2) Soggetti 24-03 2023-07-21 14 - 04 - 08
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Diritto Privato
Alessandro Castro
Alessandro Castro
I SOGGETTI
CAPACITÀ GIURIDICA
I destinatari delle norme giuridiche vengono comunemente definiti “soggetti di diritto”.
Per soggetti di diritto intendiamo coloro che sono idonei, secondo l’ordinamento, a divenire
titolari di situazioni giuridiche. Ma non vi è sempre coincidenza fra soggetti di diritto ed individui.
Nel nostro ordinamento, di fatti, sono distinguibili due categorie di soggetti di diritto:
I soggetti persone
Gli enti
Tradizionalmente veniva effettuata la distinzione tra persone fisiche e persone giuridiche, questa
però è stata abbandonata con l’avvento della Costituzione, la quale è fondata sul principio
personalistico, ossia sulla centralità dell’individuo.
In passato veniva considerata la radice etimologica del termine persona, la quale proviene dal
greco e significa “maschera”. Si voleva quindi invocare l’idea di una costruzione.
In questo modo, le persone non erano un’essenza, ma erano il significato che l’ordinamento
attribuiva ad un’entità, umana o meno. (argomento trattato in dettaglio in prox. Documento)
I SOGGETTI PERSONA
L’ordinamento giuridico italiano riconosce agli individui la capacità giuridica, ossia l’attitudine a
divenire titolari di diritti, obblighi e più in generale di posizioni giuridiche attive e passive.
Art.1: “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita.
I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita.”
Il codice civile incarna il principio di eguaglianza formale, sancito all’art.3 della Costituzione, ed
individua come soggetto di diritto gli individui, senza alcuna distinzione di carattere socio-
economico. Vengono superate attraverso il principio di eguaglianza formale le forti discriminazioni
sociali, culturali e religiose che si sono verificate nei secoli precedenti.
La capacità giuridica si acquista al momento della nascita e non si perde per alcuna ragione,
nemmeno nel caso di condanna penale per reati gravissimi.
Capacità significa attitudine a diventare titolare di diritti o doveri, ed indica una posizione di
potenzialità, non una condizione di effettività.
Di fatti i soggetti al momento della nascita, non acquistano immediatamente diritti, salvo i diritti di
della personalità.
Ma il codice permette di destinare diritti anche a chi non sia nato, come il nascituro od il
concepito. L’acquisto di questi diritti è subordinato al momento della nascita.
Ma si parla pur sempre di un’eventualità, poiché non comune a tutti i nascituri o concepiti.
Dalla nascita fino al compimento del 18esimo anno di età il nato si trova nella condizione di
“minore età”, che rappresenta una condizione di incapacità totale di agire.
Il soggetto per quanto possa essere titolare di situazioni attive o passive, non può esercitarle.
Infatti non può compiere autonomamente atti giuridici.
Si diventa capaci di agire al compimento del 18esimo anno di età, salvo casi di acquisto
anticipato. Soltanto successivamente sarà possibile compiere validi atti giuridici.
Per quanto riguarda l’acquisto e la perdita della capacità giuridica, bisogna attribuire rilevanza
all’inizio ed alla fine della vita delle persone.
Secondo la giurisprudenza, un soggetto si considera nato successivamente al parto, a condizione
che il neonato sia vivo e capace di autonoma respirazione polmonare, ed abbia delle attività
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neurologiche. È importante decretare l’esistenza dell’individuo poiché se esso fosse stato indicato
come erede, e questo non fosse venuto al mondo si creerebbe un fenomeno circolatorio di diritti.
Per quanto riguarda la morte, il momento finale della vita umana viene individuato nella
cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo, ossia nella morte cerebrale.
La morte costituisce l’iniziazione di fenomeni successori.
Infine, vi è la residenza (art43 comma II), che è definita come il luogo in cui la persona
abitualmente dimora.
Vi è quindi l’elemento materiale dato dall’effettiva e abituale presenza fisica in un certo luogo, al
quale si aggiunge l’elemento formale rappresentato dall’iscrizione all’anagrafe del comune ove la
residenza è situata.
Il domicilio si sposta di conseguenza allo spostamento dell’attività principale.
Il trasferimento di residenza è molto più semplice e frequente, e può essere opposto ai terzi dopo
che questo venga denunciato, effettuando una comunicazione al Comune.
Decorsi due anni dal giorno in cui risale l’ultima notizia il Tribunale può decretare l’assenza.
(art.49).
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Una volta divenuta esecutiva la sentenza con cui viene decretata l’assenza, viene ordinata
l’apertura degli atti di ultima volontà dell’assente, e vengono immessi nel possesso temporaneo
dei sui beni gli eredi testamentari o legittimi. (art.50)
Per ottenere l’immissione temporanea dei beni dello scomparso è necessario fare, perché
nell’eventualità in cui il soggetto dichiarato assente torni, sarà necessario restituire i beni nello
stato in cui essi si trovavano nei giorni in cui i suoi eredi sono stati immessi nel possesso.
Se si ha la certezza che il soggetto dichiarato assente sia in realtà morto, gli effetti temporanei
diventano definitivi a favore di coloro che sarebbero eredi alla sua morte
Durante l’assenza non i beni non possono essere alienati.
Gli obbligati nei confronti dell’assente si possono considerare temporaneamente esonerati
dall’adempimento.
Se l’assente ritorna, la dichiarazione di assenza cessa automaticamente, ed ha diritto alla
restituzione dei beni e al rimborso di un terzo delle rendite percepite, ma solamente in caso di
assenza involontaria e giustificata. (art.56)
Se durante il possesso temporaneo è provata la morte dell’assente si apre la successione (art 57).
Decorsi dieci anni dal giorno in cui si ha avuto l’ultima notizia dell’assente il Tribunale può
dichiarare la sua morte presunta. (art.58)
Per cui si apre definitivamente la successione, ed i debitori del presunto morto possono
considerarsi liberati. Inoltre il coniuge può contrarre nuovamente matrimonio. (art.63/65).
Se viene accertata l’esistenza del morto presunto egli recupera i suoi beni, può pretendere
l’adempimento delle obbligazioni ormai estinte, infine viene reso nullo il nuovo matrimonio
contratto dal coniuge.
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La gestante nei primi 90gg può interrompere la gravidanza con maggiore ampiezza di presupposti.
Questo poiché la gravidanza non è sempre frutto di una scelta.
L’art.4 stabilisce che la donna può interrompere volontariamente la gravidanza entro i primi 90gg,
se accusa circostanze, per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità,
comporterebbero pericoli psichici e fisici, o pregiudizi economici, sociali o familiari.
Può quindi rivolgersi ad un consultorio pubblico o ad una struttura sociosanitaria, o a un medico di
sua fiducia.
Dopo i primi 90gg lo stadio di sviluppo del feto è ritenuto tale da poterlo considerare una vita in
formazione e vi è un irrigidimento dei presupposti.
L’art.6 stabilisce che l’interruzione volontaria della gravidanza può essere praticata dopo i primi
90gg quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna.
O anche quando siano accertati processi patologici nel feto, tra cui rilevanti anomalie che
determinino gravi conseguenze alla salute fisica o psichica della donna.
Il legislatore compie un bilanciamento di interessi e privilegia la salvaguardia della vita in essere.
