Ippolito Nievo

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This article draws a parallel between Ippolito Nievo’s Pisana in Le confessioni d’un italiano (1867) and Modesta, the protagonist of Goliarda Sapienza’s L’arte della gioia (1998). It argues that, in the characterisation of these two exceptional figures, female heroism emerges as a radical rebellion against the role imposed on women by nationalist discourses of their time. Both Modesta and Pisana stand as rebellious heroines, fundamentally different from the traditional angelic/seductress dyad as well as from the position of victims. They unsettle sanctioned patterns of morality and social roles, calling into question the values that inform women’s sense of national belonging. This article also points out a significant difference between the two novels; while Nievo, like most critics, condemns Pisana’s ‘selfish’ behaviour and ultimately involves her in the ideal of national identity, Sapienza never questions the rebelliousness of Modesta, who, unlike Pisana, is finally entrusted with the narration of her own story.

Il saggio prende in esame le strategie adottate da Nievo nei suoi articoli del decennio di preparazione, ricchi di riferimenti politici che l'autore aveva la necessità di nascondere e criptare fra le "ciarle" di un discorso divagante per sfuggire alla censura austriaca, dovendo però allo stesso tempo richiamare l'attenzione del lettore sulla presenza, in quei passi, di un significato "altro".

In questo lavoro propongo un criterio descrittivo unificante, che permetta di raccogliere tutti i personaggi del romanzo di Nievo, nel tentativo di esplicitarne il 'funzionamento'. Le classificazioni proposte sino ad oggi evidenziano aspetti salienti del sistema dei personaggi, lasciando, però, numerosi personaggi ai margini delle caratteristiche di volta in volta individuate.
L’indole, elemento forte nella lettera del testo e oggetto di numerose osservazioni da parte della voce narrante, sarà il punto di partenza. Gli ulteriori piani di analisi scelti sono nome proprio e descrizione fisica, per la caratterizzazione che assumono nel romanzo e il ruolo chiave che giocano nella costruzione dell'illusione narrativa.
[final draft]

Massimo d’Azeglio è uno degli emblemi decaduti del Risorgimento: se nel clima postunitario era considerato uno dei personaggi simbolo della stagione dell’indipendenza e dell’Unità, oggi è più spesso ricordato per le sue perplessità sulla spedizione garibaldina e lo scetticismo variamente manifestato sull’integrabilità del Mezzogiorno al nuovo Regno d’Italia.
Scopo di questo libro, fondato in larga parte su un’analisi dei testi letterari e politici di d’Azeglio, è da un lato collocare l’opera di d’Azeglio nel suo contesto, riconoscendo i meriti della sua feconda attività di pubblicista senza nasconderne i limiti e le contraddizioni; dall’altro ricostruire le fasi del suo pensiero, dall’entusiasmo patriottico (e unitario) di prima giovinezza sino al disincanto delle prose mature: nella convinzione che l’Unità sia un valore e che ogni attività letteraria spesa per approssimarsi a tale valore debba essere storicizzata con rispetto.


... Importa piuttosto chiudere queste pagine con l’esortazione di d’Azeglio ad attuare attraverso una democrazia “reale” («Strade, scuole e libertà legale») l’Unità del Paese. Era l’intento che era stato del Cavour dei giorni migliori, del Nievo garibaldino e di tanti altri uomini che credettero nei valori del Risorgimento.

Indice del libro.
Introduzione

I. Tempo di romanzi
1.1 Il tempo dei cavalieri. Ettore Fieramosca
1.2 «Non siete forse tutti figli d’Italia ugualmente?»
1.3 Il tempo della storia. Niccolò de’ Lapi
1.4 «Al convito de’ popoli liberi»

II. diritti della nazione. Pensiero e attivismo politico
2.1. La «causa dell’indipendenza» (1846)
2.2 «Siamo Nazione! Nazione! Nazione!» (1848)
2.3 Il diritto di unirsi, il diritto di dividersi (1859-1861)
2.4 Questioni urgenti: sull’onda emotiva dell’Unità
2.5 «Fatta l’Italia, facciamo gli Italiani». Una frase da restituire a d’Azeglio

