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Impresa possibile. Welfare aziendale in provincia di Cuneo

2018, I Quaderni della Fondazione CRC

Seguendo la definizione di ciò che è oggi chiamato “welfare aziendale” o “in azienda”, la ricerca presentata in questo Quaderno si è posta l’obiettivo di mappare e analizzare le soluzioni di stampo aziendale, interaziendale e territoriale predisposte in provincia di Cuneo da imprese e rappresentanti dei lavoratori per rispondere ai bisogni dei dipendenti e delle loro famiglie.

2 0 1 8 FE BB RA IO I QUADERNI DELLA FONDAZIONE CRC Impresa possibile Welfare aziendale in provincia di Cuneo 33 Q 33 I QUADERNI DELLA FONDAZIONE CRC • FEBBRAIO 2018 Q 33 QUADERNO 33 La collana Quaderni della Fondazione CRC mette a disposizione i risultati delle ricerche socio economiche promosse dal Centro Studi per esplorare temi di interesse e di prospettiva per il territorio della provincia di Cuneo e per contribuire alla realizzazione e alla valutazione dell’attività propria della Fondazione. La presente ricerca è stata promossa e finanziata dalla Fondazione CRC e realizzata in collaborazione con il Laboratorio di ricerca “Percorsi di secondo welfare” del Centro Einaudi di Torino, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e IPSOS. Centro Studi Fondazione CRC (coordinamento generale e redazionale): Elena Bottasso, Stefania Avetta. Centro Einaudi, Laboratorio di ricerca “Percorsi di secondo welfare”: Franca Maino (coordinamento), Federico Razetti e Valentino Santoni. IPSOS: Andrea Alemanno e Monica Mantovani, in collaborazione con Luca Pesenti, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Si ringraziano tutte le persone, gli enti e le imprese che hanno partecipato ai diversi momenti della ricerca, partecipando alle rilevazioni telefoniche, alle interviste e ai tavoli di lavoro. 2 FEBBRAIO 2018 Impresa possibile Welfare aziendale in provincia di Cuneo A cura di Franca Maino, Federico Razetti e Valentino Santoni Laboratorio di ricerca “Percorsi di secondo welfare” Luca Pesenti Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano C EN TRO STU D I © 2018 Fondazione CRC Via Roma 17 – 12100 Cuneo – Italia www.fondazionecrc.it ISBN 978-88-98005-19-2 Il documento in formato PDF è scaricabile dal sito www.fondazionecrc.it È vietata la riproduzione dei testi, anche parziale, senza autorizzazione Progetto grafico e impaginazione: Bosio.Associati – Savigliano Stampa: Tipolito Europa Chiuso in tipografia a febbraio 2018 Indice p. 8 11 15 15 18 24 28 28 28 32 Presentazione Introduzione 1. Il welfare in azienda: inquadramento del tema e del dibattito 1.1 I termini-chiave: occupazionale, aziendale o in azienda, unilaterale o bilaterale 1.2 Le aree di intervento e la platea dei beneficiari 1.3 Welfare in azienda e connessioni con il territorio: dalla CSR al welfare territoriale 41 2. Il welfare in azienda in Italia 2.1 I principali trend nazionali e internazionali 2.1.1 Il welfare aziendale in Italia in prospettiva comparata 2.1.2 Le dimensioni del fenomeno in Italia: evidenze dalle principali ricerche 2.2 La normativa di riferimento: nuove opportunità per la diffusione del welfare aziendale 2.2.1 La normativa fiscale e le novità introdotte dalle Leggi di Stabilità 2016 e 2017 2.2.2 Lo smart working 45 45 48 52 53 64 67 3. La parola alle imprese 3.1 Lo scenario economico produttivo della provincia di Cuneo 3.2 Il disegno della ricerca e le caratteristiche del campione 3.3 Che cosa succede in azienda: la soddisfazione interna 3.4 La cultura aziendale e il welfare: percezioni e comprensioni 3.5 L’impatto del welfare sull’organizzazione 3.6 Conclusioni: il welfare aziendale è utile alle imprese? 68 68 69 69 73 4. Il punto di vista degli attori del sistema produttivo e sociale 4.1 Il disegno della ricerca 4.2 Il punto di vista degli stakeholder 4.2.1 Che cosa è e a che cosa serve il welfare aziendale 4.2.2 I rischi e le opportunità alla luce delle recenti innovazioni del quadro normativo 4.2.3 Il ruolo della contrattazione 4.3 Alcune iniziative in campo 4.4 Le grandi imprese 4.5 I provider di welfare aziendale 38 38 75 77 79 84 5 • FEBBRAIO 2018 Q 33 87 88 89 91 93 95 96 100 6 4.6 Gli Enti bilaterali 4.6.1 La Cassa edile di Cuneo 4.6.2 L’EBAT-FAVLA e il FAVLA Coop 4.6.3 L’Ente Bilaterale Artigianato Piemontese – EBAP e il bacino territoriale di Cuneo 4.6.4 Gli Enti Bilaterali del Commercio e del Turismo 4.6.5 L’Ente Bilaterale della Cooperazione Cuneese 4.7 I (primi) passi verso il welfare territoriale 100 102 5. Considerazioni di sintesi e indicazioni di policy per la diffusione del welfare aziendale e territoriale 5.1 I risultati: una sintesi 5.2 Le direttrici di sviluppo e le indicazioni di policy 110 Bibliografia 7 IMPRESA POSSIBILE • FEBBRAIO 2018 Q 33 Presentazione La Fondazione CRC si propone di contribuire allo sviluppo locale e alla coesione sociale in provincia di Cuneo anche favorendo interventi di innovazione sociale e di sperimentazione di nuove forme di welfare comunitario, con il coinvolgimento attivo degli attori istituzionali, economici e sociali attivi a livello locale. In virtù di questa priorità, il Centro Studi della Fondazione ha sviluppato negli anni un filone di analisi dedicato al welfare locale e ai suoi principali protagonisti, al fine di evidenziarne peculiarità, tendenze in corso e prospettive. Come per mettere a disposizione le tessere di un puzzle da costruire, si è analizzato il sistema dei servizi sociali della provincia di Cuneo (Quaderno on line del 2012, realizzato con ARS), si sono esplorati i processi, i progetti e gli attori pubblici e privati dell’innovazione sociale, anche alla prova della crisi (Quaderni n. 12 del 2011 e n. 24 del 2015, con IRES Piemonte). Quindi si è indagato il settore, dal più consolidato a quello più sperimentale, delle iniziative di prevenzione e promozione della salute (Quaderno n. 26 del 2015). Lo scorso anno, si è presentata l’indagine sul mondo della cooperazione sociale e delle trasformazioni in atto, alla luce della riforma del Terzo settore e di sviluppo dell’impresa sociale (Quaderno n. 31, 2017). Anche a partire dai risultati di questi lavori, la Fondazione ha avviato importanti iniziative nell’ambito della Promozione sociale, tra cui il Bando Cantiere Nuovo Welfare, il Bando per la prevenzione e promozione della salute, il progetto VelA, Verso l’Autonomia dedicato alle persone con disabilità: tutte iniziative accomunate dalla finalità di stimolare la nascita di esperienze concrete di welfare comunitario, efficaci e sostenibili nel tempo, attraverso un forte e simultaneo coinvolgimento della rete pubblica, privata e sociale. In questo contesto, si è ritenuto interessante proseguire e ampliare l’analisi della situazione e delle potenzialità del territorio provinciale, andando a esplorare il tema del welfare aziendale, sempre più oggetto di attenzione e interesse, anche alla luce delle recenti novità legislative. L’indagine – realizzata grazie alla preziosa collaborazione del Laboratorio di ricerca del Centro Einaudi «Percorsi di secondo welfare», diretto da Franca Maino, e di IPSOS con il coinvolgimento di Luca Pesenti – restituisce una prima fotografia della diffusione e delle caratteristiche del welfare aziendale, interaziendale e territoriale in provincia di Cuneo, ma anche il punto di vista dei principali stakeholder locali sulle criticità e sui possibili sviluppi. 8 IMPRESA POSSIBILE Il Quaderno evidenzia che alcune iniziative sono in corso, che molto è ancora da fare – in particolare rispetto alle sfere dei nuovi bisogni, come l’assistenza sociale e sanitaria o la conciliazione dei tempi di vita e lavoro –, ma soprattutto che lo sviluppo di un “buon” welfare aziendale è una “impresa possibile”, anche in un territorio come il nostro caratterizzato da una grande diffusione di piccole e piccolissime imprese. Ci auguriamo che questo lavoro rappresenti un’occasione per riflettere sull’opportunità di promuovere pratiche innovative di welfare aziendale di natura territoriale, che vedano il coinvolgimento di imprese grandi e piccole, organizzazioni sindacali e datoriali, enti bilaterali, soggetti del terzo settore, pubbliche amministrazioni locali, allo scopo di rispondere ai bisogni, vecchi e nuovi, dei cittadini, incluse le categorie meno tutelate, come i giovani, i precari, i lavoratori autonomi e le loro famiglie. Il Centro Studi 9 10 Q 33 • FEBBRAIO 2018 IMPRESA POSSIBILE Introduzione Seguendo la definizione di ciò che è oggi chiamato “welfare aziendale” o “in azienda”, la ricerca presentata in questo Quaderno si è posta l’obiettivo di mappare e analizzare le soluzioni di stampo aziendale, interaziendale e territoriale predisposte in provincia di Cuneo da imprese e rappresentanti dei lavoratori per rispondere ai bisogni dei dipendenti e delle loro famiglie. Quello del welfare aziendale è un fenomeno che sta sempre più catturando l’attenzione e l’interesse di studiosi, parti sociali e decisori politici, e che va senz’altro collocato nel più ampio quadro caratterizzato dai processi di trasformazione dei tradizionali sistemi di protezione sociale: si tratta di dinamiche innescate da ragioni di tipo funzionale (la crescente inadeguatezza dei meccanismi esistenti per tutelare gli individui dai “nuovi rischi” sociali) e rese ancora più urgenti dalla crisi economica dell’ultimo decennio, che ha acuito le condizioni di bisogno in cui si trovano larghe fasce della popolazione, oltre a irrigidire i vincoli di bilancio cui è sottoposta la finanza pubblica. La combinazione di questi fattori ha determinato squilibri funzionali e finanziari che in Italia, come noto, si sono manifestati con particolare intensità, per via di uno sviluppo storicamente disarmonico del sistema pubblico di welfare (fortemente sbilanciato sul fronte previdenziale) e di un ingente debito pubblico, che sembra limitare la capacità del welfare di rinnovarsi e ricalibrarsi adeguatamente, in funzione dei (nuovi) bisogni. Si è così gradualmente assistito al fiorire di numerose iniziative di protezione e investimento sociale sostenute dall’impegno e dalla mobilitazione di un’ampia platea di attori non pubblici, caratterizzati da un forte radicamento territoriale: si pensi ai soggetti del terzo settore, alle fondazioni di origine bancaria, a quelle di impresa e di comunità, alle associazioni datoriali e alle organizzazioni sindacali. Oggi, una delle questioni centrali è, dunque, capire quale contributo possano offrire, nello scenario appena descritto, stakeholder rilevanti, come le parti sociali, attraverso gli strumenti del welfare aziendale per offrire risposte a bisogni sociali che il Pubblico fatica (almeno per ora) a soddisfare. A giudicare dal livello della discussione pubblica, lo sviluppo del welfare aziendale in Italia sembra un fenomeno assodato. La spinta impressa dalle più recenti innovazioni legislative, che hanno definito un quadro normativo favorevole allo sviluppo di queste forme di protezione sociale di iniziativa privata, ha certamente avviato una stagione nuova, rendendo particolarmente vantaggioso per le aziende l’introduzione di benefit e 11 • FEBBRAIO 2018 Q 33 12 servizi di welfare. È però ancora da dimostrare il fatto che queste pratiche siano uscite dal perimetro entro cui sono state storicamente confinate, cioè da quello di alcune grandi imprese, in prevalenza manifatturiere, come descritto dalle poche ricerche sinora dedicate all’argomento. Appare dunque evidente la necessità di realizzare ricerche sistematiche capaci di restituire un’immagine rappresentativa dell’universo delle imprese. Considerando le difficoltà e i costi non irrilevanti di un’impresa scientifica che ambisca a coprire l’intero territorio nazionale, risulta di particolare interesse avventurarsi in ricerche più mirate, mettendo sotto la lente di ingrandimento specifici territori, garantendosi in questo modo contesti di riferimento sufficientemente contenuti e dunque adeguatamente trattabili in termini scientifici. A questi vantaggi si aggiungono quelli dati dalla possibilità di scendere maggiormente in profondità nell’analisi del fenomeno, esplorandone caratteristiche, processi e sviluppi tramite l’impiego combinato di tecniche quantitative e qualitative. Il tessuto produttivo della provincia di Cuneo costituisce un interessante contesto in cui osservare il fenomeno del welfare aziendale. Quello cuneese è, infatti, un territorio “ricco” (produce il 14% della ricchezza dell’economia piemontese, per un valore aggiunto pro capite superiore a quello medio regionale) e che prima di altri sembra definitivamente avviato a uscire dalla lunga crisi iniziata dieci anni fa, che pure ha lasciato i propri segni sul territorio, soprattutto sui livelli occupazionali. In questo tessuto convivono alcune grandi imprese di punta, leader a livello nazionale e internazionale, e moltissime di quelle imprese piccole e medio-piccole per le quali le barriere al welfare in azienda sono generalmente ritenute più difficili da superare. Tenendo presente questi elementi, la ricerca sul welfare nelle aziende cuneesi ha inteso rispondere a tre interrogativi principali: • quali sono le caratteristiche e quale la diffusione del welfare aziendale e contrattuale nel territorio della provincia di Cuneo? • quali sono i tratti caratteristici dei piani di welfare aziendale nelle imprese cuneesi, con particolare riferimento al tema della conciliazione vita-lavoro? • è possibile estendere (e, nel caso, attraverso quali leve e strumenti) all’insieme del tessuto produttivo, composto soprattutto da imprese di medio-piccole dimensioni, il welfare aziendale che alcune realtà hanno già positivamente attivato, integrandolo con i servizi pubblici e privati presenti a livello locale e facendo in modo sistemico sinergia con gli stakeholder del territorio? La ricerca, avviata con la composizione del gruppo di lavoro e la revisione della letteratura sul tema, si è tradotta in una discesa sul campo di osservazione a partire da gennaio 2017, grazie all’effettuazione di un’indagine quantitativa (curata da IPSOS con la consulenza scientifica di Luca Pesenti, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) e di IMPRESA POSSIBILE una serie di approfondimenti di natura qualitativa (condotti da Franca Maino, Federico Razetti e Valentino Santoni del Laboratorio Percorsi di secondo welfare). Il presente Quaderno è organizzato in tre parti. Nella prima parte (capitoli 1 e 2) si intendono offrire gli strumenti analitici e gli elementi di contesto per mettere a fuoco il fenomeno oggetto di analisi, rispondendo ad alcune domande-chiave, che ci consentano di collocare tale fenomeno nel quadro del dibattito, delle politiche e delle esperienze attive dal livello europeo a quello locale: che cosa si intende esattamente con l’espressione “welfare aziendale”? Qual è la sua diffusione in Italia e negli altri Paesi europei? E quale la normativa di riferimento nel nostro Paese? Definiti tali elementi di sfondo, la seconda parte del Quaderno (capitoli 3 e 4), dopo aver fornito una breve descrizione delle caratteristiche più rilevanti di quel tessuto produttivo che dovrebbe rappresentare il terreno di coltura delle esperienze analizzate in questo rapporto, restituisce le evidenze empiriche emerse dal lavoro di ricerca realizzato “sul campo” attraverso l’adozione di due strategie parallele: quantitativa e qualitativa. L’indagine quantitativa – realizzata tramite una survey a un campione di 189 aziende, rappresentativo delle imprese del territorio – ha inteso misurare l’attuale diffusione del fenomeno nel tessuto produttivo cuneese, ma anche raccogliere il punto di vista delle imprese sullo stato dell’arte, le criticità, e i possibili sviluppi del welfare in azienda in provincia di Cuneo, registrandone il sentimento di fondo rispetto a un tema che probabilmente non è ancora entrato appieno nella cultura delle aziende italiane. I principali risultati emersi dalla survey sono illustrati nel capitolo 3. Sul fronte dell’analisi qualitativa, le interviste in profondità con i principali stakeholder del tessuto produttivo locale – analizzate nel capitolo 4 – hanno invece permesso di approfondirne posizionamento e aspettative in merito al tema oggetto dell’indagine, oltreché di individuare limiti e potenzialità del welfare aziendale a Cuneo alla luce delle best practice a oggi osservabili e delle recenti innovazioni legislative in materia. Nella terza parte, il capitolo 5, oltre a ricapitolare gli elementi più significativi emersi dalla ricerca realizzata, propone alcune riflessioni e indicazioni di policy per il contesto cuneese in vista di un possibile rafforzamento e di una più ampia diffusione del welfare in chiave aziendale e, auspicabilmente, territoriale. 13 IMPRESA POSSIBILE Parte prima • Il fenomeno 1. Il welfare in azienda: inquadramento del tema e del dibattito Prima di addentrarci negli aspetti più tecnici definiti dalla normativa di riferimento, le cui recenti modifiche hanno senza dubbio contribuito a riaccendere i riflettori sul tema di questa ricerca, nelle pagine seguenti saranno definiti i termini-chiave di un dibattito che negli ultimi anni è diventato particolarmente intenso, tanto fra gli addetti ai lavori (organizzazioni sindacali e associazioni datoriali di rappresentanza) quanto fra gli studiosi di organizzazione del lavoro e sistemi di protezione sociale. Il fenomeno, che affonda le sue radici nel paternalismo industriale del XIX secolo – si pensi ai casi di Alessandro Rossi, Gaetano Marzotto, Silvio Benigno Crespi, solo per citare i più noti1 – è profondamente mutato nel corso del tempo: il welfare aziendale che osserviamo oggi è diverso non solo da quello di Rossi, Marzotto e Crespi, ma anche da quello più moderno e democratico elaborato negli anni Cinquanta da un imprenditore visionario come Adriano Olivetti (Pesenti, 2016a). Dopo un periodo di relativo declino delle iniziative aziendali di welfare, si assiste oggi a una loro rinascita, in un contesto economico, sociale e demografico profondamente mutato. Il fermento registrato negli ultimi anni su questo fronte non si è tuttavia accompagnato a un’attenzione rigorosa alle definizioni: ciò ha lasciato i termini centrali del dibattito – come “welfare aziendale”, “occupazionale”, “contrattuale” – privi di un ancoraggio concettuale chiaro e condiviso. Proprio per questo, prima di procedere a illustrare quanto emerso dalla ricerca condotta nella provincia di Cuneo, appare indispensabile partire da una definizione dei concetti impiegati. 1.1 I termini-chiave: occupazionale, aziendale o in azienda, unilaterale o bilaterale Assumendo una definizione lata, il welfare aziendale può essere ricondotto al concetto più vasto di “welfare occupazionale” (Titmuss, 1958), inteso come quell’insieme di dispositivi in denaro e servizi forniti ai dipendenti dalle aziende private e dallo Stato (nella sua veste di datore di lavoro), in conseguenza del rapporto di lavoro che intercorre fra i primi e i secondi, con l’obiettivo di accrescere il benessere personale e lavorativo dei dipendenti stessi e, spesso, dei loro nuclei familiari. Mentre l’accesso al welfare aziendale, da parte dei lavoratori, è ne- Welfare occupazionale 1 Si pensi alle numerose esperienze di “villaggi operai” e “città-fabbrica” del secondo Ottocento che, in Italia, hanno riguardato soprattutto l’industria tessile. Sul tema si rimanda, tra gli altri, a Bairati (1986), Levi (1986), Benenati (1999) e Ciuffetti (2004). 15 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Unilaterale e bilaterale Contrattazione collettiva nazionale 16 cessariamente subordinato alla loro condizione occupazionale, l’offerta di beni e servizi di welfare può originare da fonti diverse. Può infatti essere il risultato di un'iniziativa assunta unilateralmente dall’impresa, che decide in via discrezionale di premiare i propri dipendenti (o parte di essi) attraverso l’offerta di alcuni beni, servizi o erogazioni monetarie: si parla allora di welfare aziendale unilaterale. Al contrario, l’offerta di welfare può essere la conseguenza di un accordo collettivo che vede coinvolti, da un lato, l’impresa o le associazioni di rappresentanza datoriale e, dall’altro, le organizzazioni sindacali: si parla, in questo caso, di welfare aziendale bilaterale, contrattuale o negoziato (Massagli e Spattini, 2017). Con riferimento al contesto italiano, questo accordo collettivo può valere a livello nazionale per un’intera categoria ed essere incluso nel rinnovo del rispettivo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), oppure essere valido a livello di contrattazione territoriale (regionale o provinciale), di gruppo o di singola impresa (fig. 1). Se le forme più tradizionali di intervento dell’impresa nel campo del sostegno al benessere dei lavoratori e dei loro familiari sono state improntate all’adozione di uno stile tendenzialmente unilaterale, venato di un certo paternalismo, in tempi più recenti a queste modalità si sono via via affiancate quelle di derivazione contrattuale. La manifestazione più chiara di questa trasformazione si ritrova, sul piano normativo, nelle modifiche introdotte al Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) dalla Legge di Stabilità 2016, che hanno determinato il definitivo superamento dell’impianto paternalistico della normativa, che poggiava sull’identificazione fra welfare aziendale e interventi sociali concessi unilateralmente dall’impresa ai propri dipendenti. In questo processo, in Italia la contrattazione collettiva nazionale ha giocato un ruolo particolarmente rilevante sia nel campo della previdenza complementare sia in quello della sanità integrativa, prevedendo l’istituzione di fondi dedicati ai lavoratori delle diverse categorie (i cosiddetti fondi negoziali bilaterali o negoziali). Un numero crescente di contratti nazionali ha successivamente esteso l’attenzione ad altre aree del welfare, soprattutto attraverso la fissazione di linee-guida volte a dare impulso alla contrattazione di secondo livello (territoriale o aziendale) su questi temi (Treu, 2013; 2016). IMPRESA POSSIBILE Figura 1. Le fonti del welfare in azienda Normativa nazionale Contrattazione categoriale (nazionale e/o territoriale) Accordi interaziendali Contrattazione di gruppo Contrattazione aziendale Scelte aziendali Offerta di prestazioni di welfare ai lavoratori (e ai loro familiari) Fonte: rielaborazione da Pavolini et al., (2013, p. 43) Si consideri infine che le diverse fonti di welfare occupazionale non si escludono a vicenda, ma possono convivere, stratificarsi e integrarsi anche nella stessa impresa. Proprio per sottolineare che non sempre il welfare aziendale ha origine (esclusivamente) nella singola azienda, alcuni autori propongono di utilizzare l’espressione “welfare in azienda” (Pavolini et al., 2013), così da cogliere la natura occupazionale di benefit e servizi ricevuti dai lavoratori, senza però ricollegarli direttamente e necessariamente alle decisioni a livello di singola impresa. Coerentemente con questa impostazione, diventa così possibile distinguere fra misure di welfare derivanti da decisioni – unilaterali o bilaterali – aziendali in senso stretto, e il cosiddetto “welfare in azienda”, che ricomprende anche le altre forme di welfare occupazionale, ovvero quelle che scaturiscono da decisioni assunte dalle parti sociali a livello nazionale e/o territoriale (fig. 2). Welfare in azienda 17 • FEBBRAIO 2018 Bilaterale (negoziato o contrattuale) Unilaterale (non contrattuale) Nazionale Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) Territoriale Contratti Integrativi regionali o provinciali Aziendale o di gruppo Contratto Integrativo aziendale (fra impresa e RSA o RSU) Aziendale o di gruppo Concessione unilaterale del datore di lavoro Welfare aziendale Welfare in azienda Q 33 Figura 2. Il welfare in azienda tra unilateralità e bilateralità Fonte: elaborazione degli autori 1.2 Le aree di intervento e la platea dei beneficiari Aree di intervento 18 Il dibattito sulle misure di welfare in azienda investe non solo la questione relativa alle fonti e ai processi da cui può scaturire, ma anche i prodotti (cioè il tipo di prestazioni) che in esso possono essere ricompresi. In altre parole, non tutti concordano sull’estensione della gamma di erogazioni monetarie, beni e servizi da includere nella sfera del welfare in azienda propriamente inteso. Se da una parte, in linea con Titmuss (1958), alla cui riflessione pioneristica si deve l’espressione stessa “welfare occupazionale” (occupational welfare), alcuni autori collocano all’interno di quest’ultimo anche i cosiddetti fringe benefits (benefit non salariali come la fornitura di attività socio ricreative), dall’altra altri studiosi preferiscono circoscrivere l’applicazione del concetto a quegli interventi più direttamente collegati al tema della protezione degli individui rispetto ad alcuni rischi sociali, più o meno nuovi: il venir meno della salute, l’invecchiamento, la difficoltà di conciliare oneri familiari e carichi lavorativi e così via. Scendendo più nel dettaglio nell’identificazione delle aree di intervento del welfare aziendale, due settori – salute e previdenza – possono considerarsi relativamente consolidati all’interno dei piani retributivi, ma non per questo meno rilevanti, in particolare alla luce delle trasformazioni socio economiche in corso (si pensi in particolare all’invecchiamento della popolazione). IMPRESA POSSIBILE Come anticipato, nel campo della tutela della salute ai lavoratori e ai familiari a carico può essere offerta una copertura integrativa attraverso l’adesione a un fondo sanitario integrativo di origine contrattuale, ma anche attraverso la sottoscrizione di una polizza assicurativa o la costituzione di un fondo aziendale ad hoc; a ciò possono poi affiancarsi l’organizzazione, a livello di azienda o di gruppo, di programmi di prevenzione e di screening o la messa a punto di interventi di sensibilizzazione della popolazione aziendale su temi legati alla tutela della salute e all’adozione di stili di vita sani. Nel campo della previdenza complementare, le misure di welfare in azienda possono consistere, oltre che nell’adesione ai fondi contrattuali di categoria da parte dei lavoratori, anche nel versamento di contributi addizionali – da parte dell’azienda – ai fondi di previdenza complementare cui i lavoratori abbiano eventualmente aderito. Solo in pochi casi – quelli costituiti da imprese di grandi dimensioni, in possesso di una platea sufficientemente ampia su cui distribuire il rischio – l’intervento aziendale può consistere nella costituzione di un proprio fondo di previdenza complementare o di assistenza sanitaria integrativa: in Italia è il caso, per esempio, di grandi gruppi come Intesa Sanpaolo o Fincantieri. In un campo di assistenza più innovativo e più recente, a cavallo fra tutela della salute, non autosufficienza e vecchiaia, si collocano le polizze assicurative cosiddette Long Term Care (LTC) destinate ai dipendenti, ma anche varie altre forme di sostegno agli oneri di cura dei familiari non autosufficienti (coniugi, figli, genitori). Quest’ultimo tipo di beneficio può chiaramente contribuire alla facilitazione della conciliazione vita-lavoro (o work-life balance), in particolare per la forza lavoro femminile che è quella su cui ancora oggi, in Italia, gravano con più intensità le attività di accudimento all’interno dei nuclei familiari2. Gli interventi di work-life balance spaziano dall’adozione, da parte dell’impresa, di strumenti vari di flessibilità oraria alla previsione di rimborsi e convenzioni, fino all’erogazione diretta di servizi per la famiglia e la genitorialità. Più in generale, l’ambito delle misure a sostegno della conciliazione si può, infatti, dividere in tre sottocategorie in base alla natura del benefit offerto: denaro, servizi e tempo (Seeleib-Kaiser e Fleckenstein, 2009). Con denaro si intendono tutti quegli strumenti di sostegno al reddito familiare che consistono in un’erogazione monetaria – come per esempio i rimborsi delle spese scolastiche sostenute per i figli – mentre i servizi sono forniti direttamente dall’azienda e, spesso, all’interno della stessa struttura di lavoro: emblematico l’esempio dell’asilo nido aziendale, ma si Salute Previdenza Long Term Care Conciliazione Altri strumenti 2 Va qui sottolineato che le misure di conciliazione tematizzano ancora troppo poco il ruolo maschile nella cura e nella gestione della vita familiare. Adottando una prospettiva di genere (Holter, 2007; Den Dulk et al., 2012; Gaiaschi, 2014), si notano due elementi di criticità (Cannito, 2017b): il primo attiene alla neutralità di genere delle politiche aziendali che si traduce spesso in una implicita associazione fra problemi di conciliazione e donne/madri; il secondo riguarda i modelli di organizzazione del lavoro che, troppo legati all’ideologia delle “sfere separate”, sembrano mutare più lentamente delle politiche e dei bisogni degli individui. 19 • FEBBRAIO 2018 Q 33 pensi anche agli sportelli informativi e di consulenza psicologica, sanitaria o legale. La categoria tempo comprende, infine, strumenti come la concessione del part-time, varie forme di flessibilità oraria in ingresso e uscita, e le novità introdotte sotto l’etichetta di “lavoro agile” (o smart working): si tratta di soluzioni per l’azienda spesso economicamente più accessibili (non comportano, infatti, un investimento diretto di risorse economiche), benché necessitino di uno sforzo di riorganizzazione interna delle attività e del personale3. A tali strumenti si aggiunge la disciplina dei permessi e dei congedi, che può stabilire condizioni di miglior favore rispetto alla normativa e ai contratti collettivi nazionali vigenti per quanto riguarda il diritto a usufruire di permessi retribuiti e/o la possibilità di ricevere dall’azienda integrazioni del salario durante il congedo di maternità o per assistere persone non autosufficienti. Le misure di welfare aziendale possono poi intervenire a sostegno del reddito dei lavoratori direttamente (per esempio, facilitando l’accesso al credito o alla casa) o, indirettamente, grazie a interventi mirati ad accrescerne il livello di occupabilità, tramite la partecipazione dell’impresa a spese di formazione o all’organizzazione di percorsi interni di life-long learning (in particolare se spendibili al di fuori dell’impresa). A tutte queste aree di intervento riconducibili al welfare in senso stretto, si devono poi aggiungere quelle non ricollegabili a bisogni sociali fondamentali. In questo caso, le misure sembrano collegate essenzialmente alle sfere più ludiche del tempo libero, del lifestyle e della wellness: si pensi alle agevolazioni per gli abbonamenti in palestra o in piscina, o alla partecipazione a spese di viaggio. Come anticipato, da un punto di vista teorico, proprio per l’assenza di un legame forte fra questo tipo di interventi e il soddisfacimento di bisogni sociali fondamentali, tali misure non registrano un consenso unanime relativamente alla loro collocazione nella categoria del welfare. Se si opta per una definizione restrittiva, il welfare in azienda può così essere inteso come «l’insieme delle prestazioni (monetarie o in natura) volte a rispondere a bisogni di base legati alla famiglia, all’infanzia, all’abitazione e a tutelare i cittadini dall’indigenza e dai rischi derivanti dall’assenza di reddito in caso di malattia, maternità, infortunio, invalidità, disoccupazione, vecchiaia. Rientrano in questa definizione anche le prestazioni relative all’istruzione e alla sanità» (Massagli e Spattini, 2017). Dopo aver considerato la gamma di erogazioni monetarie, beni e servizi che possono comporre un paniere di welfare in azienda, può essere infine utile interrogarsi sulla composizione della platea dei beneficiari cui le diverse prestazioni appena passate in rassegna sono destinate. 3 Per un approfondimento della normativa italiana in materia e dei suoi sviluppi più recenti, si rinvia al capitolo 2.2 di questo Quaderno. 