Questa legge è stata necessaria, ed imposta dall’esigenza di dover ovviare a situazioni incresciose
quali le gravidanze clandestine.
Con l. 194/78 il concepito viene considerato come un’entità vitale, da prendere in considerazione,
nonostante non sia ancora munito della soggettività.
Bisogna prendere in analisi anche la 40/2004 che disciplina la procreazione medicalmente assistita
e contiene disposizioni funzionali alla tutela dell’embrione.
Questa legge è però stata oggetto di più interventi da parte della Corte Costituzionale, che hanno
determinato una totale riscrittura della norma che poggiava inizialmente su 3 norme preclusive:
Divieto di fecondazione eterologa
L’obbligo di impiantare non più 3 ovuli contestualmente
Divieto di analisi pre-impianto, e il divieto di crio-conservazione degli ovuli non sfruttati.
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Il concepito può essere tutelato nella sua integralità nella fase prenatale?
Oppure in quanto non è soggetto del diritto, per tutti i danni che egli subisca prima di nascere, non è possibile irrogare
alcuna forma di tutela?
Vedi altro documento dove è delineato il percorso giurisprudenziale.
LA CAPACITA’ DI AGIRE
La capacità di agire è l’attitudine del soggetto a compiere validamente atti giuridici, ovvero quei
comportamenti idonei a modificare la sfera giuridica dell’autore.
Ossia la capacità di compiere autonomamente e validamente atti negoziali sia ordinari e
straordinari.
Art.2 La capacità di agire è il naturale completamento della capacità giuridica, in quanto consente
il valido esercizio dei diritti di cui il soggetto è titolare.
Gli atti compiuti da una persona che manca di capacità di agire sono annullabili, e quindi
dispiegano i loro effetti fin tanto che non siano annullati dal giudice su istanza del soggetto
interessato. Inoltre la mancanza di capacità di agire priva di efficacia le dichiarazioni di scienza.
Viene individuato il 18° anno di età per l’acquisizione della capacità di agire poiché si presuppone
che il soggetto abbia raggiunto un livello adeguato di maturità e sia in grado di provvedere ai
propri interessi.
Il legislatore al secondo comma dell’art.2 ha voluto prevedere un caso di un’acquisizione
anticipata ma limitata nei confronti del minore lavoratore.
Esso acquista capacità di agire limitatamente ai diritti e i rimedi nascenti relativamente ad un
rapporto di lavoro.
(Si ritiene però che i minori possano validamente compiere tutti gli atti della vita quotidiana in
quanto si presume che agiscano in forza di una procura tacitamente ricevuta dai genitori.)
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Gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione sono quelli che determinano una modificazione del
patrimonio del soggetto a cui si riferiscono. Sono tali gli atti con cui si cedono o acquistano diritti.
Gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione vengono elencati nell’art 320.
Il codice ricorre ad un’elencazione meramente indicativa e non esaustiva.
Per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, è necessaria l’autorizzazione del giudice
tutelare, la quale deve essere rilasciata antecedentemente al compimento dell’atto e non può
essere sostituita da un’autorizzazione posteriore con efficacia retroattiva.
Al di fuori dei casi legislativamente previsti si ritengono eccedenti l’ordinaria amministrazione gli
atti in grado di modificare la struttura e la consistenza del patrimonio amministrato.
I capitali non possono essere riscossi senza autorizzazione del giudice tutelare, il quale ne
determina l’impiego.
I genitori non possono esercitare un’impresa commerciale senza autorizzazione del Tribunale che
si pronuncia su parere del giudice tutelare, il quale può consentire l’esercizio provvisorio fino a
quando il tribunale non deliberi istanza.
Se nell’amministrazione dei beni sorge un conflitto tra figlio e genitori il giudice nomina un
curatore. Se il conflitto sorge tra il figlio ed un solo genitore, la rappresentanza spetta
esclusivamente all’altro genitore.
Se non vengono rispettate le norme relative agli atti di straordinaria amministrazione, questi atti
secondo l’art 322 sono annullabili, su istanza dei genitori, del figlio o dei suoi eredi o aventi causa.
(L’annullabilità è una delle due forme di invalidità dell’atto giuridico
L’invalidità è: nullità o annullamento.
La nullità è la forma più radicale.
L’annullamento è una forma di invalidità che presuppone che l’atto possa produrre effetti, ma consente alla parte a
protezione della quale la causa di annullamento è s
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Si definisce legittimato attivo, il soggetto riconosciuto dalla legge come titolare dell’interesse e
quindi della legittimazione a poter agire in giudizio.
Sono legittimati attivi, quindi possono proporre domanda di annullamento al giudice, i genitori, sia
il figlio stesso, i suoi eredi o aventi causa.
L’erede è chi succederebbe al minore, qualora il minore morisse e si dovrebbe succedere ab-
intestato. Gli aventi causa sono coloro che sono in rapporto giuridico con il minore, e hanno
acquisito diritti da questo.
L’art.323 enumera degli atti che sono vietati, e quindi non possono essere compiuti dai genitori,
come ad esempio l’acquisto di beni e dei diritti del minore.
Gli atti compiuti in violazione del divieto possono essere annullati su istanza dei legittimati attivi.
I genitori non possono divenire cessionari di alcuna ragione o credito verso il minore.
Ai sensi dell’art.324 i genitori godono dell’usufrutto sui beni del figlio, salve delle eventualità quali:
Beni acquisiti dal figlio con proventi del proprio lavoro
Beni lasciati al figlio per intraprendere una carriera
Beni lasciati con condizione che i genitori esercenti la responsabilità legale non ne abbiano
l’usufrutto
Beni pervenuti al figlio per eredità, legato o donazione, accettati dal figlio contro la volontà
degli esercenti la responsabilità genitoriale, se uno di essi era favorevole a questo spetta
l’usufrutto legale.
Infine ai sensi dell’art.326 l’usufrutto dei genitori non può essere oggetto di alienazione, ipoteca o
esecuzione da parte dei creditori.
L’esecuzione sui frutti dei beni del figlio, da parte dei creditori dei genitori, non può avere luogo se
il creditore sapeva che i debiti erano stati contratti per scopi estranei ai bisogni familiari.
Ai sensi dell’art.330 vi sono delle eventualità dove il giudice può pronunziare la decadenza della
responsabilità genitoriale ovvero:
Quando il genitore viola o trascura i propri doveri
Quando il genitore abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio
In casi gravi il giudice può anche ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare, o
l’allontanamento dal genitore che maltratta o abusa del minore.
Nell’eventualità in cui i genitori non vi siano, o siano viventi ma decaduti dalla responsabilità
genitoriale, si apre l’istituto della TUTELA DEI MINORI.
Il tutore può essere designato per testamento, per atto pubblico o scrittura privata, da parte del
genitore che per ultimo ha esercitato la responsabilità genitoriale.
Se manca la designazione o questa non è possibile per gravi motivi, la scelta del tutore avviene tra
gli altri parenti ed affini prossimi del minore.
