Lucian of Samosata

Matr. N59/317 2 INDICE Introduzione………………………………………………………………….. pag. 1 CAPITOLO PRIMO Per una preistoria del lucianismo leopardiano " 4 CAPITOLO SECONDO Verso le Operette: la deviazione etico-sociale delle «prosette satiriche» " 10 CAPITOLO TERZO Il lucianismo delle Operette morali " 21 1. La libertà strutturale delle Operette " 23 2. La mitologia tra riduzione comica e ricerca di verità " 26 3. Il dialogo lucianeo: tradizione e innovazione " 33 4. Il comico lucianeo e il ridicolo delle Operette " 38 5. Altre tracce " 49 Bibliografia " 61 1 Introduzione La fortuna critica del Leopardi prosatore ha attraversato momenti poco felici prima di giungere alle piuttosto recenti rivalutazioni che hanno talvolta minato quell'antico primato, di matrice crociana oltreché desanctisiana, del poetico leopardiano, che ha certamente qualcosa a che fare con la tradizione letteraria italiana e con le sue predilezioni ben note. Se la dilemmatica contraddizione tra «cuore» e «intelletto» indusse il De Sanctis a giudizi severi nei confronti delle Operette, il Vossler, autore di una delle più rilevanti monografie scritte sul recanatese fino agli anni '30, non fu meno duro giungendo persino a considerarle «una deviazione accessoria» 1 . Un primo passo fu la ricostruzione operata da Gentile, indirizzata alla dimostrazione di un'unità artistica e spirituale insita nelle Operette; bisogna, però, attendere le pagine del De Robertis per assistere ad una decisiva riconsiderazione della loro poeticità, che è da iscriversi nel clima anti-romantico «rondista». Il Fubini, nel saggio introduttivo alla sua edizione delle Operette (1933), tenta di far luce sulla condizione spirituale da cui si genera la prosa leopardiana e la individua nel «momento in cui nella speculazione del Leopardi riaffluisce […] il suo 1 K. Vossler, Leopardi, Napoli, Ricciardi, 1925, p. 311. 2 sentimento» 2 , aprendo la strada alle successive indagini del Bigi sul valore poetico intrinseco alle Operette. Quest'ultimo reinterpreta quell'attenuazione dell'affetto di cui parlava Fubini, intendendola come pura variazione del tono poetico, anziché come limitazione di poesia. In seguito alla cosiddetta svolta del '47, icastica denominazione con cui si fa riferimento agli storici saggi di Binni e Luporini che hanno senza dubbio inaugurato un nuovo modo di accostarsi al Leopardi, hanno visto la luce diverse ricostruzioni orientate a ridefinire i confini della «protesta» leopardiana, anche sulla base di una diversa lettura del contenuto ideologico delle Operette 3 . I successivi interventi hanno, per così dire, dimostrato di aver assorbito tale lento processo di riappropriazione del Leopardi prosatore, rendendo possibile la focalizzazione di taluni aspetti in precedenza trascurati. Tra questi la caratterizzazione lucianea della satira leopardiana ha avuto diversi sostenitori negli ultimi decenni: il primo contributo sistematico di rilievo è del Mattioli 4 , il quale 2 G. Leopardi, Operette morali, a cura di M. Fubini, Torino, Loescher, 1973, p. 16. 3 Il riferimento è al volume di Sergio Campailla (La vocazione di Tristano. Storia interiore delle «Operette morali», Bologna, Pàtron, 1977) e all' Introduzione di Cesare Galimberti al suo commento delle Operette morali (Napoli, Guida, 1998 5 ). 4 E. Mattioli, Leopardi e Luciano, in Leopardi e il mondo antico. Atti del V Convegno internazionale di studi leopardiani (Recanati 22-25 settembre 1980), Firenze, Olschki, 1982. 3 ripercorre le tappe della conoscenza di Luciano da parte di Leopardi e analizza la portata dell'influenza di Luciano sulle Operette. Altri studiosi hanno rilevato le presenze lucianee nell'ambito di considerazioni sull'ironia e sul comico leopardiani: il Dotti giunge a definire Leopardi «il Luciano del secolo decimonono» 5 , ma a constatazioni simili giungono anche Scheel, Sconocchia e Sangirardi. Quest'ultimo ha costruito la sua indagine critica sulle Operette, lette come testo che si origina dal distanziamento del proprio dramma e dalla mortificazione del desiderio, a partire proprio dall'esame del rapporto con Luciano 6 . Ecco che lo studio dei tempi e delle modalità delle sollecitazioni lucianee accolte dal Leopardi prosatore trova la sua ragion d'essere, in quanto concede la possibilità di approfondire le scelte e i ripensamenti che stanno alla base di quel libro aristocratico e complesso, che il suo stesso autore ammise di amare dicendolo «più caro dei miei occhi» 7 . 5 U.Dotti, Riflessioni sul comico e sull'ironia leopardiana, in Il riso leopardiano. Comico, satira, parodia. Atti del IX Convegno internazionale di studi leopardiani (Recanati 18-22 settembre 1995), Firenze, Olschki, 1998, p. 3. 6 G. Sangirardi, Il libro dell'esperienza e il libro della sventura. Forme della mitografia filosofica nelle «Operette morali», Roma, Bulzoni, 2000. 7 Lettera ad Antonio Fortunato Stella del 12 marzo 1826, in G. Leopardi, Tutte le poesie e tutte le prose, a cura di L.Felici e E.Trevi, Roma, Newton Compton, 2007, p. 1312. 4 Capitolo primo Per una preistoria del lucianismo leopardiano Uno dei primi testi leopardiani in cui compare il nome di Luciano è il Dialogo filosofico sopra un moderno libro intitolato «Analisi delle idee ad uso della gioventù», lavoro giovanile risalente al 1812, in cui un Leopardi appena quattordicenne confuta l'opera del barnabita Mariano Gigli e si oppone alla sua opinione relativa al libero arbitrio. In sostanza quello che ci interessa di questo breve opuscolo è la scelta della forma dialogica, motivata dall'autorità di alcuni modelli esemplari nella tradizione di questo genere: Fra tutti i componimenti di diverso genere elessi il dialogo, come quello che sembrommi assai acconcio ad ammollir la materia per se stessa aspra, e scabrosa, e render le ragioni e gli argomenti più intelligibili e chiari. Gravissimi scrittori han fatto uso del dialogo: fra gli antichi Platone, Plutarco, Marco Tullio Cicerone, Fabio Quintiliano, Luciano Samosatense, S. Giustino filosofo e martire, S. Gregorio Magno papa, e trà i moderni Addisson, Regnault, Fontenelle, Courcillon di Dangeau, Fenelon, Pluche, Algarotti, Roberti, Muzzarelli, ed altri molti scrisser dialoghi. Mosso dall'autorità di tutti cotesti luminari delle scienze, preferii il dialogo ad ogni componimento di diverso genere 8 . 8 G.Leopardi, Tutte le poesie e tutte le prose, cit., p. 734. 5 Il Dialogo, al di là dell'impostazione generale, che ha un sapore ancora scolastico, possiede una duplice valenza: costituisce un primitivo esperimento intorno alla struttura e alle tematiche di una "operetta morale" e, soprattutto, rappresenta il primo momento in cui Leopardi riconosce in Luciano, e in altri autori che pure avranno una parte considerevole nella scrittura leopardiana, un rassicurante modello di genere. Nella Storia dell'astronomia, che è del 1813, la presenza dello scrittore greco si amplia, ma solo per il numero dei riferimenti presenti in quest'opera compilatoria ed enciclopedica. Leopardi si serve di Luciano come di un repertorio di notizie biografiche, storiche, archeologiche e pseudo-astronomiche: lo menziona per provare l'identificazione tra Astarte e la Luna, per confermare la longevità di questo o di quel personaggio, per definire l'antica credenza sulla fame e la sete degli astri. Dunque attinge all'opera lucianea in base ad un «uso umanistico» 9 che, d'altronde, contraddistingue l'intera Storia dell'astronomia, lavoro imponente di erudizione e frutto di impazienza giovanile. Tuttavia è degno di considerazione che Leopardi ponga, in appendice al suo testo, un elenco delle opere utilizzate per la stesura della Storia, e che alla voce «Lucianus Samosatensis» compaiano ben sette titoli: Icaromenippus, sive Hypernephelus, De Astrologia, Iudicium vocalium, De Syria 9 G. Sangirardi, Il libro dell'esperienza e il libro della sventura…, cit., p. 27. 6 Dea, Historiae verae libri III, Macrobii ed anche Scholia in Lucianum. Ciò significa che Leopardi probabilmente lesse, o almeno passò in rassegna, tali testi prima del 1813, data da assumere come terminus ante quem. Analoga impostazione erudita contraddistingue il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815), in cui si intensificano i passi lucianei citati e tradotti dallo stesso Leopardi 10 . Oltre al già citato Icaromenippus le opere ricordate sono le seguenti: Alexander, Bis Accusatus, Demonax, Dialogi Meretricii, Hermotimus, Pro Imaginibus, Mortuorum Dialogi, De morte Peregrini, (Philopatris), Philopseudes, Timon, Vera Historia e Zeus Tragoedus. Ciò non può che essere prova di un interesse più profondo nei confronti dell'opera di Luciano. Tuttavia se da una parte l'autore del

