CAP 3 CELLINI DELLAVALLE - Copia - Copia

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CELLINI E DELLAVALLE

CAPITOLO 3 IL PROCEDIMENTO METODOLOGICO DEL SERVIZIO


SOCIALE
Procedimento metodologico: schema di riferimento concettuale,
subordinato al sistema valoriale e agli scopi del servizio sociale, che guida
le azioni del conoscere e dell’operare, orienta cioè l’agire dell’assistente
sociale: agire sempre orientato a costruire un processo di aiuto volto a
perseguire un obiettivo.

Essendo il procedimento metodologico uno schema concettuale è


necessario che il professionista ricorra all’adozione di un metodo: una
guida di un’azione professionale che si muove all’interno di percorsi
mutevoli e di un complesso scambio di relazioni ed emozioni.

Operare con rigore metodologico, quindi, significa coniugare la flessibilità


con la razionalità scientifica.

Il procedimento metodologico è strutturato in fasi, nei vari modelli teorici


è possibile trovare delle differenze ma ad accomunare tutti è la stessa
scansione metodologica:

1) Esplorativo-conoscitiva: questa fase comprende l’accoglienza,


l’analisi della domanda, l’analisi della situazione e l’individuazione
del problema.
2) Valutazione preliminare: in questa fase si passa dalla conoscenza
alla comprensione e si mette appunto un’azione di previsione
(previsione dei risultati che si otterranno alla fine del progetto
d’intervento) senza mai però esaurire la fase precedente, la quale
rimane una costante lungo tutta la durata del procedimento.
3) Progettazione
4) Realizzazione
5) Conclusione e valutazione degli esiti: valutazione finale e
restituzione all’utente.

Il procedimento metodologico del servizio sociale si verifica per tre


proprietà:

1) La processualità: il servizio sociale prima degli anni ‘70 era


caratterizzato dal modello medico (studio > diagnosi >
trattamento), secondo questo modello il disagio sociale veniva
considerato come una malattia da curare, in questo approccio le fasi
erano nettamente separate tra loro e per questo il trattamento
iniziava solo dopo la conclusione diagnostica, attualmente, invece, il
servizio sociale abbraccia il modello processuale, il quale è orientato
a coinvolgere la persona interessata e a partecipare al processo di
analisi, valutazione e fronteggiamento del problema; trattandosi di
un processo le fasi tra loro non sono più nettamente separate come
nel modello medico ma sono interconnesse e in ognuna di esse si
può rintracciare una possibilità di evoluzione.
2) L'unitarietà: con unitarietà metodologica s’intende quella proprietà
secondo la quale il metodo non cambia con il variare delle
dimensioni dell’intervento (lavoro con i casi individuali, con il
contesto sociale e con l’organizzazione) mentre a differenziarsi sono
gli strumenti e le tecniche.
3) La circolarità: questa proprietà fa riferimento al fatto che le diverse
fasi sono da considerarsi sia in ordine logico che cronologico in
quanto il procedimento metodologico ha carattere non lineare ma
processuale (a spirale); se in ordine logico le fasi si susseguono
presupponendo che un’azione sia preliminare all’altra, dal punto di
vista cronologico, fra l’inizio e la conclusione s’intersecano fasi
intermedie che si percorrono anche contemporaneamente (fase
conoscenza si ripropone lungo tutto il percorso).

Differenza tra metodologia e modelli teorici:

1) Metodologia: la metodologia è lo ‘’studio del metodo’’ ovvero lo


studio del procedere razionale, per fasi, verso determinati obiettivi;
il metodo è costituito da una serie di operazioni intellettive
mediante le quali la mente umana organizza un ragionamento, esso
può quindi essere visto come un percorso che l’assistente sociale
segue procedendo in modo razionale, prima con il pensiero e poi
con l’agire professionale.
2) Modello teorico: il modello teorico è invece una struttura che si basa
su una o più teorie (teoria = formulazione di principi generali relativi
ad una scienza che servono ad orientare per la pratica) che
giustificano il modello stesso; il modello teorico può quindi fornire
uno schema, costituito da punti di riferimento teorici, ai fini
dell’imitazione, della riproduzione nella pratica.

Il metodo quindi si completa ed assume senso solo se viene riferito a una


o più teorie che orientano la prassi.

Le fasi del metodo del processo di aiuto nella sua dimensione individuale
sono:

1) Esplorativo-conoscitiva
2) Valutativa- progettuale
3) Verifica
4) Conclusione
Fase esplorativo-conoscitiva

Questa fase prende avvio con il primo incontro tra soggetto interessato e
professionista e contiene quella parte del discorso volta a conoscere e
comprendere gli elementi che riguardano il motivo del contatto iniziale, il
soggetto in situazione, la natura del problema e i suoi fattori costitutivi, lo
stile di fronteggiamento dei problemi, le risorse riconosciute e quelle
potenziali, i significati attribuiti agli eventi e alla stessa iniziativa del
chiedere aiuto.

L'azione esplorativa prende avvio nel momento iniziale e prosegue lungo


tutto l’arco del processo, il materiale che emerge infatti, deve essere
sottoposto a continua valutazione, sia per considerarlo ai fini di una
riprogettazione, sia per decidere l’eventuale scarsa significatività, tale
disponibilità ad accogliere quanto emerge progressivamente è
strettamente connessa all’atteggiamento professionale della flessibilità.

