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Dall'Ego a Dio. La lettura henryana di Maine de Biran

2022, Le Centre pour la Communication Scientifique Directe - HAL - SHS

Dall’Ego a Dio. La lettura henryana di Maine de Biran Anne Devarieux To cite this version: Anne Devarieux. Dall’Ego a Dio. La lettura henryana di Maine de Biran. Giuseppina De Simone; Roberto Formisano. La religione come fenomeno. Ricerche e studi a partire da Michel Henry, XL, Orthotes Editrice, pp.147-159, 2022, (Studia Humaniora collana di studi e ricerche), 978-88-9314-2625. ฀hal-03637540฀ HAL Id: hal-03637540 https://hal.archives-ouvertes.fr/hal-03637540 Submitted on 14 Apr 2022 HAL is a multi-disciplinary open access archive for the deposit and dissemination of scientific research documents, whether they are published or not. The documents may come from teaching and research institutions in France or abroad, or from public or private research centers. L’archive ouverte pluridisciplinaire HAL, est destinée au dépôt et à la diffusion de documents scientifiques de niveau recherche, publiés ou non, émanant des établissements d’enseignement et de recherche français ou étrangers, des laboratoires publics ou privés. Studia Humaniora collana di studi e ricerche Vo l u m e X L La religione come fenomeno Ricerche e studi a partire da Michel Henry a cura di Giuseppina De Simone e Roberto Formisano Nella collana Studia Humaniora Orthotes Editrice pubblica esclusivamente testi scientifici valutati e approvati dal Comitato scientifico-editoriale. I volumi sono sottoposti a peer review. Volume pubblicato con il contributo del Servizio Nazionale per gli Studi Superiori di Teologia e di Scienze Religiose della Conferenza Episcopale Italiana. Tutti i diritti riservati Copyright © 2022 Orthotes Editrice Napoli-Salerno www.orthotes.com isbn 978-88-9314-262-5 Anne Devarieux Dall’ego a Dio La lettura henryana di Maine De Biran Numerosi tra i lettori di C’est moi la vérité, compresi teologi ed esegeti, sono stati colpiti dall’audace corto circuito operato tra l’insegnamento di Gesù e la fenomenologia della Vita. […]. È quantomeno sorprendente […] vedere la Rivelazione divina confusa con l’auto-rivelazione della Vita […]. La teologizzazione della fenomenologia diviene qui letterale, in quanto è visione di Dio in Dio, ma senza che sia stata fornita la dovuta giustificazione, né di quale “fenomenalità” si tratti a questo livello, né a quale titolo si debba ammettere come fenomenologicamente evidente una concezione trinitaria della vita divina.1 In un manoscritto, Henry evoca la sua «filosofia religiosa fondata sulla fenomenologia»,2 e afferma che «il problema centrale della fenomenologia [è] direttamente implicato nella comprensione del cristianesimo».3 Non meno che per il suo Marx o per il suo saggio su Kandinsky, la fenomenologia del cristianesimo non è un mero esercizio di “applicazione esteriore” dei principi della fenomenologia. – Che la parola fenomenologica comandi la parola divina, e che la fenomenologia della vita sia la verità della religione, non è d’altra parte quanto alcuni teologi hanno denunciato essere l’eresia henryana?4 1 D. Janicaud, La phénoménologie éclatée, L’Éclat, Paris 1998, p. 15. Corsivi di Janicaud. 2 Fonds d’archives Michel Henry (Plate-forme ALPhA, Université catholique de Louvain), Ms. A 3857, pubblicato in «Revue internationale Michel Henry» III (2012), p. 159. 3 Id., Io sono la verità. Per una filosofia del cristianesimo, tr. it. G. Sansonetti, Queriniana, Brescia 1997, p. 53 (trad. it. leggermente modificata). 4 J.-L. Marion, in Étant donné, PUF, Paris 1997, p. 106, nota 1, ricorda che nelle Ideen I Dio, in quanto ente trascendente, è messo tra parentesi. 