20 IMPRESA POSSIBILE Innanzitutto, bisogna precisare che, nella maggior parte dei casi, le misure per i lavoratori sono estese, almeno in parte, ai loro familiari (generalmente, a quelli fiscalmente a carico). In secondo luogo, occorre considerare se i benefici del welfare aziendale sono destinati a tutti i lavoratori, se sono differenziati in base al loro inquadramento, se sono riservati solo ad alcuni e se sono collegati – in tutto o in parte – alla componente variabile del salario. Ovviamente, la definizione dei beneficiari dipende in larga parte dall’origine – unilaterale o bilaterale – del pacchetto di welfare previsto, oltreché dal movente prevalente alla base della sua introduzione: il miglioramento del clima aziendale e dell'immagine pubblica dell'impresa; il trattenimento di risorse umane particolarmente qualificate (la cosiddetta retention); l’attrazione di nuovi talenti (attraction); la moderazione salariale. In linea con l’adozione di una definizione restrittiva, incrociando le due dimensioni appena prese in esame – le aree di intervento e la platea dei beneficiari – diventa possibile delimitare il perimetro del welfare in azienda (interventi rivolti a vecchi e nuovi bisogni sociali), distinguendolo dalle aree affini e contigue del tempo libero, della wellness e del lifestyle (tab. 1). Coerentemente con questa definizione di welfare in azienda, nella parte di ricerca empirica realizzata tramite survey, non si sono considerati come “propriamente welfare” l’utilizzo di incentivi e premi di produzione per il personale (se non quando convertiti in welfare) e la valorizzazione dell’occupazione femminile tramite promozione delle pari opportunità. Pur rientrando nel perimetro del welfare, si è inoltre deciso di escludere dal conteggio alcune aree di intervento presenti in modo generalizzato fra le imprese, come la concessione del part-time e altre forme di flessibilità oraria, e i benefit/servizi per il pranzo dei dipendenti, così da ottenere un dato il più possibile sensibile all’effettiva presenza di un impegno specifico sul tema del welfare. Infine, non sono stati considerati gli interventi per la formazione dei dipendenti, in virtù della difficoltà di distinguere fra quelli realizzati in adempimento a obblighi di legge, che non possono essere considerati propriamente welfare, e gli interventi su base volontaria, che invece possono costituire una parte del piano di welfare aziendale. Beneficiari Welfare aziendale in senso stretto 21 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Tabella 1. Il perimetro del welfare in azienda: destinatari e aree di intervento Generalità dei dipendenti o categorie con reddito più basso Personale dirigente Destinatari Salute Vecchiaia e non autosufficienza Fondi sanitari integrativi, anche estesi ai familiari a carico Fondi di previdenza complementare Programmi di prevenzione e screening Contributi extra per la previdenza complementare Sensibilizzazione su stili di vita Polizze Long Term Care Polizze assicurative aggiuntive Piani assicurativi individuali, piani di accumulo Fonte: elaborazione degli autori 22 Area socio assistenziale e benessere Contributi per il sostegno ai care giver privati, ossia coloro che si occupano di familiari con gravi malattie o non autosufficienti Attività per il benessere fisico e psicologico dei dipendenti; circoli ricreativi Supporto psicologico per i dipendenti con problemi familiari gravi IMPRESA POSSIBILE Sostegno al reddito e all’occupazione Convenzioni con strutture commerciali per i dipendenti, rimborsi abbonamenti mezzi pubblici Conciliazione vita-lavoro Lifestyle e tempo libero Agevolazioni per scuole/ asili nido Borse di studio per soggiorni all’estero di dipendenti e familiari Misure come asili nido aziendali, smart working, lavoro agile, rimborsi o voucher, ecc. Tassi agevolati per mutui, finanziamenti Concessione di part time e orari flessibili Housing, affitti a prezzi calmierati Servizi di disbrigo, maggiordomo aziendale Formazione professionale per i dipendenti Buoni pasto/mensa aziendale/convenzioni con ristoranti e caffetterie Palestra, massaggi, intrattenimento e cultura (concerti, mostre, cinema, ecc.), spettacoli teatrali, stazioni termali, centri benessere, vacanze, crociere. Automobile aziendale, telefono cellulare Valorizzazione delle pari opportunità (occupazione femminile) Incentivi/premi di produzione per il personale 23 • FEBBRAIO 2018 Q 33 1.3 Welfare in azienda e connessioni con il territorio: dalla CSR al welfare territoriale Welfare aziendale territoriale Corporate Social Responsibility Definiti fonti, gamma e destinatari del welfare in azienda, un’ulteriore dimensione che merita di essere esaminata con attenzione è il suo grado di apertura e di integrazione con il territorio in cui l’impresa è collocata. L’azienda può infatti decidere di coinvolgere – in vario modo – altri soggetti del territorio nelle fasi di ideazione, implementazione e gestione del proprio sistema di welfare, prevedere con tali soggetti la condivisione del piano stesso, oppure, ancora, mettere i propri servizi di welfare a disposizione non solo dei propri lavoratori e dei loro familiari, ma anche della comunità territoriale di riferimento. Negli ultimi anni si è, in effetti, assistito alla diffusione crescente di un welfare aziendale di natura territoriale, fatto da un insieme ampio e articolato di misure e iniziative che vedono il coinvolgimento di numerosi soggetti – imprese, organizzazioni sindacali e datoriali, ma anche enti bilaterali, società di mutuo soccorso e assicurazioni, fondi previdenziali, soggetti del terzo settore e pubbliche amministrazioni locali – nella sperimentazione di soluzioni innovative sotto il profilo sociale, in grado di leggere i bisogni del territorio e di tutti i suoi cittadini (non solo quindi dei lavoratori), valorizzando le risorse presenti nel contesto locale di riferimento: da quelle finanziarie a quelle organizzative, da quelle umane fino alle nuove tecnologie. La diffusione di questa forma di welfare – che punta a superare i confini aziendali e guarda al territorio – è strettamente connessa con la diffusione della Corporate Social Responsibility (CSR) o Responsabilità Sociale di Impresa (RSI). Teorizzato per la prima volta negli anni Cinquanta, il concetto di CSR ha conosciuto nel corso del tempo rilevanti trasformazioni, diventando sempre più centrale per le scelte strategiche di un numero crescente di imprese4. Attualmente, la Corporate Social Responsibility si riferisce al modo con cui «un’impresa gestisce e migliora il suo impatto ambientale e sociale per generare valore sia verso i suoi azionisti che verso i suoi stakeholder, innovando la sua strategia, la sua organizzazione e i suoi comportamenti» (CSR Europe). L’impresa è quindi chiamata alla responsabilità rendendo conto agli altri della propria condotta. L’aggettivo “sociale” fa riferimento al fatto che le decisioni dell’impresa devono tenere conto degli stakeholder (clienti, collaboratori, fornitori, comunità locale, istituzioni, finanziatori, opinione pubblica, concorrenti) con cui l’impresa ha contatti e relazioni, che influenza e da cui è influenzata. Stakeholder che possono essere distinti tra coloro che partecipano attivamente alla gestione aziendale e coloro 4 Si vedano in particolare le pioneristiche riflessioni sui doveri del businessman elaborate da Bowen (1953) e successivamente quelle sulla “piramide delle responsabilità sociali” proposte da Carroll (1979), che in chiave più moderna sposta la titolarità della responsabilità sociale dalla figura dell’imprenditore a quella dell’impresa. 24 IMPRESA POSSIBILE che, pur non partecipando direttamente all’attività di impresa, possono subirne gli effetti esterni, positivi o negativi (Freeman, 1984). In ogni caso, l’ascolto preventivo degli stakeholder porta a stabilire una relazione di fiducia tra impresa e portatori di interesse e, nel contempo, a identificare nuove opportunità in un’ottica di posizionamento competitivo dell’azienda sul mercato. Una forte spinta alla diffusione della CSR è venuta dall’Unione Europea che, dall’inizio degli anni Duemila, ne lega apertamente lo sviluppo alla definizione di una strategia economica sostenibile e necessariamente attenta alla dimensione sociale. Così nel 2001 il Consiglio europeo ha approvato il Libro Verde Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, al cui interno viene proposta una definizione di responsabilità sociale d’impresa quale «decisione volontaria di contribuire al progresso della società e alla tutela dell’ambiente, integrando preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle operazioni aziendali e nelle interazioni con gli stakeholder». All’interno del documento si individuano le due dimensioni della CSR: quella interna all’impresa (gestione delle risorse umane, tutela di salute e sicurezza dei lavoratori, gestione degli effetti sull’ambiente) e quella esterna (rapporti con le comunità locali, partnership commerciali, rapporti con i fornitori e consumatori, attenzione all’ambiente). Nella Comunicazione della Commissione europea del 2002, sono inoltre individuate tre caratteristiche-chiave della CSR: volontarietà, sostenibilità e gestione. Innanzitutto, le imprese adottano comportamenti socialmente responsabili al di là delle prescrizioni legali e assumono volontariamente tali impegni perché ritengono che nel lungo periodo questo sia nel loro interesse. In secondo luogo, la responsabilità sociale delle imprese è intrinsecamente connessa con il concetto di sviluppo sostenibile: le imprese devono infatti tener conto anche delle ripercussioni economiche, sociali e ambientali delle loro attività. Infine, la responsabilità sociale è correlata con il tipo di gestione aziendale, non è un elemento aggiuntivo e accessorio alle attività fondamentali che essa svolge5. Nel 2011, una nuova Comunicazione della Commissione europea dal titolo Strategia rinnovata dell’UE per il periodo 2011-2014 in materia di responsabilità sociale delle imprese, propone una più aggiornata definizione di CSR, intesa come «responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società»6, che sottolinea la necessità di includere nelle pratiche di responsabilità anche le istituzioni. Poco per volta il welfare aziendale assume così sempre maggiore centralità per la Corporate Social Responsibility e per una cultura di impresa che punti alla valorizzazione del capitale umano e alla soddisfazione dei dipendenti, per rispondere ai loro bisogni e a quelli delle loro famiglie in ambiti che hanno una rilevanza sociale, ossia che rappresentano anche una CSR e Unione Europea 5 Comunicazione della Commissione europea relativa alla Responsabilità sociale delle imprese: un contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile, COM 347, 02/07/2002. 6 Comunicazione della Commissione europea Strategia rinnovata dell’UE per il periodo 20112014 in materia di responsabilità sociale delle imprese, COM 681, 25/10/2011. 25 • FEBBRAIO 2018 Q 33 riconosciuta esigenza della collettività e del territorio in cui opera l’azienda. Un elemento che – come messo in evidenza dal progetto CSR Piemonte – emerge anche nel territorio piemontese (Box 1). BOX 1. La CSR fra le imprese piemontesi Regione Piemonte e Unioncamere Piemonte hanno avviato nel 2009 il progetto CSR Piemonte con l’obiettivo di promuovere la tematica della Responsabilità Sociale d’Impresa quale fattore di competitività, rendendo consapevoli gli imprenditori delle azioni di responsabilità sociale e dei relativi vantaggi attraverso la valorizzazione delle buone pratiche, secondo una logica di trasferimento dei modelli più efficaci. A tal fine, una delle tre azioni del progetto (monitorare, promuovere e divulgare) consiste nel monitoraggio della diffusione delle pratiche di CSR fra le imprese del tessuto produttivo regionale, attraverso la somministrazione di una websurvey 7. Dall’ultimo monitoraggio realizzato (2016), cui hanno partecipato 2.646 delle circa 35 mila imprese piemontesi con almeno cinque addetti, è emerso che il 49,4% delle rispondenti aveva attivato almeno una misura di CSR (in provincia di Cuneo il 52,1%). Il 63,4% delle imprese attive in questo campo affermava di aver investito in «attività di miglioramento delle condizioni lavorative e/o del benessere dei dipendenti». Fra le motivazioni, le più citate consistevano nel miglioramento del clima interno, nell’incremento della produttività dei lavoratori e nel miglioramento dell’immagine aziendale (circa un’impresa su due). Fra gli elementi di freno più citati, la mancanza di risorse economiche aziendali (73,1%) e di incentivi fiscali (54,3%). I risultati percepiti dalle imprese sono stati positivi su più fronti: le imprese che negli anni hanno sviluppato azioni di CSR sono, nella maggioranza dei casi, «rimaste soddisfatte dei risultati raggiunti». Il 77% delle aziende, infatti, si è dichiarata o molto o abbastanza soddisfatta, a dimostrazione che «un approccio sostenibile paga nel tempo, soprattutto in tema di welfare aziendale e di attenzione al benessere dei lavoratori: la maggioranza delle aziende ha riscontrato ricadute positive in seguito alle attività di CSR sviluppate. Più di una impresa su due dichiara di aver rilevato […] un miglioramento dell’immagine aziendale. Il 39,6% ha ottenuto un miglioramento del clima interno e un incremento della produttività del lavoro»8. Circuito economico virtuoso La condivisione di progetti e risorse per l’offerta di nuovi servizi nasce dalla volontà di aiutare i lavoratori a fare fronte alle necessità della vita quotidiana, ma può al tempo stesso innescare un circuito economico virtuoso, favorendo lo sviluppo di strutture sul territorio e la creazione di nuova occupazione, in particolare nel settore dei servizi alla persona. Si possono 7 I risultati sono disponibili online all’indirizzo: www.csrpiemonte.it. Ultimo accesso: 10 settembre 2017. 8 CSR Piemonte, a cura di, (2017) Terzo report sulla CSR in Piemonte, p.31. 26 IMPRESA POSSIBILE interpretare in questa ottica, per esempio, le esperienze dei nidi aziendali realizzati ad Alba su iniziativa della famiglia Ferrero (una struttura che offre i propri servizi non solo ai dipendenti della nota impresa dolciaria, ma anche alle famiglie del territorio) e di Giuseppe Miroglio, fondatore dell’omonima impresa: l’asilo, infatti, non è più riservato ai soli figli dei dipendenti, ma è aperto all’esterno, in modo che – come si legge sul sito internet della Fondazione Miroglio – «tutta la comunità locale possa usufruirne»9. La messa a punto di formule aggregative intorno al tema del welfare aziendale, capaci di non confinarlo entro il perimetro dell’impresa, ma di metterlo in connessione con il territorio in cui l’impresa stessa opera, necessita, però, anche dell’appoggio delle istituzioni, non solo in termini di finanziamento, ma anche di supporto per la partecipazione ai bandi e di accompagnamento nell’intraprendere percorsi progettuali innovativi. Un appoggio che può fare perno sulle istituzioni locali quando queste si attivano nel coordinare, promuovere e allargare le numerose “reti” di collaborazione che nascono sul territorio, siano esse per la valorizzazione della produzione locale, dell’occupazione, o del benessere dei cittadini. Tra gli attori più rilevanti che possono intervenire, a vario titolo e in fasi diverse, nella costruzione di forme di welfare aziendale di natura territoriale, i principali sono: le altre aziende; le amministrazioni pubbliche, come Regioni, Province, Comuni, ASL, Camere di Commercio; le associazioni datoriali e le organizzazioni sindacali; gli enti bilaterali; le imprese assicuratrici, i fondi pensione, i fondi sanitari; le cooperative e/o imprese sociali; le associazioni e gli enti di volontariato; le società di mutuo soccorso; le fondazioni (di origine bancaria, d’impresa, di comunità, di partecipazione). Dinamiche, quelle del welfare in azienda su base territoriale in provincia di Cuneo, che saranno oggetto di approfondimento nel capitolo 4 di questo Quaderno. Reti di collaborazione 9 www.fondazionemiroglio.it/la-casa-dei-bambini-la-storia (ultimo accesso: 2 settembre 2017). 27 • FEBBRAIO 2018 Q 33 2. Il welfare in azienda in Italia Il capitolo si articola in due parti. Nella prima si intende ricostruire e illustrare i principali trend nazionali e internazionali per meglio inquadrare il fenomeno del welfare aziendale e la sua evoluzione recente. La seconda parte si sofferma sulla normativa di riferimento guardando, da un lato, alle due Leggi di Stabilità 2016 e 2017 e, dall’altro, allo smart working. 2.1 I principali trend nazionali e internazionali 2.1.1 Il welfare aziendale in Italia in prospettiva comparata Come illustrato nel capitolo precedente, il welfare aziendale è l’insieme di benefit, servizi e prestazioni non monetarie che l’impresa eroga a sostegno del reddito dei propri dipendenti per accrescere il loro generale benessere lavorativo e familiare. L’OCSE definisce la spesa privata volontaria come l’insieme di risorse di natura privata – derivanti dalla spesa di privati cittadini, aziende e altre organizzazioni come il terzo settore – “incanalate” all’interno di schemi redistributivi che generalmente godono di vantaggi fiscali e include quindi tutti quei programmi di protezione e investimento sociale implementati e finanziati dalle aziende a beneficio della collettività e, più spesso, dei propri collaboratori e delle loro famiglie. Il nostro Paese – analogamente alla Spagna ma anche, sebbene in misura più contenuta, ad altri Paesi del Sud Europa come Portogallo e Grecia – si caratterizza per una bassa percentuale di spesa privata volontaria rispetto alla spesa pubblica totale, mentre Paesi come il Regno Unito e i Paesi Bassi presentano valori molto elevati. Ma anche Stati caratterizzati da un welfare di stampo universalistico presentano livelli più consistenti (si guardi ai valori relativi a Danimarca e Svezia), a testimonianza del peso che soggetti non pubblici rivestono nell’erogazione complessiva di prestazioni e servizi di welfare (fig. 3). 28 IMPRESA POSSIBILE Figura 3. La spesa privata volontaria in percentuale della spesa pubblica totale (2013) 16,0 15,4 14,0 12,0 11,2 10,0 4,3 5,6 6,0 Svezia 4,0 Germania 3,5 Danimarca 3,3 Grecia 4,0 Portogallo 6,0 Francia 8,0 2,3 2,0 0,9 1,4 Paesi Bassi Regno Unito Norvegia Italia Spagna 0,0 Nota: il dato relativo alla Grecia si riferisce al 2011 (ultimo disponibile) Fonte: Database OCSE A partire dalla riflessione circa l’importanza della spesa sociale sostenuta dai privati nei diversi Paesi, la ricerca ProWelfare – coordinata dall’Osservatorio Sociale Europeo (OSE) insieme alla Confederazione Europea dei Sindacati – ha prodotto una interessante comparazione sulla diffusione e le caratteristiche del welfare occupazionale – definito come Voluntary Occupational Welfare – in otto Paesi europei. Si tratta, a oggi, di una delle pochissime ricerche comparate che includono anche il nostro Paese10. Il dato più interessante riguarda la diffusione del fenomeno tra i lavoratori (tab. 2). La tabella mostra la copertura dei lavoratori per previdenza complementare, sanità integrativa, conciliazione vita-lavoro e formazione, in quattro ambiti di intervento presi in esame per ciascuno dei Paesi (Svezia, Regno Unito, Germania, Austria, Belgio, Italia, Spagna e Polonia). Se è coperto meno del 20% dei lavoratori si parla di copertura marginale, mentre una percentuale compresa tra il 20 e il 50% è considerata significativa; se supera invece il 50% la copertura è considerata molto ampia. Le differenze tra i Paesi analizzati da ProWelfare rispecchiano a grandi linee i dati OCSE sulla spesa privata volontaria, mettendo in luce differenze significative. L'Italia mostra una copertura uniforme in tutte e quattro le aree di intervento. Paesi europei a confronto 10 Per un approfondimento si rimanda al sito www.secondowelfare.it e in particolare al link: www.ose.be/prowelfare/2012-2013/index.html. Si segnala che vi è anche una seconda edizione della ricerca ProWelfare riferita al triennio 2014-2016 e avente per oggetto il welfare occupazionale in ambito pensionistico e le misure di contrasto alla disoccupazione (www.ose.be/ prowelfare/index.html). 29 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Tabella 2. Grado di copertura degli schemi di Voluntary Occupational Welfare, percentuale di lavoratori – <20% copertura marginale; 20-50% copertura significativa; >50% copertura ampia (2013) Previdenza Sanità Conciliazione vita-lavoro Formazione Ampia Ampia - Ampia Significativa Marginale Ampia Marginale Ampia Ampia Significativa Significativa Austria Marginale Marginale Marginale (ampia nel caso della flessibilità oraria) Significativa Belgio Significativa Ampia Marginale (flessibilità oraria) Ampia Italia Significativa Significativa Significativa Significativa Spagna Significativa Ampia Significativa Significativa Polonia Marginale Marginale Significativa Marginale Svezia Regno Unito Germania Fonte: ProWelfare (2013) Italia Francia 30 Secondo le stime dei ricercatori, in Italia una percentuale tra il 20 e il 50% dei lavoratori italiani sarebbe coperta da schemi di welfare contrattuale di origine aziendale o categoriale. Valori più alti di quelli italiani sono raggiunti da Germania, Svezia, Spagna e (parzialmente) Belgio. Il Regno Unito ci “supera” sul work-life balance ma non presenta un’alta percentuale di lavoratori coperti nelle aree della sanità e della formazione. In coda alla lista dei Paesi troviamo infine Austria e Polonia. In generale, nella metà dei Paesi europei analizzati la diffusione è ampia (>50%) solo nell’ambito della salute, mentre per conciliazione vita-lavoro e formazione è significativa ma ricompresa tra il 20 e il 50%. Con riferimento al livello di contrattazione risulta che in Italia, Spagna e Svezia si sta ampliando notevolmente il ruolo della negoziazione di secondo livello in materia di welfare accanto a quella settoriale nazionale. Tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e in cui negli ultimi anni si è manifestata più forte la crisi del welfare statale – da cui è originata una crescente domanda di prestazioni integrative – troviamo la Francia. In questo caso la richiesta da parte dei sindacati o dei lavoratori si è concentrata su tutte e quattro le aree considerate nella ricerca ProWelfare: servizi come assistenza sanitaria, integrazioni previdenziali, formazione professionale, tutela e supporto alla famiglia. Non sono mancate le risposte, tra cui si segnalano due misure in particolare: il CET (Compte Épargne Temps) e l’OCIRP (Organisme Commun des Institutions de Rente et de Prévoyance). Nel primo caso si tratta di un conto-ore che permette al lavoratore, attraverso un contratto collettivo e a fronte di straordinari e/o IMPRESA POSSIBILE ferie non godute, di scegliere fra sospensione del lavoro o liquidazione di un'indennità11, mentre l’OCIRP è uno schema di welfare privato bilaterale volto al sostegno del reddito e alla formazione professionale sotto forma di istituzione paritetica di previdenza privata collettiva. Le prestazioni erogabili previa contrattazione sono l’assistenza sanitaria, l’invalidità, l’indennità giornaliera per congedi parentali, il sostegno al reddito per inoccupazione, la formazione professionale, i piani di risparmio collettivi. In Francia, tuttavia, già nel 2005 era stato introdotto il CESU (Chèque Emploi Service Universel), un voucher spendibile per servizi alla persona e al nucleo familiare del dipendente, cofinanziato dal datore di lavoro. Il CESU permette di pagare servizi relativi all’infanzia, alla gestione della casa e alla cura di persone a carico e per questo, oltre ad aumentare il potere d’acquisto di chi lo adopera, ha contribuito a creare 1,4 milioni di posti di lavoro nei settori di competenza. Un altro Paese in cui la crisi ha contribuito a far emergere soluzioni innovative di welfare aziendale sono i Paesi Bassi. Qui, nel 2006, è stato introdotto un nuovo sistema di welfare denominato Levensloopregeling, o fondo LCSS, uno strumento individuale non obbligatorio che permette al lavoratore di congelare una parte della propria retribuzione per usufruirne in casi di congedo. I lavoratori possono così accantonare, esentasse, parte del proprio stipendio per finanziare periodi di congedo o aspettativa. Attraverso questo principio di “autodeterminazione del proprio tempo” ogni singolo dipendente può scegliere, in ragione dell’età, della carriera professionale e con l’accordo con il datore di lavoro, il periodo che ritiene più opportuno per assentarsi dal lavoro per occuparsi della cura di figli o di genitori anziani, di congedi formativi, di periodi di vacanza o addirittura per prendersi un periodo sabbatico. La flessibilità del fondo consente che sia conservato anche in situazione di sospensione del rapporto lavorativo e sbloccato al riprendere della nuova carriera o sia possibile versarlo – in caso di quiescenza – in una pensione complementare. Il fondo LCSS permette, quindi, di soddisfare al meglio il bisogno di personalizzazione dell’orario lavorativo, poiché è il dipendente a decidere quando accumulare il proprio reddito e quando usufruirne, a eccezione di quanto disciplinato dal contratto aziendale o settoriale (Faioli, 2013). Paesi Bassi 11 Il CET permette ai dipendenti di compensare, in presenza di straordinari non goduti, le ore di lavoro in più che vengono scalate; oppure come indennità: se alla pensione il lavoratore non avrà riscosso le agevolazioni avrà diritto a benefici contributivi. 31 • FEBBRAIO 2018 Q 33 2.1.2 Le dimensioni del fenomeno in Italia: evidenze dalle principali ricerche Studi di caso 32 Sono ormai piuttosto numerose le ricerche che hanno indagato la presenza e le caratteristiche del welfare in azienda a livello italiano. Per lo più, sino a ora, sono stati condotti studi che si sono soffermati soprattutto sulle imprese di dimensioni medio-grandi e su casi particolarmente significativi. Macchioni (2012) ha analizzato quattro grandi aziende del settore manifatturiero e del settore del credito. Dall’analisi è emerso che il miglioramento del clima organizzativo, unito all’incremento del benessere familiare per effetto dell’introduzione di misure di welfare aziendale, comporta effetti positivi per l’impresa nei termini di un abbassamento del turn over e dell’assenteismo. Mallone (2013a) si è a sua volta soffermata su quattro grandi imprese italiane (Luxottica, SEA, ATM, KME) per ricostruire i processi di rinnovamento dei rispettivi sistemi di welfare aziendale alla luce delle interazioni tra i diversi attori coinvolti, esaminando l’emergere di nuovi assetti di governance. I quattro casi analizzati sono fra loro contrapposti: due aziende sono caratterizzate da un assetto manageriale che l’autrice definisce paternalistico, mentre le altre due nascono come aziende pubbliche per la fornitura di servizi alla cittadinanza e condividono una tradizione di welfare bilaterale e di ampio coinvolgimento della parte sindacale. All’interno delle imprese caratterizzate da una cultura manageriale, che tiene in considerazione l’importanza della negoziazione con i sindacati, prevale un approccio contrattato all’implementazione del welfare. Nelle imprese in cui domina una cultura paternalistica e giocano un ruolo cruciale la figura dell’imprenditore, la famiglia o il brand aziendale prevalgono invece iniziative unilaterali da parte dell’impresa nell'ideazione, organizzazione ed erogazione dei piani di welfare. Mallone, più recentemente, si è concentrata sui settori chimico e farmaceutico, da sempre considerati tra i più avanzati, nel panorama nazionale, in ambito di tutele contrattuali (Mallone, 2017). Le nove aziende analizzate presentano interessanti dinamiche di interazione tra il coinvolgimento dei sindacati, le strategie di gestione dell’azienda e la cultura d’impresa. L’iniziativa sindacale, attraverso la formulazione di proposte in ambito di welfare, conduce generalmente a sistemi negoziati e caratterizzati da una governance congiunta. La capacità dei sindacati di fare proposte in materia di welfare è tipicamente associata alla volontà di un riconoscimento formale che sia visibile agli occhi degli iscritti e porta alla sottoscrizione di accordi negoziali. Al contrario, l’(auto)esclusione dei sindacati apre la possibilità di introdurre discrezionalmente politiche aziendali che spesso finiscono per allontanare la forza lavoro dalla rivendicazione collettiva (anche se non necessariamente dalla fruizione dei servizi offerti). Rizza e Bonvicini (2014) hanno analizzato nove imprese, tutte mediograndi e dislocate sul territorio bolognese, appartenenti a diversi settori produttivi (manifatturiero, assicurativo, farmaceutico, bancario, assisten- IMPRESA POSSIBILE ziale, del commercio) soffermandosi, in particolar modo, sulla cultura organizzativa, il disegno della policy, le relazioni tra gli stakeholder interni delle aziende considerate. Dall’indagine sono emersi cinque diversi modelli di welfare aziendale (Orlandini, 2014). Quello dell’investimento sociale considera l’attribuzione di benefit ai propri dipendenti non come un costo per l’azienda, ma come un investimento in termini di benessere dei lavoratori e valorizzazione del capitale umano e soprattutto di competitività del territorio in cui l’azienda risiede. Il modello concertativo è realizzato all’interno di organizzazioni multi-stakeholder, partecipate dai soci-lavoratori, snelle e a rete, ed è caratterizzato dalla cogestione del welfare aziendale con i rappresentanti dei lavoratori. Il modello performativo interpreta il welfare come uno strumento per aumentare la performance lavorativa, mentre il modello applicativo tende a rafforzare le prestazioni assicurative classiche – previdenza e sanità – che già derivano dalla contrattazione nazionale. Infine, la ricerca individua un quinto modello – quello paternalistico-individualizzato – che concepisce il welfare aziendale come possibilità di concorrere al benessere dei collaboratori, creando pacchetti allargati alla famiglia del dipendente e in grado di promuovere un clima favorevole alla collaborazione; spesso è frutto di scelte unilaterali delle aziende con misure costruite ad hoc per le singole persone. Accanto agli studi di caso come quelli appena ricordati, trovano spazio crescente ricerche che hanno adottato una metodologia quantitativa. Un’indagine svolta tra il 2011 e il 2012 da IRES CGIL e Università Politecnica delle Marche, su un campione di circa 300 grandi imprese italiane, ha rilevato che la quasi totalità delle grandi aziende italiane (95,2%) ha introdotto qualche forma di welfare. Più di un terzo offre un pacchetto di interventi che contiene almeno quattro prestazioni e oltre il 40% fra due e tre prestazioni. Anche escludendo la previdenza complementare, il fenomeno interessa oltre l’80% delle aziende con più di 500 addetti12. In base ai risultati della ricerca, la previdenza complementare è presente nella maggioranza delle aziende, mentre tra le prestazioni a medio-bassa e bassa diffusione troviamo gli interventi per la conciliazione vita-lavoro, quelli nel campo della cura, della non-autosufficienza e dell’accesso all’abitazione. La ricerca evidenzia inoltre i fattori alla base dell’introduzione dei servizi di welfare aziendale: in primis, la moderazione salariale che l’offerta di servizi di welfare favorisce; a seguire, l’aspirazione volta a migliorare la collaborazione fra impresa e lavoratori. Dati ISTAT più recenti (riferiti al 2015) hanno confermato la diffusione del welfare aziendale tra le imprese italiane, anche se con importanti differenze tra settori economici e aree di intervento (ISTAT, 2016). Le misure che garantiscono un’offerta di “servizi di prossimità” come asili nido, assistenza sociale, ricreazione e sostegno al reddito, sono al penultimo posto per frequenza, seguiti solamente dalle iniziative per favorire la comparte- Analisi quantitative Dati ISTAT 12 Per approfondire i risultati della ricerca si rimanda a Pavolini et al. (2013). 