impatto del welfare sull’organizzazione
3.6 Conclusioni: il welfare aziendale è utile alle imprese?
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4. Il punto di vista degli attori del sistema produttivo e sociale
4.1 Il disegno della ricerca
4.2 Il punto di vista degli stakeholder
4.2.1 Che cosa è e a che cosa serve il welfare aziendale
4.2.2 I rischi e le opportunità alla luce delle recenti innovazioni del
quadro normativo
4.2.3 Il ruolo della contrattazione
4.3 Alcune iniziative in campo
4.4 Le grandi imprese
4.5 I provider di welfare aziendale
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4.6 Gli Enti bilaterali
4.6.1 La Cassa edile di Cuneo
4.6.2 L’EBAT-FAVLA e il FAVLA Coop
4.6.3 L’Ente Bilaterale Artigianato Piemontese – EBAP e il bacino
territoriale di Cuneo
4.6.4 Gli Enti Bilaterali del Commercio e del Turismo
4.6.5 L’Ente Bilaterale della Cooperazione Cuneese
4.7 I (primi) passi verso il welfare territoriale
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5. Considerazioni di sintesi e indicazioni di policy per la diffusione
del welfare aziendale e territoriale
5.1 I risultati: una sintesi
5.2 Le direttrici di sviluppo e le indicazioni di policy
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Bibliografia
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IMPRESA POSSIBILE
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Presentazione
La Fondazione CRC si propone di contribuire allo sviluppo locale e alla
coesione sociale in provincia di Cuneo anche favorendo interventi di innovazione sociale e di sperimentazione di nuove forme di welfare comunitario, con il coinvolgimento attivo degli attori istituzionali, economici e sociali
attivi a livello locale.
In virtù di questa priorità, il Centro Studi della Fondazione ha sviluppato
negli anni un filone di analisi dedicato al welfare locale e ai suoi principali
protagonisti, al fine di evidenziarne peculiarità, tendenze in corso e prospettive. Come per mettere a disposizione le tessere di un puzzle da costruire, si
è analizzato il sistema dei servizi sociali della provincia di Cuneo (Quaderno
on line del 2012, realizzato con ARS), si sono esplorati i processi, i progetti
e gli attori pubblici e privati dell’innovazione sociale, anche alla prova della
crisi (Quaderni n. 12 del 2011 e n. 24 del 2015, con IRES Piemonte). Quindi
si è indagato il settore, dal più consolidato a quello più sperimentale, delle
iniziative di prevenzione e promozione della salute (Quaderno n. 26 del
2015). Lo scorso anno, si è presentata l’indagine sul mondo della cooperazione sociale e delle trasformazioni in atto, alla luce della riforma del Terzo
settore e di sviluppo dell’impresa sociale (Quaderno n. 31, 2017).
Anche a partire dai risultati di questi lavori, la Fondazione ha avviato
importanti iniziative nell’ambito della Promozione sociale, tra cui il Bando
Cantiere Nuovo Welfare, il Bando per la prevenzione e promozione della
salute, il progetto VelA, Verso l’Autonomia dedicato alle persone con disabilità: tutte iniziative accomunate dalla finalità di stimolare la nascita di
esperienze concrete di welfare comunitario, efficaci e sostenibili nel tempo,
attraverso un forte e simultaneo coinvolgimento della rete pubblica, privata
e sociale.
In questo contesto, si è ritenuto interessante proseguire e ampliare l’analisi della situazione e delle potenzialità del territorio provinciale, andando
a esplorare il tema del welfare aziendale, sempre più oggetto di attenzione
e interesse, anche alla luce delle recenti novità legislative.
L’indagine – realizzata grazie alla preziosa collaborazione del Laboratorio di ricerca del Centro Einaudi «Percorsi di secondo welfare», diretto da
Franca Maino, e di IPSOS con il coinvolgimento di Luca Pesenti – restituisce una prima fotografia della diffusione e delle caratteristiche del welfare
aziendale, interaziendale e territoriale in provincia di Cuneo, ma anche il
punto di vista dei principali stakeholder locali sulle criticità e sui possibili
sviluppi.
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IMPRESA POSSIBILE
Il Quaderno evidenzia che alcune iniziative sono in corso, che molto
è ancora da fare – in particolare rispetto alle sfere dei nuovi bisogni, come
l’assistenza sociale e sanitaria o la conciliazione dei tempi di vita e lavoro –,
ma soprattutto che lo sviluppo di un “buon” welfare aziendale è una “impresa possibile”, anche in un territorio come il nostro caratterizzato da una
grande diffusione di piccole e piccolissime imprese.
Ci auguriamo che questo lavoro rappresenti un’occasione per riflettere
sull’opportunità di promuovere pratiche innovative di welfare aziendale di
natura territoriale, che vedano il coinvolgimento di imprese grandi e piccole, organizzazioni sindacali e datoriali, enti bilaterali, soggetti del terzo
settore, pubbliche amministrazioni locali, allo scopo di rispondere ai bisogni,
vecchi e nuovi, dei cittadini, incluse le categorie meno tutelate, come i giovani, i precari, i lavoratori autonomi e le loro famiglie.
Il Centro Studi
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Q 33
• FEBBRAIO 2018
IMPRESA POSSIBILE
Introduzione
Seguendo la definizione di ciò che è oggi chiamato “welfare aziendale” o “in azienda”, la ricerca presentata in questo Quaderno si è posta
l’obiettivo di mappare e analizzare le soluzioni di stampo aziendale, interaziendale e territoriale predisposte in provincia di Cuneo da imprese
e rappresentanti dei lavoratori per rispondere ai bisogni dei dipendenti e
delle loro famiglie.
Quello del welfare aziendale è un fenomeno che sta sempre più catturando l’attenzione e l’interesse di studiosi, parti sociali e decisori politici, e
che va senz’altro collocato nel più ampio quadro caratterizzato dai processi
di trasformazione dei tradizionali sistemi di protezione sociale: si tratta di dinamiche innescate da ragioni di tipo funzionale (la crescente inadeguatezza
dei meccanismi esistenti per tutelare gli individui dai “nuovi rischi” sociali)
e rese ancora più urgenti dalla crisi economica dell’ultimo decennio, che ha
acuito le condizioni di bisogno in cui si trovano larghe fasce della popolazione, oltre a irrigidire i vincoli di bilancio cui è sottoposta la finanza pubblica.
La combinazione di questi fattori ha determinato squilibri funzionali e finanziari che in Italia, come noto, si sono manifestati con particolare intensità,
per via di uno sviluppo storicamente disarmonico del sistema pubblico di
welfare (fortemente sbilanciato sul fronte previdenziale) e di un ingente
debito pubblico, che sembra limitare la capacità del welfare di rinnovarsi e
ricalibrarsi adeguatamente, in funzione dei (nuovi) bisogni.
Si è così gradualmente assistito al fiorire di numerose iniziative di protezione e investimento sociale sostenute dall’impegno e dalla mobilitazione di un’ampia platea di attori non pubblici, caratterizzati da un forte
radicamento territoriale: si pensi ai soggetti del terzo settore, alle fondazioni di origine bancaria, a quelle di impresa e di comunità, alle associazioni
datoriali e alle organizzazioni sindacali. Oggi, una delle questioni centrali
è, dunque, capire quale contributo possano offrire, nello scenario appena
descritto, stakeholder rilevanti, come le parti sociali, attraverso gli strumenti del welfare aziendale per offrire risposte a bisogni sociali che il Pubblico fatica (almeno per ora) a soddisfare.
A giudicare dal livello della discussione pubblica, lo sviluppo del welfare aziendale in Italia sembra un fenomeno assodato. La spinta impressa dalle più recenti innovazioni legislative, che hanno definito un quadro
normativo favorevole allo sviluppo di queste forme di protezione sociale
di iniziativa privata, ha certamente avviato una stagione nuova, rendendo particolarmente vantaggioso per le aziende l’introduzione di benefit e
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• FEBBRAIO 2018
Q 33
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servizi di welfare. È però ancora da dimostrare il fatto che queste pratiche
siano uscite dal perimetro entro cui sono state storicamente confinate, cioè
da quello di alcune grandi imprese, in prevalenza manifatturiere, come
descritto dalle poche ricerche sinora dedicate all’argomento.
Appare dunque evidente la necessità di realizzare ricerche sistematiche
capaci di restituire un’immagine rappresentativa dell’universo delle imprese. Considerando le difficoltà e i costi non irrilevanti di un’impresa scientifica che ambisca a coprire l’intero territorio nazionale, risulta di particolare
interesse avventurarsi in ricerche più mirate, mettendo sotto la lente di
ingrandimento specifici territori, garantendosi in questo modo contesti di
riferimento sufficientemente contenuti e dunque adeguatamente trattabili
in termini scientifici. A questi vantaggi si aggiungono quelli dati dalla possibilità di scendere maggiormente in profondità nell’analisi del fenomeno,
esplorandone caratteristiche, processi e sviluppi tramite l’impiego combinato di tecniche quantitative e qualitative.
Il tessuto produttivo della provincia di Cuneo costituisce un interessante contesto in cui osservare il fenomeno del welfare aziendale. Quello
cuneese è, infatti, un territorio “ricco” (produce il 14% della ricchezza
dell’economia piemontese, per un valore aggiunto pro capite superiore a
quello medio regionale) e che prima di altri sembra definitivamente avviato
a uscire dalla lunga crisi iniziata dieci anni fa, che pure ha lasciato i propri
segni sul territorio, soprattutto sui livelli occupazionali. In questo tessuto
convivono alcune grandi imprese di punta, leader a livello nazionale e internazionale, e moltissime di quelle imprese piccole e medio-piccole per
le quali le barriere al welfare in azienda sono generalmente ritenute più
difficili da superare.
Tenendo presente questi elementi, la ricerca sul welfare nelle aziende
cuneesi ha inteso rispondere a tre interrogativi principali:
• quali sono le caratteristiche e quale la diffusione del welfare aziendale
e contrattuale nel territorio della provincia di Cuneo?
• quali sono i tratti caratteristici dei piani di welfare aziendale nelle imprese cuneesi, con particolare riferimento al tema della conciliazione
vita-lavoro?
• è possibile estendere (e, nel caso, attraverso quali leve e strumenti)
all’insieme del tessuto produttivo, composto soprattutto da imprese di
medio-piccole dimensioni, il welfare aziendale che alcune realtà hanno
già positivamente attivato, integrandolo con i servizi pubblici e privati
presenti a livello locale e facendo in modo sistemico sinergia con gli
stakeholder del territorio?
La ricerca, avviata con la composizione del gruppo di lavoro e la revisione della letteratura sul tema, si è tradotta in una discesa sul campo
di osservazione a partire da gennaio 2017, grazie all’effettuazione di
un’indagine quantitativa (curata da IPSOS con la consulenza scientifica
di Luca Pesenti, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) e di
IMPRESA POSSIBILE
una serie di approfondimenti di natura qualitativa (condotti da Franca
Maino, Federico Razetti e Valentino Santoni del Laboratorio Percorsi di
secondo welfare).
Il presente Quaderno è organizzato in tre parti.
Nella prima parte (capitoli 1 e 2) si intendono offrire gli strumenti analitici e gli elementi di contesto per mettere a fuoco il fenomeno oggetto
di analisi, rispondendo ad alcune domande-chiave, che ci consentano di
collocare tale fenomeno nel quadro del dibattito, delle politiche e delle
esperienze attive dal livello europeo a quello locale: che cosa si intende
esattamente con l’espressione “welfare aziendale”? Qual è la sua diffusione in Italia e negli altri Paesi europei? E quale la normativa di riferimento
nel nostro Paese?
Definiti tali elementi di sfondo, la seconda parte del Quaderno (capitoli
3 e 4), dopo aver fornito una breve descrizione delle caratteristiche più
rilevanti di quel tessuto produttivo che dovrebbe rappresentare il terreno di coltura delle esperienze analizzate in questo rapporto, restituisce le
evidenze empiriche emerse dal lavoro di ricerca realizzato “sul campo”
attraverso l’adozione di due strategie parallele: quantitativa e qualitativa.
L’indagine quantitativa – realizzata tramite una survey a un campione di
189 aziende, rappresentativo delle imprese del territorio – ha inteso misurare l’attuale diffusione del fenomeno nel tessuto produttivo cuneese,
ma anche raccogliere il punto di vista delle imprese sullo stato dell’arte, le
criticità, e i possibili sviluppi del welfare in azienda in provincia di Cuneo,
registrandone il sentimento di fondo rispetto a un tema che probabilmente
non è ancora entrato appieno nella cultura delle aziende italiane. I principali risultati emersi dalla survey sono illustrati nel capitolo 3. Sul fronte
dell’analisi qualitativa, le interviste in profondità con i principali stakeholder del tessuto produttivo locale – analizzate nel capitolo 4 – hanno invece
permesso di approfondirne posizionamento e aspettative in merito al tema
oggetto dell’indagine, oltreché di individuare limiti e potenzialità del welfare aziendale a Cuneo alla luce delle best practice a oggi osservabili e delle
recenti innovazioni legislative in materia.
Nella terza parte, il capitolo 5, oltre a ricapitolare gli elementi più
significativi emersi dalla ricerca realizzata, propone alcune riflessioni e indicazioni di policy per il contesto cuneese in vista di un possibile rafforzamento e di una più ampia diffusione del welfare in chiave aziendale e,
auspicabilmente, territoriale.
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IMPRESA POSSIBILE
Parte prima • Il fenomeno
1. Il welfare in azienda:
inquadramento del tema e del dibattito
Prima di addentrarci negli aspetti più tecnici definiti dalla normativa
di riferimento, le cui recenti modifiche hanno senza dubbio contribuito a
riaccendere i riflettori sul tema di questa ricerca, nelle pagine seguenti saranno definiti i termini-chiave di un dibattito che negli ultimi anni è diventato particolarmente intenso, tanto fra gli addetti ai lavori (organizzazioni
sindacali e associazioni datoriali di rappresentanza) quanto fra gli studiosi
di organizzazione del lavoro e sistemi di protezione sociale.
Il fenomeno, che affonda le sue radici nel paternalismo industriale del
XIX secolo – si pensi ai casi di Alessandro Rossi, Gaetano Marzotto, Silvio
Benigno Crespi, solo per citare i più noti1 – è profondamente mutato nel corso del tempo: il welfare aziendale che osserviamo oggi è diverso non solo
da quello di Rossi, Marzotto e Crespi, ma anche da quello più moderno e
democratico elaborato negli anni Cinquanta da un imprenditore visionario
come Adriano Olivetti (Pesenti, 2016a). Dopo un periodo di relativo declino
delle iniziative aziendali di welfare, si assiste oggi a una loro rinascita, in un
contesto economico, sociale e demografico profondamente mutato.
Il fermento registrato negli ultimi anni su questo fronte non si è tuttavia accompagnato a un’attenzione rigorosa alle definizioni: ciò ha lasciato
i termini centrali del dibattito – come “welfare aziendale”, “occupazionale”, “contrattuale” – privi di un ancoraggio concettuale chiaro e condiviso.
Proprio per questo, prima di procedere a illustrare quanto emerso dalla
ricerca condotta nella provincia di Cuneo, appare indispensabile partire da
una definizione dei concetti impiegati.
1.1 I termini-chiave: occupazionale, aziendale o in azienda, unilaterale
o bilaterale
Assumendo una definizione lata, il welfare aziendale può essere ricondotto al concetto più vasto di “welfare occupazionale” (Titmuss, 1958),
inteso come quell’insieme di dispositivi in denaro e servizi forniti ai dipendenti dalle aziende private e dallo Stato (nella sua veste di datore di
lavoro), in conseguenza del rapporto di lavoro che intercorre fra i primi e
i secondi, con l’obiettivo di accrescere il benessere personale e lavorativo
dei dipendenti stessi e, spesso, dei loro nuclei familiari.
Mentre l’accesso al welfare aziendale, da parte dei lavoratori, è ne-
Welfare
occupazionale
1 Si pensi alle numerose esperienze di “villaggi operai” e “città-fabbrica” del secondo Ottocento
che, in Italia, hanno riguardato soprattutto l’industria tessile. Sul tema si rimanda, tra gli altri, a
Bairati (1986), Levi (1986), Benenati (1999) e Ciuffetti (2004).
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Unilaterale
e bilaterale
Contrattazione
collettiva
nazionale
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cessariamente subordinato alla loro condizione occupazionale, l’offerta di
beni e servizi di welfare può originare da fonti diverse. Può infatti essere il
risultato di un'iniziativa assunta unilateralmente dall’impresa, che decide in
via discrezionale di premiare i propri dipendenti (o parte di essi) attraverso
l’offerta di alcuni beni, servizi o erogazioni monetarie: si parla allora di
welfare aziendale unilaterale. Al contrario, l’offerta di welfare può essere
la conseguenza di un accordo collettivo che vede coinvolti, da un lato,
l’impresa o le associazioni di rappresentanza datoriale e, dall’altro, le organizzazioni sindacali: si parla, in questo caso, di welfare aziendale bilaterale,
contrattuale o negoziato (Massagli e Spattini, 2017). Con riferimento al
contesto italiano, questo accordo collettivo può valere a livello nazionale
per un’intera categoria ed essere incluso nel rinnovo del rispettivo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), oppure essere valido a livello di
contrattazione territoriale (regionale o provinciale), di gruppo o di singola
impresa (fig. 1).
Se le forme più tradizionali di intervento dell’impresa nel campo del sostegno al benessere dei lavoratori e dei loro familiari sono state improntate
all’adozione di uno stile tendenzialmente unilaterale, venato di un certo
paternalismo, in tempi più recenti a queste modalità si sono via via affiancate quelle di derivazione contrattuale. La manifestazione più chiara
di questa trasformazione si ritrova, sul piano normativo, nelle modifiche
introdotte al Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) dalla Legge di
Stabilità 2016, che hanno determinato il definitivo superamento dell’impianto paternalistico della normativa, che poggiava sull’identificazione fra
welfare aziendale e interventi sociali concessi unilateralmente dall’impresa
ai propri dipendenti.
In questo processo, in Italia la contrattazione collettiva nazionale ha
giocato un ruolo particolarmente rilevante sia nel campo della previdenza
complementare sia in quello della sanità integrativa, prevedendo l’istituzione di fondi dedicati ai lavoratori delle diverse categorie (i cosiddetti
fondi negoziali bilaterali o negoziali). Un numero crescente di contratti
nazionali ha successivamente esteso l’attenzione ad altre aree del welfare,
soprattutto attraverso la fissazione di linee-guida volte a dare impulso alla
contrattazione di secondo livello (territoriale o aziendale) su questi temi
(Treu, 2013; 2016).
IMPRESA POSSIBILE
Figura 1. Le fonti del welfare in azienda
Normativa
nazionale
Contrattazione
categoriale
(nazionale
e/o territoriale)
Accordi
interaziendali
Contrattazione
di gruppo
Contrattazione
aziendale
Scelte
aziendali
Offerta di prestazioni di welfare ai lavoratori (e ai loro familiari)
Fonte: rielaborazione da Pavolini et al., (2013, p. 43)
Si consideri infine che le diverse fonti di welfare occupazionale non si
escludono a vicenda, ma possono convivere, stratificarsi e integrarsi anche
nella stessa impresa. Proprio per sottolineare che non sempre il welfare
aziendale ha origine (esclusivamente) nella singola azienda, alcuni autori
propongono di utilizzare l’espressione “welfare in azienda” (Pavolini et al.,
2013), così da cogliere la natura occupazionale di benefit e servizi ricevuti
dai lavoratori, senza però ricollegarli direttamente e necessariamente alle
decisioni a livello di singola impresa. Coerentemente con questa impostazione, diventa così possibile distinguere fra misure di welfare derivanti da
decisioni – unilaterali o bilaterali – aziendali in senso stretto, e il cosiddetto
“welfare in azienda”, che ricomprende anche le altre forme di welfare
occupazionale, ovvero quelle che scaturiscono da decisioni assunte dalle
parti sociali a livello nazionale e/o territoriale (fig. 2).
Welfare
in azienda
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Bilaterale
(negoziato
o contrattuale)
Unilaterale
(non contrattuale)
Nazionale
Contratto Collettivo
Nazionale di Lavoro
(CCNL)
Territoriale
Contratti Integrativi
regionali o provinciali
Aziendale
o di gruppo
Contratto Integrativo
aziendale
(fra impresa
e RSA o RSU)
Aziendale
o di gruppo
Concessione unilaterale
del datore di lavoro
Welfare aziendale
Welfare in azienda
Q 33
Figura 2. Il welfare in azienda tra unilateralità e bilateralità
Fonte: elaborazione degli autori
1.2 Le aree di intervento e la platea dei beneficiari
Aree
di intervento
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Il dibattito sulle misure di welfare in azienda investe non solo la questione relativa alle fonti e ai processi da cui può scaturire, ma anche i prodotti (cioè il tipo di prestazioni) che in esso possono essere ricompresi. In
altre parole, non tutti concordano sull’estensione della gamma di erogazioni monetarie, beni e servizi da includere nella sfera del welfare in azienda propriamente inteso.
Se da una parte, in linea con Titmuss (1958), alla cui riflessione pioneristica si deve l’espressione stessa “welfare occupazionale” (occupational
welfare), alcuni autori collocano all’interno di quest’ultimo anche i cosiddetti fringe benefits (benefit non salariali come la fornitura di attività socio
ricreative), dall’altra altri studiosi preferiscono circoscrivere l’applicazione
del concetto a quegli interventi più direttamente collegati al tema della
protezione degli individui rispetto ad alcuni rischi sociali, più o meno nuovi:
il venir meno della salute, l’invecchiamento, la difficoltà di conciliare oneri
familiari e carichi lavorativi e così via.
Scendendo più nel dettaglio nell’identificazione delle aree di intervento del welfare aziendale, due settori – salute e previdenza – possono
considerarsi relativamente consolidati all’interno dei piani retributivi, ma
non per questo meno rilevanti, in particolare alla luce delle trasformazioni
socio economiche in corso (si pensi in particolare all’invecchiamento della
popolazione).
IMPRESA POSSIBILE
Come anticipato, nel campo della tutela della salute ai lavoratori e ai
familiari a carico può essere offerta una copertura integrativa attraverso
l’adesione a un fondo sanitario integrativo di origine contrattuale, ma anche
attraverso la sottoscrizione di una polizza assicurativa o la costituzione di un
fondo aziendale ad hoc; a ciò possono poi affiancarsi l’organizzazione, a livello di azienda o di gruppo, di programmi di prevenzione e di screening o la
messa a punto di interventi di sensibilizzazione della popolazione aziendale
su temi legati alla tutela della salute e all’adozione di stili di vita sani.
Nel campo della previdenza complementare, le misure di welfare in
azienda possono consistere, oltre che nell’adesione ai fondi contrattuali
di categoria da parte dei lavoratori, anche nel versamento di contributi
addizionali – da parte dell’azienda – ai fondi di previdenza complementare
cui i lavoratori abbiano eventualmente aderito. Solo in pochi casi – quelli
costituiti da imprese di grandi dimensioni, in possesso di una platea sufficientemente ampia su cui distribuire il rischio – l’intervento aziendale può
consistere nella costituzione di un proprio fondo di previdenza complementare o di assistenza sanitaria integrativa: in Italia è il caso, per esempio,
di grandi gruppi come Intesa Sanpaolo o Fincantieri.
In un campo di assistenza più innovativo e più recente, a cavallo fra
tutela della salute, non autosufficienza e vecchiaia, si collocano le polizze
assicurative cosiddette Long Term Care (LTC) destinate ai dipendenti, ma
anche varie altre forme di sostegno agli oneri di cura dei familiari non
autosufficienti (coniugi, figli, genitori). Quest’ultimo tipo di beneficio può
chiaramente contribuire alla facilitazione della conciliazione vita-lavoro (o
work-life balance), in particolare per la forza lavoro femminile che è quella
su cui ancora oggi, in Italia, gravano con più intensità le attività di accudimento all’interno dei nuclei familiari2.
Gli interventi di work-life balance spaziano dall’adozione, da parte
dell’impresa, di strumenti vari di flessibilità oraria alla previsione di rimborsi e convenzioni, fino all’erogazione diretta di servizi per la famiglia
e la genitorialità. Più in generale, l’ambito delle misure a sostegno della
conciliazione si può, infatti, dividere in tre sottocategorie in base alla
natura del benefit offerto: denaro, servizi e tempo (Seeleib-Kaiser e Fleckenstein, 2009).
Con denaro si intendono tutti quegli strumenti di sostegno al reddito
familiare che consistono in un’erogazione monetaria – come per esempio
i rimborsi delle spese scolastiche sostenute per i figli – mentre i servizi
sono forniti direttamente dall’azienda e, spesso, all’interno della stessa
struttura di lavoro: emblematico l’esempio dell’asilo nido aziendale, ma si
Salute
Previdenza
Long Term Care
Conciliazione
Altri strumenti
2 Va qui sottolineato che le misure di conciliazione tematizzano ancora troppo poco il ruolo
maschile nella cura e nella gestione della vita familiare. Adottando una prospettiva di genere
(Holter, 2007; Den Dulk et al., 2012; Gaiaschi, 2014), si notano due elementi di criticità (Cannito,
2017b): il primo attiene alla neutralità di genere delle politiche aziendali che si traduce spesso in
una implicita associazione fra problemi di conciliazione e donne/madri; il secondo riguarda i modelli di organizzazione del lavoro che, troppo legati all’ideologia delle “sfere separate”, sembrano
mutare più lentamente delle politiche e dei bisogni degli individui.
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• FEBBRAIO 2018
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pensi anche agli sportelli informativi e di consulenza psicologica, sanitaria
o legale. La categoria tempo comprende, infine, strumenti come la concessione del part-time, varie forme di flessibilità oraria in ingresso e uscita,
e le novità introdotte sotto l’etichetta di “lavoro agile” (o smart working):
si tratta di soluzioni per l’azienda spesso economicamente più accessibili
(non comportano, infatti, un investimento diretto di risorse economiche),
benché necessitino di uno sforzo di riorganizzazione interna delle attività e
del personale3. A tali strumenti si aggiunge la disciplina dei permessi e dei
congedi, che può stabilire condizioni di miglior favore rispetto alla normativa e ai contratti collettivi nazionali vigenti per quanto riguarda il diritto
a usufruire di permessi retribuiti e/o la possibilità di ricevere dall’azienda
integrazioni del salario durante il congedo di maternità o per assistere persone non autosufficienti.
Le misure di welfare aziendale possono poi intervenire a sostegno del
reddito dei lavoratori direttamente (per esempio, facilitando l’accesso al
credito o alla casa) o, indirettamente, grazie a interventi mirati ad accrescerne il livello di occupabilità, tramite la partecipazione dell’impresa a
spese di formazione o all’organizzazione di percorsi interni di life-long learning (in particolare se spendibili al di fuori dell’impresa).
A tutte queste aree di intervento riconducibili al welfare in senso stretto, si devono poi aggiungere quelle non ricollegabili a bisogni sociali fondamentali. In questo caso, le misure sembrano collegate essenzialmente
alle sfere più ludiche del tempo libero, del lifestyle e della wellness: si pensi
alle agevolazioni per gli abbonamenti in palestra o in piscina, o alla partecipazione a spese di viaggio. Come anticipato, da un punto di vista teorico,
proprio per l’assenza di un legame forte fra questo tipo di interventi e il
soddisfacimento di bisogni sociali fondamentali, tali misure non registrano
un consenso unanime relativamente alla loro collocazione nella categoria
del welfare. Se si opta per una definizione restrittiva, il welfare in azienda
può così essere inteso come «l’insieme delle prestazioni (monetarie o in
natura) volte a rispondere a bisogni di base legati alla famiglia, all’infanzia,
all’abitazione e a tutelare i cittadini dall’indigenza e dai rischi derivanti
dall’assenza di reddito in caso di malattia, maternità, infortunio, invalidità,
disoccupazione, vecchiaia. Rientrano in questa definizione anche le prestazioni relative all’istruzione e alla sanità» (Massagli e Spattini, 2017).
Dopo aver considerato la gamma di erogazioni monetarie, beni e servizi che possono comporre un paniere di welfare in azienda, può essere
infine utile interrogarsi sulla composizione della platea dei beneficiari cui le
diverse prestazioni appena passate in rassegna sono destinate.
3 Per un approfondimento della normativa italiana in materia e dei suoi sviluppi più recenti, si
rinvia al capitolo 2.2 di questo Quaderno.
20
IMPRESA POSSIBILE
Innanzitutto, bisogna precisare che, nella maggior parte dei casi, le misure per i lavoratori sono estese, almeno in parte, ai loro familiari (generalmente, a quelli fiscalmente a carico). In secondo luogo, occorre considerare
se i benefici del welfare aziendale sono destinati a tutti i lavoratori, se sono
differenziati in base al loro inquadramento, se sono riservati solo ad alcuni e
se sono collegati – in tutto o in parte – alla componente variabile del salario.
Ovviamente, la definizione dei beneficiari dipende in larga parte dall’origine – unilaterale o bilaterale – del pacchetto di welfare previsto, oltreché dal
movente prevalente alla base della sua introduzione: il miglioramento del
clima aziendale e dell'immagine pubblica dell'impresa; il trattenimento di
risorse umane particolarmente qualificate (la cosiddetta retention); l’attrazione di nuovi talenti (attraction); la moderazione salariale.
In linea con l’adozione di una definizione restrittiva, incrociando le due
dimensioni appena prese in esame – le aree di intervento e la platea dei
beneficiari – diventa possibile delimitare il perimetro del welfare in azienda
(interventi rivolti a vecchi e nuovi bisogni sociali), distinguendolo dalle aree
affini e contigue del tempo libero, della wellness e del lifestyle (tab. 1).
Coerentemente con questa definizione di welfare in azienda, nella
parte di ricerca empirica realizzata tramite survey, non si sono considerati
come “propriamente welfare” l’utilizzo di incentivi e premi di produzione
per il personale (se non quando convertiti in welfare) e la valorizzazione
dell’occupazione femminile tramite promozione delle pari opportunità.
Pur rientrando nel perimetro del welfare, si è inoltre deciso di escludere
dal conteggio alcune aree di intervento presenti in modo generalizzato fra
le imprese, come la concessione del part-time e altre forme di flessibilità
oraria, e i benefit/servizi per il pranzo dei dipendenti, così da ottenere un
dato il più possibile sensibile all’effettiva presenza di un impegno specifico
sul tema del welfare. Infine, non sono stati considerati gli interventi per la
formazione dei dipendenti, in virtù della difficoltà di distinguere fra quelli
realizzati in adempimento a obblighi di legge, che non possono essere
considerati propriamente welfare, e gli interventi su base volontaria, che
invece possono costituire una parte del piano di welfare aziendale.
Beneficiari
Welfare
aziendale
in senso stretto
21
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Tabella 1. Il perimetro del welfare in azienda: destinatari e aree di intervento
Generalità dei dipendenti o
categorie con reddito più basso
Personale
dirigente
Destinatari
Salute
Vecchiaia e non autosufficienza
Fondi sanitari integrativi,
anche estesi ai familiari
a carico
Fondi di previdenza
complementare
Programmi di prevenzione
e screening
Contributi extra per la
previdenza complementare
Sensibilizzazione su stili
di vita
Polizze Long Term Care
Polizze assicurative
aggiuntive
Piani assicurativi individuali,
piani di accumulo
Fonte: elaborazione degli autori
22
Area socio assistenziale
e benessere
Contributi per il sostegno
ai care giver privati, ossia
coloro che si occupano di
familiari con gravi malattie
o non autosufficienti
Attività per il benessere
fisico e psicologico dei
dipendenti; circoli ricreativi
Supporto psicologico per
i dipendenti con problemi
familiari gravi
IMPRESA POSSIBILE
Sostegno al reddito
e all’occupazione
Convenzioni con
strutture commerciali per
i dipendenti, rimborsi
abbonamenti mezzi pubblici
Conciliazione
vita-lavoro
Lifestyle
e tempo libero
Agevolazioni per scuole/
asili nido
Borse di studio per soggiorni
all’estero di dipendenti e
familiari
Misure come asili nido
aziendali, smart working,
lavoro agile, rimborsi o
voucher, ecc.
Tassi agevolati per mutui,
finanziamenti
Concessione di part time e
orari flessibili
Housing, affitti a prezzi
calmierati
Servizi di disbrigo,
maggiordomo aziendale
Formazione professionale
per i dipendenti
Buoni pasto/mensa
aziendale/convenzioni
con ristoranti e caffetterie
Palestra, massaggi,
intrattenimento e cultura
(concerti, mostre, cinema,
ecc.), spettacoli teatrali,
stazioni termali, centri
benessere, vacanze,
crociere.
Automobile aziendale,
telefono cellulare
Valorizzazione
delle pari opportunità
(occupazione femminile)
Incentivi/premi
di produzione
per il personale
23
• FEBBRAIO 2018
Q 33
1.3 Welfare in azienda e connessioni con il territorio: dalla CSR al welfare territoriale
Welfare
aziendale
territoriale
Corporate
Social
Responsibility
Definiti fonti, gamma e destinatari del welfare in azienda, un’ulteriore
dimensione che merita di essere esaminata con attenzione è il suo grado
di apertura e di integrazione con il territorio in cui l’impresa è collocata.
