SINESTESIEONLINE
SUPPLEMENTO DELLA RIVISTA «SINESTESIE»
ISSN 2280-6849
a. XIII, n. 43, 2024
Conflittualità, onore e potere in età barocca
Conflict, honor, and power in the Baroque era
DAVIDE BALESTRA
ABSTRACT
L’immagine tradizionale del Seicento italiano
come un’età di stagnazione politica e di
decadenza culturale, segnata dal malgoverno
spagnolo, è stata oramai superata dalla
storiografia grazie a un rinnovato e ancora vivo
interesse per le dinamiche politiche e sociali
dell’epoca. Linee di indagine più o meno recenti
hanno riconsiderato il rapporto Italia-Spagna in
età barocca e i motivi della sua lunga durata
individuando, tra i fattori che permisero il
perdurare della presenza iberica nella penisola,
anche l’ampio utilizzo, da parte della Monarquía,
del proprio sistema degli onori per premiare
vecchie e nuove fedeltà. Tra le onorificenze
simboliche del sovrano cattolico più ambite dalle
élite italiane vi furono gli abiti degli Ordini
militari castigliani che nel presente studio
vengono esaminati per mostrare come l’accesso a
questi Ordini potesse trasformarsi in un terreno di
scontro e competizione, influenzato da relazioni
personali, gelosie e rivalità familiari e politiche.
PAROLE CHIAVE: Età barocca, Ordini militari,
Monarchia spagnola, Conflittualità
Historiography has overcome the view of
seventeenth-century Italy as an era of political
stagnation and cultural decadence, marked by
Spanish misrule, due to a renewed and still lively
interest in the political and social dynamics of the
period. More or less recent research have
reconsidered the Italy-Spain relationship in the
Baroque age and the reasons for its long duration.
One of the factors that allowed the persistence of
the Iberian presence on the Peninsula was the
strategic use of the honours system by the Spanish
Monarchy to reward old and new loyalties. Among
the Catholic sovereign’s symbolic honours most
coveted by the Italian elites were the crosses of the
Castilian Military Orders. The paper exposes how
access to these Orders could turn into a field of
confrontation and competition, influenced by
personal relationships, jealousies and family and
political rivalries.
KEYWORDS: Baroque Age, Military Orders, Spanish
monarchy, Conflict
AUTORE
Davide Balestra è Ricercatore di Storia moderna presso l’Università degli Studi del Molise. Si occupa di storia
politica e sociale, con particolare attenzione alle élite italiane nel contesto della Monarchia ispanica. Tra le
sue pubblicazioni recenti: Servizio, lealtà, onore. I cavalieri «italiani» degli Ordini militari spagnoli, Roma
2024; «En la corte los desengaños se toman, no se dan». Le trattative per le nozze tra Giacomo Stuart e
Claudia Felicita d’Asburgo (1671-73), «Rivista Storica Italiana», 3, 2023.
davide.balestra@unimol.it
CONFLITTUALITÀ, ONORE E POTERE IN ETÀ BAROCCA
1. Un’età «sudicia e sfarzosa»
«Noi lieti e pressoché innamorati del dolce e ben costumato secolo a cui ci è
avvenuto di vivere, usiamo con larghe e belle parole di accarezzarlo, e alla rozzezza
volentieri insultiamo del barbaro Seicento che ci ha preceduti». 1 Con queste parole
il gesuita Giambattista Roberti esaltava, nel 1785, il suo secolo, contrapponendolo al
precedente. Descritto con toni di disapprovazione, secondo una visione già diffusa
in Italia nel XVIII secolo e che avrebbe trovato crescente consenso non solo tra gli
illuministi ma anche tra i romantici, il Seicento era visto come un’epoca di
stagnazione e decadenza politica e culturale, successiva agli splendori del
Rinascimento e segnata dal malgoverno spagnolo.
Una delle definizioni più celebri riservate al XVII secolo è quella data,
nell’Ottocento, da Alessandro Manzoni ne I Promessi sposi. Il romanzo, ambientato
nella Lombardia spagnola del Seicento, ritrae un quadro desolante di ingiustizia,
arbitrio e prepotenza del governo e dell’aristocrazia sulle masse popolari. Nel XXII
capitolo del suo capolavoro, Manzoni contrappone la «squisita pulizia» del cardinale
Borromeo alla «sudicia e sfarzosa» età in cui viveva. 2 Non più edificante è la
definizione che lo stesso autore dà nel Fermo e Lucia quando, narrando dell’episodio
in cui Gertrude interroga Lucia con domande maliziose sulla persecuzione di don
Rodrigo, scrive che «le sue parole e il suo contegno sarebbero state uno scandalo
insopportabile in un secolo meno bestiale di quello».3 Non è certo positiva nemmeno
l’immagine del Seicento che fa da sfondo a un romanzo più recente in ambito
letterario italiano, La Chimera di Sebastiano Vassalli, 4 “Premio Strega” nel 1990,
ambientato in Piemonte, in cui l’autore pone particolare attenzione sul clero
corrotto, sulla superstizione e sul fanatismo religioso che contraddistinsero l’età
barocca; anche qui violenza e ingiustizia sono rappresentati come elementi
caratteristici del secolo.