III. Nievo e d’Azeglio
3.1 Le «idee di Azeglio e di Balbo»
3.2 d’Azeglio, quale?
3.3 Nievo, d’Azeglio e il romanzo del Risorgimento
3.4 Tra il Niccolò de’ Lapi e le Confessioni: amor di patria e
religione civile
3.5 I contadini e l’utilità politica della religione
3.6 L’emancipazione degli Ebrei
3.7 Verso Sud. D’Azeglio, Carlino e Ippolito

IV. La questione nazionale nel libro de I miei ricordi
4.1 Una vulgata gravemente contaminata. Appunti per una
nuova edizione
4.2 La questione nazionale

Indice dei nomi

... Importa piuttosto chiudere queste pagine con l’esortazione di d’Azeglio ad attuare attraverso una democrazia “reale” («Strade, scuole e libertà legale») l’Unità del Paese. Era l’intento che era stato del Cavour dei giorni migliori, del Nievo garibaldino e di tanti altri uomini che credettero nei valori del Risorgimento.

La mediazione simbolica fra uomo e natura, fra individuo e cosmo, ha trovato nella letteratura, dopo il mito e prima dell’attuale egemonia della tecnica, uno degli spazi di elaborazione privilegiati. Un’altra funzione ‘antropologica’ che la letteratura svolge - funzione forse più recente, o solo più evidente negli ultimi secoli - è quella di riparare simbolicamente alla disarmonia dell’esperienza. La letteratura affiora dalle ferite, crepe e lacerazioni dell’esperienza a rimarginare e cicatrizzare. A partire dal XVIII secolo la perdita di rapporto diretto fra l’individuo e il cosmo, di un rapporto empatico con la natura, si manifesta nella ricostruzione deliberata di tale relazione (basti pensare al nuovo stile dei giardini o all’alpinismo); e trova nella letteratura, oltre che nella filosofia, un idoneo luogo di elaborazione.
La scoperta del mare che Carlino Altoviti fa nel IV capitolo delle Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo è un esempio di ricostruzione letteraria di tale perduto rapporto fra individuo e cosmo. Vedere il mare è parte di quell’esperienza dell’orizzonte – dell’illimitato e della limitatezza dello sguardo umano, della perdita di un orientamento consueto e della partecipazione al sublime della natura attraverso tale perdita – che tanta parte ha nella costruzione del soggetto che si potrebbe convenzionalmente indicare come ‘romantico’. Il significato dell’esperienza di Carlino è sviluppato secondo un modello che ha origini settecentesche (si cita Voltaire, ma la traccia ideologica è Rousseau, precisamente la Professione di fede del vicario savoiardo, nel IV libro dell’Émile); rispetto al modello si ha tuttavia una novità, che si manifesta non sul piano intellettuale ma su quello strettamente letterario. Il testo non solo provvede infatti a descrivere una esperienza intorno a cui costruire un mondo di valori, ma si configura come descrizione dell’esperienza di tale esperienza. La spia stilistica più appariscente è nella parola “mare”, che non compare mai nel testo: sta al lettore comprendere che Carlino ha visto il mare. La sua esperienza è cioè trattata con la tecnica dello straniamento. La situazione del lettore di Nievo, alla metà dell’Ottocento, è più compromessa, per così dire, di quella di un lettore settecentesco, e non si tratta più di educare la sensibilità del lettore al sublime della natura e a far discendere da tale percezione un intero universo morale, ma anzitutto di far sentire come originaria, vergine, una esperienza consueta e logorata. Tutto il passo è retoricamente volto a proteggere dal disincanto ciò che un secolo prima era stato eletto a incantato, sublime, fondativo di un nuovo Io.

