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Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 1

CHIESE GESUITICHE TRAPANESI - PROF. VINCENZO SCUDERI Relazione al Convegno “Il Trionfo della Fede. Le promozioni artistiche della Compagnia di Gesù in Sicilia” Richiamarne essenzialmente le morfologie peculiari e riepilogarne aspetti ed eventuali problemi linguistici e culturali: questo il modesto intento di queste brevi note sulle cinque chiese - Marsala (1592), Trapani (1614), Mazara (1675-1700), Alcamo (1684) e Salemi (1697) - che l’Ordine di Sant’Ignazio realizzò nel trapanese, secondo la più accreditata cronologia storiografica; a fianco, ovviamente, dei relativi e più o meno cospicui Collegi degli Studi, contestuali o antecedenti. Per tale motivo l’apparato filologico e bibliografico è affidato soprattutto alle note strettamente necessarie; mentre si rimanda, ovviamente, per i più larghi riferimenti analitici o generali, alle note fonti documentarie e storiografiche (ARSI, Alberti, Aguilera, Pirri, Patetta, Lima…) relative all’architettura gesuitica, come ai noti testi sull’architettura barocca della Sicilia in generale (Blunt, Boscarino, Giuffrè, Nobile e altri).

CHIESE GESUITICHE TRAPANESI• PROF. VINCENZO SCUDERI Relazione al Convegno “Il Trionfo della Fede. Le promozioni artistiche della Compagnia di Gesù in Sicilia” Richiamarne essenzialmente le morfologie peculiari e riepilogarne aspetti ed eventuali problemi linguistici e culturali: questo il modesto intento di queste brevi note sulle cinque chiese - Marsala (1592), Trapani (1614), Mazara (1675-1700), Alcamo (1684) e Salemi (1697) - che l’Ordine di Sant’Ignazio realizzò nel trapanese, secondo la più accreditata cronologia storiografica; a fianco, ovviamente, dei relativi e più o meno cospicui Collegi degli Studi, contestuali o antecedenti. Per tale motivo l’apparato filologico e bibliografico è affidato soprattutto alle note strettamente necessarie; mentre si rimanda, ovviamente, per i più larghi riferimenti analitici o generali, alle note fonti documentarie e storiografiche (ARSI, Alberti, Aguilera, Pirri, Patetta, Lima…) relative all’architettura gesuitica, come ai noti testi sull’architettura barocca della Sicilia in generale (Blunt, Boscarino, Giuffrè, Nobile e altri). La chiesa del Collegio di Marsala (1592-1604) Fig. 1 – Chiesa Marsala • Relazione al Convegno “Il Trionfo della Fede. Le promozioni artistiche della Compagnia di Gesù in Sicilia” - Palermo 12-14 gennaio 2016. Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 1 La chiesa è stata colpita dai bombardamenti del 1943, che ne hanno distrutto la volta (oggi sostituita da un soffitto piano) e la cupola già affiancata - o almeno così sembra - da un campanile. Ne riproduciamo (figg. 1-3) uno scorcio dell’interno e del prospetto, assieme ad una rara immagine della cupola testé citata o, meglio, della struttura cilindrica che la rinserrava1. Fig. 2 – Chiesa Marsala interno Fig. 3 Chiesa Marsala (old) L’opera è ormai concordemente attribuita agli anni 1592-1604, come derivante da un primo progetto di Giuseppe Valeriano rielaborato poi dal Masuccio2. Si tratta, come si può vedere, di un impianto longitudinale a tre navate suddivise da archi su colonne con pulvino trabeato che si ritrova anche nel chiostro (Boscarino)3. La planimetria può vedersi riportata dal nostro testo dalla Lima4. E’ appena il caso di rilevare la peculiare tipologia gaginiana sia dell’interno che dell’appiattito prospetto, di cui troveremo 1 La foto, ovviamente dell’anteguerra, è di un privato, l’Ing. Scribani di Marsala, ed è stata già riprodotta nel volume di Giovanni Alagna Marsala, città e territorio, Palermo 1988, vol. II, p. 66. 2 L’intera vicenda progettuale ed esecutiva è stata ricostruita in primis da Pietro Pirri, S.J., Giuseppe Valeriano S.J., architetto e pittore, 1542-1596, Roma 1970, pp. 202-205. Di essa ha riportato larghi brani lo storico locale G. Alagna (v. nota precedente); al quale, nella impossibilità di consultare il testo del Pirri, noi attingiamo per il nostro riepilogo. 3 Salvatore Boscarino, Sicilia barocca, 1a edizione, Roma 1981, p. 100 4 Antonietta Jolanda Lima, Architettura ed urbanistica della Compagnia di Gesù in Sicilia, secc. XVIXVIII, Palermo 2002, pag. 192. Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 2 una probabile spiegazione - almeno a mio avviso - più avanti. Le ricerche dello storico gesuita Pietro Pirri hanno consentito di accertare che il progetto originario (e diverso) venne apprestato dal Valeriano fra il 1592 e il ’93, ma i lavori non ebbero inizio che nel 1596 dopo le vivaci sollecitazioni, a tal fine, del fondatore Stefano Frisella, che da tempo aveva versato 4.000 onze per l’attuazione di collegio e chiesa5.Capomastro designato (già ritenuto progettista) il valente fratello laico Giacomo Frini, appositamente trattenuto a Marsala. Con la morte del Valeriano però (luglio 1596) la direzione delle fabbrica passa nelle mani del Masuccio, in quanto preposto a tutte le fabbriche della provincia siciliana ed operante in questo stesso periodo, com’è noto, non senza discussioni, alla realizzazione del progetto del Tristano per la Casa Professa di Palermo. Ed è dopo questo passaggio di gestione tecnica che i documenti - ampia corrispondenza, soprattutto, fra il Rettore di Marsala e il Generale Acquaviva - evidenziano un fitto dibattito, in ordine soprattutto alla fedeltà della prosecutio delle opere rispetto al progetto del Valeriano, sino al “felice” compimento dei lavori stessi nel 1604. Ma riportiamo, anche schematicamente, le notizie inerenti alle tappe di tale dibattuta attuazione, per il loro sicuro interesse sia in ordine alla dialettica interna gesuitica, della “cultura di cantiere”, sia per una più chiara conoscenza degli esiti finali e dei risultati concreti quanto alle forme e ai valori costruiti. Nel 1598 una lettera dell’Acquaviva al Padre Provinciale testimonia che la costruzione è già in fase avanzata, ma nel 1600 lo stesso Acquaviva, pur accreditando la competenza del Masuccio fa rilevare che “la fabbrica della chiesa di Marsala è stata alterata sensibilmente […] facendosi troppo grande” (Alagna, p. 67). Materia del contendere era soprattutto il rialzo della volta che il Masuccio intendeva realizzare rispetto al progetto del Valeriano e la sostituzione dei pilastri intermedi con colonne a supporto degli archi. Dopo varie lamentele circa il fatto che “sì facilmente si mutino i disegni da noi approvati” il Valeriano finì, però, con il persuadersi e dare via libera ai cambiamenti, soprattutto perché si doveva cercare “di dar gusto e soddisfazione al fondatore” e, forse ancor più, perché il suo consiliarius aedilicius Giovanni De Rosis lo assicurava che per il rialzo della volta non vi era pericolo “tanto più facendosi la volta dei pomici, come intendeva il fondatore”. Scrive testualmente l’Alagna6: “Il 20 giugno 1602 il P. Acquaviva ancora rispondendo al Rettore P. Demetrio Licandro circa l’ultima fase della fabbrica della chiesa impartiva le disposizioni seguenti […] visto quanto V.R. rappresenta con l’ultima […] rimandai sabato passato il disegno al p. provinciale con l’ordine espresso che lo faccia eseguire: affermando il P. Giovanni De Rosis non esservi pericolo, massime stringendosi la nave e fabricandosi […] la volta di pietra pomice per più leggerezza, quando si giudichi necessario”. Dopo queste ultime innovazioni la fabbrica volse al termine abbastanza rapidamente, cosicché il P. Acquaviva, congratulandosi con il P. Licandro il 13 novembre 1604 gli diceva “Mi rallegro che la lasci la fabbrica della chiesa finita senza interessare il collegio e che sia riuscita sì bella”. A questo punto, alla luce del costruito e a tutt’oggi visibile - volta e cupola escluse - possiamo tirare le somme, anche schematicamente, nei tre o quattro punti seguenti. Al primo punto credo si debba porre la considerazione che, dopo il dibattito anzidetto - e specie quanto abbiamo visto circa la persuasione e la concessione dell’Acquaviva - cultura e gusto dell’interno e dello stesso prospetto della chiesa non rispecchino tanto le vedute del Masuccio quanto quelle del nobile mecenate laico, Stefano 5 6 v. Alagna, cit., p. 65 v. Alagna, cit., p. 67 Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 3 Frisella, culturalmente allineato, probabilmente, con quanto era avvenuto ed avveniva a Palermo nelle chiese “gaginesche”, come Santa Maria dei Miracoli, San Giovanni dei Napoletani ed altre (quanto ai prospetti in Santa Caterina, Santa Maria dei Rimedi, ecc.); specie nelle morfologie dei colonnati e nella spazialità interna complessiva. Un cenno a parte merita, in questo contesto, il rialzo della cupola ottenuto ed attuato dal Masuccio (specie con l’espediente “dei pomici”), poi rinserrata nella struttura cilindrica, come abbiamo visto nella fotografia del privato marsalese, che ci mostra pure un campanile; di cui, però, non parlano, salvo errore, né i documenti né la storiografia. Non può essere un caso, io credo, se ritroviamo questo “sistema di sicurezza” nella chiesa di San Francesco Borgia7 (o del Collegio) a Catania, ricostruita dopo il terremoto del 1693 da Angelo Italia; che sembra impossibile non aver conosciuto e memorizzato, durante il suo soggiorno mazarese (1674-84) la struttura masuccesca, distante solo poche miglia. La Chiesa del Collegio di Trapani (1616-1638) Fig. 4 - Chiesa Trapani esterno Sotto il profilo storico-artistico, che a noi soprattutto preme, si tratta, com’è noto, di una delle più rilevanti testimonianze di quello che ancora può definirsi il primo tempo degli insediamenti gesuitici in Sicilia, i primi decenni del XVII secolo. Con qual- 7 Vedila citata dal Boscarino (cit., p. 122 e fig. 71) che la definisce “una forma insolita… completamente nascosta da un anello cilindrico”. Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 4 che riserva a tutt’oggi, come vedremo, per la facciata, è sicuro che i relativi lavori siano iniziati nel 1616 e ultimati, almeno per tutto il corpo della navata, nel 16388. Motivatamente di essa la critica9 ha messo in risalto soprattutto due aspetti peculiari: quello dell’interno longitudinale a tre navate suddivise da colonne accoppiate e collegate da un segmento di architrave (sistema a serliana), applicato o meno per la prima volta in Sicilia; e quello della facciata, caratterizzata, nell’ordine inferiore, da una vistosa forza del telaio architettonico e da una particolare ricchezza e qualità di elementi plastico-ornamentali sapientemente contestualizzati al telaio stesso (figg. 4-5). Per l’aspetto interno nel 1963 il Bellafiore scriveva: “Già nel corpo della navata il consuetudinario ordine basilicale è variato con spirito tratto dalla Maniera, proprio nell’elemento costitutivo dell’iterato passo delle colonne […] che compongono una doppia serie di serliane in un gioco pittoresco di qualità luministica che rimanda al pittoricismo architettonico del Rinascimento settentrionale, specialmente lombardo”10. Per il secondo aspetto, la vigorosa facciata, nel 1981 il Boscarino scriveva: “Il prospetto nell’ordine inferiore è scandito da un ordine gigante di pilastri modinati […] ed è concluso superiormente da una fascia continua che forma un particolare attico poggiato sulla trabeazione, contrassegnato da grossi mascheroni”. E con riferimento poi alla “vistosa decorazione formata da mascheroni, figure muliebri, grandi volute di raccordo, cornucopie con frutta […]” aggiunge e conclude: “essa rende questo prospetto così importante ed emblematico dei nuovi indirizzi i quali, nel rispetto della intelaiatura classicistica dell’ordine architettonico riescono a darci un’immagine completamente diversa da quella tradizionale tardo rinascimentale”11. Quanto all’interno, infine, il Boscarino aggiunge: “Interessante ed applicato per la prima volta in Sicilia è il tema […] di archi collegati a due a due con architravi laterali di passo più piccolo”. Ma in merito a tale primogenitura, se è vero, come vedremo, che il progetto trapanese, nella sua definitiva stesura nasce nel 1614 (v. avanti), come non ricordare, sia pure di passaggio che già nel 1605-6 il sistema era stato attuato in provincia di Palermo, nel chiostro olivetano di Santa Maria del Bosco (Bisacquino) dall’architetto Antonio Muttone, oratoriano e comasco, molto accreditato a Palermo?12 Sembra un po’ difficile immaginare che questo esempio lombardo-alessiano, fosse sconosciuto ai gesuiti e al progettista della chiesa trapanese, chiunque esso fosse. Ma lasciamo ad altri gli eventuali approfondimenti su questo interessante argomento, per passare a riferire del dibattito, accentuatosi in questi ultimi anni, circa l’estrazione culturale e la reale paternità degli accennati e diversi linguaggi, di interno ed esterno. Su basi storiografiche tradizionali e di documenti letti e pubblicati però, come accertato ora, in maniera incompleta, il monumento nel suo insieme veniva attribuito, sino a qualche anno addietro, al gesuita messinese Natale Masuccio. Tale attribuzione 8 Per l’inizio v. testo più avanti e nota 20; per la fine, si veda la lapide di consacrazione murata nella parete destra del retroprospetto, e G.M. Di Ferro, Guida per gli stranieri in Trapani, quivi, 1925, p. 182. Le absidi, invece, pur sicuramente progettate all’inizio poterono essere realizzate solo dopo che i Gesuiti, nel 1665, ottennero finalmente dal Senato la chiusura di una strada che intersecava la loro proprietà (acquisita per lascito testamentario sin dal 1596). La planimetria complessiva si può vedere in Boscarino, Sicilia barocca, Roma 1981, p. 96. 9 Ci riferiamo a quella più recente ed attenta ai fatti linguistici del patrimonio architettonico siciliano, come nei due autori di cui ai brani che seguono. 