Il giudizio negativo tradizionalmente attribuito al Seicento italiano si è spesso
intrecciato, in passato, con quello altrettanto severo sulla presenza spagnola nella
penisola, iniziata nel 1559 con la pace di Cateau-Cambrésis e protrattasi per tutto il
XVII secolo. La storiografia tradizionale ha a lungo descritto l’età spagnola come un
periodo di oppressione fiscale, inefficienza amministrativa, corruzione e declino
G.B. ROBERTI, Del legger libri di metafisica e di divertimento, in ID., Raccolta di varie operette, vol. IV,
Lelio della Volpe, Bologna 1785, pp. 219-220.
2 A. MANZONI, I promessi sposi, cap. XXII. Il corsivo è nostro.
3 ID., Fermo e Lucia, cap. VI, in ID., Tutte le Opere, tomo I, a cura di M. Martelli, Sansoni, Firenze 1988;
R. BIZZOCCHI, Romanzo popolare. Come i Promessi sposi hanno fatto l’Italia, Laterza, Bari 2022, p. 81.
4 S. VASSALLI, La chimera, Einaudi, Torino 1990.
1
SINESTESIEONLINE, 43 | 2024
2
DAVIDE BALESTRA
economico e morale, attribuendole effetti particolarmente nefasti specie sul
Mezzogiorno d’Italia. Questa lettura, radicata nelle ideologie illuminista e romantica,
secondo cui la Spagna costituì un ostacolo al progresso e alla modernizzazione del
paese, si basava sulle specifiche congiunture storiche e culturali in cui era nata: per
gli illuministi, la Monarchia ispanica incarnava l’opposto del modello razionale e
progressista che essi auspicavano, mentre per i romantici, tra i quali appunto
Manzoni ma anche Mazzini, essa era un simbolo negativo da combattere nella loro
aspirazione all’indipendenza e all’unità nazionale. 5 Tale giudizio fu poi sostenuto e
perpetuato durante il Risorgimento dall’opera assai influente di Francesco De
Sanctis per il quale il Cinque-Seicento italiano fu l’epoca del «malgoverno papalespagnolo», 6 formula da lui coniata che fu ripresa in seguito anche da intellettuali
come Vincenzo Cuoco o Gaetano Pepe i quali, sostanzialmente, condivisero
l’analogia de sanctiana tra spagnolismo e malgoverno.7
Fu Benedetto Croce a proporre una riflessione meno semplicistica dell’età
barocca, invitando a fuggire da rapidi giudizi negativi sul rapporto Spagna-Italia e
dal vedere esclusivamente nella presenza spagnola nella penisola la causa della crisi
morale, politica e sociale del paese:
Il Seicento – scrisse nelle pagine del suo La Spagna nella vita italiana durante la
rinascenza – è reputato una delle più infelici età della storia d’Italia, paragonabile
in certa guisa alla fine di Roma e agli effetti delle invasioni barbariche [...]. E la
Spagna è considerata non solo accompagnatrice, ma autrice di questa decadenza
[...] Questa concezione è logicamente assurda […] La verità circa la vita di quei
secoli è da cercare in altro verso; ossia nel riconoscere che l’Italia e la Spagna erano
entrambe, a quel tempo, paesi in decadenza.8
Cfr. A. MUSI, Il Regno di Napoli, Morcelliana, Brescia 2016, pp. 223-224.
F. DE SANCTIS, Storia della letteratura italiana, 2 voll., Domenico e Antonio Morano, Napoli 1870, II,
p. 339.
7 Cfr. A. DE FRANCESCO, La rappresentazione della Spagna nella cultura napoletana tra rivoluzioni e
Restaurazione, in Alle origini di una nazione. Antispagnolismo e identità italiana, a cura di A. Musi,
Guerini, Milano 2003, pp. 227-244; R. PILO, G. SCROCCU, Persistenze, transizioni e problematiche
storiografiche tra Spagna e Italia (secc. XVI- XXI). Una relazione che dura un’eternità?, in «Società
Mutamento Politica», 11, 2015, pp. 117-142.
8 B. CROCE, La Spagna nella vita italiana durante la rinascenza, Laterza, Bari 1917. Anche Giuseppe
Galasso ha sottolineato come «parlare dei due paesi in quell’epoca come di due decadenze che si
legano l’una all’altra» fosse un modo approssimativo di vedere le cose: «decadenza italiana e
decadenza spagnola sono due processi storici molto diversi, la cui simultaneità e il rapporto politico
bisecolare fra i due paesi sono meno importanti della loro diversità sia retrospettiva che prospettica».
G. GALASSO, Italia nel sistema imperiale spagnolo, in Centros de poder italianos en la monarquía
hispánica (siglos XV-XVIII), a cura di J. Martínez Millán, M. Rivero Rodríguez, 3 voll., Polifemo, Madrid
2010, I, pp. 15-29.