33 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Stato del welfare aziendale in Italia 34 cipazione dei lavoratori rispetto alle scelte aziendali. Le misure di flessibilità degli orari di lavoro e di conciliazione vita-lavoro sono invece più diffuse, insieme ad altre misure difficilmente qualificabili come welfare (perlomeno nell’accezione qui adottata), quali la predisposizione di un bilancio sociale. Ampiamente più popolari risultano invece la formazione e altre aree a propria volta difficilmente definibili come welfare in senso stretto, come la sicurezza sui luoghi di lavoro e la comunicazione interna, in quanto spesso riconducibili a previsioni di legge. Se è vero che queste ricerche documentano che l’interesse per il welfare aziendale continua a crescere sia tra le aziende sia nel dibattito pubblico e che i piani di welfare si diffondono tra le imprese, tuttavia esse mettono anche in luce che il grande nodo da affrontare riguarda la mancata diffusione tra le micro, piccole e medie imprese. I dati sembrano in effetti confermare questa preoccupazione: le due principali variabili che influenzano lo sviluppo dei piani di welfare aziendale sono la dimensione dell’impresa e le caratteristiche della popolazione aziendale. Il rapporto curato da OD&M Consulting nel 2015 mostrava che solo il 21% delle piccole imprese dichiarava di avere un piano di welfare, a fronte del 60% delle medie e del 69,2% delle grandi. Interessante notare, però, che oltre il 30% delle piccole imprese e ben il 40% delle medie dichiaravano di avere intenzione di introdurre il welfare aziendale nei successivi due anni. Più recentemente Di Nardo – a partire dai risultati della terza indagine realizzata da Doxa per Edenred, uno dei principali operatori che offrono consulenza e servizi di welfare alle imprese – ha curato un volume sullo stato del welfare aziendale in Italia (Di Nardo, 2016). Dalla ricerca emerge che i servizi più diffusi in assoluto nelle aziende oggetto di indagine sono i buoni spesa e le agevolazioni commerciali (87%) e che nelle aziende internazionali risultano molto più diffusi i servizi legati alla cultura, allo svago e al tempo libero e al welfare contrattuale (70%), in questo caso rispetto al welfare unilaterale. Le maggiori differenze tra la reale diffusione dei servizi offerti e quelli considerati più interessanti riguardano i servizi per i figli dei dipendenti (diffusi nel 28% delle aziende ma ritenuti i più interessanti nel 66% dei casi) e i servizi alla persona e ai familiari (diffusi nel 19% delle aziende ma ritenuti i più interessanti dal 59% degli intervistati). Nelle previsioni di sviluppo delle singole voci del paniere welfare al primo posto c’è la flessibilità oraria e organizzativa con una percentuale del 46%. Nelle aspettative e motivazioni attribuite dalle aziende al ricorso a programmi di welfare al primo posto figura – con il 51% – il miglioramento della soddisfazione personale di chi lavora in azienda. Gli aspetti economici rappresentano in assoluto la voce principale delle difficoltà di implementazione: la crisi di mercato, le difficoltà di bilancio e la riduzione dei costi sono indicate dal 43% delle aziende. Le difficoltà cambiano a seconda della dimensione aziendale, che si conferma, ancora una volta, una variabile cruciale: le barriere relazionali sono principalmente avvertite nelle medie (54%) e IMPRESA POSSIBILE grandi imprese (53%); per la piccola impresa, invece, l’aspetto economico è di gran lunga la difficoltà più sentita (64%). Le rilevazioni dei sentimenti verso il welfare attestano atteggiamenti positivi (89%), dove prevalgono il senso di utilità e di servizio e il senso di modernità e di innovazione. In generale, circa il 74% degli intervistati ritiene che il welfare aziendale sia destinato a crescere nel prossimo futuro. Infine, la ricerca Il futuro del welfare aziendale dopo la Legge di Stabilità 2016, condotta da Pesenti per conto di Welfare Company, ha raccolto le interviste di 335 direttori e manager del settore HR provenienti da aziende di tutta Italia. Dall’indagine (Pesenti, 2016b) è emerso – in primo luogo – che tra le imprese vi è una scarsa abitudine alla realizzazione di analisi preliminari volte a identificare i bisogni aziendali. Appare, in secondo luogo, evidente l’esistenza di una profonda differenziazione territoriale tra Nord e Sud, a ulteriore conferma del disequilibrio in termini economici e di welfare che caratterizza il nostro Paese. Risulta poi cruciale il ruolo degli sgravi fiscali previsti dalla Legge di Stabilità 2016 e la rilevanza delle variabili economiche nella scelta dei servizi aziendali. Infine, permane una notevole difficoltà delle piccole imprese nel realizzare al proprio interno pratiche di welfare aziendale simili a quelle diffuse nelle grandi imprese e in quelle multinazionali. L’insieme delle ricerche sinora illustrate, indipendentemente se caratterizzate da un impianto quantitativo o qualitativo, ha permesso di aprire uno squarcio sul welfare in azienda, indagandone diffusione e caratteristiche nelle medie e grandi imprese. Considerando, però, l’importanza che le PMI rivestono nel tessuto produttivo italiano, sia dal punto di vista della loro numerosità sia considerando la quota di occupazione che assorbono, appare di grande rilevanza esaminare la presenza e le peculiarità del welfare all’interno di questo specifico universo. Il Rapporto Welfare Index relativo agli anni 2016 e 2017 ha analizzato la diffusione del welfare aziendale all’interno delle piccole e medie imprese, selezionando un campione di aziende fino a 250 dipendenti (Generali, 2016; 2017). La ricerca ha misurato il tasso di iniziativa nelle aree del welfare aziendale, cioè la quota percentuale di imprese che attuano almeno una iniziativa per area. Al primo posto, con un tasso del 46,3%, si trovano le polizze assicurative per il personale; tuttavia, se si escludono le polizze infortuni che in molti casi sono obbligatorie, il tasso di iniziativa nelle assicurazioni scende al 17,1%. In altre aree di policy l’iniziativa delle imprese è pari o superiore al 33%. Si tratta del sostegno economico ai lavoratori, della sicurezza e prevenzione degli incidenti (con iniziative aziendali aggiuntive a quelle obbligatorie), della formazione del personale (anche in questo caso con misure aggiuntive a quelle obbligatorie), della conciliazione vita-lavoro (con interventi prevalentemente di flessibilità degli orari), della sanità integrativa (anche se prevalentemente introdotta aderendo ai fondi istituiti dai CCNL). Le iniziative aziendali di previdenza integrativa Il futuro del welfare aziendale dopo la Legge di Stabilità 2016 Rapporto Welfare Index 35 • FEBBRAIO 2018 Q 33 sono attuate dal 23,4% delle imprese. Seguono aree con tassi di iniziativa meno elevati: il welfare allargato al territorio (17,3%), il sostegno a soggetti deboli e all’integrazione sociale (7,7%), i servizi di assistenza per i lavoratori e le loro famiglie (6,7%), le iniziative per la cultura, la ricreazione e il tempo libero (5,8%), il sostegno all’istruzione dei familiari (2,7%). Alcune aree di policy hanno subìto un’accelerazione nella loro diffusione tra un anno e l’altro: la sanità integrativa, dal 39% nel 2016 al 47% nel 2017, e la conciliazione vita-lavoro, dal 22% al 31%. In altre due aree la crescita è avvenuta, seppure meno rapidamente: i servizi di assistenza, dal 5% all’8%; cultura, ricreazione e tempo libero, dal 3% al 5%. Sotto il profilo dimensionale, dalla ricerca emerge che le iniziative di welfare aziendale sono generalmente più diffuse tra le imprese di maggiori dimensioni (tra 101 e 250 addetti) e che al crescere della dimensione aziendale aumenta anche l’estensione del “pacchetto welfare” offerto (fig. 4). Dal rapporto del 2016 emerge inoltre che i motivi alla base della diffusione dei servizi di welfare aziendale sono riconducibili a obiettivi di fidelizzazione delle risorse umane più qualificate (34,7%), di affermazione della reputazione dell’azienda (33,9%), di miglioramento della produttività del lavoro e del clima aziendale (31,4%) e di contenimento del costo del lavoro grazie ai vantaggi fiscali derivanti dall’introduzione del welfare (22,4%). Nel 60% dei casi analizzati le decisioni rispetto all’implementazione di dispositivi di welfare aziendale nelle piccole e medie imprese sono prese dai responsabili in via unilaterale, senza alcuna forma di coinvolgimento dei lavoratori. Nel 22,6% dei casi le iniziative sono negoziate con le rappresentanze sindacali, mentre il 17,4% delle imprese coinvolge direttamente i lavoratori. Figura 4. PMI che adottano 6 o più misure di welfare (su max 12), per numero di addetti – valori percentuali (2017) 50 44,7 40 30 24,6 20 10 16,2 6,8 0 1-9 addetti 10-50 addetti Fonte: rielaborazione da Generali (2017). 36 51-100 addetti 101-250 addetti IMPRESA POSSIBILE Un’altra recente ricerca (Maino e Rizza, 2017) ha analizzato la diffusione del welfare aziendale all’interno delle piccole e medie imprese, soffermandosi su una delle regioni a maggior presenza di PMI in Italia: l’Emilia-Romagna. Si è trattato di una survey che ha coinvolto un campione rappresentativo di piccole e medie imprese fino ai 350 dipendenti. Dall’indagine, che ha coinvolto oltre 700 aziende, emerge che le dimensioni e la struttura dell’impresa sono correlate all’offerta di prestazioni di welfare, proporzionalmente maggiore al crescere delle dimensioni aziendali e del fatturato, così come maggiori sono gli interventi presenti in piccole e medie imprese che appartengono a un gruppo più vasto e che sono multi-localizzate. Dall’indagine emerge inoltre che le misure di welfare aziendale più diffuse sono la formazione (70,4%), la sanità integrativa (62,9%), mentre a grande distanza vi sono i servizi di conciliazione vita-lavoro (32,8%) e la previdenza complementare (28,7%). Vi è un legame tra il tipo di misure offerte e la percentuale di donne tra i dipendenti. Se, infatti, per le altre prestazioni non emergono differenze significative dalla media, le misure di conciliazione vita-lavoro sono più diffuse tra le aziende con più dell’80% di personale femminile. Vi sono prestazioni, come la sanità integrativa e la previdenza complementare, che sono incluse nei piani di welfare perché previste dal contratto collettivo nazionale di riferimento, mentre il ruolo giocato dalla contrattazione integrativa appare molto contenuto. I motivi alla base dell’introduzione del welfare nelle PMI emiliano-romagnole sono legati al miglioramento del clima aziendale e allo sviluppo del senso di appartenenza, nonché allo scopo di fidelizzare i lavoratori più qualificati e ridurre il turn over. Accanto all’analisi dei dati quantitativi appena descritti, la ricerca dà conto anche di alcune misure di welfare e di conciliazione vita-lavoro sviluppate grazie ad accordi e partnership tra aziende (profit e non profit). Si tratta di esperienze di welfare aziendale intraprese per mezzo di reti di imprese o di altre formule aggregative che coinvolgono più stakeholder, favorendo l’aggregazione dei bisogni dei lavoratori e la definizione di soluzioni condivise con un conseguente possibile abbattimento dei costi e una maggiore efficienza nell’uso delle risorse (Sansavini e Santoni, 2017). In Italia, negli ultimi anni, si sono sviluppate alcune interessanti esperienze in questo senso13. Le imprese che scelgono di investire nel welfare possono infatti ricavare dallo strumento della rete vantaggi concreti. La collaborazione tra realtà imprenditoriali differenti consente di condividere i costi e i rischi connessi con la realizzazione di un piano di welfare aziendale: in questo modo viene messo in moto un principio di cooperazione tra le imprese basato sulla condivisione degli obiettivi e delle risorse. La rete permette inoltre di far circolare conoscenze, competenze, informazioni, fiducia e Welfare aziendale in Emilia-Romagna Aggregazione tra aziende 13 Da questo punto di vista viene in aiuto alle aziende la disciplina sul contratto di rete. Si tratta di uno strumento solitamente utilizzato dalle imprese per accrescere la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato. Questo modello di partnership, negli ultimi anni, ha avuto una grande diffusione in tutto il territorio italiano. In alcuni casi i contratti di rete sono stati stipulati anche allo scopo di realizzare progetti per accrescere il benessere dei dipendenti (Maino, 2014; Macchioni e Orlandini, 2015). 37 • FEBBRAIO 2018 Q 33 cooperazione: tutte risorse necessarie per la realizzazione di un intervento condiviso. Considerate le peculiarità del tessuto produttivo emiliano-romagnolo, le esperienze di rete e i network di imprese sembrano rappresentare interessanti opportunità di investimento nel welfare per le aziende di piccole dimensioni, che diversamente presenterebbero minori possibilità di offerta di soluzioni rispetto alle grandi, col conseguente rischio – già più volte evocato in queste pagine – di creare nel mercato del lavoro “isole” di benessere contrapposte a una maggioranza di lavoratori sottotutelati. 2.2 La normativa di riferimento: nuove opportunità per la diffusione del welfare aziendale Definito lo stato dell’arte del welfare fra le imprese italiane sulla base dei dati più recenti messi a disposizione dalla letteratura, si presenta ora il contesto normativo, alla luce delle rilevanti innovazioni introdotte negli ultimi anni, in cui si muovono i principali attori interessati – imprese, associazioni datoriali e sindacali – quando guardano al tema del welfare aziendale. 2.2.1 La normativa fiscale e le novità introdotte dalle Leggi di Stabilità 2016 e 2017 Art. 51 del TUIR 38 L’erogazione di beni e servizi di welfare aziendale è normata in Italia da due articoli del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR): il 51 e il 100. Il primo definisce ciò che non concorre a formare reddito da lavoro dipendente, mentre il secondo elenca le “finalità socialmente utili” che non concorrono a formare il reddito del lavoratore e sono parzialmente deducibili in capo al datore di lavoro. L’art. 51 stabilisce la disciplina fiscale delle somme, dei beni e dei servizi che – erogati dal datore di lavoro a beneficio del dipendente – non concorrono a formare il reddito da lavoro di quest’ultimo. Inoltre, fissa, dove previsti, i limiti di importo defiscalizzato. Tra le spese che non concorrono a formare il reddito del lavoratore la normativa include: contributi previdenziali e di assistenza sanitaria; mensa e pasti; trasporto e mobilità; i servizi elencati nell’art. 100; le somme e i servizi per asili nido, colonie estive e borse di studio; altri beni/servizi. L’art. 51 regolamenta anche l’utilizzo dei ticket pasto, le iniziative di trasporto collettivo – in cui non rientrano abbonamenti ai mezzi pubblici a eccezione del tragitto “casa-lavoro” – e la varietà di beni e servizi, i cosiddetti fringe benefits, erogabili nel limite massimo di 258,23 euro annui. Una volta superato tale limite, l’intero importo è tassato in capo al dipendente. Con le modifiche introdotte dalla Legge di Stabilità 2016, all’elenco dei servizi dell’art. 51 si aggiungono tutti quelli per l’infanzia (scuola materna, servizi integrativi come pre e post scuola, spese di mensa, attività previste dai piani di offerta formativa degli enti scolastici), ludoteche, centri estivi IMPRESA POSSIBILE e invernali, baby-sitting, e i servizi di cura per i familiari anziani o non autosufficienti. La Legge di Stabilità 2016 ha, infatti, aggiunto al comma 2 dell’art. 51 la nuova lettera f-ter e il comma 3-bis. La prima prevede la possibilità di erogare somme e servizi a sostegno della non autosufficienza dei familiari anziani (con più di 75 anni) o non autosufficienti; questi ultimi sono – in base alla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 15 giugno 2016 – coloro che non sono in grado di compiere gli atti della vita quotidiana quali, per esempio, assumere alimenti, espletare le funzioni fisiologiche e provvedere all’igiene personale, deambulare o indossare gli indumenti, come attestato attraverso presentazione di certificazione medica. Il secondo consente l’utilizzo di voucher, nominali e non integrabili con denaro da parte del beneficiario, per l’erogazione dei beni e servizi previsti dagli articoli 51 e 100. L’art. 100 del TUIR elenca, invece, le finalità di utilità sociale che sono defiscalizzate per il lavoratore e deducibili per il datore di lavoro nel limite del 5 per mille dell’ammontare delle spese sostenute per prestazioni da lavoro dipendente. Queste finalità sono: educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto. I beni e i servizi – ma non le somme – erogati per queste finalità sono quindi fiscalmente agevolati in capo ai lavoratori e al datore di lavoro. Prima del 2016, per godere del vantaggio fiscale dovevano essere offerti volontariamente dal datore di lavoro, ovvero senza che l’erogazione avvenisse a seguito di una contrattazione con le parti sindacali (soluzione unilaterale). Le modifiche normative introdotte dalla Legge di Stabilità consentono, invece, di inserire i beni e servizi negli accordi aziendali. Non solo, la nuova formulazione della norma ne incentiva la contrattazione con i rappresentanti sindacali attraverso la possibilità per il datore di lavoro di dedurne il costo senza alcun limite qualora i beni o servizi siano inseriti in un accordo (tab. 3). Fino al 2015, i benefit ex art. 100 introdotti in un accordo sarebbero risultati tassati in capo al dipendente al pari del reddito da lavoro. Art. 100 del TUIR Tabella 3. L’articolo 100 prima e dopo la Legge di Stabilità (2016) Origine del welfare aziendale Vantaggio fiscale Prima della Legge di Stabilità Dopo la Legge di Stabilità Datore di lavoro Deducibile entro il 5 per mille del costo del lavoro Lavoratore/trice Non tassato come reddito da lavoro Datore di lavoro Completamente deducibile Unilaterale Contrattata Lavoratore/trice Tassato come reddito da lavoro Non tassato come reddito da lavoro Fonte: elaborazione degli autori 39 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Erogazione dei benefit Mentre i benefit previsti dall’art. 51 sono erogabili anche mediante il rimborso in busta paga dei costi sostenuti dai lavoratori, quelli offerti in base all’art. 100 sono erogabili esclusivamente attraverso la fornitura diretta – o tramite voucher – del bene/servizio da parte del datore di lavoro senza che il lavoratore sia coinvolto nel rapporto economico tra acquirente e fornitore del servizio (tab. 4). Mentre l’art. 51 riguarda le spese sostenute dai dipendenti per i propri familiari (genitori, fratelli e sorelle, figli, suoceri e nuore), l’art. 100 ricomprende anche i benefit offerti a beneficio degli stessi lavoratori, come tutte le attività di carattere sportivo e ricreativo. Tabella 4. Articoli 51 e 100 del TUIR: uno schema riassuntivo delle novità introdotte (2016) Articolo Benefit Modalità di erogazione Beneficiari Scuola e istruzione Somme, beni, servizi Familiari Non autosufficienza Somme, beni, servizi Familiari Educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria, culto Beni e servizi Lavoratore e familiari Articolo 51 Articolo 100 Fonte: Maino e Mallone (2017) Elementi innovativi della Legge di Stabilità 2016 40 L’elemento più innovativo introdotto con la Legge di Stabilità 2016 consiste nella volontà del Governo di promuovere lo sviluppo della contrattazione di secondo livello e, al suo interno, del welfare aziendale come sostituto totale o parziale della componente monetaria. La legge reintroduce la detassazione del premio di produttività, prevista per la prima volta nel 2008 e mantenuta con caratteristiche diverse di anno in anno fino all’interruzione nel 2015, e promuove il welfare aziendale nell’ambito dell’erogazione della parte variabile del salario legata alla produttività favorendo fiscalmente i servizi di welfare rispetto all’equivalente in denaro. Infatti, se il premio di produttività mantiene un'imposta sostitutiva del 10%, lo stesso premio convertito in servizi di welfare gode delle agevolazioni fiscali già previste dall’art. 51 del TUIR e non concorre, quindi, alla formazione del reddito da lavoro dipendente. Entrambe le opzioni rimangono soggette alle limitazioni di 2.000 euro di importo – aumentabile fino a 2.500 euro nel caso di aziende che introducano sistemi di coinvolgimento diretto dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro – e di 50.000 euro di reddito; ogni lavoratore ha la facoltà di scegliere come ricevere l’importo del premio. Inoltre, la legge stabilisce il diritto delle madri al conteggio del periodo di IMPRESA POSSIBILE congedo obbligatorio di maternità ai fini della determinazione del premio di risultato. Il decreto attuativo della legge ha inoltre modificato i requisiti per l’ottenimento del premio fiscalmente agevolato: i contratti aziendali devono prevedere criteri di misurazione e verifica degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, considerando anche innovazioni organizzative e strumenti di flessibilità di tempo e di luogo della prestazione lavorativa, come per esempio orario flessibile e orari a menù, part-time, telelavoro, banca delle ore e lavoro agile. La Legge di Stabilità per l’anno 2017 rafforza il processo avviato con la Legge di Stabilità dell’anno precedente introducendo una nuova lettera, la f-quater, all’interno del comma 2 dell’art. 51 del TUIR. Questa prevede che i contributi e i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per le polizze per la non autosufficienza e gravi malattie – le cosiddette Long Term Care e Dread Disease – non concorrano, integralmente, a formare il reddito da lavoro dipendente. Le aziende possono quindi erogare queste polizze ai dipendenti senza che il loro valore sia in alcun modo assimilabile al reddito del lavoratore. Anche il meccanismo di salary sacrifice, introdotto per la prima volta dalla Legge di Stabilità 2016, vede con il provvedimento per il 2017 l’innalzamento dei limiti di reddito e di importo previsti per la tassazione agevolata del premio e il suo utilizzo in beni e servizi di welfare. Il legislatore porta infatti i limiti dell’imponibile previsto per beneficiare dell’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali pari al 10% da 2.000 a 3.000 euro (aumentabile fino a 4.000 euro nel caso in cui l’impresa introduca strumenti di partecipazione dei lavoratori all’organizzazione del lavoro) e la soglia di reddito da 50 mila a 80 mila euro annui. Non concorrono, infine, a formare il reddito da lavoro dipendente nè i contributi alle forme pensionistiche complementari e i contributi di assistenza sanitaria, anche se versati in eccedenza rispetto ai relativi limiti di deducibilità, nè il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti. Legge di Stabilità 2017 2.2.2 Lo smart working Nell’ultimo triennio il Governo non si è limitato all’approvazione delle due Leggi di Stabilità che hanno introdotto le importanti novità in materia di welfare aziendale appena illustrate. Ha portato a compimento anche l’iter di approvazione della legge sul cosiddetto smart working o “lavoro agile”, uno strumento strategico per favorire la conciliazione tra le esigenze della vita personale e della vita lavorativa. La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, oltre a essere considerata un rilevante ambito per le politiche del lavoro e di pari opportunità sia a livello europeo che nazionale, ha raccolto negli anni un’attenzione crescente nel dibattito pubblico e accademico. Nel 2016 il Parlamento europeo ha approvato la Risoluzione sulla Creazione di condizioni del mercato del Conciliazione vita-lavoro 41 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Congedi familiari e smart working nel quadro europeo lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale con l’obiettivo di dare nuovo impulso al tema e alle opportunità di conciliazione tra vita e lavoro per i cittadini europei. Si tratta di una risoluzione importante che riconosce il «diritto fondamentale alla conciliazione vita-lavoro» e invita l’UE e gli Stati membri a promuovere, sia nel settore pubblico sia in quello privato, modelli di welfare aziendale che rispettino il diritto all’equilibrio tra vita professionale e vita privata. Il lavoro agile viene indicato come strumento per la realizzazione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle aziende e viene definito come «approccio all’organizzazione del lavoro basato su una combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione, che non richiede necessariamente al lavoratore di essere presente sul posto di lavoro o in un altro luogo predeterminato e gli consente di gestire il proprio orario di lavoro, garantendo comunque il rispetto del limite massimo di ore lavorative giornaliere e settimanali stabilito dalla legge e dai contratti collettivi» (Parlamento europeo, 2016). L’anno successivo, nell’aprile 2017, la Commissione europea ha presentato una proposta di Direttiva relativa all’equilibrio tra vita professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza (care giver), mirante ad abrogare la Direttiva del Consiglio del 2010 e a introdurre importanti novità in materia di congedi (Commissione europea, 2017; Maino, 2017). Un passo importante per la costruzione del Pilastro europeo dei diritti sociali (Maino, 2017). L’iniziativa della Commissione intende contribuire alla modernizzazione dell’attuale quadro normativo dell’UE nell’ambito dei congedi familiari e delle disposizioni flessibili in materia di lavoro. La proposta, infatti, prevede una serie di standard minimi nuovi o più elevati per il congedo di paternità, il congedo parentale e il congedo per coloro che hanno carichi di cura14. Tutte queste modalità di congedo familiare dovranno essere retribuite almeno al livello dell’indennità di malattia. La proposta prevede, inoltre, per i genitori di bambini fino a 12 anni di età e per i care giver, affinché non lascino il mercato del lavoro, il diritto di chiedere modalità di lavoro flessibili, tra cui la flessibilità per quanto concerne il luogo di lavoro (cioè il lavoro agile). Dopo la risoluzione del Parlamento europeo e alla luce del crescente sviluppo del welfare aziendale anche attraverso sperimentazioni di smart working, pur essendo nel nostro Paese già presenti riferimenti normativi al 14 Come riassunto di seguito: a) i padri avranno diritto a un periodo di congedo di durata non inferiore a 10 giorni lavorativi in occasione della nascita di un figlio; b) il diritto a quattro mesi di congedo parentale potrà essere utilizzato fino ai 12 anni di età del figlio (oggi la soglia è fino a 8 anni di età); c) il congedo parentale di quattro mesi diventa un diritto individuale delle madri e dei padri e in quanto tale non è trasferibile all’altro genitore; varrà inoltre il principio del take it or loose it, quale incentivo affinché anche gli uomini vi facciano ricorso; d) verrà introdotto per la prima volta un congedo di cinque giorni l’anno per i care giver, in caso di malattia di un familiare o in presenza di condizioni di non autosufficienza. 42 IMPRESA POSSIBILE tema della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro15, si rafforza l’urgenza di regolamentare anche l’ambito del lavoro agile, affiancando ai provvedimenti previsti dalla Legge di Stabilità per il 2016 una normativa in materia. È così che – a tre anni di distanza dalla presentazione della proposta – viene approvata in Italia la Legge 81/2017 contenente Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato, entrata in vigore il 14 giugno 2017. La legge definisce lo smart working come «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa». È rilevante che non sia stato concepito come tipologia contrattuale, evitando così una rigidità legislativa che ne avrebbe compromesso il principio fondante di flessibilità. Tale principio consente, infatti, al datore di lavoro e al dipendente di definire le regole più adatte per mettere in pratica il lavoro agile, senza obbligo di consultazione o accordo sindacale (Barazzetta, 2017). La legge stabilisce, inoltre, la modalità di attivazione del lavoro agile, gli aspetti formali relativi all’accordo tra le parti, che cosa questo debba disciplinare, il trattamento retributivo del lavoratore e infine la tanto dibattuta questione relativa a salute e sicurezza. Nel momento in cui il dipendente inizia a lavorare come smart worker deve essere stipulato un accordo scritto – risolvibile unilateralmente da entrambe le parti previo preavviso – che espliciti i tempi di lavoro e di riposo e il diritto alla disconnessione dalla strumentazione tecnologica lavorativa. Allo smart worker sono garantiti una retribuzione e un trattamento normativo conformi a quanto stabilito dal contratto collettivo; restano applicabili eventuali incentivi fiscali e contributivi in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato. Infine, a garanzia della tutela del lavoratore contro infortuni e malattie professionali, il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Normativa sullo smart working in Italia Diritti e tutela del lavoratore 15 La Legge 53/2000, per prima, aveva sensibilizzato le imprese e le parti sociali sul tema conciliazione. A tal fine erano state messe a disposizione risorse (art. 9) per le imprese che volessero implementare soluzioni in favore della conciliazione famiglia-lavoro dei propri collaboratori e dipendenti. Negli anni successivi si sono susseguiti interventi legislativi che hanno coinvolto sempre più il mondo produttivo, identificando la conciliazione vita-lavoro come soluzione organizzativa aziendale, come opportunità di risparmio ma anche di aumento della produttività e come tutela dei diritti di lavoratori e lavoratrici (Visentini, 2015). Tra questi l’intesa Sacconi del 2011 Nuove relazioni industriali e di lavoro a sostegno delle politiche di conciliazione aveva definito la contrattazione collettiva come snodo fondamentale per il rilancio delle politiche di conciliazione affermando che «la modulazione degli orari e dei tempi di lavoro e, in generale, le politiche aziendali di conciliazione possono beneficiare delle misure fiscali di detassazione del salario di produttività con riferimento alle somme erogate dal datore di lavoro nell’ambito di accordi territoriali o aziendali di produttività ed efficienza organizzativa». 43 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Sicurezza e prevenzione Differenza dal telelavoro 44 Venendo alla responsabilità datoriale in materia di sicurezza e prevenzione, la norma prevede che il datore di lavoro garantisca la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e che a tal fine consegni al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, una informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del lavoro agile. Inoltre, lo smart worker ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali e alla tutela contro gli infortuni sul lavoro relativi agli spostamenti dal luogo di abitazione a quello scelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali. D’altro canto, è richiesto che il lavoratore agile cooperi all’attuazione delle misure di prevenzione che il datore di lavoro stabilisce per affrontare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali. Infine, la norma chiarisce la differenza con il telelavoro definendo il lavoro agile come «prestazione lavorativa eseguita in parte all’interno di locali aziendali e, senza una postazione fissa, in parte all’esterno entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva». Il telelavoro prevede, invece, che la prestazione lavorativa si svolga esclusivamente al di fuori degli spazi aziendali. L’approvazione della legge sullo smart working non solo allinea l’Italia alla Risoluzione del Parlamento europeo, ma si intreccia anche alle non meno importanti novità introdotte con le ultime Leggi di Stabilità che mirano a un’ampia diffusione di misure e servizi di work-life balance e favoriscono lo sviluppo della contrattazione di secondo livello nella promozione del welfare aziendale. Si sta, dunque, delineando sempre più un ruolo di soggetto di secondo welfare per il settore produttivo che, sostenuto dal nuovo quadro normativo, assume il compito di erogatore di benefit e piani di welfare aziendale a favore dei propri dipendenti. IMPRESA POSSIBILE Parte seconda • La ricerca sul campo 3. La parola alle imprese 3.1 Lo scenario economico produttivo della provincia di Cuneo Prima di procedere con la descrizione dei principali risultati emersi dall’indagine sul campo, è importante delineare, pur in estrema sintesi, le peculiarità dello scenario economico e produttivo della provincia di Cuneo, contesto entro cui è stata realizzata l’indagine16. Per quanto riguarda il 2016, l’economia piemontese ha proseguito sul cammino della ripresa intrapreso già nell’anno precedente. Con oltre 438 mila imprese il Piemonte si è confermato la settima regione italiana, raccogliendo oltre il 7% delle imprese nazionali. Il tessuto imprenditoriale regionale, costituito soprattutto da aziende di piccole e medie dimensioni (le realtà con meno di 250 dipendenti rappresentano il 99,9% del totale), ha evidenziato nel 2016 ancora una leggera contrazione in termini di numerosità (-0,12%), risultato analogo rispetto a quello registrato nell’anno precedente. Nel 2016 a trainare l’economia regionale è stato soprattutto il settore dell’industria manifatturiera, mentre, a differenza degli anni precedenti, il commercio estero non è riuscito a fornire un contributo positivo. Nel 2016 anche la provincia di Cuneo ha conosciuto un miglioramento delle condizioni del tessuto imprenditoriale e una crescita della produttività del comparto manifatturiero, mentre per il mercato del lavoro si sono registrati segnali contrastanti. Per la prima volta, dopo cinque anni caratterizzati da una progressiva contrazione del tessuto imprenditoriale provinciale, il 2016 ha evidenziato segnali di stabilità per la provincia Granda. Tra i punti di forza del tessuto produttivo troviamo – come per il territorio regionale – la specializzazione manifatturiera. Il 2016 è stato nuovamente un anno di crescita per l’industria cuneese: la produzione è cresciuta mediamente dell’1,9%, supportata in particolar modo dal comparto dei mezzi di trasporto e dalla meccanica (IRES Piemonte, 2016; 2017). Secondo i dati riportati dalla Camera di Commercio, le tendenze registrate nel 2016 evidenzierebbero una possibile uscita della provincia di Cuneo dalla sfavorevole congiuntura economica: una provincia, quella cuneese, in cui si concentra il 14% della ricchezza prodotta dall’economia piemontese e si produce un valore aggiunto pro capite pari a 27.647 euro, contro i 26.398 euro del Piemonte (dati 2016). 16 I dati che seguono sono tratti dal Rapporto Cuneo 2017 curato dalla Camera di Commercio di Cuneo, dai Rapporti Piemonte Economico Sociale del 2016 e 2017, realizzati da IRES Piemonte e dai dataset ISTAT 2017, consultabili online all’indirizzo: www.istat.it/it/archivio/16777 (ultimo accesso: 11 settembre 2017). 