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Il minore ai sensi dell’art.358 è tenuto a rispettare il tutore, e non può abbandonare la casa o
l’istituto a cui è destinato senza il permesso del tutore, qualora si allontani senza permesso il
tutore ha diritto a richiamarlo ricorrendo se necessario al giudice tutelare
Il tutore è però soggetto ad un intenso controllo giudiziale infatti esso deve redigere l’inventario
dei beni e rendere conto della gestione. Inoltre è obbligato a depositare il denaro e gli oggetti
preziosi esistenti nel patrimonio del minore presso un istituto di credito designato dal giudice
tutelare. Per inventario intendiamo l’elencazione di tutti i diritti ed obblighi facenti capo al minore.
La norma che detta il contenuto dell’inventario è l’art.364, ed indica che nell’inventario devono
essere iscritte tutte le scritture relative al patrimonio del minore.
Vi è una disciplina particolare dell’inventario nel caso in cui il minore disponga di un’azienda,
art.365: se nel patrimonio del minore vi sono aziende gli inventari vengono redatti con l’assistenza
e l’intervento, del ministero cancelliere del tribunale, di un notaio, del protutore e del minore se
ha compiuto anni 16, alla presenza di 2 testimoni scelti fra parenti o amici. Inoltre l’inventario è
depositato presso il tribunale ed il loro riepilogo è riportato nell’inventario generale.
Art.371 successivamente alla redazione dell’inventario, il giudice tutelare delibera in merito
all’educazione e all’amministrazione nei riguardi del minore.
Il giudice delibera:
sul luogo dove il minore deve essere cresciuto ed avviato agli studi ed all’esercizio di una
professione
Sulla spesa annua che occorre per il mantenimento e l’istruzione del minore
Sulla convenienza di continuare o alienare le aziende commerciali che si trovano nel
patrimonio del minore
Se il giudice ritiene utile la continuazione dell’esercizio di impresa, il tutore deve domandare
l’autorizzazione del tribunale all’esercizio di impresa, ma può anche essere autorizzato in via
provvisoria dal giudice tutelare.
Per quanto riguarda gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione la disciplina della tutela
distingue:
Atti di straordinaria amministrazione
Atti di disposizione
Gli atti di straordinaria amministrazione hanno un minore impatto sul patrimonio del minore
Mentre gli atti di disposizione hanno un maggiore impatto sul patrimonio.
Gli atti di straordinaria amministrazione possono essere compiuti soltanto dopo che il tutore sia
stato autorizzato dal giudice tutelare. Art.374
Per gli atti di disposizione è necessaria l’autorizzazione del Tribunale. Art.375
Il giudice tutelare è un giudice monocratico.
(Art 374 e 375 si applicano a tutte le forme di incapacità)
A tal proposito il codice regola all’art.374 gli atti per cui è necessaria l’autorizzazione del giudice
tutelare es.:
Accettazione o rinunzia eredità, o accettazione donazioni o legati soggetti a pesi o
condizioni
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Fare contratti di locazione di immobili ultra novennali o che si prolunghino oltre un anno
dal raggiungimento della maggiore età
Mentre all’art.375 individua gli atti per cui è necessaria l’autorizzazione del tribunale:
Alienazione beni, eccetto frutti e beni mobili soggetti a deterioramento
Costituzione pegni o ipoteche
Fare compromessi, transazioni o accettare concordati
Il Tribunale concede l’autorizzazione su parere del giudice tutelare.
Il legislatore prevede che il tutore non possa compiere determinati atti, individuati all’art.378
Questi atti sono acquisto di beni e diritti del minore, presa in locazione dei beni del minore senza
l’autorizzazione del giudice tutelare.
Gli atti compiuti in violazione di questi divieti possono essere annullati dai legittimati attivi del
precedente articolo salvo ovviamente il tutore o il protutore che compie gli atti
Inoltre sia tutore che protutore non possono divenire cessionari di alcuna ragione o crediti verso il
minore
Art 379: il legislatore evidenzia la gratuità della tutela, salvo in casi di patrimonio particolarmente
cospicuo, per cui intervengano difficoltà nell’amministrazione, il giudice tutelare può assegnare al
tutore un’equa indennità. In particolari circostanze, previo parere del protutore può autorizzare il
tutore a farsi coadiuvare nell’amministrazione da persone stipendiate.
In caso di conflitto di interessi tra tutore e minore, questo venga rappresentato da un protutore.
Infine, il legislatore prevede, che sia la rappresentanza legale, che la tutela non possano riguardare
gli atti strettamente personali, che presuppongono una scelta che deve essere necessariamente
compiuta dal minore.
Inoltre il legislatore prevede che il consenso informato al trattamento sanitario può essere
espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore, tenendo conto della
volontà del minore, e avendo come scopo la tutela della sua salute.
Nel caso in cui il rappresentante legale del minore, rifiuti le cure, ed il medico le ritenga necessarie
la decisione è rimessa al giudice tutelare, su ricorso del rappresentante legale o del medico.
IL MINORE EMANCIPATO
Il legislatore prevede l’ipotesi di acquisto anticipato di una parziale capacità di agire.
È questo il caso dell’emancipazione.
Il minore che viene autorizzato a contrarre matrimonio viene di diritto considerato minore
emancipato ed acquista una limitata capacità di agire.
Acquista la capacità di compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione, mentre per gli altri atti è
assistito da un curatore, che non si sostituisce a lui, ma esprime il suo consenso partecipando
all’atto.
L’art.390 delinea lo stato di emancipato, secondo cui il minore è emancipato di diritto con il
matrimonio.
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Nel momento in cui il matrimonio è stato perfezionato ed è sorto il vincolo di coniugio, il minore
diviene emancipato e quindi muta il proprio status.
L’emancipato è limitatamente capace di agire poiché può compiere da sé, gli atti di ordinaria
amministrazione.
Per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, dovrà essere affiancato dal curatore, e dovrà
chiedere l’autorizzazione del giudice tutelare (per gli atti di straordinaria amministrazione art.374),
o del tribunale, se il curatore non è il genitore (atti di disposizione art.375).
Il curatore a differenza del tutore non è un rappresentante ed infatti non ha il potere di agire in
nome e per conto del minore, e non si sostituisce ad esso.
Il curatore si limita ad affiancare al minore.
L’atto eccedente l’ordinaria amministrazione è compiuto dall’emancipato, ma affinché questo atto
sia valido sono necessari due requisiti:
Il consenso del curatore
L’autorizzazione del giudice tutelare o del Tribunale.
La scelta del curatore è regolata dall’art.392, secondo cui in caso di matrimonio fra minore e
maggiore di età, il curatore viene individuato nel coniuge maggiore d’età.
In caso di matrimonio tra minori, il giudice tutelare nomina curatore uno dei genitori dei due
coniugi.
Se il matrimonio dovesse essere annullato o dovessero cessare i suoi effetti civili, per una causa
diversa dall’età il giudice tutelare nomina curatore uno dei genitori del minore.
Se il minore contrae successivamente matrimonio, il curatore lo assiste nel compimento degli atti.
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Per gli atti di cui all’art.375 è necessario il consenso del curatore e se questo non è il genitore,
l’autorizzazione del Tribunale.
Se nasce conflitto tra curatore e minore, viene nominato un curatore speciale.
Se il curatore si rifiuta di dare il proprio consenso, allora ai sensi dell’art.395, l’emancipato può
rivolgersi al giudice tutelare, il quale se dovesse ritenere il rifiuto ingiustificato, può nominare un
curatore speciale che deve assistere il minore relativamente al compimento di quel determinato
atto.