5
6
SINESTESIEONLINE, 43 | 2024
3
CONFLITTUALITÀ, ONORE E POTERE IN ETÀ BAROCCA
Ciò nonostante Croce continuò a leggere il Seicento italiano secondo la categoria
interpretativa della «decadenza» – che egli inquadrava come un calo di entusiasmo
morale, caratterizzato da stanchezza, apatia e mancanza di slancio vitale 9 – ripresa
poi nel Novecento con diverse sfumature ma rimasta sostanzialmente invariata nei
suoi tratti fondamentali. Tale interpretazione dipingeva l’Italia come un paese
bloccato sia economicamente sia politicamente a causa della presenza spagnola; una
stagnazione che si rifletteva in un generale declino anche sul piano culturale e
letterario. 10 Una visione che continuò ad avere un certo peso nella storiografia
italiana e che troviamo, ad esempio, a far da sfondo alla Storia d’Italia edita da
Einaudi ancora negli anni Settanta del Novecento.
Tra le letture impregnate di antispagnolismo oggi oramai superate dalla
storiografia vi era anche quella che considerava il Seicento italiano un “secolo senza
politica”,11 un’epoca priva di protagonismo positivo e di intraprendenza da parte dei
principi e delle élite della penisola, passivi nei confronti del controllo esercitato dagli
Austrias, interessati solo a privilegi che, agli occhi dei romantici, erano insignificanti.
In contrasto con tale narrativa sette-ottocentesca, le ricerche degli ultimi
decenni del Novecento hanno invece rivelato un secolo ricco di dinamismo politico
e di strategie diplomatiche complesse.12 Tale rivalutazione è stata sostenuta da una
stagione di studi che, a livello europeo, ha ridiscusso anche il ruolo dell’aristocrazia
e la sua capacità di svolgere un consapevole ruolo politico.13 Si pensi, ad esempio,
alla recente analisi della nobiltà meridionale della prima metà del Seicento condotta
da Giuseppe Mrozek Eliszezinski,14 nella quale l’autore riconsidera la tradizionale
immagine di un’aristocrazia tutta intenta a salvaguardare i propri privilegi, leale alla
monarchia spagnola solo perché questa costituiva la più credibile difesa della
propria posizione e delle proprie prerogative, mostrando, al contrario, come essa
B. CROCE, Storia dell’età barocca in Italia, Laterza, Bari 1929.
Cfr. M. VERGA, Il Seicento e i paradigmi della storia italiana, in «Storica», 11, 1998; ID., «Nous ne
sommes pas l’Italie, grâce à Dieu». Note sull’idea di decadenza nel discorso nazionale italiano, in
«Storica», 43-45, 2009, pp. 169-207.
11 C. VIVANTI, La storia politica e sociale, in Storia d’Italia, II, Dalla caduta dell’Impero romano al secolo
XVIII, vol. 1, Torino, Einaudi 1974, pp. 423-424.
12 Mi limito a citare qui i contributi in I Linguaggi del potere in età Barocca, 1. Politica e religione, a
cura di F. Cantù, Viella, Roma 2009; G. GALASSO, Italia nel sistema imperiale spagnolo cit.; F. BENIGNO,
L’ombra del re. Ministri e lotta politica nella Spagna del Seicento, Marsilio, Venezia 1992; R. VILLARI,
Politica barocca. Inquietudini, mutamento e prudenza, Laterza, Roma-Bari 2010. Per quanto riguarda
il Regno di Napoli, A. MUSI, Mezzogiorno spagnolo: la via napoletana allo stato moderno, Guida, Napoli
1991; G. GALASSO, Napoli spagnola dopo Masaniello. Politica, cultura, società, Edifir, Firenze 1982; G.
MUTO, Napoli capitale e corte. Linguaggi e pratiche dei poteri nell’Italia spagnola, Viella, Roma 2023.
13 J. DEWALD, La nobiltà europea in età moderna, Torino, Einaudi 2001. Cfr. anche K.F. WERNER, Nascita
della nobiltà. Lo sviluppo delle élite politiche in Europa, Torino, Einaudi 2000.
14 G. MROZEK ELISZEZYNSKI, Nobili inquieti. La lotta politica nel regno di Napoli al tempo dei ministri
favoriti (1598-1665), Viella, Roma 2023.
9
10
SINESTESIEONLINE, 43 | 2024
4
DAVIDE BALESTRA
fosse parte di un universo molto variegato, diviso al suo interno, con famiglie o
singoli individui capaci di seguire delle autonome strategie politiche, magari
appoggiando l’uno o l’altro viceré, scontrandosi con altri e svolgendo un’autentica
opposizione politica. Peraltro lo studio dimostra come, nell’età dei validos, fazioni e
divisioni, appoggi o opposizioni in Italia riflettessero quelle presenti a corte, a
Madrid. Studi, interpretazioni, nuovi approcci alle storie delle istituzioni, del
pensiero politico e delle pratiche di governo stanno ormai confermando, dunque,
l’immagine di un Seicento come “secolo della politica” più che “senza politica”. 15
In una narrazione oggi più equilibrata dell’età barocca italiana, pur persistendo
il dibattito – si pensi alla controversa categoria di “crisi”, di matrice novecentesca,
che ancora accompagna la lettura del secolo –,16 si tende a guardare, pertanto, ai
costi e ai benefici che la presenza spagnola nella penisola portò al paese, oltre a
comprendere ed esaminare i motivi della persistenza del potere spagnolo in Italia
dalla metà del Cinquecento alla fine del Seicento.