Il mito di Foscolo fu probabilmente tra i meno consensuali del Risorgimento. Esso si rivelò infatti meno federatore di quello di Dante al quale, ironia della sorte, proprio l'autore dell'Ortis aveva dato un contributo fondamentale: in occasione del centenario del 1865, infatti, nel «Gran Padre Alighier» avrebbero finito col riconoscersi facilmente sia i cattolici integralisti, per cui era il grande poeta della cristianità medievale; sia i moderati, che leggevano nell'oscura profezia del Veltro quella ben più luminosa e concreta dell'unificazione della penisola sotto la guida di Vittorio Emanuele II; sia, infine, gli esponenti della Sinistra Storica, che attraverso Mazzini avevano ereditato proprio l'interpretazione foscoliana, di gusto machiavelliano, del «ghibellin fuggiasco» 1 . Al contrario, il mito del primo patriota esule del Risorgimento, consacrato da Cattaneo in quell'autunno del 1860 che vedeva infine realizzato il sogno di un'intera generazione che per l'unificazione della penisola aveva lottato e sofferto («E così Ugo Foscolo diede alla nuova Italia una nuova istituzione: l'esilio!») 2 , non fu mai condiviso pacificamente e si trasformò nel terreno di una battaglia ideale che oltrepassò il mero contesto letterario 3 . 1 Si veda C. Dionisotti, «Varia fortuna di Dante», in Id., Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1977, pp. 255-303, in particolare le pp. 278-286, e, per una sintesi, E. Irace, Itale glorie, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 150-164. 2 C. Cattaneo, U. Foscolo e l'Italia, Milano, Edizioni del Politecnico, 1861. La chiosa di Cattaneo, posta a commento della scelta di Foscolo di abbandonare l'Italia nel marzo del 1815 e divenuta rapidamente proverbiale, si legge a p. 34. 3

Pur essendo contemporanea di autori ormai ampiamente storicizzati, Goliarda Sapienza (1924-1996) è una figura rimasta pressoché ignota a pubblico e critica fino al 2005, anno della scoperta francese dell’"Arte della gioia". Scritto tra il 1967 e il 1976 ma rifiutato per anni dalle principali case editrici italiane, questo romanzo rappresenta un caso letterario rilevante e sintomatico. Prendendo le mosse dalle opere del ciclo Autobiografia delle contraddizioni, questo libro si sofferma sulla produzione narrativa di Sapienza, tentando di rispondere ad alcune domande. A che genere appartengono i testi del ciclo autobiografico? Cosa ha spinto al rifiuto unanime di un’opera che negli anni Zero è diventata un bestseller? A quale tradizione guarda Sapienza per creare questo romanzo e la sua eroina?

Nei confronti dell'idea e dell'azione di Giuseppe Mazzini, Ippolito Nievo ebbe un rapporto complesso che può essere compreso nel suo sviluppo attraverso gli anni, in relazione sia agli eventi del decennio preunitario sia alla elaborazione di una propria originale riflessione letteraria e politica.

Il saggio passa in rassegna le occorrenze del campo semantico dell'esilio e di quelli affini (‘profugo’, ‘proscrizione’, ‘confino’) nelle “Confessioni d’un Italiano”, raggruppandole in base alla loro valenza concreta o metaforica e agli eventi a cui fanno riferimento. Si assiste così ad una parabola sofferta e per nulla scontata in cui, partendo da un’occorrenza in cui, nel ricordo del narratore, l’esilio è un luogo in cui si è costretti e non da cui si è esclusi, quella condizione diventa a poco a poco, lontano da ogni eroismo, una necessità doppiamente dolorosa, per le privazioni che comporta, ma anche per la logica identitaria e di rimpianto in cui costringe – nella stessa biografia nieviana – un’attitudine originariamente universalistica e intrinsecamente cosmopolita.