L’atto compiuto in violazione di queste disposizioni è annullabile ai sensi dell’art. 396 su istanza del
minore, dei suoi eredi e degli aventi causa. Inoltre al curatore vengono applicati i divieti di cui
all’art.378.
Ai sensi dell’art.397, il minore può essere autorizzato dal Tribunale ad esercitare autonomamente
un’impresa commerciale, previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore.
L’autorizzazione può essere revocata dal tribunale su istanza del curatore o su istanza di ufficio,
previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore.
Il minore emancipato autorizzato all’esercizio di impresa, diventa totalmente capace di agire,
anche riguardo gli atti estranei all’esercizio dell’impresa.
Infine per quanto riguarda il consenso informato al trattamento sanitario, il minore emancipato
ha la possibilità di decidere autonomamente.
Con il compimento del 18esimo anno di età il minore diventa pienamente capace di agire.
Il legislatore prevede anche possibilità di perdita della capacità di agire, la quale, può essere persa
del tutto o parzialmente.
L’acquisto della capacità di agire, è legato al fatto che di regola si ritiene che il soggetto che ha
raggiunto la maggiore età sia sufficientemente maturo, quindi si presuppone che il 18enne sia in
grado di compiere delle scelte con pieno discernimento.
Non è detto però che tutti versino in questa condizione.
Esistono soggetti deboli, affetti da patologie, che l’ordinamento vuole proteggere, per evitare che
a causa dei loro deficit cognitivi, essi possano compiere atti dannosi nei propri confronti, e per
evitare che terzi possano approfittare di questa condizione di debolezza.
L’INTERDIZIONE
Art.414 È un istituto rivolto ai maggiori di età o minori emancipati che si trovino in condizioni di
abituale infermità che rende il soggetto incapace di provvedere ai propri interessi. Pertanto sono
interdetti per assicurare loro un’adeguata protezione.
Non è però sufficiente la sola infermità mentale, è necessaria una sentenza da parte del Tribunale.
Sono parenti secondo l’art 74 del codice, tutti coloro i quali sono legati dal vincolo di discendenza
di uno stesso soggetto che prende il nome di capo stipite.
La parentela può essere:
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Ai sensi dell’art.418, una volta incardinato un giudizio per inabilitazione o interdizione, il giudice su
istanza d’ufficio, o su richiesta del PM, può decidere di applicare altri istituti qualora lo ritenga più
opportuno.
Quindi nel corso del giudizio di interdizione il giudice può dichiarare d’ufficio l’inabilitazione per
infermità di mente.
Nel corso del giudizio di inabilitazione, se sussistono le condizioni richieste per l’interdizione il PM
fa istanza al tribunale di pronunciare l’interdizione ed il tribunale provvede nello stesso giudizio.
Se nel corso del giudizio di interdizione o inabilitazione appare opportuno applicare
l’amministrazione di sostegno il giudice, dispone la trasmissione del procedimento al giudice
tutelare.
Art.419 Il giudice deve verificare che sussistano i presupposti di cui all’art.414, e per farlo può
avvalersi di un consulente tecnico, e può sottoporre l’interdicendo o l’inabilitando ad un esame
medico. Il giudice può anche interrogare i parenti prossimi dell’interdicendo o inabilitando.
Dopo l’esame se opportuno può nominare un tutore provvisorio all’interdicendo o un curatore
provvisorio all’inabilitando.
L’interdizione, salvo i casi di cui all’art.416 riguardanti i minori non emancipati, ha efficacia dal
giorno di pubblicazione della sentenza, come sancito dall’art.421, per i minori ha efficacia dal
compimento del 18esimo anno.
Inoltre ai sensi dell’art.423, tutti i provvedimenti giudiziari relativi all’interdizione sono soggetti ad
un doppio regime di pubblicità, essi vengono iscritti presso la cancelleria del Tribunale e trasmessi
entro 10 giorni all’ufficiale dello stato civile che ne fa annotazione in margine all’atto di nascita.
Art.424 All’interdetto si applicano le disposizioni sulla tutela dei minori. All’inabilitato le stesse
disposizioni del minore emancipato.
Per cui l’interdetto è rappresentato da un tutore, suo rappresentante legale
L’inabilitato è assistito da un curatore.
Il tutore può compiere da solo gli atti di ordinaria amministrazione del patrimonio dell’interdetto.
Art.425 Nessuno è tenuto a continuare nella tutela e nella curatela oltre 10 anni se non è coniuge,
stabile convivente o ascendente o discendente.
Art.427 (comma II) può essere stabilito che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere
compiuti dall’interdetto senza l’intervento o con l’assistenza del tutore, e può essere altresì essere
stabilito che taluni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti
dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore.
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Gli atti compiuti dall’interdetto in seguito alla sentenza di interdizione possono essere annullati su
istanza del tutore, dell’interdetto, dei suoi eredi o aventi causa.
Sono annullabili anche gli atti compiuti dall’interdetto dopo la nomina del tutore provvisorio, se
segue una sentenza di interdizione.
In egual misura sono annullati gli atti dell’inabilitato eccedenti l’ordinaria amministrazione qualora
non siano osservate le prescritte formalità, e gli atti compiuti dopo la nomina del curatore
provvisorio, qualora segua una sentenza di inabilitazione.
Gli atti compiuti dall’interdetto prima della sentenza di interdizione o prima della nomina del
tutore provvisori sono annullabili ai sensi dell’art.428
La riforma del 2004 ha attribuito al giudice il potere di stabilire che l’interdetto possa continuare a
compiere taluni atti di ordinaria amministrazione. (modificando l’art 427)
Il potere del tutore ovviamente non si estende agli atti strettamente personali, i quali non
possono essere compiuti dall’interdetto, salvo previsto dal giudice.
Art.429 Infine, quando viene meno la causa di interdizione o inabilitazione, queste misure possono
essere revocate su istanza del coniuge, parenti entro il 4°grado, affini entro il 2°, del tutore
dell’interdetto e del curatore dell’inabilitato, o del PM.
Può essere altresì disposto che il soggetto venga assistito da un amministratore di sostegno.
Art.422 La sentenza di revoca è soggetta alla stessa pubblicità di quella che dispone l’interdizione,
ma produce i suoi effetti soltanto nel momento in cui passa in giudicato.
Per quanto riguarda il consenso informato al trattamento sanitario della persona interdetta,
questo è espresso o rifiutato dal tutore sentito l’interdetto e avendo come scopo la tutela della
sua salute.
Oltre all’interdizione giudiziale, esiste anche quella legale, la quale costituisce una sanzione
accessoria che il giudice penale irroga a chi sia stato condannato per un periodo di tempo non
inferiore a 5 anni.
L’INABILITAZIONE
L’inabilitazione è una forma di incapacità che conduce alla perdita parziale della capacità di agire,
ed è prevista per quei soggetti le cui infermità non sono talmente gravi da renderli incapaci di
provvedere ai propri bisogni.
Ai sensi dell’art.415 può essere dichiarato inabilitato il maggiore di età infermo di mente, le cui
infermità non sono talmente gravi da far luogo all’interdizione.
Possono altresì essere inabilitati coloro che per prodigalità o abuso abituale di alcolici o
stupefacenti espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici.
