Venus and Adonis

La Collana si avvale di un comitato scientifico internazionale e ogni contributo viene sottoposto a procedura di doppio peer reviewing anonimo Volume pubblicato con il contributo dell'Università di Pisa (PRA 2017(PRA -2018 Venere ferita e la rinascita di Adone. Fonti antiche e umanistiche per la (cosiddetta) Morte di Adone di Sebastiano del Piombo*

Fra gli indiscussi capolavori di Tiziano si annovera il "Venere e Adone", di cui si conoscono molte variati, la più nota delle quali è la tela del Museo del Prado di Madrid, eseguita nel 1554 per il re di Spagna Filippo II. A partire dalla discussione delle prime due versioni del soggetto, andate perdute, il saggio esamina per la prima volta e in maniera esaustiva la genesi della creazione di tutte le successive variano, analizzandone gli elementi di continuità e le distinzioni e inserendole nelle corrette coordinate storiche e contestuali. Seguendo un metodo di indagine dinamico e interdisciplinare, si indagano inoltre le ragioni sociali e culturali che favorirono il successo dell'opera. Attraverso un confronto con le opere di Veronese, Carracci, Rubens, van Dyck, Poussin, fino a Lemoyne e Picabia, il saggio dimostra come questo modello iconografico e tipologico abbia continuato ad attrarre l'interesse di committenti e artisti nei secoli a seguire e come "Venere e Adone" sia da ritenere a tutti gli effetti una delle immagini fondanti della cultura pittorica visiva europea.

Questo libro è una parte di due. In entrambe i rispettivi curatori hanno documentato le storie italiane sul mito di Adone: sulla scena del mito come favola, e nelle forme del teatro musicale o danzato. A partire dalla celebrazione dell'indecente bellezza maschile di un ragazzo adolescente, eroe-fiore che sovverte il meccanismo del desiderio e la costruzione dell’identità eroica, fino a che un cinghiale, la Bestia, non arrivi a ricordare, di quella bellezza senza contropartita, tutta la sua fragilità.
Ben oltre la loro vita storica, i testi qui raccolti precedono (nel primo libro) e succedono (nel secondo) l’esperienza dell’Adone, «poema grande» di Giambattista Marino (1623), che fu il crocevia di una stagione del gusto, parabola di una politica della scrittura, invenzione di un’etica della meraviglia e dello stupore. Un centro ingombrante, insomma, ma non privo di ironia, come un pachiderma inamovibile e profetico, sull’asse durevole della tradizione del moderno. Da più parti oramai riconosciuto e amato, più spesso detestato quanto a lungo ignorato, e che riacquista ora, con il persistere delle costellazioni qui largamente segnalate e restituite, tutta la sua più vera mobilità.
Il volume curato da Andrea Torre raccoglie alcune testimonianze dell’esecuzione del mito di Adone, tra il 1532 e il 1623, e organizzandole in una morfologia della fabula vòlta a far emergere, per ogni variazione, le specifiche strategie autoriali che concorrono alla costruzione di Adone come moderna figura di anti-eroe.
Il volume curato da Stefano Tomassini documenta, invece, la costruzione dello stereotipo dell’identità maschile attraverso la sua materializzazione nelle pratiche e nei regimi discorsivi messi in opera nella librettistica del teatro musicale e di danza, a partire dal 1614 fino al 1898.

INDICE:

Introduzione di Stefano Tomassini

Note

Dialogo in dramma
Dall'Adone. Poema drammatico di Marcello Macedonio (1614) atto II e III

Note

Dramma in musica
Da La catena di Adone. Favola boschereccia di Ottavio Tronsarelli (1627)

Note

Musica in commedia
L’Adone. Tragedia musicale di Paolo Vendramin (1640)

Note

Ex genere patris
Dall'Adone in Cipro. Tragedia per musica di Giovanni Francesco Fattiboni (1790) atto I, II e III

Note

Ex ossibus
Venere sulla tomba di Adone. Ballo di Gaetano Grossatesta (1748)

Note

Gli amori di Venere ossia la vendetta di Vulcano. Ballo episodico di Jean-Georges Noverre (1775)

Note

Venere in Cipro. Ballo pantomimo di Giuseppe Canziani (1779)

Note


Il ritorno di Adone, o sia Anacreonte fra le Grazie. Ballo mitologico di Jean Dutarque (1824)