Sebbene le vere e proprie cronache teatrali di Nievo siano solo tre (e tutte del 1855), negli articoli umoristici degli anni successivi le considerazioni sull’opera, sui balli e sul teatro in prosa occupano molto spazio, disponendosi spesso nella parte finale delle Attualità o delle Corrispondenze pubblicate sull’«Uomo di Pietra». Quando scrive con reale cognizione di causa, e cioè avendo assistito personalmente alle rappresentazioni, Nievo non si limita a giudizi su libretti e partiture, ma si addentra in valutazioni sulle messe in scena, sulla qualità di cantanti e musicisti e sulla credibilità delle scenografie; quando invece le corrispondenze sono fittizie, e cioè scritte sulla base di informazioni di seconda mano (notizie di stampa o altre fonti), egli si rifugia in un’ironia di superficie e proietta su spettacoli che non ha visto il proprio sistema di valori: la passione per Rossini, l’apprezzamento per il Belcanto, l’idiosincrasia per Verdi, nell’opera; l’avversione, ricca di echi politici, nei confronti della francofilia dei teatri milanesi, nella prosa. Dal complesso di questi riferimenti emerge uno spaccato sempre gustoso del ruolo ‘sociale’ dei teatri nel Lombardo-Veneto alla vigilia della seconda guerra d’indipendenza; da alcuni testi, a tratti, anche il senso della funzione ‘nazionale’ che per Nievo il teatro, musicale e di prosa, avrebbe potuto e dovuto svolgere nel processo risorgimentale.

L'Ottocento è il secolo in cui la narrazione prende il sopravvento sulle altre forme letterarie e in cui la pratica della storia si fa istanza civile, mostrando, sulla base dell'esempio del passato, le condizioni di progresso per il futuro.
Così, se il romanzo, secondo la celebre espressione di Hegel, è «moderna epopea borghese» e rappresenta la coscienza della borghesia, il romanzo storico appare il testimone privilegiato per ripercorrere le tappe evolutive che della borghesia hanno segnato la storia (la formazione prima, l'ascesa poi e la vittoria infine, che  essa riporta nel corso dell’Ottocento, soppiantando il vecchio ceto aristocratico e sostituendo ai modelli sociali e culturali ad esso cari i propri: è in questo senso che il romanzo rappresenta la coscienza della borghesia).
Al passaggio da una fase all’altra della storia della borghesia corrisponde non a caso una fase diversa dell’evoluzione del romanzo storico. Procedendo per questa via, il saggio intende valutare quale sia stato il ruolo del romanzo storico all’interno della modernità letteraria italiana; se e in che modo l’elemento-storia, entrando in frizione con l'elemento-finzione, abbia assolto ad una funzione fondativa della modernità.

Il romanzo Le Confessioni d’un italiano si sviluppa attorno alla vita di Carlo Altoviti, che, ormai ottuagenario, narra le proprie memorie e, in parallelo, ripercorre le vicende appena precedenti alla nascita della nazione italiana. Dalle pagine dell'opera emerge l’ideologia dello scrittore, che fu un grande sostenitore della causa nazionale e si dedicò attivamente ad essa. Spesso snobbato o sminuito dalla critica letteraria, il personaggio di Giulio Altoviti, il figlio minore del protagonista, permette di avviare un’analisi interessante e a tutto tondo dell’ideologia nieviana, la quale, già manifestata in Carlo, può essere compresa in modo più completo attraverso il figlio. L’elaborato si propone, partendo dalla storia educativa di Carlino e Pisana bambini, di far emergere innanzitutto l’idea pedagogica propugnata da Nievo, necessaria alla realizzazione del bene comune e applicabile al progetto di definizione del sentimento patriotico e della nazione italiana, Viene esaminato, poi, il concetto di America, elemento che differenzia l’esperienza di Giulio da quella paterna, tenendo conto del background culturale sviluppatosi nei secoli XVII-XVIII e delle opere che influenzarono l'idea americana di Nievo, in particolar modo la recensione Ansichten der Natur di Humboldt e il racconto Atala di Chateaubriand. Per ultimo, si cercherà di descrivere come il connubio fra impegno politico e letteratura si sia manifestato nelle opere dell’autore, dagli articoli giornalistici fino alle Confessioni, testo che armonicamente include tutte le esperienze di vita dello scrittore e che ne riassume i connotati fondamentali nel Giornale di Giulio Altoviti.