Sono inabilitabili il sordo ed il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, salvo che questi non
abbiano avuto un’adeguata educazione.
Per quanto riguarda i non vedenti la l.18/1975 prevede che questi sono capaci di agire a meno che
non siano stati interdetti o inabilitati.
Il cieco ha il diritto a farsi assistere da una persona di sua fiducia per il compimento degli etti, e la
sottoscrizione degli atti può avvenire tramite segno-croce, ma in tal caso l’atto deve essere
sottoscritto anche da due testimoni.
Ovviamente, non basta che un soggetto versi in una di queste condizioni poiché è sempre
necessaria una sentenza sollecitata dagli stessi soggetti legittimati attivi dell’interdizione, ai sensi
dell’art.417.
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Si riferiscono all’inabilitazione anche gli artt.: 418 – 419 – 421 – 422 – 427 – 429.
Sempre attraverso la riforma del 2004, il giudice ha il potere di disporre che l’inabilitato sia capace
di compiere uno o più atti di straordinaria amministrazione anche senza l’assistenza del curatore.
L’inabilitato può anche essere autorizzato all’esercizio di impresa.
L’inabilitato può esprimere autonomamente il proprio consenso informato ai trattamenti sanitari.
L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
Tuttavia questi strumenti, introdotti nel ‘42 e modificati nel corso degli anni, non hanno avuto
amplia applicazione poiché sempre reputati dalla collettività come istituti infamanti.
Vi è l’errata convinzione che questi istituti abbiano finalità punitive, e per questo motivo i
legittimati attivi, erano restii a ricorrervi.
Inoltre la rigida previsione dell’infermità mentale come presupposto di applicazione, rischiava di
lasciare privi di tutela soggetti incapaci di provvedere ai propri bisogni, in via temporanea.
E d’altra parte vi era una limitazione drastica della capacità di agire, rispetto alle reali esigenze.
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Alessandro Castro
Art.405 Il giudice tutelare entro 60gg dalla presentazione della richiesta nomina l’amministratore
di sostegno con un decreto motivato immediatamente esecutivo.
Se il decreto riguarda un minore non emancipato, può essere emesso nell’ultimo anno della sua
minore età e diventa esecutivo nel momento in cui raggiunge la maggiore età.
Se l’interessato è interdetto o inabilitato, il decreto è esecutivo dalla pubblicazione della sentenza
di revoca dell’interdizione o inabilitazione.
Il giudice qualora sussista la necessità può nominare un amministratore di sostegno provvisorio
indicando gli atti che è autorizzato a compiere.
Qualsiasi modifica del giudice tutelare nel decreto deve essere annotata a cura del cancelliere
nell’apposito registro.
Il decreto di apertura e chiusura dell’amministrazione deve essere comunicato entro 10gg
all’ufficiale dello stato civile per le annotazioni in margine all’atto di nascita.
Se l’incarico è a tempo determinato, le annotazioni devono essere cancellate al termine indicato.
Art.407 Procedimento: è necessaria l’indicazione delle generalità del beneficiario, la sua dimora
abituale, le ragioni per cui si chiede la nomina dell’amministratore, e le generalità di quest’ultimo.
Ovviamente il giudice può disporre di consulenze tecniche e mediche ai fini della decisione.
Le decisioni del giudice possono essere sempre integrate e modificate attraverso il decreto di
nomina. Nel procedimento interviene anche il PM.
Art.408 Regola la scelta dell’amministratore: viene stabilito che lo stesso beneficiario può
designare l’amministratore, mediante precedente atto pubblico o scrittura privata autenticata. In
presenza di gravi motivi, ovviamente il giudice tutelare può nominare amministratore un soggetto
diverso. Nella scelta il giudice preferisce il coniuge, lo stabile convivente, i genitori, il figlio, i fratelli
ed i parenti entro il quarto grado.
Non possono ricoprire le funzioni di amministratore gli operatori dei servizi pubblici o privati che
hanno in cura o in carico il beneficiario.
Art.409 Effetti: Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la
rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno.
Può sempre compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.
Quindi, alcune tipologie di atti possono essere affidate all’amministratore di sostegno che avrà
potere di rappresentanza, oppure l’amministratore di sostegno potrebbe limitarsi ad affiancare il
beneficiario. Pertanto l’amministratore può essere un rappresentante o potrebbe esercitare le
medesime funzioni del curatore.
All’art.411 viene stabilito che il giudice possa disporre determinati effetti, limitazioni o scadenze.
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Alessandro Castro
L’art.412, gli atti compiuti dall’amministratore in violazione delle disposizioni di legge o in eccesso
rispetto ai suoi incarichi possono essere annullati su istanza dello stesso, del PM, del beneficiario,
dei suoi eredi o degli aventi causa.
Possono essere annullati anche gli atti compiuti dal beneficiario in violazione delle disposizioni di
legge o di quelle contenute nel decreto, su istanza dell’amministratore, del beneficiario, dei suoi
eredi o aventi causa,
Le azioni relative si prescrivono in 5 anni ed il termine decorre dal momento in cui cessa
l’amministrazione di sostegno.
L’INCAPACITA’ NATURALE
Il legislatore ha voluto prevedere in considerazione l’eventualità in cui un soggetto capace di agire,
si trovi in situazioni di incapacità di intendere o di volere, nel momento in cui compia un atto.
Questa situazione priva il soggetto della capacità di autodeterminarsi esprimendo una volontà
consapevole. Viene quindi delineata l’incapacità naturale.
L’incapacità naturale è un istituto che si applica a soggetti capaci di agire, che per ragioni da loro
non dipendenti si trovano in una condizione di incapacità di intendere e di volere.
È incapace di intendere e di volere colui il quale momentaneamente per ragione transeunte, non è
in grado di comprendere il significato giuridico degli atti che compie, per cui è in difetto di
discernimento.
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Alessandro Castro
Questi soggetti non possono essere protetti rendendoli incapaci di agire, poiché costituirebbe una
misura drastica ed eccessiva, e poiché venuta meno la causa transitoria di perdita di lucidità
l’individuo torna capace di agire.
L’art.428 affida la protezione di questi individui viene affidata ad una tutela dell’atto.
Legittima costoro a domandare l’annullamento dell’atto che hanno compiuto quando erano in
condizioni di incapacità. La tutela è soltanto di tipo invalidatoria.
Gli atti c428malaompiuti da persona non interdetta, incapace in via transitoria di intendere e di
volere, nel momento del compimento dell’atto, possono essere annullati su istanza della persona
stessa, dei suoi eredi o degli aventi causa, se dovesse risultare un grave pregiudizio all’autore.
L’annullamento dei contratti può essere pronunziato solo se, per il pregiudizio che sia derivato o
possa derivare all’autore dell’atto, il contraente risulta in malafede.
L’azione si prescrive nel termine di 5 anni dal giorno in cui l’atto o il contratto è stato compiuto.
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Alessandro Castro
Riguardo i diritti della personalità, si sono susseguite diverse teorie come ad esempio la teoria
monista che per evitare la frammentazione della persona umana in una pluralità di aspetti,
riconduceva tutti i diritti della personalità ad una unità.
Nella teoria moderna, tali diritti non sono più solamente una garanzia della persona rispetto ai
poteri pubblici, ma possono anche essere fatti valere anche nei conflitti privati.