L’azienda può infatti decidere di coinvolgere – in vario modo – altri soggetti
del territorio nelle fasi di ideazione, implementazione e gestione del proprio sistema di welfare, prevedere con tali soggetti la condivisione del piano stesso, oppure, ancora, mettere i propri servizi di welfare a disposizione
non solo dei propri lavoratori e dei loro familiari, ma anche della comunità
territoriale di riferimento.
Negli ultimi anni si è, in effetti, assistito alla diffusione crescente di
un welfare aziendale di natura territoriale, fatto da un insieme ampio e
articolato di misure e iniziative che vedono il coinvolgimento di numerosi soggetti – imprese, organizzazioni sindacali e datoriali, ma anche enti
bilaterali, società di mutuo soccorso e assicurazioni, fondi previdenziali,
soggetti del terzo settore e pubbliche amministrazioni locali – nella sperimentazione di soluzioni innovative sotto il profilo sociale, in grado di
leggere i bisogni del territorio e di tutti i suoi cittadini (non solo quindi dei
lavoratori), valorizzando le risorse presenti nel contesto locale di riferimento: da quelle finanziarie a quelle organizzative, da quelle umane fino alle
nuove tecnologie.
La diffusione di questa forma di welfare – che punta a superare i confini aziendali e guarda al territorio – è strettamente connessa con la diffusione della Corporate Social Responsibility (CSR) o Responsabilità Sociale
di Impresa (RSI). Teorizzato per la prima volta negli anni Cinquanta, il concetto di CSR ha conosciuto nel corso del tempo rilevanti trasformazioni,
diventando sempre più centrale per le scelte strategiche di un numero
crescente di imprese4.
Attualmente, la Corporate Social Responsibility si riferisce al modo
con cui «un’impresa gestisce e migliora il suo impatto ambientale e sociale
per generare valore sia verso i suoi azionisti che verso i suoi stakeholder,
innovando la sua strategia, la sua organizzazione e i suoi comportamenti»
(CSR Europe). L’impresa è quindi chiamata alla responsabilità rendendo
conto agli altri della propria condotta. L’aggettivo “sociale” fa riferimento
al fatto che le decisioni dell’impresa devono tenere conto degli stakeholder
(clienti, collaboratori, fornitori, comunità locale, istituzioni, finanziatori,
opinione pubblica, concorrenti) con cui l’impresa ha contatti e relazioni,
che influenza e da cui è influenzata. Stakeholder che possono essere distinti tra coloro che partecipano attivamente alla gestione aziendale e coloro
4 Si vedano in particolare le pioneristiche riflessioni sui doveri del businessman elaborate da
Bowen (1953) e successivamente quelle sulla “piramide delle responsabilità sociali” proposte
da Carroll (1979), che in chiave più moderna sposta la titolarità della responsabilità sociale dalla
figura dell’imprenditore a quella dell’impresa.
24
IMPRESA POSSIBILE
che, pur non partecipando direttamente all’attività di impresa, possono
subirne gli effetti esterni, positivi o negativi (Freeman, 1984). In ogni caso,
l’ascolto preventivo degli stakeholder porta a stabilire una relazione di fiducia tra impresa e portatori di interesse e, nel contempo, a identificare
nuove opportunità in un’ottica di posizionamento competitivo dell’azienda sul mercato.
Una forte spinta alla diffusione della CSR è venuta dall’Unione Europea
che, dall’inizio degli anni Duemila, ne lega apertamente lo sviluppo alla definizione di una strategia economica sostenibile e necessariamente attenta
alla dimensione sociale. Così nel 2001 il Consiglio europeo ha approvato il
Libro Verde Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale
delle imprese, al cui interno viene proposta una definizione di responsabilità sociale d’impresa quale «decisione volontaria di contribuire al progresso
della società e alla tutela dell’ambiente, integrando preoccupazioni sociali
ed ecologiche nelle operazioni aziendali e nelle interazioni con gli stakeholder». All’interno del documento si individuano le due dimensioni della
CSR: quella interna all’impresa (gestione delle risorse umane, tutela di salute e sicurezza dei lavoratori, gestione degli effetti sull’ambiente) e quella
esterna (rapporti con le comunità locali, partnership commerciali, rapporti
con i fornitori e consumatori, attenzione all’ambiente). Nella Comunicazione della Commissione europea del 2002, sono inoltre individuate tre
caratteristiche-chiave della CSR: volontarietà, sostenibilità e gestione. Innanzitutto, le imprese adottano comportamenti socialmente responsabili
al di là delle prescrizioni legali e assumono volontariamente tali impegni
perché ritengono che nel lungo periodo questo sia nel loro interesse. In
secondo luogo, la responsabilità sociale delle imprese è intrinsecamente
connessa con il concetto di sviluppo sostenibile: le imprese devono infatti tener conto anche delle ripercussioni economiche, sociali e ambientali
delle loro attività. Infine, la responsabilità sociale è correlata con il tipo di
gestione aziendale, non è un elemento aggiuntivo e accessorio alle attività
fondamentali che essa svolge5. Nel 2011, una nuova Comunicazione della
Commissione europea dal titolo Strategia rinnovata dell’UE per il periodo
2011-2014 in materia di responsabilità sociale delle imprese, propone
una più aggiornata definizione di CSR, intesa come «responsabilità delle
imprese per il loro impatto sulla società»6, che sottolinea la necessità di
includere nelle pratiche di responsabilità anche le istituzioni.
Poco per volta il welfare aziendale assume così sempre maggiore centralità per la Corporate Social Responsibility e per una cultura di impresa
che punti alla valorizzazione del capitale umano e alla soddisfazione dei
dipendenti, per rispondere ai loro bisogni e a quelli delle loro famiglie in
ambiti che hanno una rilevanza sociale, ossia che rappresentano anche una
CSR e Unione
Europea
5 Comunicazione della Commissione europea relativa alla Responsabilità sociale delle imprese:
un contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile, COM 347, 02/07/2002.
6 Comunicazione della Commissione europea Strategia rinnovata dell’UE per il periodo 20112014 in materia di responsabilità sociale delle imprese, COM 681, 25/10/2011.
25
• FEBBRAIO 2018
Q 33
riconosciuta esigenza della collettività e del territorio in cui opera l’azienda.
Un elemento che – come messo in evidenza dal progetto CSR Piemonte –
emerge anche nel territorio piemontese (Box 1).
BOX 1. La CSR fra le imprese piemontesi
Regione Piemonte e Unioncamere Piemonte hanno avviato nel 2009 il
progetto CSR Piemonte con l’obiettivo di promuovere la tematica della
Responsabilità Sociale d’Impresa quale fattore di competitività, rendendo
consapevoli gli imprenditori delle azioni di responsabilità sociale e dei relativi vantaggi attraverso la valorizzazione delle buone pratiche, secondo
una logica di trasferimento dei modelli più efficaci. A tal fine, una delle tre
azioni del progetto (monitorare, promuovere e divulgare) consiste nel monitoraggio della diffusione delle pratiche di CSR fra le imprese del tessuto
produttivo regionale, attraverso la somministrazione di una websurvey 7.
Dall’ultimo monitoraggio realizzato (2016), cui hanno partecipato 2.646
delle circa 35 mila imprese piemontesi con almeno cinque addetti, è emerso che il 49,4% delle rispondenti aveva attivato almeno una misura di CSR
(in provincia di Cuneo il 52,1%). Il 63,4% delle imprese attive in questo
campo affermava di aver investito in «attività di miglioramento delle condizioni lavorative e/o del benessere dei dipendenti». Fra le motivazioni,
le più citate consistevano nel miglioramento del clima interno, nell’incremento della produttività dei lavoratori e nel miglioramento dell’immagine
aziendale (circa un’impresa su due). Fra gli elementi di freno più citati, la
mancanza di risorse economiche aziendali (73,1%) e di incentivi fiscali
(54,3%). I risultati percepiti dalle imprese sono stati positivi su più fronti: le imprese che negli anni hanno sviluppato azioni di CSR sono, nella
maggioranza dei casi, «rimaste soddisfatte dei risultati raggiunti». Il 77%
delle aziende, infatti, si è dichiarata o molto o abbastanza soddisfatta, a
dimostrazione che «un approccio sostenibile paga nel tempo, soprattutto
in tema di welfare aziendale e di attenzione al benessere dei lavoratori: la
maggioranza delle aziende ha riscontrato ricadute positive in seguito alle
attività di CSR sviluppate. Più di una impresa su due dichiara di aver rilevato […] un miglioramento dell’immagine aziendale. Il 39,6% ha ottenuto
un miglioramento del clima interno e un incremento della produttività del
lavoro»8.
Circuito
economico
virtuoso
La condivisione di progetti e risorse per l’offerta di nuovi servizi nasce
dalla volontà di aiutare i lavoratori a fare fronte alle necessità della vita
quotidiana, ma può al tempo stesso innescare un circuito economico virtuoso, favorendo lo sviluppo di strutture sul territorio e la creazione di nuova
occupazione, in particolare nel settore dei servizi alla persona. Si possono
7 I risultati sono disponibili online all’indirizzo: www.csrpiemonte.it. Ultimo accesso: 10 settembre 2017.
8 CSR Piemonte, a cura di, (2017) Terzo report sulla CSR in Piemonte, p.31.
26
IMPRESA POSSIBILE
interpretare in questa ottica, per esempio, le esperienze dei nidi aziendali
realizzati ad Alba su iniziativa della famiglia Ferrero (una struttura che offre
i propri servizi non solo ai dipendenti della nota impresa dolciaria, ma anche
alle famiglie del territorio) e di Giuseppe Miroglio, fondatore dell’omonima
impresa: l’asilo, infatti, non è più riservato ai soli figli dei dipendenti, ma è
aperto all’esterno, in modo che – come si legge sul sito internet della Fondazione Miroglio – «tutta la comunità locale possa usufruirne»9.
La messa a punto di formule aggregative intorno al tema del welfare aziendale, capaci di non confinarlo entro il perimetro dell’impresa, ma
di metterlo in connessione con il territorio in cui l’impresa stessa opera,
necessita, però, anche dell’appoggio delle istituzioni, non solo in termini
di finanziamento, ma anche di supporto per la partecipazione ai bandi e
di accompagnamento nell’intraprendere percorsi progettuali innovativi.
Un appoggio che può fare perno sulle istituzioni locali quando queste si
attivano nel coordinare, promuovere e allargare le numerose “reti” di collaborazione che nascono sul territorio, siano esse per la valorizzazione della
produzione locale, dell’occupazione, o del benessere dei cittadini.
Tra gli attori più rilevanti che possono intervenire, a vario titolo e in fasi
diverse, nella costruzione di forme di welfare aziendale di natura territoriale, i principali sono: le altre aziende; le amministrazioni pubbliche, come
Regioni, Province, Comuni, ASL, Camere di Commercio; le associazioni
datoriali e le organizzazioni sindacali; gli enti bilaterali; le imprese assicuratrici, i fondi pensione, i fondi sanitari; le cooperative e/o imprese sociali;
le associazioni e gli enti di volontariato; le società di mutuo soccorso; le
fondazioni (di origine bancaria, d’impresa, di comunità, di partecipazione).
Dinamiche, quelle del welfare in azienda su base territoriale in provincia di Cuneo, che saranno oggetto di approfondimento nel capitolo 4 di
questo Quaderno.
Reti di
collaborazione
9 www.fondazionemiroglio.it/la-casa-dei-bambini-la-storia (ultimo accesso: 2 settembre 2017).
27
• FEBBRAIO 2018
Q 33
2. Il welfare in azienda in Italia
Il capitolo si articola in due parti. Nella prima si intende ricostruire e
illustrare i principali trend nazionali e internazionali per meglio inquadrare
il fenomeno del welfare aziendale e la sua evoluzione recente. La seconda
parte si sofferma sulla normativa di riferimento guardando, da un lato, alle
due Leggi di Stabilità 2016 e 2017 e, dall’altro, allo smart working.
2.1 I principali trend nazionali e internazionali
2.1.1 Il welfare aziendale in Italia in prospettiva comparata
Come illustrato nel capitolo precedente, il welfare aziendale è l’insieme di benefit, servizi e prestazioni non monetarie che l’impresa eroga a
sostegno del reddito dei propri dipendenti per accrescere il loro generale
benessere lavorativo e familiare. L’OCSE definisce la spesa privata volontaria come l’insieme di risorse di natura privata – derivanti dalla spesa di
privati cittadini, aziende e altre organizzazioni come il terzo settore – “incanalate” all’interno di schemi redistributivi che generalmente godono
di vantaggi fiscali e include quindi tutti quei programmi di protezione e
investimento sociale implementati e finanziati dalle aziende a beneficio
della collettività e, più spesso, dei propri collaboratori e delle loro famiglie. Il nostro Paese – analogamente alla Spagna ma anche, sebbene in
misura più contenuta, ad altri Paesi del Sud Europa come Portogallo e
Grecia – si caratterizza per una bassa percentuale di spesa privata volontaria rispetto alla spesa pubblica totale, mentre Paesi come il Regno Unito
e i Paesi Bassi presentano valori molto elevati. Ma anche Stati caratterizzati da un welfare di stampo universalistico presentano livelli più consistenti (si guardi ai valori relativi a Danimarca e Svezia), a testimonianza
del peso che soggetti non pubblici rivestono nell’erogazione complessiva
di prestazioni e servizi di welfare (fig. 3).
28
IMPRESA POSSIBILE
Figura 3. La spesa privata volontaria in percentuale della spesa pubblica totale
(2013)
16,0
15,4
14,0
12,0
11,2
10,0
4,3
5,6
6,0
Svezia
4,0
Germania
3,5
Danimarca
3,3
Grecia
4,0
Portogallo
6,0
Francia
8,0
2,3
2,0
0,9
1,4
Paesi Bassi
Regno Unito
Norvegia
Italia
Spagna
0,0
Nota: il dato relativo alla Grecia si riferisce al 2011 (ultimo disponibile)
Fonte: Database OCSE
A partire dalla riflessione circa l’importanza della spesa sociale sostenuta dai privati nei diversi Paesi, la ricerca ProWelfare – coordinata dall’Osservatorio Sociale Europeo (OSE) insieme alla Confederazione Europea dei
Sindacati – ha prodotto una interessante comparazione sulla diffusione e
le caratteristiche del welfare occupazionale – definito come Voluntary Occupational Welfare – in otto Paesi europei. Si tratta, a oggi, di una delle
pochissime ricerche comparate che includono anche il nostro Paese10. Il
dato più interessante riguarda la diffusione del fenomeno tra i lavoratori
(tab. 2). La tabella mostra la copertura dei lavoratori per previdenza complementare, sanità integrativa, conciliazione vita-lavoro e formazione, in
quattro ambiti di intervento presi in esame per ciascuno dei Paesi (Svezia,
Regno Unito, Germania, Austria, Belgio, Italia, Spagna e Polonia). Se è coperto meno del 20% dei lavoratori si parla di copertura marginale, mentre
una percentuale compresa tra il 20 e il 50% è considerata significativa; se
supera invece il 50% la copertura è considerata molto ampia. Le differenze
tra i Paesi analizzati da ProWelfare rispecchiano a grandi linee i dati OCSE
sulla spesa privata volontaria, mettendo in luce differenze significative. L'Italia mostra una copertura uniforme in tutte e quattro le aree di intervento.
Paesi europei
a confronto
10 Per un approfondimento si rimanda al sito www.secondowelfare.it e in particolare al link:
www.ose.be/prowelfare/2012-2013/index.html. Si segnala che vi è anche una seconda edizione della ricerca ProWelfare riferita al triennio 2014-2016 e avente per oggetto il welfare occupazionale in ambito pensionistico e le misure di contrasto alla disoccupazione (www.ose.be/
prowelfare/index.html).
29
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Tabella 2. Grado di copertura degli schemi di Voluntary Occupational Welfare,
percentuale di lavoratori – <20% copertura marginale; 20-50% copertura significativa; >50% copertura ampia (2013)
Previdenza
Sanità
Conciliazione
vita-lavoro
Formazione
Ampia
Ampia
-
Ampia
Significativa
Marginale
Ampia
Marginale
Ampia
Ampia
Significativa
Significativa
Austria
Marginale
Marginale
Marginale
(ampia nel caso
della flessibilità oraria)
Significativa
Belgio
Significativa
Ampia
Marginale
(flessibilità oraria)
Ampia
Italia
Significativa
Significativa
Significativa
Significativa
Spagna
Significativa
Ampia
Significativa
Significativa
Polonia
Marginale
Marginale
Significativa
Marginale
Svezia
Regno Unito
Germania
Fonte: ProWelfare (2013)
Italia
Francia
30
Secondo le stime dei ricercatori, in Italia una percentuale tra il 20 e
il 50% dei lavoratori italiani sarebbe coperta da schemi di welfare contrattuale di origine aziendale o categoriale. Valori più alti di quelli italiani
sono raggiunti da Germania, Svezia, Spagna e (parzialmente) Belgio. Il
Regno Unito ci “supera” sul work-life balance ma non presenta un’alta
percentuale di lavoratori coperti nelle aree della sanità e della formazione.
In coda alla lista dei Paesi troviamo infine Austria e Polonia. In generale,
nella metà dei Paesi europei analizzati la diffusione è ampia (>50%) solo
nell’ambito della salute, mentre per conciliazione vita-lavoro e formazione
è significativa ma ricompresa tra il 20 e il 50%. Con riferimento al livello di
contrattazione risulta che in Italia, Spagna e Svezia si sta ampliando notevolmente il ruolo della negoziazione di secondo livello in materia di welfare
accanto a quella settoriale nazionale.
Tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e in cui negli ultimi anni
si è manifestata più forte la crisi del welfare statale – da cui è originata
una crescente domanda di prestazioni integrative – troviamo la Francia.
In questo caso la richiesta da parte dei sindacati o dei lavoratori si è concentrata su tutte e quattro le aree considerate nella ricerca ProWelfare:
servizi come assistenza sanitaria, integrazioni previdenziali, formazione
professionale, tutela e supporto alla famiglia. Non sono mancate le risposte, tra cui si segnalano due misure in particolare: il CET (Compte Épargne
Temps) e l’OCIRP (Organisme Commun des Institutions de Rente et de
Prévoyance). Nel primo caso si tratta di un conto-ore che permette al lavoratore, attraverso un contratto collettivo e a fronte di straordinari e/o
IMPRESA POSSIBILE
ferie non godute, di scegliere fra sospensione del lavoro o liquidazione di
un'indennità11, mentre l’OCIRP è uno schema di welfare privato bilaterale
volto al sostegno del reddito e alla formazione professionale sotto forma di
istituzione paritetica di previdenza privata collettiva. Le prestazioni erogabili previa contrattazione sono l’assistenza sanitaria, l’invalidità, l’indennità
giornaliera per congedi parentali, il sostegno al reddito per inoccupazione,
la formazione professionale, i piani di risparmio collettivi. In Francia, tuttavia, già nel 2005 era stato introdotto il CESU (Chèque Emploi Service
Universel), un voucher spendibile per servizi alla persona e al nucleo familiare del dipendente, cofinanziato dal datore di lavoro. Il CESU permette
di pagare servizi relativi all’infanzia, alla gestione della casa e alla cura di
persone a carico e per questo, oltre ad aumentare il potere d’acquisto di chi
lo adopera, ha contribuito a creare 1,4 milioni di posti di lavoro nei settori
di competenza.
Un altro Paese in cui la crisi ha contribuito a far emergere soluzioni
innovative di welfare aziendale sono i Paesi Bassi. Qui, nel 2006, è stato
introdotto un nuovo sistema di welfare denominato Levensloopregeling,
o fondo LCSS, uno strumento individuale non obbligatorio che permette
al lavoratore di congelare una parte della propria retribuzione per usufruirne in casi di congedo. I lavoratori possono così accantonare, esentasse,
parte del proprio stipendio per finanziare periodi di congedo o aspettativa.
Attraverso questo principio di “autodeterminazione del proprio tempo”
ogni singolo dipendente può scegliere, in ragione dell’età, della carriera
professionale e con l’accordo con il datore di lavoro, il periodo che ritiene
più opportuno per assentarsi dal lavoro per occuparsi della cura di figli o
di genitori anziani, di congedi formativi, di periodi di vacanza o addirittura
per prendersi un periodo sabbatico. La flessibilità del fondo consente che
sia conservato anche in situazione di sospensione del rapporto lavorativo e
sbloccato al riprendere della nuova carriera o sia possibile versarlo – in caso
di quiescenza – in una pensione complementare. Il fondo LCSS permette,
quindi, di soddisfare al meglio il bisogno di personalizzazione dell’orario
lavorativo, poiché è il dipendente a decidere quando accumulare il proprio
reddito e quando usufruirne, a eccezione di quanto disciplinato dal contratto aziendale o settoriale (Faioli, 2013).
Paesi Bassi
11 Il CET permette ai dipendenti di compensare, in presenza di straordinari non goduti, le ore di
lavoro in più che vengono scalate; oppure come indennità: se alla pensione il lavoratore non avrà
riscosso le agevolazioni avrà diritto a benefici contributivi.
31
• FEBBRAIO 2018
Q 33
2.1.2 Le dimensioni del fenomeno in Italia: evidenze dalle principali
ricerche
Studi di caso
32
Sono ormai piuttosto numerose le ricerche che hanno indagato la presenza e le caratteristiche del welfare in azienda a livello italiano. Per lo più,
sino a ora, sono stati condotti studi che si sono soffermati soprattutto sulle
imprese di dimensioni medio-grandi e su casi particolarmente significativi.
Macchioni (2012) ha analizzato quattro grandi aziende del settore
manifatturiero e del settore del credito. Dall’analisi è emerso che il miglioramento del clima organizzativo, unito all’incremento del benessere
familiare per effetto dell’introduzione di misure di welfare aziendale, comporta effetti positivi per l’impresa nei termini di un abbassamento del turn
over e dell’assenteismo. Mallone (2013a) si è a sua volta soffermata su
quattro grandi imprese italiane (Luxottica, SEA, ATM, KME) per ricostruire
i processi di rinnovamento dei rispettivi sistemi di welfare aziendale alla
luce delle interazioni tra i diversi attori coinvolti, esaminando l’emergere
di nuovi assetti di governance. I quattro casi analizzati sono fra loro contrapposti: due aziende sono caratterizzate da un assetto manageriale che
l’autrice definisce paternalistico, mentre le altre due nascono come aziende
pubbliche per la fornitura di servizi alla cittadinanza e condividono una
tradizione di welfare bilaterale e di ampio coinvolgimento della parte sindacale. All’interno delle imprese caratterizzate da una cultura manageriale,
che tiene in considerazione l’importanza della negoziazione con i sindacati,
prevale un approccio contrattato all’implementazione del welfare. Nelle
imprese in cui domina una cultura paternalistica e giocano un ruolo cruciale la figura dell’imprenditore, la famiglia o il brand aziendale prevalgono
invece iniziative unilaterali da parte dell’impresa nell'ideazione, organizzazione ed erogazione dei piani di welfare.
Mallone, più recentemente, si è concentrata sui settori chimico e farmaceutico, da sempre considerati tra i più avanzati, nel panorama nazionale, in ambito di tutele contrattuali (Mallone, 2017). Le nove aziende analizzate presentano interessanti dinamiche di interazione tra il coinvolgimento
dei sindacati, le strategie di gestione dell’azienda e la cultura d’impresa.
L’iniziativa sindacale, attraverso la formulazione di proposte in ambito di
welfare, conduce generalmente a sistemi negoziati e caratterizzati da una
governance congiunta. La capacità dei sindacati di fare proposte in materia
di welfare è tipicamente associata alla volontà di un riconoscimento formale che sia visibile agli occhi degli iscritti e porta alla sottoscrizione di accordi
negoziali. Al contrario, l’(auto)esclusione dei sindacati apre la possibilità di
introdurre discrezionalmente politiche aziendali che spesso finiscono per
allontanare la forza lavoro dalla rivendicazione collettiva (anche se non
necessariamente dalla fruizione dei servizi offerti).
Rizza e Bonvicini (2014) hanno analizzato nove imprese, tutte mediograndi e dislocate sul territorio bolognese, appartenenti a diversi settori
produttivi (manifatturiero, assicurativo, farmaceutico, bancario, assisten-
IMPRESA POSSIBILE
ziale, del commercio) soffermandosi, in particolar modo, sulla cultura organizzativa, il disegno della policy, le relazioni tra gli stakeholder interni
delle aziende considerate. Dall’indagine sono emersi cinque diversi modelli
di welfare aziendale (Orlandini, 2014). Quello dell’investimento sociale
considera l’attribuzione di benefit ai propri dipendenti non come un costo
per l’azienda, ma come un investimento in termini di benessere dei lavoratori e valorizzazione del capitale umano e soprattutto di competitività del
territorio in cui l’azienda risiede. Il modello concertativo è realizzato all’interno di organizzazioni multi-stakeholder, partecipate dai soci-lavoratori,
snelle e a rete, ed è caratterizzato dalla cogestione del welfare aziendale
con i rappresentanti dei lavoratori. Il modello performativo interpreta il
welfare come uno strumento per aumentare la performance lavorativa,
mentre il modello applicativo tende a rafforzare le prestazioni assicurative
classiche – previdenza e sanità – che già derivano dalla contrattazione nazionale. Infine, la ricerca individua un quinto modello – quello paternalistico-individualizzato – che concepisce il welfare aziendale come possibilità
di concorrere al benessere dei collaboratori, creando pacchetti allargati alla
famiglia del dipendente e in grado di promuovere un clima favorevole alla
collaborazione; spesso è frutto di scelte unilaterali delle aziende con misure
costruite ad hoc per le singole persone.
Accanto agli studi di caso come quelli appena ricordati, trovano spazio crescente ricerche che hanno adottato una metodologia quantitativa.
Un’indagine svolta tra il 2011 e il 2012 da IRES CGIL e Università Politecnica delle Marche, su un campione di circa 300 grandi imprese italiane,
ha rilevato che la quasi totalità delle grandi aziende italiane (95,2%) ha
introdotto qualche forma di welfare. Più di un terzo offre un pacchetto
di interventi che contiene almeno quattro prestazioni e oltre il 40% fra
due e tre prestazioni. Anche escludendo la previdenza complementare,
il fenomeno interessa oltre l’80% delle aziende con più di 500 addetti12.
In base ai risultati della ricerca, la previdenza complementare è presente
nella maggioranza delle aziende, mentre tra le prestazioni a medio-bassa
e bassa diffusione troviamo gli interventi per la conciliazione vita-lavoro,
quelli nel campo della cura, della non-autosufficienza e dell’accesso all’abitazione. La ricerca evidenzia inoltre i fattori alla base dell’introduzione dei
servizi di welfare aziendale: in primis, la moderazione salariale che l’offerta
di servizi di welfare favorisce; a seguire, l’aspirazione volta a migliorare la
collaborazione fra impresa e lavoratori.
Dati ISTAT più recenti (riferiti al 2015) hanno confermato la diffusione
del welfare aziendale tra le imprese italiane, anche se con importanti differenze tra settori economici e aree di intervento (ISTAT, 2016). Le misure
che garantiscono un’offerta di “servizi di prossimità” come asili nido, assistenza sociale, ricreazione e sostegno al reddito, sono al penultimo posto
per frequenza, seguiti solamente dalle iniziative per favorire la comparte-
Analisi
quantitative
Dati ISTAT
12 Per approfondire i risultati della ricerca si rimanda a Pavolini et al. (2013).
33
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Stato del welfare
aziendale in Italia
34
cipazione dei lavoratori rispetto alle scelte aziendali. Le misure di flessibilità
degli orari di lavoro e di conciliazione vita-lavoro sono invece più diffuse,
insieme ad altre misure difficilmente qualificabili come welfare (perlomeno
nell’accezione qui adottata), quali la predisposizione di un bilancio sociale. Ampiamente più popolari risultano invece la formazione e altre aree a
propria volta difficilmente definibili come welfare in senso stretto, come la
sicurezza sui luoghi di lavoro e la comunicazione interna, in quanto spesso
riconducibili a previsioni di legge.
Se è vero che queste ricerche documentano che l’interesse per il welfare aziendale continua a crescere sia tra le aziende sia nel dibattito pubblico
e che i piani di welfare si diffondono tra le imprese, tuttavia esse mettono
anche in luce che il grande nodo da affrontare riguarda la mancata diffusione tra le micro, piccole e medie imprese. I dati sembrano in effetti confermare questa preoccupazione: le due principali variabili che influenzano
lo sviluppo dei piani di welfare aziendale sono la dimensione dell’impresa e
le caratteristiche della popolazione aziendale. Il rapporto curato da OD&M
Consulting nel 2015 mostrava che solo il 21% delle piccole imprese dichiarava di avere un piano di welfare, a fronte del 60% delle medie e del
69,2% delle grandi. Interessante notare, però, che oltre il 30% delle piccole imprese e ben il 40% delle medie dichiaravano di avere intenzione di
introdurre il welfare aziendale nei successivi due anni.
Più recentemente Di Nardo – a partire dai risultati della terza indagine
realizzata da Doxa per Edenred, uno dei principali operatori che offrono
consulenza e servizi di welfare alle imprese – ha curato un volume sullo
stato del welfare aziendale in Italia (Di Nardo, 2016). Dalla ricerca emerge
che i servizi più diffusi in assoluto nelle aziende oggetto di indagine sono
i buoni spesa e le agevolazioni commerciali (87%) e che nelle aziende internazionali risultano molto più diffusi i servizi legati alla cultura, allo svago
e al tempo libero e al welfare contrattuale (70%), in questo caso rispetto
al welfare unilaterale. Le maggiori differenze tra la reale diffusione dei
servizi offerti e quelli considerati più interessanti riguardano i servizi per i
figli dei dipendenti (diffusi nel 28% delle aziende ma ritenuti i più interessanti nel 66% dei casi) e i servizi alla persona e ai familiari (diffusi nel 19%
delle aziende ma ritenuti i più interessanti dal 59% degli intervistati). Nelle
previsioni di sviluppo delle singole voci del paniere welfare al primo posto
c’è la flessibilità oraria e organizzativa con una percentuale del 46%. Nelle
aspettative e motivazioni attribuite dalle aziende al ricorso a programmi di
welfare al primo posto figura – con il 51% – il miglioramento della soddisfazione personale di chi lavora in azienda. Gli aspetti economici rappresentano in assoluto la voce principale delle difficoltà di implementazione:
la crisi di mercato, le difficoltà di bilancio e la riduzione dei costi sono indicate dal 43% delle aziende. Le difficoltà cambiano a seconda della dimensione aziendale, che si conferma, ancora una volta, una variabile cruciale:
le barriere relazionali sono principalmente avvertite nelle medie (54%) e
IMPRESA POSSIBILE
grandi imprese (53%); per la piccola impresa, invece, l’aspetto economico
è di gran lunga la difficoltà più sentita (64%). Le rilevazioni dei sentimenti
verso il welfare attestano atteggiamenti positivi (89%), dove prevalgono
il senso di utilità e di servizio e il senso di modernità e di innovazione. In
generale, circa il 74% degli intervistati ritiene che il welfare aziendale sia
destinato a crescere nel prossimo futuro.
Infine, la ricerca Il futuro del welfare aziendale dopo la Legge di Stabilità 2016, condotta da Pesenti per conto di Welfare Company, ha raccolto le interviste di 335 direttori e manager del settore HR provenienti da
aziende di tutta Italia. Dall’indagine (Pesenti, 2016b) è emerso – in primo
luogo – che tra le imprese vi è una scarsa abitudine alla realizzazione di
analisi preliminari volte a identificare i bisogni aziendali. Appare, in secondo luogo, evidente l’esistenza di una profonda differenziazione territoriale
tra Nord e Sud, a ulteriore conferma del disequilibrio in termini economici
e di welfare che caratterizza il nostro Paese. Risulta poi cruciale il ruolo
degli sgravi fiscali previsti dalla Legge di Stabilità 2016 e la rilevanza delle
variabili economiche nella scelta dei servizi aziendali. Infine, permane una
notevole difficoltà delle piccole imprese nel realizzare al proprio interno
pratiche di welfare aziendale simili a quelle diffuse nelle grandi imprese e
in quelle multinazionali.
L’insieme delle ricerche sinora illustrate, indipendentemente se caratterizzate da un impianto quantitativo o qualitativo, ha permesso di aprire
uno squarcio sul welfare in azienda, indagandone diffusione e caratteristiche nelle medie e grandi imprese. Considerando, però, l’importanza che
le PMI rivestono nel tessuto produttivo italiano, sia dal punto di vista della
loro numerosità sia considerando la quota di occupazione che assorbono,
appare di grande rilevanza esaminare la presenza e le peculiarità del welfare all’interno di questo specifico universo.