Nel corso della sua vita, Ippolito Nievo – grande romanziere, ma notevole anche come poeta e giornalista – intrattenne fitti rapporti epistolari con amici e familiari. Pur presentando gli elementi più tipici dell'epistolografi a ottocentesca, le sue lettere esibiscono numerosi tratti stilistici che rimandano alle sue opere letterarie e sono percorse da una spiccata vocazione narrativa.
Alessandra Zangrandi sottopone a una serrata indagine stilistica e narratologica le epistole nieviane, ricostruendo le trame segmentate lungo le varie lettere e analizzando la voce, gli atti di parola, i punti di vista interni all'epistolario e la messa in scena del personaggio principale (lo stesso Nievo) e dei suoi comprimari. E consente così al lettore di oggi di percepire meglio la natura bifronte di questi testi, nati all'insegna dell'effimero e conservati qualche volta in modi imprevedibili.

ALESSANDRA ZANGRANDI è ricercatrice di Linguistica italiana all'Università di Verona. Si è occupata del romanzo storico italiano attraverso vari saggi e una monografia (Lingua e racconto nel romanzo storico italiano 1827-1838, Padova 2003). Ha inoltre studiato lingua e stile di alcuni autori del Novecento (Sbarbaro, Noventa, Luzi, Anna Banti), mentre nell'ambito degli studi nieviani ha partecipato a vari convegni, ha pubblicato diversi articoli e ha curato l'edizione critica del primo romanzo di Ippolito Nievo, Angelo di Bontà (Venezia 2008).

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Manzoni e Nievo : l'argomento è molto vasto, anche se, per la convinzione critica persistente di un Manzoni 'maggiore' rispetto a un Nievo 'minore', rimane un continente poco esplorato dalla critica che si interessa all'Ottocento. Per evocare tale questione in poche pagine, è indispensabile restringere l'argomento a un aspetto particolare dei due romanzi e si è scelto il tema del desiderio. Poiché la rappresentazione più ovvia del desiderio nella finzione è logicamente l'amore, e poiché inoltre i tempi di Manzoni e di Nievo corrispondono al lento avviarsi del processo dell'emancipazione della donna, ci si interesserà preferibilmente ma non unicamente allo spazio concesso nei due romanzi al desiderio femminile e al desiderio amoroso.

« In tanta sciagura uno solo è il ricovero che la Provvidenza permette all'onest'uomo; il ricovero della coscienza. » (Lucilio Vianello a Giulio del Ponte, cap. XXII)

«Gli è come se io scrittorello di ciance pensassi: "ecco che il sommo vertice dell'umana sapienza è la filosofia metafisica; io dunque sono filosofo come Platone, e metafisico al pari di Kant!". In vero bel ragionamento e proprio da schiaffi! […] È inutile tentarlo: il cielo non si scala coi superlativi, e la volontà non basta a tener accesa una lucerna a cui vien mancando l'olio. Le anime piccole […] non si danno cura alcuna di schivar le occasioni ond'essa [l'infelicità] deriva; e da ultimo si oppone a ciò la estrema difficoltà di obbedire quell'antico precetto: Conosci te stesso!-Chi osa confessare od anche solo creder sé piccolo di cuore?» (Carlo Altoviti l'ottuagenario, cap. III)