45 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Come anticipato, il mercato del lavoro sembra invece evidenziare dati più discordanti: da un lato, si registrano livelli occupazionali in aumento (il tasso di occupazione è salito al 67,7% dal 67,1% dell’anno precedente); dall’altro, si è assistito, soprattutto a causa della diminuzione del numero delle persone inattive, a un incremento della disoccupazione, il cui tasso è salito dal 5,3% del 2015 al 6,3%, pari a circa 17 mila persone in cerca di occupazione. Il fenomeno ha colpito con maggiore intensità la popolazione femminile, con un tasso di disoccupazione pari all’8% nel 2016, contro il 5% registrato fra i maschi. Particolarmente alto risulta, poi, il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni), che nel 2016 ha toccato il 23,4%. Nel periodo gennaio-dicembre 2016, il Registro imprese della Camera di Commercio di Cuneo ha contato la nascita di 4.111 nuove iniziative imprenditoriali, circa 500 in più rispetto all’anno precedente, e 4.143 cessazioni di attività (al netto delle cancellazioni d’ufficio). Il saldo tra i due flussi è apparso così negativo per 32 unità, dato migliore rispetto a quello evidenziato nel 2015, quando il saldo risultava pari a -129 unità. In totale, a dicembre 2016 le imprese attive all’interno della provincia erano 69.470. Per quanto riguarda la classe dimensionale delle imprese, le tendenze del territorio della provincia di Cuneo rispecchiano quelle italiane e piemontesi. Il modello più diffuso è infatti quello della ditta individuale (63,7%); seguono le aziende che hanno da 2 a 5 addetti (28,5%), quelle che contano da 3 a 9 dipendenti (3,7%), e le realtà da 10 a 49 addetti (3,5%). Infine, solo lo 0,5% delle realtà imprenditoriali della provincia conta dai 50 ai 249 lavoratori e solo lo 0,1% oltre i 250 (fig. 5). Figura 5. Classe dimensionale delle imprese iscritte alla Camera di Commercio di Cuneo – distribuzione percentuale (2016) 63,7 28,5 Ditta individuale da 2 a 5 addetti 3,7 3,5 da 6 a 9 addetti da 10 a 49 addetti 0,5 0,1 da 50 a 249 addetti oltre 250 addetti Fonte: rielaborazione da Camera di Commercio di Cuneo (2017) 46 IMPRESA POSSIBILE Il settore con più aziende è quello agricolo (29,7%); seguono poi “altri servizi” (cioè trasporti, servizi finanziari, istruzione, servizi di consulenza, ecc.), pari al 21%, il commercio (18,4%), le costruzioni (13,8%), l’industria in senso stretto (9,3%) e il turismo (5,6%) (fig. 6). Resta fuori dalla classificazione il 2,2% delle aziende. È da segnalare che, rispetto al territorio regionale, nella provincia di Cuneo le imprese agricole hanno un peso molto maggiore: in totale, in Piemonte la porzione di aziende che operano in questo settore è del 12,4%, contro il 29,7% registrato a livello provinciale. Le altre percentuali non si discostano in maniera significativa: in regione si segnalano solo valori più elevati per il settore “altri servizi” (27,6%) e per quello del commercio (23,4%). Figura 6. Settore di appartenenza delle imprese cuneesi e piemontesi – distribuzione percentuale (2016) Agricoltura 30 25 20 Altro Altri servizi 15 10 5 0 Turismo Commercio Industria Costruzioni Cuneo Piemonte Fonte: rielaborazione da Camera di Commercio di Cuneo (2017) Per quanto riguarda le reti di imprese, è interessante registrare l’elevato tasso di accordi di rete nel settore agricolo: nella provincia si contano infatti 40 soggetti connessi tra loro attraverso questi accordi (in tutto il Piemonte, le realtà legate da contratti di rete sono 129). Le imprese degli altri settori non sembrano mostrare, invece, una particolare propensione alla creazione di reti. Nell’industria, per esempio, le imprese coinvolte in network e joint venture sono 39 (contro le 225 del Piemonte); nel settore delle costruzioni sono 31 (120 in tutta la regione); in quello del commercio 26 (100 in Piemonte). In totale, si contano 196 aziende cuneesi legate da un accordo di rete (a livello regionale se ne segnalano 872). 47 • FEBBRAIO 2018 Q 33 3.2 Il disegno della ricerca e le caratteristiche del campione Per comprendere la penetrazione culturale del tema del welfare aziendale nelle imprese del cuneese, capire le effettive dimensioni quantitative del fenomeno e cogliere le caratteristiche delle sue pratiche organizzative, è stata realizzata un’indagine quantitativa su un campione di aziende rappresentative dell’universo dei settori e delle classi dimensionali delle aziende prese in considerazione17. La ricerca restituisce la percezione delle aziende del territorio rispetto al tema del welfare aziendale, le loro esperienze fino a oggi e il processo intrapreso per l’attivazione di iniziative di welfare all’interno della propria azienda. L’intervista è stata rivolta in prevalenza a responsabili amministrativi delle aziende, a titolari o amministratori delegati e a responsabili risorse umane, al fine di raggiungere le persone che, per il ruolo che ricoprono in azienda, trattano il tema del welfare aziendale nello svolgimento del proprio lavoro. Nello specifico, al termine della rilevazione risultano essere stati coinvolti in quasi la metà dei casi i responsabili amministrativi delle aziende. A seguire sono presenti i titolari, i direttori generali o gli amministratori delegati (32,4%) e solo in piccola parte i responsabili risorse umane (17,2%) (fig. 7). Figura 7. Figure professionali intervistate – valori percentuali 17,2 0,6 49,7 5,2 27,4 Responsabile risorse umane Direttore generale Amministratore delegato Titolare/Socio Responsabile amministrativo Fonte: indagine sulle imprese 17 Per maggiori dettagli si rimanda all’Appendice, disponibile online sul sito della Fondazione CRC: www.fondazionecrc.it/index.php/analisi-e-ricerche/quaderni. 48 IMPRESA POSSIBILE Il campione, costituito da 189 imprese della provincia di Cuneo, è rappresentativo dell’universo di riferimento ed è stratificato per settore produttivo (industria e costruzioni, commercio e servizi) e per numero di dipendenti (da 10 a 19, da 20 a 49, oltre i 50 dipendenti). Ai fini dell'indagine sono state considerate le imprese con almeno 10 dipendenti, fino a 500, ed è stato escluso il settore primario. Di seguito si riporta l’universo di riferimento sulla base del quale è stato costruito il campione, oltre alle celle campionarie utilizzate per la rilevazione (tab. 5). Tabella 5. Universo di riferimento e campione Universo Campione 10-19 dipendenti 20-49 dipendenti 50-500 dipendenti TOTALE 10-19 dipendenti 20-49 dipendenti 50-500 dipendenti TOTALE INDUSTRIA E COSTRUZIONI 825 370 168 1.363 59 34 22 115 COMMERCIO E SERVIZI 730 256 115 1.101 38 21 15 74 1.555 626 283 2.464 97 55 37 189 INDUSTRIA E COSTRUZIONI 33,5 15,0 6,8 55,3 31,2 18,0 11,6 60,8 COMMERCIO E SERVIZI 29,6 10,4 4,7 44,7 20,1 11,1 7,9 39,2 totale 63,1 25,4 11,5 100,0 51,3 29,1 19,6 100,0 val. assoluti totale val. % Fonte: indagine sulle imprese 49 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Il campione è stato definito nell’ottica di garantire il più possibile la sua corrispondenza all’universo di riferimento18. Prima di procedere all’elaborazione dei risultati dell’indagine, è stata analizzata la struttura del campione (caratteristiche socio demografiche) ed è stato effettuato un riproporzionamento del campione tramite ponderazione statistica per ricondurre i casi al loro effettivo peso nell’universo. La maggioranza delle imprese è situata nei territori di Cuneo (40%) e Alba (17,8%). Si tratta in prevalenza di imprese del settore manifatturiero (42%) e dei servizi (26%), in larghissima parte di piccole dimensioni (il 63,1% ha meno di 20 dipendenti), con la conseguenza di un fatturato che nella maggioranza dei casi è inferiore ai 3 milioni di euro. La prevalenza di aziende di piccole dimensioni determina come conseguenza i risultati delle altre variabili di profilatura delle tipologie aziendali. Si tratta di imprese quasi interamente di proprietà italiana, con solo il 4,3% facenti parte di gruppi internazionali. Solo nel 15,5% dei casi si tratta di aziende che presentano più di una sede. E ancora, la dimensione ridotta influisce fortemente anche sulla presenza di sindacato in azienda, dichiarato solo nell’11,9% dei casi. Per quanto riguarda la composizione di genere della forza lavoro, ci troviamo di fronte ad aziende tendenzialmente “al maschile”, dal momento che la quota media di donne occupate è di appena il 28,3% (tab. 6). 18 La principale precauzione statistica per avere un campione rappresentativo delle aziende della provincia di Cuneo si esplica nell’attuazione di un’estrazione proporzionale delle aziende per ciascuna cella campionaria, rispettando il peso che ogni cella assume all’interno dell’universo di riferimento. L’effettivo raggiungimento della corretta rappresentatività di tutte le celle campionarie, è, poi, condizionato dalla disponibilità del singolo a partecipare all’intervista. 50 IMPRESA POSSIBILE Tabella 6. Caratteristiche strutturali delle imprese intervistate (N=189) Percentuale Numero di dipendenti Presenza di sindacato in azienda Sede dell’azienda Settore Fatturato Proprietà 10-19 dipendenti 63,1 20-49 dipendenti 25,4 50 o più dipendenti 11,5 Sì 11,9 No 88,1 Cuneo 40,1 Alba 17,8 Bra 9,8 Fossano 4,4 Mondovì 10,7 Savigliano 5,1 Saluzzo 12,1 Industria 42,0 Costruzioni 13,3 Commercio 18,7 Servizi 26,0 Meno di un milione di euro 12,6 Un milione di euro 16,9 2-3 milioni di euro 22,8 4-5 milioni di euro 21,2 6-10 milioni di euro 13,1 11-20 milioni di euro 4,9 Oltre 20 milioni di euro 8,6 Interamente italiana Fa parte di un gruppo internazionale Sedi operative Solo in Italia In Italia e all’estero Numero di sedi Quote di genere 95,7 4,3 90,9 9,1 1 84,5 2 o più 15,5 Media uomini 71,7 Media donne 28,3 Fonte: indagine sulle imprese 51 • FEBBRAIO 2018 Q 33 3.3 Che cosa succede in azienda: la soddisfazione interna Benessere in azienda Prima di entrare nel tema del welfare aziendale, è utile indagare i livelli di soddisfazione relativi a una serie di aspetti rilevanti e strategici per la vita dell’impresa, per la cui analisi è stata pensata una specifica batteria di domande (fig. 8). Si tratta di elementi tradizionalmente associati al benessere di un’azienda (clima interno, soddisfazione dei dipendenti, livelli di turn over e di attrattività) o comunque associati (ex ante o ex post) alla presenza/assenza di politiche di welfare in azienda. Il punteggio medio più elevato si registra sulla elevata fedeltà dei lavoratori all’interno dell’azienda, con conseguente contenimento del turn over. Grande soddisfazione si registra anche rispetto al clima aziendale e alla soddisfazione complessiva dei dipendenti, mentre il dato di maggior criticità è quello dei risultati economici, per i quali si supera mediamente la sufficienza. Figura 8. Soddisfazione per vari aspetti della vita dell’azienda – valori medi su una scala 1-10 Risultati economici ultimi 12 mesi 6,89 Relazioni con i sindacati Soddisfazione dei dipendenti 6,99 7,72 7,98 8,34 Clima interno Felicità dei dipendenti, basso turn over 6,83 Capacità di attrarre nuovi talenti Fonte: indagine sulle imprese Indice di soddisfazione 52 Nel grafico è riportato anche il risultato relativo alle relazioni sindacali, ma occorre naturalmente tenere conto del fatto che, come si è visto in precedenza, meno del 12% del campione dichiara di avere al proprio interno una rappresentanza sindacale. Laddove presente, dunque, il livello di soddisfazione non appare particolarmente elevato. Per provare a definire un indice sintetico di soddisfazione delle aziende del cuneese è in ogni caso necessario non conteggiare questa variabile. IMPRESA POSSIBILE L’indice sintetico calcolato19 tiene dunque conto soltanto delle altre cinque variabili e misura dunque un combinato di elementi relativi ai risultati economici dell’impresa, alle relazioni interne all’azienda e alle dinamiche relative al personale. Nel complesso si conferma la presenza di livelli piuttosto elevati di soddisfazione media: solo il 6,6% del campione presenta, infatti, un indice di soddisfazione insufficiente, mentre oltre il 40% dichiara una soddisfazione complessivamente elevata (fig. 9). Figura 9. Indice sintetico di soddisfazione – valori percentuali 6,6 53 40,4 Bassa Media Alta Fonte: indagine sulle imprese 3.4 La cultura aziendale e il welfare: percezioni e comprensioni Una parte del questionario di rilevazione è stata dedicata a comprendere la specifica “cultura del welfare” presente all’interno dell’azienda. Non si tratta di una semplice curiosità accademica, ma di una componente di indagine essenziale per verificare se, e in che misura, le realtà imprenditoriali siano in grado di cogliere la rilevanza del tema, le opportunità a esso connesse e i suoi eventuali aspetti problematici. L’esistenza di un gap conoscitivo è stato segnalato da molte ricerche (Pesenti, 2016a) e appare particolarmente pronunciato nell’ambito delle PMI, dove il livello di penetrazione delle pratiche di welfare aziendale risulta ancora molto basso, non soltanto a causa dei ben noti bias di tipo dimensionale e organizzativo. Di fronte a una richiesta di specificazione del concetto di welfare aziendale attraverso una risposta libera (dunque senza sottoporre preventivamente una lista preordinata di possibili risposte), quasi i 2/5 degli intervistati (36,9%) non riescono a dare una definizione precisa. Mentre un ulteriore 40% fornisce una descrizione del tutto generica (“tutto il sostegno per il benessere del dipendente”) e senza particolari attribuzioni di senso (fig. 10). Cultura del welfare Definizioni del welfare aziendale 19 L’indice è stato costruito sommando i punteggi delle cinque variabili, ottenendo in questo modo una nuova variabile continua i cui valori minimi e massimi sono risultati 20 (media voto=4) e 50 (media voto=10). Si è provveduto anche a generare una variabile categoriale, definendo tre classi: bassa soddisfazione (valore medio <6), media soddisfazione (valore medio compreso tra 6 e 7,9), alta soddisfazione (valore medio >8). La figura 9 sintetizza questa seconda variabile di tipo categoriale. 53 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Figura 10. La definizione in astratto di “welfare aziendale”, possibili più risposte – valori percentuali 40,1 Tutto il sostegno per il benessere del dipendente 36,9 Non sa 14,2 Sostegno economico ai dipendenti 13,1 Politiche a favore della conciliazione vita-lavoro 10,2 Sanità integrativa 7,0 Previdenza integrativa 3,9 Formazione 3,1 Buone relazioni e sinergie 1,1 Iniziative motivazionali e di volontariato 0,5 Servizi sociali alla persona 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 Fonte: indagine sulle imprese Quale significato è possibile attribuire a questi dati? Siamo di fronte con ogni evidenza a una difficoltà piuttosto significativa e con ogni probabilità legata principalmente alle caratteristiche tipiche delle aziende intervistate. Sia nel caso di risposta generica, sia nel caso del “non so”, l’analisi di correlazione20 mostra valori statisticamente significativi con le variabili relative alla qualifica professionale del rispondente e alla dimensione aziendale, mentre appare non incidente il peso della tipologia aziendale, così come quello del settore di appartenenza. Nello specifico, la probabilità di non avere una definizione precisa del tema è più elevata nel caso in cui a rispondere siano i titolari dell’impresa e soprattutto i responsabili amministrativi, così come la massima probabilità si riscontra tra le aziende sotto i 20 dipendenti, nelle quali quasi la metà degli intervistati non hanno saputo rispondere in modo neppure generico alla domanda (fig. 11). Si tratta dunque di un gap di conoscenza presumibilmente legato alla non specificità di ruolo, a sua volta riferibile alla tipica mancanza di specializzazione funzionale presente nelle imprese di minori dimensioni, a conferma probabilmen20 Attraverso il test del chi-quadro si misura la presenza di un legame tra una variabile dicotomica e una variabile categoriale: in presenza di un valore di significatività asintotica inferiore a 0,05 si può rifiutare l’ipotesi che le due variabili siano tra loro indipendenti. 54 IMPRESA POSSIBILE te della assenza di un'adeguata diffusione culturale di questo tema al di fuori degli ambienti professionali specificamente relativi alle risorse umane. Figura 11. “Che cos’è il welfare aziendale?” – percentuale di risposta “non so”, per dimensioni aziendali 50% 45% 45,4 40% 35% 30% 25 25% 20% 18,2 15% 10% 5% 0% 10-19 dip. 20-49 dip. 50 o più dip. Fonte: indagine sulle imprese La ancora difficoltosa penetrazione culturale del tema viene peraltro confermata anche analizzando le risposte fornite dalla restante parte del campione (63%). La definizione più ricorrente, come già segnalato, è del tutto aspecifica, richiamando un generico intervento da parte delle imprese per il sostegno del benessere dei lavoratori. Risposte più precise, capaci di specificare in modo più circostanziato elementi qualificanti, come per esempio gli interventi per il sostegno economico, per la conciliazione vita-lavoro, per la sanità o la previdenza integrativa, sono presenti in componenti molto marginali del campione e sempre con percentuali inferiori al 15%. Questa ancora vaga percezione di che cosa si debba intendere con il termine welfare aziendale trova ampia conferma quando si verifica il livello di interesse presente nelle aziende di chi ha risposto di avere una conoscenza anche vaga del tema: solo in un caso su quattro traspare un elevato coinvolgimento tematico da parte dell’azienda, mentre in circa il 43% i valori di coinvolgimento registrati sono molto bassi. La non sempre ottimale conoscenza specifica del tema rende più complessa la lettura in controluce delle opinioni espresse con riferimento alle possibili cause ritenute di ostacolo alla diffusione del welfare aziendale nel nostro Paese. Nella percezione degli intervistati, i limiti più rilevanti che rallentano la diffusione del welfare aziendale sono principalmente di due tipi: da un lato, si segnalano le barriere economiche (indicate come causa Interesse verso il welfare aziendale Ostacoli al welfare aziendale 55 • FEBBRAIO 2018 Q 33 principale dal 44,4% dei rispondenti); dall’altro, immediatamente a seguire si registrano dei vincoli di tipo legislativo (causa principale per il 38,7% dei casi) (fig. 12). La prima spiegazione appare tutto sommato comprensibile, stante soprattutto le dimensioni delle aziende coinvolte (un dato che conferma la difficoltà mediamente riscontrata dalle PMI a sviluppare pienamente il welfare al proprio interno). Non si evidenziano peraltro correlazioni significative con il grado di conoscenza in astratto della materia, anche se chi non ha saputo dare una definizione tende maggiormente a indicare le difficoltà economiche come causa primaria. Certamente molto meno comprensibile, almeno a prima vista, appare invece il richiamo al vincolo legislativo: come si è visto, infatti, negli ultimi due anni la legislazione in argomento sembrerebbe avere rimosso numerosi vincoli che in precedenza avevano fortemente limitato lo sviluppo di queste pratiche. Figura 12. Ostacoli potenziali alla diffusione delle esperienze di welfare aziendale in Italia Limiti strutturali delle aziende 18,0 Vincoli legislativi 38,7 Barriere economiche 44,4 Barriere culturali tra i dipendenti 10,8 Barriere culturali sindacali 15,6 43,8 Barriere culturali in azienda 16,2 37,6 0 32,4 2,8 43,6 14,9 42,1 46,4 10 Causa principale Ininfluente Fonte: indagine sulle imprese 56 46,8 20 2,9 13,5 42,7 25,6 15,0 42,3 30 40 50 60 Ostacolo come ce ne sono altri Non sa 3,9 70 80 90 100 IMPRESA POSSIBILE In particolare si sono nel tempo succeduti una serie di interventi, a partire dalla Legge 28 dicembre 2015 n. 208 (Legge di Stabilità 2016), seguita dal Decreto Interministeriale del 25 marzo 2015, dalla Risoluzione dell’Agenzia Entrate 28/E-2015 e infine dalla Legge 11 dicembre 2016 n. 232 (Legge di Bilancio 2017). L’insieme di questi interventi ha portato a una serie di modifiche dell’articolo 51 del TUIR e alla modifica della disciplina del Premio di Risultato: nel complesso, tali misure hanno cambiato lo scenario complessivo, rendendo possibile la fruizione di più servizi (non soltanto dell’area educativa e della prima infanzia, ma oggi anche arrivando a coprire tutto il campo della conciliazione famiglia-lavoro e quello delle non autosufficienze), la contrattabilità del welfare (precedentemente non prevista) anche in funzione di “leva” per la produttività, un potenziale più agevole accesso al welfare aziendale da parte delle PMI grazie alla previsione di accesso di queste ultime a contratti territoriali attraverso i quali poter usufruire della disciplina del Premio di Risultato anche in assenza di una rappresentanza sindacale in azienda. Una parte della spiegazione è data, ancora una volta, dalla scarsa conoscenza dell’argomento: il richiamo ai vincoli di legge è infatti segnalato come causa (principale o accessoria) dalla quasi totalità di coloro i quali non avevano saputo dare una definizione precisa del termine. Tuttavia, è pur vero che identiche distribuzioni si ritrovano anche tra coloro i quali hanno dato una definizione specifica, non generica, di cosa sia il welfare. Di fatto, però, l’unica variabile che registra una correlazione statisticamente significativa con il grado di conoscenza del tema è quella che mette a tema la tipicità delle aziende italiane (dimensionale ma non solo) come causa di ostacolo allo sviluppo delle pratiche di welfare: si tratta di una causa che appare con maggior rilevanza tra coloro i quali hanno maggior conoscenza del tema, un fatto che sembra segnalare una riflessione puntuale e non improvvisata sull’argomento. Al di là della specifica definizione di che cosa si intenda con il termine, i nodi del problema si precisano in modo molto netto quando viene esplicitato agli intervistati un elenco di possibili aree di bisogno cui il welfare aziendale potrebbe essere chiamato a rispondere (fig. 13). Aree di bisogno 57 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Figura 13. Bisogni cui il welfare aziendale potrebbe rispondere (possibili tre risposte) – valori percentuali 60,0 56,9 50,0 47,0 56,2 44,6 40,0 30,0 24,5 18,1 18,5 20,0 10,0 18,9 16,5 16,7 11,4 10,4 24,5 6,2 9,9 8,4 13,5 21,2 16,9 18,1 17,3 11,4 3,4 2,5 0,0 Sanità integrativa Previdenza integrativa Prima Area socio assistanziale Seconda Terza Conciliazione vita-lavoro Sostegno economico Mensa, buoni pasto Totale Fonte: indagine sulle imprese Tra i bisogni prioritari emergono sugli altri l’area work life balance (dichiarata da quasi il 57% del campione nel complesso e come prima priorità dal 24,5%) e subito a seguire quella del sostegno economico ai dipendenti e alle loro famiglie (56,2%). Seguono sanità e previdenza, mentre molto meno diffusa sembra essere la dimensione dei bisogni dell’area socio assistenziale (come per esempio quelli legati all’area delle non autosufficienze). Ci pare interessante segnalare come la priorità accordata ai temi della previdenza e della sanità integrativa – insieme al tema delle mense e dei buoni – appare particolarmente accentuata fra le aziende in cui è presente una rappresentanza sindacale. Si tratta di un dato probabilmente rilevante, poiché potrebbe significare il fatto che i sindacati sono in grado di orientare la percezione dei bisogni, nonché di orientare/suggerire modalità di risposta più tradizionali. 58 IMPRESA POSSIBILE Se si considerano i benefit effettivi attivati in azienda, emerge una forte prevalenza di quelli estremamente tradizionali, che la letteratura in argomento ci segnala da molto tempo (Pavolini et al., 2013) essere i più diffusi (nelle grandi aziende, ma a maggior ragione anche tra quelle di minori dimensioni), anche grazie alla possibilità di accedervi attraverso la contrattazione di primo livello (CCNL), e dunque, in particolare, attraverso gli enti bilaterali presenti in buona parte dei contratti nazionali. Ciò è vero soprattutto per i fondi pensione, mentre nel caso dei fondi sanitari l’origine può essere anche nell’ambito della proposta aziendale (contrattato o meno) (fig. 14). Con enorme distacco, la terza area di benefit più diffusi è quella finalizzata ad agevolare la conciliazione vita-lavoro, la cui presenza è segnalata da poco meno del 21% delle aziende che hanno attivato elementi di welfare aziendale. Per il resto, superano la soglia di diffusione del 10% delle aziende i tassi agevolati per l’accesso al credito e le convenzioni per il consumo, rispettivamente con il 17,4% e il 15,1% di diffusione. Benefit attivi in azienda Figura 14. Benefit attivi in azienda – valori percentuali sul totale delle aziende in cui è presente almeno un benefit Fondo integrativo pensione 48,5 Prestazioni sanitarie integrative 48,5 Attività per agevolare la conciliazione vita-lavoro (smart working, asilo nido aziendale, rimborsi o voucher, ecc.) 20,9 Tassi agevolati per mutui, finanziamenti 17,4 Convenzioni con strutture commerciali per i dipendenti/rimborsi abbonamenti mezzi 15,1 Attività per il benessere fisico e psicologico dei dipendenti, circoli ricreativi 9,8 Contributi per il sostegno ai care giver privati, ossia coloro che si occupano di familiari con gravi malattie o non autosufficienti 9,5 Supporto psicologico per i dipendenti con problemi familiari gravi (lutti, separazioni) 7,4 4,6 Agevolazioni per scuole/asili nido Housing, affitti a prezzi calmierati per le persone più bisognose 3,2 Borse di studio per soggiorni all'estero di dipendenti e familiari 2,3 0 10 20 30 40 50 60 Fonte: indagine sulle imprese 59 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Distanza fra bisogni e benefit È interessante notare il disallineamento tra i bisogni emergenti e ritenuti prioritari, e i bisogni che trovano specifica risposta in azienda (fig. 15). Sono soprattutto due le aree in cui sembra più evidente la distanza tra il bisogno (almeno così come percepito dall’intervistato) e l’effettiva possibilità di risposta garantita dall’azienda attraverso uno o più benefit: l’area della conciliazione vita-lavoro e quella del sostegno economico (in cui ricadono convenzioni, prestiti agevolati, politiche per gli alloggi, rimborsi di varia natura, soggiorni e colonie estive). Soprattutto per quanto riguarda l’area della conciliazione vita-lavoro, questo dato conferma, peraltro, una tendenza registrata in questi ultimissimi anni nella già citata letteratura del nostro Paese e che dunque segnala un ambito di necessaria riflessione sulle modalità con cui le aziende intervengono e sulla loro effettiva capacità di lettura dei bisogni dei dipendenti. Il cambiamento legislativo di cui si è dato conto in precedenza avrebbe dovuto, almeno in ipotesi, permettere una più ampia diffusione di benefit proprio in questo ambito nonché nell’area in parte contigua dei servizi dell’area socio assistenziale (nella quale si nota una distanza ancora significativa, benché meno marcata, tra bisogno percepito e bisogno corrisposto), grazie alla loro finalmente riconosciuta rilevanza pubblica da parte del legislatore e della conseguente agevolazione fiscale. Figura 15. Bisogni emergenti percepiti e bisogni effettivamente coperti dai benefit attivati in azienda – valori percentuali sul totale delle aziende che hanno attivato un Piano di welfare Area socio assistenziale 24,5 Sanità integrativa 56,2 48,5 9,5 44,6 Sostegno economico 20,2 20,9 47,0 Previdenza integrativa 48,5 Conciliazione vita-lavoro 56,9 Segnalato come bisogno Fonte: indagine sulle imprese 60 Segnalato come benefit attivo IMPRESA POSSIBILE Siamo dunque di fronte a una difficoltà delle imprese, ancora una volta confermata, a dare ascolto alle esigenze dei lavoratori? Certamente il dato appare complesso nella sua decodifica razionale, soprattutto in rapporto a contesti di aziende mediamente di ridotte dimensioni, nei quali è prevedibile una più agevole possibilità di ascolto da parte dell’impresa. La conferma di questa ipotesi viene dall’analisi delle iniziative che gli intervistati dichiarano di avere messo in atto nella propria impresa per comprendere i bisogni di welfare dei lavoratori (fig. 16). Certamente non sono diffuse pratiche organizzate di ascolto del bisogno (dichiarata nel 36,3% dei casi del sottocampione di imprese che dichiara di avere introdotto almeno un benefit di welfare, cui è possibile aggiungere anche il 4,1% di imprese di maggiori dimensioni nelle quali il sindacato si è reso protagonista di una mediazione di rappresentanza), ma in cui altrettanto certamente è plausibile una modalità di ascolto più personalizzata svolta attraverso incontri individuali con i dipendenti (50,2% dei casi). Dunque, l’ascolto dei dipendenti è esperienza che in modo più o meno personalizzato riguarda oltre l’80% delle imprese che fanno welfare a Cuneo e in provincia. Si tratta di dati molto elevati, certamente superiori a quanto è stato registrato in analoghe ricerche esplorative effettuate negli ultimi anni o, per esempio, in una ricerca molto ampia, su un campione di oltre 600 imprese lombarde attive sul tema del welfare, dove solo in un terzo era stata prevista un'analisi dei bisogni (Pesenti, 2018). Le aziende del territorio di Cuneo appaiono più orientate all’ascolto e alla condivisione dei bisogni dei propri dipendenti: come spiegare, dunque, il disallineamento tra bisogni percepiti dagli intervistati (che in qualche modo dovrebbero tenere in considerazione le esigenze dei dipendenti) e le pratiche concrete registrate? Modalità di ascolto dei bisogni Figura 16. Iniziative realizzate per l’ascolto del bisogno dei lavoratori – valori percentuali sul totale delle aziende che hanno attivato un Piano di welfare Con incontri individuali 50,2 23,5 Con incontri periodici collettivi Nessuna 18,8 12,8 Tramite indagini interne Attraverso l'interessamento/il tramite delle rappresentanze sindacali 4,1 0 10 20 30 40 50 60 Fonte: indagine sulle imprese 61 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Alla luce di questi dati, un’ipotesi che resta aperta è quella di uno stile di intervento da parte dell’azienda molto informale a causa della scarsa possibilità di manovra di imprese che, per le ridotte dimensioni, non si possono permettere processi razionalizzati di ampia portata ed elevato costo. Lo conferma anche l’esplicita non formalizzazione di processi di verifica ex post della soddisfazione dei dipendenti (fig. 17). Solo nel 6,3% dei casi si effettuano indagini interne, ma, contrariamente a quanto ci si potrebbe attendere, non si tratta in prevalenza di imprese di medie o grandi dimensioni, bensì di imprese con meno di 50 dipendenti. Per il resto, come detto, si impone uno stile più informale in quasi l’80% dei casi e, in linea generale, le imprese più grandi sono sovrarappresentate in questo gruppo. Anche qui, un paradosso su cui potrebbe essere interessante effettuare ulteriori approfondimenti in futuro. Figura 17. Modalità di valutazione dei risultati delle policy di welfare – valori percentuali sul totale delle aziende che hanno attivato un Piano di welfare 6,3 13,7 Sì, in modo informale Sì, tramite dei processi formalizzati (indagini di clima, monitoraggio fruizioni) No 79,9 Fonte: indagine sulle imprese 62 IMPRESA POSSIBILE Un secondo elemento utile alla comprensione è, però, probabilmente desumibile anche dalla modalità con cui le aziende si sono mosse: anche qui, la taglia medio piccola delle imprese predetermina una modalità di decisione assolutamente unilaterale (nel 78,5% dei casi), talvolta senza peraltro una esplicita verifica delle esigenze dei lavoratori (17,7%). La dimensione aziendale continua, insomma, a essere la variabile che “spiega” i modi concreti con cui il welfare entra in azienda (fig. 18). Modalità di intervento Figura 18. Modalità con cui è stata decisa l’introduzione del welfare in azienda – valori percentuali sul totale delle aziende che hanno attivato un Piano di welfare 70,0 57,9 60,0 50,0 40,0 30,0 20,0 17,7 16,3 10,0 2,8 5,2 0,0 In modo unilaterale dall'azienda In modo unilaterale dall'azienda, dopo aver verificato le esigenze dei lavoratori In modo unilaterale dall'azienda, con il consenso implicito del sindacato In modo contrattato, nell'ambito delle normali relazioni con il sindacato In applicazione ai contratti di categoria Fonte: indagine sulle imprese 63 • FEBBRAIO 2018 Q 33 3.5 L’impatto del welfare sull’organizzazione Modello organizzativo L’ultimo aspetto da verificare è il modello organizzativo utilizzato dalle aziende per introdurre il proprio sistema di welfare (fig. 19). Operativamente, e ancora una volta come risultato della dimensione media delle imprese analizzate, il welfare è gestito direttamente dall’azienda, con acquisto diretto di servizi (61,8%), sistemi di rimborsi (22,4%) o convenzioni (13%). La gestione attraverso portale, modalità che negli ultimi anni si è molto diffusa grazie anche alla nascita di un vero e proprio mercato di provider di servizi dedicati (cap. 4.5), rappresenta lo strumento in assoluto meno diffuso (12,2% dei casi). Anche in questo caso potremmo aspettarci che la dimensione aziendale rappresenti la variabile esplicativa principale, ma i controlli effettuati confermano solo in parte la presenza di una chiara associazione tra dimensione aziendale e modalità gestionali. Tale associazione è, infatti, significativa sul piano statistico per quanto riguarda le convenzioni (cresce la diffusione al decrescere del numero di dipendenti), mentre per le altre modalità manca l’evidenza di questo legame, anche se certamente i portali tendono a essere più diffusi nelle aziende con un maggior numero di dipendenti. Altro elemento significativo è, invece, il fatturato, che spiega la diffusione di servizi direttamente acquistati dalle imprese (significativamente più diffuse ai bassi fatturati e meno diffuse tra le aziende con fatturati superiori ai 10 milioni di euro). Figura 19. Modalità gestionali del Piano di welfare – valori percentuali sul totale delle aziende che hanno attivato un Piano di welfare Welfare gestito con l'acquisto diretto di servizi da parte dell'azienda 61,8 22,4 Welfare gestito attraverso un sistema di rimborsi 13,0 Welfare gestito attraverso un sistema di convenzioni Welfare gestito attraverso