Note

Adone nell’isola ciprigna. Ballo anacreontico di Giovanni Casati (1832)

Note

Coda
La morte del dio di Gabriele D'Annunzio (1893)

Note

«Reviviscent mortui tui»
La caccia di Venere e Adone di Niccolò Cambi (1764)

Note

Adone. Ballo eroico pantomimo di Giuseppe Fabiani (1769)

Note

Venere, e Adone. Ballo di Giacomo Romoli (1775)

Note

Venere e Adone. Ballo mitologico di Antonio Berti (1788)

Note

Adone e Venere. Ballo di Giuseppe Traffieri (1788)

Note

Venere con Adone, ossia le gelosie di Diana e di Marte. Ballo di Domenico Le Fevre (1794)

Note

Gli amori di Adone e Venere. Ballo di Luigi Duport (1817)

Note

«Sicut nebula dissolvetur»
Adone e Venere. Ballo eroico pantomimo di Antonio Pitrot (1792)

Note

Gli amori di Adone e Venere. Ballo mitologico di Carlo Blasis (1835)

Note

Venere e Adone. Divertimento anacreontico di Bernardo Vestris (1844)

Note

In exitu
Adone di Gian Piero Lucini (1898)

Note

JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact support@jstor.org.

Organizzata dalla National Gallery di Londra in collaborazione con le National Galleries of Scotland di Edimburgo, il Museo Nacional del Prado di Madrid, l’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, la mostra ha segnato il primo appuntamento di un progetto espositivo e culturale itinerante che ha visto la celebre serie delle “poesie” esposte in altre due sedi. Curata da Matthias Wivel, con l'assistenza di chi scrive, la versione londinese dell’esposizione ha dovuto sottostare a tre stop forzati in ossequio alle misure di contenimento della pandemia, e questo nonostante la sua chiusura sia stata prorogata dal 14 giugno 2020 al 17 gennaio 2021. Quanto ciò abbia contribuito a limitare l’accesso alla mostra non solo al pubblico ma anche agli studiosi è evidente, e spiega la natura di questo contributo che non vuole essere in nessun modo una recensione, dal momento che la mostra ne è già stata ampiamente oggetto. Il suo intento è piuttosto quello di fornire una sorta di cronaca dal punto di vista di un ‘addetto ai lavori’, e una riflessione su quello che la mostra ci ha consegnato e permesso di approfondire circa un momento cruciale della carriera e della vita di Tiziano. Il fine ultimo di questo intervento è dunque quello di discutere questi aspetti seguendo una formula forse inconsueta, che ambisce a fornire una sorta di alternativa a quegli studiosi, appassionati e specialisti che non hanno avuto la possibilità di recarsi alla National Gallery di Londra.

A frequent pretextual argument against the Oxfordian authorship of the Shakespeare canon is the allegation of a stylistic gap between the known, usually early, writings of Edward de Vere, 17 th Earl of Oxford and the collected works under the name Shakespeare. Since there are no intervening notes and manuscripts to support a stylistic connection, unorthodox English criticism is in the position of arguing the point from deduction, association, vocabulary, and the like-really no different from any analysis between earlier and later works by a given author, if the name superscription were absent.

Im vorliegenden Aufsatz wird der phönizisch-punische kultische Ausdruck, mqm ʾlm mtrḥ ʿštrny, gemeinhin als Andeutung eines hohen priesterlichen Amtes verstanden, behandelt. Im Besonderen erhält das dritte Wort mtrḥ eine neue Deutung, wobei dann der gesamte Ausdruck als der priesterliche Agent verantwortlich sowohl für das rituelle Beweinen wie auch die vorgestellte Vergöttlichung eines Liebhabers der Aschtarte verstanden wird, also als ein Hinweis der „Adonis“-Legende in phönizisch-punischer Überlieferung.