Se leggessimo Le Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo isolando nel testo voci lessicali come coscienza, esame, confessione, dovere-ed in generale i lemmi che conducono al campo semantico della spiritualità-noteremmo la loro frequente occorrenza in momenti sospesi, narrativamente statici del racconto. Carlo Altoviti, il fittizio autobiografo ottuagenario del romanzo, lascia il profilarsi analitico delle memorie, le peripezie rivoluzionarie e gli episodi romanzeschi, per focalizzarsi su un unico momento emblematico, sintetico di tutte quelle esperienze: una nuova consapevolezza, un punto di non ritorno nella storia della propria vita. Un momento di realizzazione che dona un senso, un'unitarietà alla percezione che il Carlo-Personaggio ha di sé e del mondo che lo circonda: il senso di un'organicità del proprio essere con «quella Provvidenza che governa misteriosamente il mondo». Tali eventi rivelatori possono portare l'ottuagenario a rallentare il ritmo della narrazione e ad inserire delle digressioni corrispondenti a veri e propri esami di coscienza. Si tratta di auto-riflessioni in cui il soggetto si sofferma su un momento che avverte come catartico della propria esistenza e valuta, di conseguenza, il proprio agire morale.
È l'interpretazione di uno specifico evento riportato alla memoria in cui esperienza materiale ed elevazione della coscienza si compenetrano: la realizzazione di una certa verità pone l'anima del soggetto sulla via del perfezionamento individuale, che a sua volta si rispecchia in un ordine cosmologico assoluto. L'obiettivo di questo elaborato è quello di suggerire le modalità narrative e le strategie testuali con cui Nievo è riuscito a costruire la storia della coscienza della propria creatura letteraria, Carlo Altoviti. Mosso da una filosofia dell'esperienza reale-tipica della cultura illuminista-, egli approda ad una concezione preromantica, se non schiettamente animista, della coscienza. Intendo dire che il romanzo di Nievo potrebbe esser letto come la narrazione circostanziale e concreta di eventi fattuali che colpiscono Carlo-la prosa, il racconto autobiografico-che preparano, spiegano e motivano la narrazione dell'anima, la trascrizione dei momenti poetici in cui la coscienza di Carlo ha un sussulto spirituale: attraverso l'esperienza, la memoria e gli esami di coscienza egli saprà coglierne i frutti e indicarli ai giovani fratelli di patria, i lettori ideali del romanzo.

The article investigates Nievo’s literary canon proposal in the decade prece-ding Italian unification. Moving from his early study Sulla poesia popolare e civile massimamente in Italia, and considering how some of it’s principles (according to the often stated practical nature of the author’s poetics) are subsequently programmatically transposed in his narrative, the article eventually addresses the translations Nievo published in the immediate context of his participation in the second Italian war of independence. Following the popular and civil elements that connect the different moments of this line of development – from the mainly historical, Italian perspective in the Studii sulla poesia popolare to the contemporary, European choices suggested in his translations – the article tries to argument how Nievo’s canon imposes itself as a model of conduct for the new generations, constantly polemicizing against the ‘uselessness’ of the literary expression of some Italian second-generation Romantics.

Il saggio analizza le tipologie dei nomi propri di personaggi e di luoghi con i quali Nievo vivacizza più o meno "esoticamente" la propria prosa giornalistica, e, verificate le modalità "gratuite" della loro comparsa negli articoli, li distingue per poli di provenienza e propone un'interpretazione della loro funzione in chiave non esclusivamente linguistica.

The article focuses the culture and mythography of Risorgimento in the composition of Gadda's war diaries and his vision of 'ideal war'. Particular attention is given to the mediating role played by the memories (1899) of his uncle Giuseppe Gadda, who participated in several key events of the Risorgimento and held important political offices in the new kingdom of Italy. Following in the footsteps of the Risorgimento writers (from d'Azeglio to Nievo), C.E. Gadda considers that the problem with Italians is their character, which does not measure up to the challenges of history. The last section of the article is devoted to the influence of Mazzini's thought on Young Gadda.