147 148 Anne Devarieux La Vita henryana scaturisce dall’interiorità dell’ego e, più in profondità, nell’interiorità radicale della Vita che, assoluta, è divina: interior intimo meo. Xavier Tilliette si chiede dove mai, in questa filosofia, intervenga lo Spirito ed evoca al riguardo la nozione di sizigia (in astronomia, la congiunzione di tre corpi celesti) al posto del mistero trinitario.5 Egli aggiunge che: L’ammirevole meditazione sul corpo soggettivo che scandisce l’opera consacrata a Maine de Biran, così come la veemente conclusione di Genealogia della psicoanalisi sull’Archi-corpo, non hanno per nulla trovato continuazione nella filosofia del cristianesimo. Eppure, non v’erano lì che semplici abbozzi per la comprensione della carne delicata e sofferente del Cristo, la soggettivazione singolare del suo Corpo innocente e il corpo promesso alla Resurrezione, rispetto alle conclusioni del saggio su Maine de Biran.6 Ma non sarebbe più lecito dire, piuttosto, che Michel Henry ha invece tratto tutto il ricavabile, dallo studio sul corpo soggettivo fino alla filosofia del cristianesimo, incluso il suo ultimo libro? Un primo approccio ad un numero tra l’altro molto circoscritto di parole del Cristo rivolte agli uomini è bastato a disvelare intuizioni di una profondità tale che il pensiero occidentale d’ispirazione greca farà molta fatica ad assimilare. Bisognerà attendere il secolo XIX prima che un filosofo geniale, Maine de Biran, faccia la scoperta di un corpo soggettivo contrapposto al corpo-oggetto della tradizione. Non è considerevole che la concezione dell’azione come operazione di questo corpo soggettivo, il cui luogo è nella nostra carne, e dunque invisibile come quest’ultima, […] resti ancora incompresa al giorno d’oggi?7 Henry e Biran. Dal cogito a Dio In un’intervista, Henry afferma che «l’arrière-pensée» di arrivare a Dio, risale già alla sua prima formulazione della “fenomenologia dell’immanenza assoluta”. A volergli dare credito, è dunque l’appro5 X. Tilliette, La christologie philosophique de M. Henry, in Michel Henry. L’épreuve de la vie, Cerf, Paris 2001, pp. 177-178. 6 Ivi, p. 177. 7 M. Henry, Philosophie et phénoménologie du corps. Essai sur l’ontologie biranienne, PUF, Paris 1965, p. 25. Dall’ego a Dio. La lettura henryana di Maine De Biran 149 fondimento di una simile fenomenologia a imporre il piano sul quale «si pongono tutte le questioni – quella dell’intersoggettività, del corpo soggettivo […]. E forse anche quella di Dio».8 Nell’aprile del 1815 (nove anni prima della sua morte), Biran confida nel suo Journal: Per difendermi dalla disperazione, penserò a Dio, mi rifugerò in lui. Nella mia giovinezza e quando io ero incline ai sistemi materialisti che avevano sedotto la mia immaginazione, io scartavo tutte le idee che non erano coerenti con questo scopo. Più che malfidato, ero superficiale. Ma quando sono stato condotto, per mezzo di idee mie, lontano da questi sistemi, non ho più avuto alcun pregiudizio […] per le questioni di fede o d’incredulità. Se trovo Dio e le vere leggi dell’ordine morale, sarà per fortuna e io sarò più credibile di coloro che, muovendo da pregiudizi, tendono a fare di questi le loro teorie.9 Partire da un postulato spiritualista o materialista: ecco cosa sarebbe stato, per Biran, un pregiudizio. Vero è che Biran e Henry procedono entrambi dall’interiorità dell’ego verso Dio; ma mentre l’ispirazione cristiana di Henry sembra piuttosto precoce, Biran non muove affatto da Dio: solo tardivamente la scoperta dell’effort (dell’ego come «volo», «io voglio») lo conduce all’affermazione di una passività superiore, quella della “terza vita”. L’ego biraniano, o la chiave dell’essenza della mia manifestazione È lecito chiedersi quale ruolo la filosofia di Maine de Birna abbia giocato nell’interpretazione henryana di Dio come Vita. L’incontro di Michel Henry con l’opera biraniana risale al 1946. La redazione del saggio Philosophie et phénoménologie du corps si conclude già nel 1949. Eppure, il saggio su Biran sarà pubblicato solo nel 1965, vale a dire due anni dopo l’uscita di L’essence de la manifestation (1963). Nel 1987, nell’Avvertenza alla seconda edizione di Philosophie et phénoménologie du corps, Henry dichiara apertamente che «è sulla base dei […] risultati essenziali [del saggio su Maine de Biran] che si deve lo sviluppo delle ricerche ulteriori». Che il saggio del 1949 su Maine de Biran 8 Id., Pour une phénoménologie de la vie. Entretien avec Olivier Salazar-Ferrer, Corlevour, Clichy 2010, p. 45. 9 P. Maine de Biran, Journal, 16 avril 1815, t. I, Neufchâtel 1954, p. 66. Corsivi di Biran. 