In una villa del Seicento situata al centro di Roma, nascosta tra i vicoli del colle Esquilino, si conserva l'unico ciclo pittorico finora conosciuto dedicato a L'Adone di Giovan Battista Marino, stampato a Parigi nel 1623. La scoperta sarebbe già di per sé sensazionale, ma assume un valore ancora maggiore sapendo che questi dipinti furono realizzati durante il pontificato di Urbano VIII, cioè di colui che fece ascrivere il sensuale poema all'Indice dei libri proibiti. In effetti, si può parlare di un Adon moralisé, paragonabile forse a quello che cercò invano di pubblicare l' Accademia degli Umoristi. Lo studio di questo ciclo pittorico-che viene qui attribuito a Charles Mellin e Claude Lorrain-ha permesso raccogliere molte notizie inedite sul conto del suo committente, il marchese Paolo Sforza, e sulla sua famiglia, imparentata con il Re di Francia e i duchi di Lorena. Nonostante il fratello Federico, futuro cardinale, fosse all' epoca al servizio dei nipoti di Urbano VIII (che lo utilizzarono per compiere la loro vendetta sullo scrittore libertino Ferrante Pallavicino), Paolo Sforza non solo diede spesso motivo di scandalo, ma si rifiutò pure di militare nell' esercito pontificio durante la guerra di Castro, suscitando così l'ira dei Barberini. E se il rifiuto del marchese fosse da mettere in relazione proprio con la sua predilezione per L'Adone, che era universalmente ritenuto un «poema di pace»?

Nel capitolo intitolato Eros del romanzo-saggio di John Coetzee Elizabeth Costello, attraverso l'alter-ego dell'omonima scrittrice l'autore tratta il tema dell'eros toccando (e dissacrando) il limite estremo del desiderio, costituito dall'unione -ovviamente possibile soltanto nel mondo della finzione -tra uomo e dio 1 . Il discorso si presenta ironicamente realistico nella valutazione della «meccanica» dell'atto di accoppiamento degli dèi con gli uomini: le tonnellate di peso di Zeus quando si fa toro, le zampe di cigno piantate nella schiena della povera Leda, ma soprattutto la presenza del corpo divino quando non sia trasfigurato per metamorfosi, di fronte al quale l'uomo avrà faticato a sopportare «l'impeto del desiderio» («the blast of his desire», Coetzee 2003: 184). Se infatti dal punto di vista erotico il dio rappresenta il desiderio allo stato puro, l'uomo resta sempre sulla soglia rispetto alla possibilità di "farsi uno" con esso e di condividerne l'essenza. Ne sente l'attrazione e la nostalgia: se varca questa soglia, però, l'annientamento e la catastrofe sono esiti inevitabili di un rapporto la cui espressione ha in sé qualcosa di osceno (nel senso letterale di «fuori dalla scena», indicibile, irrappresentabile). Si tratta dell'infrazione di quel tabù di cui si macchiarono Tiresia e Atteone.

William Shakespeare ist traditionell der Dichter von Theaterstücken gewe-sen, als der er recht bald kanonisiert wurde und schließlich Weltrang erlang-te, der bis heute ungebrochen gilt. 1 Anders ist es mit seinen im eigentlichen Sinne dichterischen Werken, denn noch im 18. Jahrhundert beachtete man z.B. seine Sonette, die heute ein zentraler Teil seines Werkes sind, nur sehr am Rande, weil man sie für nicht weiter bedeutend hielt. Wenn aber nun heute die Sonette 2 inzwischen sehr bekannt sind, was sich nicht zuletzt auch in zahlreichen Vertonungen bis in den Bereich von Jazz und Popmusik zeigt, sieht es mit den erzählenden Gedichten nicht ganz so gut aus.

Teocrito, Bione, Ovidio, Ronsard, Shakespeare • Adone Incerto, sfumato, contraddittorio, il mito di Adone sembra risolversi tutto in una storia di amore assoluto -l'amore che lega il giovane pastore-cacciatore alla dea stessa dell'amore in una relazione di felicità senza ombre. Quando la morte improvvisa del ragazzo, per un futile incidente di caccia, pone fine all'idillio, la vicenda diviene leggibile -e verrà letta -come archetipo illustre del binomio amore/morte. Il contrasto vertiginoso tra felicità indicibile e strazio senza rimedio addita dunque nella precarietà della gioia la cifra simbolica di questo mito -e si ritrova inscritta nella scansione delle festività per Adone, che in tutto il Mediterraneo antico giustapponevano la celebrazione dell'eros al lamento funebre. L'aspetto rituale, così importante per Teocrito e Bione (e oggetto poi di prezioso recupero in Yeats), è già sullo sfondo in Ovidio, che consegna alla tradizione successiva (Ronsard, La Fontaine) una grande storia d'amore travolgente e infelice tra la dea della bellezza e il più bello dei mortali. La linearità della vicenda ne occulta peraltro la pregnanza filosofica, che la tradizione si fa carico di esplicitare: se per Shakespeare Adone, per la prima volta insensibile alle attenzioni di Venere, incarna un principio di amore intellettuale opposto a quello che muove la dea della natura, Shelley valorizza gli impliciti neoplatonici del mito per fare di Adonais un simbolo della poesia come unico fondamento possibile di verità, memoria e comunione affettiva. e 00,00 alessandro grilli insegna Letterature comparate e Storia comparata delle letterature classiche all'Università di Pisa. Ha studiato soprattutto il dramma antico e la tradizione delle letterature greca e latina. Ha pubblicato monografie e saggi su autori antichi e moderni (da Aristofane a Proust, da Catullo a Walter Siti). Al mito di Adone ha dedicato la sua monografia più recente (Storie di Venere e Adone. Bellezza, genere, desiderio, Milano-Udine, Mimesis, 2012).