Ad oggi vi è una teoria pluralistica, che evidenzia la necessità di individuare i singoli diritti della
personalità.
I diritti della personalità nascono già realizzati ed appagati, visto che l’individuo ne diviene sin da
subito titolare.
Hanno la funzione di innalzare il livello di protezione di alcuni aspetti della personalità umana,
individuati dal legislatore come i profili della sfera umana soggettiva ed intellettiva, che più
rispetto ad altri sono a rischio di lesione.
In passato vi era l’errata convinzione che i diritti della personalità fossero tipici ma i mutamenti
sociali sollecitano la creazione di nuovi diritti della personalità, e un’estensione della loro tutela
rispetto a nuovi ambiti e nuove situazioni.
I diritti della persona tutelati dall’ordinamento italiano non derivano esclusivamente da norme
statuali, taluni provengono da:
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo -> Onu nel 1948
CEDU e CDFUE
Convenzione internazionale per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale
Altri patti, ratificati intorno agli anni 60
L’ampliamento della tutela dei diritti della personalità rispetto alle possibili aggressioni da parte
dei consociati ha consentito alla giurisprudenza di estendere il risarcimento del danno non
patrimoniale anche al di fuori dei casi di reato.
È prevista la tutela risarcitoria, ma in taluni casi tassativamente previsti dalla legge è prevista
anche la tutela inibitoria.
I diritti della personalità sono classificabili come diritti assoluti, che spettano ad ogni soggetto in
quanto tale e possono essere esercitati indipendentemente da un preesistente rapporto giuridico.
La loro funzione non è quella di instaurare rapporti giuridici.
I diritti della personalità hanno una struttura differente rispetto a quella dei diritti patrimoniali.
I diritti patrimoniali hanno finalità attributive, e riconoscono una sfera di agere licere al cui interno
è presente una facultas agendi. Invece l’oggetto del diritto della personalità appartiene già
all’interiorità dell’individuo e non richiede l’acquisizione di utilità esterne per soddisfare
l’interesse. I diritti della personalità hanno in tal senso finalità attributiva.
Art.4, la commorienza.
La commorienza è una presunzione relativa, secondo la quale quando un effetto giuridico dipende
dalla sopravvivenza di una persona a un’altra e non si riesce ad individuare quale delle due sia
morta prima, tutte si considerano morte nello stesso momento.
Non è sempre immediato e semplice accertare il momento esatto della morte e spesso a questa si
ricollegano effetti giuridici rilevanti.
Nel classico esempio della morte quale presupposto per l'apertura della 41, la devoluzione della
stessa in una direzione piuttosto che in un'altra dipenderà dalla prova del fatto della sopravvivenza
di una persona rispetto ad un'altra.
L'art.4 semplifica tale decisivo accertamento, presumendo che nello stesso evento le persone
siano morte contemporaneamente.
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Alessandro Castro
Tale presunzione relativa graverà su chi intenda provare un diverso momento di morte.
La prova può essere data con tutti i mezzi consentiti, purché concreti ed attendibili.
IL DIRITTO AL NOME
Il nome identifica e contraddistingue ogni persona nell’ambiente sociale in cui essa vive.
È tutelato come oggetto di un diritto fondamentale dall’art.22 della Costituzione.
Per quanto riguarda il Codice è regolato dall’art.6:
Ogni persona ha diritto al nome, che per legge gli deve essere attribuito.
Nel nome sono compresi prenome cognome.
Non sono ammissibili cambiamenti o rettifiche se non nei casi e con le formalità dalla legge
indicati.
Il prenome può comprendere fino a 3 nomi, che devono corrispondere al sesso della persona, e
sono attribuiti al momento della dichiarazione di nascita fatta all’ufficiale dello stato civile.
Secondo una regola consuetudinaria al figlio nato all’interno di un matrimonio, viene attribuito il
cognome del padre.
La corte Costituzionale nel 2016(ordinanza 286 del 21\12\2016) ha dichiarato illegittima la
disciplina che non consentiva ai genitori di trasmettere al figlio il nome materno, specie per quanto
riguarda i figli nati al di fuori del matrimonio (art.262) ed i minori adottati (art.299).
Il figlio nato al di fuori del matrimonio assume il cognome del genitore che per primo lo ha
riconosciuto, e quello del padre se il riconoscimento è contestuale.
Ai neonati non riconosciuti da alcuno il prenome ed il cognome sono attribuiti dall’ufficiale dello
stato.
Nel momento del matrimonio la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito, e lo perde
in caso di divorzio, salvo che dimostri interesse a mantenerlo.
Il nome può essere modificato, dopo aver raggiunto la maggiore età, se questo susciti ilarità.
Per quanto concerne le unioni civili, le parti possono assumere un cognome comune, scegliendolo
tra i propri.
Se un individuo abbia subito delle violazioni della propria sfera giuridica che abbiano portato elle
perdite in ordine a profili della personalità questo potrà agire per il risarcimento del danno non
patrimoniale purché l’interesse della persona sia rilevante per l’ordinamento giuridico.
Il risarcimento imperfetto, perché quando viene leso un profilo della personalità non può essere
commisurato economicamente il pregiudizio subito, ma nonostante ciò garantisce una protezione.
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Alessandro Castro
Lo pseudonimo è il nome non ufficiale che la persona utilizza, e che ha acquisito una capacità
identificativa tale da aver acquisito la stessa importanza del nome.
I titolari di nomi o pseudonimi divenuti famosi possono concedere a terzi, anche a titolo oneroso, il
diritto di utilizzarli a fini commerciali.
IL DIRITTO ALL’IMMAGINE
Il diritto di ciascuno alla propria immagine è tutelato ai sensi dell’art.10 mediante il divieto di
utilizzare in modo potenzialmente pregiudizievole la raffigurazione di un’altra persona salvo che
questa non vi acconsenta.
Se l’immagine di una persona è pubblicata al di fuori dei casi in cui l’esposizione o pubblicazione è
consentita, e reca pregiudizio al decoro ed alla reputazione della persona stessa, l’autorità
giudiziaria può su richiesta dell’interessato disporre la cessazione dell’abuso ed il risarcimento dei
danni. È prevista una tutela inibitoria così come per nome e pseudonimo.
Secondo la giurisprudenza il consenso all’immagine è un atto unilaterale, sempre revocabile,
anche se inserito in un contratto a titolo oneroso, salvo in questo caso il diritto di controparte ad
ottenere il risarcimento del danno.
Non occorre consenso se:
La riproduzione dell’immagine è giustificata da notorietà
È giustificata da ragioni di giustizia o polizia
Quando la riproduzione è collegata ad avvenimenti svoltisi in pubblico.
La pubblicazione delle immagini di un personaggio famoso non è permessa senza il suo consenso,
quando queste riguardano la sua vita privata, e le immagini non rivestono un interesse per
l’opinione pubblica.
L’utilizzo illecito dell’immagine comporta l’obbligo di risarcire il danno subito dal soggetto
rappresentato, il quale può chiedere l’azione inibitoria.
È in ogni caso vietata l’esposizione di immagini che rechino pregiudizio all’onore della persona
ritratta.
All’immagine colta in contesti pubblici, bisogna oggi associare le immagini di sé che il titolare
rende pubbliche.