150 Anne Devarieux contenga virtualmente in sé quel programma di lavoro che troverà poi compimento in L’essence de la manifestation e nelle opere successive, è quanto confermano le conclusioni che chiudono il volume: «Le osservazioni sin qui svolte dovranno servire da introduzione a una nuova fenomenologia della vita».10 Oltre alle considerazioni abbozzate sulla sessualità11, si tratta dell’anticipazione della filosofia del cristianesimo, delle tesi su Marx e, più in generale, della teoria henryana dell’azione. In breve, Henry ha trovato in Maine de Biran la determinazione essenziale dell’ego e, con essa, la determinazione della vita stessa. La sua teoria dell’ego è interamente biraniana. Questioni del tipo “se sia necessario che l’ego abbia un corpo”, o “quale sia la determinazione fenomenologica della struttura dell’essenza” non sono altro che questioni dovute alla sostanziale incomprensione (o al fraintendimento) del biranismo “post-husserliano” di Henry. La critica dell’ego trascendentale husserliano fa tutt’uno con la questione della soggettività reale del soggetto: l’ego trascendentalmente ridotto non può godere di alcun privilegio rispetto alla coscienza empirica se è vero che in entrambi i casi richiedono, come condizione di possibilità della loro manifestazione, il dispiegarsi preliminare di «un orizzonte di presenza». La situazione non migliora con il Dasein heideggeriano, il quale non risolve il problema della «omogeneità dell’essere». Il §7 di L’essence de la manifestation procede dunque alla chiarificazione del problema dell’ego per condurre alla conclusione secondo cui l’essere dell’ego non è omogeneo all’essere in generale. Questo punto è chiaramente la lezione più importante di Biran che Henry abbia sviluppato in Philosophie et phénoménologie du corps, vale a dire l’affermazione del “dualismo ontologico”: L’essere dell’ego è la verità. Non […] questa verità possibile in virtù della trascendenza, in quanto opera di quest’ultima, ma una verità di più alta origine, più antica, e senza la quale la trascendenza stessa non sarebbe. A una simile verità, che non è differente dall’ego, e che costituisce l’essere di quest’ultimo, noi diamo il nome di verità originaria. Solo nella misura in cui è capace di risalire all’originario la problematica della verità si rivela identica a quella dell’ego.12 10 M. Henry, Philosophie et phénoménologie du corps, cit., p. 272. Che troveranno, poi, il loro sviluppo in Id., Incarnazione. Una filosofia della carne (2000), tr. it. G. Sansonetti, SEI, Torino 2001. 12 Id., L’essenza della manifestazione, G. De Simone (cur.), tr. it. M. Anzalone – G. De Simone – F.C. Papparo – D. Sciarelli, Orthotes, Napoli-Salerno 2018, p. 61. 11 Dall’ego a Dio. La lettura henryana di Maine De Biran 151 Da ciò, si ricavano cinque principi: 1) Il metodo dell’ontologia è fenomenologico e l’essere deve potersi mostrare; 2) Il suo tema non è ciò che si manifesta ma il come della manifestazione; 3) Vi è una conoscenza assoluta; 4) Il fondamento è un fenomeno dato in una rivelazione che non deve nulla all’opera della trascendenza; 5) L’ego è un fenomeno assolutamente originale, il cui modo di rivelazione è «irriducibile al come della manifestazione degli esseri trascendenti»; il suo modo di rivelazione ha «un significato materiale», cioè «la rivelazione originaria è per se stessa il proprio contenuto», e il suo come è in definitiva inseparabile da un essere reale o concreto. In questi cinque punti capitali, si ritrova la “teoria ontologica biraniana dell’ego” come Henry l’ha formulata, molti anni prima, in Philosophie et phénoménologie du corps, cioè una rivelazione che si rivela essa stessa, e che è inseparabile da un essere concreto. Si tratta per l’appunto del corpo soggettivo biraniano. Henry passa con disinvoltura dall’ego vivente all’essenza della vita stessa. Una simile via, profondamente originale, non avrebbe potuto essere tracciata senza Maine de Biran. L’ego biraniano ha fornito la chiave dell’essenza della manifestazione, inizialmente chiamata Essere, e poi Vita. Biran non soltanto ispira la determinazione del modo specifico di donazione dell’ego, ma permette ad Henry di elevarsi dalla sua