The Anastenaria festival is celebrated in the village of Agia Elenē in Greek Macedonia in May. The main ritual during the festival is the ecstatic dance over red-hot coals by people who are possessed by their saint. Thus, the festival presents a ritual, which in many ways is in opposition to the official Orthodox religion. A particular theme in the festival, which has been compared with ancient sources, is the "Dionysian" element and the "holy dyade" related to the cult of the Great Mother and the personified Bull god, via several couples, such as Kybele and Attis, and the modern cult dedicated to Agia (i.e. Saint) Elenē and Agios (Saint) Kōnstantinos. But, the similarities between the ancient cult dedicated to Aphrodite and Adonis and the modern cult may also be of relevance. Accordingly, the article will present the modern Anastenaria festival. It will further make a comparison with an ancient parallel celebrated in connection with the same passage during the agricultural year, the unofficial Athenian festival dedicated to the vegetation god, Adonis, the Adōnia. A reason to this is that both festivals present ritual diversity within their respective societies, simultaneously as they belong to the same cosmologies within their respective communities.

Durante la segunda mitad del XVI y la primera mitad del XVII, el ímpetu coleccionista de monarcas y nobles de España convirtió a la península, y sobre todo a la corte, en uno de los sitios más codiciados (después de Italia) para tratar del arte, ya que se exhibían un sinnúmero de lienzos de los más conocidos pintores de la época: Archimboldo, Basano, Botticelli, Correggio, el Bosco, el Greco, Durero, Rafael, Ribera, Reni, Rubens, Tintoretto, Tiziano, Velázquez, Veronense y Zurbarán, entre muchos otros. Rodeados de tanto arte, la nobleza comprendió que necesitaba no solo adquirir lienzos afamados sino también poder hablar de ellos de manera sofisticada. Explica Jonathan Brown: "The mastery of this lore of painting not only became a prerequisite for ladies and gentlemen, but it even acquired a political dimension in the courts of collectorprinces" (244). Este conocimiento pasó de la corte a la burguesía, que se deleitaba con estampas de pinturas famosas y con alguna copia de lienzos afamados. Este furor por el coleccionismo y el arte se reflejó en las tablas, donde personajes adquirían, exhibían y describían pinturas y tapices. Hasta la escultura cobraba importancia en muchas de estas obras, sobre todo escenas exteriores con jardines y fuentes. La presencia del arte en el teatro aurisecular no debe sorprendernos ya que desde la época clásica se reconocía la hermandad y competencia entre la literatura y las artes visuales. Simónides de Ceos, por ejemplo había afirmado que la poesía es una pintura que habla, mientras que la pintura es una poesía muda. Es así que no solo los dramaturgos sino una gran mayoría de escritores del Siglo de Oro, para autorizar y decorar sus ficciones, comedias y poesías, también incluyeron en sus obras conversaciones y descripciones sobre el arte.

Edward de Vere, 17th Earl of Oxford, met Elizabeth when he was 11 years old and she was 29, newly crowned as queen. When he was 12 his father died and he became a ward of the court.  When he was 21 years old, he was coerced into marrying Anne Cecil, the daughter of his guardian, William Cecil, Lord Burghley.  During his 5-year estrangement, hoping for an annulment, he had a love affair with Elizabeth.  On Twelfth Night 1573 they conceived a love-child, who was born October 6,1573.  For political reasons, the child was kept secret, fostered by a Catholic, the 2nd Earl of Southampton, who was released from prison under surveillance by the queen's agents.  He named the boy after himself, Henry Wriothesley, who became the 3rd Earl of Southampton at age 9 when the 2nd Earl died. The sonnets reveal the ups and downs of the love affair and the father-son relationship. In 1593, Oxford wrote "Venus and Adonis" dedicated to the son he had not seen until 1590. He used the pen name "William Shakespeare" to hide his identity since the poem had erotic content. The love affair with Elizabeth ended in 1581, when Oxford sired a son with a brunette (Ann Vavasor, dark lady) and then reconciled with his wife, Anne Cecil.  Through many troubles and disappointments in Elizabeth's sons, Oxford continued to love Elizabeth all his life.