Présentation et analyse de ces quatre dialogues de Lucien selon les problématiques suivantes (Figures de l'auteur. Le dialogue lucianesque. Dialogue dramatique et théâtre. Lucien, les philosophes et la philosophie). Ouvrage publié dans le cadre du programme d'agrégation de lettres classiques (2015-2016).

Op weg naar het Tegencontinent belandt de ik-figuur op de maan, in een walvis en op het Eiland der Gelukzaligen. De grootste absurditeiten worden beschreven met de nauwkeurigheid van een reisgids en de zelfverzekerdheid van iemand die zich gewoon niet kan voorstellen dat iemand zou kunnen twijfelen aan wat hij schrijft.
More (Utopia) en Erasmus (Lof der Zotheid) zijn schatplichtig aan Lucianus, evenals Rabelais, Cyrano de Bergerac en Swift.

Los 'Diálogos de los muertos' son un conjunto de treinta diálogos escritos por Luciano de Samosata. Si bien primero se los consideró independientes entre sí, luego se dio paso a una comprensión unitaria de los mismos que posibilitó nuevas lecturas. La obra fue adaptada para su escenificación en 1990 por el Grupo Giz-en-Scène (Araraquara, Brasil), y, en 1996, María Celeste Consolin Dezotti publicó una traducción integral de los diálogos, que complementaría en 2003 con la publicación de su versión teatral. Analizamos aquí esta adaptación con el fin de descubrir el paso del diálogo literario al dramático, la reestructuración de la obra, y sus acotaciones escénicas y escenográficas.