All'interno di questa fase si articolano passaggi specifici come

1) L’accoglienza
2) l’analisi della domanda
3) l’analisi della situazione

1) L'accoglienza:

l’accoglienza è, da una parte la capacità di accogliere la persona,


riceverla dimostrando interesse autentico e preoccuparsi di ciò che
può farla sentire a suo agio, dall’altra riguarda lo spazio, il tempo e
le regole che segnano l’accesso delle persone al servizio. Lo
spazio/tempo dedicato al primo contatto può essere strutturato a
seconda di come l’accesso è interpretato dall’organizzazione nel suo
complesso e dai singoli operatori. A giocare un ruolo fondamentale è
la funzione informativa, che non può limitarsi a fornire informazioni,
dovendo anche valutare la capacità della persona di comprenderle e
utilizzarle. Gli assistenti sociali hanno quindi la responsabilità di
accogliere le persone insieme alle loro domande e alle ragioni che le
hanno portate a rivolgersi al servizio.

2) L'analisi della domanda:

La domanda, nell’ambito del servizio sociale, rappresenta


l’espressione esplicita di una necessità e identifica l’atto compiuto
dal soggetto che assume l’iniziativa dell’incontro con il servizio/il
professionista, presupponendo l’attesa di risposte strettamente
connesse alla natura della domanda. Essa è considerata come la
manifestazione della capacità del soggetto di assumere un’iniziativa
che faccia fronte a un bisogno inserito in un contesto relazionale ed
esistenziale. Il compito dell’assistente sociale è quello di sottoporre
la domanda ad un’analisi che consenta di pervenire,
congiuntamente all’interessato, a una comprensione della natura e
del significato della stessa. Per operare tale analisi si può fare
riferimento ad una serie di parametri: il contenuto, il contesto
proposto, le aspettative, la provenienza, le modalità di
presentazione della domanda.

Il contenuto della domanda può essere informativo, di aiuto,


autoritativo o consulenziale.

La provenienza della domanda è differenziata: essa può giungere


dalle persone direttamente interessate o oppure appartenenti alla
rete naturale sociale o istituzionale di queste ultime, oppure da
attori collettivi ma può anche riguardare delle richieste della
magistratura.

Milena Lerna (assistente sociale e psicologa a indirizzo sistemico-


relazionale) suddivide in tre gruppi le domande che pervengono,
sulla base del criterio di provenienza:

-Domande avanzate dalla persona interessata o da un suo


famigliare che a loro volta si suddividono in:

a) Diretta e spontanea, pervenuta dal diretto interessato

b) Indiretta, pervenuta da un famigliare ma con il consenso


dell’interessato

c) Non informata, da un famigliare senza il consenso


dell’interessato.

-Domande che si costituiscono come segnalazione di soggetti


estranei al nucleo famigliare degli interessati i quali, possono essere
informati e consenzienti, oppure non informati o addirittura contrari
al fatto che sia coinvolto un servizio.

-Domande provenienti da differenti istituzioni, servizi, professionisti


per ragioni di:

a) Competenza: presuppone la consapevolezza circa la necessità di


una presenza professionale diversa dalla propria.

b) Opportunità di cogestione: implica l’adesione a un modello


operativo integrato che permetta di considerare la
multidimensionalità dei problemi.
c) Mandato autoritativo

In tutti i casi a presentazione indiretta è necessario porre attenzione


alle diverse posizioni che il richiedente/segnalante/inviante può
assumere nei confronti sia del soggetto che del professionista, in
quanto le stesse possono incidere sulla possibilità di realizzare un
intervento in un clima partecipe e collaborativo oppure il contrario.

L'assistente sociale Annamaria Campanini tratteggia cinque diversi


tipi di invianti:

1) Disinteressato (non coinvolto, si limita a favorire l’accesso a un


servizio da parte di una persona che ne trarrebbe giovamento)
2) Partecipe (interessato alle persone per cui chiede l’intervento,
può costituirsi come una risorsa ed entrare a far parte del
sistema d’azione)
3) Meta (collocato in posizione superiore rispetto all’assistente
sociale, può voler mantenere il controllo sull’intervento ed
esercitare un’influenza, anche non disponendo di competenze
professionali)
4) Antagonista (opera allo stesso livello dell’assistente sociale al
quale segnala e tende a squalificarne l’operato)
5) Invischiato (non riesce ad essere di aiuto perché incapace di
regolare la distanza).

MODALITA’ DI PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA

I diversi timori come quello di non essere capito o di essere giudicato


possono influenzare il modo di presentare la richiesta, sono identificabili
tre tipi di atteggiamenti:

1) Apertura, disponibilità, partecipazione, rispetto > richiesta


2) Chiusura, diffidenza, arroganza > pretesa
3) Rassegnazione, delusione, abdicazione > delega

È importante, inoltre, saper distinguere l’emergenza dall’urgenza e ancora


quest’ultima dal sentimento di urgenza:

a) L'emergenza si riferisce a un’improvvisa e imprevedibile condizione


che esige un intervento immediato per scongiurare un pericolo.
b) L'urgenza presuppone la necessità di intervenire rapidamente per
evitare che un potenziale rischio evolva in un danno connesso a
circostanze prevedibili.
c) Il sentimento di urgenza richiede di essere accolto e gestito, senza
colludere con la ricerca di risposte immediate che solo
apparentemente risolvono il problema.
L'analisi della domanda condotta dall’assistente sociale si differenzia da
quella di altri professionisti per un insieme di elementi che la connotano in
termini di specificità professionale:

- L'attenzione alla dimensione relazionale


- La considerazione sia per il percorso compiuto dalla persona prima
di giungere al servizio e la cognizione della potenziale fatica insita
nel sottoporre ad un estraneo questioni personali, sia dalle
dinamiche che possono intervenire nel primo contatto
- La consapevolezza di come ciò che viene richiesto possa riferirsi
all’aspetto più esterno di un problema complesso e di quanto
possano incidere i processi di induzione

L'analisi della domanda può avere come esito diverse situazioni: si accerta
la competenza dell’ente e si valuta opportuno un intervento professionale;
si verifica l’incompetenza e, quindi, si procede ad un invio oppure ad una
segnalazione ad un altro servizio, si esaurisce la prestazione con
un’informazione esaustiva e corretta.

3) l’analisi della situazione e l’individuazione del problema:

L'analisi della situazione prevede innanzitutto la raccolta di materiale


conoscitivo relativo alla persona in situazione, al contesto di vita, al
problema e alle strategie già usate per affrontarlo, partendo dal contenuto
della domanda ed estendendo la raccolta di informazioni a quanto
emerge.

Possiamo distinguere il materiale da conoscere in oggettivo e qualitativo-


relazionale:

1) Oggettivo, riguarda notizie obiettive, come quelle anagrafiche, la


composizione del nucleo famigliare, la periodizzazione di eventi,
riferiti inizialmente soprattutto al motivo che ha indotto la persona a
presentarsi al servizio
2) Qualitativo-relazionale, si riferisce a informazioni qualitative
riguardanti i soggetti che compongono in sistema utente, le
caratteristiche, la biografia, il corso di vita e l’intreccio di carriere
connesse al sistema di vincoli e risorse, l’impostazione e la qualità
della vita e delle relazioni famigliari, i rapporti affettivi ed amicali, il
tempo libero, le aspettative, le preferenze e lo stile di
fronteggiamento per ciò che riguarda i compiti esistenziali e le
difficoltà.

Per ciò che riguarda il problema che ha indotto il soggetto a presentarsi al


servizio è necessario identificarne natura, caratteristiche e portata
percepita, rischi, presenza di soggetti che non possono autotutelarsi, così
come eventuali altri soggetti coinvolti.

Esso va osservato non solo nel presente ma anche in termini evolutivi.

Occuparsi professionalmente di problemi sociali significa anche saperli


collocare all’interno del contesto in cui si sono prodotti, l’assistente
sociale pone attenzione alle condizioni sociali di quel determinato periodo
e all’influenza di queste sulla situazione specifica.

I tentativi effettuati per soddisfare il bisogno/affrontare il problema e i


risultati conseguiti devono essere esaminati con la persona inquanto
segnalano lo stile di fronteggiamento, le capacità e le risorse attivate così
come gli eventuali errori nella valutazione del problema o delle risorse e
anche gli ostacoli incontrati.

La fonte dell’informazione per eccellenza, in un percorso partecipato, è


l’interessato che attraverso i contenuti e le modalità delle sue narrazioni
fornisce molte informazioni, egli può anche accettare la proposta di una
visita domiciliare, consentendoci così di conoscere il suo ambiente di vita
e il rapporto che intrattiene con esso.

Un'altra fonte di informazione è rappresentata dalla documentazion4e: le


cartelle, le relazioni di segnalazione provenienti da altri servizi, gli atti
contenenti provvedimenti giudiziari; queste fonti devono essere utilizzate
per la loro potenzialità orientativa, senza impedire la funzione conoscitiva
direttamente assunta dal professionista.

La fase esplorativo-conoscitiva si qualifica professionalmente per alcune


competenze dell’assistente sociale nella gestione di aspetti cruciali,
rispetto alla possibilità di porre le basi per un’efficace relazione
professionale; tra queste troviamo:

a) Assumere e conservare un atteggiamento di apertura nei confronti


di ciò che emerge, evitando di ricercare o valorizzare quelle
informazioni che confermano i propri giudizi iniziali
b) Saper utilizzare chiavi di lettura scientifiche e metodologiche, che
consentano di contestualizzare il singolo bisogno/problema
all’interno di uno scenario sociale ampio e multidimensionale e di
generalizzarlo, così da far emergere il rapporto tra bisogni e risorse
nel contesto istituzionale
c) Saper coinvolgere la persona/famiglia, promuovendo la
consapevolezza circa la necessità di costruire insieme il quadro
conoscitivo, al fine di comprendere e comprendersi, gettando le basi
per una relazione fiduciaria
d) Saper impostare la raccolta delle informazioni in termini rispettosi e
pertinenti accompagnando la narrazione delle persone e non
irrigidendola dentro schemi precostituiti; si tratta di finalizzare la
raccolta delle informazioni a una conoscenza autentica della
persona nella sua globalità, necessaria per impostare un percorso
personalizzato e non per limitarsi a predisporre una scheda
preordinata
e) Saper cogliere la dimensione relazionale delle narrazioni, dottando
la tecnica della circolarità che consente di rilevare le differenze
nell’attribuzione di significati agli eventi, da parte dei differenti
soggetti coinvolti
f) Saper rispettare la riservatezza e il segreto professionale
g) Saper gestire le dinamiche che scaturiscono dalla contraddittorietà
tra le informazioni che vengono dal soggetto e da altre fonti, o dalla
constatazione della non veridicità di notizie fornite dall’interessato,
casi in cui è compito del professionista approfondire con lo stesso i
dubbi, gli aspetti incoerenti, illogici, ambigui o incompleti

Loewenberg suggerisce di sottoporre il materiale che emerge ad un


processo di analisi che comprende: i dati secondo il grado di importanza e
l’individuare le relazioni fra quelli più rilevanti ed i significati attribuiti.