10 V. Giuseppe Bellafiore, La Maniera italiana in Sicilia, Palermo 1963, p. 128 11 V. Salvatore Boscarino, cit., p. 98 12 Sul Muttone vedi, per ultimo, M. S. Di Fede, Architetti e maestranze lombarde in Sicilia, in I lombardi in Sicilia, Pavia 1995, p. 78 Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 5 veniva convalidata definitivamente dal Boscarino, in un saggio del 196113, sulla base, specialmente, di una ipotizzata estrazione culturale della facciata stessa del cosiddetto “michelangiolismo messinese” con particolare riferimento al Montorsoli. Ma nel 1988 la quasi contestuale emergenza di un documento d’archivio14 e di un brano storiografico sino allora inedito15 cominciava ad incrinare, proprio per il preminente tema della facciata, tale tradizionale attribuzione, chiamando in causa il lucchese Francesco Bonamici, venuto da Malta nel 1654, per varie verifiche di fabbriche gesuitiche in corso a Siracusa, Palermo e Trapani. Fig. 5 - Chiesa Trapani Dovremo tornare a parlare di quest’ultima “emergenza”, ma dobbiamo prima riferire di una recentissima ricerca sul monumento trapanese, supportata da ampie ed accurate consultazioni archivistiche – soprattutto presso l’Archivio generale romano dei gesuiti (ARSI) – che ha fatto del tutto tramontare l’accreditata paternità del Masuccio16. 13 V. Salvatore Boscarino, Natale Masuccio, in Studi e rilievi di architettura siciliana, Messina 1961 La nota di pagamento (riportata da Daniela Scandariato, Il paliotto in corallo del Museo Pepoli di Trapani e di alcuni manufatti di committenza gesuitica, in BCA, 1988-89, pp. 50 e segg.) in data 14 maggio 1654 esattamente recita: “Spese per il Sign. Francesco Bonamici, ingegnere ed architetto di Malta, venuto da Palermo mercoledì mattina per vedere le fabbriche del nostro collegio e della chiesa […] con farne dei disegni per li delfini da fare allo dammuso della chiesa e dell’ingrandire le finestre di essa e della facciata della medesima chiesa […] ed avendo pigliate tutte le misure disse che li manderà fatti da Malta”. 15 Il brano appartiene all’opera manoscritta e conservata presso la Casa Professa di Palermo di Domenico Stanislao Alberti, Istoria della Compagnia di Gesù. La Sicilia, vol. II (1702) fogli 294-95, che così recita: “Nel 1657 s’inciacò la pubblica strada davanti la nostra chiesa e si cominciò la facciata di lei nella parte grande e la piccola ai lati di lei. Il disegno fu di Francesco Buonamici valentissimo ingegnere di Malta […] nel 1661 si seguitò la cominciata facciata della chiesa […] e si finì nella Settimana Santa, con ammirazione di tutti. Vi si spese in circa 5000 scudi; è veramente magnifica”. Il brano mi fu a suo tempo segnalato dallo storico gesuita Padre Francesco Salvo. 16 Si tratta della tesi di dottorato in Storia dell’architettura e conservazione dei monumenti presso l’Università di Palermo di Maria Rita Burgio, dal titolo Il complesso gesuitico di Trapani. Il luogo, 14 Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 6 Questa ipotesi, infatti, si reggeva soprattutto su di una lettera del Masuccio al Generale Acquaviva del 1613, con cui si dichiarava autore, illustrandolo, del noto rilievo urbanistico finalizzato alla scelta del sito in cui completare – o meno – la costruzione di collegio e chiesa (già avviati, peraltro, in una determinata area sin dal 1596)17. Fig. 6 - Chiesa Trapani interno Ma tale lettera, ha potuto precisare la Burgio, era stata citata solo parzialmente, mentre dal testo integrale e da altra lettera verificata dalla studiosa appare chiaramente che il Masuccio nel 1613 è sì a Trapani, ma per elaborare, d’accordo con il Rettore del Collegio suo conterraneo, Pietro Funi, un progetto diverso e per un sito diverso (“il sito di Donna Allegranza”) da quello che alla comunità – Rettore escluso – interessava mantenere (“il sito Mongiardino”). Nello stesso anno, del resto, con lettera del 15 marzo (forse incrociantesi con quella del Masuccio) il Generale Acquaviva rimandava a Trapani un altro disegno approvato, sicuramente quello definitivo, in base al quale collegio e chiesa da “completarsi” sulla principale arteria cittadina in cui ancor oggi li vediamo18. Poco dopo, nel 1616, il Rettore Funi veniva trasferito a Palermo, e il Masuccio, l’architettura, i protagonisti, il cantiere. Nonché di un articolo della stessa pubblicato sulla rivista Lexicon, anno III, 2006, pp. 19-28, intitolato Il complesso gesuitico di Trapani: tradizione storiografica e nuove attribuzioni. 