Che cosa raccontava la nutrice al piccolo Cicerone prima di metterlo a letto? Quali barzellette circolavano nelle botteghe dei barbieri di Atene? Nell'antichità, esattamente come oggi, nella vita di tutti erano presenti fiabe, facezie, fake news. Soltanto in pochissimi casi, tuttavia, questa "letteratura orale", considerata triviale e poco seria, è riuscita ad approdare alla pagina scritta, e spesso solo sotto forma di allusioni. Non tutto è perduto, però: combinando filologia e folklore si può tentare di ricostruire questo capitolo dimenticato della vita degli antichi. Ad aiutarci saranno le storie che, dal Medioevo fino a oggi, rispecchiano i racconti popolari di Greci e Romani, con differenze altrettanto significative delle somiglianze. Seguendo così le tracce narrative del dio Pan e di un gatto diabolico, del poeta Archiloco e del bluesman Robert Johnson, di imperatori, lupi cattivi e molti altri ancora, il libro getta nuovi squarci di luce sull'"enciclopedia culturale" degli antichi e, contemporaneamente, ci permette di comprendere meglio la nostra.

This paper provides literary contexts for Solon´s speech in Lucian´s Anacharsis. It shows that and how Lucian makes Solon argue like a contemporary in the second century would have done when criticism of athletics even by Romans already had stopped and positive evaluation of Greek athletics was up to date within Greek literature.

Prefazione.  I Neoplatonici: una lettura di genere tra storia e politica (M. De Leo)

Introduzione                       

Cap. I - Reticenze, fraintendimenti, forzature. La fondazione del discorso 
 
[Storia del testo. Rassegna critico-bibliografica; forzature e abbagli interpretativi; analisi di R. Cantarella, M. Gigante e S. Casi.  I nodi da sciogliere e gli obiettivi della ricerca. Il rimando alle 'Opere di Luciano voltate in italiano' inevitabile per la collocazione spazio-temporale e per i riferimenti tematici ed espressivi. Cantarella e Gigante vi legano la cronologia dell’opera indicando il 1858-59 (traduzione di Tucidide) e il 1854 (interpretazione di un passaggio epistolare)].

Cap. II - La traduzione delle Opere di Luciano

II. a – Cronologia e fonti
[Ricostruzione, attraverso l’epistolario, delle fasi della traduzione e dei testi adoperati. Impossibile appurare se nel 1854 Settembrini avesse già tradotto 'gli Amori', si dimostra comunque errata l’interpretazione di Gigante. La citazione di Tucidide segnalata da Cantarella non è valida perché già presente in un dialogo lucianeo; inoltre fino all'autunno del 1858 Sett. è occupato a scrivere il 'Discorso' introduttivo, per il quale utilizza come fonti E. Gibbon, C. Meiners e S. Centofanti.]
                       
II. b – L’amor dei garzoni nel 'Discorso intorno la vita e le opere di Luciano'   
[I cenni all’omosessualità frequenti nel corpus lucianeo inducono Sett. a interrogarsi, nel 'Discorso' che precede la traduzione, sull’omosessualità nel mondo antico: interpretata come ricerca del piacere, posta in relazione alla religione e alla filosofia, alla disponibilità degli schiavi e alla nudità nelle palestre. Ricerca dei riscontri testuali nella traduzione; figura ambivalente di Socrate; il rapporto con i ragazzi liberi. Il tentativo di una visione storicistica, sganciata dall’interpretazione religiosa, appare consapevole e singolare, soprattutto in rapporto al silenzio e/o al moralismo sette-ottocentesco, incluso quello degli antichisti e delle fonti consultate.]
                 
II. c – Le 5 opere oscene; gli Amori
[L’analisi di cinque testi che Sett. avrebbe voluto pubblicare a parte, evidenzia quali modelli di relazioni omosessuali avrà presenti il traduttore nel corso del suo lavoro. A livello del contenuto, al rapporto pederastico come modalità erotica libera e generalmente accettata, con la netta divisione dei ruoli fra l’amante (adulto-attivo) e l’amato (adolescente-passivo), si contrappone nel rapporto fra adulti la rappresentazione caricaturale dell’effeminatezza e lo scherno per il ruolo passivo. A livello espressivo, le parti oscene sono riferite sommariamente, con due eccezioni in cui gli atti vengono rappresentati. Analisi dei commenti del traduttore sulle cinque opere; sorprendente condanna degli 'Amori' pseudolucianei, in cui svolgono un ruolo non secondario l’aspetto estetico e la condanna della pederastia, che lascia sullo sfondo l’omosessualità fra adulti.]

II. d – La scelta purista  e il lessico osceno   
[A differenza di G. Gozzi, Sett. traduce Luciano integralmente, attuando rarissime e minimali forme di censura, due delle quali riguardano il rapporto coi fanciulli. Cenni sulle traduzioni novecentesche. A livello stilistico, Sett. sceglie di rendere l’atticismo di Luciano attraverso il lessico purista (allontanandosi dalla versione di G. Manzi) e l’innesto di echi della tradizione letteraria italiana anche per l’ambito osceno, che egli enfatizza rispetto all’originale. Rassegna dei termini legati ai personaggi omosessuali; ridotto l’impiego di 'pederasta', e sempre in funzione negativa, risemantizzazione del termine: il "fanciullaio".]
                           