L’interazione tra Italia e Spagna si fondò su un delicato equilibrio di interessi
reciproci. La Monarchia spagnola tutelava i privilegi delle élite dei territori soggetti,
mentre queste ultime riconoscevano l’autorità del sovrano e gli giuravano fedeltà.
Questi compromessi di interesse spiegano perché, nonostante il dinamismo politico
attribuito oggi dalla storiografia anche alla nobiltà, ad esempio, del Regno di Napoli,
non si verificarono significative opposizioni alla Corona spagnola. Attraverso una
strategia basata su un complesso equilibrio tra dominio e consenso, la Spagna, in
sostanza, riuscì a governare l’Italia per due secoli, trasformando di fatto la nobiltà in
un partito politico frammentato e, seppur non sempre coeso, sostanzialmente fedele
al Re Cattolico.17
Questo rinnovato interesse per il Seicento, e in particolare per le dinamiche
politiche e sociali dell’epoca, apre nuove prospettive di ricerca su aspetti
precedentemente meno indagati. Tra i fattori che possono spiegare la relazione di
lungo periodo tra la Corona spagnola e le élite italiane vi fu lo spregiudicato utilizzo,
da parte della Monarquía, del proprio sistema degli onori, che permetteva di
premiare antiche fedeltà o di cooptarne di nuove ricorrendo a onorificenze
simboliche peraltro a costo zero.18 Fattore, quest’ultimo, non trascurabile date le
difficoltà economiche che la Corona andò via via incontrando nel corso del XVII
secolo. L’età barocca fu infatti il periodo d’oro della concessione di titoli e mercedes
F. CANTÙ, Introduzione, in I Linguaggi del potere in età Barocca cit., p. 10.
F. BENIGNO, Specchi della Rivoluzione. Conflitto e identità politica nell’Europa moderna, Donzelli,
Roma 1999, in particolare pp. 61-103.
17 A. MUSI, Le rivolte italiane nel sistema imperiale spagnolo, in «Mediterranea - Ricerche storiche», II,
4, 2005, pp. 209-220.
18 A. SPAGNOLETTI, Principi italiani e Spagna nell’età barocca, Bruno Mondadori, Milano 1996.
15
16
SINESTESIEONLINE, 43 | 2024
5
CONFLITTUALITÀ, ONORE E POTERE IN ETÀ BAROCCA
da parte della Corona spagnola, l’età in cui più di altre le nobiltà suddite del Re
Cattolico furono blandite da Madrid.
2. Conflittualità nobiliare e processi di nobiltà
In queste brevi note vorrei soffermarmi, in particolare, sugli Ordini militari
castigliani di Santiago, Calatrava e Alcántara e sui processi di nobiltà necessari per
entrarvi poiché capaci di svelare un microcosmo di relazioni, ambizioni e conflitti
presenti all’interno della società nobiliare dell’epoca. Se l’accesso agli Ordini, una
delle onorificenze più ambite dalle nobiltà suddite della Monarchia cattolica, era un
simbolo di affermazione sociale e politica, i processi di nobiltà potevano
trasformarsi, come vedremo attraverso alcuni esempi, in vere e proprie arene di
scontro, dove calunnie e maldicenze, alimentate da inimicizie personali o da rivalità
politiche, potevano determinare il successo o il fallimento delle aspirazioni dei
candidati. Questa conflittualità si inseriva in un contesto più ampio di competizione
tra famiglie nobiliari, che utilizzavano ogni mezzo a loro disposizione per accrescere
il proprio prestigio in un’epoca in cui status e reputazione erano obiettivi primari.
D’altra parte, la notevole inflazione di titoli nobiliari che caratterizzò il Seicento
portò a un affollamento dei ranghi aristocratici che rese sempre più cruciali
strumenti differenti di distinzione sociale. Poiché lo status era intrinsecamente
legato alla rarità della condizione privilegiata, gli Ordini militari e cavallereschi
acquisirono un ruolo fondamentale per soddisfare la crescente domanda di
distinzione sociale. Tra questi, nei territori soggetti alla sovranità degli Austrias,
assunsero un’importanza crescente proprio gli Ordini militari castigliani di
Alcántara, Santiago e Calatrava. Vestire un abito di questi Ordini garantiva non solo
un prestigio esclusivo, ma anche l’accesso a una rete di relazioni che poteva tradursi
in vantaggi concreti in termini di potere e influenza. L’analisi dei processi di nobiltà
degli Ordini cavallereschi può svelare non solo le trasformazioni interne al mondo
aristocratico nel lungo periodo,19 ma anche la conflittualità endemica che permeava
l’aristocrazia e che si manifestava attraverso rivalità familiari, gelosie e invidie,
amplificate dalla corsa agli onori simbolici elargiti dal sovrano, nonché l’importanza
delle reti di relazioni e delle alleanze politiche nel determinare il successo o il
fallimento delle aspirazioni individuali.