L'esito di questo confronto produrrà elementi che, opportunamente


documentati, saranno l’oggetto della successiva fase di valutazione.

3.2 FASE VALUTATIVA-PROGETTUALE

La valutazione è l’ipotesi di lavoro, frutto di un’attività di pensiero svolta


dall’a.s. con la persona e con altri soggetti coinvolti, che precede ed
accompagna l’azione.

Il '’pensare prima’’ ad obiettivi, attività, tempi, indica un progetto per e


con le persone.

Questo tipo di valutazione, che possiamo designare come progettuale, è


qualificata come diagnosi sociale o come assessment.

La diagnosi è l’esito di un processo volto a comprendere la situazione


della persona e a identificarne le risorse e le criticità che influenzano i suoi
problemi, le cause recenti e gli aspetti che influenzano atteggiamenti e
comportamenti del soggetto e infine, la classificazione dei diversi fattori
incidenti.

Nel servizio sociale la valutazione comporta una costante riconsiderazione


ed anche un rinnovamento delle decisioni, sulla base delle informazioni
nuove che si acquisiscono, al fine di una conoscenza via via più profonda
di situazioni, condizioni e bisogni delle persone.

La fase valutativa progettuale presuppone un assumere cognizione esatta


di qualcosa e un valutare fatti e situazioni nel senso letterale di dare
valore ad essi, in questo senso la valutazione si costituisce come un
giudizio professionale, basato su conoscenze oggettive, scientifiche e
metodologiche.

L'a.s. può svolgere la valutazione da solo o insieme ad altri professionisti,


nei quali le pratiche professionali hanno tra le loro caratteristiche quelle
della valutazione multiprofessionale.

È proprio dalla valutazione che vengono tratti gli elementi su cui si basa il
processo decisionale, che consiste in una selezione e in una scelta di
azioni; la valutazione quindi precede la decisione.

I tipi di decisione possono essere diversi come, ad esempio, le decisioni


sulla protezione, sui piani d’intervento...

L’a.s. può trovarsi a dover prendere decisioni affrontando delle difficoltà,


derivanti dal contrasto o dal conflitto di valori.

3.2.1 UNA CLASSIFICAZIONE

Diversi tipi di assessment:

1) Come accertamento: ci si riferisce all’analisi delle informazioni


finalizzata allo scopo di riconoscere come reale una determinata
situazione, avviene attraverso la relazione professionale e mira a
cogliere aspetti sia oggettivi che soggettivi come il punto di vista
delle persone interessate oppure quanto sono disponibili a fornire
un aiuto; l’elaborazione di questi dati conduce al giudizio
professionale, che verte su differenti aspetti, a seconda del
destinatario e dello scopo dell’assessment. La responsabilità della
valutazione come accertamento è del professionista, infatti la
valutazione non necessariamente viene ad essere discussa tra
professionista e persona.
2) Come valutazione del rischio: è volto a concentrarsi sulla possibilità
che si verifichi un dato evento capace di compromettere il
benessere di una persona, famiglia o gruppo, si tratta di considerare
situazioni, con lo sguardo al futuro. Questo tipo di assessment è
correlato al controllo, nel momento in cui si opta per una risposta
positiva o negativa, per rispondere ad una persona, oppure si avvia
l’azione di un’autorità giudiziaria per evitare che il rischio si
concretizzi.
3) Valutazione del bisogno: è un processo legato al principio della
globalità e considera quindi l’intera gamma della necessità della
persona, esistono diversi tipi di bisogno:
a) Definito dal professionista
b) Percepito dall’interessato
c) Espresso
4) Valutazione delle capacità di azione nell’ottica della rete: tipo di
valutazione comprensiva, sia perché include diverse componenti dei
problemi, sia perché comprende altri possibili approcci alla
valutazione. Nella prospettiva del servizio sociale essa assume una
valenza fondamentale, poiché si occupa di valutare le capacità delle
persone coinvolte in un problema, conclamato o potenziale, di
attivarsi per un fronteggiamento congiunto dello stesso.

3.2.2 LA DEFINIZIONE DELL’AREA PROBLEMATICA

La valutazione propria della fase valutativa progettuale è centrata su


un’area problematica: area bersaglio, su cui l’a.s. andrà a lavorare con la
persona.

Essa può essere caratterizzata da alcuni interrogativi:

- Di cosa si tratta?: consiste nel riprendere gli elementi emersi


dall’analisi della domanda, considerandoli come punto di partenza
per l’elaborazione di un progetto.
- Di chi si tratta?: riguarda la persona coinvolta, i vissuti relativi alla
situazione, la motivazione e mobilitazione mostrata dalla persona.
- Quali possibilità ci sono per cambiare la situazione?: riguarda le
risorse della persona presenti o attivabili, partendo da tali risorse e
dalla promozione delle capacità; si considerano le risorse esterne,
istituzionali e non, le forze o le resistenze che possono arrivare
dall’ambiente.