Cap. III - La traduzione di Aristeo di Megara

III. a – Il racconto osceno sino a la metà 
[L’"Avvertenza del traduttore" evidenzia la contrapposizione fra l’arte antica e l’ipocrita arte moderna, si sofferma sugli amori maschili (tacendo di quelli eterosessuali) e suggerisce al lettore una chiave interpretativa. A differenza che in Luciano e in contrasto col moralismo del tempo, nulla viene lasciato all’immaginazione nei primi capitoli sui rapporti omo- ed etero-sessuali. Analisi del lessico osceno: analogia col 'Decameron' per lo sguardo ludico, ma anche per il linguaggio metaforico e per il procedimento che presiede alla creazione di nuove metafore; analisi di due prestiti decameroniani. Un lusus che fa ampio uso dell’ironia e dell’ammicco diretto e indiretto al lettore, e che tuttavia non autorizza una lettura in chiave anti-omosessuale.]
                                                                             
III. b – Una singolare fiaba di formazione 
[Il racconto scandito in tre blocchi che mostrano il percorso formativo dei protagonisti: dall’omosessualità all’eterosessualità alla bisessualità.
1-Riscrittura dell’amore platonico in chiave provocatoriamente sessuale; la relazione comincia quando di solito terminava, per l’amato, il rapporto pederastico; all’uguaglianza anagrafica si sovrappone la più innovativa reciprocità dei ruoli sessuali. Riprese testuali dal 'Fedro' e, soprattutto, dal 'Simposio', non mediate da Luciano. Il personaggio di Codro: esaltazione dell’amore omosessuale e misoginia; collegamento fra amore maschile e virtù guerriere.
2-La conoscenza della donna e il superamento della misoginia. Sperimentazione delle differenze fra diletto omo- ed etero-sessuale e riformulazione degli insegnamenti di Codro; ebbrezza e temperanza; la condivisione platonica della donna e la gelosia; in che senso Innide risana Doro dalla sua “malattia”.
3-Innamoramento-fidanzamento di Callicle e della fanciulla Psiche; episodio guerresco in difesa della patria: assente il rimando alla tirannide; mancanza di riferimenti storici e di motivazioni. Innamoramento-fidanzamento di Doro e Ioessa; forti differenze fra le figure delle due fanciulle; Psiche personaggio muto. Doppie, felici e feconde nozze; abbandono della condivisione della donna e ripresa degli antichi rapporti: approdo a una pacifica, “borghese” bisessualità.]             

III. c – Aristeo e Settembrini
[Dagli 'Amori' Sett. attinge (riformulandole) la visione misogina e la “lezione” dimostrativa di Codro, la rappresentazione dell’infanzia dei protagonisti, l’insofferenza all’ipocrisia, ma anche l’impianto generale che egli rende 'neo-platonico' sia attraverso gli stravolgimenti di cui al paragrafo precedente sia sostituendo al rapporto pederastico la relazione fra coetanei adulti. Se coi NPL Sett. ha inteso sopperire all’incapacità artistica degli 'Amori', egli riformula al tempo stesso lo statuto dei rapporti omosessuali trovato nel dialogo e in generale in Luciano. Ulteriore specificità: la conoscenza della donna attraverso la figura e il linguaggio di Innide, per i quali attinge ai 'Dialoghi delle cortigiane' e risponde criticamente a un passaggio degli 'Amori'. Due brani dalle 'Lezioni di letteratura italiana' forse riferiti ai NPL (e a Psiche). Un terzo brano cita 'Gli amori pastorali di Dafni e Cloe' da cui riprende l’impianto del romanzo di formazione, incrociandolo con le caratteristiche e le finalità delle 'fabulae milesiae'.
Nei NPL visione politica e religiosa (ma anche linguistica) congruenti con quelle dell’ultimo Sett.; così come i richiami testuali e lo sguardo ironico e provocatorio, che tuttavia non ripropone per la sua favola gli elementi parodici trovati in Luciano né il relativo lessico giudicante.] 
               
Appendice.  I Neoplatonici per Aristeo di Megara  [versione inedita]

Ringraziamenti

Bibliografia

Indice dei nomi
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Domenico Conoscenti, Ph. D. in Italianistica all'Università di Palermo, si è occupato di autori e opere della tradizione trecentesca connessi al tema dell'omosessualità. Come testi non accademici ha pubblicato il romanzo 'La stanza dei lumini rossi' (Il Palindromo 2015) e la raccolta di racconti 'Quando mi apparve amore' (Mesogea 2016).

Luc. DMar. 14: Perseus and Andromeda between iconography and theater (with an Appendix on DMar. 2)

This paper analyses Lucian’s DMar. 14, on Perseus and Andromeda, under a double perspective: intertextual and intervisual. On the one hand, it clarifies Lucian’s debts towards Euripides’ Andromeda – apparently, its main literary model. On the other hand, also through comparison with a passage from de domo (22-23), it shows how Lucian, in constructing his (as usually ironic and critical) version of the story, appeals to the visual memory of his audience almost in the same way in which he urges their literary memory, according to a technique often exploited by the rhetor. The analysis is concluded by some remarks on DMar. 12, the ‘prequel’ of this dialogue (it concerns Danae, abandoned at sea by her father with infant Perseus), in order to show that it is analogously influenced by the theatrical tradition and that it also has strong visual connotations.

Through the comparison with famous statues, Lycinus, in Lucian's "Imagines", makes a verbal portrait of a beautiful woman he has caught sight of. The portrait of her virtues is preceeded by a section where she appears with a book in her hands, while talking to someone. This paper argues that such a description is modelled on a specifi c iconographic scheme: after Lycinus' verbal sculpture, the woman has actually become a statue. But she also has the limits of a sculpture: although she is speaking, she cannot be heard. The following revelation of the woman's identity, conveyed through an allusion to Xenophon's tale of Panthea, serves the purpose of showing the superiority of literature over the visual arts: Xenophon's account − a literary work − is said to be able to create what visual arts cannot, i. e. the illusion of sound.