Il Rapporto Welfare Index relativo agli anni 2016 e 2017 ha analizzato
la diffusione del welfare aziendale all’interno delle piccole e medie imprese, selezionando un campione di aziende fino a 250 dipendenti (Generali,
2016; 2017). La ricerca ha misurato il tasso di iniziativa nelle aree del welfare aziendale, cioè la quota percentuale di imprese che attuano almeno
una iniziativa per area. Al primo posto, con un tasso del 46,3%, si trovano
le polizze assicurative per il personale; tuttavia, se si escludono le polizze
infortuni che in molti casi sono obbligatorie, il tasso di iniziativa nelle assicurazioni scende al 17,1%. In altre aree di policy l’iniziativa delle imprese
è pari o superiore al 33%. Si tratta del sostegno economico ai lavoratori,
della sicurezza e prevenzione degli incidenti (con iniziative aziendali aggiuntive a quelle obbligatorie), della formazione del personale (anche in
questo caso con misure aggiuntive a quelle obbligatorie), della conciliazione vita-lavoro (con interventi prevalentemente di flessibilità degli orari),
della sanità integrativa (anche se prevalentemente introdotta aderendo
ai fondi istituiti dai CCNL). Le iniziative aziendali di previdenza integrativa
Il futuro
del welfare
aziendale dopo
la Legge
di Stabilità 2016
Rapporto
Welfare Index
35
• FEBBRAIO 2018
Q 33
sono attuate dal 23,4% delle imprese. Seguono aree con tassi di iniziativa
meno elevati: il welfare allargato al territorio (17,3%), il sostegno a soggetti deboli e all’integrazione sociale (7,7%), i servizi di assistenza per i
lavoratori e le loro famiglie (6,7%), le iniziative per la cultura, la ricreazione
e il tempo libero (5,8%), il sostegno all’istruzione dei familiari (2,7%).
Alcune aree di policy hanno subìto un’accelerazione nella loro diffusione tra un anno e l’altro: la sanità integrativa, dal 39% nel 2016 al 47% nel
2017, e la conciliazione vita-lavoro, dal 22% al 31%. In altre due aree la
crescita è avvenuta, seppure meno rapidamente: i servizi di assistenza, dal
5% all’8%; cultura, ricreazione e tempo libero, dal 3% al 5%. Sotto il profilo dimensionale, dalla ricerca emerge che le iniziative di welfare aziendale
sono generalmente più diffuse tra le imprese di maggiori dimensioni (tra
101 e 250 addetti) e che al crescere della dimensione aziendale aumenta
anche l’estensione del “pacchetto welfare” offerto (fig. 4). Dal rapporto
del 2016 emerge inoltre che i motivi alla base della diffusione dei servizi
di welfare aziendale sono riconducibili a obiettivi di fidelizzazione delle
risorse umane più qualificate (34,7%), di affermazione della reputazione
dell’azienda (33,9%), di miglioramento della produttività del lavoro e del
clima aziendale (31,4%) e di contenimento del costo del lavoro grazie ai
vantaggi fiscali derivanti dall’introduzione del welfare (22,4%). Nel 60%
dei casi analizzati le decisioni rispetto all’implementazione di dispositivi di
welfare aziendale nelle piccole e medie imprese sono prese dai responsabili
in via unilaterale, senza alcuna forma di coinvolgimento dei lavoratori. Nel
22,6% dei casi le iniziative sono negoziate con le rappresentanze sindacali,
mentre il 17,4% delle imprese coinvolge direttamente i lavoratori.
Figura 4. PMI che adottano 6 o più misure di welfare (su max 12), per numero di
addetti – valori percentuali (2017)
50
44,7
40
30
24,6
20
10
16,2
6,8
0
1-9 addetti
10-50 addetti
Fonte: rielaborazione da Generali (2017).
36
51-100 addetti
101-250 addetti
IMPRESA POSSIBILE
Un’altra recente ricerca (Maino e Rizza, 2017) ha analizzato la diffusione
del welfare aziendale all’interno delle piccole e medie imprese, soffermandosi su una delle regioni a maggior presenza di PMI in Italia: l’Emilia-Romagna.
Si è trattato di una survey che ha coinvolto un campione rappresentativo di
piccole e medie imprese fino ai 350 dipendenti. Dall’indagine, che ha coinvolto oltre 700 aziende, emerge che le dimensioni e la struttura dell’impresa
sono correlate all’offerta di prestazioni di welfare, proporzionalmente maggiore al crescere delle dimensioni aziendali e del fatturato, così come maggiori sono gli interventi presenti in piccole e medie imprese che appartengono a un gruppo più vasto e che sono multi-localizzate. Dall’indagine emerge
inoltre che le misure di welfare aziendale più diffuse sono la formazione
(70,4%), la sanità integrativa (62,9%), mentre a grande distanza vi sono i
servizi di conciliazione vita-lavoro (32,8%) e la previdenza complementare
(28,7%). Vi è un legame tra il tipo di misure offerte e la percentuale di donne
tra i dipendenti. Se, infatti, per le altre prestazioni non emergono differenze
significative dalla media, le misure di conciliazione vita-lavoro sono più diffuse tra le aziende con più dell’80% di personale femminile. Vi sono prestazioni, come la sanità integrativa e la previdenza complementare, che sono
incluse nei piani di welfare perché previste dal contratto collettivo nazionale
di riferimento, mentre il ruolo giocato dalla contrattazione integrativa appare molto contenuto. I motivi alla base dell’introduzione del welfare nelle
PMI emiliano-romagnole sono legati al miglioramento del clima aziendale
e allo sviluppo del senso di appartenenza, nonché allo scopo di fidelizzare i
lavoratori più qualificati e ridurre il turn over.
Accanto all’analisi dei dati quantitativi appena descritti, la ricerca dà
conto anche di alcune misure di welfare e di conciliazione vita-lavoro sviluppate grazie ad accordi e partnership tra aziende (profit e non profit).
Si tratta di esperienze di welfare aziendale intraprese per mezzo di reti di
imprese o di altre formule aggregative che coinvolgono più stakeholder,
favorendo l’aggregazione dei bisogni dei lavoratori e la definizione di soluzioni condivise con un conseguente possibile abbattimento dei costi e una
maggiore efficienza nell’uso delle risorse (Sansavini e Santoni, 2017). In
Italia, negli ultimi anni, si sono sviluppate alcune interessanti esperienze in
questo senso13. Le imprese che scelgono di investire nel welfare possono
infatti ricavare dallo strumento della rete vantaggi concreti. La collaborazione tra realtà imprenditoriali differenti consente di condividere i costi e i
rischi connessi con la realizzazione di un piano di welfare aziendale: in questo modo viene messo in moto un principio di cooperazione tra le imprese
basato sulla condivisione degli obiettivi e delle risorse. La rete permette
inoltre di far circolare conoscenze, competenze, informazioni, fiducia e
Welfare
aziendale in
Emilia-Romagna
Aggregazione
tra aziende
13 Da questo punto di vista viene in aiuto alle aziende la disciplina sul contratto di rete. Si tratta
di uno strumento solitamente utilizzato dalle imprese per accrescere la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato. Questo modello di partnership, negli ultimi anni, ha
avuto una grande diffusione in tutto il territorio italiano. In alcuni casi i contratti di rete sono stati
stipulati anche allo scopo di realizzare progetti per accrescere il benessere dei dipendenti (Maino,
2014; Macchioni e Orlandini, 2015).
37
• FEBBRAIO 2018
Q 33
cooperazione: tutte risorse necessarie per la realizzazione di un intervento
condiviso. Considerate le peculiarità del tessuto produttivo emiliano-romagnolo, le esperienze di rete e i network di imprese sembrano rappresentare interessanti opportunità di investimento nel welfare per le aziende
di piccole dimensioni, che diversamente presenterebbero minori possibilità
di offerta di soluzioni rispetto alle grandi, col conseguente rischio – già più
volte evocato in queste pagine – di creare nel mercato del lavoro “isole”
di benessere contrapposte a una maggioranza di lavoratori sottotutelati.
2.2 La normativa di riferimento: nuove opportunità per la diffusione
del welfare aziendale
Definito lo stato dell’arte del welfare fra le imprese italiane sulla base
dei dati più recenti messi a disposizione dalla letteratura, si presenta ora il
contesto normativo, alla luce delle rilevanti innovazioni introdotte negli ultimi anni, in cui si muovono i principali attori interessati – imprese, associazioni datoriali e sindacali – quando guardano al tema del welfare aziendale.
2.2.1 La normativa fiscale e le novità introdotte dalle Leggi di
Stabilità 2016 e 2017
Art. 51 del TUIR
38
L’erogazione di beni e servizi di welfare aziendale è normata in Italia
da due articoli del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR): il 51 e il
100. Il primo definisce ciò che non concorre a formare reddito da lavoro
dipendente, mentre il secondo elenca le “finalità socialmente utili” che
non concorrono a formare il reddito del lavoratore e sono parzialmente
deducibili in capo al datore di lavoro.
L’art. 51 stabilisce la disciplina fiscale delle somme, dei beni e dei servizi
che – erogati dal datore di lavoro a beneficio del dipendente – non concorrono a formare il reddito da lavoro di quest’ultimo. Inoltre, fissa, dove
previsti, i limiti di importo defiscalizzato. Tra le spese che non concorrono a
formare il reddito del lavoratore la normativa include: contributi previdenziali e di assistenza sanitaria; mensa e pasti; trasporto e mobilità; i servizi
elencati nell’art. 100; le somme e i servizi per asili nido, colonie estive e
borse di studio; altri beni/servizi. L’art. 51 regolamenta anche l’utilizzo
dei ticket pasto, le iniziative di trasporto collettivo – in cui non rientrano
abbonamenti ai mezzi pubblici a eccezione del tragitto “casa-lavoro” – e
la varietà di beni e servizi, i cosiddetti fringe benefits, erogabili nel limite
massimo di 258,23 euro annui. Una volta superato tale limite, l’intero importo è tassato in capo al dipendente.
Con le modifiche introdotte dalla Legge di Stabilità 2016, all’elenco dei
servizi dell’art. 51 si aggiungono tutti quelli per l’infanzia (scuola materna,
servizi integrativi come pre e post scuola, spese di mensa, attività previste
dai piani di offerta formativa degli enti scolastici), ludoteche, centri estivi
IMPRESA POSSIBILE
e invernali, baby-sitting, e i servizi di cura per i familiari anziani o non
autosufficienti. La Legge di Stabilità 2016 ha, infatti, aggiunto al comma
2 dell’art. 51 la nuova lettera f-ter e il comma 3-bis. La prima prevede la
possibilità di erogare somme e servizi a sostegno della non autosufficienza
dei familiari anziani (con più di 75 anni) o non autosufficienti; questi ultimi sono – in base alla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 15
giugno 2016 – coloro che non sono in grado di compiere gli atti della vita
quotidiana quali, per esempio, assumere alimenti, espletare le funzioni
fisiologiche e provvedere all’igiene personale, deambulare o indossare gli
indumenti, come attestato attraverso presentazione di certificazione medica. Il secondo consente l’utilizzo di voucher, nominali e non integrabili con
denaro da parte del beneficiario, per l’erogazione dei beni e servizi previsti
dagli articoli 51 e 100.
L’art. 100 del TUIR elenca, invece, le finalità di utilità sociale che sono
defiscalizzate per il lavoratore e deducibili per il datore di lavoro nel limite
del 5 per mille dell’ammontare delle spese sostenute per prestazioni da lavoro dipendente. Queste finalità sono: educazione, istruzione, ricreazione,
assistenza sociale e sanitaria o culto. I beni e i servizi – ma non le somme
– erogati per queste finalità sono quindi fiscalmente agevolati in capo ai
lavoratori e al datore di lavoro. Prima del 2016, per godere del vantaggio
fiscale dovevano essere offerti volontariamente dal datore di lavoro, ovvero senza che l’erogazione avvenisse a seguito di una contrattazione con le
parti sindacali (soluzione unilaterale). Le modifiche normative introdotte
dalla Legge di Stabilità consentono, invece, di inserire i beni e servizi negli
accordi aziendali. Non solo, la nuova formulazione della norma ne incentiva la contrattazione con i rappresentanti sindacali attraverso la possibilità
per il datore di lavoro di dedurne il costo senza alcun limite qualora i beni
o servizi siano inseriti in un accordo (tab. 3). Fino al 2015, i benefit ex art.
100 introdotti in un accordo sarebbero risultati tassati in capo al dipendente al pari del reddito da lavoro.
Art. 100 del TUIR
Tabella 3. L’articolo 100 prima e dopo la Legge di Stabilità (2016)
Origine del
welfare aziendale
Vantaggio fiscale
Prima della
Legge di Stabilità
Dopo la
Legge di Stabilità
Datore di lavoro
Deducibile entro il 5 per mille
del costo del lavoro
Lavoratore/trice
Non tassato come reddito da lavoro
Datore di lavoro
Completamente deducibile
Unilaterale
Contrattata
Lavoratore/trice
Tassato
come reddito da lavoro
Non tassato
come reddito da lavoro
Fonte: elaborazione degli autori
39
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Erogazione
dei benefit
Mentre i benefit previsti dall’art. 51 sono erogabili anche mediante il
rimborso in busta paga dei costi sostenuti dai lavoratori, quelli offerti in
base all’art. 100 sono erogabili esclusivamente attraverso la fornitura diretta – o tramite voucher – del bene/servizio da parte del datore di lavoro
senza che il lavoratore sia coinvolto nel rapporto economico tra acquirente
e fornitore del servizio (tab. 4). Mentre l’art. 51 riguarda le spese sostenute
dai dipendenti per i propri familiari (genitori, fratelli e sorelle, figli, suoceri
e nuore), l’art. 100 ricomprende anche i benefit offerti a beneficio degli
stessi lavoratori, come tutte le attività di carattere sportivo e ricreativo.
Tabella 4. Articoli 51 e 100 del TUIR: uno schema riassuntivo delle novità introdotte (2016)
Articolo
Benefit
Modalità
di erogazione
Beneficiari
Scuola e istruzione
Somme, beni, servizi
Familiari
Non autosufficienza
Somme, beni, servizi
Familiari
Educazione, istruzione,
ricreazione,
assistenza sociale
e sanitaria, culto
Beni e servizi
Lavoratore
e familiari
Articolo 51
Articolo 100
Fonte: Maino e Mallone (2017)
Elementi
innovativi
della Legge
di Stabilità 2016
40
L’elemento più innovativo introdotto con la Legge di Stabilità 2016
consiste nella volontà del Governo di promuovere lo sviluppo della contrattazione di secondo livello e, al suo interno, del welfare aziendale come sostituto totale o parziale della componente monetaria. La legge reintroduce
la detassazione del premio di produttività, prevista per la prima volta nel
2008 e mantenuta con caratteristiche diverse di anno in anno fino all’interruzione nel 2015, e promuove il welfare aziendale nell’ambito dell’erogazione della parte variabile del salario legata alla produttività favorendo
fiscalmente i servizi di welfare rispetto all’equivalente in denaro. Infatti,
se il premio di produttività mantiene un'imposta sostitutiva del 10%, lo
stesso premio convertito in servizi di welfare gode delle agevolazioni fiscali
già previste dall’art. 51 del TUIR e non concorre, quindi, alla formazione
del reddito da lavoro dipendente. Entrambe le opzioni rimangono soggette
alle limitazioni di 2.000 euro di importo – aumentabile fino a 2.500 euro
nel caso di aziende che introducano sistemi di coinvolgimento diretto dei
lavoratori nell’organizzazione del lavoro – e di 50.000 euro di reddito; ogni
lavoratore ha la facoltà di scegliere come ricevere l’importo del premio.
Inoltre, la legge stabilisce il diritto delle madri al conteggio del periodo di
IMPRESA POSSIBILE
congedo obbligatorio di maternità ai fini della determinazione del premio
di risultato. Il decreto attuativo della legge ha inoltre modificato i requisiti
per l’ottenimento del premio fiscalmente agevolato: i contratti aziendali
devono prevedere criteri di misurazione e verifica degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, considerando anche
innovazioni organizzative e strumenti di flessibilità di tempo e di luogo
della prestazione lavorativa, come per esempio orario flessibile e orari a
menù, part-time, telelavoro, banca delle ore e lavoro agile.
La Legge di Stabilità per l’anno 2017 rafforza il processo avviato con la
Legge di Stabilità dell’anno precedente introducendo una nuova lettera, la
f-quater, all’interno del comma 2 dell’art. 51 del TUIR. Questa prevede che
i contributi e i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei
dipendenti o di categorie di dipendenti per le polizze per la non autosufficienza e gravi malattie – le cosiddette Long Term Care e Dread Disease –
non concorrano, integralmente, a formare il reddito da lavoro dipendente.
Le aziende possono quindi erogare queste polizze ai dipendenti senza che
il loro valore sia in alcun modo assimilabile al reddito del lavoratore. Anche
il meccanismo di salary sacrifice, introdotto per la prima volta dalla Legge
di Stabilità 2016, vede con il provvedimento per il 2017 l’innalzamento dei
limiti di reddito e di importo previsti per la tassazione agevolata del premio
e il suo utilizzo in beni e servizi di welfare. Il legislatore porta infatti i limiti
dell’imponibile previsto per beneficiare dell’imposta sostitutiva dell’IRPEF
e delle relative addizionali pari al 10% da 2.000 a 3.000 euro (aumentabile
fino a 4.000 euro nel caso in cui l’impresa introduca strumenti di partecipazione dei lavoratori all’organizzazione del lavoro) e la soglia di reddito da
50 mila a 80 mila euro annui. Non concorrono, infine, a formare il reddito
da lavoro dipendente nè i contributi alle forme pensionistiche complementari e i contributi di assistenza sanitaria, anche se versati in eccedenza
rispetto ai relativi limiti di deducibilità, nè il valore delle azioni offerte alla
generalità dei dipendenti.
Legge
di Stabilità 2017
2.2.2 Lo smart working
Nell’ultimo triennio il Governo non si è limitato all’approvazione delle
due Leggi di Stabilità che hanno introdotto le importanti novità in materia
di welfare aziendale appena illustrate. Ha portato a compimento anche
l’iter di approvazione della legge sul cosiddetto smart working o “lavoro
agile”, uno strumento strategico per favorire la conciliazione tra le esigenze della vita personale e della vita lavorativa.
La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, oltre a essere considerata
un rilevante ambito per le politiche del lavoro e di pari opportunità sia a livello europeo che nazionale, ha raccolto negli anni un’attenzione crescente nel dibattito pubblico e accademico. Nel 2016 il Parlamento europeo
ha approvato la Risoluzione sulla Creazione di condizioni del mercato del
Conciliazione
vita-lavoro
41
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Congedi familiari
e smart working
nel quadro
europeo
lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale con
l’obiettivo di dare nuovo impulso al tema e alle opportunità di conciliazione
tra vita e lavoro per i cittadini europei. Si tratta di una risoluzione importante che riconosce il «diritto fondamentale alla conciliazione vita-lavoro»
e invita l’UE e gli Stati membri a promuovere, sia nel settore pubblico sia
in quello privato, modelli di welfare aziendale che rispettino il diritto all’equilibrio tra vita professionale e vita privata. Il lavoro agile viene indicato
come strumento per la realizzazione della conciliazione dei tempi di vita e
di lavoro nelle aziende e viene definito come «approccio all’organizzazione
del lavoro basato su una combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione, che non richiede necessariamente al lavoratore di essere presente
sul posto di lavoro o in un altro luogo predeterminato e gli consente di gestire il proprio orario di lavoro, garantendo comunque il rispetto del limite
massimo di ore lavorative giornaliere e settimanali stabilito dalla legge e dai
contratti collettivi» (Parlamento europeo, 2016).
L’anno successivo, nell’aprile 2017, la Commissione europea ha presentato una proposta di Direttiva relativa all’equilibrio tra vita professionale
e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza (care giver), mirante
ad abrogare la Direttiva del Consiglio del 2010 e a introdurre importanti
novità in materia di congedi (Commissione europea, 2017; Maino, 2017).
Un passo importante per la costruzione del Pilastro europeo dei diritti
sociali (Maino, 2017). L’iniziativa della Commissione intende contribuire
alla modernizzazione dell’attuale quadro normativo dell’UE nell’ambito
dei congedi familiari e delle disposizioni flessibili in materia di lavoro. La
proposta, infatti, prevede una serie di standard minimi nuovi o più elevati
per il congedo di paternità, il congedo parentale e il congedo per coloro
che hanno carichi di cura14. Tutte queste modalità di congedo familiare
dovranno essere retribuite almeno al livello dell’indennità di malattia. La
proposta prevede, inoltre, per i genitori di bambini fino a 12 anni di età e
per i care giver, affinché non lascino il mercato del lavoro, il diritto di chiedere modalità di lavoro flessibili, tra cui la flessibilità per quanto concerne
il luogo di lavoro (cioè il lavoro agile).
Dopo la risoluzione del Parlamento europeo e alla luce del crescente
sviluppo del welfare aziendale anche attraverso sperimentazioni di smart
working, pur essendo nel nostro Paese già presenti riferimenti normativi al
14 Come riassunto di seguito: a) i padri avranno diritto a un periodo di congedo di durata non
inferiore a 10 giorni lavorativi in occasione della nascita di un figlio; b) il diritto a quattro mesi di
congedo parentale potrà essere utilizzato fino ai 12 anni di età del figlio (oggi la soglia è fino a
8 anni di età); c) il congedo parentale di quattro mesi diventa un diritto individuale delle madri e
dei padri e in quanto tale non è trasferibile all’altro genitore; varrà inoltre il principio del take it or
loose it, quale incentivo affinché anche gli uomini vi facciano ricorso; d) verrà introdotto per la
prima volta un congedo di cinque giorni l’anno per i care giver, in caso di malattia di un familiare
o in presenza di condizioni di non autosufficienza.
42
IMPRESA POSSIBILE
tema della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro15, si rafforza l’urgenza
di regolamentare anche l’ambito del lavoro agile, affiancando ai provvedimenti previsti dalla Legge di Stabilità per il 2016 una normativa in materia.
È così che – a tre anni di distanza dalla presentazione della proposta
– viene approvata in Italia la Legge 81/2017 contenente Misure per la
tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire
l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato,
entrata in vigore il 14 giugno 2017. La legge definisce lo smart working
come «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita
mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi,
cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il
possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività
lavorativa». È rilevante che non sia stato concepito come tipologia contrattuale, evitando così una rigidità legislativa che ne avrebbe compromesso il
principio fondante di flessibilità. Tale principio consente, infatti, al datore
di lavoro e al dipendente di definire le regole più adatte per mettere in
pratica il lavoro agile, senza obbligo di consultazione o accordo sindacale
(Barazzetta, 2017). La legge stabilisce, inoltre, la modalità di attivazione
del lavoro agile, gli aspetti formali relativi all’accordo tra le parti, che cosa
questo debba disciplinare, il trattamento retributivo del lavoratore e infine
la tanto dibattuta questione relativa a salute e sicurezza.
Nel momento in cui il dipendente inizia a lavorare come smart worker
deve essere stipulato un accordo scritto – risolvibile unilateralmente da entrambe le parti previo preavviso – che espliciti i tempi di lavoro e di riposo
e il diritto alla disconnessione dalla strumentazione tecnologica lavorativa.
Allo smart worker sono garantiti una retribuzione e un trattamento normativo conformi a quanto stabilito dal contratto collettivo; restano applicabili
eventuali incentivi fiscali e contributivi in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato. Infine, a garanzia della tutela
del lavoratore contro infortuni e malattie professionali, il datore di lavoro è
responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Normativa sullo
smart working
in Italia
Diritti e tutela
del lavoratore
15 La Legge 53/2000, per prima, aveva sensibilizzato le imprese e le parti sociali sul tema conciliazione. A tal fine erano state messe a disposizione risorse (art. 9) per le imprese che volessero
implementare soluzioni in favore della conciliazione famiglia-lavoro dei propri collaboratori e dipendenti. Negli anni successivi si sono susseguiti interventi legislativi che hanno coinvolto sempre
più il mondo produttivo, identificando la conciliazione vita-lavoro come soluzione organizzativa
aziendale, come opportunità di risparmio ma anche di aumento della produttività e come tutela
dei diritti di lavoratori e lavoratrici (Visentini, 2015). Tra questi l’intesa Sacconi del 2011 Nuove
relazioni industriali e di lavoro a sostegno delle politiche di conciliazione aveva definito la contrattazione collettiva come snodo fondamentale per il rilancio delle politiche di conciliazione affermando che «la modulazione degli orari e dei tempi di lavoro e, in generale, le politiche aziendali di
conciliazione possono beneficiare delle misure fiscali di detassazione del salario di produttività con
riferimento alle somme erogate dal datore di lavoro nell’ambito di accordi territoriali o aziendali di
produttività ed efficienza organizzativa».
43
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Sicurezza
e prevenzione
Differenza
dal telelavoro
44
Venendo alla responsabilità datoriale in materia di sicurezza e prevenzione, la norma prevede che il datore di lavoro garantisca la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e
che a tal fine consegni al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza, con cadenza almeno annuale, una informativa scritta nella quale
sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare
modalità di esecuzione del lavoro agile. Inoltre, lo smart worker ha diritto
alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali
aziendali e alla tutela contro gli infortuni sul lavoro relativi agli spostamenti
dal luogo di abitazione a quello scelto per lo svolgimento della prestazione
lavorativa all’esterno dei locali aziendali. D’altro canto, è richiesto che il
lavoratore agile cooperi all’attuazione delle misure di prevenzione che il
datore di lavoro stabilisce per affrontare i rischi connessi all’esecuzione
della prestazione all’esterno dei locali aziendali.
Infine, la norma chiarisce la differenza con il telelavoro definendo il
lavoro agile come «prestazione lavorativa eseguita in parte all’interno di
locali aziendali e, senza una postazione fissa, in parte all’esterno entro i soli
limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva». Il telelavoro prevede,
invece, che la prestazione lavorativa si svolga esclusivamente al di fuori
degli spazi aziendali.
L’approvazione della legge sullo smart working non solo allinea l’Italia
alla Risoluzione del Parlamento europeo, ma si intreccia anche alle non
meno importanti novità introdotte con le ultime Leggi di Stabilità che mirano a un’ampia diffusione di misure e servizi di work-life balance e favoriscono lo sviluppo della contrattazione di secondo livello nella promozione
del welfare aziendale. Si sta, dunque, delineando sempre più un ruolo di
soggetto di secondo welfare per il settore produttivo che, sostenuto dal
nuovo quadro normativo, assume il compito di erogatore di benefit e piani
di welfare aziendale a favore dei propri dipendenti.
IMPRESA POSSIBILE
Parte seconda • La ricerca sul campo
3. La parola alle imprese
3.1 Lo scenario economico produttivo della provincia di Cuneo
Prima di procedere con la descrizione dei principali risultati emersi
dall’indagine sul campo, è importante delineare, pur in estrema sintesi, le
peculiarità dello scenario economico e produttivo della provincia di Cuneo,
contesto entro cui è stata realizzata l’indagine16.
Per quanto riguarda il 2016, l’economia piemontese ha proseguito
sul cammino della ripresa intrapreso già nell’anno precedente. Con oltre
438 mila imprese il Piemonte si è confermato la settima regione italiana,
raccogliendo oltre il 7% delle imprese nazionali. Il tessuto imprenditoriale
regionale, costituito soprattutto da aziende di piccole e medie dimensioni
(le realtà con meno di 250 dipendenti rappresentano il 99,9% del totale),
ha evidenziato nel 2016 ancora una leggera contrazione in termini di numerosità (-0,12%), risultato analogo rispetto a quello registrato nell’anno
precedente. Nel 2016 a trainare l’economia regionale è stato soprattutto
il settore dell’industria manifatturiera, mentre, a differenza degli anni precedenti, il commercio estero non è riuscito a fornire un contributo positivo.
Nel 2016 anche la provincia di Cuneo ha conosciuto un miglioramento
delle condizioni del tessuto imprenditoriale e una crescita della produttività del comparto manifatturiero, mentre per il mercato del lavoro si sono
registrati segnali contrastanti. Per la prima volta, dopo cinque anni caratterizzati da una progressiva contrazione del tessuto imprenditoriale provinciale, il 2016 ha evidenziato segnali di stabilità per la provincia Granda.
Tra i punti di forza del tessuto produttivo troviamo – come per il territorio
regionale – la specializzazione manifatturiera.
Il 2016 è stato nuovamente un anno di crescita per l’industria cuneese:
la produzione è cresciuta mediamente dell’1,9%, supportata in particolar
modo dal comparto dei mezzi di trasporto e dalla meccanica (IRES Piemonte, 2016; 2017). Secondo i dati riportati dalla Camera di Commercio,
le tendenze registrate nel 2016 evidenzierebbero una possibile uscita della
provincia di Cuneo dalla sfavorevole congiuntura economica: una provincia, quella cuneese, in cui si concentra il 14% della ricchezza prodotta
dall’economia piemontese e si produce un valore aggiunto pro capite pari
a 27.647 euro, contro i 26.398 euro del Piemonte (dati 2016).
16 I dati che seguono sono tratti dal Rapporto Cuneo 2017 curato dalla Camera di Commercio di
Cuneo, dai Rapporti Piemonte Economico Sociale del 2016 e 2017, realizzati da IRES Piemonte
e dai dataset ISTAT 2017, consultabili online all’indirizzo: www.istat.it/it/archivio/16777 (ultimo
accesso: 11 settembre 2017).
45
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Come anticipato, il mercato del lavoro sembra invece evidenziare dati
più discordanti: da un lato, si registrano livelli occupazionali in aumento (il
tasso di occupazione è salito al 67,7% dal 67,1% dell’anno precedente);
dall’altro, si è assistito, soprattutto a causa della diminuzione del numero
delle persone inattive, a un incremento della disoccupazione, il cui tasso è
salito dal 5,3% del 2015 al 6,3%, pari a circa 17 mila persone in cerca di
occupazione. Il fenomeno ha colpito con maggiore intensità la popolazione femminile, con un tasso di disoccupazione pari all’8% nel 2016, contro
il 5% registrato fra i maschi. Particolarmente alto risulta, poi, il tasso di
disoccupazione giovanile (15-24 anni), che nel 2016 ha toccato il 23,4%.
Nel periodo gennaio-dicembre 2016, il Registro imprese della Camera
di Commercio di Cuneo ha contato la nascita di 4.111 nuove iniziative
imprenditoriali, circa 500 in più rispetto all’anno precedente, e 4.143 cessazioni di attività (al netto delle cancellazioni d’ufficio). Il saldo tra i due
flussi è apparso così negativo per 32 unità, dato migliore rispetto a quello
evidenziato nel 2015, quando il saldo risultava pari a -129 unità. In totale,
a dicembre 2016 le imprese attive all’interno della provincia erano 69.470.
Per quanto riguarda la classe dimensionale delle imprese, le tendenze del territorio della provincia di Cuneo rispecchiano quelle italiane e
piemontesi. Il modello più diffuso è infatti quello della ditta individuale
(63,7%); seguono le aziende che hanno da 2 a 5 addetti (28,5%), quelle
che contano da 3 a 9 dipendenti (3,7%), e le realtà da 10 a 49 addetti (3,5%). Infine, solo lo 0,5% delle realtà imprenditoriali della provincia
conta dai 50 ai 249 lavoratori e solo lo 0,1% oltre i 250 (fig. 5).
Figura 5. Classe dimensionale delle imprese iscritte alla Camera di Commercio di
Cuneo – distribuzione percentuale (2016)
63,7
28,5
Ditta
individuale
da 2 a 5
addetti
3,7
3,5
da 6 a 9
addetti
da 10 a 49
addetti
0,5
0,1
da 50 a 249
addetti
oltre 250
addetti
Fonte: rielaborazione da Camera di Commercio di Cuneo (2017)
46
IMPRESA POSSIBILE
Il settore con più aziende è quello agricolo (29,7%); seguono poi “altri
servizi” (cioè trasporti, servizi finanziari, istruzione, servizi di consulenza,
ecc.), pari al 21%, il commercio (18,4%), le costruzioni (13,8%), l’industria in senso stretto (9,3%) e il turismo (5,6%) (fig. 6). Resta fuori dalla
classificazione il 2,2% delle aziende.
È da segnalare che, rispetto al territorio regionale, nella provincia di
Cuneo le imprese agricole hanno un peso molto maggiore: in totale, in Piemonte la porzione di aziende che operano in questo settore è del 12,4%,
contro il 29,7% registrato a livello provinciale. Le altre percentuali non si
discostano in maniera significativa: in regione si segnalano solo valori più
elevati per il settore “altri servizi” (27,6%) e per quello del commercio
(23,4%).
Figura 6. Settore di appartenenza delle imprese cuneesi e piemontesi – distribuzione percentuale (2016)
Agricoltura
30
25
20
Altro
Altri servizi
15
10
5
0
Turismo
Commercio
Industria
Costruzioni
Cuneo
Piemonte
Fonte: rielaborazione da Camera di Commercio di Cuneo (2017)
Per quanto riguarda le reti di imprese, è interessante registrare l’elevato tasso di accordi di rete nel settore agricolo: nella provincia si contano
infatti 40 soggetti connessi tra loro attraverso questi accordi (in tutto il
Piemonte, le realtà legate da contratti di rete sono 129). Le imprese degli
altri settori non sembrano mostrare, invece, una particolare propensione
alla creazione di reti. Nell’industria, per esempio, le imprese coinvolte in
network e joint venture sono 39 (contro le 225 del Piemonte); nel settore
delle costruzioni sono 31 (120 in tutta la regione); in quello del commercio
26 (100 in Piemonte). In totale, si contano 196 aziende cuneesi legate da
un accordo di rete (a livello regionale se ne segnalano 872).