manifestazione a quella dell’essenza, mediante l’approfondimento di una struttura. Denunciare la tautologia formale dell’auto-affezione significa allora, dal nostro punto di vista, non aver compreso la genealogia del gesto henryano, il cuore della sua ontologia fenomenologica, ottenuta attraverso la lettura di Biran. Non è dunque fuori luogo interrogarsi circa il ruolo che la lettura di Biran ha avuto nel momento in cui Henry giunge all’identificazione della rivelazione divina con l’auto-rivelazione della Vita. Approfondimento. La lettura henryana di Biran Sin da Philosophie et phénoménologie du corps, che si presenta in forma di esegesi, la lettura henryana incorpora la questione biraniana all’interno della propria problematica. Ciò è quanto chiameremo “l’eresia biraniana” di Michel Henry:13 13 L’eresia di Henry è quel che si direbbe un αἵρεσις cioè, in un senso derivato, una “scelta”. Da Biran, Henry prende quel che vuole e gli è utile. 152 Anne Devarieux Che esistano tre vite, questa è la lettera del biranismo. Ma davvero oggi non siamo capaci di cogliere lo spirito di quest’affermazione, e di comprendere che non vi sono tre vite, ma una soltanto? Che, innanzitutto, l’opposizione tra vita animale e vita motoria è estranea all’intuizione fondamentale del biranismo e che la struttura ontologica di quest’ultima è immanente alla nostra vita sensibile, a questa vita di cui essa costituisce l’essenza, così come l’essenza del movimento soggettivo? Davvero è così difficile comprendere che non vi è opposizione alcuna, infine, tra l’attività motrice riconosciuta come costitutiva dell’essere dell’ego e l’esperienza di una vita assoluta, di fatto immanente a quest’attività così come a qualsiasi altra determinazione esistentiva della soggettività?14 A differenza di Henri Gouhier, Henry sostiene che la filosofia di Biran non matura per mutamenti progressivi di prospettiva. La sua maturazione è, piuttosto, l’approfondimento di ciò che essa contiene sin dall’inizio al proprio interno in maniera essenziale. Quest’approfondimento è la «chiarificazione della struttura ontologica della soggettività assoluta».15 Limitare l’ego al «soggetto che opera l’effort»: ecco l’errore che avrebbe portato lo stesso Biran e i suoi interpreti successivi,16 a giudicare il pensiero biraniano della maturità inconciliabile, non già con la filosofia dell’ultimo Biran (quella che ha inizio con la teoria della credenza), ma con la dottrina della “terza vita”. In effetti, secondo Henry, la teoria ontologica del corpo (cioè dell’ego) non differisce in questo senso dalla dottrina della terza vita. Esse hanno piuttosto lo stesso oggetto.17 È dunque solo in ragione della mancanza di una teoria ontologica della passività – oltre che per l’introduzione di un “assoluto trascendente” nella nuova filosofia dei principi sviluppata nel Rapports des sciences naturelles avec la psychologie18 e nella teoria della credenza (croyance) – che, soprattutto sotto l’influenza di Ampère, Biran avrebbe contraddetto, in un primo momento, la sua intuizione fondamentale. M. Henry, Philosophie et phénoménologie du corps, cit., p. 242. Ivi, p. 243. 16 Unica eccezione è J.-F. Marquet, Maine de Biran et ses conversions, in Le regard d’Henri Gouhier, Vrin, Paris 2000. 17 M. Henry, Philosophie et phénoménologie du corps, cit., p. 220. 18 Maine de Biran, Rapports des sciences naturelles avec la psychologie, in Œuvres, F. Azouvi (cur.), 13 voll., Vrin, Paris 1984-2001, vol. VIII. 14 15 Dall’ego a Dio. La lettura henryana di Maine De Biran 153 In una nota preparatoria a Philosophie et phénoménologie du corps, Henry scrive: Distinguere la passività che si oppone all’attività (attività di Biran, ad esempio) e la passività ontologica originaria (auto-conoscenza della soggettività), cfr. Individuo e Dio. La prima passività (quella che si oppone all’attività) ha un senso solo esistentivo, ma ha lo stesso statuto ontologico dell’attività e questo statuto è la passività ontologica originaria.19 Ci si può tuttavia chiedere se, in questa ricostruzione, Henry non si stia servendo di Biran per presentare piuttosto la propria posizione, visto che è nel movimento dell’opera biraniana che