un portale fornito da un provider o da un'associazione di categoria e contenente un paniere più o meno ampio di servizi 12,2 0 10 20 30 40 50 60 70 Fonte: indagine sulle imprese Sempre ricostruendo le dinamiche operative di gestione del welfare nelle aziende che ne hanno dichiarato la presenza, la metà delle imprese si è rivolta a soggetti esterni per implementare eventuali iniziative, quasi il 37%, invece, ha operato in completa autonomia (fig. 20). Hanno chiesto collaborazione all’esterno nel 30% dei casi a soggetti associativi (ma alla luce della parte qualitativa della ricerca, non è chiaro a quali soggetti si 64 IMPRESA POSSIBILE siano effettivamente rivolti, o quanto meno in quale modalità e per ottenere quali elementi operativi al di fuori del puro dato informativo) e solo il 10,9% a provider di servizi. Figura 20. Partner esterni utilizzati per introdurre il welfare – valori percentuali sul totale delle aziende che hanno attivato un Piano di welfare Nessun soggetto esterno 36,8 Associazioni datoriali 30,6 Provider di servizi 10,9 Assicurazioni 8,6 Camera di Commercio 7,5 Altre aziende come la sua 4,6 Cooperative 3,3 Enti bilaterali 2,3 Amministrazioni pubbliche (Regione, Provincia, Comuni, ASL) 1,2 0 5 10 15 20 25 30 35 40 Fonte: indagine sulle imprese Un ragionamento specifico merita, infine, il tema dei costi, anche per verificare se la barriera economica all’introduzione del welfare in azienda – che come si è visto in precedenza (fig. 12) risulta essere particolarmente avvertita come vincolo da un’ampia componente del campione – rappresenta un elemento rilevante anche in termini concreti. Nei fatti, il 47,8% delle aziende in cui si fa welfare non segnalano la presenza di costi significativi e un ulteriore 13,6% non ha avuto spese aggiuntive. In pratica, solo il 26% delle aziende lamenta costi aggiuntivi significativi e in questo gruppo sono presenti, in particolare, le imprese che sono intervenute sul fronte dei servizi socio assistenziali e, in modo imprevisto, coloro i quali hanno utilizzato sistemi di convenzioni (fig. 21). Costi del welfare aziendale 65 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Figura 21. Costi sostenuti per il Piano di welfare – valori percentuali sul totale delle aziende che hanno attivato un Piano di welfare 60 50 47,8 40 30 26,2 20 13,6 12,4 Non sostiene costi aggiuntivi Sostiene/ha sostenuto costi aggiuntivi compensati da risparmi fiscali 10 0 Sostiene/ha sostenuto costi aggiuntivi non significativi Sostiene/ha sostenuto costi aggiuntivi significativi Fonte: indagine sulle imprese In ogni caso, il 41,6% delle imprese sembra non avere un’idea precisa delle dinamiche di costo nel tempo e solo il 38% ritiene che nel lungo periodo si potrà ottenere un completo assorbimento dei costi o un significativo risparmio grazie agli incentivi fiscali (fig. 22). Tra questi ultimi, la sola significativa statistica si registra in associazione a chi utilizza un portale fornito da un provider di servizi, come dire che il portale ha un costo di avviamento rilevante, ma una possibilità di ammortamento nel tempo che lo rende, per queste imprese, utile ai fini del risparmio. Figura 22. Dinamica di costi futuri per il Piano di welfare – valori percentuali sul totale delle aziende che hanno attivato un Piano di welfare 41,6 Non ha sufficienti elementi per rispondere 20,3 Resteranno costanti nel tempo 19,8 Verranno ammortizzati nel lungo periodo 18,2 Produrranno nel lungo periodo un risparmio significativo 0 Fonte: indagine sulle imprese 66 5 10 15 20 25 30 35 40 45 IMPRESA POSSIBILE 3.6 Conclusioni: il welfare aziendale è utile alle imprese? Esistono dunque elementi strutturali capaci di spiegare la presenza/assenza di welfare nelle aziende cuneesi? Il controllo della significatività statistica non mostra evidenze chiare per nessuna delle variabili controllate: dimensioni aziendali, presenza del sindacato, settore produttivo, percentuali di donne in azienda. D’altra parte, le caratteristiche del campione (anche a causa della sua bassa numerosità) non presentavano ampie variazioni su questi elementi e dunque il risultato è plausibilmente atteso. In ogni caso, tendenzialmente si fa più welfare nelle aziende sopra i 40 dipendenti e nel settore dei servizi. A che cosa è servita l’introduzione di uno o più benefit di welfare? Le ricerche in argomento segnalano usualmente come il primo elemento di utilità sia relativo al miglioramento del clima aziendale: anche nel caso del Cuneese si conferma questo risultato, segnalato dall’86% delle aziende con un voto superiore a 6 su una scala da 1 a 10. Immediatamente a ridosso è il tema dell’incremento della produttività (80%), mentre emerge un minor grado di attenzione rispetto a quanto registrato in analisi e ricerche italiane e internazionali su temi di più precisa derivazione HR, come la capacità di trattenimento (retention) e di attrazione (attraction) di nuove risorse umane. La possibilità che il welfare aziendale possa agevolare lo sviluppo della quota di lavoro femminile appare anche in questa ricerca del tutto marginale (il 40% dei casi ha fornito una valutazione superiore a 6 e ben il 56% non ha saputo formulare un giudizio specifico), a conferma del fatto che il tema è ormai completamente esterno (nella percezione delle imprese) all’argomento più specifico dell’agevolazione delle pari opportunità in azienda. Sempre su questo punto è utile segnalare un dato, che pur non potendo contare su numeri molto elevati (e dunque non potendo essere valutato in modo troppo estensivo e in termini di robusta rappresentatività) acquista un valore almeno qualitativo del tutto specifico: se si analizzano i benefici dichiarati dalle imprese tenendo conto del bouquet di benefit disponibili, là dove sono presenti benefit e servizi dell’area conciliazione vitalavoro si registrano valori di soddisfazione più elevati su tutti gli elementi precedentemente descritti, con una robusta crescita di gradimento anche sulla capacità di sviluppo della quota di lavoro femminile. Il tema work-life balance si conferma, dunque, essere quello maggiormente sensibile e dalle prospettive di maggior impatto, ancorché l’area in cui è più evidente il gap tra bisogno e capacità di risposta da parte delle aziende. 67 • FEBBRAIO 2018 Q 33 4. Il punto di vista degli attori del sistema produttivo e sociale Dopo aver restituito i risultati emersi dall’indagine quantitativa, in questo capitolo saranno considerate più da vicino le evidenze raccolte attraverso le interviste in profondità con i principali attori del tessuto produttivo e sociale cuneese in merito ai seguenti interrogativi: che cosa intendono gli stakeholder per welfare aziendale e quali funzioni ritengono debba soddisfare? Quanto sono a conoscenza delle recenti innovazioni normative e quali rischi e opportunità vi intravedono? Infine, quale ritengono debba essere il ruolo della contrattazione nella messa a punto di queste forme di protezione sociale destinate ai lavoratori? Il capitolo prosegue descrivendo più in dettaglio le iniziative oggi in campo, soffermandosi sulle caratteristiche di alcuni casi di welfare aziendale nelle grandi aziende del territorio; sul ruolo giocato dai provider; sulle funzioni di welfare esercitate – soprattutto per le PMI – dagli enti bilaterali territoriali; infine, sulle prime innovative iniziative di welfare aziendale territoriale avviate a livello provinciale. 4.1 Il disegno della ricerca L’indagine qualitativa è stata realizzata attraverso interviste in profondità con i principali stakeholder del tessuto produttivo cuneese. Per stakeholder intendiamo tutti i soggetti collettivi del territorio, il cui interesse può essere considerato, negativamente o positivamente, influenzato dalla questione del welfare in azienda e la cui azione (o reazione) è a propria volta plausibilmente in grado di influenzarne in qualche modo lo sviluppo. Nel periodo fra febbraio e luglio 2017 sono state realizzate 17 interviste, che hanno coinvolto complessivamente più di 20 testimoni privilegiati21, selezionati per la posizione chiave da essi occupata nelle rispettive organizzazioni: le sigle sindacali più rappresentative (CGIL, CISL e UIL) e le maggiori associazioni datoriali e di categoria (Unione Industriale, Confartigianato, Legacoop, Confcooperative, Confederazione Nazionale dell’Artigianato, Confcommercio, Coldiretti); gli enti bilaterali (nei settori dell’edilizia, dell’agricoltura, del commercio e del turismo, dell’artigianato e della 21 Per un elenco completo si rimanda all'appendice del presente Quaderno, disponibile online sul sito della Fondazione CRC: www.fondazionecrc.it/index.php/analisi-e-ricerche/quaderni. 68 IMPRESA POSSIBILE cooperazione); quattro grandi imprese22. L’attenzione dedicata alle esperienze realizzate nelle grandi imprese si giustifica, da un lato, alla luce del focus riservato dalla survey sulle PMI; dall’altro, sulla base delle evidenze raccolte attraverso le interviste con organizzazioni sindacali e associazioni di categoria che – peraltro in linea con quanto documentato a livello nazionale (Pavolini et al., 2013; Mallone, 2013b; 2015; Pesenti, 2016a) – hanno sottolineato la concentrazione delle esperienze più strutturate di welfare aziendale proprio nelle grandi imprese del territorio che, come visto grazie ai dati di contesto illustrati in apertura di questa seconda parte, costituiscono una frazione estremamente esigua del tessuto produttivo considerato. È stato inoltre intervistato l’unico provider di welfare aziendale che ha la propria sede nella provincia di Cuneo23. 4.2 Il punto di vista degli stakeholder 4.2.1 Che cosa è e a che cosa serve il welfare aziendale Come si è visto, nel suo uso corrente l’espressione “welfare aziendale” o “in azienda” presenta contorni non sempre chiaramente definiti, prestandosi di conseguenza a essere oggetto di interpretazioni differenti, soprattutto in merito all’estensione della gamma di beni e servizi riconducibili nel suo perimetro e alla loro importanza relativa. A riprova di ciò si consideri che quasi i 2/5 degli intervistati nella survey non sono riusciti a dare una definizione precisa di welfare aziendale, mettendo così in evidenza una ancora scarsa penetrazione culturale del tema nel territorio cuneese . Venendo alle interviste in profondità, risulta interessante, in primo luogo, sottolineare come, nella definizione dei confini del fenomeno in questione, nessuno dei soggetti intervistati abbia fatto menzione di benefit come buoni carburante, buoni ristorazione, telefono aziendale. Come illustrato nel secondo capitolo, questi strumenti sono regolamentati dalla normativa sul welfare aziendale (artt. 51 e 100 del TUIR) e, inoltre, godono di un trattamento fiscale favorevole grazie alle novità previste dalle ultime due Leggi di Stabilità. A livello definitorio, però, come si è visto, si differenziano dal welfare aziendale in senso stretto, in quanto non sono strutturati in modo da soddisfare bisogni primari dell’individuo (cioè connessi a tematiche come la salute, l’occupazione, il reddito, la disabilità, l’assistenza Confini del welfare aziendale 22 È necessario precisare che per due delle quattro grandi aziende esaminate – a fronte della scarsa disponibilità a realizzare un’intervista nell’ambito della presente ricerca – si è fatto ricorso a materiale empirico raccolto, sempre attraverso interviste in profondità, nel quadro di un progetto di ricerca affine a quello qui presentato (Cannito, 2017a). Si ringrazia la dott.ssa Maddalena Cannito per aver condiviso con il Laboratorio di ricerca Percorsi di secondo welfare le evidenze empiriche raccolte nel quadro della ricerca dottorale confluita nella tesi dal titolo Walking Dads. Quando il congedo parentale è maschile: l’esperienza dei padri lavoratori del settore privato tra welfare aziendale e nuova paternità (Cannito, 2017a). 23 Una nota metodologica e le tracce utilizzate per le interviste sono disponibili nell’Appendice del presente Quaderno, pubblicata online sul sito della Fondazione CRC: www.fondazionecrc.it/ index.php/analisi-e-ricerche/quaderni. 69 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Interpretazioni 70 sociale). Il fatto che tali interventi non siano stati menzionati (o lo siano stati solo secondariamente) porta a pensare che dagli intervistati il welfare aziendale sia considerato, almeno in linea di principio, come un fenomeno che dovrebbe prioritariamente e positivamente influire sul reale benessere – personale e familiare – del lavoratore. Nel complesso, i temi più frequentemente evocati dagli attori del territorio sono stati, infatti, quelli collegati all’assistenza sanitaria integrativa, alla conciliazione fra i tempi di vita e di lavoro (soprattutto attraverso il sostegno all’accesso a servizi, quali in particolare gli asili nido) e al diritto allo studio (grazie a borse e premi rivolti ai figli dei dipendenti): work-life balance e sostegno al reddito sono peraltro le aree di bisogno emerse con maggiore frequenza anche nell’analisi quantitativa. Fra le definizioni offerte dagli attori intervistati si distinguono poi interpretazioni più late e interpretazioni più ristrette. Le prime – fatte proprie in particolare dal mondo dell’associazionismo industriale e della consulenza del lavoro – tendono a includere tutte le misure capaci di migliorare il benessere del dipendente e della sua famiglia, non solo rispondendo a un bisogno sociale in senso stretto (welfare), ma anche fornendo facilitazioni per l’accesso da parte dei lavoratori ad attività di tipo ludico-ricreativo nel tempo libero (wellness e lifestyle). Le seconde – sostenute da parte del mondo sindacale – restringono invece il campo d’azione del welfare aziendale agli interventi capaci di offrire principalmente una risposta efficace ai bisogni più urgenti dal punto di vista sociale, come l’accesso alle cure mediche, la facilitazione nella conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, forme dirette e indirette di sostegno al reddito, sostegni nel campo del diritto allo studio. Come spiega il segretario provinciale di una delle maggiori sigle sindacali, il welfare aziendale consiste in «prestazioni o servizi nell’ambito dell’assistenza, per le persone non autosufficienti. Oppure per l’educazione e l’istruzione. […] Poi io penso che sia importante anche il benessere personale, fisico […]. Però noi diciamo di preferire quella parte che riguarda le difficoltà: le persone non autosufficienti, la questione dell’educazione dei ragazzi, la questione della formazione, dell’istruzione» [intervista n. 2]. Un’enfasi su strumenti capaci di assicurare, in particolare attraverso la flessibilità oraria, una facilitazione nella conciliazione dei tempi di vita e di lavoro è stata posta specialmente da alcune sigle di rappresentanza delle piccole e micro imprese: la conciliazione è «una tematica sentita in tutti i settori, e nel nostro settore in maniera particolare […]. L’esempio dell’asilo nido aziendale è […] molto […] fascinoso, ma che poi nella gran parte delle aziende come le nostre non sarebbe la risposta. E quindi si tratta poi di avere […] la fantasia necessaria, per trovare delle soluzioni che possano essere più rispondenti alle tipicità del settore» [intervista n. 12]. IMPRESA POSSIBILE Un altro tema potenzialmente divisivo è quello legato all’identificazione delle ragioni per cui un piano di welfare è, o dovrebbe essere, adottato da un’impresa: in altre parole, a quali esigenze risponde o dovrebbe rispondere l’introduzione di questo strumento? Nel complesso, gli attori intervistati concordano sul fatto che una delle funzioni principali del welfare aziendale debba consistere nell’offrire risposta a un effettivo bisogno del lavoratore e della sua famiglia, contribuendo a colmare, almeno in parte, le (crescenti) lacune del welfare pubblico. Secondo il responsabile di una delle più importanti sigle di rappresentanza delle imprese agricole, per esempio, «l’obiettivo principale è quello di intervenire laddove il welfare statale non interviene adeguatamente o non interviene più. Perché ci sono una serie di ambiti in cui fino a qualche anno fa si poteva contare sull’intervento pubblico. Poi, per alcune ragioni – più o meno note – si sono creati dei vuoti, quindi il welfare aziendale serve per andare a integrare queste situazioni» [intervista n. 11]. Alla luce di tutto ciò, parrebbe che nella percezione degli intervistati lo scopo principale dei piani di welfare consista nella fornitura di un sostegno effettivo ed efficace al dipendente, in modo da migliorarne il benessere familiare e personale con auspicabili ricadute positive anche sul piano organizzativo, in termini di riduzione dei costi e aumento della produttività aziendale. Come riassunto dal rappresentante di una delle sigle sindacali consultate, «quando emerge un bisogno, si dovrebbe rispondere al bisogno […]. Se riesci a costruire un asilo interaziendale, rispondi a un bisogno; se fai un dopo-scuola che assiste i ragazzi dall’una e mezza fino alle nove di sera e quindi permette ai lavoratori di fare i turni e non avere orari sballati, anche lì rispondi a un bisogno. Secondo me, se da questo punto di vista si riesce a fare un welfare integrativo, significa andare incontro a un bisogno» [intervista n. 3]. Anche in questo caso è tuttavia possibile cogliere posizionamenti differenziati fra i diversi attori del tessuto produttivo provinciale, soprattutto relativamente all’importanza assegnata ai diversi elementi appena richiamati: il soddisfacimento di un bisogno e le ragioni organizzative e produttive. In effetti, la funzione di risposta del welfare aziendale ai bisogni dei lavoratori si accompagna, soprattutto da parte del mondo dell’impresa, all’aspettativa – nella perdurante assenza di interventi normativi a riduzione del costo della manodopera (il cosiddetto “cuneo fiscale”) – di effetti positivi in termini di produttività e di riduzione del costo del lavoro. Come detto, questo punto di vista è condiviso soprattutto dai referenti delle rappresentanze datoriali: «il [...] welfare aziendale è tutto collegato alla produttività e alla redditività dell’azienda […]. Essenzialmente il welfare aziendale è un metodo per dare più denaro al lavoratore. E, con i meccanismi fiscali che ci sono, permette un risparmio anche all’azienda. […] Cioè: ho dato 100 euro come incremento salariale, l’azienda ne spende 170-180 e al lavoratore, se va bene, ne arrivano 60 o giù di lì. Il Scopi dei piani di welfare 71 • FEBBRAIO 2018 Q 33 72 famoso cuneo fiscale. Visto che c’era l’indisponibilità del governo a ridurre il cuneo fiscale, questa [quella del welfare aziendale] è stata la via giusta» [intervista n. 1]. Più in generale, si sottolinea che «il welfare aziendale diventa sempre di più uno strumento anche della competitività stessa delle imprese» [intervista n. 10]. Tra gli intervistati appartenenti al mondo delle rappresentanze dell’impresa, inoltre, è spesso evidenziato il legame tra welfare aziendale e gestione delle risorse umane. La possibilità di generare un clima favorevole e di fortificare il rapporto tra impresa e dipendenti è, però, condizionato dalla strutturazione dello stesso piano di welfare: in particolare, secondo il punto di vista di alcuni intervistati, è essenziale che esso sia calibrato adeguatamente, ovvero tenendo conto, allo stesso tempo, della sua sostenibilità economica e delle specifiche esigenze della popolazione aziendale di riferimento, che possono variare nel tempo: «ogni azienda ha un problema di budget, per cui deve trovare quelle prestazioni che coinvolgono più addetti: questo per una questione di sostenibilità, ma anche per una questione di ritorno, di beneficio per il lavoratore e, di conseguenza, di ritorno dell’investimento» [intervista n. 8A]. Il collegamento fra welfare aziendale e produttività emerge anche dalle parole del presidente di una delle maggiori associazioni dei consulenti del lavoro, che, tuttavia, indica un intervento di riduzione del cuneo fiscale come preferibile rispetto agli incentivi fiscali legati al welfare: «si cerca di incrementare il potere d’acquisto [dei lavoratori] per alimentare maggiori consumi, quindi si cerca di dare maggiore liquidità alle tasche dei lavoratori. E lo si fa magari sapendo che le aziende avrebbero bisogno di qualcosa di diverso, come per esempio la riduzione del cuneo fiscale, che è una cosa ancora molto pesante che penalizza molto le nostre aziende» [intervista n. 6]. Una posizione, questa, condivisa anche da altri attori del territorio. Il mondo della cooperazione, poi, valuta il welfare aziendale come una componente genetica del proprio modo di fare impresa, sempre idealmente ispirato alla centralità del socio lavoratore in quanto persona. Lo strumento cooperativo ha un legame profondo con le dinamiche di sostegno alla persona e al lavoratore. L’individuazione stessa delle finalità di una cooperativa dovrebbe conciliarsi sempre con i bisogni del socio lavoratore: «La cooperazione nasce per aiutare, per dare spazio alle persone» [intervista n. 7]. All’interno del circuito cooperativo è, dunque, rivendicata un’attenzione profonda alle necessità dei collaboratori che deriverebbe dalla cultura solidaristica e mutualistica alla base del settore. In questo senso, nel quadro di un welfare pubblico sempre più insufficiente, anche il mondo cooperativo vede i vantaggi derivanti dall’introduzione di piani di welfare aziendale: «C’è un vantaggio, forse di tipo economico, che l’azienda può sicuramente far valere, c’è un vantaggio di fidelizzare il lavoratore, il socio lavoratore, le proprie famiglie, perché comunque è sempre una IMPRESA POSSIBILE erogazione di attenzioni nei confronti delle famiglie e dei lavoratori» [intervista n. 5]. Infine, dalle interviste è emerso che il legame tra mondo cooperativo e welfare è condizionato anche da una più elevata presenza di occupazione femminile: questo avrebbe spinto, nel tempo, le cooperative a concentrarsi maggiormente su aspetti che il settore privato ha conosciuto solo successivamente, come i congedi parentali e la conciliazione vitalavoro. Si tratta di un elemento sottolineato da alcuni autori che si sono occupati di analizzare e studiare l’evoluzione delle dinamiche di welfare aziendale all’interno del mondo della cooperazione. Secondo Pavolini (2016) nel settore cooperativo le lavoratrici donne sono il 52% a fronte del 37% di quello privato. Altre ricerche (Maino e Rizza, 2017) hanno evidenziato, inoltre, come il settore cooperativo possieda delle qualità intrinseche che possono favorire la diffusione del welfare aziendale. Tra queste vi sarebbero: la presenza di una logica della condivisione e di un approccio mutualistico molto marcato, che facilitano l’implementazione di un progetto condiviso a sostegno dei dipendenti; una maggiore facilità – grazie all’esperienza maturata nel settore in cui operano – rispetto a un’impresa for profit di creazione e gestione dei servizi di welfare; una particolare attenzione alla cura della persona e quindi alle esigenze dei lavoratori, derivante da quelle che sono le logiche di fondo del mondo cooperativo (cura dell’altro, assistenza, ecc.). 4.2.2 I rischi e le opportunità alla luce delle recenti innovazioni del quadro normativo Ricostruite le concezioni di welfare aziendale fatte proprie dai diversi stakeholder, resta da esaminare come questi valutino possibili rischi e opportunità alla luce delle più recenti innovazioni normative e come si articolino le relazioni fra i diversi attori del territorio che, a vario titolo, hanno un interesse nel campo del welfare aziendale. In merito a rischi e opportunità derivanti da una possibile accelerazione sul fronte del welfare di matrice aziendale, è possibile cogliere valutazioni e posizionamenti strategici differenziati dei diversi attori in campo, che risultano perlopiù a conoscenza del fatto che le Leggi di Stabilità 2016 e 2017 hanno introdotto rilevanti novità e vantaggi fiscali in tema di welfare aziendale, pur non conoscendo tutti nel dettaglio la normativa e nutrendo in alcuni casi dubbi sulla sua efficacia, data la complessità che la caratterizza. Come si è visto, proprio la complessità della normativa è generalmente avvertita come uno dei maggiori ostacoli alla diffusione del welfare in azienda. Gli sviluppi della contrattazione nazionale e della normativa di riferimento in materia di welfare aziendale sono guardati con particolare favore dall’Unione Industriale e dal suo HR Club. In particolare, l’Associazione Elementi positivi della normativa 73 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Giudizio dei sindacati Welfare pubblico e welfare aziendale 74 sottolinea come il welfare aziendale possa originare effetti positivi anche in termini organizzativi e produttivi: sotto il profilo dell’attrazione di forza lavoro qualificata, dal punto di vista dell’immagine dell’impresa e, soprattutto, del clima aziendale. Questo, a sua volta, avrebbe una ricaduta positiva sulla riduzione dei tassi di assenteismo, del turn over, dei ritardi e in termini di fidelizzazione del lavoratore. Inoltre, gli intervistati sottolineano che i benefit e i servizi di welfare consentono di ridurre le spese aziendali, permettendo il contenimento delle principali voci di costo. Fra le organizzazioni sindacali, risultano particolarmente positive le valutazioni generali avanzate dalla CISL, che accoglie con favore le innovazioni legislative più recenti in materia di misure di incentivazione fiscale a favore della contrattazione di secondo livello («siamo perfettamente in armonia con queste innovazioni normative» [intervista n. 4]), evidenziando un ruolo attivo nella loro genesi e sottolineando l’importanza di stimolare con maggior convinzione la contrattazione collettiva, anche di secondo livello, aziendale e territoriale, sempre più orientata alla tutela e al miglioramento delle condizioni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori, non solo sul piano strettamente economico. In linea con quanto osservabile a livello nazionale, appaiono invece più caute le aperture della UIL e, soprattutto, quelle della CGIL, che sembrano limitarsi a prendere atto delle novità intervenute, sottolineando, da un lato, la preferibilità di altri interventi, dall’altro, il rischio di un aumento delle disuguaglianze, in particolare fra i lavoratori occupati nelle grandi e nelle piccole-micro imprese: «come facciamo – in un territorio come questo – a far sì che il welfare sia di tutti e non sia solo di chi lavora nelle aziende… e nelle grandi aziende?» [intervista n. 2]. Il fatto che fra le micro, piccole e medie imprese si manifesti una maggiore difficoltà sia nell’introduzione di misure a sostegno di dipendenti, sia nell’interpretazione delle norme (soprattutto dal punto di vista fiscale) è richiamato anche dagli esponenti del mondo dell’artigianato. Uno dei temi più controversi e motivo di maggiore dialettica riguarda poi il rapporto fra welfare aziendale e welfare pubblico, e il ruolo che si ritiene opportuno riconoscere all’ente pubblico nel governo di tale rapporto. Dagli industriali l’assenza del pubblico non è valutata come una mancanza (la questione del welfare aziendale è tematizzata, prima di tutto, come oggetto di trattativa privata fra le parti) e gli enti pubblici sono considerati – al pari dei soggetti privati – nel novero dei potenziali fornitori di welfare aziendale, così come caldeggiato da parte del mondo della rappresentanza sindacale. Per quanto riguarda il rapporto tra welfare pubblico e privato, il timore dei referenti di alcune sigle sindacali sarebbe riscontrabile nel fatto che la progressiva diffusione di dinamiche come il welfare aziendale potrebbe generare una “erosione” del welfare state e della spesa pubblica. Questo spiega, in parte, il fatto che il coinvolgimento di strutture pubbliche in qualità di provider è invocata con particolare forza proprio dai rappresentanti IMPRESA POSSIBILE di alcuni sindacati: la presenza di soggetti pubblici fornirebbe maggiore garanzia della qualità dei servizi offerti e del rafforzamento dell’impianto universalistico del welfare: «Dato che il welfare pubblico esiste ed esistono anche le strutture pubbliche, bisogna cercare – quando si fanno gli accordi – di utilizzare il pubblico […] sia per un discorso di difesa del pubblico ma anche per un discorso di qualità» [intervista n. 2]. La CISL sottolinea l’importanza di privilegiare il modello integrativo e rimborsuale. Le organizzazioni sindacali insistono, infatti, su due aspetti collegati fra loro. In primo luogo, che le prestazioni erogate siano effettivamente integrative (e non sostitutive) del welfare pubblico, di cui viene difeso l’impianto universalistico. In secondo luogo, invitano a riflettere sull’opportunità che gli enti pubblici territoriali esercitino un’azione di coordinamento, volta a rilevare i bisogni sociali non soddisfatti e a coordinare i propri interventi con quelli realizzati dalle imprese e dal sistema pubblico stesso. A fronte del rischio di interventi disordinati e non coordinati, e di “incastri” non riusciti fra welfare pubblico e welfare aziendale (con buchi e sovrapposizioni di misure realizzate senza una regia complessiva), diversi intervistati hanno manife stato l’auspicio di un ruolo più attivo delle fondazioni, nell’esercizio di una funzione di finanziamento e indirizzo delle iniziative di welfare assunte nelle aziende del territorio. Infine, va sottolineato che – pur ribadendo le rispettive posizioni – gli intervistati hanno generalmente rappresentato le relazioni intrattenute con gli altri soggetti del territorio come poco conflittuali e ispirate alla reciproca collaborazione, come peraltro dimostrato dall’accordo raggiunto nel 2016 fra Confindustria e le organizzazioni sindacali, con il quale si è istituito un Osservatorio territoriale per monitorare le iniziative di contrattazione, anche su prestazioni sociali, presenti sul territorio. Tale accordo prevede l’istituzione di un organo paritetico che si pone lo scopo di raccogliere tutti i contratti di secondo livello stipulati dalle imprese che operano all’interno della provincia di Cuneo. L’Osservatorio fungerà poi da strumento per la classificazione degli accordi aziendali: in questo modo, le parti sociali si propongono di realizzare analisi periodiche e approfondimenti anche sul tema del welfare aziendale, fornendo così una mappatura delle tendenze del territorio. Osservatorio territoriale 4.2.3 Il ruolo della contrattazione In linea con quanto emerso dall’indagine quantitativa, le esperienze esistenti di welfare aziendale sono spesso riferite alle grandi aziende, e quelle promosse nelle medie e piccole aziende sono rappresentate dagli intervistati come prevalentemente di origine unilaterale, anche per l’assenza di una forte rappresentanza sindacale. Nel territorio sarebbe fino a oggi prevalsa una cultura poco propensa a fare del welfare una materia di contrattazione, ma gli incentivi creati dalla nuova normativa – secondo alcuni intervistati – potrebbero aiutare a invertire la rotta. 