47
• FEBBRAIO 2018
Q 33
3.2 Il disegno della ricerca e le caratteristiche del campione
Per comprendere la penetrazione culturale del tema del welfare aziendale nelle imprese del cuneese, capire le effettive dimensioni quantitative
del fenomeno e cogliere le caratteristiche delle sue pratiche organizzative, è stata realizzata un’indagine quantitativa su un campione di aziende
rappresentative dell’universo dei settori e delle classi dimensionali delle
aziende prese in considerazione17. La ricerca restituisce la percezione delle
aziende del territorio rispetto al tema del welfare aziendale, le loro esperienze fino a oggi e il processo intrapreso per l’attivazione di iniziative di
welfare all’interno della propria azienda. L’intervista è stata rivolta in prevalenza a responsabili amministrativi delle aziende, a titolari o amministratori delegati e a responsabili risorse umane, al fine di raggiungere le persone che, per il ruolo che ricoprono in azienda, trattano il tema del welfare
aziendale nello svolgimento del proprio lavoro. Nello specifico, al termine
della rilevazione risultano essere stati coinvolti in quasi la metà dei casi i
responsabili amministrativi delle aziende. A seguire sono presenti i titolari,
i direttori generali o gli amministratori delegati (32,4%) e solo in piccola
parte i responsabili risorse umane (17,2%) (fig. 7).
Figura 7. Figure professionali intervistate – valori percentuali
17,2
0,6
49,7
5,2
27,4
Responsabile risorse umane
Direttore generale
Amministratore delegato
Titolare/Socio
Responsabile amministrativo
Fonte: indagine sulle imprese
17 Per maggiori dettagli si rimanda all’Appendice, disponibile online sul sito della Fondazione
CRC: www.fondazionecrc.it/index.php/analisi-e-ricerche/quaderni.
48
IMPRESA POSSIBILE
Il campione, costituito da 189 imprese della provincia di Cuneo, è
rappresentativo dell’universo di riferimento ed è stratificato per settore
produttivo (industria e costruzioni, commercio e servizi) e per numero di
dipendenti (da 10 a 19, da 20 a 49, oltre i 50 dipendenti). Ai fini dell'indagine sono state considerate le imprese con almeno 10 dipendenti, fino a
500, ed è stato escluso il settore primario. Di seguito si riporta l’universo di
riferimento sulla base del quale è stato costruito il campione, oltre alle celle
campionarie utilizzate per la rilevazione (tab. 5).
Tabella 5. Universo di riferimento e campione
Universo
Campione
10-19
dipendenti
20-49
dipendenti
50-500
dipendenti
TOTALE
10-19
dipendenti
20-49
dipendenti
50-500
dipendenti
TOTALE
INDUSTRIA
E COSTRUZIONI
825
370
168
1.363
59
34
22
115
COMMERCIO
E SERVIZI
730
256
115
1.101
38
21
15
74
1.555
626
283
2.464
97
55
37
189
INDUSTRIA
E COSTRUZIONI
33,5
15,0
6,8
55,3
31,2
18,0
11,6
60,8
COMMERCIO
E SERVIZI
29,6
10,4
4,7
44,7
20,1
11,1
7,9
39,2
totale
63,1
25,4
11,5
100,0
51,3
29,1
19,6
100,0
val. assoluti
totale
val. %
Fonte: indagine sulle imprese
49
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Il campione è stato definito nell’ottica di garantire il più possibile la
sua corrispondenza all’universo di riferimento18. Prima di procedere all’elaborazione dei risultati dell’indagine, è stata analizzata la struttura del
campione (caratteristiche socio demografiche) ed è stato effettuato un
riproporzionamento del campione tramite ponderazione statistica per ricondurre i casi al loro effettivo peso nell’universo.
La maggioranza delle imprese è situata nei territori di Cuneo (40%) e
Alba (17,8%). Si tratta in prevalenza di imprese del settore manifatturiero
(42%) e dei servizi (26%), in larghissima parte di piccole dimensioni (il
63,1% ha meno di 20 dipendenti), con la conseguenza di un fatturato che
nella maggioranza dei casi è inferiore ai 3 milioni di euro.
La prevalenza di aziende di piccole dimensioni determina come conseguenza i risultati delle altre variabili di profilatura delle tipologie aziendali.
Si tratta di imprese quasi interamente di proprietà italiana, con solo il 4,3%
facenti parte di gruppi internazionali. Solo nel 15,5% dei casi si tratta di
aziende che presentano più di una sede. E ancora, la dimensione ridotta
influisce fortemente anche sulla presenza di sindacato in azienda, dichiarato solo nell’11,9% dei casi.
Per quanto riguarda la composizione di genere della forza lavoro, ci
troviamo di fronte ad aziende tendenzialmente “al maschile”, dal momento che la quota media di donne occupate è di appena il 28,3% (tab. 6).
18 La principale precauzione statistica per avere un campione rappresentativo delle aziende della
provincia di Cuneo si esplica nell’attuazione di un’estrazione proporzionale delle aziende per
ciascuna cella campionaria, rispettando il peso che ogni cella assume all’interno dell’universo di
riferimento. L’effettivo raggiungimento della corretta rappresentatività di tutte le celle campionarie, è, poi, condizionato dalla disponibilità del singolo a partecipare all’intervista.
50
IMPRESA POSSIBILE
Tabella 6. Caratteristiche strutturali delle imprese intervistate (N=189)
Percentuale
Numero di dipendenti
Presenza di sindacato in azienda
Sede dell’azienda
Settore
Fatturato
Proprietà
10-19 dipendenti
63,1
20-49 dipendenti
25,4
50 o più dipendenti
11,5
Sì
11,9
No
88,1
Cuneo
40,1
Alba
17,8
Bra
9,8
Fossano
4,4
Mondovì
10,7
Savigliano
5,1
Saluzzo
12,1
Industria
42,0
Costruzioni
13,3
Commercio
18,7
Servizi
26,0
Meno di un milione di euro
12,6
Un milione di euro
16,9
2-3 milioni di euro
22,8
4-5 milioni di euro
21,2
6-10 milioni di euro
13,1
11-20 milioni di euro
4,9
Oltre 20 milioni di euro
8,6
Interamente italiana
Fa parte di un gruppo internazionale
Sedi operative
Solo in Italia
In Italia e all’estero
Numero di sedi
Quote di genere
95,7
4,3
90,9
9,1
1
84,5
2 o più
15,5
Media uomini
71,7
Media donne
28,3
Fonte: indagine sulle imprese
51
• FEBBRAIO 2018
Q 33
3.3 Che cosa succede in azienda: la soddisfazione interna
Benessere
in azienda
Prima di entrare nel tema del welfare aziendale, è utile indagare i livelli
di soddisfazione relativi a una serie di aspetti rilevanti e strategici per la
vita dell’impresa, per la cui analisi è stata pensata una specifica batteria
di domande (fig. 8). Si tratta di elementi tradizionalmente associati al benessere di un’azienda (clima interno, soddisfazione dei dipendenti, livelli
di turn over e di attrattività) o comunque associati (ex ante o ex post) alla
presenza/assenza di politiche di welfare in azienda.
Il punteggio medio più elevato si registra sulla elevata fedeltà dei lavoratori all’interno dell’azienda, con conseguente contenimento del turn
over. Grande soddisfazione si registra anche rispetto al clima aziendale e
alla soddisfazione complessiva dei dipendenti, mentre il dato di maggior
criticità è quello dei risultati economici, per i quali si supera mediamente
la sufficienza.
Figura 8. Soddisfazione per vari aspetti della vita dell’azienda – valori medi su
una scala 1-10
Risultati economici
ultimi 12 mesi
6,89
Relazioni
con i sindacati
Soddisfazione
dei dipendenti
6,99
7,72
7,98
8,34
Clima interno
Felicità dei dipendenti,
basso turn over
6,83
Capacità di attrarre
nuovi talenti
Fonte: indagine sulle imprese
Indice
di soddisfazione
52
Nel grafico è riportato anche il risultato relativo alle relazioni sindacali, ma occorre naturalmente tenere conto del fatto che, come si è visto
in precedenza, meno del 12% del campione dichiara di avere al proprio
interno una rappresentanza sindacale. Laddove presente, dunque, il livello
di soddisfazione non appare particolarmente elevato.
Per provare a definire un indice sintetico di soddisfazione delle aziende
del cuneese è in ogni caso necessario non conteggiare questa variabile.
IMPRESA POSSIBILE
L’indice sintetico calcolato19 tiene dunque conto soltanto delle altre cinque
variabili e misura dunque un combinato di elementi relativi ai risultati economici dell’impresa, alle relazioni interne all’azienda e alle dinamiche relative al personale. Nel complesso si conferma la presenza di livelli piuttosto
elevati di soddisfazione media: solo il 6,6% del campione presenta, infatti,
un indice di soddisfazione insufficiente, mentre oltre il 40% dichiara una
soddisfazione complessivamente elevata (fig. 9).
Figura 9. Indice sintetico di soddisfazione – valori percentuali
6,6
53
40,4
Bassa
Media
Alta
Fonte: indagine sulle imprese
3.4 La cultura aziendale e il welfare: percezioni e comprensioni
Una parte del questionario di rilevazione è stata dedicata a comprendere la specifica “cultura del welfare” presente all’interno dell’azienda.
Non si tratta di una semplice curiosità accademica, ma di una componente
di indagine essenziale per verificare se, e in che misura, le realtà imprenditoriali siano in grado di cogliere la rilevanza del tema, le opportunità a
esso connesse e i suoi eventuali aspetti problematici. L’esistenza di un gap
conoscitivo è stato segnalato da molte ricerche (Pesenti, 2016a) e appare
particolarmente pronunciato nell’ambito delle PMI, dove il livello di penetrazione delle pratiche di welfare aziendale risulta ancora molto basso,
non soltanto a causa dei ben noti bias di tipo dimensionale e organizzativo.
Di fronte a una richiesta di specificazione del concetto di welfare
aziendale attraverso una risposta libera (dunque senza sottoporre preventivamente una lista preordinata di possibili risposte), quasi i 2/5 degli
intervistati (36,9%) non riescono a dare una definizione precisa. Mentre
un ulteriore 40% fornisce una descrizione del tutto generica (“tutto il sostegno per il benessere del dipendente”) e senza particolari attribuzioni di
senso (fig. 10).
Cultura
del welfare
Definizioni
del welfare
aziendale
19 L’indice è stato costruito sommando i punteggi delle cinque variabili, ottenendo in questo
modo una nuova variabile continua i cui valori minimi e massimi sono risultati 20 (media voto=4)
e 50 (media voto=10). Si è provveduto anche a generare una variabile categoriale, definendo tre
classi: bassa soddisfazione (valore medio <6), media soddisfazione (valore medio compreso tra
6 e 7,9), alta soddisfazione (valore medio >8). La figura 9 sintetizza questa seconda variabile di
tipo categoriale.
53
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Figura 10. La definizione in astratto di “welfare aziendale”, possibili più risposte
– valori percentuali
40,1
Tutto il sostegno per il benessere del dipendente
36,9
Non sa
14,2
Sostegno economico ai dipendenti
13,1
Politiche a favore della conciliazione vita-lavoro
10,2
Sanità integrativa
7,0
Previdenza integrativa
3,9
Formazione
3,1
Buone relazioni e sinergie
1,1
Iniziative motivazionali e di volontariato
0,5
Servizi sociali alla persona
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
Fonte: indagine sulle imprese
Quale significato è possibile attribuire a questi dati? Siamo di fronte
con ogni evidenza a una difficoltà piuttosto significativa e con ogni probabilità legata principalmente alle caratteristiche tipiche delle aziende intervistate. Sia nel caso di risposta generica, sia nel caso del “non so”, l’analisi
di correlazione20 mostra valori statisticamente significativi con le variabili
relative alla qualifica professionale del rispondente e alla dimensione aziendale, mentre appare non incidente il peso della tipologia aziendale, così
come quello del settore di appartenenza. Nello specifico, la probabilità di
non avere una definizione precisa del tema è più elevata nel caso in cui a
rispondere siano i titolari dell’impresa e soprattutto i responsabili amministrativi, così come la massima probabilità si riscontra tra le aziende sotto i
20 dipendenti, nelle quali quasi la metà degli intervistati non hanno saputo
rispondere in modo neppure generico alla domanda (fig. 11). Si tratta dunque di un gap di conoscenza presumibilmente legato alla non specificità di
ruolo, a sua volta riferibile alla tipica mancanza di specializzazione funzionale presente nelle imprese di minori dimensioni, a conferma probabilmen20 Attraverso il test del chi-quadro si misura la presenza di un legame tra una variabile dicotomica e una variabile categoriale: in presenza di un valore di significatività asintotica inferiore a 0,05
si può rifiutare l’ipotesi che le due variabili siano tra loro indipendenti.
54
IMPRESA POSSIBILE
te della assenza di un'adeguata diffusione culturale di questo tema al di
fuori degli ambienti professionali specificamente relativi alle risorse umane.
Figura 11. “Che cos’è il welfare aziendale?” – percentuale di risposta “non so”,
per dimensioni aziendali
50%
45%
45,4
40%
35%
30%
25
25%
20%
18,2
15%
10%
5%
0%
10-19 dip.
20-49 dip.
50 o più dip.
Fonte: indagine sulle imprese
La ancora difficoltosa penetrazione culturale del tema viene peraltro
confermata anche analizzando le risposte fornite dalla restante parte del
campione (63%). La definizione più ricorrente, come già segnalato, è del
tutto aspecifica, richiamando un generico intervento da parte delle imprese
per il sostegno del benessere dei lavoratori. Risposte più precise, capaci di
specificare in modo più circostanziato elementi qualificanti, come per esempio gli interventi per il sostegno economico, per la conciliazione vita-lavoro,
per la sanità o la previdenza integrativa, sono presenti in componenti molto
marginali del campione e sempre con percentuali inferiori al 15%.
Questa ancora vaga percezione di che cosa si debba intendere con
il termine welfare aziendale trova ampia conferma quando si verifica il
livello di interesse presente nelle aziende di chi ha risposto di avere una
conoscenza anche vaga del tema: solo in un caso su quattro traspare un
elevato coinvolgimento tematico da parte dell’azienda, mentre in circa il
43% i valori di coinvolgimento registrati sono molto bassi.
La non sempre ottimale conoscenza specifica del tema rende più complessa la lettura in controluce delle opinioni espresse con riferimento alle
possibili cause ritenute di ostacolo alla diffusione del welfare aziendale nel
nostro Paese. Nella percezione degli intervistati, i limiti più rilevanti che
rallentano la diffusione del welfare aziendale sono principalmente di due
tipi: da un lato, si segnalano le barriere economiche (indicate come causa
Interesse
verso il welfare
aziendale
Ostacoli
al welfare
aziendale
55
• FEBBRAIO 2018
Q 33
principale dal 44,4% dei rispondenti); dall’altro, immediatamente a seguire si registrano dei vincoli di tipo legislativo (causa principale per il 38,7%
dei casi) (fig. 12).
La prima spiegazione appare tutto sommato comprensibile, stante
soprattutto le dimensioni delle aziende coinvolte (un dato che conferma
la difficoltà mediamente riscontrata dalle PMI a sviluppare pienamente il
welfare al proprio interno). Non si evidenziano peraltro correlazioni significative con il grado di conoscenza in astratto della materia, anche se chi non
ha saputo dare una definizione tende maggiormente a indicare le difficoltà
economiche come causa primaria. Certamente molto meno comprensibile, almeno a prima vista, appare invece il richiamo al vincolo legislativo:
come si è visto, infatti, negli ultimi due anni la legislazione in argomento
sembrerebbe avere rimosso numerosi vincoli che in precedenza avevano
fortemente limitato lo sviluppo di queste pratiche.
Figura 12. Ostacoli potenziali alla diffusione delle esperienze di welfare aziendale
in Italia
Limiti strutturali delle aziende
18,0
Vincoli legislativi
38,7
Barriere economiche
44,4
Barriere culturali
tra i dipendenti
10,8
Barriere culturali sindacali
15,6
43,8
Barriere culturali in azienda
16,2
37,6
0
32,4
2,8
43,6
14,9
42,1
46,4
10
Causa principale
Ininfluente
Fonte: indagine sulle imprese
56
46,8
20
2,9
13,5
42,7
25,6
15,0
42,3
30
40
50
60
Ostacolo come ce ne sono altri
Non sa
3,9
70
80
90
100
IMPRESA POSSIBILE
In particolare si sono nel tempo succeduti una serie di interventi, a
partire dalla Legge 28 dicembre 2015 n. 208 (Legge di Stabilità 2016),
seguita dal Decreto Interministeriale del 25 marzo 2015, dalla Risoluzione
dell’Agenzia Entrate 28/E-2015 e infine dalla Legge 11 dicembre 2016 n.
232 (Legge di Bilancio 2017). L’insieme di questi interventi ha portato a
una serie di modifiche dell’articolo 51 del TUIR e alla modifica della disciplina del Premio di Risultato: nel complesso, tali misure hanno cambiato
lo scenario complessivo, rendendo possibile la fruizione di più servizi (non
soltanto dell’area educativa e della prima infanzia, ma oggi anche arrivando a coprire tutto il campo della conciliazione famiglia-lavoro e quello delle
non autosufficienze), la contrattabilità del welfare (precedentemente non
prevista) anche in funzione di “leva” per la produttività, un potenziale più
agevole accesso al welfare aziendale da parte delle PMI grazie alla previsione di accesso di queste ultime a contratti territoriali attraverso i quali
poter usufruire della disciplina del Premio di Risultato anche in assenza di
una rappresentanza sindacale in azienda.
Una parte della spiegazione è data, ancora una volta, dalla scarsa conoscenza dell’argomento: il richiamo ai vincoli di legge è infatti segnalato
come causa (principale o accessoria) dalla quasi totalità di coloro i quali
non avevano saputo dare una definizione precisa del termine. Tuttavia,
è pur vero che identiche distribuzioni si ritrovano anche tra coloro i quali
hanno dato una definizione specifica, non generica, di cosa sia il welfare.
Di fatto, però, l’unica variabile che registra una correlazione statisticamente significativa con il grado di conoscenza del tema è quella che mette a
tema la tipicità delle aziende italiane (dimensionale ma non solo) come
causa di ostacolo allo sviluppo delle pratiche di welfare: si tratta di una
causa che appare con maggior rilevanza tra coloro i quali hanno maggior
conoscenza del tema, un fatto che sembra segnalare una riflessione puntuale e non improvvisata sull’argomento.
Al di là della specifica definizione di che cosa si intenda con il termine,
i nodi del problema si precisano in modo molto netto quando viene esplicitato agli intervistati un elenco di possibili aree di bisogno cui il welfare
aziendale potrebbe essere chiamato a rispondere (fig. 13).
Aree di bisogno
57
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Figura 13. Bisogni cui il welfare aziendale potrebbe rispondere (possibili tre
risposte) – valori percentuali
60,0
56,9
50,0
47,0
56,2
44,6
40,0
30,0
24,5
18,1 18,5
20,0
10,0
18,9
16,5 16,7
11,4
10,4
24,5
6,2
9,9 8,4
13,5
21,2
16,9
18,1
17,3
11,4
3,4 2,5
0,0
Sanità
integrativa
Previdenza
integrativa
Prima
Area socio
assistanziale
Seconda
Terza
Conciliazione
vita-lavoro
Sostegno
economico
Mensa,
buoni pasto
Totale
Fonte: indagine sulle imprese
Tra i bisogni prioritari emergono sugli altri l’area work life balance
(dichiarata da quasi il 57% del campione nel complesso e come prima
priorità dal 24,5%) e subito a seguire quella del sostegno economico
ai dipendenti e alle loro famiglie (56,2%). Seguono sanità e previdenza, mentre molto meno diffusa sembra essere la dimensione dei bisogni
dell’area socio assistenziale (come per esempio quelli legati all’area delle
non autosufficienze).
Ci pare interessante segnalare come la priorità accordata ai temi della
previdenza e della sanità integrativa – insieme al tema delle mense e dei
buoni – appare particolarmente accentuata fra le aziende in cui è presente una rappresentanza sindacale. Si tratta di un dato probabilmente
rilevante, poiché potrebbe significare il fatto che i sindacati sono in grado
di orientare la percezione dei bisogni, nonché di orientare/suggerire modalità di risposta più tradizionali.
58
IMPRESA POSSIBILE
Se si considerano i benefit effettivi attivati in azienda, emerge una forte
prevalenza di quelli estremamente tradizionali, che la letteratura in argomento ci segnala da molto tempo (Pavolini et al., 2013) essere i più diffusi
(nelle grandi aziende, ma a maggior ragione anche tra quelle di minori dimensioni), anche grazie alla possibilità di accedervi attraverso la contrattazione di primo livello (CCNL), e dunque, in particolare, attraverso gli enti bilaterali presenti in buona parte dei contratti nazionali. Ciò è vero soprattutto
per i fondi pensione, mentre nel caso dei fondi sanitari l’origine può essere
anche nell’ambito della proposta aziendale (contrattato o meno) (fig. 14).
Con enorme distacco, la terza area di benefit più diffusi è quella finalizzata ad agevolare la conciliazione vita-lavoro, la cui presenza è segnalata da poco meno del 21% delle aziende che hanno attivato elementi di
welfare aziendale. Per il resto, superano la soglia di diffusione del 10%
delle aziende i tassi agevolati per l’accesso al credito e le convenzioni per
il consumo, rispettivamente con il 17,4% e il 15,1% di diffusione.
Benefit attivi
in azienda
Figura 14. Benefit attivi in azienda – valori percentuali sul totale delle aziende in
cui è presente almeno un benefit
Fondo integrativo pensione
48,5
Prestazioni sanitarie integrative
48,5
Attività per agevolare la conciliazione vita-lavoro
(smart working, asilo nido aziendale, rimborsi o voucher, ecc.)
20,9
Tassi agevolati per mutui, finanziamenti
17,4
Convenzioni con strutture commerciali
per i dipendenti/rimborsi abbonamenti mezzi
15,1
Attività per il benessere fisico e psicologico
dei dipendenti, circoli ricreativi
9,8
Contributi per il sostegno ai care giver privati, ossia coloro
che si occupano di familiari con gravi malattie o non autosufficienti
9,5
Supporto psicologico per i dipendenti
con problemi familiari gravi (lutti, separazioni)
7,4
4,6
Agevolazioni per scuole/asili nido
Housing, affitti a prezzi calmierati per le persone più bisognose
3,2
Borse di studio per soggiorni all'estero di dipendenti e familiari
2,3
0
10
20
30
40
50
60
Fonte: indagine sulle imprese
59
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Distanza fra
bisogni e benefit
È interessante notare il disallineamento tra i bisogni emergenti e ritenuti prioritari, e i bisogni che trovano specifica risposta in azienda (fig. 15).
Sono soprattutto due le aree in cui sembra più evidente la distanza tra il
bisogno (almeno così come percepito dall’intervistato) e l’effettiva possibilità di risposta garantita dall’azienda attraverso uno o più benefit: l’area
della conciliazione vita-lavoro e quella del sostegno economico (in cui ricadono convenzioni, prestiti agevolati, politiche per gli alloggi, rimborsi di
varia natura, soggiorni e colonie estive). Soprattutto per quanto riguarda
l’area della conciliazione vita-lavoro, questo dato conferma, peraltro, una
tendenza registrata in questi ultimissimi anni nella già citata letteratura del
nostro Paese e che dunque segnala un ambito di necessaria riflessione sulle
modalità con cui le aziende intervengono e sulla loro effettiva capacità di
lettura dei bisogni dei dipendenti. Il cambiamento legislativo di cui si è dato
conto in precedenza avrebbe dovuto, almeno in ipotesi, permettere una
più ampia diffusione di benefit proprio in questo ambito nonché nell’area in parte contigua dei servizi dell’area socio assistenziale (nella quale si
nota una distanza ancora significativa, benché meno marcata, tra bisogno
percepito e bisogno corrisposto), grazie alla loro finalmente riconosciuta
rilevanza pubblica da parte del legislatore e della conseguente agevolazione fiscale.
Figura 15. Bisogni emergenti percepiti e bisogni effettivamente coperti dai benefit
attivati in azienda – valori percentuali sul totale delle aziende che hanno attivato
un Piano di welfare
Area socio assistenziale
24,5
Sanità integrativa
56,2
48,5
9,5
44,6
Sostegno economico
20,2
20,9
47,0
Previdenza integrativa
48,5
Conciliazione vita-lavoro
56,9
Segnalato come bisogno
Fonte: indagine sulle imprese
60
Segnalato come benefit attivo
IMPRESA POSSIBILE
Siamo dunque di fronte a una difficoltà delle imprese, ancora una volta
confermata, a dare ascolto alle esigenze dei lavoratori? Certamente il dato
appare complesso nella sua decodifica razionale, soprattutto in rapporto a
contesti di aziende mediamente di ridotte dimensioni, nei quali è prevedibile
una più agevole possibilità di ascolto da parte dell’impresa.
La conferma di questa ipotesi viene dall’analisi delle iniziative che gli
intervistati dichiarano di avere messo in atto nella propria impresa per comprendere i bisogni di welfare dei lavoratori (fig. 16). Certamente non sono
diffuse pratiche organizzate di ascolto del bisogno (dichiarata nel 36,3% dei
casi del sottocampione di imprese che dichiara di avere introdotto almeno
un benefit di welfare, cui è possibile aggiungere anche il 4,1% di imprese
di maggiori dimensioni nelle quali il sindacato si è reso protagonista di una
mediazione di rappresentanza), ma in cui altrettanto certamente è plausibile
una modalità di ascolto più personalizzata svolta attraverso incontri individuali con i dipendenti (50,2% dei casi). Dunque, l’ascolto dei dipendenti è
esperienza che in modo più o meno personalizzato riguarda oltre l’80% delle
imprese che fanno welfare a Cuneo e in provincia.
Si tratta di dati molto elevati, certamente superiori a quanto è stato registrato in analoghe ricerche esplorative effettuate negli ultimi anni o, per
esempio, in una ricerca molto ampia, su un campione di oltre 600 imprese
lombarde attive sul tema del welfare, dove solo in un terzo era stata prevista un'analisi dei bisogni (Pesenti, 2018). Le aziende del territorio di Cuneo
appaiono più orientate all’ascolto e alla condivisione dei bisogni dei propri
dipendenti: come spiegare, dunque, il disallineamento tra bisogni percepiti
dagli intervistati (che in qualche modo dovrebbero tenere in considerazione
le esigenze dei dipendenti) e le pratiche concrete registrate?
Modalità di
ascolto dei
bisogni
Figura 16. Iniziative realizzate per l’ascolto del bisogno dei lavoratori – valori
percentuali sul totale delle aziende che hanno attivato un Piano di welfare
Con incontri individuali
50,2
23,5
Con incontri periodici collettivi
Nessuna
18,8
12,8
Tramite indagini interne
Attraverso l'interessamento/il tramite
delle rappresentanze sindacali
4,1
0
10
20
30
40
50
60
Fonte: indagine sulle imprese
61
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Alla luce di questi dati, un’ipotesi che resta aperta è quella di uno
stile di intervento da parte dell’azienda molto informale a causa della
scarsa possibilità di manovra di imprese che, per le ridotte dimensioni,
non si possono permettere processi razionalizzati di ampia portata ed
elevato costo. Lo conferma anche l’esplicita non formalizzazione di processi di verifica ex post della soddisfazione dei dipendenti (fig. 17). Solo
nel 6,3% dei casi si effettuano indagini interne, ma, contrariamente a
quanto ci si potrebbe attendere, non si tratta in prevalenza di imprese di
medie o grandi dimensioni, bensì di imprese con meno di 50 dipendenti.
Per il resto, come detto, si impone uno stile più informale in quasi l’80%
dei casi e, in linea generale, le imprese più grandi sono sovrarappresentate in questo gruppo. Anche qui, un paradosso su cui potrebbe essere
interessante effettuare ulteriori approfondimenti in futuro.
Figura 17. Modalità di valutazione dei risultati delle policy di welfare – valori
percentuali sul totale delle aziende che hanno attivato un Piano di welfare
6,3
13,7
Sì, in modo informale
Sì, tramite dei processi formalizzati
(indagini di clima, monitoraggio fruizioni)
No
79,9
Fonte: indagine sulle imprese
62
IMPRESA POSSIBILE
Un secondo elemento utile alla comprensione è, però, probabilmente
desumibile anche dalla modalità con cui le aziende si sono mosse: anche
qui, la taglia medio piccola delle imprese predetermina una modalità di
decisione assolutamente unilaterale (nel 78,5% dei casi), talvolta senza
peraltro una esplicita verifica delle esigenze dei lavoratori (17,7%). La dimensione aziendale continua, insomma, a essere la variabile che “spiega”
i modi concreti con cui il welfare entra in azienda (fig. 18).
Modalità
di intervento
Figura 18. Modalità con cui è stata decisa l’introduzione del welfare in azienda –
valori percentuali sul totale delle aziende che hanno attivato un Piano di welfare
70,0
57,9
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
17,7
16,3
10,0
2,8
5,2
0,0
In modo
unilaterale
dall'azienda
In modo
unilaterale
dall'azienda,
dopo aver
verificato
le esigenze
dei lavoratori
In modo
unilaterale
dall'azienda,
con il consenso
implicito
del sindacato
In modo
contrattato,
nell'ambito
delle normali
relazioni con
il sindacato
In applicazione
ai contratti
di categoria
Fonte: indagine sulle imprese
63
• FEBBRAIO 2018
Q 33
3.5 L’impatto del welfare sull’organizzazione
Modello
organizzativo
L’ultimo aspetto da verificare è il modello organizzativo utilizzato dalle
aziende per introdurre il proprio sistema di welfare (fig. 19).
Operativamente, e ancora una volta come risultato della dimensione
media delle imprese analizzate, il welfare è gestito direttamente dall’azienda, con acquisto diretto di servizi (61,8%), sistemi di rimborsi (22,4%)
o convenzioni (13%). La gestione attraverso portale, modalità che negli
ultimi anni si è molto diffusa grazie anche alla nascita di un vero e proprio
mercato di provider di servizi dedicati (cap. 4.5), rappresenta lo strumento
in assoluto meno diffuso (12,2% dei casi). Anche in questo caso potremmo aspettarci che la dimensione aziendale rappresenti la variabile esplicativa principale, ma i controlli effettuati confermano solo in parte la presenza
di una chiara associazione tra dimensione aziendale e modalità gestionali.
Tale associazione è, infatti, significativa sul piano statistico per quanto riguarda le convenzioni (cresce la diffusione al decrescere del numero di dipendenti), mentre per le altre modalità manca l’evidenza di questo legame,
anche se certamente i portali tendono a essere più diffusi nelle aziende con
un maggior numero di dipendenti. Altro elemento significativo è, invece,
il fatturato, che spiega la diffusione di servizi direttamente acquistati dalle
imprese (significativamente più diffuse ai bassi fatturati e meno diffuse tra
le aziende con fatturati superiori ai 10 milioni di euro).
Figura 19. Modalità gestionali del Piano di welfare – valori percentuali sul totale
delle aziende che hanno attivato un Piano di welfare
Welfare gestito con l'acquisto diretto di servizi
da parte dell'azienda
61,8
22,4
Welfare gestito attraverso un sistema di rimborsi
13,0
Welfare gestito attraverso un sistema di convenzioni
Welfare gestito attraverso un portale fornito
da un provider o da un'associazione di categoria
e contenente un paniere più o meno ampio di servizi
12,2
0
10
20
30
40
50
60
70
Fonte: indagine sulle imprese
Sempre ricostruendo le dinamiche operative di gestione del welfare
nelle aziende che ne hanno dichiarato la presenza, la metà delle imprese
si è rivolta a soggetti esterni per implementare eventuali iniziative, quasi il
37%, invece, ha operato in completa autonomia (fig. 20). Hanno chiesto
collaborazione all’esterno nel 30% dei casi a soggetti associativi (ma alla
luce della parte qualitativa della ricerca, non è chiaro a quali soggetti si
64
IMPRESA POSSIBILE
siano effettivamente rivolti, o quanto meno in quale modalità e per ottenere quali elementi operativi al di fuori del puro dato informativo) e solo il
10,9% a provider di servizi.
Figura 20. Partner esterni utilizzati per introdurre il welfare – valori percentuali sul
totale delle aziende che hanno attivato un Piano di welfare
Nessun soggetto esterno
36,8
Associazioni datoriali
30,6
Provider di servizi
10,9
Assicurazioni
8,6
Camera di Commercio
7,5
Altre aziende come la sua
4,6
Cooperative
3,3
Enti bilaterali
2,3
Amministrazioni pubbliche
(Regione, Provincia,
Comuni, ASL)
1,2
0
5
10
15
20
25
30
35
40
Fonte: indagine sulle imprese
Un ragionamento specifico merita, infine, il tema dei costi, anche per
verificare se la barriera economica all’introduzione del welfare in azienda
– che come si è visto in precedenza (fig. 12) risulta essere particolarmente
avvertita come vincolo da un’ampia componente del campione – rappresenta un elemento rilevante anche in termini concreti.