(1) Die Philosophie unterliegt qua Philosophie der Notwendigkeit, sich selbst und anderen (vornehmlich der sie umgebenden politischen Gemeinschaft einschließlich ihrer religiösen Normen) Rechenschaft über sich, über ihr Warum und Wozu, abzulegen. Die Philosophie muß sich deshalb auch damit auseinandersetzen, daß nicht alle, die sich als Philosophen mit dem guten Leben befassen, selbst in ihrem Leben die philosophisch gewonnenen Erkenntnisse über das gute Leben ins Werk setzen. Die Philosophie kann bzw. muß aus der Sicht einer dem Herkommen verpflichteten Gesellschaft bedenklich oder gar gefährlich erscheinen, weil das Philosophieren die ungeprüften moralischen Unterscheidungen, auf denen der Zusammenhalt der Gesellschaft beruht, in Zweifel zu ziehen scheint. Die Philosophie, die sich um Erkenntnis der Prinzipien moralischen Handelns bemüht und in allem nicht nach dem Überlieferten, sondern nach dem Guten fragt (cf. Aristoteles, Politik II 8, 1269a3-4), kann so von der Gesellschaft als Zersetzerin der traditionellen Moral verstanden werden, wie es auch tatsächlich vielfach geschah. Diese philosophische Befragung der politischen und moralischen Meinungen verkörperte sich in der Geschichte der Philosophie am prägnantesten in der Person des Sokrates, der den politisch-philosophischen Sinn seines Lebens darin sah, die Stadt so wie eine Bremse oder Stechmücke ein Pferd aus ihrer Selbstgenügsamkeit aufzuwecken und sie zu ermahnen, sich um die Tugend zu sorgen (Apologie 30e; 31b; siehe auch Cicero, Tusculanae Disputationes V 10). Sokrates verstand mit vielen antiken Philosophen Philosophie als eine Lebensweise, die der Erkenntnis gewidmet ist, als theoretische Lebensform, die in sich ein ethisches Moment birgt. Die Tugend des Philosophen stellte die notwendige Voraussetzung für die Freiheit seines Denkens dar. Sokrates bestand aber auch darauf, daß das Interesse an der Lebensführung des Philosophen nicht das Interesse an der Sache der Philosophie selbst verdunkeln sollte. Am Schluß des Euthydemos, in dem Sokrates von einer seiner lebhaftesten Auseinandersetzungen mit den Sophisten, welche nur dem Anschein nach Philosophie treiben, berichtet, geht Sokrates auf die Sorge Kritons ein, er könne seine Söhne nicht gut zur Philosophie aufmuntern (protre/ pein), da ihre Lehrer oftmals verkehrt oder merkwürdig (a0 llo/ kotov) zu sein scheinen (306e-307a). Sokrates nimmt diese Sorge auf und weist darauf hin, daß "in jedem Geschäft der schlechten viele sind, und diese nichts wert, der trefflichen hingegen nur wenige, diese dann aber auch alles wert" (307a-b). Sokrates schließt die Unterredung mit der Mahnung, Kriton solle ganz die beiseite lassen, "die sich der Philosophie befleißigen, ob sie gut sind oder schlecht, und nur die Sache selbst recht gut und gründlich prüfen". Erscheine die Sache ihm schlecht, solle er jedermann davon abraten, erscheine sie ihm aber gut, sollen er selbst und seine Kinder sie üben (307c). Platon läßt also hier, wie auch im Phaidon (91c) und Gorgias (505e-506a), Sokrates den Blick von der Person und ihrer Lebensführung hin auf die Sache lenken und erkennt ausdrücklich an, ja fordert dazu auf, die Philosophie selbst zu prüfen, ob sie gut ist oder schlecht. Diejenigen, die Sokrates nachfolgen wollen, sollen sich wenig um den Sokrates kümmern, sehr dagegen um die Wahrheit. Platon weist somit in der entscheidenden Hinsicht über sich selbst hinaus. Platon weist über sich selbst hinaus auf Sokrates und damit zugleich in der Person des Sokrates auf die Sache, die zwar in dieser Person verkörpert, jedoch nicht mit ihr identisch ist. Der Tod des Sokrates bedeutet deshalb auch nicht das Ende der Philosophie. Indessen hat das Leben des Sokrates doch gleichsam paradigmatische Bedeutung, gerade weil es ein Leben war, dem es zuallererst um die Sache der Philosophie als der Suche nach dem guten Leben sowie der Suche nach bleibenden Wahrheiten geht, nach dem, was immer ist. Sokrates erweist sich in der Darstellung Platons

Peregrinus Proteus' suicide has traditionally been used as one of the most solid proofs that cynicism developed strong religious inclinations over the course of the Imperial period. This article intends to demonstrate that Peregrinus' motivation and behaviour throughout the episode is perfectly understandable within the former cynical tradition. Peregrinus' unprecedent action is simply an attempt to adapt the old messages to new demands, especially to competition from the new models of "askesis".