75 • FEBBRAIO 2018 Q 33 In questo contesto, il segretario provinciale di una delle sigle sindacali consultate sottolinea la necessità di «un’importante azione di stimolo dell’azione contrattuale, da parte delle grandi associazioni di impresa come strutture confederali territoriali: Confindustria, CISL, CGIL e UIL possono fare molto proprio nell’indirizzo della contrattazione, nell’indirizzo delle piattaforme, delle richieste che vengono fatte. Ecco, io credo che gli spazi siano enormi. Se poi si collega questa nuova legislazione di sostegno sulla contrattazione di secondo livello, si apre un margine veramente importante di innovazione della contrattazione» [intervista n. 4]. Molti attori hanno, inoltre, richiamato l’attenzione sull’effetto propulsivo determinato dall’ultimo rinnovo del CCNL dei metalmeccanici (Box 2). È interessante notare come questo CCNL sia interpretato come un primo passo – necessario – per introdurre le pratiche di welfare aziendale anche nelle imprese più conservatrici. BOX 2. Il rinnovo del CCNL metalmeccanici L’accordo stabilisce che, dal 1° gennaio 2017, tutte le aziende dovranno attivare per ciascun lavoratore piani di flexible benefit, per un ammontare di 100 euro nel 2017, 150 euro nel 2018 e 200 euro nel 2019. Nell’accordo sono indicati a titolo esemplificativo corsi di formazione, beni ricreativi come abbonamenti a pay tv o a riviste, attività culturali, attività sportive, servizi di assistenza domiciliare e servizi sanitari come visite specialistiche e check up, ma anche pellegrinaggi religiosi e beni in natura come buoni carburante, ricariche telefoniche e servizi di trasporto collettivo. L’accordo ha previsto inoltre che, dal primo giugno 2017, le aziende che applicano il CCNL metalmeccanico devolveranno ai lavoratori che destinano il TFR al fondo pensione di categoria (Cometa) una contribuzione aggiuntiva pari ad almeno il 2% del minimo contrattuale; tale contributo spetterà, tuttavia, solo a condizione che anche il dipendente versi una quota della propria retribuzione al fondo (l’intesa prevede un valore non inferiore all’1,2% della retribuzione). Sul fronte dell’assistenza sanitaria, è prevista, a carico dell’impresa, l’iscrizione al Fondo Metasalute (per 156 euro annui) che offrirà prestazioni integrative ai dipendenti e ai loro familiari (anche conviventi di fatto) a partire da ottobre 2017. In merito al rapporto tra il welfare aziendale e le realtà della provincia di Cuneo, risulta, infatti, che molti dei piccoli e medi imprenditori del territorio vedono ancora il welfare come uno strumento “non essenziale” o, addirittura, come “una obbligazione contrattuale” (questa seconda dinamica sarebbe legata in modo particolare proprio al settore metalmeccanico). Ciò dipenderebbe – almeno in parte – dalla presenza di una cultura in qualche modo conservatrice, tipica dell’ambiente imprenditoriale cuneese, che contribuirebbe a rallentare la diffusione di queste forme di innovazio- 76 IMPRESA POSSIBILE ne: «La provincia di Cuneo è una provincia molto conservatrice. Conservatrice, ma non in un senso prettamente negativo. Però diciamo che ci sono imprese, organizzazioni, che non sono propense ad abbracciare le novità; non in maniera immediata, almeno. Il welfare aziendale, proprio per questo, non sta conoscendo una forte diffusione qui. Allo stesso tempo, però, c’è una cultura del lavoro e una capacità di capire quando la novità è funzionale. Questo è dovuto a una classe imprenditoriale in qualche modo “illuminata”. Ci sono alcune figure – che poi hanno dato vita a realtà produttive importanti – che capiscono, intuiscono la novità e vedono le potenzialità della novità. […] Penso che il processo è semplicemente un po’ più lungo rispetto ad altre aree. Perché poi c’è una cultura del “fare impresa” molto seria, soprattutto per quanto riguarda la PMI. Quindi, prima o poi, l’innovazione – quella funzionale, quella che ha un ritorno per l’impresa – si percepisce e viene integrata» [intervista n. 14]. Ovviamente, la contrattazione assume declinazioni diverse a seconda dei settori considerati e, soprattutto, della dimensione media: fra le imprese più piccole (come quelle edili, artigiane, del commercio e agricole) sembrano per lo più prevalere gli strumenti della bilateralità. In generale, va sottolineato che per far decollare il welfare aziendale tra le imprese di piccole e medie dimensioni è necessario affrontare il tema della contrattazione di secondo livello che, se rappresenta nelle grandi aziende uno degli strumenti più efficaci per garantire ai lavoratori servizi e prestazioni di welfare, ma anche e soprattutto per sfruttare al meglio il nesso tra welfare e produttività, stenta ancora a prendere piede tra le PMI. Tra queste ultime – anche quando disposte a introdurre il welfare in azienda, appoggiandosi a reti tra aziende e/o a partnership multi-stakeholder – spesso non sono presenti rappresentanze sindacali. Per questo è così importante comprendere come regolamentare collettivamente i rapporti di lavoro e i pacchetti di welfare delle imprese in rete (a maggior ragione se l’obiettivo è quello di fare sistema e coinvolgere un numero consistente di piccole e medie imprese distribuite, per esempio, entro i confini di un dato territorio) individuando le reali condizioni per cui contrattazione e welfare possono diventare un binomio possibile anche tra le piccole e medie imprese. 4.3 Alcune iniziative in campo La percezione unanimemente condivisa dagli attori territoriali intervistati è che, a oggi, il grado di sviluppo e diffusione delle pratiche di welfare aziendale nelle imprese della provincia di Cuneo sia basso o molto basso, ancora “tutto da costruire”. Le iniziative delle imprese cuneesi in questo campo, note a livello nazionale e internazionale, sono rappresentate come casi esemplari ma circoscritti alle grandi aziende: come riassunto da un intervistato, «sono sempre state iniziative singole e generalmente sporadiche, di aziende […] che non hanno mai avuto grossi problemi di competitività» [intervista n. 1]. 77 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Nuovo sociale di Confartigianato Cuneo 78 La spiegazione del mancato sviluppo di benefit e piani di welfare è generalmente dovuta alla ridotta o ridottissima dimensione delle aziende del territorio: il 96% delle imprese iscritte alla Camera di Commercio della provincia ha fra 0 e 9 dipendenti (Camera di Commercio di Cuneo, 2017). Molti dei referenti intervistati individuano proprio nelle dimensioni ridotte delle imprese locali un potenziale limite per la diffusione dei servizi e dei benefit di welfare. Inoltre, non sembrano esistere (o perlomeno gli intervistati non ne sono a conoscenza) esperienze di reti tra imprese o altre forme di partnership che includano altre realtà locali con l’obiettivo di mettere in rete il welfare aziendale. A questo proposito si segnala un progetto che, seppure ancora nelle sue fasi iniziali, appare molto promettente nel favorire da un lato una più ampia diffusione del welfare aziendale tra le PMI e, dall’altro, offrire risposte ai bisogni dei lavoratori e del territorio. Si tratta del progetto Nuovo Sociale di Confartigianato Persone che, dal 2016, ha avviato un percorso basato su tre leve d’azione principali: fornire soluzioni di welfare innovative, mettendo a punto un’offerta di nuovi servizi, iniziative e prodotti in grado di rispondere alle specifiche esigenze di welfare di persone e imprese; favorire la realizzazione di progetti di welfare territoriale, mettendo in connessione gli attori del territorio e facendo cerniera tra il settore pubblico e il privato sociale; contribuire alla diffusione del welfare sul territorio promuovendone la cultura tra la popolazione, le istituzioni e gli enti regolatori. Confartigianato Imprese Cuneo fa parte del nucleo di 40 Associazioni Territoriali di Confartigianato che hanno creduto da subito in questa iniziativa e che, all’interno di una visione più ampia del welfare, stanno – a piccoli passi e grazie all’accompagnamento di una società di consulenza – sviluppando servizi innovativi di welfare aziendale che si basano su alcuni principi chiave. In primo luogo, creare un’offerta accessibile alle imprese associate, in particolare MPMI, attraverso l’abbattimento dei costi fissi e senza limiti di spendibilità per i lavoratori del proprio “credito welfare” (garantendo quindi ai dipendenti la possibilità di scelta dei fornitori di servizi). In secondo luogo, fornire una risposta a 360 gradi all’imprenditore. Perché questo avvenga, l’associazione diventa il punto di riferimento di tutta la tematica del welfare alle imprese associate grazie a un’offerta incentrata sulla consulenza e la costruzione di soluzioni innovative e personalizzate per l’attivazione di piani di welfare. A oggi Confartigianato Cuneo ha partecipato a tutte le fasi preliminari (che hanno ricompreso anche un lungo percorso di formazione sui temi del welfare aziendale e territoriale, avviato nel 2016) previste dal progetto e si appresta nei prossimi mesi a entrare nel vivo della fase realizzativa con la sperimentazione di iniziative e servizi che altre associazioni territoriali di Confartigianato hanno già adottato (in particolare una piattaforma di servizi di welfare aziendale e territoriale). IMPRESA POSSIBILE Confindustria Cuneo ha realizzato un’iniziativa simile, con la sottoscrizione, il 21 novembre 2017 di un accordo tra l’Unione Industriale di Cuneo e UBI Banca che consentirà di realizzare un’offerta di welfare aziendale (grazie alla piattaforma UBI Welfare) valida per tutte le imprese associate alla confederazione locale degli industriali24. Inoltre, nell’ambito dell’indagine annuale promossa dal Centro Studi di Confindustria Cuneo sulle condizioni occupazionali nelle imprese associate, da due anni è stato promosso un approfondimento relativo alle iniziative di welfare aziendale avviate sul territorio. Convenzione Confindustria Cuneo e UBI Banca 4.4 Le grandi imprese In linea con la letteratura esistente e alla luce delle evidenze empiriche emerse sia dalle interviste con gli attori chiave selezionati per l’indagine qualitativa sia dai risultati della survey, si approfondiscono ora le best practice di welfare aziendale presenti in alcune grandi imprese della provincia di Cuneo dove sembrano concentrarsi attualmente le forme più strutturate e innovative di questo tipo di interventi. Tra le esperienze che sono state approfondite nel corso dell’analisi, si segnalano quattro casi: Ferrero, Michelin, Bottero e Unifarma. Per quanto riguarda Ferrero, che vanta una lunga tradizione in questo campo, gli strumenti di welfare aziendale messi a disposizione si muovono su diverse aree d’intervento, tutte accomunate dall’attenzione verso le persone. Gli interventi più innovativi in questo senso cercano di coniugare i bisogni dei dipendenti con il loro benessere inteso in senso lato: «cerchiamo di fare business dando la possibilità alle persone di crescere, ma gestendo anche bene il loro vissuto familiare, con la nostra Fondazione Ferrero, che è un altro pezzo importante, […] che ha come mission quella di aiutare e sostenere le persone – oltre che fare cultura con mostre e […] iniziative che possano favorire la cultura non solo del territorio ma un po’ a 360 gradi» [intervista n. 18]. La Fondazione Ferrero, istituita nel 1983, rimane ancora oggi una fonte di interventi innovativi e in continua evoluzione, che cercano di stare al passo con i tempi che cambiano e con i bisogni che evolvono, soprattutto in materia di conciliazione fra vita, famiglia e lavoro25. Nel 2011 all’interno di Ferrero è stata operata una sistematizzazione di tutte le misure e degli strumenti finalizzati a sostenere i dipendenti (e non solo i neogenitori) nella gestione della vita familiare. Fra queste spiccano: l’accesso a visite pediatriche offerte gratuitamente ai figli dei dipendenti, all’interno dello stabilimento di Alba; la possibilità, riservata ai neogenitori, di richiedere un servizio di Ferrero 24 Si sottolinea che questa iniziativa è stata avviata nel periodo immediatamente successivo alla conclusione dell’indagine qualitativa sul campo, per cui non è stato possibile fornire, in questa sede, ulteriori dettagli. 25 Un’altra rilevante fondazione del territorio è la Fondazione Elena e Gabriella Miroglio Onlus, che si occupa di realizzare interventi rivolti ai figli dei dipendenti, tra cui asilo nido e scuola materna, colonie estive e altri progetti specifici. 79 • FEBBRAIO 2018 Q 33 visite pediatriche supplementare rispetto a quello fornito dal Servizio Sanitario Nazionale; la messa a disposizione di un servizio di assistenza socio sanitaria domiciliare per la cura degli anziani. A questi servizi si aggiungono: una regolamentazione del part-time calibrata sulle specifiche esigenze dei neogenitori che ne facciano richiesta26; la possibilità per il lavoratore di chiedere l’anticipazione del TFR; un’indennità – nel caso di morte del dipendente – a favore della famiglia pari a tre annualità, i cui costi sono completamente a carico dell’azienda; la presenza di un servizio di Assistenza Sociale e Sanitaria costante presso i locali della Fondazione; soggiorni estivi, stage e sussidi di studio per i figli dei dipendenti; percorsi di reinserimento al lavoro in seguito a maternità e/o lunghe assenze. Nella sede di Alba è, inoltre, disponibile un asilo nido aziendale aperto anche alle famiglie della zona, in un’ottica di promozione della Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI). Da ultimo, va sottolineato che le misure introdotte sono frutto di accordi con i sindacati e sono previsti momenti di formazione congiunta di manager e rappresentanze sindacali sui temi del welfare aziendale e della conciliazione vita-lavoro per garantire un allineamento di competenze, conoscenze e di linguaggio. Ne è una prova l’ultima iniziativa lanciata dall’azienda in materia di smart working: questa misura, avviata nell’aprile 2017, è destinata a circa 100 dipendenti (che svolgono un lavoro idoneo e compatibile) della sede di Alba27. Michelin La seconda impresa analizzata è Michelin. Una delle iniziative più innovative realizzate negli ultimi anni da tale realtà, che rivendica fra i propri valori una particolare attenzione all’individuo e alla famiglia, è Michelin Avanza con Te. Questo programma di conciliazione vita-lavoro per i lavoratori e le loro famiglie è un contenitore che sistematizza le best practice già in essere con lo scopo di estenderle a tutte le sedi, laddove siano implementate solo in alcune, e di svilupparle nel futuro per rispondere a bisogni sociali che cambiano sempre più velocemente. Le principali aree di intervento relative al work-life balance sono: Famiglia, Salute e Benessere, Tempo, Risparmio. Per quanto riguarda l’area Famiglia, innanzitutto sono previsti contributi finanziari per la frequenza di asili nido. In secondo luogo, a testimonianza di una visione della conciliazione famiglia-lavoro e della cura che guarda oltre le primissime fasi di vita dei figli dei dipendenti, sono previsti centri estivi nei 26 L’aspetto innovativo introdotto da Ferrero risiede nel fatto che il part-time non viene “concesso” dall’azienda, ma accordato automaticamente a tutte le lavoratrici madri e i lavoratori padri che ne facciano richiesta entro il compimento del trentaseiesimo mese del bambino, anche se si tratta di lavoratori turnisti. Le lavoratrici madri, inoltre, possono richiedere, sempre entro i tre anni di vita del bambino, l’esonero dal turno notte: una possibilità che va oltre le previsioni legislative. Inoltre, va ricordato, per il suo carattere innovativo e anticipatorio (è stato, infatti, introdotto prima che venisse approvato a livello nazionale), il congedo di un giorno per i neopadri in occasione della nascita dei figli, innalzato a due giorni dopo l’approvazione della Legge Fornero (Legge 92/2012). 27 L’accordo sullo smart working, che dopo una fase sperimentale dovrebbe essere esteso al resto dei dipendenti e collaboratori che svolgono un lavoro idoneo e compatibile, si aggiunge alle misure aziendali a sostegno del car sharing e del trasporto pubblico. 80 IMPRESA POSSIBILE siti industriali, con format settimanali che coprono l’intero periodo estivo, e borse di studio per i ragazzi più grandi. Infine, una misura simbolica ma significativa è la concessione di un giorno di paternità alla nascita dei figli, che si aggiunge a quello obbligatorio previsto, dal 2012, dalla Legge Fornero. All’area Salute e Benessere appartengono tutte le iniziative di prevenzione e cura fisica della persona, come la pianificazione di visite mediche specialistiche e di vaccinazioni antinfluenzali e l’accesso a visite odontoiatriche e oculistiche in studi convenzionati. Inoltre, Michelin si occupa anche dello svago e del tempo libero, organizzando attività sportive e ricreative con il Michelin Sport Club e con il Gruppo Senior Michelin. Gli interventi dell’area Tempo sono misure di time-saving. Comprendono la possibilità di avvalersi di consulenze gratuite per pratiche assistenziali e previdenziali per tutta la famiglia o per la compilazione della dichiarazione dei redditi. Per quanto riguarda il Risparmio, i dipendenti e le loro famiglie hanno la possibilità di acquistare beni e servizi a condizioni vantaggiose attraverso un network di fornitori convenzionati che operano in diversi settori. Altro elemento di welfare attivato recentemente è lo smart working, o lavoro agile, un nuovo tassello nell’ambito del work-life balance che ha suscitato fin da subito un interesse elevato nelle aree e tra le attività in cui ne è stata possibile l’attivazione. Oltre a queste prestazioni, l’attenzione per il benessere dei dipendenti si manifesta tramite altri due tipi di interventi: l’erogazione di incontri di formazione rivolti ai manager sulle tematiche e le politiche per la conciliazione vita-lavoro, e la conduzione di una survey annuale che misura la soddisfazione dei dipendenti e coinvolge tutto il personale. Tutte le iniziative della Michelin Italiana nel campo del welfare sono all’avanguardia nel panorama nazionale, sia per il tipo di politiche sia perché si tratta di misure non previste dal CCNL di categoria. L’ideazione e l’attuazione di queste iniziative si devono all’impegno di Michelin nella realizzazione dei valori del gruppo e alla buona sinergia e collaborazione con le rappresentanze sindacali. Nel 2014, infatti, con la sottoscrizione dell’accordo di rinnovo del contratto integrativo per gli anni 2015-2017, è stato istituito l’Osservatorio sul welfare aziendale, che ha lo scopo di analizzare quanto già in essere su questo tema a livello aziendale e di elaborare proposte utili allo sviluppo di ulteriori iniziative. Ultimo elemento da sottolineare, ma non in ordine d’importanza, è l’appartenenza della Michelin Italiana al Network IEP (Imprese e Persone), che è il primo modello concreto e applicato di welfare interaziendale in Italia28. 28 Il network IEP (Imprese E Persone) nasce nel 2009 sotto la guida tecnica della società Eudaimon, che inizia a sensibilizzare le imprese più interessate al tema del benessere dei dipendenti per realizzare un network interaziendale. L’iniziativa, dapprima configurata come un sistema di convenzioni vantaggiose per le aziende aderenti, è cresciuta diventando oggi un luogo istituzionalizzato per la discussione e lo scambio di best practice, oltre che la condivisione di servizi. IEP si è aperto anche all’ingresso di nuove aziende di dimensioni e settori produttivi diversi. Il progressivo allargamento (che ha riguardato anche le PMI) si è tradotto in abbassamento dei costi dei servizi, in maggiore forza contrattuale e rappresentanza esterna (Mallone, 2013b; Prandini, 2014). 81 • FEBBRAIO 2018 Q 33 82 Bottero La terza impresa individuata nel corso dell’analisi è Bottero, società che si occupa da oltre 50 anni di soluzioni nell’ambito delle macchine automatiche per la lavorazione del vetro. Nel corso del 2017, i vertici dell’azienda hanno attivato un piano che prevede l’introduzione di strumenti di welfare e flexible benefit. Il progetto è stato avviato proprio per rispondere agli obblighi contrattuali relativi al CCNL del settore metalmeccanico (Box 2), il quale ha previsto – oltre a contributi aggiuntivi da parte delle imprese in materia di previdenza complementare e sanità integrativa – una somma (100 euro per il 2017, 150 per il 2018 e 200 per il 2019) da destinare a servizi e benefit di welfare. Si tratta, però, di una novità per questa azienda. Per il 2017, primo anno in cui sono state introdotte queste misure, Bottero ha scelto di avviare un sistema sperimentale che prevede buoni pasto, buoni carburante, spese per la scuola, l’istruzione dei figli dei dipendenti e altre spese correlate alla famiglia. Il progetto della società per i prossimi anni è, però, quello di ampliare le possibilità di scelta disponibili per i propri lavoratori, integrando le misure già presenti. L’intervento, che non ha visto la partecipazione di nessun provider esterno per la fornitura dei servizi, è stato sostenuto da Confindustria Cuneo, che ha fornito un supporto sotto il profilo normativo e fiscale. È interessante osservare questo elemento alla luce di quanto emerso dall’indagine quantitativa. Secondo i dati ricavati, circa il 27% delle imprese che fanno welfare si appoggerebbero ad associazioni datoriali e/o di categoria per implementare i servizi e le prestazioni. Il caso di Bottero fornisce un esempio delle possibili forme di aiuto e sostegno che queste organizzazioni possono fornire alle imprese in materia di welfare aziendale. Le rappresentanze sindacali, invece, sono state consultate al termine dell’ideazione del piano di welfare. Bottero si dichiara, inoltre, interessata alla possibilità di partecipare a un’iniziativa con altri soggetti locali in materia di welfare aziendale. La creazione di una rete che coinvolga una pluralità di aziende e/o di altri attori locali (come fondazioni, associazioni di categoria e di rappresentanza sindacale ed enti pubblici) è interpretata come un’opportunità per ripartire i costi e i rischi di un eventuale intervento condiviso e, quindi, come un possibile motore di sviluppo del welfare aziendale. Unifarma Infine, l’ultima grande realtà produttiva considerata è Unifarma. Società multilocalizzata che si occupa della distribuzione di farmaci, nel corso del 2016 ha previsto la possibilità (su scelta volontaria dei dipendenti) di convertire il premio di produzione in beni e servizi di welfare aziendale. Ogni dipendente può scegliere la quota del proprio bonus da destinare a una piattaforma di welfare, implementata da Edenred Italia, nella quale sono disponibili tutti i servizi previsti dalla normativa vigente in materia di welfare aziendale: dal fondo di previdenza alla cassa sanitaria, dalle spese scolastiche a rimborso, ai voucher per i servizi di sport, cultura e benessere, fino alle assicurazioni Long Term Care e agli interventi per la non autosufficienza. IMPRESA POSSIBILE Le ragioni principali che hanno spinto l’azienda a proporre questa iniziativa sfruttando le novità legislative riguardano, da un lato, le dinamiche fiscali e, dall’altro, quelle contributive. In primo luogo, infatti, i vertici di Unifarma hanno visto il welfare aziendale come un’opportunità per ridurre il peso fiscale che grava sull’azienda e sul lavoratore: grazie a un proficuo dialogo con le rappresentanze sindacali, il management ha deciso di rivedere la politica legata al premio di produttività in modo tale che tutti i soggetti ne potessero trarre vantaggio. In secondo luogo, Unifarma ha intrapreso la strada del welfare in modo da ridurre i contributi previdenziali – a carico dell’azienda – destinati ai propri dipendenti (saving contributivo): quando un importo destinato al premio di produzione è convertito in beni e servizi di welfare, l’azienda è infatti esentata dal pagamento dell’ammontare dei contributi che sarebbero altresì obbligatori in caso di importo in denaro. Va, però, sottolineato che la ridefinizione dell’utilizzo del premio di risultato è avvenuta anche alla luce di un ripensamento complessivo della contrattazione integrativa, considerata dall’azienda ormai superata e quindi necessitante di una revisione. Anche Unifarma interpreta le iniziative di natura interaziendale come un’opportunità per rafforzare e alimentare il welfare aziendale: realizzare soluzioni sinergiche, in grado di coinvolgere altre imprese e attori del territorio, produrrebbe un vantaggio strategico alle realtà industriali locali (a livello economico, contribuendo a contenere i costi, a livello fiscale e di clima aziendale). Inoltre, queste dinamiche potrebbero dar vita a forme di welfare più articolate, coinvolgendo così anche il territorio: è il caso della creazione di un asilo interaziendale, il quale potrebbe essere finanziato e gestito solo dall’intervento congiunto di più soggetti. Guardando a questi quattro casi, sulla base dei dati raccolti dalle interviste con i referenti aziendali, risulta interessante analizzare le principali differenze relative all’approccio del management e alle motivazioni che hanno portato alla realizzazione dei piani di welfare aziendale. Per quanto riguarda Ferrero, l’intervento di welfare deriva da un’attitudine “paternalista” dell’azienda che, anche grazie ai buoni risultati in termini economici, ha sempre cercato di sostenere i propri collaboratori nella loro vita privata. Lo scopo dell’impresa è quindi quello di coinvolgere maggiormente i lavoratori, facendoli divenire parte integrante di una grande “famiglia aziendale”. Michelin è, invece, una grande multinazionale straniera che applica iniziative di welfare in tutte le sue sedi italiane (e non solo): le prestazioni per i dipendenti fanno parte di una vision aziendale consolidata a livello corporate, volta a incrementare il benessere aziendale per costruire un contesto lavorativo più sereno e produttivo. Gli interventi di Bottero e Unifarma sono, infine, più legati alle recenti novità contrattuali e legislative. Il primo deriva infatti dall’obbligatorietà, prevista dal CCNL metalmeccanico, di prevedere benefit e misure di welfare per i propri dipendenti. Differenze di approccio al welfare aziendale 83 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Nel secondo, il welfare aziendale è visto come uno strumento per rivedere e aggiornare le politiche retributive legate al premio di produttività e, di conseguenza, come possibilità di sfruttare i vantaggi fiscali introdotti dalle Leggi di Stabilità del 2016 e del 2017 e il cosiddetto saving contributivo. BOX 3. Altre esperienze di welfare aziendale Ulteriori esempi di esperienze di welfare aziendale sono stati individuati all’interno del progetto Welfare comunitario integrativo curato dall’associazione Ouverture (Box 4). In particolare, secondo il rapporto realizzato al termine del progetto, all’interno del territorio vi sono due istituti creditizi locali che forniscono prestazioni non solo ai propri dipendenti e ai propri soci, ma, in alcuni casi, anche ai cittadini. Gli esempi citati nel rapporto del progetto sono: • l’esperienza della Banca Alpi Marittime, ideatrice della mutua “Vicini Sempre”, che ha strutturato una rete di convenzionamento territoriale con tariffe di favore presso centri medici specializzati e poliambulatori. Inoltre, in collaborazione con Federsolidarietà, l’istituto di credito ha istituito alcuni “sportelli di prossimità” con lo scopo di fornire informazioni e supporto a dipendenti, soci e cittadini in materia di servizi locali; • l’esperienza della Banca d’Alba, che ha realizzato delle convenzioni con alcuni centri medici locali per cure sanitarie e visite specialistiche. A questi casi, nel settore bancario, si aggiunge anche quello della Banca di Caraglio, del Cuneese e della Riviera dei Fiori. Con lo scopo di valorizzare l’ambito legato alla salute e al benessere dei dipendenti, la banca nel corso dell’ultimo anno ha attivato un insieme di convenzioni con studi medici, strutture sportive e agenzie viaggio. 4.5 I provider di welfare aziendale Come anticipato, i provider sono soggetti che si occupano di realizzare pacchetti di welfare personalizzabili in base alle esigenze delle singole aziende e al budget stanziato, mettendo a disposizione un ampio insieme di servizi suddivisi per aree di intervento e, solitamente, accessibili a tutti i lavoratori attraverso un portale informatico. Sempre più spesso, le società provider non si limitano a proporre servizi di welfare aziendale, ma si occupano anche delle fasi organizzative e di set up del servizio, come per esempio consulenza, creazione e gestione del portale, gestione delle richieste da parte dei dipendenti, piano di comunicazione interna, ecc. (Mallone, 2013b; 2015; Santoni, 2017). Il loro ruolo è divenuto sempre più importante per la diffusione e lo sviluppo del welfare aziendale perché, pur trattandosi di compagnie private che vendono il proprio prodotto sul mercato, promuovono la crescita 84 IMPRESA POSSIBILE del settore lavorando su due fronti: da un lato, diffondono le pratiche e sensibilizzano i datori di lavoro circa i benefici sociali ed economici legati all’introduzione dei servizi nelle aziende; dall’altro, permettono di aggregare l’offerta sul territorio. Non stupisce che l’attuale sviluppo di fornitori o provider di welfare aziendale nel territorio appaia ancora debole, così come del tutto marginale il ruolo giocato dagli enti pubblici per sostenere percorsi di avvicinamento a tale tema. Peraltro, come emerso anche dall’indagine quantitativa, ben il 37% delle imprese che afferma di offrire welfare ai propri dipendenti sostiene di non essersi rivolto ad alcun soggetto esterno per lo sviluppo del proprio “piano di welfare”. Il “pacchetto welfare” è inoltre gestito direttamente dall’azienda, con l’acquisto diretto di servizi (61,8%) o attraverso sistemi di rimborsi (22,4%) o convenzioni (13%), mentre il ricorso a un portale online è in assoluto la modalità meno diffusa (12,2%). Molti tra gli attori intervistati hanno dimostrato consapevolezza della necessità di valutare con attenzione la questione dei fornitori e dei provider, in vista dei prossimi sviluppi del fenomeno. Come anticipato, le organizzazioni sindacali sul tema dei provider insistono sulla necessità di coinvolgere in tale funzione le strutture pubbliche del territorio. Il coinvolgimento di privati non profit nella veste di provider è inoltre indicato come possibile garanzia della qualità dei servizi di welfare aziendale sia da alcune sigle sindacali, sia dal mondo cooperativo. L’indagine qualitativa ha provato a valutare presenza e rilevanza dei provider sul territorio provinciale. Da questo punto di vista, è interessante in primo luogo sottolineare che recentemente non sono mancate le occasioni pubbliche di confronto fra le imprese del territorio e alcuni dei maggiori provider di welfare aziendale attivi su scala nazionale29. In secondo luogo, occorre mettere in evidenza che alcune associazioni di categoria si stanno muovendo a livello nazionale per realizzare un’offerta di welfare da proporre alle proprie imprese associate, spesso di piccole dimensioni. In questo senso, l’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Cuneo ha avviato le trattative con alcuni provider di welfare per poter adoperare le loro piattaforme online. Confartigianato – all’interno del progetto Nuovo sociale descritto in precedenza – ha realizzato un’indagine sul tema del welfare aziendale su tutte le sedi territoriali30. 29 Il convegno Il welfare aziendale come leva d’eccellenza per la gestione delle persone, organizzato dall’HR Club di Cuneo il 17 aprile 2015, ha visto infatti la partecipazione di Od&M Consulting e Intoo, mentre al seminario Come incidono detassazione e welfare sul costo del lavoro organizzato a Cuneo dall’Unione industriale il 28 settembre 2016 hanno preso parte, fra gli altri, i rappresentanti di Aon Spa e Easy Welfare Srl. 30 In particolare, alla sede provinciale di Cuneo è stato chiesto di diffondere un questionario ad almeno 50 imprese iscritte all’associazione. Di queste, solo tre si sono però mostrate interessate a possibili iniziative future in materia di servizi integrativi. 85 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Well-Work Al di là del ruolo che potranno assumere i grandi player nazionali, all’interno del territorio oggetto della ricerca è stata individuata una società privata, con sede proprio in provincia di Cuneo, che si occupa di realizzare servizi di welfare aziendale per le imprese e di fornire consulenza di varia natura: Well-Work. Le principali aree di intervento di Well-Work, società nata nel 2015, sono: l’area dei rimborsi (dedicata alle spese di istruzione per i figli dei dipendenti, prestiti e mutui bancari, servizi di assistenza per anziani e disabili); l’ambito della sanità integrativa e della previdenza complementare; l’area dei buoni acquisto (che va dalle spese familiari ai buoni pasto); l’area del work-life balance (che riguarda i servizi alla persona e i servizi per la casa); l’area del tempo libero (che concerne viaggi e divertimento, sport e benessere, cultura e formazione). Il target di riferimento sul quale sono tarati i servizi offerti è la piccola e media impresa. La società mette a disposizione delle imprese clienti un portale informatico che consente ai lavoratori di effettuare versamenti verso casse previdenziali, acquistare e/o chiedere il rimborso per beni e servizi, richiedere voucher o card per il pagamento di prestazioni. Well-Work si occupa, inoltre, delle fasi relative alla rilevazione dei bisogni della popolazione aziendale (attraverso la somministrazione di questionari o l’organizzazione di focus group con i dipendenti), alla comunicazione e promozione del piano di welfare e al processo di monitoraggio. Per quanto riguarda il territorio di Cuneo, l’attività di Well-Work si è però limitata quasi esclusivamente alla consulenza (in ambito di politiche del lavoro e gestione e amministrazione del personale): le realtà imprenditoriali locali – specialmente quelle di dimensioni più grandi – sembrano affidarsi soprattutto a provider che hanno un rilievo maggiore a livello nazionale (come Edenred e Eudaimon31). Gli interventi relativi alla consulenza proposti da Well-Work hanno tuttavia conosciuto un forte incremento dovuto in modo particolare alle novità introdotte con le Leggi di Stabilità del 2016 e del 2017 e al rinnovo del CCNL del settore metalmeccanico. Per questa ragione, l’intervento a cui Well-Work dedica maggiore attenzione – e, di conseguenza, destina la maggior parte degli investimenti relativi al territorio di Cuneo – è proprio quello inerente l’informazione e la sensibilizzazione degli attori locali. A tal fine, la società provider recentemente si sta attivando nell’organizzazione di eventi di formazione, seminari e workshop con lo scopo di diffondere la cultura del welfare aziendale e di sensibilizzare gli stakeholder locali: in particolare, l’Associazione dei Giovani Consulenti del Lavoro (AGCL) sembra essere uno degli attori più coinvolti in questi progetti. Più in generale, Well-Work considera decisiva la creazione di una vera e propria joint venture tra gli stakeholder del territorio: l’implementazione di progetti che coinvolgono attivamente le rappresentanze sindacali, le associazioni di categoria, le fondazioni e gli enti locali possono rappresentare il giusto canale per alimentare lo sviluppo del welfare aziendale. Il primo passo che i soggetti del territorio dovrebbero compiere in questa 31 Quest’ultimo è però legato al territorio piemontese, avendo la sua sede a Vercelli. 