3.2.3 L’IDENTIFICAZIONE DEGLI OBIETTIVI

Il ponte fra la valutazione e il progetto riguarda l’identificazione degli


obiettivi.

Dovendo collegare gli obiettivi alle aspirazioni e alle intenzioni degli


interessati, la loro definizione richiede che l’a.s. garantisca le condizioni
che consentono la piena partecipazione degli interessati, nel rispetto del
principio di autodeterminazione indicato dall’art. 26 del Codice
deontologico, in un percorso che vede il professionista impegnato a
fornire sostegno e chiarificazione.
La definizione degli obiettivi, come ci ricorda Bertotti, può essere facilitata
dall’adozione della formula SMART, acronimo dei cinque attributi di un
obiettivo:

1) Specifico: indica la necessità di mettere a fuoco l’intervento, sia


considerando l’area problematica investita dalla domanda e gli
elementi della valutazione diagnostica, sia formulando in modo
chiaro i problemi.
2) Misurabile: definire obiettivi il cui raggiungimento sia osservabile e
reso evidente da indicatori del cambiamento, che consentano di
indicare in modo chiaro le differenze fra le specifiche condizioni
attuali e quelle cui si vuole giungere.
3) Realizzabile: individuazione di un obiettivo realizzabile costituisce un
elemento importante per l’a.s. che, accompagna il soggetto
nell’identificazione dei percorsi di realizzazione, a partire dall’analisi
delle risorse necessarie, disponibili o attivabili, a livello sia personale
che della rete famigliare e sociale.
4) Rilevante: richiede di essere sostenuto e rinforzato all’interno della
relazione professionale e con il supporto delle risorse materiali, dove
necessario; la rilevanza va connessa alla realizzabilità.
5) Temporizzato: fattore spesso trascurato ma fondamentale, rispetto
dei tempi soggettivi della persona, esigenza imprescindibile di
stimare un tempo utile per il perseguimento di un obiettivo; dotarsi
di una cornice temporale in merito agli obiettivi riduce il rischio di
muoversi estemporaneamente, la dimensione temporale ci
permette di considerare la differenza fra obiettivi a breve, medio e
lungo termine.

3.2.4 IL PROGETTO

La fase valutativa-progettuale è finalizzata all’individuazione del


campo/aspetto problematico su cui lavorare.

È quindi necessario individuare un problema bersaglio, che deve essere


riconosciuto, accettato dalla persona e che deve essere chiaramente
delimitato.

Il progetto si basa su quattro componenti:

1) La descrizione della situazione nella sua complessità


2) La scelta dell’area problematica su cui concentrarsi
3) L'illustrazione dei motivi di tale focalizzazione
4) La definizione degli obiettivi, rispetto ai quali vanno specificati gli
esiti che si vogliono produrre e/o gli eventuali processi da attivare.
Il progetto si costruisce e si elabora secondo una prospettiva che guarda
non solo alla persona-utente, ma anche al suo ambiente di riferimento e
ad altri soggetti.

Il progetto è un’azione professionale connotata dall’analisi di risorse,


anche istituzionali, mediante il coinvolgimento di altri attori.

Gli elementi del progetto rispondono alle domande: chi/con chi, per chi,
con che cosa, in che modo.

Sono elementi che corrispondono a diversi sistemi operativi:

- Il sistema degli attori di cambiamento


- Il sistema utente
- Il sistema risorse
- Il sistema di azione
- I sistemi spazio-temporali

3.2.5 IL CONTRATTO

Il contratto rappresenta l’esplicitazione del progetto, essendone la parte


pubblica e visibile, ciò è vero indipendentemente dalla forma del
contratto, che può essere o non essere scritta.

Nei servizi la forma orale prevale su quella scritta, quest’ultima


rappresenta senz’altro un impegno formale.

A differenza di altri tipi di contratto, il contratto del servizio sociale è


strutturalmente flessibile.

I contenuti del contratto possono essere rivisti con la possibilità di tornare


indietro.

Il contratto del servizio sociale è caratterizzato da un approccio che


guarda alla persona come soggetto attivo, dotato di capacità e di
intenzionalità, in grado di prendere decisioni, di assumere responsabilità,
che ne rispetta il diritto e ne promuove la capacità di autodeterminarsi.

Nell'interazione con persone che hanno o dimostrano scarse capacità di


comprensione l’a.s. può coinvolgere un rappresentante, che appartiene al
contesto di vita e/o esercita già una funzione di protezione legalmente
formalizzata.

Il contratto si consolida all’interno di una relazione, di tipo professionale,


che ha preso l’avvio con la prima fase del procedimento metodologico.

Il contratto è basato sulla tecnica della negoziazione e comporta anche


capacità di mediazione da parte dell’a.s. in uno scenario in cui il
professionista è dipendente di un ente/servizio, ma è anche responsabile
professionalmente verso la persona-utente.

Propria del contratto di servizio sociale è una negoziazione che metta a


confronto le aspettative della persona e quelle dell’a.s., che consideri
quali di esse potrebbero essere soddisfatte, quali invece sono fuori da un
piano di realtà.