17 Si trattava di un complesso di case, a cavallo di una strada, donato dal nobile Mariano Mongiardino e di cui la comunità aveva preso possesso e iniziato i lavori di adattamento sin dal 1596 (v. relazione a Roma del Rettore, in ARSI, pubblicata in transunto da A. Buscaino in I gesuiti di Trapani, quivi, 2006, p. 33, in cui si afferma che a seguito di un disegno approvato ricevuto da Messina e di un ordine del Padre Visitatore e poco dopo del Padre Generale “presi possesso della casa di Mongiardino e cominciai ad acconciarla”). 18 A proposito di questo progetto, nel suo citato articolo del 2006 (p. 28) la Burgio, richiamando anche una lettera viceregia del 1600 da cui si evince un ampio avanzamento dei lavori, scrive: “Tutto ciò suggerisce l’ipotesi che nel nuovo disegno […] la restituzione planimetrica della struttura della chiesa, in massima parte già realizzata, corrisponde a quella di un primo progetto che nel 1595 l’architetto Valeriano redige per Trapani”. L’ipotesi appare quanto mai interessante, anche per i complessi sviluppi attuativi del manufatto negli anni successivi, e trova conferma in due richiami del Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 7 per le sue intemperanze relegato a Caltanissetta, quasi radiato dall’Ordine. Della chiesa, così, nello stesso anno – ed essendone state sin dal 1614 ordinate le 16 colonne – si poteva porre, e di fatto si poneva, la prima pietra19. Va anche considerato, in questo ora più chiaro contesto, che tra il 1613 e il ’16 i documenti rivelano che anche Tommaso Blandino era presente a Trapani, tanto che in una “consulta di fabbrica” del 1614, scrive il Rettore di Trapani a Palermo, “ha presentato un disegno approvato del sito c’habitiamo et domanda che si esegua”20. La paternità del Blandino dell’organismo chiesastico nel suo insieme non può, a questo punto, essere revocata in dubbio; ed occorre dire, a proposito della stessa, che già nel 1995, prima di questa riprova documentaria, essa era stata chiaramente ipotizzata da Marco Rosario Nobile, con il richiamo, tra l’altro, agli accertati (anche se più tardi) viaggi dello stesso in Liguria per importazione di marmi intagliati acquistati a Genova nell’interesse della inerente Casa Professa di Palermo. Resta il nodo facciata, per la quale ciò che è detto nel documento d’archivio e nel testo storiografico già riportati (vedi note 14 e 15) sembrerebbe indiscutibile per farla attribuire al Bonamici. Ma forse qualche margine di discutibilità, e non soltanto a nostro avviso, rimane. Infatti: non si può prescindere dalla evidente e nota differenza morfologica e qualitativa tra ordine inferiore e superiore – questo sì sicuramente tardo21 – e, quindi, dalla necessità di approfondire la ricerca filologica sulle due parti e le relative paternità inventive ed attuative; pur con alcune evidenti affinità dei prospetti noti del Buonamici a Malta, quanto al telaio architettonico generale22, in sé e per sé, riesce assai difficile apparentare ad essi la ricchezza, il vigore e la qualità dello specifico e stretto modellato plasticoarchitettonico (o, se si vuole, viceversa) trapanese; anche i ribaditi riferimenti alla cultura ligure-alessiana tramite il Blandino, mancano ancora di raffronti puntuali, chiari e convincenti; appare, quindi, significativo che la Burgio, nel concludere la sua ampia ed accurata ricerca scriva: “Rimane non del tutto chiarita la vicenda architettonica del prospetto, le cui qualità formali, effettivamente molto individuali, richiedono una approfondita indagine storico-artistica, sia dell’apparato decorativo che della disposizione strutturale del prospetto” (cit., 2006, p. 28). Che resta, allora, da parte nostra, se non condividere l’appena accennato giudizio, e, soprattutto, l’auspicio della studiosa per una ulteriore ed approfondita indagine sul suggestivo quanto intricante prospetto trapanese? La Chiesa del Collegio di Mazara (1701-1714) Per la sua peculiare tipologia plani-volumetrica si tratta indubbiamente di una delle più originali e geniali chiese dell’intero barocco siciliano; oggi, ancora e purtrop- Valeriano (per correzioni da fare alla fabbrica in corso) in una relazione a Roma del Rettore P. Candela, conservata in ARSI e transuntata da Buscaino, cit., p. 35. 19 Esattamente il 2 settembre 1616, come attestato in una nota del bastardello 1609-1617 del notaio Testagrossa, riportata da Buscaino, cit., p. 59 20 V. Burgio, cit., 2006, p. 24 21 V. in proposito tutta la storiografia trapanese (Ferro, Mondello, Serraino, ecc.) che ne ripete sempre l’attribuzione al locale capomastro Simone Pisano, che l’avrebbe realizzata nel 1660. 