86 IMPRESA POSSIBILE direzione, quindi, sarebbe quello di generare uno strumento condiviso di natura informativa in grado di raggiungere le realtà imprenditoriali: l’obiettivo dovrebbe essere quello di far conoscere le reali potenzialità e le opportunità legate al welfare aziendale (in campo sociale e nella gestione delle risorse umane), che non deve essere riduttivamente considerato un mero strumento di risparmio fiscale e contributivo. 4.6 Gli Enti bilaterali In un territorio caratterizzato da un tessuto produttivo frammentato e in assenza di reti di impresa o altre soluzioni interaziendali destinate al welfare aziendale – che, come confermato dai testimoni consultati, nella provincia di Cuneo non hanno ancora visto la luce – numerosi intervistati hanno richiamato l’attenzione sul ruolo giocato dagli enti bilaterali territoriali nell’offerta di prestazioni sociali ai lavoratori occupati nei settori caratterizzati da maggiore frammentazione e minore dimensione di impresa (in termini di dipendenti): la Cassa edile, gli Enti Bilaterali Agricoli (EBATFAVLA e FAVLA Coop), gli Enti Bilaterali del Commercio e del Turismo, l’Ente Bilaterale dell’Artigianato Piemontese (EBAP), l’Ente Bilaterale della Cooperazione Cuneese. Come sottolineato dal segretario provinciale di una delle sigle sindacali, «il welfare attraverso la bilateralità è molto importante perché permette di raggiungere il lavoratore in determinati settori […] più frammentati: [mentre] nella grande azienda tu hai un interlocutore chiaro e definito, nelle piccole realtà il sistema bilaterale ti permette davvero di dare prestazioni a 360 gradi, spesso anche importanti e di rilievo […] in realtà più difficili da raggiungere anche per il sindacato» [intervista n. 4]. Il welfare bilaterale può essere considerato una specifica forma di welfare occupazionale, la cui peculiarità consiste nell’essere gestito per mezzo di organismi (enti e fondi) a composizione e gestione paritetica, che originano dalla libera contrattazione fra le parti sociali. La principale finalità perseguita consiste nell’erogazione di servizi e prestazioni, definiti dalle organizzazioni aderenti (talvolta anche dalla legge) e finanziati grazie ai contributi versati da lavoratori e datori di lavoro. Quando la loro funzione consiste nella raccolta di contributi per un insieme specifico di prestazioni, tali organismi possono configurarsi come “fondi”. Tra le prestazioni erogate, sempre più spesso si registrano interventi sociali a tutela dei datori di lavoro e dei dipendenti, a livello sia nazionale sia territoriale. Si tratta, peraltro, del ricorso a forme di organizzazione collettiva che in Italia hanno una tradizione consolidata nel campo della gestione delle relazioni sindacali e della protezione sociale dei lavoratori, soprattutto nei settori economici che, oltre a essere basati su una contrattazione decentrata, risultano caratterizzati da frammentazione produttiva e discontinuità del lavoro, e quindi privi di condizioni strutturali – quali concentrazione del lavoro, della produzione e della rappresentanza – rivelatesi essenziali per lo sviluppo degli ammortizzatori sociali nell’industria (Italia Lavoro, 2014; Razetti, 2015). 87 • FEBBRAIO 2018 Q 33 In molti casi, anche nel territorio di Cuneo questi soggetti hanno in effetti messo a punto, nel corso del tempo, un’importante offerta di prestazioni a tutela della famiglia dei dipendenti delle imprese iscritte. 4.6.1 La Cassa edile di Cuneo Benefit e servizi Quello delle costruzioni è storicamente il primo settore economico in cui la bilateralità emerge come strumento più adatto a strutturare le relazioni industriali e garantire i diritti dei lavoratori: la prima Cassa edile nasce a Milano circa un secolo fa (1919). Dopo l’arresto nel periodo fascista, lo sviluppo delle casse provinciali si fa particolarmente intenso nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta. Lo Statuto della Cassa edile di Cuneo – l’organismo paritetico fondato dall’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) per la parte datoriale, e da Feneal-UIL, Filca-CISL, Fillea-CGIL, per quella sindacale – è approvato nel 1963. Dal 1974, la Cassa diventa l’organismo paritetico di riferimento non solo per le imprese del settore industriale, ma anche per le imprese edili, rappresentate da Anaepa-Confartigianato. Alla Cassa edile di Cuneo sono iscritte in media circa 1.100 imprese e 3.800 operai32. Le casse provinciali – coordinate dalla Commissione nazionale paritetica per le Casse edili (CNCE) – garantiscono l’erogazione di alcune prestazioni previste dal CCNL, come il trattamento economico per ferie, la gratifica natalizia, l’anzianità professionale (a Cuneo dal 1967). A queste si sono poi aggiunte, nel tempo, altre prestazioni, relative all’integrazione salariale in caso di malattia e infortunio. A livello nazionale sono attivi i fondi contrattuali di previdenza complementare (Prevedi, Fondapi e Cooperlavoro), ma non di assistenza sanitaria integrativa, che, insieme alle misure di sostegno familiare, rientrano invece fra le prestazioni legate alla contrattazione provinciale33. Sin dalle origini le misure di assistenza promosse dall’ente si sono sostanziate proprio in borse di studio ai lavoratori e ai loro figli, in soggiorni marini e sussidi straordinari in caso di assenza dal lavoro per malattia e infortunio34. Nonostante le difficoltà incontrate dal settore negli ultimi anni35, si tratta di prestazioni ancora oggi erogate dalla Cassa, che nel tem32 Fonte: dati statistici Cassa edile di Cuneo. 33 Esiste tuttavia una copertura assicurativa nazionale in caso di malattia o infortunio attraverso l’Edilcard, schema istituito dalla CNCE a favore dei lavoratori e dei datori di lavoro del settore delle costruzioni. L’Edilcard prevede un rimborso per le spese sanitarie dovute a infortunio professionale, extraprofessionale o malattia professionale; indennità forfettarie in caso di ricovero ospedaliero e per grave invalidità a seguito di infortunio professionale; una copertura delle spese per la riabilitazione neuromotoria o per le spese odontoiatriche (protesi) a seguito di infortunio professionale. 34 www.cassaedilecuneo.it (ultimo accesso: 10 agosto 2017). 35 Nel 2016 le assunzioni sono calate del 6,2% rispetto all’anno precedente, mentre il numero di imprese di costruzioni iscritte alla Camera di Commercio si è ridotto dell’1,83% (Camera di Commercio di Cuneo, 2017). 88 IMPRESA POSSIBILE po ha ampliato la gamma di interventi a sostegno di lavoratori e famiglie, che più nello specifico attualmente prevede: • rimborsi nel campo dell’assistenza sanitaria integrativa, in particolare per cure e protesi dentarie, protesi oculistiche, acustiche e ortopediche; • borse di studio per i lavoratori e i loro figli (scuole secondarie inferiori e superiori, università, 150 ore, scuole serali edili); • campi estivi marini (summer camp); • un contributo annuo di 650 euro per i lavoratori che abbiano figli o coniuge con disabilità (psichica, fisica o psicofisica); • un sussidio di matrimonio (pari a 200 euro lordi) in caso di nozze dell’operaio. Dal mese di maggio 2017 le parti sociali costituenti la Cassa cuneese – seguendo l’esempio di altre casse provinciali – hanno introdotto una rilevante novità nella gestione delle prestazioni sanitarie, avendone affidato gestione e copertura alla compagnia assicurativa UniSalute, attraverso la sottoscrizione di un piano. Quanto alle misure dedicate alla famiglia, al summer camp estivo del 2017 – gratuito e riservato ai ragazzi tra i 6 e i 13 anni (figli, fratelli o sorelle di un lavoratore edile iscritto alla Cassa e che abbia maturato il monte ore necessario) – hanno partecipato 70 bambini, a cui è stata data la possibilità di prendere parte a tre diversi progetti: un corso di familiarizzazione con l’inglese attraverso la conversazione, l’ascolto e il gioco; un breve corso di primo soccorso; attività di ginnastica dolce e tecniche di rilassamento (Cassa edile di Cuneo, 2017). Sul fronte del diritto allo studio, sono stati 33 i beneficiari di sussidi per le scuole secondarie inferiori, 57 i destinatari di un premio per le scuole secondarie superiori, 19 gli studenti universitari premiati36. 4.6.2 L’EBAT-FAVLA e il FAVLA Coop Anche in agricoltura – un settore vitale e centrale per l’economia della provincia cuneese, che raccoglie il 37,8% delle imprese piemontesi attive in questo settore (Camera di Commercio di Cuneo, 2017) – esistono organismi paritetici consolidati. Nati nelle varie province italiane a partire dagli anni Cinquanta sotto forma di Casse Extra Legem sul modello del settore edile, sono strumenti contrattuali destinati a rendere possibile l’erogazione agli operai di misure di sostegno al reddito, principalmente a integrazione dei trattamenti previsti dalla legge in caso di malattia o infortunio professionale. Fino alla fine degli anni Ottanta, tuttavia, il fenomeno si è caratterizzato per dimensioni EBAT-FAVLA 36 Oltre a queste assistenze la Cassa edile di Cuneo prevede anche altre forme di sostegno al reddito, tipicamente legate al settore delle costruzioni: l’erogazione di un assegno funerario in caso di decesso dei familiari del lavoratore; un contributo alla famiglia in caso di morte del lavoratore; una copertura assicurativa per morte o invalidità del lavoratore a seguito di infortuni professionali o extraprofessionali; premi fedeltà per i lavoratori che abbiano maturato, rispettivamente, 25 e 30 anni nel settore edile. 89 • FEBBRAIO 2018 Q 33 relativamente ridotte, limitandosi a forme di piccola mutualità, anche per via dell’esistenza, nel settore, dell’indennità di disoccupazione già a partire dagli anni Cinquanta (Bellardi e De Santis, 2011). A esse, tra gli anni Ottanta e Novanta, si sono poi affiancate istituzioni bilaterali nazionali, dal fondo sanitario integrativo (il Fislaf, poi, Fia, per gli operai agricoli), a quelli di previdenza complementare (Agrifondo) e per la formazione (Foragri Enpaia), fino alla costituzione dell’Ente Bilaterale Agricolo Nazionale (nel 2010), chiamato a esercitare funzioni di coordinamento delle casse. Queste ultime – in applicazione dell’art. 8 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per gli operai agricoli e florovivaisti del 2010 – sono state via via sostituite o affiancate da nuovi Enti Bilaterali Agricoli Territoriali (EBAT), con funzioni più estese delle precedenti casse. Coerentemente con questi sviluppi, in provincia di Cuneo alla preesistente Cassa Extra Legem, costituita nel 1974 da Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Flai-CGIL, Fai-CISL e UILA-UIL e denominata Fondo Assistenze Varie Lavoratori Agricoli (FAVLA), è subentrato nel 2013 il nuovo Ente Bilaterale (EBAT-FAVLA), che ha assorbito anche il Comitato Paritetico Territoriale per la sicurezza in agricoltura (CPT). Nel 2014 – stando alle dichiarazioni di Giancarlo Bandiera (Confagricoltura), Presidente di EBAT – l’Ente poteva contare sull’adesione del 97% delle aziende agricole che assumono manodopera in provincia di Cuneo e su un buon livello di entrate derivanti dai contributi annuali versati dalle aziende aderenti, tanto da essere tra le prime cinque casse a livello nazionale37. Nel campo del welfare, la funzione tradizionale della Cassa prima e dell’Ente oggi consiste nell’erogazione di trattamenti salariali integrativi in caso di astensione dal lavoro degli operai per malattia o infortunio. L’EBATFAVLA prevede, inoltre, sostegni e rimborsi per gli imprenditori agricoli per le spese sostenute per l’acquisto di dispositivi di sicurezza individuali e per le visite mediche obbligatorie quando un nuovo dipendente viene assunto. Per quanto attiene al sostegno alla famiglia, l’Ente – in occasione della nascita di figli degli operai agricoli – rimborsa alle imprese l’equivalente di due giornate di permesso straordinario (se effettivamente utilizzate dal lavoratore padre) e corrisponde il rimborso totale alle aziende che abbiano erogato al lavoratore o alla lavoratrice un bonus di 250 euro. È, infine, da segnalare che in occasione dell’ultimo rinnovo del contratto provinciale, firmato nel 2017, le parti sociali costituenti l’EBAT-FAVLA hanno concordato un ampliamento delle funzioni di welfare esercitate dall’Ente a favore dei lavoratori: in particolare, è stato previsto un intervento a favore delle famiglie degli operai agricoli attraverso il rimborso parziale delle spese scolastiche, ma anche la retribuzione per i giorni di permesso necessari per trattamenti medici per lavoratori affetti da malattie oncologiche o soggetti a trattamenti di dialisi, e la sperimentazione del permesso 37 La 40enne Ebat-Favla fra le prime 5 casse in Italia, in Cuneocronca.it, www.cuneocronaca.it/ la-40enne-ebat-favla-fra-le-prime-5-casse-in-italia (ultimo accesso: 10 agosto 2017). 90 IMPRESA POSSIBILE matrimoniale anche per gli operai a tempo determinato e stagionali che ne erano esclusi. A fianco e in stretto coordinamento con l’EBAT-FAVLA va registrata la presenza, dal 1992, del Fondo Assistenze Varie Lavoratori Agricoli di Cooperative (FAVLA Coop), l’ente paritetico di riferimento per imprese e lavoratori del mondo della cooperazione agricola: si tratta di una realtà che, secondo gli intervistati, eroga circa 200 pratiche di integrazione per malattia e infortunio ogni anno e copre oltre 150 lavoratori, per un importo complessivo di 85.000 euro annui. FAVLA Coop 4.6.3 L’Ente Bilaterale Artigianato Piemontese – EBAP e il bacino territoriale di Cuneo38 La bilateralità artigiana si articola in tutta Italia – a livello territoriale – in enti bilaterali di rango regionale, coordinati dall’Ente Bilaterale Nazionale Artigianato (EBNA) (Razetti, 2017). In Piemonte, opera dal 1993 l’Ente Bilaterale dell’Artigianato Piemontese (EBAP), costituito da Confartigianato, CNA, Casartigiani, per la parte datoriale, e CGIL, CISL, UIL per quella sindacale, coerentemente con quanto previsto dagli Accordi Interconfederali nazionali del 1992. Le principali attività dell’Ente – che si suddivide a propria volta in una serie di bacini corrispondenti ai territori provinciali – possono essere ricondotte alle aree della sicurezza (attraverso il sostegno all’attività dei Rappresentanti dei Lavoratori Sicurezza Territoriale, RLST); della rappresentanza sindacale; e – aspetto di maggiore interesse per il tema qui considerato – del cosiddetto sostegno al reddito per imprese e lavoratori. Ricadono in quest’ultimo campo interventi destinati ai lavoratori dipendenti interessati da sospensioni o riduzioni temporanee dell’attività lavorativa causate da eventi di forza maggiore (165 interventi in provincia di Cuneo nel 2016); prestazioni a favore delle imprese che sostengano spese, per esempio, per l’acquisto di nuovi macchinari o per la formazione dei propri dipendenti (172 interventi nel 2016); da luglio 2016 è inoltre attivo il Fondo di Solidarietà Bilaterale dell’Artigianato (FSBA), le cui erogazioni ai dipendenti in caso di sospensioni/riduzioni lavorative, autorizzate da agosto 2017, sono state 478 nella provincia cuneese; infine, ricadono nel campo del sostegno al reddito le prestazioni – per dipendenti, titolari, soci e coadiuvanti – definite “a sostegno delle famiglie”. Si tratta di forme di welfare contrattuale di particolare interesse in un comparto caratterizzato, anche nella provincia di Cuneo, da dimensioni di impresa particolarmente ridotte. In base ai dati trasmessi da EBAP, risulta infatti che le 3.310 imprese artigiane cuneesi iscritte all’Ente – che si concentrano per la maggior parte nei settori metalmeccanica e installazione impianti (48%), alimentare (13%), EBAP FSBA 38 Si ringrazia l’EBAP Piemonte per la disponibilità dimostrata e la condivisione dei dati qui riportati. 91 • FEBBRAIO 2018 Q 33 acconciatura ed estetica (11%), e rappresentano circa il 19% delle adesioni regionali all’Ente – contano in media 4,2 dipendenti: quasi il 64% di esse ne impiega fra 1 e 3; poco meno del 10% ha più di 10 addetti (fig. 23). Figura 23. Imprese artigiane cuneesi iscritte a EBAP per numero di addetti (2016) 63,7% 16,5% 10,0% 6,5% da 1 a 3 da 4 a 6 da 7 a 10 da 11 a 15 2,5% 0,8% 0,0% da 16 a 22 da 23 a 40 >40 Fonte: rielaborazione da dati EBAP Attualmente, il sostegno offerto ai nuclei familiari delle imprese iscritte a EBAP consiste in una serie di rimborsi relativi a spese sostenute per: • l’iscrizione dei figli all’asilo nido (fino a 600 euro nel caso di un solo figlio, dal secondo in poi fino a 400 euro per ogni figlio); • gli studi universitari dei figli (fino a 400 nel caso di un solo figlio, dal secondo in poi fino a 200 euro per ogni figlio; sono esclusi gli studenti fuori corso); • l’acquisto di testi scolastici per la scuola media inferiore e superiore (fino a 300 euro nel caso di un solo figlio, dal secondo in poi fino a 150 euro per ogni figlio); • l’iscrizione di figli minori a centri estivi (fino a 200 euro per un solo figlio, dal secondo in poi fino a 100 euro per ogni figlio). L’accesso a tali benefici è subordinato a un ISEE non superiore a 26 mila euro. A questi si aggiunge, senza prova dei mezzi, il riconoscimento a ciascun nucleo familiare in cui vi sia un ragazzo (fino a 12 anni) con disabilità riconosciuta di un contributo fisso pari a 80 euro netti per ogni giornata nella quale il minore è sottoposto a visita medica (fino a un massimo annuo erogabile pari a 400 euro netti). Grazie a EBAP, nel territorio della provincia di Cuneo, fra il 2011 e il 2016, i dipendenti artigiani hanno beneficiato di rimborsi per le spese sostenute per rette di asili nido, tasse universitarie e libri scolastici (in totale, 99 richieste) per un importo complessivo di poco superiore ai 23 mila euro, 92 IMPRESA POSSIBILE a fronte dei 3.140 euro erogati a favore di titolari, soci e coadiuvanti (corrispondenti ad appena 14 domande in tutto il periodo preso in esame). Dati che sembrano segnalare – nel complesso – ancora una limitata conoscenza delle misure di welfare proposte dall’Ente ai propri iscritti, nonostante le attività di comunicazione e diffusione realizzate negli anni da EBAP (fig. 24). Figura 24. EBAP: misure di sostegno alle famiglie – importi (in euro) erogati a vantaggio di dipendenti di imprese artigiane della provincia di Cuneo (2011-2016) e 6.000 e 5.000 e 4.000 e 3.000 e 2.000 e 1.000 e0 2011 Retta asili nido 2012 2013 Tasse universitarie 2014 2015 Acquisto testi scolastici 2016 Totale erogazione Fonte: rielaborazione da dati EBAP 4.6.4 Gli Enti Bilaterali del Commercio e del Turismo In provincia di Cuneo, in applicazione dei CCNL “Terziario, Distribuzione e Servizi” e “Turismo” – firmati da Confcommercio Imprese per l’Italia (terziario) e Federalberghi e Faita (turismo), per la parte datoriale, e Filcams-CGIL, Fisascat-CISL, UILtucs-UIL, per quella sindacale – operano anche gli Enti Bilaterali Territoriali del Settore Commercio e del Settore Turismo. Tali organismi fanno riferimento rispettivamente all’Ente Bilaterale Nazionale Terziario (EBINTER) e all’Ente Bilaterale Nazionale Turismo (EBNT), che dai primi anni Novanta presentano articolazioni su base provinciale o regionale in tutta Italia. Gli enti cuneesi nel 2014 raccoglievano complessivamente l’adesione di circa 4.500 imprese del territorio e 7.900 lavoratori (a conferma di una dimensione media in termini di addetti molto bassa, inferiore a due unità). I due enti operano con interventi nell’area della formazione dei lavoratori e della sicurezza, sostenendo le imprese nella predisposizione di piani formativi subordinati all’approvazione del fondo interprofessionale nazionale (For.Te.) per i propri dipendenti, e collaborando con esse per l’as93 • FEBBRAIO 2018 Q 33 94 solvimento degli obblighi di legge in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro attraverso attività formative e la messa a disposizione di Rappresentanti dei Lavoratori Sicurezza Territoriale (RLST). Funzioni rilevanti sono, inoltre, svolte nel settore delle politiche del lavoro, in quanto, in caso di assunzione di apprendisti, gli enti bilaterali rilasciano i pareri di conformità, volti a verificare il rispetto delle norme vigenti. Inoltre, sin dal 1998, gli Enti del Commercio e del Turismo di Cuneo hanno istituito una commissione di conciliazione, cui le parti in causa possono rivolgersi – in alternativa alla Direzione Territoriale del Lavoro – in caso di controversie fra datore e dipendente. Sul fronte del welfare inteso come misure a sostegno delle famiglie, bisogna segnalare l’iniziativa lanciata dai due enti a fine 2012, quando è stato istituito uno specifico Fondo di Sostegno (accordo provinciale del 18 dicembre) per limitare gli effetti negativi della difficile situazione congiunturale. Il fondo gestisce contributi a favore di aziende e lavoratori dei settori Commercio e Turismo, con lo scopo di promuovere e sostenere lo sviluppo del settore, salvaguardando l’occupazione e la professionalità degli addetti. Le parti hanno, sin dal 2012, sottolineato l’esigenza di offrire strumenti capaci di «facilitare la conciliazione delle importantissime esigenze di cura dei figli neonati con la sostenibilità di tale situazione, nell’ottica della organizzazione aziendale, in modo particolare con riferimento alle micro imprese». La gamma di interventi offerti attraverso il fondo – inizialmente limitata a un’integrazione in caso di congedo parentale (astensione facoltativa di maternità) e a un contributo all’impresa per l’eventuale sostituzione temporanea del dipendente – si è gradualmente ampliata, risultando oggi estremamente articolata e caratterizzata dalla forte attenzione riservata al tema della conciliazione vita-lavoro e del sostegno al reddito delle famiglie. Considerando le misure più da vicino, due ricadono nel campo socio sanitario e consistono in rimborsi per: • spese sanitarie sostenute per figli di età inferiore a 7 anni, fino a un massimo di 300 euro lordi annui; • spese di assistenza ai figli con disabilità: il contributo è pari a 500 euro se il figlio disabile non percepisce altre prestazioni economiche correlate all’invalidità; se invece è titolare di altre prestazioni economiche (come la pensione di inabilità civile, l’assegno mensile, l’indennità di accompagnamento o l’indennità mensile di frequenza) il contributo è ridotto a 250 euro. L’accesso a queste due misure non è subordinato a particolari condizioni reddituali dei richiedenti. L’intervento a sostegno delle spese sanitarie è stato limitato ai figli dei dipendenti per coprire le aree lasciate scoperte dai fondi di assistenza sanitaria integrativa nazionali (Est e Aster), le cui tutele non si estendono ai familiari a carico. IMPRESA POSSIBILE Le altre forme di assistenza previste dal fondo di sostegno provinciale sono invece riservate a nuclei familiari con ISEE fino a 40 mila euro, con priorità riconosciuta a quelli fino a 20 mila. Sono erogati contributi a rimborso di spese sostenute per: • mense di scuole dell’infanzia e primarie (fino a 200 euro lordi annui); • iscrizione e frequenza dei figli ad asili nido e scuole materne (fino a 200 euro lordi annui); • contributi per attività sportive, laboratori didattici, gite, musei, che comportino spese aggiuntive a carico delle famiglie per figli che frequentano la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado (fino a 100 euro lordi annui); • contributi per iscrizione a centri estivi-estate ragazzi (fino a 200 euro lordi annui); • acquisto dei libri scolastici per figli che frequentino la scuola secondaria di primo grado e la scuola secondaria superiore (fino a 100 euro lordi annui). Nel 2015 il Fondo è stato finanziato con 65.000 euro per i lavoratori del commercio e 35.000 euro per quelli impiegati nel turismo. «Per i primi anni c’è stata una difficoltà, per una questione probabilmente di mancata conoscenza […] non solo delle prestazioni ma anche di cosa siano gli Enti bilaterali […]. Lo scorso anno […] c’è stata una crescita importante delle prestazioni e questo ventaglio un po’ più ampio ha sicuramente aumentato la richiesta e forse anche aiutato a una maggiore conoscenza». Nonostante l’aumento registrato, «se noi facciamo il raffronto fra gli iscritti e quindi il potenziale bacino d’utenza e i richiedenti delle prestazioni c’è […] un delta molto importante. Quest’anno si sta approfondendo un po’ la tematica della comunicazione, sulla quale abbiamo fatto grossi sforzi» [intervista n. 12]. Anche nel caso degli Enti del Commercio e del Turismo le richieste pervenivano in misura molto maggiore da parte dei dipendenti che dei titolari, dal 2017 sono state riservate esclusivamente ai primi, destinando le risorse per le imprese a interventi nel campo della formazione e della sicurezza (con un fondo di sostegno dedicato). 4.6.5 L’Ente Bilaterale della Cooperazione Cuneese Dalla seconda metà degli anni Novanta, esiste, infine, il più piccolo Ente Bilaterale della Cooperazione Cuneese, costituito da Confcooperative, Legacoop e AGCI, per la parte datoriale, e da CGIL, CISL e UIL per quella sindacale, e destinato alle cooperative di produzione e lavoro del comparto confezionamento. Il distretto “Dolci di Alba e Cuneo”, punto forte dell’Ente Bilaterale, caratterizzato dalla presenza di numerose e note multinazionali del settore alimentare e dolciario (si pensi al caso di Ferrero e al suo welfare aziendale, già approfondito in questo capitolo), si è collo95 • FEBBRAIO 2018 Q 33 cato al quinto posto tra le aree produttive italiane per crescita e redditività tra il 2008 e il 2014 e al terzo posto fra i distretti agroalimentari italiani per valore dell’export (Intesa Sanpaolo, 2015; 2016). Il numero delle cooperative che partecipano all’Ente Bilaterale della Cooperazione Cuneese è variabile, ma tende a oscillare intorno a 20, per un numero complessivo di lavoratori pari circa a 2.000, in coincidenza con i picchi produttivi stagionali. Benché l’Ente al momento non contempli, fra i propri interventi, misure di welfare (è stato finora principalmente uno strumento di confronto sui temi della regolamentazione dei rapporti di lavoro in senso stretto), è interessante segnalare che, a seguito del rinnovo contrattuale siglato ad agosto 2017, le parti sociali hanno inserito alcune clausole che porteranno l’Ente «a ragionare nelle prossime tornate sui temi del welfare. In modo particolare mi riferisco a un tema che abbiamo molto a cuore che è quello della salute, sia dei lavoratori che delle loro famiglie. Per cui il welfare inteso come assistenza sanitaria sarà uno dei primi interventi che realizzeremo e che prenderemo in considerazione» [intervista n. 5]. 4.7 I (primi) passi verso il welfare territoriale Supporto delle istituzioni 96 Come si è appena visto, gli strumenti della bilateralità possono rappresentare una soluzione praticabile per portare il “welfare in azienda” anche nelle imprese più piccole, quelle che difficilmente potrebbero provvedere in autonomia alla messa a punto di piani di welfare aziendale strutturati. In questo senso, la bilateralità può essere considerata un’interessante formula aggregativa su base territoriale. In questo paragrafo ci si concentra sul welfare aziendale territoriale inteso in senso stretto, ovvero su quelle soluzioni che, oltre ad aggregare le imprese di un certo settore in un determinato territorio, sono in grado di mettere in comunicazione i diversi attori di quel territorio – amministrazioni pubbliche, altre imprese, associazioni datoriali e organizzazioni sindacali, enti bilaterali, imprese assicuratrici, fondi pensione, fondi sanitari, cooperative e imprese sociali, associazioni ed enti di volontariato, fondazioni – per offrire risposte integrate ai bisogni sociali emergenti. Come anticipato, si tratta di esperimenti complessi che, in quanto tali, necessitano anche dell’appoggio delle istituzioni pubbliche, non solo in termini di finanziamento, ma anche di supporto per la partecipazione ai bandi e di accompagnamento nell’intraprendere percorsi progettuali innovativi. Un appoggio che può fare perno sulle istituzioni locali quando queste si attivano nel coordinare, promuovere e allargare le numerose reti di collaborazione che nascono sul territorio. Nella comune percezione degli intervistati, nel quadro di uno sviluppo ancora debole del welfare aziendale, le istituzioni pubbliche locali non sono ancora state in grado di assumere questo ruolo di governance e sti- IMPRESA POSSIBILE molo alla messa in rete delle iniziative esistenti. Più in generale, non si registrano iniziative sinergiche, pure valutate come auspicabili da molti degli stakeholder. Secondo i referenti del mondo sindacale, sino a oggi è mancata – da parte degli attori istituzionali, sociali ed economici locali – la capacità di leggere in modo complessivo e rispondere in modo integrato ai bisogni sociali espressi dai territori «immaginiamoci una comunità dove c’è una grande realtà aziendale e magari un Comune che ha determinati servizi di welfare che operano anche bene: ma siamo sicuri che il welfare – cioè il bisogno sociale della persona – trovi una risposta compiuta? Siamo sicuri che i due sistemi, o i tre sistemi dialoghino?» [intervista n. 4]. Proprio per questa ragione si guarda con favore a possibili sviluppi del welfare aziendale in chiave territoriale, ma si constata con delusione la pressoché totale assenza di iniziative in tal senso. A questo proposito, a fronte dell’inerzia istituzionale dimostrata dalle precedenti amministrazioni regionali rispetto al tema del welfare aziendale, con l’eccezione del progetto CSR Piemonte (Box 1), è da segnalare che l’attuale Giunta regionale – con l’approvazione dell’Atto di Indirizzo sull’innovazione sociale – ha recentemente stanziato risorse consistenti (4 milioni di euro) per favorire l’offerta di beni e servizi e la sperimentazione di modelli di organizzazione del lavoro che migliorino il benessere dei/delle dipendenti. Si rivolge in particolare alle PMI (massimo 250 dipendenti) e incentiva la costituzione di reti e raggruppamenti per aumentare l’estensione dell’intervento e arrivare a coinvolgere non solo i dipendenti, ma anche i residenti dei territori in cui le aziende operano. La misura prevede anche il coinvolgimento di grandi imprese, qualora il progetto di welfare aziendale proposto possa avere una forte ricaduta sul territorio e sia condiviso con il Distretto per la Salute e la Coesione Sociale e risponda ai bisogni espressi dal territorio39. In questo quadro, benché vere e proprie reti tra imprese non siano a oggi attive, risultano di particolare interesse le sperimentazioni che tentano di mobilitare in modo sinergico le energie, anche produttive, del territorio verso i temi del welfare integrativo. Tra queste, si possono citare i progetti Talenti Latenti (Box 4) e Welfare comunitario integrativo (Box 5). Intervento della Regione Piemonte 39 Per maggiori informazioni si rimanda a Cibinel (2017). 