Ma come si entrava a far parte di uno dei tre Ordini militari castigliani? L’iter
tradizionale, almeno per i cavalieri italiani, partiva dall’invio a Madrid della richiesta
specifica di una merced de habito contenuta in un memoriale nel quale si esponevano
19 Cfr. F. D’AVENIA, Nobiltà allo specchio. Ordine di Malta e mobilità sociale nella Sicilia moderna,
Associazione Mediterranea, Palermo 2009.
SINESTESIEONLINE, 43 | 2024
6
DAVIDE BALESTRA
in maniera puntigliosa i servizi prestati alla Corona, propri o di propri parenti. Il
sovrano poteva accordare l’onore al pretendente – di solito ciò avveniva per via
consultiva, cioè passando da uno dei Consigli della Corona, quasi sempre da quello
d’Italia per quanto riguarda le richieste che giungevano dalla penisola – in seguito al
quale si apriva la fase inquisitiva: il procedimento passava nelle mani di un organo
specifico della Corona, il Consiglio degli Ordini militari, che si occupava di condurre
il processo di nobiltà; venivano dunque nominati due informantes, cavalieri dello
stesso Ordine militare nel quale il pretendente aspirava ad entrare, i quali si
recavano nel suo luogo d’origine e, interrogando diversi testimoni, redigevano le
cosiddette pruebas, il processo di nobiltà appunto, attraverso le quali verificavano
se il pretendente possedesse i requisiti di ingresso richiesti dagli statuti degli Ordini
– ossia nobleza, limpieza de sangre, limpieza de officio. Una volta terminato il
processo di nobiltà da parte degli informantes la pratica tornava al Consiglio degli
Ordini che la esaminava un’ultima volta e, in caso di esito positivo, la passava
nuovamente al sovrano il quale spediva all’aspirante cavaliere il despacho dell’abito,
documento che permetteva al neofita di poter ricevere, in una solenne cerimonia,
l’investitura a cavaliere e l’abito dell’Ordine militare nel quale era stato ammesso. 20
L’intero processo di nobiltà era rigorosamente segreto, ma ciò lo rendeva anche
arbitrario: esso si basava principalmente su dichiarazioni orali di testimoni che, in
alcuni casi, potevano essere intenzionati, magari per inimicizia personale, a
macchiare la reputazione del pretendente con calunnie e maldicenze dalle quali egli
non aveva la possibilità di difendersi, dilatando di diversi mesi, in alcuni casi di anni,
la durata del procedimento. Non sempre, dunque, l’approdo all’abito era privo di
ostacoli. Il percorso di ammissione a uno dei tre Ordini militari può essere, perciò,
una finestra dalla quale osservare l’endemica conflittualità presente nel mondo
aristocratico, scaturita o da gelosia e acredini tra famiglie, desiderose di primeggiare
sulle altre, o da contrasti tra antiche e nuove famiglie aristocratiche – che spesso
giungevano all’ottenimento di un titolo nobiliare acquistandolo col denaro raccolto
in attività mercantili o finanziarie – o da ragioni politiche che potevano essere
riflesso della maggiore o minore vicinanza al viceré o al governatore spagnolo
nonché conseguenza del sistema fazionario esistente alla corte di Madrid. 21
Si pensi ad Antonio Ansalone, segreto della città di Messina che, nel 1662,
ricevette la merced di un abito di Santiago, ma che non arrivò mai a fregiarsi della
croce cavalleresca per via delle accuse, poi rivelatesi infondate, sulla reputazione
20 Sull’iter di concessione di un abito militare castigliano si permetta il rinvio a D. BALESTRA, Servizio,
lealtà, onore. I cavalieri «italiani» degli Ordini militari spagnoli, Viella, Roma 2024.
21 Cfr. G. MROZEK ELISZEZYNSKI, Nobili inquieti cit.; F. BENIGNO, L’ombra del re cit.; ID., Nobleza en conflicto
en el siglo diecisiete: algunas reflexiones de método, in Las resistencias nobiliarias al poder real en el
siglo XVII ¿noblezas rebeldes?, a cura di E. Martí Fraga, Albatros, Valencia 2023, pp. 17-28.