Henry scova la formulazione che animerà la sua: quel movimento che consiste nel muovere dall’ego, in quanto essere della “verità originaria” («Je suis la vérité») al “moi” («C’est moi la vérité»): dall’ego trascendentale alla teoria dell’ipseità trascendentale. È uso tra i commentatori schematizzare l’evoluzione del pensiero di Biran, distinguendo tre periodi: il periodo “pre-biraniano”, quello del Biran maturo, e quello successivo al 1815 che con Les rapports des sciences naturelles avec la psychologie comprende anche la dottrina dell’assoluto e la dottrina della terza vita (o “passività superiore”) della grazia. La svolta biraniana del 1815 consisterebbe allora nell’aver fatto dell’ipotesi avanzata nel Mémoire sur la décomposition de la pensée (la presenza di una forza virtuale concepita come un’attesa dell’atto), una credenza (croyance). Quest’ultimo gesto avrebbe condotto alla definizione dell’anima come “attività assoluta” di una sostanza o “forza” che si è obbligati ad ammettere pur senza poterla concepire veramente, e alla definizione del corpo come “resistenza” o “inerzia assoluta”: due noumeni invisibili, che si manifestano in maniera sensibile come io (moi) e come corpo proprio. Se l’anima è sconosciuta in se stessa, è tuttavia «una forza virtuale o che ha nel suo perdurare la tendenza all’azione».20 D’altra parte, prosegue Henry: La “vita divina” o “terza vita” biraniana può senza difficoltà essere integrata nell’ontologia fenomenologica, nella misura in cui si dimostri che la scoperta biraniana del corpo soggettivo rinvia in effetti, piuttosto 19 Fonds d’archives Michel Henry (Plate-forme ALPhA, Université catholique de Louvain), Ms. A 3071, pubblicato in «Revue internationale Michel Henry» III (2012), p. 127. 20 Maine de Biran, Rapports des sciences naturelles, cit., p. 112. 154 Anne Devarieux che alla determinazione esistentiva di un Erlebnis particolare e determinato, alla struttura ontologica di una passività più originaria.21 Una passività, frutto non già di «deduzioni ipotetiche e trascendenti»,22 ma come una condizione reale implicata nel fenomeno della rivelazione originaria che costituisce l’essere stesso dell’ego: Comprendere il biranismo significa comprendere in che modo il progredire della chiarificazione di questa struttura conduce alla messa in chiaro di una passività originaria che, come tale, non andrebbe confusa né con i modi passivi della vita sensibile […], né con la passività (forse quasi ontologica, ma incomprensibile e irricevibile) della teoria dualista […], né infine con altri Erlebnisse passivi, ma privilegiati, come quelli nei quali il soggetto fa esperienza della grazia?23 Da un lato, Henry legge Biran per scorgervi, per quanto nascosta sotto lo sforzo motorio (effort moteur), l’intuizione della passività originaria. Ma da un altro lato, e in opposizione a Biran, Henry vede nella “terza vita” una vita “immanente alla vita in generale”. Secondo Henry, è in effetti necessario andare oltre Biran e alla sua affermazione della somiglianza tra la conoscenza di sé e la conoscenza di Dio, per affermare la loro identità. – Fermiamoci qui, per un momento: dove si trova, nel corpus biraniano, quest’affermazione? Forse nel Biran della maturità quando, criticando i sistemi filosofici di Malebranche, di Bayle, di Leibniz ecc., denuncia la falsa identità che essi stabiliscono tra desiderio e volontà, e l’assenza di distinzione tra movimento volontario e movimento forzato o subito? A questo passaggio Henry fa allusione quando parla del termine “trascendente = x”, posto in quelle che egli chiama “le dottrine dell’alienazione ontologica” come fondamento delle nostre determinazioni coscienti, e a cui sono attribuiti nomi diversi secondo l’umore del filosofo: l’anima di Stahl, il dio delle cause occasionali, il dio di Descartes, l’inconscio, ne sono poi altrettanti idoli.24 Henry allude a Biran quando afferma che Stahl identifica la metafisica alla fisiologia, e Malebranche alla teologia. E in effetti, Biran afferma in questo stesso passaggio una verità a carattere 21 22 23 24 M. Henry, Philosophie et phénoménologie du corps, cit., p. 15. Ibidem. Ibidem. Ivi, p. 67. Dall’ego a