22 V. A De Lucca e C. Thake, Francesco Buonamici, 1596-1677, University of Malta, 1994, figg. 4 e 8) Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 8 po, allo stato quasi di rudere dopo i danni bellici che l’hanno privata delle suggestive coperture a cupola della navata e del piccolo presbiterio23. Ne riprendiamo la descrizione con qualche variante, da un nostro stesso testo del 24 1994 , rimandando in pari tempo alle pur ristrettissime immagini allegate (figg. 7-9). Fig. 7 – Chiesa Mazara esterno L’impianto planimetrico è costituito da una ellisse imperfetta, con l’asse maggiore parallelo all’ingresso e l’altare principale di fronte a questo. Un peristilio di colonne tuscaniche binate e di archi a tutto sesto, forse non del tutto immemore dell’innovativo esempio trapanese che abbiamo appena visto, sosteneva al tempo stesso il ricadere della grande cupola centrale e quello della volta del deambulatorio originalmente creato, quasi una navata ovale, tra colonnato e pareti perimetrali, con sei altari incassati e architettonicamente studiati. L’altare principale, come già accennato, si collocava al fondo della visuale d’ingresso, in un incavato spazio presbiteriale, coperto da una cupoletta emisferica, di cui rimane il piccolo tamburo ornato da una serie di balau23 Da decenni, ormai, si attende che l’amministrazione regionale decida di scegliere ed attuare uno dei vari progetti avanzati per l’accorto ripristino di una copertura che preservi da ulteriori danni le cospicue sopravvivenze del monumento e lo renda idonea ad una nuova funzione, religiosa o laica che sia. 24 V. Vincenzo Scuderi, Architettura ed architetti barocchi del trapanese, Marsala 1994, pp. 27-28. Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 9 strini lungo tutto il perimetro circolare25. La paternità dell’opera, già tradizionalmente attribuita al gesuita Giacomo Napoli – poi rivelatosi semplice amministratore dei lavori del Collegio (1675-84) durante i quali, però, significativamente appare anche Angelo Italia26 – è stata da me a suo tempo e poi da tutti riconosciuta ad Angelo Italia27. Ma vediamone subito, per una migliore intelligenza soprattutto culturale del manufatto, la lettura datane per ultimo da uno specialista quale Marco Rosario Nobile in un apposito quanto accurato saggio28. Dopo aver accennato alle antecedenti piante centriche dalla Chiesa del Collegio di Polizzi Generosa e di San Francesco Saverio a Palermo, l’autore scrive: “Ancora più distante da questi esiti è la ingiustamente meno nota chiesa di Sant’Ignazio a Mazara, dove il tema planimetrico di base non è più l’ottagono ma un ovale posto trasversalmente. Un episodio […] da collocare negli echi suscitati dalla gesuitica Sant’Andrea al Quirinale, di cui anche Andrea Pozzo dava, in quegli anni, un’interpretazione nel progetto per il San Tommaso di Canterbury in Roma. Elemento caratteristico della Chiesa di Mazara è, però, l’introduzione di un deambulatorio sorretto da colonne a serliana reiterata di assoluta novità anche al di fuori del ristretto ambito siciliano. Il deambulatorio non ha precedenti nella produzione siciliana e costituisce con probabilità uno dei contributi più originali forniti dall’architetto gesuita, che non mancherà di influenzare la generazione successiva”. Fig. 8 - Chiesa Mazara interno con cupola 25 Vedilo riprodotto nel testo anzidetto, fig. 39 V. per ultimo Silvio Manzo, Il Palazzo del Collegio di Mazara del Vallo, in Annali del Liceo G. G. Adria, Mazara 1985, nr. 1-2 27 V. V. Scuderi, Architettura ed architetti barocchi del trapanese, prima edizione, Trapani 1973, p. 31. 28 M. R. Nobile, Angelo Italia architetto e la chiesa centrica con deambulatorio, in L’architettura della Compagnia di Gesù in Italia, XVI-XVIII secolo, Milano 1990, p. 155-158. 26 Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 10 Lo studioso estende poi la sua analisi alla genesi (nella cultura manieristica) e alla diffusione del tema planimetrico della pianta ovale con deambulatorio citando, per la Sicilia, gli esempi costruiti di Petralia Soprana, Capaci e Noto, unitamente agli studi progettuali del Gagliardi, come le “maggiori testimonianze dell’eco suscitata dalle intuizioni di Angelo Italia nei temi dello spazio centrico; intuizioni che ne fanno, insieme ad Andrea Pozzo, il più geniale architetto della seconda metà del Seicento”. Conseguentemente a tali puntuali analisi e riferimenti culturali l’attento studioso si sofferma poi su di uno spunto documentario da cui proprio Andrea Pozzo è chiamato in causa per alcuni suoi impegni in Sicilia. Si tratta di una testimonianza manoscritta presso