SINESTESIEONLINE, 43 | 2024
7
CONFLITTUALITÀ, ONORE E POTERE IN ETÀ BAROCCA
della nonna materna nonché per i conflitti pregressi tra suo zio Ascanio, reggente
del Consiglio d’Italia, e l’ex viceré di Sicilia, Juan Tellez-Girón, duca di Ossuna, ragioni
che, insieme allo scoppio della rivolta di Messina, rallentarono e, de facto,
impedirono la positiva conclusione delle sue prove di nobiltà. 22 Altro esempio
significativo è quello di Placido Fardella, anch’egli siciliano, sposato con Maria
Paceco, nipote del marchese di Villena, Giovanni Fernandez Paceco, viceré di Sicilia,
il quale non riuscì a ottenere l’abito di Alcántara al quale era destinato a causa delle
origini sefardite della madre 23 – che macchiavano la limpieza de sangre richiesta
dagli statuti dei tre Ordini – ma anche dei conflitti e delle rivalità politiche presenti
sia in Sicilia sia a Madrid ereditate dallo zio della moglie. 24 Nel corso del
supplemento d’indagine, condotto a corte a causa delle difficoltà emerse in prima
battuta nel corso delle pruebas, è significativo quanto deposto da uno dei reggenti
del Consiglio d’Italia, Antonio Quintana Dueñas, probabilmente uno degli artefici
delle voci messe in giro sul conto di Fardella e tra gli uomini in contrasto con l’ex
viceré di Sicilia, suo parente, che liquidò la questione affermando che «rara cosa
seria que en Sicilia huviese cavallero que no tuviese enemigos. Porque siempre
andan todos encontrados»25.
Anche le pruebas per l’abito di Calatrava di Francesco Imperato, marchese di
Spinete, in Contado di Molise,26 furono ostacolate, tra il secondo e il terzo decennio
del Seicento, da un memoriale a firma di Ettore Capece che forse metteva in
discussione la nobleza del casato dell’aspirante cavaliere. 27 Il marchese di Spinete
aveva infatti già dovuto difendere la legittimità del titolo concessogli da Filippo III
nel 1617 per i meriti acquisiti sul campo di battaglia attraverso un libretto nel quale
prendeva le distanze da altri rami della famiglia Imperato di estrazione popolare
allora presenti a Napoli. 28 Non privo di ostacoli fu anche il percorso di Antonio
Cfr. F. D’AVENIA, Nobiltà allo specchio cit., pp. 48-49; D. BALESTRA, Servizio, lealtà, onore cit., p. 118.
F. D’AVENIA, From Spain to Sicily after the Expulsion: Conversos between Economic Networks and the
Aristocratic Elite, in «Journal of Early Modern History», 22, 2018, pp. 421-445.
24 D. BALESTRA, Servizio, lealtà, onore cit., pp. 134-138.
25 Archivo Historico Nacional (d’ora in avanti AHN), Ordenes Militares, Reprobados, Alcántara, Exp. 1.
26 R. MAGDALENO, Títulos y privilegios de Nápoles: siglos XVI-XVIII, I, Onomástico, Martin, Valladolid 1980,
p. 298. Titolo concesso il 10 aprile 1617.
27 AHN, Ordenes Militares, Calatrava, Exp. 1290; V. VIGNAU, F.R. UHAGÓN, Índice de pruebas de los
caballeros que han vestido el hábito de Calatrava, Alcántara y Montesa desde el siglo XVI hasta la fecha,
s.e., Madrid 1903, p. 155.
28 «Si bene in Napoli vi siano molti di questo cognome Imperato, sono però tutti di famiglia
diversissima da questa del Marchese». F. IMPERATO, Risposta del marchese di Spineto contro le
opposizioni proposte da Hettore Artaldo Minutolo, citato in E. STENDARDO, Ferrante Imperato:
collezionismo e studio della natura a Napoli tra Cinque e Seicento, Accademia Pontaniana, Napoli 2001,
pp. 13-14. Il “nostro” Francesco Imperato, figlio di Giovanni Battista e Maria de Gennaro, non va
infatti confuso con l’omonimo figlio del celebre naturalista Ferrante Imperato. Cfr. Genealogías de los
que tomaron el hábito de la orden militar de Calatrava, durante los años 1602 a 1700, Biblioteca
Nacional de España, ms. 2447, c. 79v.
22
23
SINESTESIEONLINE, 43 | 2024
8
DAVIDE BALESTRA
Barrile, figlio del potente duca di Caivano, Giovannangelo, segretario del Regno di
Napoli, il quale ottenne la merced dell’abito di Calatrava il 7 aprile 1634 ma giunse a
vestirlo solo dopo l’intervento decisivo del viceré conte di Monterey che neutralizzò
il tentativo di impedire al giovane di vestire la croce cavalleresca portato avanti da
Francesco Albrizzi e Carlo Frangipane della Tolfa, mossi da interessi personali e
rivalità politiche nei confronti del padre Giovannangelo, uno degli uomini più vicini
al viceré.29
Esemplare è anche il caso, che qui
analizziamo più nello specifico, dei
fratelli Angelo Maria e Giovanni
Battista
Schittini,
quest’ultimo
marchese di Sant’Elia, nel Regno di
Sicilia, figli di Nicola, duca di Vizzini, e
di Olimpia Viale, appartenenti a una
famiglia
originaria
di
Santa
Margherita in Liguria, ma residente a
Palermo dall’inizio del Seicento.