Il contratto, in sintesi, è un accordo sull’intervento del servizio sociale che


definisce alcune regole.

È un accordo tra a.s. e persona, ma che può coinvolgere anche altri


professionisti, soggetti appartenenti alle reti primarie e/o secondarie della
persona, che sono interessati alla situazione.

L'accordo si riferisce allo sviluppo del progetto, il contratto stabilisce il


campo problematico su cui lavorare, gli obiettivi di cambiamento, le
attività e le risorse per raggiungerli, sia della persona che dell’a.s., che
devono tenere conto delle condizioni che il servizio pone, un piano di
lavoro ed una relativa durata nel tempo.

Il contratto può facilitare un impiego del tempo costruttivo per il


conseguimento degli obiettivi e per una costante valutazione dei
progressi: i limiti di tempo impongono una scomposizione ed una
parcellizzazione del problema, essi inoltre possono facilitare la
mobilitazione, sia della persona utente, sia dell’a.s., portando ad un
cambiamento che può generare ulteriori motivazioni.

Vi sono contesti istituzionali in cui scadenze prestabilite condizionano


l’impiego del tempo.

Le scadenze possono rappresentare un motivo di pressione e di affanno


per l’a.s. ma anche un’opportunità per un uso ufficiale del tempo, nei
termini prima richiamati.

Il contratto può essere visto come strumento di controllo preciso, nel


quale l’a.s. opera svolgendo il suo ruolo, se la persona si impegna a sua
volta e, viceversa, quest’ultima impiega energie, svolge compiti, a fronte
dell’operato del professionista.

Il contratto ha tra i suoi aspetti positivi le potenzialità di tutelare e


promuovere i diritti della persona.

Corden e Prestonshoot individuano quattro aree relative ai diritti delle


persone, ‘’la prima area è relativa al diritto dei cittadini nei primi contatti
con i servizi ad essere informati in modo chiaro e comprensibile sui loro
diritti e doveri legali, sulle diverse opzioni loro disposizione, sui servizi di
cui hanno diritto e sui criteri per determinare il diritto a tali servizi’’
Tale diritto è esplicitato all’art. 41 del Codice deontologico.

L'informazione mette le persone nella condizione di prendere le proprie


decisioni, o di partecipare ai processi decisionali che li riguardano: questa
è la seconda area di diritti considerata.

La terza area comprende i diritti dei cittadini ad una completa


informazione riguardo tutto quanto gli operatori fanno che li riguardi
direttamente.

Nel Codice deontologico, l’area che include il diritto della persona-utente


ed esprimere disaccordo si connette con quello a ricorrere contro decisioni
prese nei suoi confronti.

Il contratto può presentare nodi critici, ad esempio l’impossibilità di


utilizzare il contratto al fine di riequilibrare uno squilibrio di potere che è
strutturale e tale, non modificabile attraverso la metodologia del servizio
sociale.

Un altro nodo critico riguarda le situazioni in cui la persona non chiede


aiuto direttamente, ma vi è, una segnalazione oppure un obbligo di
intervento per mandato dell’autorità giudiziaria.

In questi casi la ricerca di un accordo con la persona interessata può


comportare delle difficoltà, anche se la domanda spontanea non è
garanzia di collaborazione, ciò può entrare in contrasto con una delle
caratteristiche del contratto, cioè quella di favorire la mobilitazione della
persona.

Altri elementi di criticità sono: i rischi di stabilire un contratto in modo


unilaterale da parte dell’a.s.

La sempre maggiore diffusione di contratti come patti predefiniti,


mediante i quali i servizi erogano prestazioni o servizi in cambio di un
impegno a svolgere determinate attività.

Il contratto va identificato come strumento di autogoverno, auto


contenimento, sintesi di un’elaborazione.

Esempi di contratto:

1) Contraenti (a.s. e genitori)


2) Situazione pregressa (tribunale decreta allontanamento temporaneo
minore)
3) Intento delle persone (genitori desiderano che la bambina sia
riaffidata a loro)

3.3 FASE ATTUATIVA


La fase attuativa riguarda l’utilizzo di risorse funzionali al progetto, nello
sviluppo della relazione di aiuto.

Realizzare il progetto implica che l’a.s. dedichi tempo ed impegno ad


attività di pensiero, senza le quali l’attuazione del progetto risulterebbe
priva di contenuti.

Una costante attività di pensiero accompagna gli interventi dell’a.s.


attraverso i quali i il professionista non si sostituisce alla persona,
piuttosto ne promuove la centralità e lavora per promuovere autonomie,
quindi per evitare la dipendenza dall’aiuto.

La fase attuativa si caratterizza per una sua valenza emancipativa per la


persona, che, insieme all’a.s. svolge attività per l’attuazione del progetto.

Un altro aspetto della fase attuativa è quello della valutazione, essa è


trasversale a tutte le fasi del procedimento metodologico ed in quella
attuativa assume una connotazione preminente di valutazione di
processo.

In questa fase il professionista opera per rivedere il percorso fatto ed


eventualmente ridefinisce gli obiettivi o compiti.

È possibile individuare un ideale di valutazione che parte da una posizione


marginale della persona-utente per arrivare ad una relazione in cui la
persona assume sempre più una posizione di relativa marginalità dell’a.s.