Nei fatti, il 47,8% delle aziende in cui si fa welfare non segnalano la
presenza di costi significativi e un ulteriore 13,6% non ha avuto spese
aggiuntive. In pratica, solo il 26% delle aziende lamenta costi aggiuntivi
significativi e in questo gruppo sono presenti, in particolare, le imprese
che sono intervenute sul fronte dei servizi socio assistenziali e, in modo
imprevisto, coloro i quali hanno utilizzato sistemi di convenzioni (fig. 21).
Costi del welfare
aziendale
65
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Figura 21. Costi sostenuti per il Piano di welfare – valori percentuali sul totale
delle aziende che hanno attivato un Piano di welfare
60
50
47,8
40
30
26,2
20
13,6
12,4
Non sostiene
costi aggiuntivi
Sostiene/ha
sostenuto
costi aggiuntivi
compensati da
risparmi fiscali
10
0
Sostiene/ha
sostenuto
costi aggiuntivi
non significativi
Sostiene/ha
sostenuto
costi aggiuntivi
significativi
Fonte: indagine sulle imprese
In ogni caso, il 41,6% delle imprese sembra non avere un’idea precisa
delle dinamiche di costo nel tempo e solo il 38% ritiene che nel lungo
periodo si potrà ottenere un completo assorbimento dei costi o un significativo risparmio grazie agli incentivi fiscali (fig. 22). Tra questi ultimi, la
sola significativa statistica si registra in associazione a chi utilizza un portale
fornito da un provider di servizi, come dire che il portale ha un costo di
avviamento rilevante, ma una possibilità di ammortamento nel tempo che
lo rende, per queste imprese, utile ai fini del risparmio.
Figura 22. Dinamica di costi futuri per il Piano di welfare – valori percentuali sul
totale delle aziende che hanno attivato un Piano di welfare
41,6
Non ha sufficienti elementi per rispondere
20,3
Resteranno costanti nel tempo
19,8
Verranno ammortizzati nel lungo periodo
18,2
Produrranno nel lungo periodo un risparmio significativo
0
Fonte: indagine sulle imprese
66
5
10
15
20
25
30
35
40
45
IMPRESA POSSIBILE
3.6 Conclusioni: il welfare aziendale è utile alle imprese?
Esistono dunque elementi strutturali capaci di spiegare la presenza/assenza di welfare nelle aziende cuneesi? Il controllo della significatività statistica non mostra evidenze chiare per nessuna delle variabili controllate: dimensioni aziendali, presenza del sindacato, settore produttivo, percentuali
di donne in azienda. D’altra parte, le caratteristiche del campione (anche
a causa della sua bassa numerosità) non presentavano ampie variazioni su
questi elementi e dunque il risultato è plausibilmente atteso. In ogni caso,
tendenzialmente si fa più welfare nelle aziende sopra i 40 dipendenti e nel
settore dei servizi.
A che cosa è servita l’introduzione di uno o più benefit di welfare? Le
ricerche in argomento segnalano usualmente come il primo elemento di
utilità sia relativo al miglioramento del clima aziendale: anche nel caso del
Cuneese si conferma questo risultato, segnalato dall’86% delle aziende
con un voto superiore a 6 su una scala da 1 a 10. Immediatamente a ridosso è il tema dell’incremento della produttività (80%), mentre emerge un
minor grado di attenzione rispetto a quanto registrato in analisi e ricerche
italiane e internazionali su temi di più precisa derivazione HR, come la
capacità di trattenimento (retention) e di attrazione (attraction) di nuove
risorse umane. La possibilità che il welfare aziendale possa agevolare lo
sviluppo della quota di lavoro femminile appare anche in questa ricerca del
tutto marginale (il 40% dei casi ha fornito una valutazione superiore a 6 e
ben il 56% non ha saputo formulare un giudizio specifico), a conferma del
fatto che il tema è ormai completamente esterno (nella percezione delle
imprese) all’argomento più specifico dell’agevolazione delle pari opportunità in azienda.
Sempre su questo punto è utile segnalare un dato, che pur non potendo contare su numeri molto elevati (e dunque non potendo essere valutato in modo troppo estensivo e in termini di robusta rappresentatività)
acquista un valore almeno qualitativo del tutto specifico: se si analizzano i
benefici dichiarati dalle imprese tenendo conto del bouquet di benefit disponibili, là dove sono presenti benefit e servizi dell’area conciliazione vitalavoro si registrano valori di soddisfazione più elevati su tutti gli elementi
precedentemente descritti, con una robusta crescita di gradimento anche
sulla capacità di sviluppo della quota di lavoro femminile. Il tema work-life
balance si conferma, dunque, essere quello maggiormente sensibile e dalle
prospettive di maggior impatto, ancorché l’area in cui è più evidente il gap
tra bisogno e capacità di risposta da parte delle aziende.
67
• FEBBRAIO 2018
Q 33
4. Il punto di vista degli attori
del sistema produttivo e sociale
Dopo aver restituito i risultati emersi dall’indagine quantitativa, in questo capitolo saranno considerate più da vicino le evidenze raccolte attraverso le interviste in profondità con i principali attori del tessuto produttivo
e sociale cuneese in merito ai seguenti interrogativi: che cosa intendono gli
stakeholder per welfare aziendale e quali funzioni ritengono debba soddisfare? Quanto sono a conoscenza delle recenti innovazioni normative e
quali rischi e opportunità vi intravedono? Infine, quale ritengono debba
essere il ruolo della contrattazione nella messa a punto di queste forme di
protezione sociale destinate ai lavoratori? Il capitolo prosegue descrivendo
più in dettaglio le iniziative oggi in campo, soffermandosi sulle caratteristiche di alcuni casi di welfare aziendale nelle grandi aziende del territorio; sul
ruolo giocato dai provider; sulle funzioni di welfare esercitate – soprattutto
per le PMI – dagli enti bilaterali territoriali; infine, sulle prime innovative
iniziative di welfare aziendale territoriale avviate a livello provinciale.
4.1 Il disegno della ricerca
L’indagine qualitativa è stata realizzata attraverso interviste in profondità con i principali stakeholder del tessuto produttivo cuneese. Per stakeholder intendiamo tutti i soggetti collettivi del territorio, il cui interesse
può essere considerato, negativamente o positivamente, influenzato dalla
questione del welfare in azienda e la cui azione (o reazione) è a propria
volta plausibilmente in grado di influenzarne in qualche modo lo sviluppo.
Nel periodo fra febbraio e luglio 2017 sono state realizzate 17 interviste, che hanno coinvolto complessivamente più di 20 testimoni privilegiati21, selezionati per la posizione chiave da essi occupata nelle rispettive
organizzazioni: le sigle sindacali più rappresentative (CGIL, CISL e UIL) e le
maggiori associazioni datoriali e di categoria (Unione Industriale, Confartigianato, Legacoop, Confcooperative, Confederazione Nazionale dell’Artigianato, Confcommercio, Coldiretti); gli enti bilaterali (nei settori dell’edilizia, dell’agricoltura, del commercio e del turismo, dell’artigianato e della
21 Per un elenco completo si rimanda all'appendice del presente Quaderno, disponibile online
sul sito della Fondazione CRC: www.fondazionecrc.it/index.php/analisi-e-ricerche/quaderni.
68
IMPRESA POSSIBILE
cooperazione); quattro grandi imprese22. L’attenzione dedicata alle esperienze realizzate nelle grandi imprese si giustifica, da un lato, alla luce del
focus riservato dalla survey sulle PMI; dall’altro, sulla base delle evidenze
raccolte attraverso le interviste con organizzazioni sindacali e associazioni
di categoria che – peraltro in linea con quanto documentato a livello nazionale (Pavolini et al., 2013; Mallone, 2013b; 2015; Pesenti, 2016a) – hanno
sottolineato la concentrazione delle esperienze più strutturate di welfare
aziendale proprio nelle grandi imprese del territorio che, come visto grazie
ai dati di contesto illustrati in apertura di questa seconda parte, costituiscono una frazione estremamente esigua del tessuto produttivo considerato.
È stato inoltre intervistato l’unico provider di welfare aziendale che ha la
propria sede nella provincia di Cuneo23.
4.2 Il punto di vista degli stakeholder
4.2.1 Che cosa è e a che cosa serve il welfare aziendale
Come si è visto, nel suo uso corrente l’espressione “welfare aziendale” o “in azienda” presenta contorni non sempre chiaramente definiti,
prestandosi di conseguenza a essere oggetto di interpretazioni differenti,
soprattutto in merito all’estensione della gamma di beni e servizi riconducibili nel suo perimetro e alla loro importanza relativa. A riprova di ciò si consideri che quasi i 2/5 degli intervistati nella survey non sono riusciti a dare
una definizione precisa di welfare aziendale, mettendo così in evidenza
una ancora scarsa penetrazione culturale del tema nel territorio cuneese .
Venendo alle interviste in profondità, risulta interessante, in primo
luogo, sottolineare come, nella definizione dei confini del fenomeno in
questione, nessuno dei soggetti intervistati abbia fatto menzione di benefit come buoni carburante, buoni ristorazione, telefono aziendale. Come
illustrato nel secondo capitolo, questi strumenti sono regolamentati dalla
normativa sul welfare aziendale (artt. 51 e 100 del TUIR) e, inoltre, godono
di un trattamento fiscale favorevole grazie alle novità previste dalle ultime
due Leggi di Stabilità. A livello definitorio, però, come si è visto, si differenziano dal welfare aziendale in senso stretto, in quanto non sono strutturati
in modo da soddisfare bisogni primari dell’individuo (cioè connessi a tematiche come la salute, l’occupazione, il reddito, la disabilità, l’assistenza
Confini
del welfare
aziendale
22 È necessario precisare che per due delle quattro grandi aziende esaminate – a fronte della
scarsa disponibilità a realizzare un’intervista nell’ambito della presente ricerca – si è fatto ricorso a
materiale empirico raccolto, sempre attraverso interviste in profondità, nel quadro di un progetto
di ricerca affine a quello qui presentato (Cannito, 2017a). Si ringrazia la dott.ssa Maddalena
Cannito per aver condiviso con il Laboratorio di ricerca Percorsi di secondo welfare le evidenze
empiriche raccolte nel quadro della ricerca dottorale confluita nella tesi dal titolo Walking Dads.
Quando il congedo parentale è maschile: l’esperienza dei padri lavoratori del settore privato tra
welfare aziendale e nuova paternità (Cannito, 2017a).
23 Una nota metodologica e le tracce utilizzate per le interviste sono disponibili nell’Appendice
del presente Quaderno, pubblicata online sul sito della Fondazione CRC: www.fondazionecrc.it/
index.php/analisi-e-ricerche/quaderni.
69
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Interpretazioni
70
sociale). Il fatto che tali interventi non siano stati menzionati (o lo siano
stati solo secondariamente) porta a pensare che dagli intervistati il welfare
aziendale sia considerato, almeno in linea di principio, come un fenomeno
che dovrebbe prioritariamente e positivamente influire sul reale benessere
– personale e familiare – del lavoratore.
Nel complesso, i temi più frequentemente evocati dagli attori del territorio sono stati, infatti, quelli collegati all’assistenza sanitaria integrativa,
alla conciliazione fra i tempi di vita e di lavoro (soprattutto attraverso il
sostegno all’accesso a servizi, quali in particolare gli asili nido) e al diritto
allo studio (grazie a borse e premi rivolti ai figli dei dipendenti): work-life
balance e sostegno al reddito sono peraltro le aree di bisogno emerse con
maggiore frequenza anche nell’analisi quantitativa.
Fra le definizioni offerte dagli attori intervistati si distinguono poi interpretazioni più late e interpretazioni più ristrette. Le prime – fatte proprie
in particolare dal mondo dell’associazionismo industriale e della consulenza del lavoro – tendono a includere tutte le misure capaci di migliorare il
benessere del dipendente e della sua famiglia, non solo rispondendo a un
bisogno sociale in senso stretto (welfare), ma anche fornendo facilitazioni
per l’accesso da parte dei lavoratori ad attività di tipo ludico-ricreativo nel
tempo libero (wellness e lifestyle). Le seconde – sostenute da parte del
mondo sindacale – restringono invece il campo d’azione del welfare aziendale agli interventi capaci di offrire principalmente una risposta efficace
ai bisogni più urgenti dal punto di vista sociale, come l’accesso alle cure
mediche, la facilitazione nella conciliazione dei tempi di vita e di lavoro,
forme dirette e indirette di sostegno al reddito, sostegni nel campo del
diritto allo studio.
Come spiega il segretario provinciale di una delle maggiori sigle sindacali, il welfare aziendale consiste in «prestazioni o servizi nell’ambito
dell’assistenza, per le persone non autosufficienti. Oppure per l’educazione e l’istruzione. […] Poi io penso che sia importante anche il benessere personale, fisico […]. Però noi diciamo di preferire quella parte
che riguarda le difficoltà: le persone non autosufficienti, la questione
dell’educazione dei ragazzi, la questione della formazione, dell’istruzione» [intervista n. 2]. Un’enfasi su strumenti capaci di assicurare, in
particolare attraverso la flessibilità oraria, una facilitazione nella conciliazione dei tempi di vita e di lavoro è stata posta specialmente da alcune
sigle di rappresentanza delle piccole e micro imprese: la conciliazione è
«una tematica sentita in tutti i settori, e nel nostro settore in maniera
particolare […]. L’esempio dell’asilo nido aziendale è […] molto […]
fascinoso, ma che poi nella gran parte delle aziende come le nostre non
sarebbe la risposta. E quindi si tratta poi di avere […] la fantasia necessaria, per trovare delle soluzioni che possano essere più rispondenti alle
tipicità del settore» [intervista n. 12].
IMPRESA POSSIBILE
Un altro tema potenzialmente divisivo è quello legato all’identificazione delle ragioni per cui un piano di welfare è, o dovrebbe essere, adottato da un’impresa: in altre parole, a quali esigenze risponde o dovrebbe
rispondere l’introduzione di questo strumento? Nel complesso, gli attori
intervistati concordano sul fatto che una delle funzioni principali del welfare aziendale debba consistere nell’offrire risposta a un effettivo bisogno del
lavoratore e della sua famiglia, contribuendo a colmare, almeno in parte, le
(crescenti) lacune del welfare pubblico. Secondo il responsabile di una delle
più importanti sigle di rappresentanza delle imprese agricole, per esempio,
«l’obiettivo principale è quello di intervenire laddove il welfare statale
non interviene adeguatamente o non interviene più. Perché ci sono una
serie di ambiti in cui fino a qualche anno fa si poteva contare sull’intervento pubblico. Poi, per alcune ragioni – più o meno note – si sono creati
dei vuoti, quindi il welfare aziendale serve per andare a integrare queste
situazioni» [intervista n. 11].
Alla luce di tutto ciò, parrebbe che nella percezione degli intervistati lo
scopo principale dei piani di welfare consista nella fornitura di un sostegno
effettivo ed efficace al dipendente, in modo da migliorarne il benessere
familiare e personale con auspicabili ricadute positive anche sul piano organizzativo, in termini di riduzione dei costi e aumento della produttività
aziendale. Come riassunto dal rappresentante di una delle sigle sindacali
consultate, «quando emerge un bisogno, si dovrebbe rispondere al bisogno […]. Se riesci a costruire un asilo interaziendale, rispondi a un bisogno; se fai un dopo-scuola che assiste i ragazzi dall’una e mezza fino alle
nove di sera e quindi permette ai lavoratori di fare i turni e non avere orari
sballati, anche lì rispondi a un bisogno. Secondo me, se da questo punto
di vista si riesce a fare un welfare integrativo, significa andare incontro a
un bisogno» [intervista n. 3]. Anche in questo caso è tuttavia possibile cogliere posizionamenti differenziati fra i diversi attori del tessuto produttivo
provinciale, soprattutto relativamente all’importanza assegnata ai diversi
elementi appena richiamati: il soddisfacimento di un bisogno e le ragioni
organizzative e produttive.
In effetti, la funzione di risposta del welfare aziendale ai bisogni dei
lavoratori si accompagna, soprattutto da parte del mondo dell’impresa,
all’aspettativa – nella perdurante assenza di interventi normativi a riduzione del costo della manodopera (il cosiddetto “cuneo fiscale”) – di effetti positivi in termini di produttività e di riduzione del costo del lavoro.
Come detto, questo punto di vista è condiviso soprattutto dai referenti
delle rappresentanze datoriali: «il [...] welfare aziendale è tutto collegato alla produttività e alla redditività dell’azienda […]. Essenzialmente il
welfare aziendale è un metodo per dare più denaro al lavoratore. E, con
i meccanismi fiscali che ci sono, permette un risparmio anche all’azienda. […] Cioè: ho dato 100 euro come incremento salariale, l’azienda ne
spende 170-180 e al lavoratore, se va bene, ne arrivano 60 o giù di lì. Il
Scopi dei piani
di welfare
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Q 33
72
famoso cuneo fiscale. Visto che c’era l’indisponibilità del governo a ridurre
il cuneo fiscale, questa [quella del welfare aziendale] è stata la via giusta»
[intervista n. 1]. Più in generale, si sottolinea che «il welfare aziendale diventa sempre di più uno strumento anche della competitività stessa delle
imprese» [intervista n. 10].
Tra gli intervistati appartenenti al mondo delle rappresentanze dell’impresa, inoltre, è spesso evidenziato il legame tra welfare aziendale e gestione delle risorse umane. La possibilità di generare un clima favorevole
e di fortificare il rapporto tra impresa e dipendenti è, però, condizionato
dalla strutturazione dello stesso piano di welfare: in particolare, secondo
il punto di vista di alcuni intervistati, è essenziale che esso sia calibrato
adeguatamente, ovvero tenendo conto, allo stesso tempo, della sua sostenibilità economica e delle specifiche esigenze della popolazione aziendale
di riferimento, che possono variare nel tempo: «ogni azienda ha un problema di budget, per cui deve trovare quelle prestazioni che coinvolgono
più addetti: questo per una questione di sostenibilità, ma anche per una
questione di ritorno, di beneficio per il lavoratore e, di conseguenza, di
ritorno dell’investimento» [intervista n. 8A].
Il collegamento fra welfare aziendale e produttività emerge anche
dalle parole del presidente di una delle maggiori associazioni dei consulenti del lavoro, che, tuttavia, indica un intervento di riduzione del cuneo
fiscale come preferibile rispetto agli incentivi fiscali legati al welfare: «si
cerca di incrementare il potere d’acquisto [dei lavoratori] per alimentare
maggiori consumi, quindi si cerca di dare maggiore liquidità alle tasche
dei lavoratori. E lo si fa magari sapendo che le aziende avrebbero bisogno di qualcosa di diverso, come per esempio la riduzione del cuneo
fiscale, che è una cosa ancora molto pesante che penalizza molto le
nostre aziende» [intervista n. 6]. Una posizione, questa, condivisa anche
da altri attori del territorio.
Il mondo della cooperazione, poi, valuta il welfare aziendale come una
componente genetica del proprio modo di fare impresa, sempre idealmente
ispirato alla centralità del socio lavoratore in quanto persona. Lo strumento
cooperativo ha un legame profondo con le dinamiche di sostegno alla persona e al lavoratore. L’individuazione stessa delle finalità di una cooperativa
dovrebbe conciliarsi sempre con i bisogni del socio lavoratore: «La cooperazione nasce per aiutare, per dare spazio alle persone» [intervista n. 7].
All’interno del circuito cooperativo è, dunque, rivendicata un’attenzione profonda alle necessità dei collaboratori che deriverebbe dalla cultura solidaristica e mutualistica alla base del settore. In questo senso, nel
quadro di un welfare pubblico sempre più insufficiente, anche il mondo
cooperativo vede i vantaggi derivanti dall’introduzione di piani di welfare
aziendale: «C’è un vantaggio, forse di tipo economico, che l’azienda
può sicuramente far valere, c’è un vantaggio di fidelizzare il lavoratore,
il socio lavoratore, le proprie famiglie, perché comunque è sempre una
IMPRESA POSSIBILE
erogazione di attenzioni nei confronti delle famiglie e dei lavoratori»
[intervista n. 5].
Infine, dalle interviste è emerso che il legame tra mondo cooperativo
e welfare è condizionato anche da una più elevata presenza di occupazione femminile: questo avrebbe spinto, nel tempo, le cooperative a
concentrarsi maggiormente su aspetti che il settore privato ha conosciuto
solo successivamente, come i congedi parentali e la conciliazione vitalavoro. Si tratta di un elemento sottolineato da alcuni autori che si sono
occupati di analizzare e studiare l’evoluzione delle dinamiche di welfare
aziendale all’interno del mondo della cooperazione. Secondo Pavolini
(2016) nel settore cooperativo le lavoratrici donne sono il 52% a fronte
del 37% di quello privato. Altre ricerche (Maino e Rizza, 2017) hanno
evidenziato, inoltre, come il settore cooperativo possieda delle qualità
intrinseche che possono favorire la diffusione del welfare aziendale. Tra
queste vi sarebbero: la presenza di una logica della condivisione e di un
approccio mutualistico molto marcato, che facilitano l’implementazione
di un progetto condiviso a sostegno dei dipendenti; una maggiore facilità – grazie all’esperienza maturata nel settore in cui operano – rispetto
a un’impresa for profit di creazione e gestione dei servizi di welfare; una
particolare attenzione alla cura della persona e quindi alle esigenze dei
lavoratori, derivante da quelle che sono le logiche di fondo del mondo
cooperativo (cura dell’altro, assistenza, ecc.).
4.2.2 I rischi e le opportunità alla luce delle recenti innovazioni del
quadro normativo
Ricostruite le concezioni di welfare aziendale fatte proprie dai diversi
stakeholder, resta da esaminare come questi valutino possibili rischi e opportunità alla luce delle più recenti innovazioni normative e come si articolino le relazioni fra i diversi attori del territorio che, a vario titolo, hanno un
interesse nel campo del welfare aziendale.
In merito a rischi e opportunità derivanti da una possibile accelerazione sul fronte del welfare di matrice aziendale, è possibile cogliere valutazioni e posizionamenti strategici differenziati dei diversi attori in campo,
che risultano perlopiù a conoscenza del fatto che le Leggi di Stabilità
2016 e 2017 hanno introdotto rilevanti novità e vantaggi fiscali in tema
di welfare aziendale, pur non conoscendo tutti nel dettaglio la normativa
e nutrendo in alcuni casi dubbi sulla sua efficacia, data la complessità che
la caratterizza. Come si è visto, proprio la complessità della normativa è
generalmente avvertita come uno dei maggiori ostacoli alla diffusione del
welfare in azienda.
Gli sviluppi della contrattazione nazionale e della normativa di riferimento in materia di welfare aziendale sono guardati con particolare favore
dall’Unione Industriale e dal suo HR Club. In particolare, l’Associazione
Elementi positivi
della normativa
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Q 33
Giudizio
dei sindacati
Welfare pubblico
e welfare
aziendale
74
sottolinea come il welfare aziendale possa originare effetti positivi anche
in termini organizzativi e produttivi: sotto il profilo dell’attrazione di forza
lavoro qualificata, dal punto di vista dell’immagine dell’impresa e, soprattutto, del clima aziendale. Questo, a sua volta, avrebbe una ricaduta positiva sulla riduzione dei tassi di assenteismo, del turn over, dei ritardi e in
termini di fidelizzazione del lavoratore. Inoltre, gli intervistati sottolineano
che i benefit e i servizi di welfare consentono di ridurre le spese aziendali,
permettendo il contenimento delle principali voci di costo.
Fra le organizzazioni sindacali, risultano particolarmente positive le
valutazioni generali avanzate dalla CISL, che accoglie con favore le innovazioni legislative più recenti in materia di misure di incentivazione fiscale
a favore della contrattazione di secondo livello («siamo perfettamente in
armonia con queste innovazioni normative» [intervista n. 4]), evidenziando un ruolo attivo nella loro genesi e sottolineando l’importanza di
stimolare con maggior convinzione la contrattazione collettiva, anche di
secondo livello, aziendale e territoriale, sempre più orientata alla tutela e
al miglioramento delle condizioni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori,
non solo sul piano strettamente economico. In linea con quanto osservabile a livello nazionale, appaiono invece più caute le aperture della UIL e,
soprattutto, quelle della CGIL, che sembrano limitarsi a prendere atto delle
novità intervenute, sottolineando, da un lato, la preferibilità di altri interventi, dall’altro, il rischio di un aumento delle disuguaglianze, in particolare
fra i lavoratori occupati nelle grandi e nelle piccole-micro imprese: «come
facciamo – in un territorio come questo – a far sì che il welfare sia di tutti
e non sia solo di chi lavora nelle aziende… e nelle grandi aziende?» [intervista n. 2]. Il fatto che fra le micro, piccole e medie imprese si manifesti
una maggiore difficoltà sia nell’introduzione di misure a sostegno di dipendenti, sia nell’interpretazione delle norme (soprattutto dal punto di vista
fiscale) è richiamato anche dagli esponenti del mondo dell’artigianato.
Uno dei temi più controversi e motivo di maggiore dialettica riguarda
poi il rapporto fra welfare aziendale e welfare pubblico, e il ruolo che si
ritiene opportuno riconoscere all’ente pubblico nel governo di tale rapporto. Dagli industriali l’assenza del pubblico non è valutata come una
mancanza (la questione del welfare aziendale è tematizzata, prima di
tutto, come oggetto di trattativa privata fra le parti) e gli enti pubblici
sono considerati – al pari dei soggetti privati – nel novero dei potenziali
fornitori di welfare aziendale, così come caldeggiato da parte del mondo
della rappresentanza sindacale.
Per quanto riguarda il rapporto tra welfare pubblico e privato, il timore
dei referenti di alcune sigle sindacali sarebbe riscontrabile nel fatto che la
progressiva diffusione di dinamiche come il welfare aziendale potrebbe
generare una “erosione” del welfare state e della spesa pubblica. Questo
spiega, in parte, il fatto che il coinvolgimento di strutture pubbliche in qualità di provider è invocata con particolare forza proprio dai rappresentanti
IMPRESA POSSIBILE
di alcuni sindacati: la presenza di soggetti pubblici fornirebbe maggiore
garanzia della qualità dei servizi offerti e del rafforzamento dell’impianto
universalistico del welfare: «Dato che il welfare pubblico esiste ed esistono anche le strutture pubbliche, bisogna cercare – quando si fanno
gli accordi – di utilizzare il pubblico […] sia per un discorso di difesa del
pubblico ma anche per un discorso di qualità» [intervista n. 2]. La CISL
sottolinea l’importanza di privilegiare il modello integrativo e rimborsuale.
Le organizzazioni sindacali insistono, infatti, su due aspetti collegati fra
loro. In primo luogo, che le prestazioni erogate siano effettivamente integrative (e non sostitutive) del welfare pubblico, di cui viene difeso l’impianto
universalistico. In secondo luogo, invitano a riflettere sull’opportunità che
gli enti pubblici territoriali esercitino un’azione di coordinamento, volta a
rilevare i bisogni sociali non soddisfatti e a coordinare i propri interventi con
quelli realizzati dalle imprese e dal sistema pubblico stesso. A fronte del rischio di interventi disordinati e non coordinati, e di “incastri” non riusciti fra
welfare pubblico e welfare aziendale (con buchi e sovrapposizioni di misure
realizzate senza una regia complessiva), diversi intervistati hanno manife
stato l’auspicio di un ruolo più attivo delle fondazioni, nell’esercizio di una
funzione di finanziamento e indirizzo delle iniziative di welfare assunte nelle
aziende del territorio.
Infine, va sottolineato che – pur ribadendo le rispettive posizioni – gli
intervistati hanno generalmente rappresentato le relazioni intrattenute con
gli altri soggetti del territorio come poco conflittuali e ispirate alla reciproca
collaborazione, come peraltro dimostrato dall’accordo raggiunto nel 2016
fra Confindustria e le organizzazioni sindacali, con il quale si è istituito un Osservatorio territoriale per monitorare le iniziative di contrattazione, anche su
prestazioni sociali, presenti sul territorio. Tale accordo prevede l’istituzione di
un organo paritetico che si pone lo scopo di raccogliere tutti i contratti di secondo livello stipulati dalle imprese che operano all’interno della provincia di
Cuneo. L’Osservatorio fungerà poi da strumento per la classificazione degli
accordi aziendali: in questo modo, le parti sociali si propongono di realizzare
analisi periodiche e approfondimenti anche sul tema del welfare aziendale,
fornendo così una mappatura delle tendenze del territorio.
Osservatorio
territoriale
4.2.3 Il ruolo della contrattazione
In linea con quanto emerso dall’indagine quantitativa, le esperienze
esistenti di welfare aziendale sono spesso riferite alle grandi aziende, e
quelle promosse nelle medie e piccole aziende sono rappresentate dagli
intervistati come prevalentemente di origine unilaterale, anche per l’assenza di una forte rappresentanza sindacale. Nel territorio sarebbe fino a
oggi prevalsa una cultura poco propensa a fare del welfare una materia
di contrattazione, ma gli incentivi creati dalla nuova normativa – secondo
alcuni intervistati – potrebbero aiutare a invertire la rotta.
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Q 33
In questo contesto, il segretario provinciale di una delle sigle sindacali consultate sottolinea la necessità di «un’importante azione di
stimolo dell’azione contrattuale, da parte delle grandi associazioni di
impresa come strutture confederali territoriali: Confindustria, CISL,
CGIL e UIL possono fare molto proprio nell’indirizzo della contrattazione, nell’indirizzo delle piattaforme, delle richieste che vengono
fatte. Ecco, io credo che gli spazi siano enormi. Se poi si collega questa
nuova legislazione di sostegno sulla contrattazione di secondo livello,
si apre un margine veramente importante di innovazione della contrattazione» [intervista n. 4].
Molti attori hanno, inoltre, richiamato l’attenzione sull’effetto propulsivo determinato dall’ultimo rinnovo del CCNL dei metalmeccanici (Box 2).
È interessante notare come questo CCNL sia interpretato come un primo
passo – necessario – per introdurre le pratiche di welfare aziendale anche
nelle imprese più conservatrici.
BOX 2. Il rinnovo del CCNL metalmeccanici
L’accordo stabilisce che, dal 1° gennaio 2017, tutte le aziende dovranno
attivare per ciascun lavoratore piani di flexible benefit, per un ammontare
di 100 euro nel 2017, 150 euro nel 2018 e 200 euro nel 2019. Nell’accordo sono indicati a titolo esemplificativo corsi di formazione, beni ricreativi
come abbonamenti a pay tv o a riviste, attività culturali, attività sportive,
servizi di assistenza domiciliare e servizi sanitari come visite specialistiche
e check up, ma anche pellegrinaggi religiosi e beni in natura come buoni
carburante, ricariche telefoniche e servizi di trasporto collettivo. L’accordo
ha previsto inoltre che, dal primo giugno 2017, le aziende che applicano
il CCNL metalmeccanico devolveranno ai lavoratori che destinano il TFR
al fondo pensione di categoria (Cometa) una contribuzione aggiuntiva
pari ad almeno il 2% del minimo contrattuale; tale contributo spetterà,
tuttavia, solo a condizione che anche il dipendente versi una quota della propria retribuzione al fondo (l’intesa prevede un valore non inferiore
all’1,2% della retribuzione). Sul fronte dell’assistenza sanitaria, è prevista,
a carico dell’impresa, l’iscrizione al Fondo Metasalute (per 156 euro annui)
che offrirà prestazioni integrative ai dipendenti e ai loro familiari (anche
conviventi di fatto) a partire da ottobre 2017.
In merito al rapporto tra il welfare aziendale e le realtà della provincia
di Cuneo, risulta, infatti, che molti dei piccoli e medi imprenditori del territorio vedono ancora il welfare come uno strumento “non essenziale” o,
addirittura, come “una obbligazione contrattuale” (questa seconda dinamica sarebbe legata in modo particolare proprio al settore metalmeccanico). Ciò dipenderebbe – almeno in parte – dalla presenza di una cultura in
qualche modo conservatrice, tipica dell’ambiente imprenditoriale cuneese,
che contribuirebbe a rallentare la diffusione di queste forme di innovazio-
76
IMPRESA POSSIBILE
ne: «La provincia di Cuneo è una provincia molto conservatrice. Conservatrice, ma non in un senso prettamente negativo. Però diciamo che
ci sono imprese, organizzazioni, che non sono propense ad abbracciare
le novità; non in maniera immediata, almeno. Il welfare aziendale, proprio per questo, non sta conoscendo una forte diffusione qui. Allo stesso
tempo, però, c’è una cultura del lavoro e una capacità di capire quando
la novità è funzionale. Questo è dovuto a una classe imprenditoriale in
qualche modo “illuminata”. Ci sono alcune figure – che poi hanno dato
vita a realtà produttive importanti – che capiscono, intuiscono la novità e
vedono le potenzialità della novità. […] Penso che il processo è semplicemente un po’ più lungo rispetto ad altre aree. Perché poi c’è una cultura
del “fare impresa” molto seria, soprattutto per quanto riguarda la PMI.