"La vita de cortigiani di Luciano filosofo" (Venezia 1542), il primo volgarizzamento del "De mercede conductis", è rimasto fino ad oggi inesplorato. L’intervento mira a compiere una disamina a tutto tondo del testo, indagando sia le precedenti traduzioni della stessa opera (in latino – soprattutto quella di Erasmo – e in francese), sia il modo in cui l’originale lucianeo è stato reso in volgare (una riscrittura attualizzante), sia ancora la figura del misterioso traduttore (per la quale si avanza una proposta d’identificazione con Giovanni Antonio Clario), sia infine la tradizione motivico-tematica nella quale tale volgarizzamento s’inserisce (il filone della letteratura anti-cortigiana, dal "De curialium miseriis" di Enea Silvio Piccolomini al "Ragionamento delle corti" di Pietro Aretino).
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"La vita de cortigiani di Luciano filosofo", the first vernacular translation of Lucian’s "De mercede conductis", has never been investigated so far. This contribution aims at a thorough analysis of the text, examining how the Greek original was rendered in the vernacular (i.e. how it was rewritten and actualized) as well as taking into account translations into Latin (especially the one by Erasmus) and into French. While formulating a hypothesis of identi cation of the pseudonymous translator with Giovanni Antonio Clario, the present study also identifies the motivic-thematic tradition reprised by this text (i.e. the anti-courtier topos, from Enea Silvio Piccolomini’s "De curialium miseriis" to Pietro Aretino’s "Ragionamento delle corti").

The aim of this book is to make the Dialogues of the Dead by Lucian of Samosata (c. 120 CE –190) accessible to intermediate students of Ancient Greek. The running vocabulary and grammatical commentary are meant to provide everything necessary to read each page, so that readers can progress through the text, improving their knowledge of Greek while enjoying one of the most entertaining authors of antiquity.
Lucian’s Dialogues of the Dead is a great text for intermediate readers. The dialogues are breezy and fun to read with relatively simple sentence structure. Typical for Lucian, classical literature is the source for most of the material, with amusing takes on traditional stories and scenarios. Since the underworld is the place of final judgment, it is the perfect location to have various figures from history and legend meet and reflect on the choices they made in life. Wealthy men, famous kings, heroes of old, and the gods themselves are all subjected to Lucian’s satirical gaze, but always with a combination of learned wit and cleverness.

Corso di greco per i Licei Classici e per il triennio dell'Università.
C. Neri si è occupato principalmente della Grammatica, G. Alvoni-R. Batisti-M. Olivieri principalmente dei volumi degli Esercizi, ma gli autori hanno lavorato in comunità di intenti e di metodo, e hanno rivisto ciascuno le parti degli altri.

EROTES
by Lucian of Samosata
English rendition by Andrew Calimach

Preface

The origins of male love are lost in the mists of prehistory. In fact, they go back to the dawn of man, if observations of animals in the wild are any guide. Though same-sex sexual activity is widespread throughout the animal kingdom, it is predominantly a characteristic of higher species: the more evolved the animal, the more frequent its occurrence. We have no way of knowing what animals think of this topic. Humans, however, are possessed of speech, so that wherever a history of male love has survived, so have records of the conversations inspired by it. These debates have been going on, in various forms, for over two thousand years, so they are unlikely to be concluded any time soon. We might, however, steal a page from the arguments of our forefathers, and inject a little humor and poetry into our modern day disputes. Perhaps then the chase for some absolute truth will not be so all-consuming.

This dialogue was written in Greek in the early years of our era by Lucian of Samosata (a town on the Euphrates, present-day Samsat, in modern Turkey). It reveals to our twenty-first-century eyes idealism and prejudice; humor and misogyny; a sense of play, sometimes fair and sometimes not; and a seriousness leavened by lightness of heart. Before us are arrayed the trappings of philosophical inquiry, along with specious arguments delivered with great vehemence. We would be justified to conclude that many things have not changed in the past two thousand years, while we smile, or frown, at how much has indeed changed.

One thing that has not changed is the confusion often present in discussions of what is now dubbed “homosexuality,” which purports to conflate attraction with specific acts. Charicles, the fictional character in this dialogue who presents the argument against lying with males, argues against one thing and one thing only—anal sex with another male. His opponent, Callicratidas, defends the construction of male love prevalent among educated Athenians (as well as Spartans, Thebans, and Cretans) of his time. This was a chaste pederasty that consisted of the attraction, love, and mentorship between a grown man and an adolescent boy, but explicitly rejected acts of penetration in the relations between lover and beloved. This is not to say that somehow this “pure” or “noble” pederasty was in any way not sexual, or frigid. We can be certain that it was fully sexual in that the lovers surely enjoyed the peak of pleasure. Their lovemaking, however, consisted of acts that were seen as not debasing to either partner.

Thus the two opponents in this debate talk past each other, neither acknowledging the veracity of his opponent’s arguments. Callicratidas makes no answer to Charicles’ accusations, characteristic of his time and historically accurate, that many men do indeed abuse, dishonor, and harm their boy beloveds by penetrating them, in flagrant contravention of mainstream Greek morals. Perhaps that is because of his own complicity in such behavior, hinted at by the nature of his interest in the statue of Aphrodite. Charicles has nothing to say about an affectionate and constructive chaste pederasty that does not imply the degradation of both lover and beloved by acts of hubris, which in this context was not used in its modern sense of “arrogance” but as a technical term for acts of sexual penetration, regardless of whether they were forced or voluntary. Could that be because of his fixation on women and inability, or refusal, to react erotically and sentimentally to the beauty of a youth, as did the great majority of the men of his time?

The significance of the dialogue is best expressed in the words of the great classicist and male love pioneer, John Addington Symonds: “More than any other composition of the rhetorical age of Greek literature, it sums up the teaching of the doctors and the predilections of the vulgar in one treatise. Like many of Lucian’s compositions it has what may be termed a retrospective and resumptive value. That is to say, it represents less the actual feeling of the author and his age than the result of his reading and reflection brought into harmony with his experience”.