Dio. La lettura henryana di Maine De Biran 155 fenomenologico, cioè che non è affatto necessario sdoppiare il “punto di vista psicologico” e quello “ontologico”, a meno che non si voglia aprire la strada allo scetticismo humeano: Non ho dunque bisogno di conoscere il rapporto della volontà con degli spiriti animali o dei sistemi di nervi per essere intimamente sicuro che il mio effort sia efficace. Dal momento che è in me o nel mio senso intimo, lo è anche in se stesso e agli occhi di Dio, ed è questo che determina la responsabilità morale del soggetto agente.25 Contro Malebranche, Biran non esita ad affermare l’identità tra ciò che è il mio atto per me e ciò che è “agli occhi di Dio”. Ora, al di là dell’affermazione della somiglianza tra la conoscenza di sé e la conoscenza dell’io (moi) da parte di Dio, Henry afferma che «in un’ontologia della soggettività, è necessario aver chiaro il fondamento ontologico dell’affermazione di una tale somiglianza», vale a dire la struttura interna della soggettività: è nella «conoscenza di sé in effetti che dobbiamo scorgere la somiglianza tra la conoscenza dell’essere reale dell’ego e la conoscenza di Dio».26 Lungi dal trattarsi di un’“adeguazione” tra di due tipi di conoscenza, si tratta piuttosto di una «pura unità della vita con se stessa, di una vita che non è separata da sé». Se l’ego proviene da una conoscenza assoluta,27 non ha senso parlare di una conoscenza che Dio avrebbe dell’ego accanto alla rivelazione immediata che l’ego ha di sé. Un’interpretazione ontologica rigorosa della somiglianza tra la conoscenza di Dio e quella dell’ego esige che «la somiglianza presupponga in qualche modo l’identità».28 Il biranismo – concede Henry – «non è giunto sino a questa interpretazione ontologica ultima; ha però almeno affermato l’esistenza di questa somiglianza».29 Solo Meister Eckhart si sarebbe elevato a quest’identità, tale per cui, se io non fossi, neppure Dio sarebbe.30 25 Maine de Biran, Notes sur certains passages de Malebranche et de Bossuet, in Œuvres, cit., vol. XI/1, p. 129. Corsivi nostri. 26 M. Henry, Philosophie et phénoménologie du corps, cit., p. 249. 27 Id., L’essenza della manifestazione, cit., p. 64. 28 Id., Philosophie et phénoménologie du corps, cit., p. 250. 29 Ibidem. 30 Id., L’essenza della manifestazione, cit., p. 324. 156 Anne Devarieux Una simile comprensione chiama tuttavia in causa un problema interpretativo relativo alla “svolta” biraniana della teoria della credenza (croyance) e all’affermazione delle realtà noumenali. È infatti importante riflettere sul rifiuto che Henry oppone a queste teorie, con le quali l’intuizione biraniana smarrirebbe il suo carattere propriamente fenomenologico. Con la dottrina della credenza (croyance), l’assoluto è infatti rigettato fuori dalla sfera dell’esperienza interna trascendentale. L’affermazione, presente in Biran, di un “fondo dell’anima”, fondo sostanziale al quale appunto si crede, è da Henry compresa come il tentativo disperato – perché votato al fallimento – di superare l’agnosticismo kantiano.31 Nella sua interpretazione, Henry procede forse un po’ troppo frettolosamente nell’affermare che in Biran vi è una “separazione” tra la forza sentita e la forza sostanziale. La questione è in realtà aperta; e sarebbe forse opportuno chiedersi, una volta posta la necessità di distinguere la forza virtuale dalla sostanza noumenica, se non vi sia un’equivalenza tra la forza e il substrato sostanziale.32 Volendo restare aderenti alla lettera del testo, è possibile affermare una cosa e il suo contrario. Aderendo allo spirito del testo è tuttavia possibile affermare, con Azouvi, che tutte le volte che Maine de Biran accenna a un fondo «inconoscibile dell’anima», un «fondo sostanziale inaccessibile all’appercezione e indipendente da quest’atto», egli si pone dal punto di vista dell’intendimento divino, o nella prospettiva di «un occhio estraneo». Ma mai Biran afferma che sia ignorata la sua natura di forza. Possiamo ignorare quel che l’anima è «nel passivo del suo essere», ma non come forza.33 Biran avrebbe dunque distinto la conoscenza di Dio dell’anima come cosa in sé e la conoscenza dell’anima-noumeno