Quindi, prima o poi, l’innovazione – quella funzionale, quella che ha un
ritorno per l’impresa – si percepisce e viene integrata» [intervista n. 14].
Ovviamente, la contrattazione assume declinazioni diverse a seconda dei
settori considerati e, soprattutto, della dimensione media: fra le imprese più
piccole (come quelle edili, artigiane, del commercio e agricole) sembrano per
lo più prevalere gli strumenti della bilateralità. In generale, va sottolineato che
per far decollare il welfare aziendale tra le imprese di piccole e medie dimensioni è necessario affrontare il tema della contrattazione di secondo livello che, se
rappresenta nelle grandi aziende uno degli strumenti più efficaci per garantire
ai lavoratori servizi e prestazioni di welfare, ma anche e soprattutto per sfruttare al meglio il nesso tra welfare e produttività, stenta ancora a prendere piede
tra le PMI. Tra queste ultime – anche quando disposte a introdurre il welfare in
azienda, appoggiandosi a reti tra aziende e/o a partnership multi-stakeholder
– spesso non sono presenti rappresentanze sindacali. Per questo è così importante comprendere come regolamentare collettivamente i rapporti di lavoro e
i pacchetti di welfare delle imprese in rete (a maggior ragione se l’obiettivo è
quello di fare sistema e coinvolgere un numero consistente di piccole e medie
imprese distribuite, per esempio, entro i confini di un dato territorio) individuando le reali condizioni per cui contrattazione e welfare possono diventare
un binomio possibile anche tra le piccole e medie imprese.
4.3 Alcune iniziative in campo
La percezione unanimemente condivisa dagli attori territoriali intervistati è che, a oggi, il grado di sviluppo e diffusione delle pratiche di welfare
aziendale nelle imprese della provincia di Cuneo sia basso o molto basso,
ancora “tutto da costruire”. Le iniziative delle imprese cuneesi in questo campo, note a livello nazionale e internazionale, sono rappresentate
come casi esemplari ma circoscritti alle grandi aziende: come riassunto
da un intervistato, «sono sempre state iniziative singole e generalmente
sporadiche, di aziende […] che non hanno mai avuto grossi problemi di
competitività» [intervista n. 1].
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Q 33
Nuovo sociale
di Confartigianato
Cuneo
78
La spiegazione del mancato sviluppo di benefit e piani di welfare è
generalmente dovuta alla ridotta o ridottissima dimensione delle aziende
del territorio: il 96% delle imprese iscritte alla Camera di Commercio della
provincia ha fra 0 e 9 dipendenti (Camera di Commercio di Cuneo, 2017).
Molti dei referenti intervistati individuano proprio nelle dimensioni ridotte
delle imprese locali un potenziale limite per la diffusione dei servizi e dei
benefit di welfare. Inoltre, non sembrano esistere (o perlomeno gli intervistati non ne sono a conoscenza) esperienze di reti tra imprese o altre forme
di partnership che includano altre realtà locali con l’obiettivo di mettere in
rete il welfare aziendale.
A questo proposito si segnala un progetto che, seppure ancora nelle
sue fasi iniziali, appare molto promettente nel favorire da un lato una più
ampia diffusione del welfare aziendale tra le PMI e, dall’altro, offrire risposte ai bisogni dei lavoratori e del territorio. Si tratta del progetto Nuovo
Sociale di Confartigianato Persone che, dal 2016, ha avviato un percorso
basato su tre leve d’azione principali: fornire soluzioni di welfare innovative, mettendo a punto un’offerta di nuovi servizi, iniziative e prodotti in
grado di rispondere alle specifiche esigenze di welfare di persone e imprese; favorire la realizzazione di progetti di welfare territoriale, mettendo in
connessione gli attori del territorio e facendo cerniera tra il settore pubblico
e il privato sociale; contribuire alla diffusione del welfare sul territorio promuovendone la cultura tra la popolazione, le istituzioni e gli enti regolatori.
Confartigianato Imprese Cuneo fa parte del nucleo di 40 Associazioni
Territoriali di Confartigianato che hanno creduto da subito in questa iniziativa e che, all’interno di una visione più ampia del welfare, stanno – a
piccoli passi e grazie all’accompagnamento di una società di consulenza –
sviluppando servizi innovativi di welfare aziendale che si basano su alcuni
principi chiave. In primo luogo, creare un’offerta accessibile alle imprese
associate, in particolare MPMI, attraverso l’abbattimento dei costi fissi e
senza limiti di spendibilità per i lavoratori del proprio “credito welfare” (garantendo quindi ai dipendenti la possibilità di scelta dei fornitori di servizi).
In secondo luogo, fornire una risposta a 360 gradi all’imprenditore. Perché
questo avvenga, l’associazione diventa il punto di riferimento di tutta la
tematica del welfare alle imprese associate grazie a un’offerta incentrata
sulla consulenza e la costruzione di soluzioni innovative e personalizzate
per l’attivazione di piani di welfare.
A oggi Confartigianato Cuneo ha partecipato a tutte le fasi preliminari
(che hanno ricompreso anche un lungo percorso di formazione sui temi
del welfare aziendale e territoriale, avviato nel 2016) previste dal progetto
e si appresta nei prossimi mesi a entrare nel vivo della fase realizzativa con
la sperimentazione di iniziative e servizi che altre associazioni territoriali
di Confartigianato hanno già adottato (in particolare una piattaforma di
servizi di welfare aziendale e territoriale).
IMPRESA POSSIBILE
Confindustria Cuneo ha realizzato un’iniziativa simile, con la sottoscrizione, il 21 novembre 2017 di un accordo tra l’Unione Industriale di Cuneo e
UBI Banca che consentirà di realizzare un’offerta di welfare aziendale (grazie
alla piattaforma UBI Welfare) valida per tutte le imprese associate alla confederazione locale degli industriali24. Inoltre, nell’ambito dell’indagine annuale
promossa dal Centro Studi di Confindustria Cuneo sulle condizioni occupazionali nelle imprese associate, da due anni è stato promosso un approfondimento relativo alle iniziative di welfare aziendale avviate sul territorio.
Convenzione
Confindustria
Cuneo
e UBI Banca
4.4 Le grandi imprese
In linea con la letteratura esistente e alla luce delle evidenze empiriche
emerse sia dalle interviste con gli attori chiave selezionati per l’indagine
qualitativa sia dai risultati della survey, si approfondiscono ora le best practice di welfare aziendale presenti in alcune grandi imprese della provincia
di Cuneo dove sembrano concentrarsi attualmente le forme più strutturate
e innovative di questo tipo di interventi.
Tra le esperienze che sono state approfondite nel corso dell’analisi, si
segnalano quattro casi: Ferrero, Michelin, Bottero e Unifarma.
Per quanto riguarda Ferrero, che vanta una lunga tradizione in questo
campo, gli strumenti di welfare aziendale messi a disposizione si muovono
su diverse aree d’intervento, tutte accomunate dall’attenzione verso le
persone. Gli interventi più innovativi in questo senso cercano di coniugare
i bisogni dei dipendenti con il loro benessere inteso in senso lato: «cerchiamo di fare business dando la possibilità alle persone di crescere, ma
gestendo anche bene il loro vissuto familiare, con la nostra Fondazione
Ferrero, che è un altro pezzo importante, […] che ha come mission quella
di aiutare e sostenere le persone – oltre che fare cultura con mostre e […]
iniziative che possano favorire la cultura non solo del territorio ma un po’
a 360 gradi» [intervista n. 18].
La Fondazione Ferrero, istituita nel 1983, rimane ancora oggi una fonte di interventi innovativi e in continua evoluzione, che cercano di stare al
passo con i tempi che cambiano e con i bisogni che evolvono, soprattutto
in materia di conciliazione fra vita, famiglia e lavoro25. Nel 2011 all’interno
di Ferrero è stata operata una sistematizzazione di tutte le misure e degli
strumenti finalizzati a sostenere i dipendenti (e non solo i neogenitori) nella
gestione della vita familiare. Fra queste spiccano: l’accesso a visite pediatriche offerte gratuitamente ai figli dei dipendenti, all’interno dello stabilimento di Alba; la possibilità, riservata ai neogenitori, di richiedere un servizio di
Ferrero
24 Si sottolinea che questa iniziativa è stata avviata nel periodo immediatamente successivo alla
conclusione dell’indagine qualitativa sul campo, per cui non è stato possibile fornire, in questa
sede, ulteriori dettagli.
25 Un’altra rilevante fondazione del territorio è la Fondazione Elena e Gabriella Miroglio Onlus,
che si occupa di realizzare interventi rivolti ai figli dei dipendenti, tra cui asilo nido e scuola materna, colonie estive e altri progetti specifici.
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Q 33
visite pediatriche supplementare rispetto a quello fornito dal Servizio Sanitario Nazionale; la messa a disposizione di un servizio di assistenza socio
sanitaria domiciliare per la cura degli anziani. A questi servizi si aggiungono:
una regolamentazione del part-time calibrata sulle specifiche esigenze dei
neogenitori che ne facciano richiesta26; la possibilità per il lavoratore di chiedere l’anticipazione del TFR; un’indennità – nel caso di morte del dipendente
– a favore della famiglia pari a tre annualità, i cui costi sono completamente a
carico dell’azienda; la presenza di un servizio di Assistenza Sociale e Sanitaria
costante presso i locali della Fondazione; soggiorni estivi, stage e sussidi di
studio per i figli dei dipendenti; percorsi di reinserimento al lavoro in seguito
a maternità e/o lunghe assenze. Nella sede di Alba è, inoltre, disponibile
un asilo nido aziendale aperto anche alle famiglie della zona, in un’ottica di
promozione della Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI).
Da ultimo, va sottolineato che le misure introdotte sono frutto di accordi con i sindacati e sono previsti momenti di formazione congiunta di
manager e rappresentanze sindacali sui temi del welfare aziendale e della
conciliazione vita-lavoro per garantire un allineamento di competenze,
conoscenze e di linguaggio. Ne è una prova l’ultima iniziativa lanciata
dall’azienda in materia di smart working: questa misura, avviata nell’aprile
2017, è destinata a circa 100 dipendenti (che svolgono un lavoro idoneo e
compatibile) della sede di Alba27.
Michelin
La seconda impresa analizzata è Michelin. Una delle iniziative più innovative realizzate negli ultimi anni da tale realtà, che rivendica fra i propri
valori una particolare attenzione all’individuo e alla famiglia, è Michelin
Avanza con Te.
Questo programma di conciliazione vita-lavoro per i lavoratori e le loro
famiglie è un contenitore che sistematizza le best practice già in essere con lo
scopo di estenderle a tutte le sedi, laddove siano implementate solo in alcune, e di svilupparle nel futuro per rispondere a bisogni sociali che cambiano
sempre più velocemente. Le principali aree di intervento relative al work-life
balance sono: Famiglia, Salute e Benessere, Tempo, Risparmio.
Per quanto riguarda l’area Famiglia, innanzitutto sono previsti contributi
finanziari per la frequenza di asili nido. In secondo luogo, a testimonianza di
una visione della conciliazione famiglia-lavoro e della cura che guarda oltre
le primissime fasi di vita dei figli dei dipendenti, sono previsti centri estivi nei
26 L’aspetto innovativo introdotto da Ferrero risiede nel fatto che il part-time non viene “concesso” dall’azienda, ma accordato automaticamente a tutte le lavoratrici madri e i lavoratori
padri che ne facciano richiesta entro il compimento del trentaseiesimo mese del bambino, anche
se si tratta di lavoratori turnisti. Le lavoratrici madri, inoltre, possono richiedere, sempre entro i
tre anni di vita del bambino, l’esonero dal turno notte: una possibilità che va oltre le previsioni
legislative. Inoltre, va ricordato, per il suo carattere innovativo e anticipatorio (è stato, infatti,
introdotto prima che venisse approvato a livello nazionale), il congedo di un giorno per i neopadri
in occasione della nascita dei figli, innalzato a due giorni dopo l’approvazione della Legge Fornero
(Legge 92/2012).
27 L’accordo sullo smart working, che dopo una fase sperimentale dovrebbe essere esteso al
resto dei dipendenti e collaboratori che svolgono un lavoro idoneo e compatibile, si aggiunge alle
misure aziendali a sostegno del car sharing e del trasporto pubblico.
80
IMPRESA POSSIBILE
siti industriali, con format settimanali che coprono l’intero periodo estivo, e
borse di studio per i ragazzi più grandi. Infine, una misura simbolica ma significativa è la concessione di un giorno di paternità alla nascita dei figli, che
si aggiunge a quello obbligatorio previsto, dal 2012, dalla Legge Fornero.
All’area Salute e Benessere appartengono tutte le iniziative di prevenzione e cura fisica della persona, come la pianificazione di visite mediche
specialistiche e di vaccinazioni antinfluenzali e l’accesso a visite odontoiatriche e oculistiche in studi convenzionati. Inoltre, Michelin si occupa
anche dello svago e del tempo libero, organizzando attività sportive e ricreative con il Michelin Sport Club e con il Gruppo Senior Michelin.
Gli interventi dell’area Tempo sono misure di time-saving. Comprendono la possibilità di avvalersi di consulenze gratuite per pratiche assistenziali e previdenziali per tutta la famiglia o per la compilazione della
dichiarazione dei redditi.
Per quanto riguarda il Risparmio, i dipendenti e le loro famiglie hanno
la possibilità di acquistare beni e servizi a condizioni vantaggiose attraverso
un network di fornitori convenzionati che operano in diversi settori.
Altro elemento di welfare attivato recentemente è lo smart working,
o lavoro agile, un nuovo tassello nell’ambito del work-life balance che ha
suscitato fin da subito un interesse elevato nelle aree e tra le attività in cui
ne è stata possibile l’attivazione.
Oltre a queste prestazioni, l’attenzione per il benessere dei dipendenti
si manifesta tramite altri due tipi di interventi: l’erogazione di incontri di
formazione rivolti ai manager sulle tematiche e le politiche per la conciliazione vita-lavoro, e la conduzione di una survey annuale che misura la
soddisfazione dei dipendenti e coinvolge tutto il personale.
Tutte le iniziative della Michelin Italiana nel campo del welfare sono
all’avanguardia nel panorama nazionale, sia per il tipo di politiche sia perché si tratta di misure non previste dal CCNL di categoria. L’ideazione e
l’attuazione di queste iniziative si devono all’impegno di Michelin nella
realizzazione dei valori del gruppo e alla buona sinergia e collaborazione
con le rappresentanze sindacali. Nel 2014, infatti, con la sottoscrizione
dell’accordo di rinnovo del contratto integrativo per gli anni 2015-2017,
è stato istituito l’Osservatorio sul welfare aziendale, che ha lo scopo di
analizzare quanto già in essere su questo tema a livello aziendale e di elaborare proposte utili allo sviluppo di ulteriori iniziative. Ultimo elemento
da sottolineare, ma non in ordine d’importanza, è l’appartenenza della Michelin Italiana al Network IEP (Imprese e Persone), che è il primo modello
concreto e applicato di welfare interaziendale in Italia28.
28 Il network IEP (Imprese E Persone) nasce nel 2009 sotto la guida tecnica della società Eudaimon, che inizia a sensibilizzare le imprese più interessate al tema del benessere dei dipendenti per
realizzare un network interaziendale. L’iniziativa, dapprima configurata come un sistema di convenzioni vantaggiose per le aziende aderenti, è cresciuta diventando oggi un luogo istituzionalizzato per la discussione e lo scambio di best practice, oltre che la condivisione di servizi. IEP si è
aperto anche all’ingresso di nuove aziende di dimensioni e settori produttivi diversi. Il progressivo
allargamento (che ha riguardato anche le PMI) si è tradotto in abbassamento dei costi dei servizi,
in maggiore forza contrattuale e rappresentanza esterna (Mallone, 2013b; Prandini, 2014).
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Q 33
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Bottero
La terza impresa individuata nel corso dell’analisi è Bottero, società
che si occupa da oltre 50 anni di soluzioni nell’ambito delle macchine automatiche per la lavorazione del vetro. Nel corso del 2017, i vertici dell’azienda hanno attivato un piano che prevede l’introduzione di strumenti di
welfare e flexible benefit. Il progetto è stato avviato proprio per rispondere
agli obblighi contrattuali relativi al CCNL del settore metalmeccanico (Box
2), il quale ha previsto – oltre a contributi aggiuntivi da parte delle imprese
in materia di previdenza complementare e sanità integrativa – una somma
(100 euro per il 2017, 150 per il 2018 e 200 per il 2019) da destinare a
servizi e benefit di welfare. Si tratta, però, di una novità per questa azienda.
Per il 2017, primo anno in cui sono state introdotte queste misure, Bottero ha scelto di avviare un sistema sperimentale che prevede buoni pasto,
buoni carburante, spese per la scuola, l’istruzione dei figli dei dipendenti
e altre spese correlate alla famiglia. Il progetto della società per i prossimi
anni è, però, quello di ampliare le possibilità di scelta disponibili per i propri
lavoratori, integrando le misure già presenti.
L’intervento, che non ha visto la partecipazione di nessun provider
esterno per la fornitura dei servizi, è stato sostenuto da Confindustria
Cuneo, che ha fornito un supporto sotto il profilo normativo e fiscale. È
interessante osservare questo elemento alla luce di quanto emerso dall’indagine quantitativa. Secondo i dati ricavati, circa il 27% delle imprese che
fanno welfare si appoggerebbero ad associazioni datoriali e/o di categoria
per implementare i servizi e le prestazioni. Il caso di Bottero fornisce un
esempio delle possibili forme di aiuto e sostegno che queste organizzazioni
possono fornire alle imprese in materia di welfare aziendale.
Le rappresentanze sindacali, invece, sono state consultate al termine
dell’ideazione del piano di welfare. Bottero si dichiara, inoltre, interessata
alla possibilità di partecipare a un’iniziativa con altri soggetti locali in materia
di welfare aziendale. La creazione di una rete che coinvolga una pluralità di
aziende e/o di altri attori locali (come fondazioni, associazioni di categoria
e di rappresentanza sindacale ed enti pubblici) è interpretata come un’opportunità per ripartire i costi e i rischi di un eventuale intervento condiviso e,
quindi, come un possibile motore di sviluppo del welfare aziendale.
Unifarma
Infine, l’ultima grande realtà produttiva considerata è Unifarma. Società multilocalizzata che si occupa della distribuzione di farmaci, nel corso del
2016 ha previsto la possibilità (su scelta volontaria dei dipendenti) di convertire il premio di produzione in beni e servizi di welfare aziendale. Ogni
dipendente può scegliere la quota del proprio bonus da destinare a una
piattaforma di welfare, implementata da Edenred Italia, nella quale sono
disponibili tutti i servizi previsti dalla normativa vigente in materia di welfare
aziendale: dal fondo di previdenza alla cassa sanitaria, dalle spese scolastiche a rimborso, ai voucher per i servizi di sport, cultura e benessere, fino alle
assicurazioni Long Term Care e agli interventi per la non autosufficienza.
IMPRESA POSSIBILE
Le ragioni principali che hanno spinto l’azienda a proporre questa iniziativa sfruttando le novità legislative riguardano, da un lato, le dinamiche
fiscali e, dall’altro, quelle contributive. In primo luogo, infatti, i vertici di
Unifarma hanno visto il welfare aziendale come un’opportunità per ridurre
il peso fiscale che grava sull’azienda e sul lavoratore: grazie a un proficuo
dialogo con le rappresentanze sindacali, il management ha deciso di rivedere la politica legata al premio di produttività in modo tale che tutti i
soggetti ne potessero trarre vantaggio. In secondo luogo, Unifarma ha intrapreso la strada del welfare in modo da ridurre i contributi previdenziali –
a carico dell’azienda – destinati ai propri dipendenti (saving contributivo):
quando un importo destinato al premio di produzione è convertito in beni
e servizi di welfare, l’azienda è infatti esentata dal pagamento dell’ammontare dei contributi che sarebbero altresì obbligatori in caso di importo
in denaro. Va, però, sottolineato che la ridefinizione dell’utilizzo del premio
di risultato è avvenuta anche alla luce di un ripensamento complessivo
della contrattazione integrativa, considerata dall’azienda ormai superata e
quindi necessitante di una revisione.
Anche Unifarma interpreta le iniziative di natura interaziendale come
un’opportunità per rafforzare e alimentare il welfare aziendale: realizzare
soluzioni sinergiche, in grado di coinvolgere altre imprese e attori del territorio, produrrebbe un vantaggio strategico alle realtà industriali locali (a
livello economico, contribuendo a contenere i costi, a livello fiscale e di
clima aziendale). Inoltre, queste dinamiche potrebbero dar vita a forme di
welfare più articolate, coinvolgendo così anche il territorio: è il caso della
creazione di un asilo interaziendale, il quale potrebbe essere finanziato e
gestito solo dall’intervento congiunto di più soggetti.
Guardando a questi quattro casi, sulla base dei dati raccolti dalle interviste con i referenti aziendali, risulta interessante analizzare le principali
differenze relative all’approccio del management e alle motivazioni che
hanno portato alla realizzazione dei piani di welfare aziendale. Per quanto
riguarda Ferrero, l’intervento di welfare deriva da un’attitudine “paternalista” dell’azienda che, anche grazie ai buoni risultati in termini economici,
ha sempre cercato di sostenere i propri collaboratori nella loro vita privata. Lo scopo dell’impresa è quindi quello di coinvolgere maggiormente
i lavoratori, facendoli divenire parte integrante di una grande “famiglia
aziendale”. Michelin è, invece, una grande multinazionale straniera che
applica iniziative di welfare in tutte le sue sedi italiane (e non solo): le prestazioni per i dipendenti fanno parte di una vision aziendale consolidata a
livello corporate, volta a incrementare il benessere aziendale per costruire
un contesto lavorativo più sereno e produttivo. Gli interventi di Bottero e
Unifarma sono, infine, più legati alle recenti novità contrattuali e legislative. Il primo deriva infatti dall’obbligatorietà, prevista dal CCNL metalmeccanico, di prevedere benefit e misure di welfare per i propri dipendenti.
Differenze
di approccio al
welfare aziendale
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• FEBBRAIO 2018
Q 33
Nel secondo, il welfare aziendale è visto come uno strumento per rivedere
e aggiornare le politiche retributive legate al premio di produttività e, di
conseguenza, come possibilità di sfruttare i vantaggi fiscali introdotti dalle
Leggi di Stabilità del 2016 e del 2017 e il cosiddetto saving contributivo.
BOX 3. Altre esperienze di welfare aziendale
Ulteriori esempi di esperienze di welfare aziendale sono stati individuati all’interno del progetto Welfare comunitario integrativo curato dall’associazione Ouverture (Box 4). In particolare, secondo il rapporto realizzato
al termine del progetto, all’interno del territorio vi sono due istituti creditizi
locali che forniscono prestazioni non solo ai propri dipendenti e ai propri
soci, ma, in alcuni casi, anche ai cittadini. Gli esempi citati nel rapporto del
progetto sono:
• l’esperienza della Banca Alpi Marittime, ideatrice della mutua “Vicini
Sempre”, che ha strutturato una rete di convenzionamento territoriale con tariffe di favore presso centri medici specializzati e poliambulatori. Inoltre, in collaborazione con Federsolidarietà, l’istituto di
credito ha istituito alcuni “sportelli di prossimità” con lo scopo di fornire informazioni e supporto a dipendenti, soci e cittadini in materia
di servizi locali;
• l’esperienza della Banca d’Alba, che ha realizzato delle convenzioni
con alcuni centri medici locali per cure sanitarie e visite specialistiche.
A questi casi, nel settore bancario, si aggiunge anche quello della Banca di Caraglio, del Cuneese e della Riviera dei Fiori. Con lo scopo di valorizzare l’ambito legato alla salute e al benessere dei dipendenti, la banca
nel corso dell’ultimo anno ha attivato un insieme di convenzioni con studi
medici, strutture sportive e agenzie viaggio.
4.5 I provider di welfare aziendale
Come anticipato, i provider sono soggetti che si occupano di realizzare pacchetti di welfare personalizzabili in base alle esigenze delle singole
aziende e al budget stanziato, mettendo a disposizione un ampio insieme
di servizi suddivisi per aree di intervento e, solitamente, accessibili a tutti i
lavoratori attraverso un portale informatico. Sempre più spesso, le società
provider non si limitano a proporre servizi di welfare aziendale, ma si occupano anche delle fasi organizzative e di set up del servizio, come per esempio consulenza, creazione e gestione del portale, gestione delle richieste
da parte dei dipendenti, piano di comunicazione interna, ecc. (Mallone,
2013b; 2015; Santoni, 2017).
Il loro ruolo è divenuto sempre più importante per la diffusione e lo
sviluppo del welfare aziendale perché, pur trattandosi di compagnie private che vendono il proprio prodotto sul mercato, promuovono la crescita
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IMPRESA POSSIBILE
del settore lavorando su due fronti: da un lato, diffondono le pratiche e
sensibilizzano i datori di lavoro circa i benefici sociali ed economici legati
all’introduzione dei servizi nelle aziende; dall’altro, permettono di aggregare l’offerta sul territorio.
Non stupisce che l’attuale sviluppo di fornitori o provider di welfare
aziendale nel territorio appaia ancora debole, così come del tutto marginale il ruolo giocato dagli enti pubblici per sostenere percorsi di avvicinamento a tale tema. Peraltro, come emerso anche dall’indagine quantitativa,
ben il 37% delle imprese che afferma di offrire welfare ai propri dipendenti
sostiene di non essersi rivolto ad alcun soggetto esterno per lo sviluppo del
proprio “piano di welfare”. Il “pacchetto welfare” è inoltre gestito direttamente dall’azienda, con l’acquisto diretto di servizi (61,8%) o attraverso
sistemi di rimborsi (22,4%) o convenzioni (13%), mentre il ricorso a un
portale online è in assoluto la modalità meno diffusa (12,2%).
Molti tra gli attori intervistati hanno dimostrato consapevolezza della
necessità di valutare con attenzione la questione dei fornitori e dei provider, in vista dei prossimi sviluppi del fenomeno. Come anticipato, le
organizzazioni sindacali sul tema dei provider insistono sulla necessità di
coinvolgere in tale funzione le strutture pubbliche del territorio. Il coinvolgimento di privati non profit nella veste di provider è inoltre indicato come
possibile garanzia della qualità dei servizi di welfare aziendale sia da alcune
sigle sindacali, sia dal mondo cooperativo.
L’indagine qualitativa ha provato a valutare presenza e rilevanza dei
provider sul territorio provinciale. Da questo punto di vista, è interessante
in primo luogo sottolineare che recentemente non sono mancate le occasioni pubbliche di confronto fra le imprese del territorio e alcuni dei maggiori provider di welfare aziendale attivi su scala nazionale29.
In secondo luogo, occorre mettere in evidenza che alcune associazioni
di categoria si stanno muovendo a livello nazionale per realizzare un’offerta di welfare da proporre alle proprie imprese associate, spesso di piccole
dimensioni. In questo senso, l’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Cuneo
ha avviato le trattative con alcuni provider di welfare per poter adoperare
le loro piattaforme online. Confartigianato – all’interno del progetto Nuovo sociale descritto in precedenza – ha realizzato un’indagine sul tema del
welfare aziendale su tutte le sedi territoriali30.
29 Il convegno Il welfare aziendale come leva d’eccellenza per la gestione delle persone, organizzato dall’HR Club di Cuneo il 17 aprile 2015, ha visto infatti la partecipazione di Od&M Consulting e Intoo, mentre al seminario Come incidono detassazione e welfare sul costo del lavoro
organizzato a Cuneo dall’Unione industriale il 28 settembre 2016 hanno preso parte, fra gli altri,
i rappresentanti di Aon Spa e Easy Welfare Srl.
30 In particolare, alla sede provinciale di Cuneo è stato chiesto di diffondere un questionario ad
almeno 50 imprese iscritte all’associazione. Di queste, solo tre si sono però mostrate interessate a
possibili iniziative future in materia di servizi integrativi.
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Q 33
Well-Work
Al di là del ruolo che potranno assumere i grandi player nazionali,
all’interno del territorio oggetto della ricerca è stata individuata una società
privata, con sede proprio in provincia di Cuneo, che si occupa di realizzare
servizi di welfare aziendale per le imprese e di fornire consulenza di varia
natura: Well-Work. Le principali aree di intervento di Well-Work, società
nata nel 2015, sono: l’area dei rimborsi (dedicata alle spese di istruzione
per i figli dei dipendenti, prestiti e mutui bancari, servizi di assistenza per
anziani e disabili); l’ambito della sanità integrativa e della previdenza complementare; l’area dei buoni acquisto (che va dalle spese familiari ai buoni
pasto); l’area del work-life balance (che riguarda i servizi alla persona e i
servizi per la casa); l’area del tempo libero (che concerne viaggi e divertimento, sport e benessere, cultura e formazione). Il target di riferimento sul
quale sono tarati i servizi offerti è la piccola e media impresa.
La società mette a disposizione delle imprese clienti un portale informatico che consente ai lavoratori di effettuare versamenti verso casse previdenziali, acquistare e/o chiedere il rimborso per beni e servizi, richiedere
voucher o card per il pagamento di prestazioni. Well-Work si occupa, inoltre, delle fasi relative alla rilevazione dei bisogni della popolazione aziendale (attraverso la somministrazione di questionari o l’organizzazione di
focus group con i dipendenti), alla comunicazione e promozione del piano
di welfare e al processo di monitoraggio.
Per quanto riguarda il territorio di Cuneo, l’attività di Well-Work si è
però limitata quasi esclusivamente alla consulenza (in ambito di politiche del
lavoro e gestione e amministrazione del personale): le realtà imprenditoriali
locali – specialmente quelle di dimensioni più grandi – sembrano affidarsi soprattutto a provider che hanno un rilievo maggiore a livello nazionale (come
Edenred e Eudaimon31). Gli interventi relativi alla consulenza proposti da
Well-Work hanno tuttavia conosciuto un forte incremento dovuto in modo
particolare alle novità introdotte con le Leggi di Stabilità del 2016 e del 2017
e al rinnovo del CCNL del settore metalmeccanico. Per questa ragione, l’intervento a cui Well-Work dedica maggiore attenzione – e, di conseguenza,
destina la maggior parte degli investimenti relativi al territorio di Cuneo – è
proprio quello inerente l’informazione e la sensibilizzazione degli attori locali.
A tal fine, la società provider recentemente si sta attivando nell’organizzazione di eventi di formazione, seminari e workshop con lo scopo di diffondere la cultura del welfare aziendale e di sensibilizzare gli stakeholder locali: in
particolare, l’Associazione dei Giovani Consulenti del Lavoro (AGCL) sembra
essere uno degli attori più coinvolti in questi progetti.
Più in generale, Well-Work considera decisiva la creazione di una vera
e propria joint venture tra gli stakeholder del territorio: l’implementazione
di progetti che coinvolgono attivamente le rappresentanze sindacali, le
associazioni di categoria, le fondazioni e gli enti locali possono rappresentare il giusto canale per alimentare lo sviluppo del welfare aziendale.
Il primo passo che i soggetti del territorio dovrebbero compiere in questa
31 Quest’ultimo è però legato al territorio piemontese, avendo la sua sede a Vercelli.
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IMPRESA POSSIBILE
direzione, quindi, sarebbe quello di generare uno strumento condiviso di
natura informativa in grado di raggiungere le realtà imprenditoriali: l’obiettivo dovrebbe essere quello di far conoscere le reali potenzialità e le
opportunità legate al welfare aziendale (in campo sociale e nella gestione
delle risorse umane), che non deve essere riduttivamente considerato un
mero strumento di risparmio fiscale e contributivo.
4.6 Gli Enti bilaterali
In un territorio caratterizzato da un tessuto produttivo frammentato
e in assenza di reti di impresa o altre soluzioni interaziendali destinate al
welfare aziendale – che, come confermato dai testimoni consultati, nella
provincia di Cuneo non hanno ancora visto la luce – numerosi intervistati
hanno richiamato l’attenzione sul ruolo giocato dagli enti bilaterali territoriali nell’offerta di prestazioni sociali ai lavoratori occupati nei settori caratterizzati da maggiore frammentazione e minore dimensione di impresa
(in termini di dipendenti): la Cassa edile, gli Enti Bilaterali Agricoli (EBATFAVLA e FAVLA Coop), gli Enti Bilaterali del Commercio e del Turismo,
l’Ente Bilaterale dell’Artigianato Piemontese (EBAP), l’Ente Bilaterale della
Cooperazione Cuneese. Come sottolineato dal segretario provinciale di
una delle sigle sindacali, «il welfare attraverso la bilateralità è molto importante perché permette di raggiungere il lavoratore in determinati settori
[…] più frammentati: [mentre] nella grande azienda tu hai un interlocutore
chiaro e definito, nelle piccole realtà il sistema bilaterale ti permette davvero di dare prestazioni a 360 gradi, spesso anche importanti e di rilievo […]
in realtà più difficili da raggiungere anche per il sindacato» [intervista n. 4].