Fargion individua tre modi possibili in cui la relazione professionale può


esprimersi:

1) Relazione di sostituzione che non produce né crescita né autonomia


2) Supporto che sta ad indicare un affiancamento, un
accompagnamento alla persona nella fase di attuazione del progetto
3) La garanzia vede una posizione del professionista ai margini, che
però non è distacco né tantomeno di abbandono, con la quale l’a.s.
rappresenta un punto di riferimento e una presenza disponibile in
caso di difficoltà

Distinzione tra interventi diretti e indiretti:

- Diretti: contatto immediato con le situazioni, riguardano la relazione


professionale che si viene a creare con la persona
- Indiretti: attuati dall’a.s. al di fuori della relazione che si ha in
presenza della persona.

3.3.1 INTERVENTI DIRETTI

Gli interventi diretti hanno una forte componente relazionale.


La relazione è al centro in interventi diretti quali:

- L'informazione
- Il sostegno
- L'accompagnamento
- Il monitoraggio
- Il controllo
- Il dare accesso alle prestazioni

L'informazione è una forma di intervento che ha come fine principale


quello di dotare la persona-utente delle conoscenze sufficienti affinché
possa fare delle scelte per far valere i suoi diritti con cognizione di causa,
l’informazione può riguardare ambiti diversi come quello legislativo,
amministrativo, burocratico-procedurale.

Anche rispetto all’informazione, il professionista deve fare attenzione a


non sostituirsi alla persona, o essere consapevole che la sostituzione sia
ridotta al minimo indispensabile e in casi in cui può effettivamente
rappresentare un aiuto.

Il sostegno rappresenta un altro intervento diretto, che mira a rafforzare la


persona con il progetto come percorso di crescita.

Sostenere significa cercare di operare per ridimensionare gli elementi di


ostacolo alle capacità della persona di affrontare le situazioni e di
attivarsi.

Gli interventi di sostegno mirano a far acquisire o a restituire alla persona


fiducia in sé stessa e un’immagine di sé maggiormente positiva, che
favorisca un impegno personale costruttivo, creativo.

Il sostegno è un intervento che si avvale dello strumento del colloquio.

Ulteriori interventi diretti sono quelli di accompagnamento,


l’accompagnamento fisico della persona, in contesti a lei non famigliari,
può essere un intervento di supporto dell’a.s. o demandato dal
professionista ad altre figure; accompagnare è anche e soprattutto un
lavorare con la persona, mirando a favorire in lei la presa di coscienza del
proprio funzionamento.

Accompagnare è aiutare a riflettere sull’agire.

Strettamente connesso con l’accompagnare è il monitoraggio cioè


osservare in modo sistematico, per rilevare progressi e rinforzarli o,
all’opposto, per rilevare ed affrontare aspetti di regressione.

Monitorare ad esempio l’avvio e il proseguimento o l’affidamento familiare


di un bambino.
Interventi come l’affido possono essere già stati attivati, dunque l’a.s.,
attraverso il monitoraggio, deve dare il segnale di non abbandonare la
situazione.

È cioè fondamentale che le persone abbiano la sicurezza di poter tornare


all’operatore in presenza di incidenti di percorso o in caso di bisogno: è
proprio questa sicurezza che spesso fa sì che i soggetti siano meno ansiosi
e più autonomi.

Si distinguono dal monitoraggio gli interventi legati al controllo.

L'a.s. può essere chiamato ad attuare interventi di controllo in situazioni in


cui vi è un soggetto debole o a rischio, che necessita di tutela e
protezione.

Il controllo può derivare direttamente dalla legge o da un mandato


dell’autorità giudiziaria.

Vi è poi la difficoltà di gestire una relazione che si svolge tra persona, a.s.
e autorità giudiziaria, nella quale il professionista non può non intervenire
ed esprime pareri professionali all’autorità stessa, che decide.

Poiché attraverso le funzioni di controllo vi sono limitazioni di libertà, l’a.s.


si impegna per dare su un altro piano prospettive di libertà, definire e
ampliare spazi di autonomia e auto direzione delle persone, anche
attraverso la promozione della consapevolezza, aspetto, che può essere
affrontato all’interno della relazione professionale tra a.s. e soggetto.

Gli obiettivi del controllo dovrebbero essere la crescita delle persone, il


potenziamento del loro senso della realtà per aiutarle a conciliare diritti e
responsabilità.

La protezione dei minorenni, intesa anche come protezione di una buona


relazione tra genitore e figlio, è un esempio di un ambito in cui il controllo
può essere visto come dotato di senso.

Un ulteriore aspetto metodologico è legato al tema del limite.

Il controllo va limitato nel tempo, mediante un ancoraggio a progetti di


cambiamento che definiscano obiettivi, attività, scadenze; che siano
verificabili; che siano monitorati; che siano modificabili nel tempo.

Un'ampia parte dei servizi in cui l’a.s. opera prevedono budget finanziari;
il professionista ha un ruolo e un potere importanti per l’accesso della
persona ad aiuti di natura economica, di assistenza domiciliare, a borse-
lavoro etc.

3.3.2 INTERVENTI INDIRETTI


Gli interventi indiretti della fase attuativa sono varie attività dell’a.s. sul
contesto della persona-utente.

In una prospettiva ecologica assume un grande rilievo l’intervento dell’a.s.


presso le persone significative dell’ambiente della persona: familiari,
amici, insegnanti che conoscono la situazione della persona.