The aim of this book is to make The Dialogues of the Courtesans by Lucian of Samosata (c. 120 CE –190) accessible to intermediate students of Ancient Greek. The running vocabulary and grammatical commentary are meant to provide everything necessary to read each page, so that readers can progress through the text, improving their knowledge of Greek while enjoying one of the most entertaining authors of antiquity. These dialogues are another example of Lucian presenting unusual perspectives on Greek culture and literature, this time by creating amusing dialogues that occur mostly among the professional companions, hetairai, who formed a special form of upscale entertainment for elite men in the classical period. The women in these dialogues sometimes interact with male clients, but in most of them we find only women, as they speak of their hopes and fears and the business of love.

Literary genres designed for instruction (didaskalia) often incorporate wonder- writing (paradoxography) to produce pleasure and enthrallment (psychagogia), thus compromising the truth and their educational value. In True Stories, Lucian mimics the paradoxographical discourse in its vocabulary, style, motifs, and mannerisms, yet introduces his material as pure fiction. I argue that Lucian claims the right to a new type of narrative, one that offers the audience not just the pleasure of marvelous stories, now avowed lies, but also instruction, through the opportunity to reflect (theoria) on the transformation of the old canons and to reposition oneself within the system of literary values.

La elaboración de material didáctico es una parte fundamental de la innovación docente y de la metodología en el aula. En este caso presento una antología de textos para la asignatura de Griego II basada en la obra de Luciano de Samósata. Su utilidad es trabajar con ella la traducción así como los contenidos lingüísticos de la asignatura. El propósito es introducir en el aula textos que en secundaria han sido olvidados o relegados a un segundo plano pero que pueden tener mucho atractivo para el alumno y ser de utilidad para el profesor a la hora de impartir los contenidos.

This article aims to draw a general picture of Lucian of Samosata’s perception of Christianity through the analysis of the peculiar vocabulary used in chapt. 11 of his De morte Peregrini, where Christianity is mentioned as θαυμαστὴ σοφία and καινὴ τελετή. To do this, at first, the different meanings and the evolution of these two nouns in the context of the history of the Greek language have been analyzed; subsequently, they have been studied in their specific uses within Lucian’s works. After this preliminary analysis, from which an apparent difficulty to reconcile the two terms with the definition of Christian religion has emerged, the attention has been focused on their specific use related to Christianity in De morte Peregrini. As for θαυμαστὴ σοφία, the narrative context and the particular connotation of Jesus as σοφιστής (given in a later passage and read in the light of the historic-religious category of θεῖος ἀνήρ) have made it possible to recognize a specific meaning as set of knowledge and norms that makes up the doctrine transmitted to Christians by Jesus, i.e. as the ‘content’ of Christianity; the definition of καινὴ τελετή, which concerns instead the ‘external form’ of Christianity, has found an explanation in the context of the general structure of Greek polytheism (in which the general concept of ‘religion’ is missing), which determines the impossibility for Lucian to understand and explain Christianity outside the traditional parameters, and leads him to identify it as one of the various options of devotional and initiatory worship that were spreading within Greek religion. Finally, the cross-reading of these two definitions in the light of the surrounding vocabulary and of the conception of Jesus as θεῖος ἀνήρ, allowed to recognize in Lucian an attitude of general lack of interest and slight mockery towards Christianity, which connects him to other intellectuals of the time, even on the linguistic level.

"In an attractively packaged, slim volume Andrew Calimach (AC) weaves together the key Greek myths and legends about love between men. He interweaves the stories with the debate on the virtues of heterosexual vs. homosexual love, traditionally attributed to Lucian of Samosata entitled “Erotes,” or as AC puts it, “Different Loves.”1 The result is a delightful collection of stories that serves to emphasize both the aspects of love that the ancient Greeks valued and the important role that homosexual attraction and consummation played in the narratives that captured the attention and the imagination of the first Western audiences. The book is aimed particularly at the non-specialist, but the nature of the compilation will please even experts in mythology who seek a new way of seeing the old material. . . . ."
http://bmcr.brynmawr.edu/2003/2003-09-04.html

Across the eastern Mediterranean, only a limited number of inscriptions, coins and papyri attest the term ἐπιν(ε)ίκια bestowed on local festivities. My paper studies for the first time the genesis and evolution of a particular title that could be presented as a sign of loyalty and friendship towards Roman rule. Through an analysis of mostly direct evidence, I aim to provide the perspective of certain local communities which, while subjected to Rome, remarkably strove to celebrate its victories. This bottom-up approach also seeks to show the importance of reciprocity in the constant diplomatic exchange between emperors, administrators and eastern provincials.

The Antonine Plague is considered one of the major epidemiological disasters of the Roman
Empire. Occurring between 161 and 180 AD, the pandemic known also as “Galen’s plague” became
an intensively discussed and debated topic in the last fifty years, producing numerous articles and
studies on the demographic, social, economic, geopolitical and even religious impact of the event. In
this article, the author deploys primary sources (literary, archaeological and epigraphic evidences) to
discuss the real and metahistorical impact of the Antonine Plague through specific case studies from
literary and epigraphic sources. The article also focuses on the major changes brought to religious
communication in the mid-second century AD.

George Kakavas, Witches of the stars and Sorceresses of the Hypati. Legends and Traditions.

In ancient times Thessaly was famous for its powerful witches and for its horses. Grandmothers of the area narrated tales, of which the main characters were not only beasts and demons, brave men and renowned
lords, but also beautiful enchanted princesses to whom witches gave poisonous herbs to drink. Somewhere in Katavothra, nowadays called Oeta, as well as in Vardousia and Neraidospilia witches and fairies were
gathered. The most famous of them were those of Hypati. They undertook love spells, filters that guided or forced into obedience, others that caused suffering. The Thettalides witches reached the peak of their glory. Their protector was the triple goddess Hecate.