Il welfare bilaterale può essere considerato una specifica forma di welfare occupazionale, la cui peculiarità consiste nell’essere gestito per mezzo di
organismi (enti e fondi) a composizione e gestione paritetica, che originano
dalla libera contrattazione fra le parti sociali. La principale finalità perseguita
consiste nell’erogazione di servizi e prestazioni, definiti dalle organizzazioni
aderenti (talvolta anche dalla legge) e finanziati grazie ai contributi versati da
lavoratori e datori di lavoro. Quando la loro funzione consiste nella raccolta
di contributi per un insieme specifico di prestazioni, tali organismi possono
configurarsi come “fondi”. Tra le prestazioni erogate, sempre più spesso
si registrano interventi sociali a tutela dei datori di lavoro e dei dipendenti,
a livello sia nazionale sia territoriale. Si tratta, peraltro, del ricorso a forme
di organizzazione collettiva che in Italia hanno una tradizione consolidata
nel campo della gestione delle relazioni sindacali e della protezione sociale
dei lavoratori, soprattutto nei settori economici che, oltre a essere basati su
una contrattazione decentrata, risultano caratterizzati da frammentazione
produttiva e discontinuità del lavoro, e quindi privi di condizioni strutturali
– quali concentrazione del lavoro, della produzione e della rappresentanza –
rivelatesi essenziali per lo sviluppo degli ammortizzatori sociali nell’industria
(Italia Lavoro, 2014; Razetti, 2015).
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Q 33
In molti casi, anche nel territorio di Cuneo questi soggetti hanno in
effetti messo a punto, nel corso del tempo, un’importante offerta di prestazioni a tutela della famiglia dei dipendenti delle imprese iscritte.
4.6.1 La Cassa edile di Cuneo
Benefit e servizi
Quello delle costruzioni è storicamente il primo settore economico in
cui la bilateralità emerge come strumento più adatto a strutturare le relazioni industriali e garantire i diritti dei lavoratori: la prima Cassa edile nasce
a Milano circa un secolo fa (1919). Dopo l’arresto nel periodo fascista, lo
sviluppo delle casse provinciali si fa particolarmente intenso nel corso degli
anni Cinquanta e Sessanta. Lo Statuto della Cassa edile di Cuneo – l’organismo paritetico fondato dall’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE)
per la parte datoriale, e da Feneal-UIL, Filca-CISL, Fillea-CGIL, per quella
sindacale – è approvato nel 1963. Dal 1974, la Cassa diventa l’organismo
paritetico di riferimento non solo per le imprese del settore industriale, ma
anche per le imprese edili, rappresentate da Anaepa-Confartigianato.
Alla Cassa edile di Cuneo sono iscritte in media circa 1.100 imprese e
3.800 operai32.
Le casse provinciali – coordinate dalla Commissione nazionale paritetica per le Casse edili (CNCE) – garantiscono l’erogazione di alcune prestazioni previste dal CCNL, come il trattamento economico per ferie, la
gratifica natalizia, l’anzianità professionale (a Cuneo dal 1967). A queste
si sono poi aggiunte, nel tempo, altre prestazioni, relative all’integrazione
salariale in caso di malattia e infortunio. A livello nazionale sono attivi i
fondi contrattuali di previdenza complementare (Prevedi, Fondapi e Cooperlavoro), ma non di assistenza sanitaria integrativa, che, insieme alle
misure di sostegno familiare, rientrano invece fra le prestazioni legate alla
contrattazione provinciale33.
Sin dalle origini le misure di assistenza promosse dall’ente si sono sostanziate proprio in borse di studio ai lavoratori e ai loro figli, in soggiorni marini e sussidi straordinari in caso di assenza dal lavoro per malattia
e infortunio34. Nonostante le difficoltà incontrate dal settore negli ultimi
anni35, si tratta di prestazioni ancora oggi erogate dalla Cassa, che nel tem32 Fonte: dati statistici Cassa edile di Cuneo.
33 Esiste tuttavia una copertura assicurativa nazionale in caso di malattia o infortunio attraverso l’Edilcard, schema istituito dalla CNCE a favore dei lavoratori e dei datori di lavoro del
settore delle costruzioni. L’Edilcard prevede un rimborso per le spese sanitarie dovute a infortunio professionale, extraprofessionale o malattia professionale; indennità forfettarie in caso di
ricovero ospedaliero e per grave invalidità a seguito di infortunio professionale; una copertura
delle spese per la riabilitazione neuromotoria o per le spese odontoiatriche (protesi) a seguito
di infortunio professionale.
34 www.cassaedilecuneo.it (ultimo accesso: 10 agosto 2017).
35 Nel 2016 le assunzioni sono calate del 6,2% rispetto all’anno precedente, mentre il numero
di imprese di costruzioni iscritte alla Camera di Commercio si è ridotto dell’1,83% (Camera di
Commercio di Cuneo, 2017).
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IMPRESA POSSIBILE
po ha ampliato la gamma di interventi a sostegno di lavoratori e famiglie,
che più nello specifico attualmente prevede:
• rimborsi nel campo dell’assistenza sanitaria integrativa, in particolare
per cure e protesi dentarie, protesi oculistiche, acustiche e ortopediche;
• borse di studio per i lavoratori e i loro figli (scuole secondarie inferiori
e superiori, università, 150 ore, scuole serali edili);
• campi estivi marini (summer camp);
• un contributo annuo di 650 euro per i lavoratori che abbiano figli o
coniuge con disabilità (psichica, fisica o psicofisica);
• un sussidio di matrimonio (pari a 200 euro lordi) in caso di nozze
dell’operaio.
Dal mese di maggio 2017 le parti sociali costituenti la Cassa cuneese
– seguendo l’esempio di altre casse provinciali – hanno introdotto una rilevante novità nella gestione delle prestazioni sanitarie, avendone affidato
gestione e copertura alla compagnia assicurativa UniSalute, attraverso la
sottoscrizione di un piano.
Quanto alle misure dedicate alla famiglia, al summer camp estivo del
2017 – gratuito e riservato ai ragazzi tra i 6 e i 13 anni (figli, fratelli o sorelle
di un lavoratore edile iscritto alla Cassa e che abbia maturato il monte ore
necessario) – hanno partecipato 70 bambini, a cui è stata data la possibilità
di prendere parte a tre diversi progetti: un corso di familiarizzazione con l’inglese attraverso la conversazione, l’ascolto e il gioco; un breve corso di primo
soccorso; attività di ginnastica dolce e tecniche di rilassamento (Cassa edile
di Cuneo, 2017). Sul fronte del diritto allo studio, sono stati 33 i beneficiari
di sussidi per le scuole secondarie inferiori, 57 i destinatari di un premio per le
scuole secondarie superiori, 19 gli studenti universitari premiati36.
4.6.2 L’EBAT-FAVLA e il FAVLA Coop
Anche in agricoltura – un settore vitale e centrale per l’economia della
provincia cuneese, che raccoglie il 37,8% delle imprese piemontesi attive
in questo settore (Camera di Commercio di Cuneo, 2017) – esistono organismi paritetici consolidati.
Nati nelle varie province italiane a partire dagli anni Cinquanta sotto
forma di Casse Extra Legem sul modello del settore edile, sono strumenti
contrattuali destinati a rendere possibile l’erogazione agli operai di misure
di sostegno al reddito, principalmente a integrazione dei trattamenti previsti dalla legge in caso di malattia o infortunio professionale. Fino alla fine
degli anni Ottanta, tuttavia, il fenomeno si è caratterizzato per dimensioni
EBAT-FAVLA
36 Oltre a queste assistenze la Cassa edile di Cuneo prevede anche altre forme di sostegno
al reddito, tipicamente legate al settore delle costruzioni: l’erogazione di un assegno funerario
in caso di decesso dei familiari del lavoratore; un contributo alla famiglia in caso di morte del
lavoratore; una copertura assicurativa per morte o invalidità del lavoratore a seguito di infortuni
professionali o extraprofessionali; premi fedeltà per i lavoratori che abbiano maturato, rispettivamente, 25 e 30 anni nel settore edile.
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• FEBBRAIO 2018
Q 33
relativamente ridotte, limitandosi a forme di piccola mutualità, anche per
via dell’esistenza, nel settore, dell’indennità di disoccupazione già a partire
dagli anni Cinquanta (Bellardi e De Santis, 2011). A esse, tra gli anni Ottanta e Novanta, si sono poi affiancate istituzioni bilaterali nazionali, dal
fondo sanitario integrativo (il Fislaf, poi, Fia, per gli operai agricoli), a quelli
di previdenza complementare (Agrifondo) e per la formazione (Foragri
Enpaia), fino alla costituzione dell’Ente Bilaterale Agricolo Nazionale (nel
2010), chiamato a esercitare funzioni di coordinamento delle casse. Queste ultime – in applicazione dell’art. 8 del Contratto Collettivo Nazionale
di Lavoro per gli operai agricoli e florovivaisti del 2010 – sono state via via
sostituite o affiancate da nuovi Enti Bilaterali Agricoli Territoriali (EBAT),
con funzioni più estese delle precedenti casse.
Coerentemente con questi sviluppi, in provincia di Cuneo alla preesistente Cassa Extra Legem, costituita nel 1974 da Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Flai-CGIL, Fai-CISL e UILA-UIL e denominata Fondo Assistenze
Varie Lavoratori Agricoli (FAVLA), è subentrato nel 2013 il nuovo Ente
Bilaterale (EBAT-FAVLA), che ha assorbito anche il Comitato Paritetico Territoriale per la sicurezza in agricoltura (CPT). Nel 2014 – stando alle dichiarazioni di Giancarlo Bandiera (Confagricoltura), Presidente di EBAT – l’Ente
poteva contare sull’adesione del 97% delle aziende agricole che assumono
manodopera in provincia di Cuneo e su un buon livello di entrate derivanti
dai contributi annuali versati dalle aziende aderenti, tanto da essere tra le
prime cinque casse a livello nazionale37.
Nel campo del welfare, la funzione tradizionale della Cassa prima e
dell’Ente oggi consiste nell’erogazione di trattamenti salariali integrativi in
caso di astensione dal lavoro degli operai per malattia o infortunio. L’EBATFAVLA prevede, inoltre, sostegni e rimborsi per gli imprenditori agricoli per
le spese sostenute per l’acquisto di dispositivi di sicurezza individuali e per
le visite mediche obbligatorie quando un nuovo dipendente viene assunto. Per quanto attiene al sostegno alla famiglia, l’Ente – in occasione della
nascita di figli degli operai agricoli – rimborsa alle imprese l’equivalente di
due giornate di permesso straordinario (se effettivamente utilizzate dal
lavoratore padre) e corrisponde il rimborso totale alle aziende che abbiano
erogato al lavoratore o alla lavoratrice un bonus di 250 euro.
È, infine, da segnalare che in occasione dell’ultimo rinnovo del contratto provinciale, firmato nel 2017, le parti sociali costituenti l’EBAT-FAVLA
hanno concordato un ampliamento delle funzioni di welfare esercitate
dall’Ente a favore dei lavoratori: in particolare, è stato previsto un intervento a favore delle famiglie degli operai agricoli attraverso il rimborso parziale
delle spese scolastiche, ma anche la retribuzione per i giorni di permesso
necessari per trattamenti medici per lavoratori affetti da malattie oncologiche o soggetti a trattamenti di dialisi, e la sperimentazione del permesso
37 La 40enne Ebat-Favla fra le prime 5 casse in Italia, in Cuneocronca.it, www.cuneocronaca.it/
la-40enne-ebat-favla-fra-le-prime-5-casse-in-italia (ultimo accesso: 10 agosto 2017).
90
IMPRESA POSSIBILE
matrimoniale anche per gli operai a tempo determinato e stagionali che
ne erano esclusi.
A fianco e in stretto coordinamento con l’EBAT-FAVLA va registrata
la presenza, dal 1992, del Fondo Assistenze Varie Lavoratori Agricoli di
Cooperative (FAVLA Coop), l’ente paritetico di riferimento per imprese
e lavoratori del mondo della cooperazione agricola: si tratta di una realtà
che, secondo gli intervistati, eroga circa 200 pratiche di integrazione per
malattia e infortunio ogni anno e copre oltre 150 lavoratori, per un importo complessivo di 85.000 euro annui.
FAVLA Coop
4.6.3 L’Ente Bilaterale Artigianato Piemontese – EBAP e il bacino
territoriale di Cuneo38
La bilateralità artigiana si articola in tutta Italia – a livello territoriale – in
enti bilaterali di rango regionale, coordinati dall’Ente Bilaterale Nazionale
Artigianato (EBNA) (Razetti, 2017). In Piemonte, opera dal 1993 l’Ente
Bilaterale dell’Artigianato Piemontese (EBAP), costituito da Confartigianato, CNA, Casartigiani, per la parte datoriale, e CGIL, CISL, UIL per quella
sindacale, coerentemente con quanto previsto dagli Accordi Interconfederali nazionali del 1992. Le principali attività dell’Ente – che si suddivide
a propria volta in una serie di bacini corrispondenti ai territori provinciali
– possono essere ricondotte alle aree della sicurezza (attraverso il sostegno
all’attività dei Rappresentanti dei Lavoratori Sicurezza Territoriale, RLST);
della rappresentanza sindacale; e – aspetto di maggiore interesse per il
tema qui considerato – del cosiddetto sostegno al reddito per imprese e lavoratori. Ricadono in quest’ultimo campo interventi destinati ai lavoratori
dipendenti interessati da sospensioni o riduzioni temporanee dell’attività
lavorativa causate da eventi di forza maggiore (165 interventi in provincia
di Cuneo nel 2016); prestazioni a favore delle imprese che sostengano spese, per esempio, per l’acquisto di nuovi macchinari o per la formazione dei
propri dipendenti (172 interventi nel 2016); da luglio 2016 è inoltre attivo
il Fondo di Solidarietà Bilaterale dell’Artigianato (FSBA), le cui erogazioni
ai dipendenti in caso di sospensioni/riduzioni lavorative, autorizzate da
agosto 2017, sono state 478 nella provincia cuneese; infine, ricadono nel
campo del sostegno al reddito le prestazioni – per dipendenti, titolari, soci
e coadiuvanti – definite “a sostegno delle famiglie”.
Si tratta di forme di welfare contrattuale di particolare interesse in un
comparto caratterizzato, anche nella provincia di Cuneo, da dimensioni di
impresa particolarmente ridotte.
In base ai dati trasmessi da EBAP, risulta infatti che le 3.310 imprese artigiane cuneesi iscritte all’Ente – che si concentrano per la maggior parte nei
settori metalmeccanica e installazione impianti (48%), alimentare (13%),
EBAP
FSBA
38 Si ringrazia l’EBAP Piemonte per la disponibilità dimostrata e la condivisione dei dati qui
riportati.
91
• FEBBRAIO 2018
Q 33
acconciatura ed estetica (11%), e rappresentano circa il 19% delle adesioni
regionali all’Ente – contano in media 4,2 dipendenti: quasi il 64% di esse ne
impiega fra 1 e 3; poco meno del 10% ha più di 10 addetti (fig. 23).
Figura 23. Imprese artigiane cuneesi iscritte a EBAP per numero di addetti (2016)
63,7%
16,5%
10,0%
6,5%
da 1 a 3
da 4 a 6
da 7 a 10
da 11 a 15
2,5%
0,8%
0,0%
da 16 a 22
da 23 a 40
>40
Fonte: rielaborazione da dati EBAP
Attualmente, il sostegno offerto ai nuclei familiari delle imprese iscritte
a EBAP consiste in una serie di rimborsi relativi a spese sostenute per:
• l’iscrizione dei figli all’asilo nido (fino a 600 euro nel caso di un solo
figlio, dal secondo in poi fino a 400 euro per ogni figlio);
• gli studi universitari dei figli (fino a 400 nel caso di un solo figlio, dal
secondo in poi fino a 200 euro per ogni figlio; sono esclusi gli studenti
fuori corso);
• l’acquisto di testi scolastici per la scuola media inferiore e superiore
(fino a 300 euro nel caso di un solo figlio, dal secondo in poi fino a 150
euro per ogni figlio);
• l’iscrizione di figli minori a centri estivi (fino a 200 euro per un solo
figlio, dal secondo in poi fino a 100 euro per ogni figlio).
L’accesso a tali benefici è subordinato a un ISEE non superiore a 26 mila
euro. A questi si aggiunge, senza prova dei mezzi, il riconoscimento a ciascun nucleo familiare in cui vi sia un ragazzo (fino a 12 anni) con disabilità
riconosciuta di un contributo fisso pari a 80 euro netti per ogni giornata
nella quale il minore è sottoposto a visita medica (fino a un massimo annuo
erogabile pari a 400 euro netti).
Grazie a EBAP, nel territorio della provincia di Cuneo, fra il 2011 e il
2016, i dipendenti artigiani hanno beneficiato di rimborsi per le spese sostenute per rette di asili nido, tasse universitarie e libri scolastici (in totale,
99 richieste) per un importo complessivo di poco superiore ai 23 mila euro,
92
IMPRESA POSSIBILE
a fronte dei 3.140 euro erogati a favore di titolari, soci e coadiuvanti (corrispondenti ad appena 14 domande in tutto il periodo preso in esame). Dati
che sembrano segnalare – nel complesso – ancora una limitata conoscenza
delle misure di welfare proposte dall’Ente ai propri iscritti, nonostante le attività di comunicazione e diffusione realizzate negli anni da EBAP (fig. 24).
Figura 24. EBAP: misure di sostegno alle famiglie – importi (in euro) erogati a vantaggio di dipendenti di imprese artigiane della provincia di Cuneo (2011-2016)
e 6.000
e 5.000
e 4.000
e 3.000
e 2.000
e 1.000
e0
2011
Retta asili nido
2012
2013
Tasse universitarie
2014
2015
Acquisto testi scolastici
2016
Totale erogazione
Fonte: rielaborazione da dati EBAP
4.6.4 Gli Enti Bilaterali del Commercio e del Turismo
In provincia di Cuneo, in applicazione dei CCNL “Terziario, Distribuzione e Servizi” e “Turismo” – firmati da Confcommercio Imprese per l’Italia (terziario) e Federalberghi e Faita (turismo), per la parte datoriale, e
Filcams-CGIL, Fisascat-CISL, UILtucs-UIL, per quella sindacale – operano
anche gli Enti Bilaterali Territoriali del Settore Commercio e del Settore
Turismo. Tali organismi fanno riferimento rispettivamente all’Ente Bilaterale Nazionale Terziario (EBINTER) e all’Ente Bilaterale Nazionale Turismo
(EBNT), che dai primi anni Novanta presentano articolazioni su base provinciale o regionale in tutta Italia.
Gli enti cuneesi nel 2014 raccoglievano complessivamente l’adesione
di circa 4.500 imprese del territorio e 7.900 lavoratori (a conferma di una
dimensione media in termini di addetti molto bassa, inferiore a due unità).
I due enti operano con interventi nell’area della formazione dei lavoratori e della sicurezza, sostenendo le imprese nella predisposizione di
piani formativi subordinati all’approvazione del fondo interprofessionale
nazionale (For.Te.) per i propri dipendenti, e collaborando con esse per l’as93
• FEBBRAIO 2018
Q 33
94
solvimento degli obblighi di legge in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro
attraverso attività formative e la messa a disposizione di Rappresentanti dei
Lavoratori Sicurezza Territoriale (RLST). Funzioni rilevanti sono, inoltre, svolte nel settore delle politiche del lavoro, in quanto, in caso di assunzione di
apprendisti, gli enti bilaterali rilasciano i pareri di conformità, volti a verificare
il rispetto delle norme vigenti. Inoltre, sin dal 1998, gli Enti del Commercio e
del Turismo di Cuneo hanno istituito una commissione di conciliazione, cui
le parti in causa possono rivolgersi – in alternativa alla Direzione Territoriale
del Lavoro – in caso di controversie fra datore e dipendente.
Sul fronte del welfare inteso come misure a sostegno delle famiglie,
bisogna segnalare l’iniziativa lanciata dai due enti a fine 2012, quando è
stato istituito uno specifico Fondo di Sostegno (accordo provinciale del
18 dicembre) per limitare gli effetti negativi della difficile situazione congiunturale. Il fondo gestisce contributi a favore di aziende e lavoratori dei
settori Commercio e Turismo, con lo scopo di promuovere e sostenere
lo sviluppo del settore, salvaguardando l’occupazione e la professionalità
degli addetti. Le parti hanno, sin dal 2012, sottolineato l’esigenza di offrire
strumenti capaci di «facilitare la conciliazione delle importantissime esigenze di cura dei figli neonati con la sostenibilità di tale situazione, nell’ottica della organizzazione aziendale, in modo particolare con riferimento
alle micro imprese».
La gamma di interventi offerti attraverso il fondo – inizialmente limitata a un’integrazione in caso di congedo parentale (astensione facoltativa
di maternità) e a un contributo all’impresa per l’eventuale sostituzione
temporanea del dipendente – si è gradualmente ampliata, risultando oggi
estremamente articolata e caratterizzata dalla forte attenzione riservata al
tema della conciliazione vita-lavoro e del sostegno al reddito delle famiglie.
Considerando le misure più da vicino, due ricadono nel campo socio
sanitario e consistono in rimborsi per:
• spese sanitarie sostenute per figli di età inferiore a 7 anni, fino a un
massimo di 300 euro lordi annui;
• spese di assistenza ai figli con disabilità: il contributo è pari a 500 euro
se il figlio disabile non percepisce altre prestazioni economiche correlate all’invalidità; se invece è titolare di altre prestazioni economiche
(come la pensione di inabilità civile, l’assegno mensile, l’indennità di
accompagnamento o l’indennità mensile di frequenza) il contributo è
ridotto a 250 euro.
L’accesso a queste due misure non è subordinato a particolari condizioni reddituali dei richiedenti. L’intervento a sostegno delle spese sanitarie è
stato limitato ai figli dei dipendenti per coprire le aree lasciate scoperte dai
fondi di assistenza sanitaria integrativa nazionali (Est e Aster), le cui tutele
non si estendono ai familiari a carico.
IMPRESA POSSIBILE
Le altre forme di assistenza previste dal fondo di sostegno provinciale
sono invece riservate a nuclei familiari con ISEE fino a 40 mila euro, con
priorità riconosciuta a quelli fino a 20 mila. Sono erogati contributi a rimborso di spese sostenute per:
• mense di scuole dell’infanzia e primarie (fino a 200 euro lordi annui);
• iscrizione e frequenza dei figli ad asili nido e scuole materne (fino a 200
euro lordi annui);
• contributi per attività sportive, laboratori didattici, gite, musei, che
comportino spese aggiuntive a carico delle famiglie per figli che frequentano la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado (fino a 100 euro lordi annui);
• contributi per iscrizione a centri estivi-estate ragazzi (fino a 200 euro
lordi annui);
• acquisto dei libri scolastici per figli che frequentino la scuola secondaria di primo grado e la scuola secondaria superiore (fino a 100 euro
lordi annui).
Nel 2015 il Fondo è stato finanziato con 65.000 euro per i lavoratori
del commercio e 35.000 euro per quelli impiegati nel turismo.
«Per i primi anni c’è stata una difficoltà, per una questione probabilmente di mancata conoscenza […] non solo delle prestazioni ma anche di
cosa siano gli Enti bilaterali […]. Lo scorso anno […] c’è stata una crescita
importante delle prestazioni e questo ventaglio un po’ più ampio ha sicuramente aumentato la richiesta e forse anche aiutato a una maggiore conoscenza». Nonostante l’aumento registrato, «se noi facciamo il raffronto
fra gli iscritti e quindi il potenziale bacino d’utenza e i richiedenti delle
prestazioni c’è […] un delta molto importante. Quest’anno si sta approfondendo un po’ la tematica della comunicazione, sulla quale abbiamo
fatto grossi sforzi» [intervista n. 12].
Anche nel caso degli Enti del Commercio e del Turismo le richieste pervenivano in misura molto maggiore da parte dei dipendenti che dei titolari,
dal 2017 sono state riservate esclusivamente ai primi, destinando le risorse
per le imprese a interventi nel campo della formazione e della sicurezza
(con un fondo di sostegno dedicato).
4.6.5 L’Ente Bilaterale della Cooperazione Cuneese
Dalla seconda metà degli anni Novanta, esiste, infine, il più piccolo
Ente Bilaterale della Cooperazione Cuneese, costituito da Confcooperative, Legacoop e AGCI, per la parte datoriale, e da CGIL, CISL e UIL per
quella sindacale, e destinato alle cooperative di produzione e lavoro del
comparto confezionamento. Il distretto “Dolci di Alba e Cuneo”, punto
forte dell’Ente Bilaterale, caratterizzato dalla presenza di numerose e note
multinazionali del settore alimentare e dolciario (si pensi al caso di Ferrero
e al suo welfare aziendale, già approfondito in questo capitolo), si è collo95
• FEBBRAIO 2018
Q 33
cato al quinto posto tra le aree produttive italiane per crescita e redditività
tra il 2008 e il 2014 e al terzo posto fra i distretti agroalimentari italiani per
valore dell’export (Intesa Sanpaolo, 2015; 2016).
Il numero delle cooperative che partecipano all’Ente Bilaterale della
Cooperazione Cuneese è variabile, ma tende a oscillare intorno a 20, per
un numero complessivo di lavoratori pari circa a 2.000, in coincidenza con
i picchi produttivi stagionali.
Benché l’Ente al momento non contempli, fra i propri interventi, misure di welfare (è stato finora principalmente uno strumento di confronto
sui temi della regolamentazione dei rapporti di lavoro in senso stretto), è
interessante segnalare che, a seguito del rinnovo contrattuale siglato ad
agosto 2017, le parti sociali hanno inserito alcune clausole che porteranno
l’Ente «a ragionare nelle prossime tornate sui temi del welfare. In modo
particolare mi riferisco a un tema che abbiamo molto a cuore che è quello
della salute, sia dei lavoratori che delle loro famiglie. Per cui il welfare
inteso come assistenza sanitaria sarà uno dei primi interventi che realizzeremo e che prenderemo in considerazione» [intervista n. 5].
4.7 I (primi) passi verso il welfare territoriale
Supporto
delle istituzioni
96
Come si è appena visto, gli strumenti della bilateralità possono rappresentare una soluzione praticabile per portare il “welfare in azienda” anche
nelle imprese più piccole, quelle che difficilmente potrebbero provvedere
in autonomia alla messa a punto di piani di welfare aziendale strutturati. In
questo senso, la bilateralità può essere considerata un’interessante formula aggregativa su base territoriale.
In questo paragrafo ci si concentra sul welfare aziendale territoriale
inteso in senso stretto, ovvero su quelle soluzioni che, oltre ad aggregare
le imprese di un certo settore in un determinato territorio, sono in grado di
mettere in comunicazione i diversi attori di quel territorio – amministrazioni
pubbliche, altre imprese, associazioni datoriali e organizzazioni sindacali,
enti bilaterali, imprese assicuratrici, fondi pensione, fondi sanitari, cooperative e imprese sociali, associazioni ed enti di volontariato, fondazioni –
per offrire risposte integrate ai bisogni sociali emergenti.
Come anticipato, si tratta di esperimenti complessi che, in quanto tali,
necessitano anche dell’appoggio delle istituzioni pubbliche, non solo in
termini di finanziamento, ma anche di supporto per la partecipazione ai
bandi e di accompagnamento nell’intraprendere percorsi progettuali innovativi. Un appoggio che può fare perno sulle istituzioni locali quando
queste si attivano nel coordinare, promuovere e allargare le numerose reti
di collaborazione che nascono sul territorio.
Nella comune percezione degli intervistati, nel quadro di uno sviluppo ancora debole del welfare aziendale, le istituzioni pubbliche locali non
sono ancora state in grado di assumere questo ruolo di governance e sti-
IMPRESA POSSIBILE
molo alla messa in rete delle iniziative esistenti. Più in generale, non si
registrano iniziative sinergiche, pure valutate come auspicabili da molti
degli stakeholder.
Secondo i referenti del mondo sindacale, sino a oggi è mancata – da
parte degli attori istituzionali, sociali ed economici locali – la capacità di
leggere in modo complessivo e rispondere in modo integrato ai bisogni
sociali espressi dai territori «immaginiamoci una comunità dove c’è una
grande realtà aziendale e magari un Comune che ha determinati servizi di
welfare che operano anche bene: ma siamo sicuri che il welfare – cioè il
bisogno sociale della persona – trovi una risposta compiuta? Siamo sicuri
che i due sistemi, o i tre sistemi dialoghino?» [intervista n. 4]. Proprio per
questa ragione si guarda con favore a possibili sviluppi del welfare aziendale in chiave territoriale, ma si constata con delusione la pressoché totale
assenza di iniziative in tal senso.
A questo proposito, a fronte dell’inerzia istituzionale dimostrata dalle
precedenti amministrazioni regionali rispetto al tema del welfare aziendale, con l’eccezione del progetto CSR Piemonte (Box 1), è da segnalare
che l’attuale Giunta regionale – con l’approvazione dell’Atto di Indirizzo
sull’innovazione sociale – ha recentemente stanziato risorse consistenti (4
milioni di euro) per favorire l’offerta di beni e servizi e la sperimentazione
di modelli di organizzazione del lavoro che migliorino il benessere dei/delle
dipendenti. Si rivolge in particolare alle PMI (massimo 250 dipendenti) e
incentiva la costituzione di reti e raggruppamenti per aumentare l’estensione dell’intervento e arrivare a coinvolgere non solo i dipendenti, ma
anche i residenti dei territori in cui le aziende operano. La misura prevede
anche il coinvolgimento di grandi imprese, qualora il progetto di welfare
aziendale proposto possa avere una forte ricaduta sul territorio e sia condiviso con il Distretto per la Salute e la Coesione Sociale e risponda ai bisogni
espressi dal territorio39.
In questo quadro, benché vere e proprie reti tra imprese non siano a
oggi attive, risultano di particolare interesse le sperimentazioni che tentano
di mobilitare in modo sinergico le energie, anche produttive, del territorio
verso i temi del welfare integrativo. Tra queste, si possono citare i progetti
Talenti Latenti (Box 4) e Welfare comunitario integrativo (Box 5).
Intervento
della Regione
Piemonte
39 Per maggiori informazioni si rimanda a Cibinel (2017).
97
• FEBBRAIO 2018
Q 33
BOX 4. Il progetto Talenti Latenti
Talenti Latenti: rete per un welfare di comunità è un progetto – finanziato dalla Fondazione CRC nell’ambito della Misura A del Bando Cantiere
Nuovo Welfare 2015 – che mira a sostenere l’attivazione di interventi sperimentali e innovativi, volti a sviluppare risposte adeguate per fronteggiare
i problemi sociali del territorio. Obiettivo del progetto è incentivare la sperimentazione di un nuovo modello di welfare che coinvolga più soggetti
territoriali. Si vogliono sostenere così le imprese locali nella realizzazione
di iniziative di welfare a vantaggio dei dipendenti e delle loro famiglie,
attraverso la sinergia con gli attori pubblici del territorio (ASL, Enti gestori,
Comuni) e per mezzo della creazione di reti e partnership con altre realtà
imprenditoriali. Nell’ambito del progetto, tra novembre e dicembre 2016,
è stata realizzata una survey rivolta a tutti i dipendenti di quattro aziende
che hanno aderito all’iniziativa (Dimar Spa, Sebaste Golosità, Slow Food e
l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo). Lo scopo dell’indagine
è stato quello di comprendere la loro situazione familiare, i loro “carichi di
cura” e le loro opinioni rispetto al welfare aziendale. I questionari somministrati sono stati 1.057, quelli compilati 672. Grazie alla survey sono state
individuate quattro macro azioni per rispondere all’esigenza di fornire un
aiuto e un supporto in momenti delicati della vita delle persone destinatarie del progetto. Tali azioni sono state: a) formazione per il reinserimento
aziendale al rientro dalla maternità; b) formazione alla prevenzione della
salute; c) formazione in merito a una sana alimentazione e a stili di vita
sani; d) formazione alla genitorialità.