Vizzini, nella Val di Noto, fu concessa
in feudo nel 1648 a Nicola Schittini,30
mercante genovese arricchitosi con
attività commerciali nell’isola, 31 che
aspirava a ottenere un titolo nobiliare
FIG. 1 – ARMA DELLA FAMIGLIA SCHITTINI, LIBER NOBILITATIS
SERENISSIMAE REIP. GENUENSIS, BIBLIOTECA CIVICA BERIO, SEZIONE DI
e un feudo, secondo una prassi
CONSERVAZIONE, M.R. CF. BIS 4.7
consolidata e ben nota alla
storiografia, percorsa dai ricchi uomini d’affari genovesi nei regni meridionali
italiani della Corona spagnola.32 Anche il matrimonio contratto dalla figlia Angela
Maria con Giovanni Domenico Spinola aveva contribuito a sostenere e a incoraggiare
D. BALESTRA, Servizio, lealtà, onore cit., pp. 117-118.
Archivo General de Simancas, Secretarias Provinciales, Sicilia, Lib. 978, 201. Titolo concesso l’11
aprile 1648.
31 F. SAN MARTINO DE SPUCCHES, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, 10 voll., Scuola Tip.
«Boccone del Povero», Palermo 1927, VII, pp. 80-81; L. LA ROCCA, Le vicende di un comune della Sicilia
nei rapporti con la Corona dal secolo XI al XIX, in «Archivio storico per la Sicilia orientale», 3, 1906, pp.
169-213, 414-456; 4, 1907, pp. 75-108, 223-261: 4, 1907, pp. 94-108.
32 «Nel XVII secolo l’apporto di nuove casate è limitato prevalentemente a qualche esponente
dell’aristocrazia romana o napoletana (Colonna, Carafa) ed agli hombres de negocios genovesi che
comprando a man bassa terre, rendite e crediti della Corona ottennero titoli e baronie, senza però
formare un gruppo separato: Groppo (Mezzoiuso), Oneto (S. Bartolomeo e altre baronie e terre),
Schittini (Vizzini, S. Elia e Ferla), Mancino (fondatore di Bolognetta), Cigala (Castrofilippo), Oldoino,
Castelli e qualche altro». D. LIGRESTI, Sicilia aperta (secoli XV-XVII), Mobilità di uomini e idee,
Associazione Mediterranea, Palermo 2006, p. 81.
29
30
SINESTESIEONLINE, 43 | 2024
9
CONFLITTUALITÀ, ONORE E POTERE IN ETÀ BAROCCA
questa ascesa sociale, portando in dote l’ascrizione del figlio Angelo Maria al
patriziato genovese, nel 165533.
Tali scalate sociali, tuttavia, potevano aver bisogno di un’ulteriore
legittimazione, che l’abito militare castigliano era in grado di conferire e perpetuare
nel tempo, consolidando la posizione sociale acquisita e trasmettendola alle
generazioni future. Non è da escludere, a tal proposito, che già l’anno successivo alla
concessione del feudo di Vizzini – ottenuto a seguito di un corposo donativo fatto
alla corona –34 lo stesso Nicola abbia avanzato richiesta di una croce cavalleresca
per i suoi due figli. La datazione della documentazione rimastaci, relativa al mancato
ottenimento dell’abito di Calatrava da parte di Giovanni Battista e Angelo, apre a
questa ipotesi. Sappiamo infatti che i loro processi di nobiltà non passarono il vaglio
del Consiglio degli Ordini e furono respinti nel 1649 (pruebas reprobadas), 35
sebbene gli stessi risultino incompleti al 1676.36 Una spiegazione a tale discrepanza
cronologica potrebbe risiedere nel tentativo dei due fratelli, rivelatosi comunque
vano, di riaprire, a distanza di vent’anni, l’iter per la concessione dell’abito di
Calatrava, sebbene le pruebas reprobadas equivalessero, di norma, a una bocciatura
senza appello. Tale ipotesi è supportata da un memoriale a firma dei due fratelli
datato 1677 conservato presso il fondo del Consejo de las Ordenes dell’Archivo
Historico Nacional di Madrid, dal quale è possibile risalire alle motivazioni che
avevano impedito l’ottenimento dell’abito. Nel loro memoriale Angelo Maria e
Giovan Battista enumerarono i servizi prestati alla Corona a Genova, a Milano e in
Sicilia, in virtù dei quali fu loro concessa la merced di un abito di Calatrava e a seguito
della quale il Consiglio degli Ordini nominò i due informantes, secondo la prassi
prima ricordata, che condussero i loro processi di nobiltà. Concluse le pruebas,
tuttavia, la pratica subì una battuta d’arresto. Il motivo stava in voci infamanti sul
conto dei fratelli Schittini giunte a Madrid da parte di Costantino de Franchis, un
altro genovese:
Estando para publicarse como se estila y darseles el despacho con que ponerse los
habitos, hallandose entonzes en esta corte Costantino de Franquis movido de
rencor y enemistad capital que tenia assi contra los supplicantes como con doña
Angela Maria Esquitino su hermana carnal, muger de don Juan Domingo Espinola,
y deseando hazerles algun tiro que le fuesse mas sensible, eligio el de embarazarles
Archivio Storico del Comune di Genova, mss. Ricci, 175, c. 507r. Cfr. anche D. PIZZORNO, Spinola,
Niccolò Gaetano, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. 93,
Roma 2018, pp. 717-719.