Draught version. A look at the statue in Renaissance literature, artistry, philosophy, and psychology through the Hypnerotomachia Poliphili (1499) as a symbol of the intertwining of the body and architecture, with special reference to the works of Alberto Pérez-Gómez and Maurice Merleau-Ponty.
This essay is dedicated to Alberto Pérez-Gómez and the final version is published for his Festschrift in a new volume called Architecture's Appeal: How Theory Informs Architectural Praxis, edited by Marc Neveu and Negin Djavaherian (Routledge, 2015)

La confidence s'articule imparfaitement, semble-til, avec la première version du poème, qui s'ouvrait sur un refus de l'épopée : Que l'on n'attende pas que je chante en ces vers, Rome ny ses enfans vainqueurs de l'Univers, Ny les fameuses tours qu'Hector ne put defendre Ny ses membres épars sur les bords du [Scamandre, Ces sujets sont trop hauts, & je manque de voix : Je n'ay jamais chanté que l'ombrage des bois, Flore, Écho, les Zephirs, & leurs molles haleines, Le verd tapis des prez & l'argent des fontaines. Cependant aujourd'hui ma voix veut s'élever : Dans un plus noble champ je me vais éprouver ; D'ornemens précieux ma Muse s'est parée ; J'entreprends de chanter l'amant de Cythérée, Adonis dont la vie eut des charmes si courts [...].

Le mythe d'Adonis est un mythe très ancien. Il prend racine en Phénicie : on adorait alors un dieu qui meurt, symbole des cycles naturels et d'une fécondité célébrée par des rites sexuels. Aussi sa réception dans la culture occidentale est-elle immédiatement frappée au sceau de l'étrangeté. Au deuxième siècle de notre ère, Lucien de Samosate jette sur ces rites un regard critique et curieux. Mais à Athènes déjà, où les femmes avaient célébré le jeune amant de Vénus, le culte avait pris figure de réalité bizarre, foncièrement étrangère aux pratiques civiles. La signification de ces divers rituels oscille de la fécondité naturelle, renouvelée chaque année par le retour du soleil et la pousse des épis, à l'image d'une stérilité offerte par les jardins d'Adonis, ces tessons dans lesquels on faisait pousser des plantes sans fruit, vite brûlées par le soleil. Entre abondance cyclique et gratuité improductive, le mythe d'Adonis est d'abord un mythe cosmique.

If we follow Benedetto Croce, who claimed that Marino was being insincere when he proposed that the Adone (1623) showed how "immoderate pleasure ends in pain", then the Hercules allegory opening its second canto must needs be seen as a joke played by the poet on his readers, twisting their expectation that a mythical fable necessarily contains a moral message. For it states that, confronted with the old Herculean choice between virtue and vice, Adonis chose the former ("Al fine il piè ben consigliato ei torse/Lunge dal calle morbido ed aperto") when in fact he is just about to enter the Palace of Love. Indeed, the irony appears to be so thick it can be cut with a knife. However, if Marino's Hercules allegory is ironical, then its irony is surely a facetious double one which mocks readers' tendency to automatically moralize pagan mythology only to turn the tables on them immediately afterward when the prelude continues with an apparently wholly unironical moral reflection on how easily humans are lured away from the virtuous path by worldly temptations ("Ma spesso il corso suo stornar si vanta/Il senso adulator, ch'a sè alletta/Con l'oggetti piacevoli e giacondo"). It is now conceded that although he originally meant to choose wisely, the young man ended up fatally biting that golden apple which is the world with all its pleasures ("questo pomo d'or, che nome ha mondo"). With this re-moralizing turn readers are left entirely perplexed: should they or should they not read the canto as a moral allegory? Apparently empathizing with Adonis' human frailty yet contemplating it within a stern moral frame, the passage is impossible to commit to any one interpretation. It is as thoroughly ambivalent as the rest of the Adone.

JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact support@jstor.org.