ottenuta a partire dall’io (moi) dell’effort; e questo, senza che si debba per forza leggervi un “mistero ontologico” come pretenderà più tardi Gabriel Marcel. Ma non si dovrà allora ammettere l’esistenza di due fondi dell’anima, uno come sostanza pensante, fondo passivo, e l’altro attivo, come forza virtuale? Alcuni interpreti, come Gouhier, l’hanno sostenuto. E noi, cosa dovremo pensarne? Azouvi sostiene che, quando Biran parla del fondo inconoscibile dell’anima, si tratti dell’anima “vista dal di fuori” da un’intelligenza 31 32 33 Id., Philosophie et phénoménologie du corps, cit., p. 244. Ivi, p. 246. Cfr. Maine de Biran, Dernière philosophie, in Œuvres, cit., vol. X/2, p. 335. Dall’ego a Dio. La lettura henryana di Maine De Biran 157 superiore: noi non siamo Dio che, lui soltanto, intende «la sostanza pensante come suscettibile dell’infinità delle modificazioni che la sua natura comporta».34 Ma Biran afferma anche: «Io non posso essere, nell’assoluto o agli occhi di Dio, il contrario di ciò che io sono per me stesso».35 L’assoluto che Henry rigetta come assurdamente separato dall’io (moi) è, sottolinea Azouvi, «un assoluto presente alla coscienza». A nostro parere, vi è una distinzione da fare tra forza e sostanza (assolute): la forza assoluta non può essere differente dalla forza in esecuzione, e a questo titolo nessuna contraddizione è possibile. Azouvi ha ragione a sottolineare che, per essere credenti, la nozione ontologica di forza virtuale «nondimeno obbedisce alla regola fenomenologica elaborata allorché la psicologia ancora non disponeva della credenza (croyence)». La conoscenza procede dall’io (moi) all’anima: Ciò che io sono assolutamente non potrebbe essere altrimenti concepito che come risultato di ciò che io sono per me stesso, come io mi sento o mi conosco interiormente in virtù del fatto della coscienza.36 D’altro canto, l’anima come sostanza, io non la percepisco. Con Kant, Biran distingue il fenomeno e il noumeno (neppure una forza in atto è un noumeno) ma contro Kant, egli afferma che «la distinzione tra fenomeno e noumeno […] rimane senza oggetto o senza valore quando si pretende di applicarla al principio della forza, la quale non può appercepirsi o pensarsi come agente e libera, senza essere in sé, o come virtuale, ciò che essa sa, pensa di essere nel suo esercizio in atto».37 Biran ricopia, qui, Charles Villers e a questi s’ispira: l’io (moi) è «il solo dei noumeni che può essere conosciuto».38 Tutto ciò ad Henry non sfugge. Anche in questo testo tardivo, Biran riafferma l’assenza di distanza tra il noumeno e il fenomeno: «Il fenomeno e la realtà, l’essere e l’apparire, coincidono […] nella cono34 Id., Exposition de la doctrine philosophique, in Œuvres, cit., vol. XI/1, p. 149. Id., Commentaires et marginalia. XVIII siècle, in Œuvres, cit., vol. XI/3, p. 252. Biran rinvia alla lettura del trattato di Bossuet, Sulla conoscenza di Dio e di se stesso, di cui cita il capitolo IV: «Vi si troverà la prova psicologica dell’esistenza di Dio, superiore alla prova metafisica di Descartes» (ivi, p. 251). Questa prova è «la riflessione sulle nostre operazioni» (ibidem). 36 Id., Commentaires et marginalia. XVII siècle, in Œuvres, cit., vol. XI/1, p. 117. 37 Id., Exposition de la doctrine philosophique, cit., p. 79. 38 Id., Commentaires et marginalia. XVIII siècle, cit., p. 135. Corsivi nostri. 35 158 Anne Devarieux scenza dell’io (moi)».39 Ne concluderemo che Michel Henry non ha affatto torto nell’affermare l’identità biraniana tra l’assoluto del mio essere e il suo fenomeno: l’ontologia biraniana (tardiva) può pertanto esser detta pienamente fenomenologica! Se dunque, agli occhi di Henry, Biran avrebbe smarrito l’assoluto del fenomeno, è pur vero che per un altro verso lo ritrova con la dottrina della “terza vita”. Ecco perché Henry cita questo passaggio dell’esame delle Leçons de philosophie de Laromiguière, scritto tra il 1815 ed il 1817: Si può dire che il relativo e l’assoluto coincidono nel sentimento della forza o della libera attività», ponendolo in parallelo con l’altro passaggio, già citato poco sopra e tratto dai Nouveaux essais d’anthropologie: «L’essere e l’apparire, coincidono […] nella conoscenza dell’io (moi)».40 Sia consentito concludere con due osservazioni. Innanzitutto, si dica pure con Henry che nel pensiero di Maine de Biran non vi è affatto evoluzione, ma solo un approfondimento progressivo della medesima struttura dell’interiorità. Nel movimento dell’opera biraniana, Henry ha trovato formulata l’intuizione che anima la propria: il movimento che dall’ego come essere della «verità originaria»41 conduce all’io (moi), secondo la formulazione: «C’est moi la vérité». E tuttavia, il rimprovero che il fenomenologo chiama a tal riguardo “l’insufficienza di Biran” relativamente alla formulazione stessa dell’unità della conoscenza di sé e della conoscenza di Dio non può essere indirizzata nei confronti dello stesso Henry? In effetti, sebbene ad Henry appaia maldestra l’operazione di Biran, che fa della psicologia il fondamento della teologia, resta il fatto che la psicologia biraniana della grazia costituisce la formulazione impropria, fenomenologicamente parlando, di un’intuizione ontologica pur tuttavia vera: l’unità della conoscenza di sé e della coscienza divina. In questo senso, sottolinea Henry, il teologo ha tutto il diritto di denunciare il «pericolo, per non dire il sacrilegio»,42 di fondare la teologia su una simile psicolo39 Id., Exposition de la doctrine philosophique, cit., pp. 78-79. Id., Leçons de philosophie de Laromiguière, cit. in M. Henry, Philosophie et phénoménologie du corps, cit., p. 248. 41 M. Henry, L’essenza della manifestazione, cit., p. 61. 42 Id., Philosophie et phénoménologie du corps, cit., p. 251. 40 Dall’ego a Dio. La lettura henryana di Maine De Biran 159 gia. Ma questo non è esattamente ciò che da tempo alcuni interpreti hanno denunciato, denunciano e continueranno forse a rimproverare allo stesso Henry, di fondare la teologia sulla fenomenologia, e di “fenomenologicizzare” (phénoménologiser) Dio stesso nell’immanenza di una vita innanzitutto soggettiva, identificandolo con la Vita?43 È sufficiente circoscrivere “l’orizzonte filosofico” (ontologia della soggettività) all’interno del quale soltanto le proposizioni di Biran otterrebbero un senso legittimo, per non trovarsi più esposti a queste accuse? Fondare la teologia sulla psicologia e/o fondare la teologia sulla fenomenologia (ontologica) dell’ego? 43 L’eresia henryana è per così dire generale o generalizzata. È evidente che dire che “la vita è Dio” non è lo stesso che dire “Dio è vita”. Indice 5 Introduzione L’apparire dell’essenza: tra fenomenologia e religione Giuseppina De Simone e Roberto Formisano Parte prima La fenomenologia come prospettiva di ricerca Tra teologia e filosofia 21 Prospettive di ricerca fenomenologiche Il ruolo dell’intenzionalità emotiva tra Edmund Husserl e Michel Henry Anna Donise 33 Al di qua del tempo rituale Gerardus van der Leeuw, ovvero l’impossibilità di una fenomenologia della religione Felice Masi 49 La fenomenologia come metodo di ricerca e la trascendenza di Dio in Edmund Husserl Spunti di riflessione Nicola Salato OFMCap 61 La fenomenologia come prospettiva di ricerca e la religione come fenomeno in Michel Henry Giuseppina De Simone 197 198 Indice Parte seconda Studi su Michel Henry 75 L’essenza della manifestazione, o gli esordi della ricerca di un sapere religioso radicalmente immanente Jean Leclercq 89 Le premesse della fenomenologia del cristianesimo Giulio Sansonetti 97 Una fenomenologia rovesciata? Carla Canullo 111 La religione come essenza Michel Henry tra hegelismo, esistenzialismo e fenomenologia Roberto Formisano 123 La genesi dell’indagine trascendentale in L’essenza della manifestazione Vittorio Perego 135 Michel Henry interprete di Arthur Schopenhauer Un’indagine sullo statuto fenomenologico dell’anima Ezio Gamba 147 Dall’ego a Dio La lettura henryana di Maine De Biran Anne Devarieux Parte terza Fenomenologia e teologia Prospettive di dialogo 163 Fenomeno, fenomenalità, religione Giuseppe Lorizio 179 Rivelazione e Alleanza Prospettive fenomenologiche e implicazioni teologiche Philippe Capelle-Dumont 193 Gli autori Studio grafico e impaginazione www.lalangue.it Finito di stampare per conto di Orthotes da DBook nel mese di gennaio 2022