C'è un grande e generoso sforzo, in questo lavoro, che lo apparenta al suo tema e ai suoi autori. Comprendere in un unico abbraccio opere gigantesche come Guerra e pace di Tolstoj e Le Confessioni d'un italiano di Nievo, insieme alla relativa bibliografica critica, e alla teoria del romanzo, non poteva che produrre un lavoro di dimensioni di poco inferiori, quasi un terzo epos. Se questo può essere rischioso per uno studio critico, va riconosciuta a Maurizio Capone una vena critica ed espressiva all'altezza del tentativo. La parte più intrigante del lavoro è quella che ne è stata forse l'occasione: verificare -finalmente -una leggenda assai suggestiva che da tanti anni attraversa la critica nieviana: che cioè il grande Tolstoj potesse aver tratto ispirazione per Guerra e pace dalle Confessioni d'un Italiano appena pubblicate, nel 1867, o non ancora pubblicate, nei brevi viaggi compiuti in Italia in quegli anni o anche ricevendone il testo o la notizia nella sua tenuta a Jasnaja Poljana. L'analisi comparativa di Maurizio Capone ha il grande merito di aver posto le basi, e anche qualcosa di più, per una lettura nuova del capolavoro nieviano grazie alla filigrana russa, quando mette a fronte temi ideologici (l'idealizzazione del mondo contadino, il popolo-nazione), strutture narrative (verso nuove forme di romanzo) e personaggi (Andrej e Carlino, Natasha e Pisana, Napoleone in Tolstoj e Napoleone in Nievo ecc.). La prima pietra è posta, il ghiaccio è rotto, il sentiero è aperto. Vediamo finalmente come se la caverà Nievo di fronte al grande romanzo europeo. In copertina: da sinistra verso destra Ippolito Nievo e Lev Tolstoj. 25,90 euro www.marioluzi.it

È la trascrizione, da vecchie bobine, dell'ultima lezione che Giancarlo Mazzacurati tenne all'Università di Napoli il 13 maggio 1991. Mazzacurati concludeva il corso "Tra «humour» e sentimento: il romanzo italiano da Foscolo a Nievo" prendendo nel contempo congedo dai suoi studenti napoletani.

Premessa di Claudio Gigante, Postilla di Francesco de Cristofaro.

Il saggio prende in esame alcuni esempi di "multiautorialità" reperiti intorno allo studio di Nievo e delle riviste del Risorgimento, avanzandone una classificazione tipologica e proponendo un'interpretazione del significato politico e letterario dello pseudonimato diffuso al tempo nel giornalismo e nella saggistica

NOTA CONTRO IL PLAGIO: dato che si sono scoperti diversi casi di plagio nei confronti dei miei lavori caricati qui su Academia.edu, si avverte che il presente saggio è stato ufficialmente consegnato come materiale d'esame (sostenuto il 15/07/2013) al corso di Sociologia della Letteratura tenuto dal prof. Cesare De Michelis presso l'Università di Padova. Chiunque si macchierà di plagio nel saccheggiare le idee e/o le parole di questo saggio incorrerà in una denuncia a chiare lettere in sede di pubblicazione -; per non dire denuncia in senso stretto. Si prega perciò, nell'usare il presente saggio, di avere la correttezza di citarlo regolarmente in nota e/o nel testo, nel rispetto dell'autorialità altrui (e propria): qualora ci sia qualche dubbio su come citare il saggio, si prega di contattare l'autrice, che risponderà in breve tempo.
~ Alessandra Munari ~

Sul legame tra la figura retorica della prosopopea e il feticismo delle merci nel Varmo e nelle Confessioni d'un Italiano.
On the link between personification and commodity fetishism in Il Varmo and Le Confessioni d'un Italiano. 

Atti della giornata di studi su Nievo, 19 novembre 2014 Università degli Sudi di Roma Tor Vetgata, promossa dalla Fondazione Nievo.

This research articulates three main axes: a philological and semantic reading of Ippolito Nievo’s work, which is strictly associated with the study of the critical bibliography; the reasoned hypothesis of the fundamental existence of the humourous principle in the novel’s own structure and the systematic study of its theoretical problematization; and, the location and methodical use of the most appropriate analytical instruments for an analysis of the novel based on these choices. Theoretical thought about the very notion of humor began during the first thirty years of the 20th century with Freud, Bergson and Pirandello’s renowned studies. What’s more, Francesco Orlando and Tzvetan Todorov’s arguments linked the Freudian perspective to structural linguistics as well as to Chaïm Perelman and Lucie Olbrechts-Tyteca’s neo-rhetorics. Thus, the analysis of the first chapter of Confessioni establishes an argumentative function of the notion of humor’s formal and fundamental phenomena. It also clearly reveals the strategic relevance of this fundamental section of the novel through the presence of a sort of koinè that becomes evidently manifest during the first chapter, but it also appears throughout the entire work.