Ipotesi di foto pubblicate su social network, od in pagine pubbliche ed accessibili a tutti.
Queste sono ipotesi di impiego della propria immagine che giustifica il fatto che terzi se ne
possano appropriare, e le possano utilizzare.
Gli altri diritti della personalità si vanno formando partendo dalla riflessione intorno alla
costituzione repubblicana che ha riconosciuto ampiamente la rilevanza della persona nel tessuto
complessivo del nostro ordinamento e ha elevato i profili più rilevanti della personalità umana a
diritti inviolabili della persona.
Inviolabili poiché non possono essere soppressi neppure dal potere pubblico se non nei casi
ammessi dalla legge, o in casi eccezionali di necessità ed urgenza.
Esempio. Compressione art 16, attraverso i decreti che hanno limitato gli spostamenti
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Alessandro Castro
È invece considerata penalmente rilevante la condotta di chi dovesse istigare terzi al suicidio, o di
chi dovesse aiutare terzi a porre fine alla propria vita.
Il tema si riconnette alla questione molto delicata di bioetica dell’eutanasia.
L’eutanasia è la scelta di chi è affetto da una malattia terminale ed irreversibile di porre fine alla
propria vita, negando il proprio consenso a trattamenti sanitari che lo mantengano in vita come
l’idratazione o l’alimentazione artificiale.
Questo problema è venuto alla ribalta nel nostro ordinamento con due casi molto delicati, come
quello Welby e quello Englaro. I quali però sono due casi differenti.
Welby era un malato terminale ma ancora cosciente, che ha espresso consapevolmente la propria
volontà di porre fine ai trattamenti sanitari in assenza dei quali il suo fisico non sarebbe stato in
grado di sopravvivere.
Mentre il caso Englaro è molto più complesso:
La Englaro era in stato di coma irreversibile, quindi in stato di incoscienza, in quel caso il padre,
amministratore di sostegno ha assunto la decisione della sospensione dell’idratazione ed
alimentazione facendo leva sulla volontà ricostruita nella stessa Eluana, per via testimoniale.
I testimoni hanno attestato la sua presa di posizione riguardo al mantenimento artificiale in vita.
Successivamente dopo una lunga battaglia giudiziaria, si è giunti all’autorizzazione a sospendere le
cure. Le criticità sorgono poiché la volontà presunta non è mai equiparabile alla vera volontà.
All’epoca non era ancora stata approvata la l.219/2017 che disciplina il consenso informato ai
trattamenti sanitari, e soprattutto le dichiarazioni anticipate di trattamento.
In assenza di una dichiarazione di questo genere i medici hanno il dovere di tutelare la vita fino a
quando la tecnica consente di mantenere in vita l’individuo.
Questi pur essendo profili centrali del diritto, investono questioni di ordine morale ed etico, quindi
il legislatore è sempre intervenuto sommariamente.
La corte costituzionale ha preso posizione stabilendo che il principio cardine in materia è quello
dell’autodeterminazione. Visto che:
La legge non qualifica come reato né il suicidio né il tentativo di suicidio.
Libertà di autodeterminazione della persona è sancita agli art. 2/13/32 della Costituzione
Il diritto alla salute deve essere sempre subordinato al diritto dell’interessato.
La corte costituzionale si è interrogata sulla legittimità costituzionale della norma penale che
incrimina l’aiuto al suicidio.
La corte ha ritenuto che non si configuri il reato di aiuto al suicidio nell’ipotesi in cui il soggetto che
sia stato aiutato a morire, sia affetto da patologia irreversibile, fonte di gravi sofferenze fisiche e
psichiche, ma che sia ancora capace del discernimento sufficiente per prendere decisioni libere e
consapevoli.
In questi casi secondo la Corte l’intervento di un terzo è di ausilio all’esplicazione della libertà di
autodeterminazione del paziente terminale e quindi la liceità della condotta del terzo è legata al
fatto che esso diventa strumento imprescindibile per consentire al malato di esercitare la propria
autodeterminazione.
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Alessandro Castro
L’ordinamento italiano non ammette tutela risarcitoria in sede civile nel caso in cui la morte sia
cagionata da un terzo. Questo tema è noto come problema del danno tanatologico.
La Corte di Cassazione ha negato che si possa configurare a favore della vittima primaria, un diritto
al risarcimento del danno per la perdita della vita, perché una tale fattispecie fuoriesce dalla
struttura della responsabilità extra-contrattuale.
Il risarcimento ha la finalità di rimuovere un pregiudizio, non ha funzione punitiva nei confronti
dell’autore della condotta.
Per poter rimuovere il costo di un pregiudizio è necessario che il danneggiato sopravviva alla
condotta dannosa o quantomeno sopravviva per un lasso di tempo sufficiente.
La morte istantanea fa venir meno i presupposti per poter ricorrere al risarcimento.
Nel caso in cui la morte non è istantanea, è configurabile un risarcimento del danno il quale non
riguarda la perdita della vita, ma riguarda la perdita della salute.
E se la vittima dovesse anche avere coscienza del fatto che è prossima alla morte è configurabile
un maggiore danno, dovuto dalle sofferenze morali.
Il fatto che il diritto civile non configuri la perdita della vita come un danno risarcibile non vuol dire
che il diritto non ha interesse a tutelare questo aspetto. Infatti bisogna guardare l’ordinamento
nella sua completezza, e lì risiedono le norme penali che contrastano tali comportamenti.
Le vittime secondarie della vittima possono però agire nei confronti dell’autore del fatto dannoso
per chiedere il risarcimento del danno da loro subito per la perdita del rapporto parentale.
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Alessandro Castro
Ogni persona maggiorenne capace di intendere e di volere in previsione di una futura incapacità
ad autodeterminarsi può attraverso le disposizioni anticipate di trattamento esprimere le proprie
volontà, o indicare un fiduciario che ne faccia le veci.
Il medico è sempre tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente, e qualora esso rifiuti il
trattamento sanitario, il medico è esente da responsabilità civile o penale.
Se il paziente presta il proprio consenso, le cure devono compiersi nell’esclusivo interesse di esso.
Il medico che non dà adeguate informazioni o opera senza consenso del paziente è responsabile in
ogni caso nei suoi confronti.
D’altro canto il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari alle norme di legge.
La Corte di Cassazione, con una sentenza del 1983 ha individuato una serie di regole che vanno
rispettate nell’esercizio del diritto di cronaca, per poter bilanciarlo con il diritto all’integrità morale.
I presupposti fondamentali sono:
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Alessandro Castro
I fatti portati alla conoscenza pubblica devono essere fatti veri o perlomeno verosimili.
L’informazione va quindi verificata ed è necessario che vi siano elementi di riscontro
Vi deve essere interesse pubblico alla conoscenza di quei fatti
Deve esserci continenza espositiva, si devono utilizzare forme di espressioni civili ed
equilibrate.
Questi limiti diventano meno stringenti quando si configura il diritto di critica, o di satira.
Nonostante questo, la stessa critica deve essere supportata da elementi oggettivi.
Una specifica tutela dell’integrità morale è stata introdotta con la l.71/2017 per quanto concerne il
cyberbullismo.
I dati personali sono quelle informazioni che consentono l’identificazione di un individuo, sia
direttamente che indirettamente.