Il ruolo dell’a.s. in questi interventi può essere di natura diversa:


scambiare informazioni, portare all’attenzione di altri soggetti interessi e
bisogni della persona.

La fase attuativa comprende attività dell’a.s. che servono a costruire


nuove relazioni utili per la persona stessa.

Tra gli interventi indiretti abbiamo le collaborazioni con professionisti ed


operatori di altri servizi e possono essere di diverso tipo:

1) Di collegamento
2) Di concentrazione
3) Di consulenza

Rientrano tra gli interventi indiretti anche le attività dell’a.s. nel ricordare
che l’attuazione di un progetto può richiedere in molte situazioni l’uso
della scrittura professionale.

3.4 FASE DELLA VERIFICA E DELLA CONCLUSIONE

La conclusione del procedimento metodologico può avvenire in modi


diversi; vi può essere un termine predefinito fin dall’inizio del
procedimento.

Vi sono anche prese in carico a tempo indefinito come persone in


condizioni di grave compromissione dell’autonomia fisica, per le quali
sono stati attivati interventi di supporto.

Una situazione di conclusione è quella del passaggio del caso che, più che
una chiusura, è un cambio di riferimento per la persona, un cambio di
alleanza.

Il passaggio può avvenire ad un altro a.s. o ad un professionista di un


servizio diverso; le ragioni possono essere diverse: dalla necessità di
inviare la persona ad un altro servizio.

Il passaggio richiede una preparazione ed un accompagnamento da parte


dell’a.s. che coinvolga la persona, informandola dei motivi del passaggio,
ascoltandola, accogliendone eventuali domande.

Una differenza da mettere in evidenza è quella tra una fine dell’intervento


per iniziativa del soggetto ed una conclusione programmata.
Nel primo caso la persona può scegliere di non collaborare più con l’a.s. e
la sua scelta va rispettata. Occorre però riflettere se si tratti di una vera
scelta o di una relazione della persona all’essersi sentita non ascoltata.

Una chiusura dell’intervento programmata e il più possibile condivisa


rappresenta una sorta di tipo ideale.

Concludere significa quindi portare a termine il progetto condiviso


precedentemente; non è la risoluzione del caso, risolvere può significare
sciogliere un legame; ma non è detto che tale scioglimento ci sia sempre,
poiché, dopo la conclusione di un progetto, è possibile che se ne elabori
un altro, con obiettivi diversi.

Non appropriato è concepibile la conclusione come risoluzione di un


problema.

Vi possono essere delle difficoltà a concludere, dovute a diversi fattori; un


primo elemento può essere legato ad aspetti critici nel percorso seguito
come, ad esempio, un’analisi della domanda carente, un’ulteriore
difficoltà può derivare dalla complessità della situazione, non
adeguatamente affrontabile a causa di carenza di risorse, tale situazione
richiede diversi interventi.

Un senso di perdita, lasciato dall’evento che si conclude, può essere


percepito sia dalla persona che dall’a.s., la persona può avere vissuti di
abbandono, sentirsi esposta a situazioni di incertezza per un futuro in cui
non vi sia più il professionista come punto di riferimento, sviluppare forme
di regressione; d’altro canto, l’a.s. può avere difficoltà a lasciare, per il
timore che la persona non possa proseguire un percorso autonomo, senza
un accompagnamento.

La conclusione del procedimento metodologico è una fase in cui si


riconosce se l’obiettivo o gli obiettivi precedentemente individuati siano
stati raggiunti.

Da associare alla fase conclusiva è la valutazione intesa come valutazione


dei risultati.

Garantire questa operazione valutativa consente anche di analizzare in


termini riflessivi e autocritici il proprio operato e di aumentare la qualità e
la visibilità dell’azione professionale.

La fase conclusiva richiede una revisione degli eventi da realizzare


insieme alla persona.

In questo senso la conclusione è uno scambio, che si concentra sui


cambiamenti avvenuti e che ha per oggetto: i risultati raggiunti e il
percorso fatto; le modalità adottate per affrontare le difficoltà; la
considerazione di prospettive future.

Valutare significa attribuire un valore al processo di aiuto che si è


sviluppato.

La valutazione dell’a.s. avviene su diversi livelli: si verifica se si sono


realizzati gli interventi prefissati; si considerano la partecipazione e il
coinvolgimento della persona; si vaglia il cambiamento che si è realizzato;
si considerano gli esiti dell’intervento nel quadro generale.

Se i risultati prefissati nel progetto sono stati raggiunti, il momento


conclusivo è accompagnato da una discussione sul mantenimento degli
esiti.

Se i risultati non sono stati raggiunti, si può pervenire ad un’interruzione


della relazione professionale, o ad un prolungamento del tempo previsto,
o ad una riformulazione del progetto e quindi ad un nuovo contratto.

Occorre porre attenzione da parte dell’a.s. a rivisitare l’esperienza


conclusa non solo in relazione al caso specifico, ma anche per migliorare
l’efficacia degli interventi per far crescere la propria professionalità.

L'a.s. è chiamato ad una costante autovalutazione, relativa non solo agli


aspetti prettamente metodologici ma anche ad aspetti di natura
deontologica, legati allo stile professionale, alla dimensione organizzativa
dell’intervento professionale.

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