l’Archivio Romano della Compagnia di Gesù (ARSI) relativa ad una richiesta dell’insigne progettista e teorico, tra il 1694 e il ’97, “per Palermo e Mazara”29. Posto tutto ciò – lettura critica dell’opera e riferimento documentario appena accennato – la conclusione del Nobile è che “l’idea di un contatto, in questo cantiere, fra i due architetti non potrebbe essere totalmente esclusa”. Non ci resta che auspicare, a questo punto, che ulteriori ricerche, di adeguato livello, possano dare all’idea di quel contatto una più specifica concatenazione e un più preciso significato in ordine alla effettiva e possibilmente univoca paternità dell’originale invenzione mazarese: Italia o Pozzo? Fig. 9 - Chiesa Mazara presbiterio Ma non possiamo chiudere queste note senza toccare due altri aspetti, del monumento: il prospetto e la probabile suggestione della sua morfologia interna sul più va- 29 Idem, p. 158 nota 2 Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 11 lente e noto degli architetti barocchi del trapanese, della generazione immediatamente successiva: Giovan Biagio Amico. Quanto al prospetto, dobbiamo soprattutto riportare quanto già rilevato da Maria Giuffrè, e cioè che esso appartiene a quella serie siciliana “caratterizzata da una più spinta ricerca di autonomia dell’apparato plastico […] tramite la lenta emersione delle colonne dalla massa muraria retrostante, per un autentico rapporto dialettico tra la circolarità della colonna e la linearità della muratura di perimetro”30; ritirando, al tempo stesso, l’ipotesi di paternità del Gagliardi, da noi avanzata a suo tempo, e che Silvio Manzo (op. cit., p. 5) aveva ritenuto di poter confermare sulla base di un passo storiografico rivelatosi, poi, inconsistente. Quanto, infine, alla probabile suggestione esercitata dalla chiesa mazarese sull’Amico – salvo i pure probabili riferimenti di entrambi gli autori al Guarini – basti citare schematicamente: la significativa vicinanza alla planimetria mazarese del suo disegno per una ideale chiesa “esagonale” (come la definisce, nel disegno, lo stesso Amico) con deambulatorio, già definita dal Nobile “chiara derivazione dal Sant’Ignazio di Mazara”31; il motivo ornamentale dei balaustrini sul breve tamburo circolare di Mazara, riportato sull’analogo tamburo ovale della cupoletta “a camera di luce” sull’altare maggiore della Chiesa dell’Annunziata a Trapani32; la notevole affinità dell’impianto – a colonne laterali aggettanti e su plinti obliqui – del suo Altare della Madonna del Soccorso (nell’omonima chiesa trapanese) rispetto a quelli laterali, forse architettonicamente più rigorosi, del Sant’Ignazio di Mazara33. La Chiesa del Collegio di Alcamo (1684) Si tratta (figg. 10-11) di un impianto a navata unica – la sola nota tra le cinque chiese del trapanese di cui ci occupiamo – con cappelle laterali leggermente incassate, largo transetto e cupola sullo stesso34. I rapporti proporzionali tra le varie dimensioni dello spazio conferiscono all’insieme un respiro arioso e quasi solenne; forse in attuazione di quella determinazione espressa dalla comunità acchè la chiesa “possa superare per magnificenza tutte quelle che si osservano in Alcamo”35. Niente, peraltro, dopo tale peculiare aspetto spaziale, sicuramente inerente al progetto originario, anche se, forse, di diversi decenni anteriore all’inizio dei lavori, il 1684, appare rimarchevole in tale interno; se non la trita insistenza, probabilmente tarda, di modanature di bianco stucco in pilastri e paraste, cornici e controcornici…; con cui forse si voleva superare la più studiata ornamentazione della vicina Sant’Oliva, di G. B. Amico (1723). La storiografia non ha dato ancora una paternità certa a tale impianto chiesastico, che solo per ipotesi estensiva viene associata al nome di Dazio Agliata o Alliata (16071657) nobile gesuita palermitano (che lavorerà pure a Casa Professa), cui concordemente viene attribuito il Collegio sotto la data del 1652; mentre, pure concordemente, 30 V. Maria Giuffrè, Manierismo barocco nella Sicilia occidentale: il prospetto chiesastico come monumento urbano, in Barocco mediterraneo, Roma 1982, p. 33. 