BOX 5. Il progetto Welfare comunitario integrativo e l’associazione
Ouverture
Il progetto Welfare comunitario integrativo, finanziato con un contributo della Fondazione CRC, è frutto di un lavoro di progettazione da parte
di alcuni soci dell’associazione Ouverture. Il suo obiettivo è stato quello di
individuare e analizzare l’offerta di welfare aziendale e di servizi di prossimità – realizzati da soggetti pubblici, del terzo settore e anche attraverso
l’intervento di privati – nel territorio dell’Albese. Dal progetto è emerso
che in materia di welfare aziendale nel territorio di Alba esistono alcuni
esempi di prestazioni attivate dalle imprese a favore dei propri dipendenti
ma anche a vantaggio dei cittadini: oltre al caso della Fondazione Ferrero,
analizzato anche in questo rapporto, e a quello della Fondazione Miroglio,
menzionato in precedenza, nel territorio vi sono due istituti creditizi locali
(Banca d’Alba e Banca Alpi Marittime) che forniscono prestazioni non solo
ai propri dipendenti e ai propri soci, ma in alcuni casi anche ai cittadini. Le
prospettive per il futuro in merito al welfare integrato e al welfare aziendale sono legate al Progetto ALCOTRA (Alpi Latine COoperazione TRAnsfrontaliera), programma europeo di cooperazione transfrontaliera che copre il territorio alpino tra la Francia e l’Italia. A questo riguardo, Ouverture
98
IMPRESA POSSIBILE
ha partecipato – in collaborazione con altri attori locali e regionali (tra cui
Coldiretti e Confcooperative) – al bando per la presentazione di candidature alla costituzione di Piani Integrati Tematici (denominati PITEM) finanziati dall’Unione Europea. Per l’occasione è stata fondata un’Associazione
Temporanea di Scopo (ATS), cioè una partnership temporanea tra attori
locali (pubblici, privati e di terzo settore) finalizzata allo svolgimento di
un’attività specifica e quindi limitata al periodo necessario per il suo compimento. Il progetto è stato approvato ufficialmente e dovrebbe essere
realizzato entro i prossimi tre anni. I possibili interventi che saranno prodotti grazie ai fondi del PITEM riguarderanno l’attivazione di strumenti e
politiche per la promozione di servizi di prossimità (in particolare di natura
socio sanitaria) realizzati per mezzo di un approccio integrato, capace di
coinvolgere quindi gli attori pubblici, privati e di terzo settore locali. Grazie
al coinvolgimento di una rete di attori di diversa natura, questa iniziativa
ha le risorse e le potenzialità per generare ricadute positive anche in tema
di welfare aziendale.
Si tratta di due progetti che assumono una grande importanza finendo
per costituire le poche esperienze di reti multi-stakeholder oggi attive sul
territorio. Sicuramente appaiono come esperienze circoscritte, ma potrebbero diventare in futuro punti di riferimento preziosi in grado di mostrare
quanto la strada dell’aggregazione e della condivisione di servizi sia promettente e meritevole di essere sostenuta e accompagnata. Permettono,
inoltre, di sottolineare il ruolo strategico di guida e coordinamento assunto
in questo caso dai proponenti dei due progetti promossi da una Fondazione sia sul piano del finanziamento sia sul piano di promozione di un tema
centrale quale è quello del welfare comunitario. Un ruolo di propulsione,
finanziamento e coordinamento che, come si è visto, è auspicato da numerosi soggetti del territorio: «Sarà importante rafforzare ancora di più le
sinergie del territorio e questo, per poter essere fatto, ha bisogno di un
centro aggregativo: questo può essere un soggetto come una fondazione,
che riesce a dare una mano importante anche a livello finanziario, ma soprattutto può essere un motore per sviluppare una progettualità condivisa
con tutti gli attori» [intervista n. 5].
99
• FEBBRAIO 2018
Q 33
Parte terza • Considerazioni conclusive
5. Considerazioni di sintesi
e indicazioni di policy per la diffusione
del welfare aziendale e territoriale
La ricerca qui presentata ha fornito un inquadramento del tema del
welfare aziendale, inserendolo nell’attuale contesto normativo di riferimento, ha mappato lo sviluppo di piani di welfare aziendale e contrattuale
e la presenza e diffusione di servizi e prestazioni di conciliazione vita-lavoro
nelle imprese del Cuneese, individuando anche buone prassi e alcuni progetti significativi; infine, ha proposto una serie di riflessioni sulle condizioni
e sulle opportunità di promozione del welfare aziendale alla luce delle novità introdotte recentemente dal legislatore a livello nazionale.
Più nello specifico, la ricerca ha inteso rispondere ad almeno tre interrogativi:
• quali sono le caratteristiche e quale la diffusione del welfare aziendale
e contrattuale nel territorio della provincia di Cuneo?
• quali sono i tratti caratteristici dei piani di welfare aziendale nelle imprese cuneesi, con particolare riferimento alla conciliazione vita-lavoro?
• è possibile estendere (e, nel caso, attraverso quali leve e strumenti)
all’insieme del tessuto produttivo, composto soprattutto da imprese
di piccole e medie dimensioni, il welfare aziendale che alcune realtà
hanno già positivamente attivato, integrandolo con i servizi pubblici e
privati presenti a livello locale e facendo in modo sistemico sinergia con
gli stakeholder del territorio?
Di seguito si ricapitolano i principali risultati dell’analisi quantitativa e
nel paragrafo successivo, alla luce del confronto con gli stakeholder locali,
si propongono alcune direttrici di sviluppo e possibili indicazioni di policy.
5.1 I risultati: una sintesi
L’indagine quantitativa si è sviluppata attraverso una rilevazione su
un campione di imprese rappresentative dell’universo. La costruzione del
campione è stata effettuata considerando due variabili di campionamento:
il settore produttivo e le dimensioni aziendali. L’intervista è stata rivolta in
prevalenza a responsabili amministrativi delle aziende (48%) e in subordine a titolari (30%) o a responsabili HR (21%). Complessivamente, tra
il 9 febbraio e il 6 aprile 2017, sono state raccolte le informazioni su 189
aziende presenti nella provincia di Cuneo.
• Quasi i 2/5 degli intervistati non riescono a dare una definizione precisa di “welfare aziendale”. Si tratta dunque di un gap di conoscenza
presumibilmente legato alla non specificità di ruolo degli intervistati, a
100
IMPRESA POSSIBILE
•
•
•
•
conferma della mancanza di un’adeguata diffusione culturale di questo
tema. Difficoltà confermata dal fatto che la definizione più ricorrente
(riportata in quattro casi su dieci) è del tutto aspecifica, richiamando un
generico intervento da parte delle imprese per il sostegno del benessere dei lavoratori. Risposte più precise sono presenti in componenti molto marginali del campione e sempre con percentuali inferiori al 15%.
Nella percezione degli intervistati, i limiti più rilevanti che rallentano
la diffusione del welfare aziendale sono principalmente di due tipi: si
segnalano le barriere economiche (indicate come causa principale dal
44% dei rispondenti) e immediatamente a seguire si registrano dei vincoli di tipo legislativo (causa principale per il 38,7% dei casi).
Tra i bisogni prioritari emergono sugli altri l’area work-life balance (dichiarata dal 57% del campione) e subito a seguire quella del sostegno
economico ai dipendenti e alle loro famiglie (56,2%). Seguono sanità
e previdenza, su cui si orientano, in particolare, le aziende in cui è presente una rappresentanza sindacale. La presenza esplicita di uno o più
benefit ascrivibili al tema del welfare (esclusi dunque, per scelta teorica
di partenza, le politiche degli orari, la formazione e i benefit/servizi per
la mensa dei dipendenti) è dichiarata da una quota di aziende pari al
69%, dunque più ampia rispetto a quelle in cui il rispondente ha saputo definire almeno in termini generici il concetto. Mediamente le aziende propongono 1,3 benefit o servizi di welfare ai propri dipendenti. I
benefit più diffusi sono rappresentati da fondi pensionistici, dalle prestazioni sanitarie di tipo integrativo (presenti in entrambi i casi nel 30%
delle aziende). A seguire, l’area del sostegno economico (20%), quella
della conciliazione vita-lavoro (15%) e l’area socio assistenziale (15%).
Interessante notare il disallineamento tra i bisogni emergenti e ritenuti
prioritari, e i bisogni che trovano specifica risposta in azienda: è soprattutto l’area della conciliazione cura-lavoro a segnalare la maggiore
distanza tra percezione e risposta, dato che conferma, peraltro, una
tendenza registrata in molte recenti ricerche e che dunque segnala un
ambito di necessaria riflessione sulle modalità con cui le aziende intervengono e sulla effettiva capacità di lettura dei bisogni dei dipendenti.
Per quanto riguarda la modalità di introduzione del welfare in azienda, la dimensione media delle imprese predetermina una modalità decisionale assolutamente unilaterale (nell’80% dei casi), talvolta senza
peraltro una esplicita verifica delle esigenze dei lavoratori (18%). Operativamente il welfare è gestito direttamente dall’azienda, con acquisto diretto di servizi (62%) o sistemi di rimborsi (22%) o convenzioni
(13%). La gestione attraverso portale è prevista nel 12% dei casi, e non
sembrano esserci elementi discriminanti l’utilizzo per quanto riguarda
le dimensioni aziendali. Sempre ricostruendo le dinamiche operative di
gestione del welfare nelle aziende che ne hanno dichiarato la presenza,
la metà delle imprese si è rivolta a soggetti esterni per implementare
101
• FEBBRAIO 2018
Q 33
eventuali iniziative, il 37% invece ha operato in completa autonomia.
È stata richiesta una collaborazione all’esterno nel 38% dei casi a soggetti associativi (ma alla luce della parte qualitativa della ricerca non è
chiaro a quali soggetti si siano effettivamente rivolti, o quanto meno
in quale modalità e per ottenere quali elementi operativi al di fuori del
puro dato informativo) e solo il 19% a fornitori di servizi.
• Esistono elementi strutturali capaci di spiegare la presenza/assenza di
welfare nelle aziende cuneesi? Il controllo della significatività statistica
non mostra evidenze robuste per nessuna delle variabili controllate:
dimensioni aziendali, presenza del sindacato, settore produttivo, percentuali di donne in azienda. D’altra parte le caratteristiche del campione (anche a causa della sua bassa numerosità) non presentavano
ampie variazioni su questi elementi e dunque il risultato è plausibilmente quello atteso. In ogni caso, tendenzialmente si fa più welfare nelle
aziende sopra i 40 dipendenti e nel settore dei servizi.
• Il 48% delle aziende in cui si fa welfare non segnala la presenza di
costi significativi e un ulteriore 14% non ha avuto spese aggiuntive. In
pratica, solo il 26% delle aziende lamenta costi aggiuntivi significativi,
e in questo gruppo sono presenti, in particolare, le imprese che sono
intervenute sul fronte dei servizi socio assistenziali. In ogni caso, il 42%
delle imprese sembra non avere un’idea precisa delle dinamiche di costo nel tempo e solo il 38% ritiene che nel lungo periodo si potrà ottenere un completo assorbimento dei costi o un significativo risparmio
grazie agli incentivi fiscali.
• Il primo elemento di utilità del welfare è relativo al miglioramento del
clima aziendale, segnalato dall’86% delle aziende con un voto superiore a 6 su una scala da 1 a 10. Immediatamente a ridosso è il tema
dell’incremento della produttività (80%), mentre meno attenzione rispetto a quanto registrato in analisi e ricerche italiane e internazionali
risulta su temi di più precisa derivazione HR, come la capacità di retention e di attrazione di nuove risorse umane.
5.2 Le direttrici di sviluppo e le indicazioni di policy
Dalle evidenze empiriche raccolte tanto attraverso la strategia quantitativa, quanto attraverso quella qualitativa e presentate in questo rapporto
risulta, quindi, che il welfare aziendale è perlopiù considerato dai principali
attori locali un terreno ancora da esplorare. Gli elementi che paiono maggiormente problematici sono i seguenti:
• l’esistenza di un gap culturale;
• uno sviluppo ancora acerbo della maggior parte delle esperienze;
• una modesta copertura dei nuovi bisogni;
• ridotte esperienze di rete.
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IMPRESA POSSIBILE
Da qui si può partire per individuare le principali indicazioni di sviluppo
futuro muovendo lungo quattro direttrici:
• nuove opportunità da cogliere sul piano normativo;
• un terreno “vergine” da coltivare;
• partire dalla comunicazione;
• investire sulla contrattazione e la bilateralità.
Un evidente gap culturale
L’evidenza più chiara emersa dalla ricerca è che la dimensione aziendale rappresenta il principale, e spesso l’unico, predittore della presenza/
assenza di welfare nelle imprese. La caratterizzazione imprenditoriale del
territorio della provincia di Cuneo, in cui le piccole e spesso piccolissime
imprese rappresentano la schiacciante maggioranza, in qualche modo predetermina i risultati di una ricerca su questo tema. Dunque, a maggior
ragione, predetermina anche lo schema delle possibili dinamiche da attivare per verificare una possibile crescita di diffusione di queste pratiche nel
futuro. Siamo di fronte a una platea di soggetti che hanno innanzitutto un
chiaro problema di conoscenza. Soltanto i responsabili delle risorse umane
mostrano una chiara e precisa consapevolezza dell’argomento nei suoi
tratti generali e delle sue possibili implicazioni per l’impresa. Per le figure
non direttamente collegate all’area HR il tema è colto nella sua dimensione
più generica e risulta spesso fumoso e indeterminato. Evidentemente la
comunicazione su questo tema si è molto diffusa nell’area delle associazioni del mondo delle risorse umane, ma è riuscita molto poco a uscire da
quel perimetro, limitando dunque il proprio spazio di azione. C’è, dunque,
una prima possibile chiave di intervento che può essere efficacemente perseguita: diffondere in modo capillare la cultura del welfare, chiarirne le
implicazioni, non sottacerne gli inevitabili costi (almeno in termini organizzativi), mostrarne le possibili ricadute positive ma anche i limiti inevitabili.
Si tratta di una missione di sensibilizzazione diffusa e di disseminazione
che chiama in causa naturalmente i soggetti della rappresentanza, ma
che a essi non può ridursi proprio – e ancora una volta – in ragione della
configurazione strutturale del microcosmo imprenditoriale della provincia
di Cuneo. Siamo, infatti, di fronte ad aziende in cui in maggioranza non
ci sono rappresentanze sindacali e che, per di più, non sembrano avere
rapporti strutturati (almeno su questo argomento) con le associazioni datoriali. Ecco, dunque, aprirsi un ruolo chiave per fondazioni, associazioni
professionali, istituzioni pubbliche: sono tutti soggetti che hanno possibilità di interlocuzione pubblica e che possono sperimentare utilmente un
ruolo di diffusione di una nuova cultura di impresa più attenta al benessere
dei lavoratori e alle sue positive ricadute sull’attività dell’impresa, nonché
sul territorio nel suo insieme.
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Esperienze ancora acerbe
A questa difficoltà di tipo culturale corrisponde una ancora acerba
presenza di welfare nella concreta pratica organizzativa delle imprese. Se
infatti è vero che quasi sette realtà su dieci dichiarano di avere al proprio
interno almeno un benefit attivo, è vero, anche, che si tratta per lo più di
interventi spot (1,3 benefit attivi in media) e in buona parte ascrivibili a
benefici desunti dai contratti nazionali (si pensi ai fondi previdenziali) o a
fonti miste (come nel caso dei fondi sanitari), che non richiamano necessariamente un protagonismo diretto dell’azienda, soprattutto nel campo
della conciliazione vita-lavoro, dove maggiori appaiono oggi i bisogni dei
lavoratori e delle loro famiglie. La presenza di un numero di benefit contenuto porta con sé un impatto non elevato sui fondamentali aziendali, con
l’eccezione del miglioramento di clima. Peraltro, la percezione di soddisfazione per vari aspetti della vita aziendale pare non aver alcuna corrispondenza nella presenza o meno di un piano di welfare in azienda.
Il ricorso a misure e strumenti di welfare aziendale e alla predisposizione di veri e propri piani di welfare che mettano al centro la conciliazione
famiglia-lavoro presenta, inoltre, differenze significative tra grandi imprese
e piccole-medie imprese. A fronte di un ristretto gruppo di imprese di grandi dimensioni (di cui abbiamo dato conto solo a titolo esemplificativo), che
hanno fatto del welfare aziendale e dei servizi di conciliazione una vera e
propria vocazione, tanto da poter essere considerate un modello di best
practice anche a livello nazionale, è diversa la situazione delle aziende di
piccole e piccolissime dimensioni, dove il welfare aziendale fatica a entrare
nei piani di sviluppo e di tutela dei dipendenti.
Nuovi bisogni poco coperti
La conseguenza diretta di quanto appena visto è la scarsa diffusione
(inferiore al 20% delle imprese) di benefit e servizi ascrivibili alle aree più
sensibili dal punto di vista del bisogno: conciliazione vita-lavoro e socio
assistenziale. Pochi servizi disponibili su questi fronti, con un’evidente distanza tra il bisogno percepito (che pur viene colto dagli intervistati in termini di priorità) e bisogno corrisposto. Risulta dunque – in modo evidente
– un intervento esiguo a confronto delle nuove esigenze, apparentemente
non per mancanza di sensibilità rispetto ai problemi dei dipendenti, ma
per difficoltà oggettive (legate tanto a dimensioni organizzative quanto a
problemi di costo) che si associano – amplificando quanto si è visto nel primo punto – a una modesta conoscenza anche della normativa sul welfare
aziendale, che, pur passata attraverso profonde riforme liberalizzanti, non
viene percepita dagli imprenditori come pienamente “amica” per possibili
strategie di welfare.
Meglio insieme?
La ricerca non ha evidenziato la diffusione di esperienze aggregative come reti tra imprese o reti multi-attore. Tale assenza preclude alle
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IMPRESA POSSIBILE
PMI la possibilità di mettere a punto piani di welfare come nelle grandi
aziende, con il rischio di creare nel mercato del lavoro "isole" di benessere
contrapposte a una quota ampia di lavoratori meno tutelati e di imprese
meno orientate verso l’innovazione sociale. Le poche esperienze presenti
(i progetti Talenti Latenti e Welfare comunitario integrativo descritti nel
quarto capitolo) appaiono, tuttavia, incoraggianti e confermano quanto
la strada dell’aggregazione e della condivisione di servizi sia promettente
e meritevole di essere sostenuta e accompagnata. Permettono anche di
sottolineare il ruolo strategico di guida e coordinamento che le associazioni
di categoria possono giocare, a patto però di investire, anche e maggiormente, in comunicazione affinché le iniziative possano essere conosciute,
promosse e accompagnate per ottenere una maggiore adesione da parte
delle imprese. In questa direzione sembra muoversi il progetto nato dall’iniziativa dell’associazione Ouverture e di altre realtà locali – confluito poi
in una Associazione Temporanea di Scopo e finanziato dal Programma
Europeo ALCOTRA – il quale si propone di attivare strumenti e politiche
per la promozione di servizi di prossimità anche in ottica aziendale.
Anche rispetto alle reti di relazione attivate per introdurre il welfare in
azienda il tema delle dimensioni aziendali torna a mostrarsi significativo.
È noto infatti che la caratteristica molecolare del capitalismo italiano si accompagna con un elevato tasso di individualismo da parte di imprenditori
che tendono a far da sé senza costruire, se non episodicamente, reti stabili
a sostegno della propria azione. Se quasi quattro aziende su dieci hanno
introdotto il welfare senza avvalersi di appoggi esterni e altre tre dichiarano
di essersi appoggiate a un’associazione imprenditoriale, ogni altra forma di
relazione con soggetti di varia natura è frequentata da meno di un’azienda
su dieci. Il tema della territorializzazione del welfare, che mostra altrove
buone possibilità di successo (Maino e Mallone, 2015; Maino e Rizza,
2017; Pesenti, 2017), in questo caso non sembra essere adeguatamente
sperimentata: sarà quindi interessante verificare se l’attivazione di soggetti
di secondo livello potrà far crescere in futuro l’attitudine alla creazione di
reti tra imprese.
Sappiamo da altre ricerche sulle esperienze di tipo aggregativo attraverso la creazione di reti e/o partnership tra imprese e tra queste e altri
stakeholder che vi sono alcuni fattori in grado di svolgere un’azione facilitante. In primo luogo, la presenza di dinamiche economiche, sociali e
culturali favorevoli alla collaborazione e alla coprogettazione di iniziative.
In particolare, fa certo la differenza la presenza di una cultura imprenditoriale capace di concepire il welfare aziendale non solo come una spesa,
ma come un investimento. Da non sottovalutare, inoltre, la presenza di
stakeholder territoriali e di un sistema-territorio in grado di promuovere e valorizzare le esperienze e le attività già avviate. In secondo luogo,
la presenza di amministrazioni locali attive e sensibili al tema del welfare
aziendale e della conciliazione vita-lavoro, disponibili al superamento delle
tradizionali divisioni di competenze tra pubblico e privato in materia di
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welfare locale e alla promozione di un modello inclusivo e complementare
attraverso forme di condivisione, partecipazione collaborativa e progettazione negoziata tra tutti i soggetti interessati allo sviluppo della comunità
locale. In terzo luogo la costituzione di una struttura di governance interna
alla rete che funga da cabina di regia del percorso che porta alla realizzazione di un piano di welfare condiviso.
Dal 2016, nuove opportunità all’orizzonte
L’inerzia istituzionale che ha caratterizzato, almeno fino al 2016, l’amministrazione regionale e l’assenza di un progetto provinciale volto a promuovere e sostenere la diffusione del welfare in azienda si sono saldate
con la diffusione di sperimentazioni di welfare aziendale e contrattuale
limitate alle grandi imprese, sostanzialmente le sole a mostrare capacità
progettuale in questo ambito, senza però giocare un ruolo propulsivo o
di traino rispetto all’intero tessuto produttivo costituito prevalentemente
da micro, piccole e medie imprese. Questa inerzia e lo sviluppo perlopiù
limitato alle grandi imprese non hanno però completamente offuscato l’interesse e la progettualità del tessuto produttivo della provincia di Cuneo
su queste tematiche e non hanno impedito che dal 2016 si mettessero
in moto azioni e progettualità dal “basso” che, seppure lentamente e in
modo territorialmente frammentato, stanno contribuendo ad accrescere
l’interesse verso il welfare aziendale e la consapevolezza del suo potenziale (sia come risposta agli effetti prodotti dalla crisi socio economica e
alla lunga fase recessiva in cui si è venuta a trovare l’Italia in questi anni,
sia come strategia di motivazione del personale e di miglioramento del
clima aziendale, sia come strumento per sostenere la ripresa attraverso il
coinvolgimento dei lavoratori e dei tanti altri stakeholder indirettamente
interessati dalle prospettive di sviluppo dell’impresa sul territorio).
Va poi sottolineato che l’interesse del mondo produttivo ha conosciuto
una forte crescita grazie alla visibilità che hanno ricevuto le novità introdotte dalle Leggi di Stabilità per il 2016 e il 2017 e, più recentemente, dalla
legge sul lavoro agile, che hanno aperto inedite finestre di opportunità per
le aziende con riferimento alla contrattazione aziendale, alla defiscalizzazione del welfare e alla conciliazione vita-lavoro.
Da ultimo, un’opportunità potrà venire dall’Atto di Indirizzo sull’innovazione sociale recentemente approvato dalla Giunta regionale del Piemonte che ha stanziato risorse consistenti (4 milioni di euro) per favorire
l’offerta di beni e servizi, nonché la sperimentazione di modelli di organizzazione del lavoro che migliorino il benessere dei/delle dipendenti. Si
rivolge in particolare alle PMI (fino a un massimo di 250 dipendenti) e incentiva la costituzione di reti e raggruppamenti per aumentare l’estensione
dell’intervento e arrivare a coinvolgere non solo i dipendenti, ma anche i
residenti dei territori in cui le aziende operano. La misura prevede anche il
coinvolgimento di grandi imprese, qualora il progetto di welfare aziendale
106
IMPRESA POSSIBILE
proposto possa avere una forte ricaduta sul territorio, sia condiviso con il
Distretto per la Salute e la Coesione Sociale e risponda ai bisogni espressi
dal territorio.
Un terreno “vergine” da coltivare
L’analisi ha messo in luce un crescente interesse per il tema da parte
degli attori del sistema produttivo e dei principali stakeholder operanti a
livello locale, seppure ancora un numero contenuto ne abbia realmente
fatto esperienza sul campo o possa vantare un esteso periodo di attuazione (tale da poter fornire dati e indicazioni sul grado di successo o insuccesso). Emerge, inoltre, un contesto ancora relativamente vergine che
– se opportunamente aiutato a crescere – potrebbe costituire un banco di
prova e di sviluppo di pratiche innovative di welfare aziendale, non tanto
a livello di singola azienda, ma in una logica aggregativa e sinergica dove
le organizzazioni di rappresentanza e la bilateralità possano svolgere un
ruolo strategico nel favorire reti e partnership multi-stakeholder. Questo è
stato messo in luce da quasi tutti gli intervistati, comprese le grandi aziende
che hanno dichiarato di essere favorevoli a progetti territoriali. L’obiettivo
generale dovrebbe essere la ricerca di una maggiore complementarietà tra
istituzioni pubbliche e soggetti privati (profit e non), allo scopo di rafforzare il territorio per rispondere ai bisogni, vecchi e nuovi, dei cittadini, in
particolare quelli non adeguatamente coperti dal welfare pubblico perché
appartenenti a categorie (giovani, precari, lavoratori a tempo determinato,
lavoratori autonomi) poco tutelate.
Gli imprenditori, pur non intravedendo nessun rischio specifico nell’esplorazione di tale percorso, mettono in conto un periodo iniziale di rodaggio, non diverso da quello che si verifica in ogni cambio di sistema: l’esito
finale sarà comunque una maggiore competitività per tutto il territorio.
Simile si configura la posizione di Confcooperative, che guarda con fiducia
anche all’aiuto che potrà venire dallo sviluppo della contrattazione. La Camera di Commercio considera rischioso un eventuale mancato decollo di
iniziative di welfare aziendale, destinato a produrre conseguenze negative
in termini di ridotto incremento della competitività del sistema territoriale.
Agli occhi dei suoi protagonisti, in particolare le associazioni datoriali e di
categoria, il welfare aziendale sta infatti diventando sempre più uno strumento associato alla (crescita della) competitività delle imprese.
Più prudenti, appaiono le organizzazioni sindacali, che temono il rischio di una graduale sostituzione del pubblico da parte del privato e un
parallelo aumento delle disuguaglianze sociali.
Se la ricerca ha evidenziato un impegno delle associazioni di categoria
che, a oggi, non sembra ancora rappresentare un punto di riferimento per
le imprese associate, ha però individuato alcuni progetti in corso di realizzazione, come quello di Confartigianato Cuneo e di Confindustria Cuneo,
che paiono muoversi in questa direzione. Senza dubbio, in altri contesti
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territoriali esse hanno giocato un ruolo importante in questo senso, soprattutto laddove hanno saputo investire maggiormente nella comunicazione,
affinché progetti e iniziative fossero conosciuti, promossi e sostenuti, per
ottenere una maggiore adesione da parte delle PMI. C’è, quindi, un potenziale da cogliere e sviluppare ancora di più nella provincia di Cuneo.
Partire dalla comunicazione
Quello della comunicazione appare un fronte particolarmente carente
nel caso del territorio di Cuneo, come messo in evidenza da molti degli intervistati. Le associazioni di categoria e quelle sindacali intervistate hanno
ribadito che sono pochissimi i casi di PMI che hanno piani di welfare aziendale. Meno di quelli (pur scarsi) che sono in realtà presenti, come emerso
dall’indagine telefonica e dall’analisi qualitativa. Questo suggerisce che
potrebbe essere sottostimato dagli stessi attori locali la reale consistenza
del welfare aziendale, associata quasi esclusivamente a poche grandi imprese. Un problema, questo, che potrebbe in parte essere affrontato anche
grazie a un Osservatorio a scala provinciale, a partire da quello sulla contrattazione promosso da Confindustria e sindacati, a patto che si proceda
rapidamente a un’ampia raccolta di dati e informazioni, a maggior ragione
alla luce delle novità introdotte dalle Leggi di Stabilità 2016 e 2017.
Investire sulla contrattazione e sulla bilateralità
Quello descritto è uno scenario che potrebbe ricevere un impulso positivo proprio dalla contrattazione decentrata di tipo territoriale in materia
di welfare, per promuovere a vantaggio delle piccole e medie imprese reti e
partnership in cui associazioni imprenditoriali e/o organizzazioni sindacali
potrebbero elaborare e implementare “pacchetti di welfare”, offrendo alle
imprese della rete assistenza tecnica per la loro implementazione e gestione, eventualmente legata a specificità settoriali o peculiarità connesse al
tipo d’impresa (come avviene nel caso degli enti bilaterali). A tal fine, è
fondamentale promuovere interventi maggiormente sistemici e puntare
sulla condivisione delle informazioni in merito agli accordi più innovativi,
affinché possano diventare patrimonio comune ed essere riproposti in altri
contesti e settori. Si pensi alla contrattazione aziendale, da sviluppare ulteriormente all’interno di un quadro di regole generali, al fine di intercettare
bisogni ed esigenze specifiche di una determinata popolazione, conciliandole con le esigenze dell’azienda e del suo territorio. In questo quadro
gioca un ruolo importante anche la bilateralità, affinché enti e fondi di
origine contrattuale (regionale e/o territoriale), composti e gestiti in modo
paritetico, possano erogare alle parti – che hanno sottoscritto il contratto – servizi e prestazioni (anche) di welfare, finanziati grazie ai contributi
versati. Certo è che, a oggi, anche a Cuneo risulta – in linea con quanto
evidenziato in altre zone del Paese (Razetti e Tomatis, 2017) – un certo
grado di frammentazione organizzativa della bilateralità, oltre che signifi-
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IMPRESA POSSIBILE
cative variazioni nell’offerta di prestazioni di welfare bilaterale, sia su base
settoriale, sia su base territoriale. Da qui l’importanza di investire – da parte
della stessa bilateralità – in un ripensamento del proprio ruolo, interrogandosi su come e in seguito a quali trasformazioni si potrebbe contribuire a
diffondere in modo più capillare il welfare nelle aziende del territorio.
Concludendo, sembra quindi profilarsi una centralità del territorio, che
diventa il luogo di un unico welfare attivato anche con dispositivi di welfare
aziendale, laddove ogni attore, pubblico o privato, opera in una logica che
mette al centro il benessere della collettività. Come organizzare e governare questi processi è un argomento aperto, che richiede il coordinamento
di più attori sotto la regia di un soggetto in grado di svolgere un ruolo
trainante e capacitante.
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Sansavini M. e Santoni V. (2017) Reti tra medie e piccole imprese e collaborazioni tra imprese e attori collettivi nell’implementazione del
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Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi, Torino.
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• FEBBRAIO 2018
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I Quaderni della Fondazione CRC
1. Il bilancio dell’Unione Europea 2007
L’accesso ai finanziamenti comunitari per il territorio (2007)
2. Percezione e notorietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo (2007)
3. “Senectus Ipsa Morbus”
Ricerca sui servizi socio-assistenziali per gli anziani nell’area di Cuneo, Mondovì ed Alba/Bra (2008)
4. L’Università in provincia di Cuneo
Gli studenti residenti in provincia iscritti nelle sedi locali e nella sede di Torino (2008)
5. Cluster produttivi e traiettorie di sviluppo nei territori del cuneese (2009)
6. Il Politecnico di Torino in provincia di Cuneo
Dai dati statistici alle opinioni degli studenti (2009)
7. Il settore delle utilities in provincia di Cuneo
Analisi e prospettive (2009)
8. Università e sviluppo del territorio
Laureati cuneesi della facoltà di Scienze Politiche e mercato del lavoro (2010)
9. L’arte della Fondazione
Valutazione dei progetti di conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico
e architettonico finanziati dalla Fondazione CRC (2010)
10. Un patrimonio valorizzato
Descrizione dei 100 maggiori interventi di restauro architettonico
e artistico finanziati dalla Fondazione CRC (2011)
11. La ricerca della Fondazione
Valutazione di tre anni di Bando Ricerca della Fondazione CRC (2011)
12. L'innovazione sociale in provincia di Cuneo
Servizi, salute, istruzione, casa (2011)
13. Il valore della cultura
Per una valutazione multidimensionale dei progetti e delle attività culturali (2011)
14. L'impatto economico delle università decentrate: il caso di Cuneo (2012)
15. Capitale umano e società della conoscenza: i laureati nelle imprese cuneesi (2012)
16. Innovazione in Comune
Percorsi innovativi nei sette maggiori Comuni della provincia di Cuneo (2013)
17. Disagio psicologico
Diffusione, fattori di rischio, prevenzione e cura (2013)
18. Il mondo a scuola
Alunni stranieri e istituzioni formative in provincia di Cuneo (2013)
19. Terre alte in movimento
Progetti di innovazione della montagna cuneese (2013)
20. Facciamo cose
Progetti di giovani per la provincia di Cuneo (2013)
21. Granda e Green
Green economy in provincia di Cuneo (2014)
22. Langhe e Roero
Tradizione e innovazione (2014)
23. Quelli che lasciano
La dispersione scolastica in provincia di Cuneo (2014)
24. Alla prova della crisi
L'innovazione sociale in provincia di Cuneo (2015)
25. Sviluppo locale
Politiche e progetti in provincia di Cuneo (2015)
26. Prevenire e promuovere
Politiche e progetti per la salute in provincia di Cuneo (2015)
27. Startup in Granda
Imprenditoria innovativa in provincia di Cuneo (2015)
28. Pedalare per lo sviluppo
Il cicloturismo in provincia di Cuneo (2016)
29. Imparare a lavorare
I tirocini in provincia di Cuneo (2017)
30. Formarsi in Granda
La formazione professionale in provincia di Cuneo (2017)
31. Imprese di valore
Le cooperative sociali in provincia di Cuneo (2017)
32. Granda e Smart
Esperienze smart in provincia di Cuneo (2017)
www.fondazionecrc.it
ISBN 978-88-98005-19-2