It is well-known that as a term, Nietzsche’s Übermensch derives from Lucian of Samosata’s hyperanthropos. I argue that Zarathustra’s teaching of the overman acquires new resonances by reflecting on the context of that origination from Lucian’s Kataplous — which literally means sailing into port — referring to the soul’s journey, ferried by Charon, guided by Hermes, into the afterlife. The Kataplous he tyrannos, usually translated Downward Journey or The Tyrant, is a Menippean satire telling the tale of the “overman” who is imagined to be superior to others of “lesser” station in this-worldly life and the same tyrant after his (comically unwilling) transport into the underworld. As a reflection on the life and the death of Zarathustra, this essay also explores the politics of kingship for Empedocles as reformer in terms of Hölderlin’s Death of Empedocles and Nietzsche’s unpublished drafts on the same topic. In Thus Spoke Zarathustra, Nietzsche points to a perspective beyond the here and now, beyond the “values” of our all-too-worldly and all-too-human concerns, no matter whether in terms of perceived political/economic advantage, or indeed in the pursuit of more quotidian satisfactions.

En Visión y símbolos en la pintura española del Siglo de Oro (1968/1972), Julián Gállego dedica unas líneas a la iconografía de Hércules Gálico. Según cuenta Luciano, el héroe fue representado pictóricamente arrastrando con una cadena a una multitud de galos, atados por las orejas y encandilados por su palabra. Dicha cadena pendía de la propia lengua de Hércules, símbolo así del poder de la elocuencia. Esta écfrasis se convirtió en una invención muy del gusto de oradores y humanistas y fue comentada por Alciato y Cartari, por Arias Montano y Gracián.
Las écfrasis artísticas del Siglo de Oro, más que exponer –a la manera clásica, como parte de los ejercicios retóricos llamados progymnasmata– los objetos en una serie de ornamentadas y ricas descripciones de su aspecto físico, buscaron destacar la variedad y verosimilitud de lo narrado en ellos. Interesaban los efectos psicológicos producidos sobre el observador, las sensaciones y emociones percibidas por éste, aunque fueran difíciles de verbalizar. Ya descripciones antiguas como el homérico Escudo de Aquiles o la Calumnia de Apeles, también ilustrada por Luciano, insistían en las acciones representadas, en los gestos y expresiones faciales, siempre dentro del contexto del asunto tratado. Se imbricaban con la recepción por parte del espectador de lo figurado en la obra de arte, fuera éste el propio narrador o una tercera persona. Un efecto particular de este último tipo de écfrasis “por la recepción”, consistente en referir los afectos y pasiones desatadas ante una pintura, era el estupor o desconcierto (ekplexis) causado en el público, entendido aquí como protagonista explícito de la descripción.
Aretino, Vasari o Marino en Italia, y en España Guevara, Pacheco o Palomino, cultivaron la explexis en algunas de sus recreaciones textuales de pinturas. También artistas como Caravaggio y Rubens, Ribera y Velázquez, se sirvieron de técnicas afines de retórica visual para sus cuadros de historia. Y así, igual que el valor de la oratoria se mide por sus efectos y el rétor sublime era capaz de inducir efectos de visibilidad sin presentar objetos reales ante el auditorio, el pintor-predicador podía, con el artificio del pincel y la presencia de testigos en la escena fingida, hacer perceptible el espectáculo de la tragedia. “Pintar”, en definitiva, con palabras o imágenes, la ilusión de contemplar un espectáculo cuando, en realidad, simplemente se estaba escuchando un relato o mirando un lienzo.

The aim of this article is to demonstrate that the Moon’s all-male society portrayed in one of the first episodes of Lucian's Verae Historiae is humorously 'more real' than the originals that inspire it and the society where the author lived. The lunar hyperreality satirically and parodically plays with traditional misogynist and pederastic motifs and, moreover, with the imperial culture and society.

The aim of this paper is to read the V dialogue of Lucian's of Samosata Dialogues of Hetaerae using the euristic tools offered by Michel Foucault's History of Sexuality. The transformation of Lucian's dialogue in “monument” and the comparison with the Memoirs of Alexina/Herculine Barbin allows us to see through the characters of Lucian's text a “pre-sexual” and “pre-hermeneutic” subject. On the other hand the erotic treatise of Philaenis of Samos, which Lucian used for his comic dialogue, suggests to us the complexity of a “pre-sexual” society like that of ancient Graeco-Roman world.

Scopo di questo lavoro è indagare il V dialogo dei Dialoghi delle Cortigiane di Luciano di Samosata  attraverso gli strumenti euristici forniti dalla Histoire de la sexuatlitè di Michel Foucault. La trasformazione del testo lucianeo in un “monumento” e il suo confronto con le memorie di Alexina/Herculine Barbin permette di individuare nelle protagoniste del dialogo lucianeo un soggetto pre-ermeneutico e pre-sessuale. Allo stesso tempo la presenza in Luciano delle vestigia dell'antico trattato erotico di Filenide di Samo ci permette di leggere la complessità della società pre-sessuale greco-romana.

Los treinta Diálogos de los muertos son diálogos en miniatura cercanos al mimo, pero son diferentes al estar fuertemente marcados por su tono satírico, por su concisión epigramática y por sus duros trazos de humor negro, cosa que hace de ellos un auténtico género literario independiente tal como muestra su influencia en la posteridad europea. Debe añadirse que estos diálogos presentan un mayor grado de coherencia interna, ya que las escenas están en su mayoría conectadas entre sí