31 M. R. Nobile, cit., p. 156 e Giovan Biagio Amico, L’Architetto Prattico, vol. II, Palermo 1750 fig. 18 32 Vedila in V. Scuderi, Architettura…, 1994, fig. 120 33 Vedila in V. Scuderi, Architettura…, 1994, fig. 114 34 Vedila riprodotta in Lima, cit., p. 283 35 Vedi G. B. Bambina, Storia delle chiese ed opere pie alcamesi, in F. M. Mirabelli, Alcamo Sacra, Trapani 1956, p. 156 Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 12 l’inizio dei lavori della chiesa viene fissato al 7 novembre 1684, quando l’Alliata è morto da quasi trent’anni36. Ma torniamo al monumento per leggerne il prospetto, cui a buon diritto si affida la maggiore rinomanza della chiesa. Si tratta, infatti, di una tipica testimonianza sia di quella “felicità di ispirazione… nell’inserimento e valorizzazione ambientale delle facciate” di cui parla il Boscarino37 sia di quella “preminenza indiscussa che le facciate acquisiscono, quasi che gli edifici fossero fatti per essere guardati dall’esterno” di cui parla la Giuffrè, riportando anche parzialmente parole del Boscarino38. Fig. 10 - Chiesa Alcamo Fig. 11 - Chiesa Alcamo interno Tutto ciò apparirà senz’altro vero se per guardare il prospetto alcamese ci si colloca alla giusta distanza nella lunga e piatta piazza antistante (Piazza Ciullo), che sembra ribaltarsi nel verticalismo delle superfici del prospetto, vanamente animato da “lesene poco aggettanti, un coronamento mistilineo […] due campaniletti laterali incassati […] da una ricca decorazione scultorea, l’orologio, i torcieri in alto […] la bicromia tra la pietra e le pareti intonacate, le quali richiamano una figuratività anche se popolaresca di aree lontane come quelle portoghesi-brasiliane”39. Non ci sembra, salvo errore, che altro di culturalmente significativo ci offra la chiesa gesuitica alcamese. La Chiesa del Collegio di Salemi (1697-1703) 36 L’attribuzione del Collegio a Dazio Alliata è confermata da M. C. Ruggeri Tricoli, in Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, Architettura, Palermo 1993, ad vocem. 37 In Sicilia barocca, 1981, risvolto di copertina 38 In Manierismo barocco…, p. 25 39 Boscarino, cit., p. 102 Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 13 L’edificio di cui possiamo occuparci oggi è il frutto della ricostruzione di una precedente chiesa del 1654, demolita per crollo e quindi ricostruita tra il 1697 e il 1703. Per tale ricostruzione la Lima, citando il fondamentale manoscritto del Cremona, scrive: “sembrerebbe che il nuovo progettista riprenda l’impianto seicentesco monoabsidale trinavato a colonne, traslandolo dalla parte opposta”40. Autore concordemente citato, dopo che è stato reso noto un documento d’archivio da parte dello storico locale Salvatore Cognata, il gesuita locale Vincenzo Lo Cascio (1660-1727) fatto venire appositamente da Naro, dove si trovava41. L’impianto generale, la cui planimetria può vedersi riprodotta dalla stessa Lima (op. cit., p. 270) realizza, nei rapporti proporzionali tra le varie zone e dimensioni – arcate, navate, transetto, altezza, larghezza, ecc. – un senso particolarmente arioso dello spazio, che agevola la circolazione dei fedeli e la fruizione dei servizi liturgici (figg. 12). Fig. 12 - Chiesa Salemi Particolare interesse, poi - e sempre in riferimento alle attente osservazioni del Boscarino e della Giuffrè in merito al peculiare valore delle facciate barocche (le cui parole abbiamo riportato a proposito del prospetto di Alcamo) - merita il monumentale prospetto, a due ordini scanditi da paraste e da una trabeazione centrale, raccordati da plastiche volute sicuramente memori di quelle trapanesi42 (fig. 13). Nell’ambito di esso, 40 Antonietta Jolanda Lima, Architettura ed urbanistica della Compagnia di Gesù in Sicilia, secc. XVIXVIII, Palermo 2002, pag. 270 41 Trattasi di un atto del 30 marzo del 1699 (Archivio dei notai defunti di Salemi) con cui il lapicida Vito Arcieri di Palermo si obbliga per la fornitura di due colonne “ben viste dal fratello Vincenzo Cascio architetto della Chiesa di detto Collegio”. Vedi anche nota 27 a p. 85 di V. Scuderi, op. cit, 1994 42 Non vi è certezza, ma nemmeno motivo di dubitare, che lo stesso Cascio sia autore del progetto della facciata e che questa sia stata eseguita, quindi, nei primi del Settecento Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 14 infine, va osservato il ricco portale con colonne tortili aggettanti e grande targa con lo stemma gesuitico entro un riquadro al centro del timpano. E’ appena il caso di osservare come le colonne tortili stiano a testimoniare una probabilissima ispirazione ai vari esemplari palermitani di Paolo Amato, tanto più che nel citato atto del 1699 sono nominati come aiutanti dell’architetto progettista due intagliatori lapidei palermitani, Girolamo Vanella e Paolo Piazza. Ripetendo quanto appena detto per la chiesa di Alcamo… non ci sembra che l’impianto chiesastico di Salemi offra altri significativi aspetti di linguaggio. Fig. 13 - Chiesa Salemi interno Chiese gesuitiche trapanesi Pag. 15