34 L. LA ROCCA, Le vicende di un comune della Sicilia cit., 1907, p. 101.
35 AHN, Ordenes Militares, Reprobados, Calatrava, Exp. 10.
36 Le prove di Angelo Maria e Angelo Schittini sono, rispettivamente, in AHN, Ordenes Militares,
Calatrava, Exp. 2433 e Exp. 2444.
33
SINESTESIEONLINE, 43 | 2024
10
DAVIDE BALESTRA
estos habitos y tachar con falsos presupuestos la calidad y reputacion de los
supplicantes rapresentando al Consejo por medio de una carta escrita por mano
de Juan Canal su criado, haver exercido artes viles de que resulto empatarseles el
despacho y quedarse hasta hoy en este estado. Siendo assi que lo contenido en
dicha carta fue y es calumnia evidentissima motivada de enemistad y odio del
dicho Costantino de Franquis. […] Consta de dicha falsedad por que el mesmo
Constantino de Franquis lo declarò assi estando para morirse en descargo de su
conciencia. [...] Y en caso de hallarse serrado el juicio, suplican a V.M. mande al
dicho Consejo que se examine con todo rigor el dicho Juan Canal que se halla en
esta corte [aprenciandole] a que diga la verdad. Sirviendose V.M. de no dar lugar a
que padesca mortificacion tan grande el remontado credito de esta casa.37
Angelo Maria e Giovanni Battista non ottennero ad ogni modo l’abito a cui
aspiravano. Il tentativo di riaprire l’iter di concessione dell’abito, probabilmente
ormai compromesso – i due fratelli, non a caso, chiedono di rivalutare la questione
anche «en caso de hallarse serrado el juicio» –, non sortì gli effetti sperati. A nulla
valse ricordare al sovrano gli aiuti economici che casa Schittini aveva fornito e
continuava a fornire alla Corona negli anni della Guerra di Messina, 38 in particolare
l’aver «gastado y estar gastando su hacienda manteniendo y haciendo soldados a su
costa».39 Le manovre di Costantino De Franchis, che furono forse mosse da gelosie e
rivalità familiari – quantomeno singolare, a tal proposito, è l’inimicizia nei confronti
della sorella dei due aspiranti cavalieri, Angela Maria, moglie di Giovan Domenico
Spinola – riuscirono comunque alla fine a sortire gli effetti sperati. Parliamo di
conflitti familiari non a caso dal momento che uno dei due aspiranti cavalieri, Angelo
Maria, era sposato proprio con una donna di casa de Franchis (fig. 2). Il riscatto per
casa Schittini giunse comunque a distanza di dieci anni dal memoriale citato: nel
1687 il figlio di Giovanni Battista, Ignazio Schittini, nato dal matrimonio di questi
con Camilla Galletti, vestì l’abito militare di Alcántara. 40
AHN, Ordenes Militares, Leg. 7022, 133.
Sulla Guerra di Messina cfr. S. BARBAGALLO, La guerra di Messina, 1674-1678. «Chi protegge li ribelli
d’altri principi, invita i propri a’ ribellarsi», Guida, Napoli 2017; L.A. RIBOT GARCÍA, La Monarquía de
España y la guerra de Mesina (1674-1678), Actas, Madrid 2002.
39 AHN, Ordenes Militares, Leg. 7022, 133.
40 AHN, Ordenes Militares, Alcántara, Exp. 1461.
37
38
SINESTESIEONLINE, 43 | 2024
11
CONFLITTUALITÀ, ONORE E POTERE IN ETÀ BAROCCA
FIG. 2 – TAVOLA GENEALOGICA DELLA FAMIGLIA SCHITTINI, DUCHI DI VIZZINI E MARCHESI DI S. ELIA
Quello dei fratelli Schittini, alla pari degli esempi sopra riportati, mostra come
lo studio delle relazioni Spagna-Italia, condotto attraverso l’analisi delle
onorificenze regie concesse alle nobiltà – elementi che, come abbiamo accennato in
apertura, erano considerati nell’Ottocento un segno della passività delle élite della
penisola in età barocca –, possa far meglio comprendere la lunga durata del rapporto
tra Monarquía ed élite italiane e il ruolo politico che queste potevano ritagliarsi, non
solo in ambito locale: avere un abito militare significava approssimarsi al potere
spagnolo presente nel proprio territorio ed entrare a far parte di un élite dal respiro
transnazionale, con importanti ripercussioni sulla posizione sociale e politica del
singolo e della sua famiglia. L’analisi di questi processi di nobiltà rivela anche la
profonda conflittualità del mondo nobiliare dell’epoca: inimicizie, gelosie e rivalità,
potevano ostacolare o finanche precludere il conseguimento dell’ambito
riconoscimento. Ma tale indagine mette in luce anche la dimensione politica di questi
conflitti che, in alcuni casi, erano il riflesso di contrasti sorti – oppure ereditati – con
figure di spicco del governo spagnolo, quali viceré, ex viceré o reggenti del Consiglio
d’Italia, rivelando come anche il semplice iter per il conseguimento di un abito
militare castigliano potesse tramutarsi in un terreno di scontro tra fazioni rivali.
SINESTESIEONLINE, 43 | 2024
12