97 • FEBBRAIO 2018 Q 33 BOX 4. Il progetto Talenti Latenti Talenti Latenti: rete per un welfare di comunità è un progetto – finanziato dalla Fondazione CRC nell’ambito della Misura A del Bando Cantiere Nuovo Welfare 2015 – che mira a sostenere l’attivazione di interventi sperimentali e innovativi, volti a sviluppare risposte adeguate per fronteggiare i problemi sociali del territorio. Obiettivo del progetto è incentivare la sperimentazione di un nuovo modello di welfare che coinvolga più soggetti territoriali. Si vogliono sostenere così le imprese locali nella realizzazione di iniziative di welfare a vantaggio dei dipendenti e delle loro famiglie, attraverso la sinergia con gli attori pubblici del territorio (ASL, Enti gestori, Comuni) e per mezzo della creazione di reti e partnership con altre realtà imprenditoriali. Nell’ambito del progetto, tra novembre e dicembre 2016, è stata realizzata una survey rivolta a tutti i dipendenti di quattro aziende che hanno aderito all’iniziativa (Dimar Spa, Sebaste Golosità, Slow Food e l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo). Lo scopo dell’indagine è stato quello di comprendere la loro situazione familiare, i loro “carichi di cura” e le loro opinioni rispetto al welfare aziendale. I questionari somministrati sono stati 1.057, quelli compilati 672. Grazie alla survey sono state individuate quattro macro azioni per rispondere all’esigenza di fornire un aiuto e un supporto in momenti delicati della vita delle persone destinatarie del progetto. Tali azioni sono state: a) formazione per il reinserimento aziendale al rientro dalla maternità; b) formazione alla prevenzione della salute; c) formazione in merito a una sana alimentazione e a stili di vita sani; d) formazione alla genitorialità. BOX 5. Il progetto Welfare comunitario integrativo e l’associazione Ouverture Il progetto Welfare comunitario integrativo, finanziato con un contributo della Fondazione CRC, è frutto di un lavoro di progettazione da parte di alcuni soci dell’associazione Ouverture. Il suo obiettivo è stato quello di individuare e analizzare l’offerta di welfare aziendale e di servizi di prossimità – realizzati da soggetti pubblici, del terzo settore e anche attraverso l’intervento di privati – nel territorio dell’Albese. Dal progetto è emerso che in materia di welfare aziendale nel territorio di Alba esistono alcuni esempi di prestazioni attivate dalle imprese a favore dei propri dipendenti ma anche a vantaggio dei cittadini: oltre al caso della Fondazione Ferrero, analizzato anche in questo rapporto, e a quello della Fondazione Miroglio, menzionato in precedenza, nel territorio vi sono due istituti creditizi locali (Banca d’Alba e Banca Alpi Marittime) che forniscono prestazioni non solo ai propri dipendenti e ai propri soci, ma in alcuni casi anche ai cittadini. Le prospettive per il futuro in merito al welfare integrato e al welfare aziendale sono legate al Progetto ALCOTRA (Alpi Latine COoperazione TRAnsfrontaliera), programma europeo di cooperazione transfrontaliera che copre il territorio alpino tra la Francia e l’Italia. A questo riguardo, Ouverture 98 IMPRESA POSSIBILE ha partecipato – in collaborazione con altri attori locali e regionali (tra cui Coldiretti e Confcooperative) – al bando per la presentazione di candidature alla costituzione di Piani Integrati Tematici (denominati PITEM) finanziati dall’Unione Europea. Per l’occasione è stata fondata un’Associazione Temporanea di Scopo (ATS), cioè una partnership temporanea tra attori locali (pubblici, privati e di terzo settore) finalizzata allo svolgimento di un’attività specifica e quindi limitata al periodo necessario per il suo compimento. Il progetto è stato approvato ufficialmente e dovrebbe essere realizzato entro i prossimi tre anni. I possibili interventi che saranno prodotti grazie ai fondi del PITEM riguarderanno l’attivazione di strumenti e politiche per la promozione di servizi di prossimità (in particolare di natura socio sanitaria) realizzati per mezzo di un approccio integrato, capace di coinvolgere quindi gli attori pubblici, privati e di terzo settore locali. Grazie al coinvolgimento di una rete di attori di diversa natura, questa iniziativa ha le risorse e le potenzialità per generare ricadute positive anche in tema di welfare aziendale. Si tratta di due progetti che assumono una grande importanza finendo per costituire le poche esperienze di reti multi-stakeholder oggi attive sul territorio. Sicuramente appaiono come esperienze circoscritte, ma potrebbero diventare in futuro punti di riferimento preziosi in grado di mostrare quanto la strada dell’aggregazione e della condivisione di servizi sia promettente e meritevole di essere sostenuta e accompagnata. Permettono, inoltre, di sottolineare il ruolo strategico di guida e coordinamento assunto in questo caso dai proponenti dei due progetti promossi da una Fondazione sia sul piano del finanziamento sia sul piano di promozione di un tema centrale quale è quello del welfare comunitario. Un ruolo di propulsione, finanziamento e coordinamento che, come si è visto, è auspicato da numerosi soggetti del territorio: «Sarà importante rafforzare ancora di più le sinergie del territorio e questo, per poter essere fatto, ha bisogno di un centro aggregativo: questo può essere un soggetto come una fondazione, che riesce a dare una mano importante anche a livello finanziario, ma soprattutto può essere un motore per sviluppare una progettualità condivisa con tutti gli attori» [intervista n. 5]. 99 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Parte terza • Considerazioni conclusive 5. Considerazioni di sintesi e indicazioni di policy per la diffusione del welfare aziendale e territoriale La ricerca qui presentata ha fornito un inquadramento del tema del welfare aziendale, inserendolo nell’attuale contesto normativo di riferimento, ha mappato lo sviluppo di piani di welfare aziendale e contrattuale e la presenza e diffusione di servizi e prestazioni di conciliazione vita-lavoro nelle imprese del Cuneese, individuando anche buone prassi e alcuni progetti significativi; infine, ha proposto una serie di riflessioni sulle condizioni e sulle opportunità di promozione del welfare aziendale alla luce delle novità introdotte recentemente dal legislatore a livello nazionale. Più nello specifico, la ricerca ha inteso rispondere ad almeno tre interrogativi: • quali sono le caratteristiche e quale la diffusione del welfare aziendale e contrattuale nel territorio della provincia di Cuneo? • quali sono i tratti caratteristici dei piani di welfare aziendale nelle imprese cuneesi, con particolare riferimento alla conciliazione vita-lavoro? • è possibile estendere (e, nel caso, attraverso quali leve e strumenti) all’insieme del tessuto produttivo, composto soprattutto da imprese di piccole e medie dimensioni, il welfare aziendale che alcune realtà hanno già positivamente attivato, integrandolo con i servizi pubblici e privati presenti a livello locale e facendo in modo sistemico sinergia con gli stakeholder del territorio? Di seguito si ricapitolano i principali risultati dell’analisi quantitativa e nel paragrafo successivo, alla luce del confronto con gli stakeholder locali, si propongono alcune direttrici di sviluppo e possibili indicazioni di policy. 5.1 I risultati: una sintesi L’indagine quantitativa si è sviluppata attraverso una rilevazione su un campione di imprese rappresentative dell’universo. La costruzione del campione è stata effettuata considerando due variabili di campionamento: il settore produttivo e le dimensioni aziendali. L’intervista è stata rivolta in prevalenza a responsabili amministrativi delle aziende (48%) e in subordine a titolari (30%) o a responsabili HR (21%). Complessivamente, tra il 9 febbraio e il 6 aprile 2017, sono state raccolte le informazioni su 189 aziende presenti nella provincia di Cuneo. • Quasi i 2/5 degli intervistati non riescono a dare una definizione precisa di “welfare aziendale”. Si tratta dunque di un gap di conoscenza presumibilmente legato alla non specificità di ruolo degli intervistati, a 100 IMPRESA POSSIBILE • • • • conferma della mancanza di un’adeguata diffusione culturale di questo tema. Difficoltà confermata dal fatto che la definizione più ricorrente (riportata in quattro casi su dieci) è del tutto aspecifica, richiamando un generico intervento da parte delle imprese per il sostegno del benessere dei lavoratori. Risposte più precise sono presenti in componenti molto marginali del campione e sempre con percentuali inferiori al 15%. Nella percezione degli intervistati, i limiti più rilevanti che rallentano la diffusione del welfare aziendale sono principalmente di due tipi: si segnalano le barriere economiche (indicate come causa principale dal 44% dei rispondenti) e immediatamente a seguire si registrano dei vincoli di tipo legislativo (causa principale per il 38,7% dei casi). Tra i bisogni prioritari emergono sugli altri l’area work-life balance (dichiarata dal 57% del campione) e subito a seguire quella del sostegno economico ai dipendenti e alle loro famiglie (56,2%). Seguono sanità e previdenza, su cui si orientano, in particolare, le aziende in cui è presente una rappresentanza sindacale. La presenza esplicita di uno o più benefit ascrivibili al tema del welfare (esclusi dunque, per scelta teorica di partenza, le politiche degli orari, la formazione e i benefit/servizi per la mensa dei dipendenti) è dichiarata da una quota di aziende pari al 69%, dunque più ampia rispetto a quelle in cui il rispondente ha saputo definire almeno in termini generici il concetto. Mediamente le aziende propongono 1,3 benefit o servizi di welfare ai propri dipendenti. I benefit più diffusi sono rappresentati da fondi pensionistici, dalle prestazioni sanitarie di tipo integrativo (presenti in entrambi i casi nel 30% delle aziende). A seguire, l’area del sostegno economico (20%), quella della conciliazione vita-lavoro (15%) e l’area socio assistenziale (15%). Interessante notare il disallineamento tra i bisogni emergenti e ritenuti prioritari, e i bisogni che trovano specifica risposta in azienda: è soprattutto l’area della conciliazione cura-lavoro a segnalare la maggiore distanza tra percezione e risposta, dato che conferma, peraltro, una tendenza registrata in molte recenti ricerche e che dunque segnala un ambito di necessaria riflessione sulle modalità con cui le aziende intervengono e sulla effettiva capacità di lettura dei bisogni dei dipendenti. Per quanto riguarda la modalità di introduzione del welfare in azienda, la dimensione media delle imprese predetermina una modalità decisionale assolutamente unilaterale (nell’80% dei casi), talvolta senza peraltro una esplicita verifica delle esigenze dei lavoratori (18%). Operativamente il welfare è gestito direttamente dall’azienda, con acquisto diretto di servizi (62%) o sistemi di rimborsi (22%) o convenzioni (13%). La gestione attraverso portale è prevista nel 12% dei casi, e non sembrano esserci elementi discriminanti l’utilizzo per quanto riguarda le dimensioni aziendali. Sempre ricostruendo le dinamiche operative di gestione del welfare nelle aziende che ne hanno dichiarato la presenza, la metà delle imprese si è rivolta a soggetti esterni per implementare 101 • FEBBRAIO 2018 Q 33 eventuali iniziative, il 37% invece ha operato in completa autonomia. È stata richiesta una collaborazione all’esterno nel 38% dei casi a soggetti associativi (ma alla luce della parte qualitativa della ricerca non è chiaro a quali soggetti si siano effettivamente rivolti, o quanto meno in quale modalità e per ottenere quali elementi operativi al di fuori del puro dato informativo) e solo il 19% a fornitori di servizi. • Esistono elementi strutturali capaci di spiegare la presenza/assenza di welfare nelle aziende cuneesi? Il controllo della significatività statistica non mostra evidenze robuste per nessuna delle variabili controllate: dimensioni aziendali, presenza del sindacato, settore produttivo, percentuali di donne in azienda. D’altra parte le caratteristiche del campione (anche a causa della sua bassa numerosità) non presentavano ampie variazioni su questi elementi e dunque il risultato è plausibilmente quello atteso. In ogni caso, tendenzialmente si fa più welfare nelle aziende sopra i 40 dipendenti e nel settore dei servizi. • Il 48% delle aziende in cui si fa welfare non segnala la presenza di costi significativi e un ulteriore 14% non ha avuto spese aggiuntive. In pratica, solo il 26% delle aziende lamenta costi aggiuntivi significativi, e in questo gruppo sono presenti, in particolare, le imprese che sono intervenute sul fronte dei servizi socio assistenziali. In ogni caso, il 42% delle imprese sembra non avere un’idea precisa delle dinamiche di costo nel tempo e solo il 38% ritiene che nel lungo periodo si potrà ottenere un completo assorbimento dei costi o un significativo risparmio grazie agli incentivi fiscali. • Il primo elemento di utilità del welfare è relativo al miglioramento del clima aziendale, segnalato dall’86% delle aziende con un voto superiore a 6 su una scala da 1 a 10. Immediatamente a ridosso è il tema dell’incremento della produttività (80%), mentre meno attenzione rispetto a quanto registrato in analisi e ricerche italiane e internazionali risulta su temi di più precisa derivazione HR, come la capacità di retention e di attrazione di nuove risorse umane. 5.2 Le direttrici di sviluppo e le indicazioni di policy Dalle evidenze empiriche raccolte tanto attraverso la strategia quantitativa, quanto attraverso quella qualitativa e presentate in questo rapporto risulta, quindi, che il welfare aziendale è perlopiù considerato dai principali attori locali un terreno ancora da esplorare. Gli elementi che paiono maggiormente problematici sono i seguenti: • l’esistenza di un gap culturale; • uno sviluppo ancora acerbo della maggior parte delle esperienze; • una modesta copertura dei nuovi bisogni; • ridotte esperienze di rete. 102 IMPRESA POSSIBILE Da qui si può partire per individuare le principali indicazioni di sviluppo futuro muovendo lungo quattro direttrici: • nuove opportunità da cogliere sul piano normativo; • un terreno “vergine” da coltivare; • partire dalla comunicazione; • investire sulla contrattazione e la bilateralità. Un evidente gap culturale L’evidenza più chiara emersa dalla ricerca è che la dimensione aziendale rappresenta il principale, e spesso l’unico, predittore della presenza/ assenza di welfare nelle imprese. La caratterizzazione imprenditoriale del territorio della provincia di Cuneo, in cui le piccole e spesso piccolissime imprese rappresentano la schiacciante maggioranza, in qualche modo predetermina i risultati di una ricerca su questo tema. Dunque, a maggior ragione, predetermina anche lo schema delle possibili dinamiche da attivare per verificare una possibile crescita di diffusione di queste pratiche nel futuro. Siamo di fronte a una platea di soggetti che hanno innanzitutto un chiaro problema di conoscenza. Soltanto i responsabili delle risorse umane mostrano una chiara e precisa consapevolezza dell’argomento nei suoi tratti generali e delle sue possibili implicazioni per l’impresa. Per le figure non direttamente collegate all’area HR il tema è colto nella sua dimensione più generica e risulta spesso fumoso e indeterminato. Evidentemente la comunicazione su questo tema si è molto diffusa nell’area delle associazioni del mondo delle risorse umane, ma è riuscita molto poco a uscire da quel perimetro, limitando dunque il proprio spazio di azione. C’è, dunque, una prima possibile chiave di intervento che può essere efficacemente perseguita: diffondere in modo capillare la cultura del welfare, chiarirne le implicazioni, non sottacerne gli inevitabili costi (almeno in termini organizzativi), mostrarne le possibili ricadute positive ma anche i limiti inevitabili. Si tratta di una missione di sensibilizzazione diffusa e di disseminazione che chiama in causa naturalmente i soggetti della rappresentanza, ma che a essi non può ridursi proprio – e ancora una volta – in ragione della configurazione strutturale del microcosmo imprenditoriale della provincia di Cuneo. Siamo, infatti, di fronte ad aziende in cui in maggioranza non ci sono rappresentanze sindacali e che, per di più, non sembrano avere rapporti strutturati (almeno su questo argomento) con le associazioni datoriali. Ecco, dunque, aprirsi un ruolo chiave per fondazioni, associazioni professionali, istituzioni pubbliche: sono tutti soggetti che hanno possibilità di interlocuzione pubblica e che possono sperimentare utilmente un ruolo di diffusione di una nuova cultura di impresa più attenta al benessere dei lavoratori e alle sue positive ricadute sull’attività dell’impresa, nonché sul territorio nel suo insieme. 103 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Esperienze ancora acerbe A questa difficoltà di tipo culturale corrisponde una ancora acerba presenza di welfare nella concreta pratica organizzativa delle imprese. Se infatti è vero che quasi sette realtà su dieci dichiarano di avere al proprio interno almeno un benefit attivo, è vero, anche, che si tratta per lo più di interventi spot (1,3 benefit attivi in media) e in buona parte ascrivibili a benefici desunti dai contratti nazionali (si pensi ai fondi previdenziali) o a fonti miste (come nel caso dei fondi sanitari), che non richiamano necessariamente un protagonismo diretto dell’azienda, soprattutto nel campo della conciliazione vita-lavoro, dove maggiori appaiono oggi i bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie. La presenza di un numero di benefit contenuto porta con sé un impatto non elevato sui fondamentali aziendali, con l’eccezione del miglioramento di clima. Peraltro, la percezione di soddisfazione per vari aspetti della vita aziendale pare non aver alcuna corrispondenza nella presenza o meno di un piano di welfare in azienda. Il ricorso a misure e strumenti di welfare aziendale e alla predisposizione di veri e propri piani di welfare che mettano al centro la conciliazione famiglia-lavoro presenta, inoltre, differenze significative tra grandi imprese e piccole-medie imprese. A fronte di un ristretto gruppo di imprese di grandi dimensioni (di cui abbiamo dato conto solo a titolo esemplificativo), che hanno fatto del welfare aziendale e dei servizi di conciliazione una vera e propria vocazione, tanto da poter essere considerate un modello di best practice anche a livello nazionale, è diversa la situazione delle aziende di piccole e piccolissime dimensioni, dove il welfare aziendale fatica a entrare nei piani di sviluppo e di tutela dei dipendenti. Nuovi bisogni poco coperti La conseguenza diretta di quanto appena visto è la scarsa diffusione (inferiore al 20% delle imprese) di benefit e servizi ascrivibili alle aree più sensibili dal punto di vista del bisogno: conciliazione vita-lavoro e socio assistenziale. Pochi servizi disponibili su questi fronti, con un’evidente distanza tra il bisogno percepito (che pur viene colto dagli intervistati in termini di priorità) e bisogno corrisposto. Risulta dunque – in modo evidente – un intervento esiguo a confronto delle nuove esigenze, apparentemente non per mancanza di sensibilità rispetto ai problemi dei dipendenti, ma per difficoltà oggettive (legate tanto a dimensioni organizzative quanto a problemi di costo) che si associano – amplificando quanto si è visto nel primo punto – a una modesta conoscenza anche della normativa sul welfare aziendale, che, pur passata attraverso profonde riforme liberalizzanti, non viene percepita dagli imprenditori come pienamente “amica” per possibili strategie di welfare. Meglio insieme? La ricerca non ha evidenziato la diffusione di esperienze aggregative come reti tra imprese o reti multi-attore. Tale assenza preclude alle 104 IMPRESA POSSIBILE PMI la possibilità di mettere a punto piani di welfare come nelle grandi aziende, con il rischio di creare nel mercato del lavoro "isole" di benessere contrapposte a una quota ampia di lavoratori meno tutelati e di imprese meno orientate verso l’innovazione sociale. Le poche esperienze presenti (i progetti Talenti Latenti e Welfare comunitario integrativo descritti nel quarto capitolo) appaiono, tuttavia, incoraggianti e confermano quanto la strada dell’aggregazione e della condivisione di servizi sia promettente e meritevole di essere sostenuta e accompagnata. Permettono anche di sottolineare il ruolo strategico di guida e coordinamento che le associazioni di categoria possono giocare, a patto però di investire, anche e maggiormente, in comunicazione affinché le iniziative possano essere conosciute, promosse e accompagnate per ottenere una maggiore adesione da parte delle imprese. In questa direzione sembra muoversi il progetto nato dall’iniziativa dell’associazione Ouverture e di altre realtà locali – confluito poi in una Associazione Temporanea di Scopo e finanziato dal Programma Europeo ALCOTRA – il quale si propone di attivare strumenti e politiche per la promozione di servizi di prossimità anche in ottica aziendale. Anche rispetto alle reti di relazione attivate per introdurre il welfare in azienda il tema delle dimensioni aziendali torna a mostrarsi significativo. È noto infatti che la caratteristica molecolare del capitalismo italiano si accompagna con un elevato tasso di individualismo da parte di imprenditori che tendono a far da sé senza costruire, se non episodicamente, reti stabili a sostegno della propria azione. Se quasi quattro aziende su dieci hanno introdotto il welfare senza avvalersi di appoggi esterni e altre tre dichiarano di essersi appoggiate a un’associazione imprenditoriale, ogni altra forma di relazione con soggetti di varia natura è frequentata da meno di un’azienda su dieci. Il tema della territorializzazione del welfare, che mostra altrove buone possibilità di successo (Maino e Mallone, 2015; Maino e Rizza, 2017; Pesenti, 2017), in questo caso non sembra essere adeguatamente sperimentata: sarà quindi interessante verificare se l’attivazione di soggetti di secondo livello potrà far crescere in futuro l’attitudine alla creazione di reti tra imprese. Sappiamo da altre ricerche sulle esperienze di tipo aggregativo attraverso la creazione di reti e/o partnership tra imprese e tra queste e altri stakeholder che vi sono alcuni fattori in grado di svolgere un’azione facilitante. In primo luogo, la presenza di dinamiche economiche, sociali e culturali favorevoli alla collaborazione e alla coprogettazione di iniziative. In particolare, fa certo la differenza la presenza di una cultura imprenditoriale capace di concepire il welfare aziendale non solo come una spesa, ma come un investimento. Da non sottovalutare, inoltre, la presenza di stakeholder territoriali e di un sistema-territorio in grado di promuovere e valorizzare le esperienze e le attività già avviate. In secondo luogo, la presenza di amministrazioni locali attive e sensibili al tema del welfare aziendale e della conciliazione vita-lavoro, disponibili al superamento delle tradizionali divisioni di competenze tra pubblico e privato in materia di 105 • FEBBRAIO 2018 Q 33 welfare locale e alla promozione di un modello inclusivo e complementare attraverso forme di condivisione, partecipazione collaborativa e progettazione negoziata tra tutti i soggetti interessati allo sviluppo della comunità locale. In terzo luogo la costituzione di una struttura di governance interna alla rete che funga da cabina di regia del percorso che porta alla realizzazione di un piano di welfare condiviso. Dal 2016, nuove opportunità all’orizzonte L’inerzia istituzionale che ha caratterizzato, almeno fino al 2016, l’amministrazione regionale e l’assenza di un progetto provinciale volto a promuovere e sostenere la diffusione del welfare in azienda si sono saldate con la diffusione di sperimentazioni di welfare aziendale e contrattuale limitate alle grandi imprese, sostanzialmente le sole a mostrare capacità progettuale in questo ambito, senza però giocare un ruolo propulsivo o di traino rispetto all’intero tessuto produttivo costituito prevalentemente da micro, piccole e medie imprese. Questa inerzia e lo sviluppo perlopiù limitato alle grandi imprese non hanno però completamente offuscato l’interesse e la progettualità del tessuto produttivo della provincia di Cuneo su queste tematiche e non hanno impedito che dal 2016 si mettessero in moto azioni e progettualità dal “basso” che, seppure lentamente e in modo territorialmente frammentato, stanno contribuendo ad accrescere l’interesse verso il welfare aziendale e la consapevolezza del suo potenziale (sia come risposta agli effetti prodotti dalla crisi socio economica e alla lunga fase recessiva in cui si è venuta a trovare l’Italia in questi anni, sia come strategia di motivazione del personale e di miglioramento del clima aziendale, sia come strumento per sostenere la ripresa attraverso il coinvolgimento dei lavoratori e dei tanti altri stakeholder indirettamente interessati dalle prospettive di sviluppo dell’impresa sul territorio). Va poi sottolineato che l’interesse del mondo produttivo ha conosciuto una forte crescita grazie alla visibilità che hanno ricevuto le novità introdotte dalle Leggi di Stabilità per il 2016 e il 2017 e, più recentemente, dalla legge sul lavoro agile, che hanno aperto inedite finestre di opportunità per le aziende con riferimento alla contrattazione aziendale, alla defiscalizzazione del welfare e alla conciliazione vita-lavoro. Da ultimo, un’opportunità potrà venire dall’Atto di Indirizzo sull’innovazione sociale recentemente approvato dalla Giunta regionale del Piemonte che ha stanziato risorse consistenti (4 milioni di euro) per favorire l’offerta di beni e servizi, nonché la sperimentazione di modelli di organizzazione del lavoro che migliorino il benessere dei/delle dipendenti. Si rivolge in particolare alle PMI (fino a un massimo di 250 dipendenti) e incentiva la costituzione di reti e raggruppamenti per aumentare l’estensione dell’intervento e arrivare a coinvolgere non solo i dipendenti, ma anche i residenti dei territori in cui le aziende operano. La misura prevede anche il coinvolgimento di grandi imprese, qualora il progetto di welfare aziendale 106 IMPRESA POSSIBILE proposto possa avere una forte ricaduta sul territorio, sia condiviso con il Distretto per la Salute e la Coesione Sociale e risponda ai bisogni espressi dal territorio. Un terreno “vergine” da coltivare L’analisi ha messo in luce un crescente interesse per il tema da parte degli attori del sistema produttivo e dei principali stakeholder operanti a livello locale, seppure ancora un numero contenuto ne abbia realmente fatto esperienza sul campo o possa vantare un esteso periodo di attuazione (tale da poter fornire dati e indicazioni sul grado di successo o insuccesso). Emerge, inoltre, un contesto ancora relativamente vergine che – se opportunamente aiutato a crescere – potrebbe costituire un banco di prova e di sviluppo di pratiche innovative di welfare aziendale, non tanto a livello di singola azienda, ma in una logica aggregativa e sinergica dove le organizzazioni di rappresentanza e la bilateralità possano svolgere un ruolo strategico nel favorire reti e partnership multi-stakeholder. Questo è stato messo in luce da quasi tutti gli intervistati, comprese le grandi aziende che hanno dichiarato di essere favorevoli a progetti territoriali. L’obiettivo generale dovrebbe essere la ricerca di una maggiore complementarietà tra istituzioni pubbliche e soggetti privati (profit e non), allo scopo di rafforzare il territorio per rispondere ai bisogni, vecchi e nuovi, dei cittadini, in particolare quelli non adeguatamente coperti dal welfare pubblico perché appartenenti a categorie (giovani, precari, lavoratori a tempo determinato, lavoratori autonomi) poco tutelate. Gli imprenditori, pur non intravedendo nessun rischio specifico nell’esplorazione di tale percorso, mettono in conto un periodo iniziale di rodaggio, non diverso da quello che si verifica in ogni cambio di sistema: l’esito finale sarà comunque una maggiore competitività per tutto il territorio. Simile si configura la posizione di Confcooperative, che guarda con fiducia anche all’aiuto che potrà venire dallo sviluppo della contrattazione. La Camera di Commercio considera rischioso un eventuale mancato decollo di iniziative di welfare aziendale, destinato a produrre conseguenze negative in termini di ridotto incremento della competitività del sistema territoriale. Agli occhi dei suoi protagonisti, in particolare le associazioni datoriali e di categoria, il welfare aziendale sta infatti diventando sempre più uno strumento associato alla (crescita della) competitività delle imprese. Più prudenti, appaiono le organizzazioni sindacali, che temono il rischio di una graduale sostituzione del pubblico da parte del privato e un parallelo aumento delle disuguaglianze sociali. Se la ricerca ha evidenziato un impegno delle associazioni di categoria che, a oggi, non sembra ancora rappresentare un punto di riferimento per le imprese associate, ha però individuato alcuni progetti in corso di realizzazione, come quello di Confartigianato Cuneo e di Confindustria Cuneo, che paiono muoversi in questa direzione. Senza dubbio, in altri contesti 107 • FEBBRAIO 2018 Q 33 territoriali esse hanno giocato un ruolo importante in questo senso, soprattutto laddove hanno saputo investire maggiormente nella comunicazione, affinché progetti e iniziative fossero conosciuti, promossi e sostenuti, per ottenere una maggiore adesione da parte delle PMI. C’è, quindi, un potenziale da cogliere e sviluppare ancora di più nella provincia di Cuneo. Partire dalla comunicazione Quello della comunicazione appare un fronte particolarmente carente nel caso del territorio di Cuneo, come messo in evidenza da molti degli intervistati. Le associazioni di categoria e quelle sindacali intervistate hanno ribadito che sono pochissimi i casi di PMI che hanno piani di welfare aziendale. Meno di quelli (pur scarsi) che sono in realtà presenti, come emerso dall’indagine telefonica e dall’analisi qualitativa. Questo suggerisce che potrebbe essere sottostimato dagli stessi attori locali la reale consistenza del welfare aziendale, associata quasi esclusivamente a poche grandi imprese. Un problema, questo, che potrebbe in parte essere affrontato anche grazie a un Osservatorio a scala provinciale, a partire da quello sulla contrattazione promosso da Confindustria e sindacati, a patto che si proceda rapidamente a un’ampia raccolta di dati e informazioni, a maggior ragione alla luce delle novità introdotte dalle Leggi di Stabilità 2016 e 2017. Investire sulla contrattazione e sulla bilateralità Quello descritto è uno scenario che potrebbe ricevere un impulso positivo proprio dalla contrattazione decentrata di tipo territoriale in materia di welfare, per promuovere a vantaggio delle piccole e medie imprese reti e partnership in cui associazioni imprenditoriali e/o organizzazioni sindacali potrebbero elaborare e implementare “pacchetti di welfare”, offrendo alle imprese della rete assistenza tecnica per la loro implementazione e gestione, eventualmente legata a specificità settoriali o peculiarità connesse al tipo d’impresa (come avviene nel caso degli enti bilaterali). A tal fine, è fondamentale promuovere interventi maggiormente sistemici e puntare sulla condivisione delle informazioni in merito agli accordi più innovativi, affinché possano diventare patrimonio comune ed essere riproposti in altri contesti e settori. Si pensi alla contrattazione aziendale, da sviluppare ulteriormente all’interno di un quadro di regole generali, al fine di intercettare bisogni ed esigenze specifiche di una determinata popolazione, conciliandole con le esigenze dell’azienda e del suo territorio. In questo quadro gioca un ruolo importante anche la bilateralità, affinché enti e fondi di origine contrattuale (regionale e/o territoriale), composti e gestiti in modo paritetico, possano erogare alle parti – che hanno sottoscritto il contratto – servizi e prestazioni (anche) di welfare, finanziati grazie ai contributi versati. Certo è che, a oggi, anche a Cuneo risulta – in linea con quanto evidenziato in altre zone del Paese (Razetti e Tomatis, 2017) – un certo grado di frammentazione organizzativa della bilateralità, oltre che signifi- 108 IMPRESA POSSIBILE cative variazioni nell’offerta di prestazioni di welfare bilaterale, sia su base settoriale, sia su base territoriale. Da qui l’importanza di investire – da parte della stessa bilateralità – in un ripensamento del proprio ruolo, interrogandosi su come e in seguito a quali trasformazioni si potrebbe contribuire a diffondere in modo più capillare il welfare nelle aziende del territorio. Concludendo, sembra quindi profilarsi una centralità del territorio, che diventa il luogo di un unico welfare attivato anche con dispositivi di welfare aziendale, laddove ogni attore, pubblico o privato, opera in una logica che mette al centro il benessere della collettività. Come organizzare e governare questi processi è un argomento aperto, che richiede il coordinamento di più attori sotto la regia di un soggetto in grado di svolgere un ruolo trainante e capacitante. 109 • FEBBRAIO 2018 Q 33 Bibliografia Bairati P. (1986) Sul filo di lana. Cinque generazioni di imprenditori: i Marzotto, Bologna, Il Mulino. Barazzetta E. 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Il settore delle utilities in provincia di Cuneo Analisi e prospettive (2009) 8. Università e sviluppo del territorio Laureati cuneesi della facoltà di Scienze Politiche e mercato del lavoro (2010) 9. L’arte della Fondazione Valutazione dei progetti di conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico e architettonico finanziati dalla Fondazione CRC (2010) 10. Un patrimonio valorizzato Descrizione dei 100 maggiori interventi di restauro architettonico e artistico finanziati dalla Fondazione CRC (2011) 11. La ricerca della Fondazione Valutazione di tre anni di Bando Ricerca della Fondazione CRC (2011) 12. L'innovazione sociale in provincia di Cuneo Servizi, salute, istruzione, casa (2011) 13. Il valore della cultura Per una valutazione multidimensionale dei progetti e delle attività culturali (2011) 14. L'impatto economico delle università decentrate: il caso di Cuneo (2012) 15. Capitale umano e società della conoscenza: i laureati nelle imprese cuneesi (2012) 16. Innovazione in Comune Percorsi innovativi nei sette maggiori Comuni della provincia di Cuneo (2013) 17. Disagio psicologico Diffusione, fattori di rischio, prevenzione e cura (2013) 18. Il mondo a scuola Alunni stranieri e istituzioni formative in provincia di Cuneo (2013) 19. Terre alte in movimento Progetti di innovazione della montagna cuneese (2013) 20. Facciamo cose Progetti di giovani per la provincia di Cuneo (2013) 21. Granda e Green Green economy in provincia di Cuneo (2014) 22. Langhe e Roero Tradizione e innovazione (2014) 23. Quelli che lasciano La dispersione scolastica in provincia di Cuneo (2014) 24. Alla prova della crisi L'innovazione sociale in provincia di Cuneo (2015) 25. Sviluppo locale Politiche e progetti in provincia di Cuneo (2015) 26. Prevenire e promuovere Politiche e progetti per la salute in provincia di Cuneo (2015) 27. Startup in Granda Imprenditoria innovativa in provincia di Cuneo (2015) 28. Pedalare per lo sviluppo Il cicloturismo in provincia di Cuneo (2016) 29. Imparare a lavorare I tirocini in provincia di Cuneo (2017) 30. Formarsi in Granda La formazione professionale in provincia di Cuneo (2017) 31. Imprese di valore Le cooperative sociali in provincia di Cuneo (2017) 32. Granda e Smart Esperienze smart in provincia di Cuneo (2017) www.fondazionecrc.it ISBN 978-88-98005-19-2