Nel GDPR, ovvero il regolamento europeo 2016 n.679 all’art 4, viene data la definizione di dati
personali e trattamento:
“1) «dato personale»: qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o
identificabile («interessato»);
2) «trattamento»: qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l'ausilio di
processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali,
La prima regolazione della materia è stata nel 1995, con la prima direttiva europea sulla tutela
della persona rispetto al trattamento dei dati personali.
Il tema del circolamento delle informazioni era stato analizzato originariamente negli USA alla fine
dell’800 quando due giuristi statunitensi scrissero un libro sul RIGHT TO BE LET ALONE,
paragonabile al diritto alla privacy.
In quella società i mezzi di comunicazione erano decisamente inferiori a quelli attuali ed il diritto
alla privacy era un diritto di natura protettiva, ossia il riconoscimento della rilevanza giuridica
dell’interesse dell’individuo a mantenere un velo di segretezza sulle vicende della propria vita
personale o familiare che non avessero alcun rilievo pubblico.
Per cui l’individuo era legittimato a domandare all’autorità giudiziaria il contrasto e l’interruzione
di tutti i comportamenti altrui di invasione della propria sfera privata personale e familiare,
finalizzata ad acquisire indebitamente informazioni.
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Alessandro Castro
La dimensione statica della riservatezza è venuta meno quando ci si è resi conto che l’individuo
non ha poteri di controllo sulle informazioni che circolano sul proprio conto.
La direttiva del ‘95 ha avuto funzione di armonizzare i singoli ordinamenti, i quali hanno introdotto
delle normative di recepimento. La normativa di recepimento in Italia è la l.675/1996 (l. Rodotà)
In seguito la direttiva madre è stata più volte modificata portando a delle correzioni
In Italia, la materia è stata ridisciplinata con il codice della privacy, attualmente vigente.
Le normative dei singoli stati europei, armonizzate grazie alla direttiva del 95, sono state sostituite
dal regolamento 2016 n. 679.
La normativa a protezione della circolazione dei dati personali, presuppone che l’individuo non ha
controllo delle informazioni sul proprio conto, le quali circolano anche prima che l’individuo abbia
potuto prestare il suo consenso.
La normativa, assicura il diritto ad essere informato sull’esistenza di trattamento dei dati sul nostro
conto e le finalità per cui questo è compiuto.
Le operazioni di trattamento vedono coinvolte due soggetti
Il titolare del trattamento cioè il soggetto che ha preso iniziativa di compiere operazioni di
questa natura
Interessato ovvero il soggetto a cui l’informazione si riferisce
Il titolare può avvalersi di un responsabile del trattamento in caso di trattamento realizzato da
strutture complesse.
Il trattamento per essere lecito deve essere fondato su una base normativa
Questa base normativa può essere una norma di legge, o ad esempio la legittimazione alle forze
dell’ordine a trattare i dati personali.
Laddove non vi sia un’autorizzazione di legge a trattare le altrui informazioni, si deve chiedere il
consenso all’interessato, che deve essere consapevole, delle finalità del trattamento.
È previsto anche il potere dell’interessato ad ottenere dal titolare la conferma che sia in corso un
trattamento che lo riguardi e di ottenere l’accesso ai dati personali che lo riguardano, in modo tale
che si conoscano le informazioni trattate e la loro finalità.
Ulteriore potere è quello di rettifica, sancito all’art 16, laddove i dati che vengono trattati siano
inesatti o incompleti l’interessato ha diritto ad ottenere una loro correzione od integrazione.
In base all’articolo 17 l’interruzione del trattamento è prevista se:
Il trattamento è illecito in quanto non ha alcuna base giustificativa, e ciò porta a delle
conseguenze di tipo privatistico e penale
In caso di opposizione, potere riconosciuto all’art 21 regolamento, secondo cui
l’interessato ha il potere di opporsi in qualunque momento ad un trattamento anche
legittimo
Il titolare può a sua volta opporsi all’opposizione dimostrando l’esistenza di motivi legittimi
cogenti.
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Alessandro Castro
L’art 18 prevede il diritto ad ottenere la limitazione del trattamento in tutti i casi in cui i dati siano
inesatti, o il trattamento sia illecito, o i dati non appaiano più necessari per il trattamento (diritto
all’oblio) o infine in caso di opposizione di cui all’art.21.
Vi è una disciplina particolare per quanto riguarda i dati che possono rivelare l’origine razziale o ad
esempio le opinioni politiche. Detti dati vengono definiti dati sensibili, e non possono mai essere
trattati senza un consenso esplicito.
Il diritto alla protezione dei dati personali si discosta dal modello di diritto della personalità in
quanto non è un diritto con vocazione protettiva. Non è un diritto di tipo garantistico e quindi
statico. È un diritto di tipo dinamico, che attribuisce poteri e facoltà alla persona, finalizzati ad
esercitare un controllo sulle informazioni di carattere personale che si collocano all’esterno
dell’individuo.
Sulla base delle due concezioni (concezione tradizionale e concezione aperta) si distinguono due
conseguenze:
Se la corte costituzionale avesse preso in considerazione la concezione tradizionale, secondo cui i
diritti della personalità sono tipici, la domanda dell’attrice non avrebbe potuto essere accolta.
Se invece la cassazione avesse adottato la concezione ‘aperta’ dei diritti della personalità (quella
fondata sull’art.2), la conseguenza sarebbe stata esattamente l’opposto.
È possibile che il giudice riconosca come giuridicamente rilevanti interessi della persona, che nella
società sono ormai concepiti come profili essenziali della personalità umana, grazie alla clausola
generale rappresentata dall’art.2.
Questa consente al giudice di valutare l’evoluzione dei rapporti sociali, dell’opinione sociale e di
riconoscere dunque rilevanza giuridica ad interessi della persona che, pur non essendo stati
ancora presi in considerazione dal legislatore, sono socialmente considerati parte integrante della
personalità umana.
La Corte di Cassazione dette ragione a Soraya, ma adottò una terza via.
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Alessandro Castro
Ma questo non significa che questo profilo della personalità umana è giuridicamente irrilevante.
Si può dare il caso che il legislatore non abbia riconosciuto questo interesse espressamente ma lo
abbia riconosciuto implicitamente, cioè che egli abbia dettato regole che riguardano profili
differenti della personalità umana ma dalle quali regole, implicitamente, si desume la rilevanza
giuridica dell’interesse a mantenere la segretezza sulla propria vita personale e familiare.
La costituzione riconosce l’inviolabilità del domicilio.
Quindi vi è una tutela implicita. Bisogna tener conto anche dei divieti di testimonianza del coniuge
e dei figli (per garantire l’integrità familiare).
La cassazione ha passato in rassegna tutte quelle norme dell’ordinamento che, pur disciplinando
altri profili della personalità umana, indirettamente riconoscevano la rilevanza giuridica
dell’interesse a mantenere la riservatezza della propria vita personale e familiare.
Grazie a questa rassegna ha ritenuto che, sebbene indirettamente, il nostro ordinamento
riconosce come giuridicamente rilevante il diritto alla riservatezza che pertanto poteva essere
riconosciuto alla principessa Soraya, riconoscendo non il risarcimento, ma il sequestro di tutte le
foto.
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